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Sommario del 16/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



P. Subocz, Caritas Polonia: Francesco vuole Gmg attenta a chi soffre

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Abbiamo bisogno “dell’energia, della passione e dell’impegno dei giovani” perché si “trasformi in amore che serve per trasformare l’umanità”. E’ quanto afferma il cardinale Luis Antonio Tagle, presidente di Caritas Internationalis in un video rivolto ai giovani che si apprestano a recarsi a Cracovia per la Gmg, che giovedì 28 luglio accoglierà Papa Francesco. Il cardinale Tagle incontrerà i giovani di tutto il mondo il 27 luglio assieme a rappresentanti della Caritas di sette regioni diverse, tra cui Libano e Iraq. Su questa presenza di Caritas alla Gmg, Alessandro Gisotti ha intervistato il direttore di Caritas Polonia, padre Marian Subocz

R. – La Gmg a Cracovia con Papa Francesco è la festa della Misericordia. Siamo proprio nell’Anno della misericordia e per questo per me è molto importante che la Caritas sia presente. Questi giovani che vengono nelle diverse diocesi della Polonia hanno la possibilità di vedere come lavorano le Caritas diocesane, come lavorano quelle parrocchiali e avranno la possibilità di vedere le opere che facciamo. Un’altra cosa importante secondo me è la presenza del presidente della Caritas Internationalis, il cardinale Tagle, che incontrerà i giovani dei diversi Paesi. Noi daremo la testimonianza dei diversi volontari provenienti dai Paesi, dai diversi continenti. Se viene la gioventù c’è sempre la gioia, c’è sempre la misericordia.

D. - Quali frutti pensa che Caritas potrà far nascere tra i giovani che saranno a Cracovia? Ovviamente tra i giovani polacchi ma non solo, tra quelli che poi torneranno a casa …

R. - Prima di tutto tra i frutti troviamo la testimonianza dei giovani che forse sarà anche di ispirazione per gli altri che non sono ancora impegnati nel lavoro caritativo; darà forza alla comunità, la solidarietà con le persone bisognose. Possono anche partecipare ad offerte che porteremo poi al Santo Padre, come ad esempio la clinica mobile per i rifugiati che andrà in Libano o in Siria. I frutti saranno prima di tutto di carattere spirituale: crescerà la fede, la disponibilità verso gli altri. Ciò che mi sembra molto importante è che sarà anche una forza che spingerà i giovani in avanti. Loro impareranno dagli altri tante, tante belle cose. Anche l’amore porterà sicuramente dei frutti visibili nei loro Paesi.

D. - La Polonia è vicina all’Ucraina un Paese che soffre per la violenza, per la guerra. Ci sono iniziative anche durante la Gmg per i popoli, per i giovani che soffrono?

R. - Prima di tutto, noi come Caritas polacca siamo presenti dall’inizio della guerra in Ucraina. Appoggiamo le Caritas ucraine perché c’è ne sono due: quella dei cattolici di rito latino e quella dei greco-cattolici. Abbiamo fatto un progetto dalla famiglia polacca per la famiglia ucraina. Forniamo quasi novemila pacchetti per gli ucraini nei diversi luoghi, nelle diverse città. Poi anche la Caritas partecipa alla raccolta fondi per aiutare coloro che non sono in grado di pagare il biglietto per partecipare a questa grande festa con Papa Francesco. Ci sono tanti progetti: aiutiamo i giovani, i bambini, le persone anziane … Per realizzare tutti questi progetti per gli ucraini, la Caritas polacca ha messo a disposizione quasi un milione di euro. Questo incontro mi sembra possa dare forza agli ucraini che stanno attraversando un periodo di sofferenza. La loro fede sarà rafforzata dalla fede dall’esempio, dall’aiuto e dall’appoggio degli altri.

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Nomine di Papa Francesco

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Francesco ha accolto la rinuncia, presentata per raggiunti limiti d’età, all’incarico di Segretario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica di Mons. Frans Daneels. Il Papa ha nominato Segretario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con decorrenza primo settembre 2016, Mons. Giuseppe Sciacca, finora Segretario Aggiunto del medesimo Supremo Tribunale.

Il Santo Padre ha nominato il card. Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Suo Inviato Speciale al Congresso Eucaristico Nazionale d’Italia, che sarà celebrato a Genova dal 15 al 18 settembre 2016.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Dopo il massacro di Nizza, in prima pagina, un editoriale di di Zouhir Louassini dal titolo "Strategia dell'odio". 

A proposito di Harry potter: uno stralcio dal libro "La realtà dell'orco" di Silvana De Mari e l'intervista di Silvia Guidi all'autrice.

Il libro di Vicente Carcel Ortì sull'anno più tragico: dalla Seconda Repubblica alla guerra civile spagnola.

L'universo in una pennellata: Rossella Fabiani sulle antiche porcellane dal Museo di Shangai a Palazzo Venezia.

Dalla divisione alla condivisione: pubblicati gli atti del convegno sulla "Deus caritas est" di Benedetto XVI.

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Oggi in Primo Piano



Fallito golpe militare in Turchia: 200 morti, quasi 3000 arresti

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In Turchia è fallito il golpe militare contro il presidente Erdogan. 200 i morti finora negli scontri, quasi 3000 i militari golpisti arrestati. Il capo di Stato fugge, poi torna a Istanbul, appoggiato dalla gente che scende in piazza e dice: i colpevoli la pagheranno cara. Il partito governativo parla di pena di morte. Il servizio di Sergio Centofanti

Un golpe durato poche ore. Tutto inizia poco prima delle 10 di ieri sera. I militari entrano in azione ad Istanbul e ad Ankara tra le grida delle persone. Nella capitale schierano i carri armati davanti al parlamento, elicotteri sparano sul palazzo presidenziale, entrano nella sede della Tv di Stato ed annunciano: abbiamo preso il potere, riporteremo democrazia e laicità. Accusano Erdogan di autoritarismo e di avere islamizzato il Paese. I militari chiedono una Turchia più legata alla Nato e più vicina agli Stati Uniti, mentre la questione dei separatisti curdi resta irrisolta. Pesa anche il ruolo turco nella crisi siriana. Ad Istanbul occupano i due ponti principali sul Bosforo e l’aeroporto.

Ore di confusione. Il capo di Stato, che è in vacanza sul Mar Egeo, sembra voler chiedere asilo politico all’estero. Una parte dell’esercito e della polizia resiste. Anche molti sostenitori del presidente scendono in piazza. Gli scontri sono violenti. Un elicottero dei golpisti viene abbattuto. