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Sommario del 14/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Migliaia di giovani in partenza per la Gmg. Scherer: c'è grande entusiasmo

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Migliaia di giovani in tutto il mondo si stanno preparando a partire per Cracovia per partecipare alla Giornata mondiale della gioventù che quest’anno si svolge in coincidenza con il Giubileo della Misericordia. Tra due settimane, il 28 luglio, l’incontro con il Papa per la Cerimonia di accoglienza dei giovani nel Parco Jordan a Błonia. Partiranno per la Polonia, nonostante la distanza, anche tanti giovani brasiliani che hanno accolto i loro coetanei nell’ultima Gmg, quella di Rio de Janeiro nel 2013. Ascoltiamo il cardinale Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di San Paolo del Brasile, al microfono di Silvonei Protz

R. – I nostri giovani si preparano per partecipare alla Giornata Mondiale della Gioventù. Nonostante le condizioni attuali del Brasile, sono un numero abbastanza congruo; il viaggio è abbastanza costoso, poi c’è la permanenza, e le condizioni economiche del Brasile al momento non sono buone. Comunque ci sarà un buon numero di giovani brasiliani a Cracovia provenienti dall’arcidiocesi di San Paolo e da tante altre diocesi. Ci si prepara con entusiasmo. Io ho partecipato a qualche momento di questa preparazione. I giovani sono entusiasti e poi c’è una preparazione anche locale per partecipare a distanza ai momenti della Gmg. I giovani si preparano per partecipare nei loro gruppi, nei movimenti, nelle associazioni, nelle parrocchie ai grandi momenti della Gmg. Credo che sarà un bel momento anche per i giovani che non andranno a Cracovia e coloro che saranno lì presenti affronteranno questa giornata con grande entusiasmo.

D. - Lei sarà uno dei catechisti dei giovani …

R. – Sì, sono stato invitato e con molto piacere sarò lì per le catechesi in lingua portoghese.

D. – Il tema specifico è la misericordia …

R. – Sì, è la misericordia, secondo il tema generale “Beati i misericordiosi”. L’incontro con la misericordia di Dio, l’esperienza della misericordia accolta, il lasciarsi accogliere dalla misericordia di Dio è importante per i giovani, così come la pratica concreta delle opere di misericordia. Io penso che a Cracovia ci sono due riferimenti di interesse particolare per l’esperienza della misericordia: prima di tutto il Santuario della Divina Misericordia, il riferimento a San Giovanni Paolo II che era stato anche arcivescovo della città; poi, non lontano da Cracovia, c’è il campo di concentramento di Aushwitz dove tante, tante persone sono state uccise, sono finite nei forni crematori. Questo è un segno molto forte della mancanza di misericordia, mancanza del rispetto per i diritti umani, della persona e della giustizia. Ma, prima di tutto, la mancanza di misericordia fa indurire il cuore. Quindi tanti giovani andranno a Cracovia per sentire questo appello molto forte: prima di tutto, bisogna conservare il cuore aperto a quella misericordia che supera anche la legge, la giustizia; la misericordia è la capacità di andare oltre per farsi prossimi alle persone che vivono situazioni di bisogno e di necessità.

D. - Subito dopo la Gmg, in Brasile ci saranno le Olimpiadi, esattamente a Rio dove si è svolta l’ultima Giornata Mondiale della Gioventù …

R. - La città di Rio si sta preparando con intensità per accogliere i giochi olimpici. Credo che siamo a buon punto. Certo, ci mancherà sempre tanto. Sono sicuro che l’accoglienza, l’ospitalità, sarà un segno forte di questa Olimpiade. Si vedranno, senz’altro, anche tante mancanze; purtroppo nella città di Rio c’è ancora tanta povertà, tanta violenza, ma non credo ci debba essere paura per i giochi olimpici. Sarà un momento di fraternità, di pace, e credo che saranno delle Olimpiadi molto belle.

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Mons. Ayuso: insieme con Al-Azhar contro ogni fanatismo religioso

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Cristiani e musulmani devono lottare insieme contro ogni fanatismo religioso per promuovere la pace e la fraternità nel mondo: così, ai nostri microfoni, mons. Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che ieri ha avuto un importante e proficuo incontro all’Università musulmana di Al-Azhar, al Cairo. La visita è stata organizzata a meno di due mesi dallo storico abbraccio in Vaticano tra Papa Francesco e il Grand Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib, avvenuto lo scorso 23 maggio. Ma ascoltiamo mons. Ayuso Guixot nell'intervista rilasciata ad Olivier Bonnel: 

R. – Abbiamo visto l’importanza di proseguire sulla scia di quelli che sono stati i nostri accordi, presi già dal 1998, e su questa scia noi tentiamo di esplorare, come ho fatto in questa giornata e faremo ancora verso la fine di settembre e i primi di ottobre, quelle tematiche come l’educazione, la famiglia, la gioventù, il contributo dei credenti alla pace, il ruolo della donna e così via, che sono elementi che possono aiutarci. Da una parte, condannare l’abuso della religione, dall’altra proporre quei valori positivi che esistono nelle religioni, nelle nostre tradizioni religiose, che aiutano a superare questa difficoltà che oggi incontriamo. C’è una grande buona volontà e un grande desiderio, anche come esseri umani appartenenti a tradizioni religiose differenti, di collaborare insieme per promuovere, in quanto credenti, ogni tipo di lotta contro la povertà, attraverso questa solidarietà di credenti al servizio dell’essere umano, quindi lavorando al servizio della difesa, della promozione dei diritti umani e della dignità di ogni essere umano.

D. – Dopo la visita storica del Grande Imam al-Tayyeb a maggio qui in Vaticano e poi questo incontro qui al Cairo, secondo lei si è aperto un nuovo capitolo nel dialogo tra la Santa Sede e Al-Azhar?

R. – Più che un nuovo capitolo penso che abbiamo ripreso quella strada che già dal 1998 avevamo intrapreso e che con questo incontro ancora una volta abbiamo avuto la possibilità di rivedere, quando abbiamo ripreso in mano l’accordo che avevamo firmato e con il quale si intendeva promuovere una conoscenza esatta delle religioni e, nello stesso tempo, di “vegliare” perché insieme si possa scoprire il ruolo per servire queste società in cui noi oggi viviamo, attraverso la promozione della fraternità, della solidarietà, della cooperazione, della giustizia, della pace, per cercare di dare soluzione alle questioni legate al bene dell’umanità tutta intera e per combattere soprattutto insieme ogni tipo di fanatismo religioso come una espressione di esclusione e come fonte di odio, di violenza, di terrorismo. Il ruolo, quindi, importante di Al-Azhar, assieme a questo ruolo speciale del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso nella Chiesa cattolica, è qualcosa di veramente importante.

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Albania: mons. Prennushi e 37 compagni martiri Beati il 5 novembre

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Condannato al carcere duro e morto nel 1949 in seguito alle torture subite per non aver acconsentito alla richiesta del dittatore albanese Enver Hoxha di formare una Chiesa nazionale, fedele al regime comunista e non a quella di Roma. È mons. Vinçenc Prennushi, frate francescano e arcivescovo di Durazzo, che assieme ad altri 37 compagni sarà beatificato il prossimo 5 novembre nella piazza della Cattedrale di Santo Stefano a Scutari. Ad annunciarlo una lettera di Papa Francesco ai vescovi del Paese balcanico, al termine del processo canonico che ne ha riconosciuto la “testimonianza del martirio per la fede e la patria”: lo riferisce una nota dell’arcivescovo Angelo Massafra, presidente della Conferenza episcopale d’Albania, che parla di “momento storico per la Chiesa e la nazione”. Il rito di Beatificazione sarà presieduto dal prefetto per le Cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato, due mesi dopo la Canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, la piccola suora albanese che dedicò la sua vita agli ultimi in India e non solo. Sull’accoglienza della notizia, ascoltiamo lo stesso arcivescovo Massafra, raggiunto telefonicamente a Tirana da Giada Aquilino

R. – Noi aspettavamo con ansia la conferma della data da parte della Santa Sede. E qualche giorno fa è arrivata la comunicazione, in cui viene confermato che il 5 novembre sarà il giorno della Beatificazione dei 38 martiri del comunismo e cioè di mons. Vincenzo Prennushi e di 37 compagni martiri, uccisi “in odium fidei”. Sono una perla per la nostra Chiesa cattolica in Albania, ma anche per il mondo intero. Sono soltanto alcuni dei tanti uccisi durante il periodo comunista per l’odio verso la Chiesa cattolica e la fede cattolica. Mons. Prennushi era arcivescovo a Durazzo: fu messo in carcere e morì a seguito delle tante torture subite. Ci sono anche un altro vescovo, mons. Fran Gjini, ma pure gesuiti, francescani, diocesani ed anche quattro laici, tre uomini e una donna, di varie nazionalità: due tedeschi, la maggior parte albanesi, un gesuita italiano e alcuni sacerdoti di origine croata. I missionari e la Chiesa di Albania hanno sofferto ed hanno testimoniato questo amore a Cristo fino all’eroismo, fino alla tortura.

D. – Mons. Prennushi e altri religiosi furono chiamati dal dittatore Hoxha per formare una Chiesa nazionale, fedele al regime comunista e non alla Chiesa di Roma. Rifiutarono. Che valore ha oggi quel rifiuto?

R. – Tentarono di convincere sia mons. Prennushi sia gli altri, ma mai la Chiesa cattolica in Albania si è staccata da Roma! E prima di morire, molti fucilati, hanno gridato: “Viva Cristo Re! Viva il Papa! Viva la Chiesa! Viva l’Albania”.

D. – Che attualità hanno queste figure oggi per il popolo albanese?

R. – La popolazione aspettava ormai da tempo il riconoscimento che questi “fratelli” sono stati martirizzati, quindi sono martiri della Chiesa universale. La piccola Chiesa cattolica - noi siamo una minoranza in Albania - ha dato un contributo di fedeltà, presentando 38 martiri, e non sono certo pochi: la Chiesa d’Albania è da sempre una Chiesa martire e grazie anzitutto al sangue di Cristo e anche al sangue di questi nostri martiri – sono ormai 25 anni dalla libertà – è oggi ancora più bella di prima.

D. – La Chiesa albanese come si sta preparando per la Canonizzazione di Madre Teresa, il 4 settembre a Roma, e per la Beatificazione dei suoi primi martiri a novembre?

R. – Ci stiamo preparando intensamente per Madre Teresa. Proprio in questi giorni andranno portati alla stampa un novenario e il grande poster della proclamazione. Stiamo anche pensando di fare per tutto il mese di agosto qui in Albania, in tutte le parrocchie, la domenica, degli incontri sulla sua spiritualità. Prima del 4 settembre, poi, pensiamo di far conoscere la spiritualità di Madre Teresa: dobbiamo cercare di imitare tutte le sue virtù, la sua misericordia e il suo amore ai più bisognosi in questo Anno della Misericordia.

D. – E per i primi martiri, come vi state preparando?

R. – Ieri abbiamo dato l’annuncio ufficiale a tutti i media. Ho consegnato questa mattina al presidente della Repubblica, al primo ministro e al presidente del Parlamento una lettera ufficiale per metterli a conoscenza della data di Beatificazione. E’ chiaro che abbiamo ancora tempo, ma sarà una cosa eccezionale e meravigliosa.

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Vaticano: ad ottobre prima conferenza su fede e sport

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Riflettere sulla collaborazione tra fede e sport per migliorare la vita dell’uomo: sarà questo l’obiettivo della prima conferenza internazionale ed interreligiosa che si terrà in Vaticano dal 5 al 7 ottobre prossimi, promossa dal Pontificio Consiglio della Cultura, con la società tedesca Allianz come partner fondatore.

Papa Francesco: “Sfida te stesso nella vita e nello sport”
“Sfida te stesso nel gioco della vita, come si fa nel gioco dello sport” è il tema dell’evento, ispirato alle parole di Papa Francesco. Prevista la partecipazione di 150 leader sia religiosi che sportivi, provenienti da diverse parti del mondo.  Ringraziando Allianz per il suo sostegno, mons. Melchor Sanchez de Toca y Alameda, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura, spiega: “Sarà la prima riunione ad alto livello in Vaticano sullo sport e la fede. Ma non si tratterà di un evento isolato, perché l'idea è quella di creare un movimento globale che coinvolga tutti, a prescindere dalla fede, dalla cultura e dalla geografia”.

Includere, coinvolgere, ispirare
“Inclusion, involvement, inspiration saranno i tre grandi ‘in’  che indicano le aree tematiche del convegno – spiega ancora all’agenzia Sir Sánchez de Toca – Infatti, si cercherà di capire come sport e fede, insieme, possano contribuire a creare società più integrate (inclusion); a promuovere, nelle persone, coscienza civica e desiderio di impegnarsi per la comunità (involvement); a realizzare vite più sane, più integre e più complete (inspiration) per fare fronte alle grandi sfide dell’umanità”. Fede religiosa e sport  - aggiunge il presule – seppure in modo diverso, sono “forze motrici della società globale e possono promuovere valori positivi”. Tra gli altri temi rilevanti della conferenza, anche il ruolo dell’allenatore, visto come un educatore per gli atleti.

Attenzione particolare ai giovani
Dal suo canto, la società Allianz si dice “orgogliosa di collaborare con la Santa Sede” in quest’occasione: “Ciò è perfettamente in linea con il desiderio di Allianz di sostenere coloro che scelgono di vivere con coraggio – spiega l’amministratore delegato della società, Oliver Baete – La conferenza segnerà la posa della prima pietra di un movimento globale per costruire ponti tra le persone e trasformare la loro vita”. Un’attenzione particolare verrà rivolta ai giovani affinché “si impegnino sia sul campo da gioco che nella vita”.

Auspicata la presenza del Pontefice
Tra i relatori attesi all’evento, Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu, e  Thomas Bach, presidente del Comitato Olimpico Internazionale. Auspicata, infine, la presenza di Papa Francesco alla cerimonia inaugurale dell’evento, nel pomeriggio del 5 ottobre, in Aula Paolo VI. (A cura di Isabella Piro)

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Lateranense accoglierà 20 studenti da Siria, Iraq, Eritrea

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Anche un ateneo può dar seguito all’appello di Papa Francesco per accogliere i migranti che fuggono dalla guerra e dalla fame. Con questo spirito, la Pontificia Università Lateranense – che si fregia proprio del titolo di “università del Papa” – firmerà il 19 luglio un protocollo d’intesa con il Ministero dell’Interno italiano, che ha come scopo l’accoglienza di 20 giovani studenti titolari di protezione internazionale. Il servizio di Alessandro Gisotti

Provengono dall’Iraq, dalla Siria, dall’Eritrea: sono 20 giovani che a causa della guerra e le persecuzioni nei loro Paesi hanno dovuto interrompere la loro formazione accademica ma ora, grazie ad un’intesa tra Lateranense e Viminale, potranno riprendere e portare a termine. Con questa iniziativa congiunta, si legge in un comunicato dell’ateneo, la Pontificia Università Lateranense e il Ministero dell’Interno, rispondendo anche agli appelli vibranti di Papa Francesco, “si impegnano a sostenere interamente questi giovani, affinché possano seguire uno dei percorsi curricolari previsti dalle singole Facoltà ed Istituti”.

Dal Covolo: pronti ad abbracciare questi giovani che fuggono dalla guerra
Il rettore della Lateranense, mons. Enrico dal Covolo, assieme alle autorità accademiche, al personale docente e non docente, incoraggia “ad aprire le porte dell’Università per fare un pezzo di strada con i giovani fratelli in fuga dall’inferno della guerra, delle persecuzioni e del terrorismo. Da noi, troveranno una casa e un libro, ma soprattutto l’abbraccio dei fratelli con cui condividere esperienze di studio e di vita, crescendo in umanità”.

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Nomina episcopale di Francesco nel Salvador

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Nel Salvador Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Chalatenango, presentata da Mons. Luis Morao Andreazza, O.F.M., per sopraggiunti limiti d'età. Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Chalatenango padre Oswaldo Estéfano Escobar Aguilar, O.C.D., finora presidente della Conferenza dei Religiosi di El Salvador (Confres).

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale di Anna Foa dal titolo "Le scelte che salvano il mondo": un giardino dei giusti a Tunisi.

Giovani con il cuore libero: il cardinale prefetto della Congregazione per il clero in Paraguay.

Lotario un Papa scrittore: Agostino Paravicini Bagliani sull'eredità di Innocenzo III a ottocento anni dalla morte.

Un mondo di solitudini: da Seoul, Cristian Martini Grimaldi sulle giovani coppie coreane al tempo dei social media.

Un articolo di Giovanni Cerro dal titolo "Il giocoliere di Maria": una leggenda medievale francese tra Anatole France e Albuino Luciani.

Senza croce non c'è gloria: dal settimanale spagnolo "Vida Nueva" l'intervista di José Beltran al nuovo segretario generale del Celam.

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Oggi in Primo Piano



Duro colpo all'Is: ucciso il capo militare Omar "il ceceno"

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Abu Omar al-Shishani conosciuto anche come “Omar il ceceno”, uno dei più temuti comandanti del sedicente Stato Islamico, e braccio destro del califfo Al Baghdadi, è rimasto ucciso a Mosul in Iraq. Ad annunciarlo è la stessa agenzia del Califfato, Amaq, che per la prima volta divulga una notizia simile. L’uccisione di Omar apre adesso nuovi scenari e possibili dure reazioni da parte dei jihadisti, che negli ultimi mesi hanno perso sempre più territori in Siria e in Iraq. Salvatore Tropea ha intervistato il prof. Alessandro Orsini, direttore del Centro per lo Studio del Terrorismo dell’Università di Roma Tor Vergata: 

R. – I leader delle organizzazioni terroristiche sono sempre stati uccisi, anche personaggi ben più importanti di Omar “Il ceceno”. Il punto è che, poi, sono stati sempre rimpiazzati! Lo stesso Bin Laden è stato ucciso nel maggio del 2011 ed è stato poi rimpiazzato da al-Zawahiri e al-Qaeda ha continuato a realizzare attentati terroristici. Quindi il fatto che sia stata uccisa una figura di spicco dello Stato Islamico non comporterà conseguenze troppo importanti sull’organizzazione dell’Is.

D. – Si temono reazioni da parte dello Stato Islamico?

R. – Non credo che ci sia una esigenza, da parte dello Stato Islamico, di realizzare un attentato vendicativo: lo Stato Islamico cerca di lavorare a spron battuto per colpire le città occidentali ed altre città del Medio Oriente, che sono direttamente coinvolte nella lotta contro lo Stato Islamico. Quindi non credo che ci sarà un’intensificazione di questa attività terroristica, perché lo sforzo è già massimo: diciamo che l’Is non può fare più di quello che sta facendo.

D. – Per la prima volta una notizia del genere è stata divulgata dallo stesso Stato Islamico…

R. – Questo è il modo di procedere tipico dello Stato Islamico e anche di al-Qaeda: si tratta, anzitutto, di un atteggiamento di rispetto verso i loro capi, per cui ogni volta che si verifica una uccisione rilasciano un comunicato per celebrare la sua memoria. Da questo punto di vista non vedo una novità particolare, perché è il tipico modo di procedere delle organizzazioni terroristiche che rendono così omaggio ai leader più ammirati.

D. – La sua uccisione può essere un preludio dell’offensiva irachena per strappare Mosul dalle mani dell’Is?

R. – Questa uccisione mostra quanto lo Stato Islamico sia vulnerabile nei suoi domini principali. Non dimentichiamo che Raqqa e Mosul sono le principali roccaforti rimaste nelle mani dello Stato Islamico ed è quindi un durissimo colpo all’immagine dell’Is: se un capo dello Stato Islamico può essere ucciso in una roccaforte come Mosul, questo vuol dire che l’Is è molto debole o comunque molto più debole di ciò che noi crediamo. Questo fa ben sperare per il futuro. D’altronde tutti sappiamo che lo Stato Islamico è ormai con l’acqua alla gola e l’unica ragione per cui Mosul e Raqqa non sono ancora state liberate è una ragione politica: le grandi potenze non si sono ancora messe d’accordo per la spartizione della Siria per quanto riguarda Raqqa e soprattutto per il futuro dell’Iraq. Quindi, io direi che il problema dello Stato Islamico non è un problema militare, perché l’Is sotto il profilo militare rappresenta un fenomeno pressoché irrilevante, ma è un problema politico: soltanto quando le grandi potenze si saranno messe d’accordo sul futuro di quel pezzo del Medio Oriente, che comprende appunto l’Iraq e la Siria, lo Stato Islamico sarà spazzato via. D’altronde questo è il destino che spetta tutti i leader delle organizzazioni terroristiche.

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Regno Unito: si completa governo, prevalgono i pro Brexit

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Nessuna difficoltà economica per ora dalla Brexit: la Banca d’Inghilterra lascia invariati i tassi d’interesse al minimo storico dello 0,50 per cento, mettendo a tacere le voci più negative del dopo referendum. Intanto la neo premier britannica, Theresa May, completa l’esecutivo in linea con gli obiettivi di unità, giustizia sociale e leadership internazionale. Tre donne guideranno i dicasteri dell'Interno, della Giustizia e dell' Istruzione e le nomine più importanti vanno ad euroscettici come il conservatore David Davis che guiderà la Brexit insieme al neo ministro degli Esteri, Boris Johnson, ex sindaco di Londra. “Scelte mirate”, commenta al microfono di Gabriella Ceraso, Antonio Varsori docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università di Padova: 

R. – All’interno del governo, almeno per i nomi che sono stati fatti ora, ci sono sia sostenitori dell’uscita sia del “remain”. C’è, quindi, un equilibrio, perché Theresa May era moderatamente favorevole al “Remain”. Tuttavia, non è un caso che il ministero degli Affari Esteri, e questo che viene indicato come un Dicastero per la gestione dell’uscita dall’Unione europea, siano stati affidati a due persone che si erano dichiarate favorevoli all’uscita.

D. – Significa che Theresa May fa sul serio e che non lascerà niente al caso?

R. – La mia impressione è che si voglia condurre un negoziato non breve: questo è probabile. Sarà un negoziato abbastanza complicato, ed è stato affidato a due persone che all’interno del Partito conservatore hanno un ruolo non secondario.

D. – Politica economica: non c’è più George Osborne che aveva previsto scenari pessimi per la Brexit, ma c’è Philip Hammond – lui euroscettico – che addirittura oggi esclude che ci sia bisogno anche di una manovra economica di urgenza per far fronte alla Brexit. Quali sono le prospettive?

R. – Da un lato, dare delle risposte a quell’elettorato che ha votato a favore della Brexit, gli esclusi da un certo ciclo economico. Per quanto riguarda invece le scelte economiche che hanno ricadute sulla posizione economica internazionale della Gran Bretagna, non si vedono conseguenze gravissime. Si tratterà poi di vedere appunto nel medio e lungo periodo.

D. – Quale invece l’atteggiamento del ministro degli Interni, Amber Rudd – una donna – che avrà a che fare con le spinte indipendentistiche di Scozia e Galles?

R. – Probabilmente, anche in questo caso il tentativo sarà quello di avviare un negoziato e fare delle ulteriori concessioni in termini di autonomia alla Scozia, puntando però al mantenimento del legame forte e tradizionale. Le separazioni sono sempre molto pericolose e dolorose, e credo che un po’ tutti cercheranno di trovare delle soluzioni di compromesso.

D. – Tanti hanno fatto il paragone tra Theresa May e Margaret Thatcher, almeno all’inizio. Come squadra di governo che le sembra?

R. – Ai tempi di Margaret Thatcher, in realtà, la squadra di governo era lei, e devo dire, molto spesso, i ministri cambiavano a seconda delle sue opinioni. Non mi pare che Theresa May abbia la stessa posizione e lo stesso ruolo. Il suo è un governo che deve restare in qualche modo unito. L’unico terreno su cui c’è un paragone, è che si tratta certamente di due personalità forti e volitive, però mi pare che siano due situazioni completamente diverse.

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Venezuela: senza aiuti internazionali il Paese è al collasso

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In Venezuela continua lo stato di emergenza dichiarato dal Presidente Nicolas Maduro. La crisi economica, sociale e istituzionale ha portato più di 35 mila venezuelani ad attraversare il confine con la Colombia. Maduro respinge gli aiuti internazionali e diventa sempre più difficile trovare cibo e medicine. Nel Paese aumentano le proteste e i saccheggi dei negozi di alimentari. Gioia Tagliente ha intervistato Domenico Fracchiolla, vice direttore del laboratorio di analisi politica e sociale Luiss-Laps:  

R. – La situazione è gravissima; urge un intervento della comunità internazionale. Gli aiuti internazionali sono pronti e potrebbero arrivare nel Paese, ma la deriva che ha preso il Venezuela dagli anni di Chavez confermata da Maduro, senza avere le qualità di Chavez, impedisce al Venezuela di ricevere questi aiuti, in questa lotta ideologica che il Paese porta avanti in modo suicida.

D. – Maduro ha respinto, appunto, gli aiuti esterni: qual è la strategia?

R. – Una strategia fallimentare. Il Venezuela, negli anni della rivoluzione di Chavez, voleva diventare l’avanguardia di un nuovo modo di intendere l’economia. Ci siamo trovati di fronte ad un disastro, ad un fallimento umanitario che ha coinvolto tutta la popolazione.

D. – I vescovi locali dicono che la democrazia nel Paese è incrinata: è vero o no?

R. – La democrazia nel Paese è incrinata da tempo, per la verità, ma vi erano degli elementi che lasciavano ben sperare o, comunque, che davano un riferimento quantomeno alle dinamiche di una democrazia elettorale. Noi ci troviamo in Venezuela, in un Paese nel quale l’Assemblea nazionale è contraria alle posizioni del Presidente, e il Presidente Maduro non è riuscito a pensare a nulla di meglio che vedere la possibilità di sciogliere l’Assemblea nazionale. Abbiamo, quindi, delle chiare ed evidenti derive autoritarie, che già esistevano, ma che adesso si fanno ancora più insistenti e ancora più preoccupanti. Da un lato, quindi, il fallimento economico e sociale, perché si tratta anche di un fallimento sociale, della alternativa della rivoluzione bolivariana e, dall’altra parte, accompagnata a questo fallimento, la perdita del consenso e la necessità del regime di mostrare il suo lato più violento, il suo lato più forte e, quindi, far venir meno anche quelle che erano delle libertà, dei riferimenti ad un pluralismo limitato, che pure sopravvivevano nel Paese ed erano un barlume di speranza, torno a dire, per un ripristino della democrazia. Questo non è avvenuto. Consideriamo che in questa situazione di estrema crisi, che è una crisi prettamente economica, il Venezuela ha deciso di dare poteri straordinari al ministro della Difesa, per gestire anche ambiti che sono prettamente economici per la distribuzione dei beni. D’altra parte, se le compagnie internazionali, le multinazionali nei diversi settori – dal settore aereo alla Coca Cola, che ha deciso di chiudere i suoi stabilimenti perché manca lo zucchero, alle banche che stanno tutte abbandonando il Venezuela - ebbene un Paese autarchico, nella attuale comunità internazionale, è impensabile. E questo fa male, perché il Venezuela è un Paese ricco di risorse naturali ed è un Paese che vede tradita quella che era la rivoluzione di Chavez. Chavez prende il potere, promettendo di trasformare questo rapporto di dipendenza dalle esportazioni che aveva il Venezuela, che diventava dipendenza politica, essenzialmente dagli Stati Uniti e dal mondo occidentale. Ebbene, se le esportazioni di petrolio, all’inizio del periodo di Chavez, rappresentavano l’85% delle esportazioni del Paese - e sono quindi il segmento fondamentale del Paese - oggi siamo al 95%. Caduto, dunque, il prezzo del petrolio, il Venezuela è stato messo in ginocchio. 

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Ucraina: Donbas senza pace. Prosegue conflitto tra Kiev e separatisti

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"Il numero delle vittime" del conflitto nel Donbass "tra la popolazione civile sta crescendo”. E’ la denuncia lanciata dal rappresentante speciale dell'Osce in Ucraina, Martin Sajdik, dopo un incontro del Gruppo di Contatto a Minsk. E la guerra, definita a bassa intensità, nell’est dell’Ucraina sarà tra i temi dell’incontro di questa sera a Mosca tra il Segretario di Stato Usa Kerry e il Presidente russo Putin. Marco Guerra: 

Nei territori del Donbas non passa giorno senza che si registrino vittime. Solo nelle ultime 24 ore sono stati uccisi un civile e un soldato ucraino, almeno sei i feriti. La perdita di vite umane è dovuta a scontri tra l’esercito regolare ucraino e le milizie di separatisti filo-russi, ma anche a colpi di artiglieria pesante su obbiettivi civili.  Alta anche l’attenzione della diplomazia internazionale sulla crisi ucraina. Ieri la telefonata tra Putin, Holland e Merkel e il consiglio Nato-Russia a Bruxelles. Putin di nuovo impegnato stasera a Mosca il Segretario di stato Usa Kerry. Per un’analisi sentiamo Danilo Elia dell’Osservatorio Balcani e Caucaso: 

R. – Possiamo dire che la guerra nel Donbass non è mai finita; si è trasformata in un conflitto  a bassa intensità all’indomani degli accordi di pace di ormai un anno e mezzo fa, sicuramente con cicli di alti e bassi, ogni volta che le tregue venivano violate con più veemenza e rinnovate. Ma parliamo di una zona di guerra, parliamo di un territorio in cui si continua a sparare quotidianamente, anche con armi pesanti, anche con artiglieria vietata nella fascia demilitarizzata, stando agli accordi di pace stessi - gli osservatori dell’Osce, quasi quotidianamente, rilevano l’utilizzo appunto di artiglieria pesante o anche di lanciamissili multipli - e, soprattutto, tristemente, è un conflitto che ci fa leggere ogni giorno bollettini di morte, di vittime tra i militari, ma anche tra i civili, fortunatamente – verrebbe da dire – non con i numeri più elevati di un anno e mezzo fa, di due anni fa, ma pur sempre con uno stillicidio quotidiano.

D. – Dove si continua a combattere e quali sono gli schieramenti che continuano a contrapporsi?

R. – I combattimenti avvengono, da quello che ci è dato sapere, lungo un po’ tutta la cosiddetta linea di contatto o linea di fruizione, che altro non è che il confine di fatto tracciato dagli accordi di pace tra le zone, le aree del Donbass dell’Est, sotto il controllo delle truppe governative di Kiev e, dall’altra parte, le cosiddette repubbliche di Donetsk e Lugansk, i territori che hanno proclamato la loro indipendenza da Kiev. A scontrarsi sul campo sono: da un lato, le forze ormai regolari di Kiev, perché anche tutti i battaglioni volontari che hanno combattuto la guerra fin dall’inizio sono stati incorporati nella struttura delle forze armate e potremmo dire regolarizzati; dall’altra parte ci sono le milizie separatiste, supportate nelle loro spinte separatiste dalla Russia che, del resto, non a caso, è partner nei negoziati di pace.

D. – Di Ucraina si è parlato anche al vertice Nato di Varsavia e si parlerà stasera nell’incontro tra il Segretario di Stato Usa, Kerry, e Putin. A livello politico, geopolitico, qual è la situazione, il clima?

R. – La situazione politica oggi si trova un po’ ad un punto di stallo, forse anche a causa degli stessi accordi di pace di Minsk 2, che se è vero che fino ad oggi hanno individuato un percorso di pace nell’Est del Donbass, allo stesso tempo stanno portando più verso un vicolo cieco. Alcuni degli accordi, infatti, prevedono delle azioni da parte di Kiev, in particolare la modifica della Costituzione in senso autonomistico per l’Est e l’indizione di elezioni nelle aree sotto il controllo dei separatisti, punti che sono elementi intanto per la politica interna ucraina. Ci troviamo in una situazione di stallo in cui, ad ogni incontro internazionale, gli attori in campo, le forze occidentali, i leader dei Paesi del formato Normandia - ma al Summit di Varsavia della Nato c’era anche Renzi per l’Italia - spingono perché l’Ucraina faccia dei passi e delle concessioni ai separatisti. In estrema sintesi, la comunità internazionale e gli accordi di Minsk chiedono a Kiev di normalizzare la situazione del Donbass. Come? Creando delle istituzioni legittime attraverso delle elezioni regolari, che dovrebbero essere organizzate da Kiev, quindi secondo leggi ucraine, ma questo si scontra contro, da un lato, i separatisti stessi, che non ne vogliono sentir parlare e, dall’altra parte, le difficoltà oggettive. Secondo la legge ucraina, infatti, dovrebbero competere nelle circoscrizioni elettorali dell’Est anche le forze politiche ucraine, se tu pensi a quelle nazionaliste, cosa che è assolutamente impensabile per i separatisti.

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4 milioni e 600 mila poveri in Italia. Caritas: fare di più

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E’ ancora emergenza povertà in Italia. Secondo l’Istat, nel 2015 le famiglie in questa condizione erano più di un milione e mezzo, gli individui quasi 4 milioni e seicento mila. In aumento al Nord, in particolare per gli stranieri, l’indigenza colpisce chi vive in città e gli anziani. Alessandro Guarasci

L’Italia si riscopre più povera di quanto potesse pensare. L'incidenza della povertà assoluta si mantiene stabile negli ultimi tre anni per le famiglie; cresce invece se misurata in termini di persone (7,6% della popolazione residente nel 2015, 6,8% nel 2014). Questo perché riguarda le famiglie più numerose, quelle con almeno quattro figli, con un'incidenza di circa il 9,5% lo scorso anno. E quello che preoccupa di più è il fatto che colpisca quasi l’11% dei giovani sotto i 17 anni. Il governo, con il Sia (Sostegno all’inclusione attiva), lo scorso anno ha stanziato fondi per la lotta all’indigenza che arriveranno a un miliardo in tre anni. Un primo passo per Francesco Marsico, direttore aria nazionale Caritas:

"Sperare che l’avvio del Sia 2016 definisca la modalità per cui tutto questo possa essere realizzato nei prossimi anni. Però c’è evidentemente un problema: la Legge di Stabilità 2017 non potrà prevedere il miliardo che ha messo già in campo nella scorsa Legge di Stabilità. Bisogna fare un intervento deciso: solo così avremo un dato diverso il prossimo luglio".

Spesso, le forze le poliche si confrontano di più sulle pensioni o su come tentare di far ripartire il lavoro, dice Marsico:

"La sensazione è che l’idea di una ripresa, come obiettivo principale, che possa sviluppare un flusso positivo sul mercato del lavoro, sia l’idea prevalente del governo. Purtroppo pensare di risolvere la povertà soltanto con questo è evidentemente insufficiente e soprattutto sbaglia target di riferimento. Quindi, forse, non c’è una sottovalutazione, ma c’è stata una priorità che è stata data – comprensibilmente – al mercato del lavoro, ma ovviamente così il dato di povertà rimarrà nelle dimensioni in cui lo abbiamo vito quest’anno". 

Ci sono anche quattro milioni di italiani che non possono permettersi i farmaci. Paolo Gradnik, presidente del Banco Farmaceutico che oggi ha presentato il suo bilancio:

"Il Sistema Sanitario Nazionale, per quanto riguarda i farmaci, riesce a coprire poco più della metà della spesa farmaceutica globale dell’Italia. Secondo: c’è da dire che, specialmente negli ultimi anni, anche la barriera dei ticket comincia a costituire per alcune fasce di popolazione una barriera all’accesso del farmaco". 

Per questo il Banco ha organizzato la Giornata del Farmaco, raccogliendo in 16 anni circa 4 milioni e 100 mila medicinali.

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Prostituzione: proposta legge con multe e carcere per i clienti

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E’ stata presentata ieri alla Camera dei deputati la proposta di legge sull'introduzione di sanzioni per chi si avvale delle prestazioni sessuali di soggetti che esercitano la prostituzione. In Italia sono 9 milioni i clienti, con un giro d'affari di 90 milioni di euro al mese. La proposta è frutto di due anni di lavoro in stretta collaborazione con il mondo dell'associazionismo, in primis con la Comunità Papa Giovanni XXIII, e ha già trovato ampio e trasversale consenso tra diversi schieramenti politici. Antonella Palermo ha chiesto all'on. Caterina Bini, prima firmataria, di illustrarne i dettagli: 

R. – La proposta di legge ha contenuti molto semplici, perché è un solo articolo ed è una modifica all’attuale legge, la cosiddetta Legge Merlin, che prevede l’introduzione di sanzioni per il cliente e quindi non per le ragazze. E questo perché la donna che va sulla strada – nel 90 per cento dei casi – è una donna schiavizzata, costretta a prostituirsi, spesso minorenne, che subisce e che quindi è una vittima della situazione. Anche nei casi in cui decide di farlo liberalmente, spesso e volentieri lo fa perché è in condizioni di povertà o perché ha altri tipi di problematiche. Si cerca allora di lavorare non sull’offerta, ma sulla domanda: diminuendo la domanda, ovviamente calerà anche l’offerta.

D. – Quali sono, dunque, le pene previste?

R. – Pecuniarie: per la prima volta si va da pene dai 2.500 a 10 mila euro; con la reiterazione del reato, vengono innalzate e diventano anche pene di reclusione.

D. – Ci sono modelli in altri Stati, in cui questa ratio si è già mostrata vincente?

R. – Abbiamo visto che nei Paesi nordici, dove questo modello è già stato sperimentato – recentemente è stato introdotto anche in Francia – riduce tantissimo la prostituzione: in Svezia, che è stato il primo Paese ad adottare questo modello, è stata ridotta dell’80 per cento. Tra l’altro abbiamo visto che anche i modelli sviluppati in altri Paesi – penso a quello più conosciuto, quello olandese - quando appunto la prostituzione è legalizzata non hanno portato ad ottenere quei risultati che si immaginavano. La ratio, in quel caso, era quello che almeno si pagassero le tasse allo Stato… In realtà questo poi non avviene comunque e il fenomeno cresce a dismisura e gli sfruttatori ci sono in larga parte. Da questo punto di vista - ed è importantissimo - il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che invita tutti i Paesi membri a dotarsi del modello dei Paesi nordici nel rispetto della persona umana e quindi anche della tutela della donna, che è quello assolutamente più consigliato. 

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Nasce portale Lgbt. Gambino: ma istituzioni sono la casa di tutti

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Arriva il portale nazionale delle associazioni Lgbt. L’iniziativa è del Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio attraverso l’Unar, Ufficio anti discriminazioni razziali. La creazione e l’organizzazione è stata affidata all’Amministrazione Comunale di Torino e ci si è avvalsi della rete Ready e di un Gruppo nazionale di lavoro, composto da rappresentanti di 29 Associazioni Lgbt. Vi è anche un Comitato scientifico. Debora Donnini ha chiesto un commento al direttore di Scienza e Vita, Alberto Gambino: 

R. – Il portale è uno strumento informativo ad oggi molto discusso, perché sullo sfondo c’è un intento culturale che non sembra essere stato condiviso pienamente da tutte le componenti della società italiana. È comunque uno strumento informativo che riguarda la non discriminazione, anche legata alla diversità sessuale.

D. – Come presidente dell’Associazione “Scienza e Vita”, cosa pensate di questo portale?

R. – Il portale nasce da un provvedimento europeo – una Raccomandazione del Consiglio d’Europa – che non ha nessuna forza cogente: non è un organismo dell’Unione Europea, ma è un accordo tra Stati che ha l’intento di rimuovere le discriminazioni. Se il portale è aperto al pluralismo, al confronto, e veramente a una definizione di uno stigma discriminatorio che va rimosso, ben venga. Se, viceversa, esso rimane nell’ambito di un’uniformità culturale a senso unico, allora suscita molte perplessità.

D. – Secondo quanto vi si legge, il portale “non si fa portavoce di un orientamento culturale di settore”. Vuole invece essere uno strumento “pluralistico”, nella convinzione che “il confronto delle idee di tutti”, rappresenti il migliore strumento per contrastare ogni forma di discriminazione...

R. – Questo è corretto. Bisogna tenere presente che – appunto – il portale è uno strumento informativo. Quindi, chi lo gestisce e lo governa, lo fa anche attraverso le proprie idee. È importante che qui non vi sia soltanto un’idea di fondo, ma una pluralità, anche nell’ambito di chi gestisce e governa il portale. Se questo è un segnale di apertura e di disponibilità, davvero ben venga. Vorrei aggiungere che, siccome sullo sfondo c’è il tema dell’identità di genere, bisogna ricordare che questo è un tema non affatto collaudato e definito - sono ipotesi che fanno alcuni studi, peraltro talvolta non affidabili - e quindi, quando si muove l’istituzione e il dipartimento governativo, bisogna fare molta attenzione, perché le istituzioni sono la casa di tutti e come tali devono tener presente tutte le sensibilità del popolo italiano.

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Riapre al pubblico il Carcere Mamertino, prigione di Pietro e Paolo

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Riapre il Carcere Mamertino, dove, secondo la tradizione sono stati imprigionati i Santi Pietro e Paolo. Le operazioni di scavo e conservazione hanno dato alla luce molti reperti, ora sistemati nel nuovo Museo multimediale che, dal 21 luglio, accoglierà i visitatori. Il progetto, coordinato dall’Opera Romana Pellegrinaggi, è stato presentato in anteprima alla presenza di autorità ecclesiastiche e civili. Il servizio di Eugenio Murrali

La storia del dolore e della devozione si incontrano nel Carcer-Tullianum o Carcere Mamertino, che torna visitabile dopo un anno di lavori. La campagna di scavi ha messo in risalto l’antichità dell’area e un culto arcaico dell’acqua e della pietra che attraversa la cultura romana e arriva a quella cristiana. Nel Tullianum è infatti possibile vedere un foro sul suolo che lascia risalire l’acqua di falda sottostante. E con l’acqua, proprio in questa prigione romana, i Santi Pietro e Paolo avrebbero battezzato i loro carcerieri e i compagni di cella. Osserva il cardinale vicario Agostino Vallini:  

“Qui noi ci troviamo in un luogo dove la storia civile dell’antica Roma e la storia del cristianesimo hanno fatto sì che maturasse la coscienza universale del patrimonio romano a servizio del mondo”.

L’intervento ha previsto la rimozione di una scala moderna e uno studio stratigrafico ricco di sorprese. L’imponente operazione è stata possibile grazie a mecenati e all’accordo tra differenti attori, come nota il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini:  

“E’ il frutto di una collaborazione istituzionale importante tra l’Opera Romana Pellegrinaggi, il Ministero, il Comune, che è davvero quello che dovremmo fare. Insomma, lavorando insieme si possono davvero fare tutte le valorizzazioni, si possono superare i confini delle diverse proprietà e restituire al mondo un luogo straordinario come questo”. 

L'importante riapertura, durante l’anno del Giubileo Straordinario della Misericordia, si arricchisce di significati religiosi anche grazie ai ritrovamenti archeologici, tra cui quello di un’immagine della Madonna della Misericordia risalente al XIII secolo. Spiega il vicepresidente dell’Opera Romana Pellegrinaggi, mons. Liberio Andreatta:   

“Avvaloriamo la tesi, che da sempre la pietà popolare aveva in qualche modo proposto alla cristianità, che qui Pietro è stato carcerato. Ne abbiamo trovato i segni, ne abbiamo trovato i resti della pietà popolare, che da sempre, in tutti i secoli, si è espressa in questo luogo, dal V-VI secolo d.C. fino a oggi. Nel recuperare una serie di affreschi abbiamo trovato la più antica immagine della Madonna della Misericordia, una straordinaria immagine della Madonna con un manto rosso che copre i fedeli”.

Gli studi hanno inoltre chiarito che il Carcer era parte integrante del nucleo politico del foro Romano. L’archeologa Patrizia Fortini, principale coordinatrice scientifica del progetto, entra nel merito delle scoperte che la campagna di scavi ha riservato:

“Penso a ogni elemento archeologico che è emerso, dal ritrovamento degli scheletri inumati del IX secolo a.C., alla documentazione del VI secolo relativa alle mura, o alla stessa documentazione alto medievale relativa alla Chiesa. Noi non immaginavamo di poter riuscire a trovare questi elementi scientifici così importanti, con la disponibilità di fare uno scavo stratigrafico abbastanza limitato, perché le parti intatte erano pochissime. Noi abbiamo avuto modo, togliendo la scala moderna, di recuperare tutti i dati per quanto riguarda il monumento, soprattutto il Tullianum, l'ambiente inferiore in età alto medievale. E quella ci ha illuminato, perché ci ha fatto praticamente contestualizzare gli affreschi che, soltanto per quanto riguarda l’elemento storico e artistico, avevamo datato tra l’XI e il XIII sec. Abbiamo trovato i resti archeologici, gli oggetti che sono sicuramente relativi a una Chiesa - bicchieri, calici probabilmente per le funzioni - che si datano in quel periodo. Quindi questo ha convalidato i dati indiretti. Abbiamo, dunque, raccolto tutta una serie di dati storico-archeologici che ci aiutano a comprendere la funzione di questo monumento che anche se noto da sempre era comunque sconosciuto. La stessa identificazione fino al 1980 non era condivisa: nessuno sapeva che questo fosse il Carcer-Tullianum, era un’ipotesi del prof. Coarelli, che si è dimostrata giusta”.

Grazie all’accordo tra le istituzioni il 21 luglio, insieme al sito, verrà aperto un nuovo strategico ingresso ai Fori romani. È anche previsto un biglietto integrato che permetterà al visitatore l’accesso alle due aree archeologiche. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Filippine: grati a Dio per sentenza sul Mar cinese meridionale

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"Abbiamo accolto la la decisione della Corte con favore e con gratitudine a Dio. Chiediamo a tutti di essere magnanimi e non vantarsi, ma assumerla con sobrietà e umiltà": con questo spirito il vescovo di Balanga Ruperto Santos, presidente della Commissione episcopale per la cura pastorale di migranti e itineranti, commenta la sentenza favorevole alle Filippine nella contesa esistente con la Cina per la giurisdizione nel mare cinese meridionale.

L'episcopato invita a commentare la sentenza con sobrietà
Il vescovo - riporta l'agenzia Fides - ha esortato specialmente i lavoratori filippini che vivono in Cina a "evitare di impegnarsi in dibattiti sulla sentenza, per la loro sicurezza", raccomandando loro di "continuare nel loro lavoro, con senso di responsabilità, rispettosi e tranquilli" . Il vescovo ha anche chiesto di non a formare gruppi e parlare della decisione sui social media.

Una "oratio imperata" per cercare una soluzione pacifica alla vicenda
Nei mesi scorsi la Conferenza episcopale aveva invitato tutti i fedeli filippini ad avviare una "oratio imperata" per cercare una soluzione pacifica nella disputa territoriale tra Manila e Pechino. Nei giorni scorsi la Corte permanente di arbitrato dell'Aja ha dato ragione alle Filippine nella disputa che le oppone alla Cina sul controllo di scogli ed atolli strategici nel Mare cinese meridionale, affermando che la Cina non ha nessun titolo su quel tratto di mare e che ha violato i diritti sovrani delle Filippine. (P.A.)

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Vescovi Colombia: attività mineraria danneggia l'ambiente

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"Come pastori, abbiamo più volte alzato la nostra voce e attirato l'attenzione sugli effetti nocivi dello sfruttamento delle risorse naturali, in particolare la gestione irresponsabile delle miniere. Queste attività hanno portato gravi ripercussioni per l'ambiente, la dignità umana e la vita sociale nelle nostre comunità", afferma un comunicato ripreso dall'agenzia Fides e firmato dai 12 vescovi delle province ecclesiastiche colombiane di Medellín e Santa Fe de Antioquia.

I presuli chiedono misure adeguate contro il disastro ambientale e sociale
I vescovi hanno chiesto al governo colombiano, alle imprese nazionali ed internazionali e alla società civile, ad "agire con decisione per impedire l'estrazione meccanizzata, che con draghe e ruspe, continua a distruggere l'ambiente e la salute delle persone nel nostro Paese. Si dovrebbero attuare misure efficaci per fermare l'attuale disastro ambientale e sociale", sottolinea il comunicato. In questa area della Colombia, la Chiesa e le comunità rurali da tempo denunciano la forte deforestazione, per far posto a miniere a cielo aperto, e il danno provocato all'ambiente e alle persone dalla contaminazione da mercurio, usato nell’estrazione di oro e argento.

Denunciare la corruzione dei funzionari pubblici
​I vescovi sottolineano che, come parte della strategia contro l'estrazione illegale, occorre denunciare la corruzione di alcuni funzionari pubblici, rendere operativo le istituzioni dello Stato e contrastare l'azione dei gruppi armati illegali. "Allo stesso modo, nella prospettiva di post-accordo con le Farc, essi devono assicurare che questa guerriglia abbia l'obbligo di rinunciare definitivamente all'attività miniera irresponsabile" conclude il testo. (C.E.)

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Vescovi Sudafrica: appello per elezioni libere ed eque

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Il prossimo 3 agosto, il Sudafrica andrà alle urne per rinnovare gli organi locali. In vista della tornata elettorale, a fine giugno la Conferenza episcopale locale (Sacbc) ha chiesto alle testate giornalistiche di non diffondere notizie o immagini violente, legate alle proteste della popolazione, per non surriscaldare il clima politico, già notevolmente teso. In particolare, i presuli hanno posto il veto alla trasmissione di immagini in cui edifici di pubblica proprietà vengono dati alle fiamme. Di fronte a tale richiesta, l’Autorità di comunicazione indipendente del Sudafrica (Icasa) ha stabilito che i vescovi devono ritirare il loro divieto, in nome dell’interesse pubblico.

A rischio lo svolgimento di elezioni libere ed eque
Per questo, ora la Commissione episcopale Giustizia e pace si appella al Parlamento, affinché intervenga per dirimere la questione. In una nota, il presidente della Commissione, mons. Abel Gabuza, ha chiesto una riunione parlamentare urgente per discutere il caso, perché “è stata data l’impressione che la Sacbc non sappia comunicare in modo completo ed obiettivo su eventi che possono inficiare lo svolgimento di elezioni libere ed eque”. E questa è “una questione grave che richiede un intervento urgente dell’Assemblea nazionale”.

Ripristinare la fiducia della popolazione nel processo elettorale
Non solo: tale crisi informativa, sottolinea il presule, può provocare la sfiducia della popolazione nelle operazioni di voto. “La gente non si fiderà del risultato elettorale – si legge nella nota della Commissione – se la controversia relativa alla copertura mediatica dell’evento non verrà risolta”. È, quindi, “nell’interesse del bene comune” che tale fiducia “va ripristinata”.

Non coinvolgere i giovani in violenze faziose
​Da ricordare che già all’inizio di luglio la Commissione Giustizia e pace ha diffuso un comunicato per criticare l’insufficiente condanna, da parte dei politici locali, delle violenze che hanno macchiato la campagna elettorale. A metà giugno, infatti, almeno tre persone sono state uccise a Tshwane, nei pressi di Pretoria, in scontri scatenati dalla scelta di un candidato alle elezioni. In quell’occasione, mons. Gabuza definì tali episodi “violenze fazione”, puntando il dito contro i politici che spinti dalla “bramosia di potere”, “mobilitano i giovani, specie quelli senza lavoro, per impiegarli negli scontri pre-elettorali”. (I.P.)

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Appello Caritas: rispettare diritti migranti bloccati a Ventimiglia

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Rispettare la dignità umana ed i diritti fondamentali dei migranti bloccati a Ventimiglia: è il forte appello lanciato da Caritas Europa, in un comunicato congiunto diffuso insieme agli omologhi organismi in Italia e Francia. “I migranti – si legge – sono in gran parte sudanesi, eritrei ed etiopi. Sono arrivati dalla Sicilia a Ventimiglia con la speranza di continuare il loro viaggio verso il Nord Europa”. E invece “sono stati bloccati al confine tra Italia e Francia, dove non hanno accesso ad alcun tipo di servizio o ad eventuali Centri di accoglienza adeguati”, finendo “esausti”.

Situazione disastrosa, occorre azione immediata
Per questo, la Caritas locale, insieme ad altre organizzazioni sia cristiane che musulmane, sta distribuendo “cibo, kit per l’igiene ed abiti” per rispondere “ai bisogni fondamentali dei migranti e garantire il rispetto della loro dignità”. Ma, prosegue la nota congiunta, “la situazione rimane disastrosa e richiede un’azione immediata”. Di qui, l’esortazione rivolta dalle Caritas di Europa, Italia e Francia all’Unione Europea ed alle autorità di Roma e Parigi affinché “provvedano ai bisogni fondamentali dei migranti, compresi quelli in transito, senza ricorrere alla detenzione arbitraria o all’arresto”.

Solidarietà e condivisione di responsabilità
Gli Stati membri dell’Ue vengono, inoltre, invitati alla “solidarietà” ed alla “condivisione di responsabilità” nell’ottica di “concordare una risposta comune alla situazione”. Non solo: le tre Caritas chiedono di “dare la priorità alla tutela delle persone, con particolare attenzione a donne e bambini, piuttosto che alla protezione delle frontiere”. Infine, si lancia un appello all’apertura di “percorsi più sicuri e legali per raggiungere l’Europa”. (I.P.)

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Palestina: Abu Mazen conferisce onorificenza a Patriarca Twal

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A pochi giorni dalla fine della sua missione alla guida del Patriarcato Latino di Gerusalemme, il Patriarca emerito Fouad Twal è stato insignito dal Presidente palestinese Abu Mazen della “Medaglia di Gerusalemme”. Al conferimento dell'onorificenza, avvenuto martedì scorso a Ramallah, presso la sede presidenziale palestinese - riferisce l'agenzia Fides - hanno preso parte anche alcuni rappresentanti dello staff presidenziale, compreso il dottor Majdi al Khaldi, consigliere del Presidente Abu Mazen per le relazioni con le Chiese e le comunità cristiane. La Medaglia - spiegano fonti palestinesi – è stata conferita in segno di riconoscenza “per la guida spirituale esercitata dal Patriarca e per il servizio eccezionale da lui offerto al popolo palestinese e alla Chiesa cattolica in Palestina”.

L'eredità che lascia nelle mani del nuovo Amministratore apostolico
Lo scorso 24 giugno Papa Francesco ha accolto le dimissioni presentate dal Patriarca Twal per raggiunti limiti di età. Al suo posto, come amministratore apostolico sede vacante, è stato nominato padre Pierbattista Pizzaballa. In un'intervista pubblicata sul sito del Patriarcato latino di Gerusalemme, il Patriarca Twal si è soffermato sull'eredità che lascia nelle mani del nuovo Amministratore apostolico, notando che tra i punti di forza per padre Pizzaballa “c’è il fatto di aver servito per 12 anni come Custode di Terra Santa e di essere stato il vicario del Patriarca latino per la comunità cristiana di lingua ebraica”, e riconoscendo che a questi elementi positivi si affianca "il problema della lingua araba, della mentalità orientale e di tutta l’attività pastorale (…). Sarà sicuramente più facile per lui porre rimedio alle debolezze dell’amministrazione" ha detto tra l'altro il Patriarca Twal "che gestire la cura pastorale dei fedeli arabi. Ma è anche vero che i fedeli stranieri del Patriarcato latino ora sono più numerosi dei cristiani arabi locali”. (G.V.) 

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Portavoce Cei: grazie a padre Lombardi, comunicatore per unire

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"L’avvicendamento alla guida della Sala Stampa della Santa Sede - scrive il direttore dell'Ufficio Comunicazioni Sociali della Cei, don Ivan Maffeis - insegna anche sotto il profilo della modalità un passaggio di testimone nel segno della cordialità". L’augurio di buon lavoro al nuovo direttore, dott. Greg Burke, e alla vice, Paloma García Ovejero, scrive in una newsletter settimanale, si unisce al "ringraziamento del nostro Ufficio per la sapiente disponibilità di padre Federico Lombardi". Nel salutarlo, soggiunge don Maffeis, "tornano le dieci parole nelle quali – in occasione del conferimento del Dottorato honoris causa alla Salesiana – consegnava il “segreto” del suo comunicare".

Lombardi, comunicatore sempre a servizio della Chiesa e del Papa
Le riassumo, afferma il portavoce della Cei, nelle righe che seguono. Comunicare per unire. Capire e conservare il valore della varietà delle culture. Non dimenticarsi dei poveri. Resistere in qualunque situazione, forti di una coscienza a posto e del cercare verità. Sentirsi a servizio della Chiesa e del Papa. Amare la persona, così da poterne capire e comunicare il messaggio. Essere pronti, in solidarietà con la Chiesa, a pagare il prezzo spesso doloroso della crescita nella verità. Considerare normale dover rendere conto delle questioni amministrative e giudiziarie delle nostre istituzioni". E ancora, "vivere e custodire la natura specifica dell’essere Chiesa in cammino. Alimentarsi di spirito di amore e di fede, per non limitarsi a descrivere vicende esteriori senza capirne il significato, né poter aiutare altri a capire". (A.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 196

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.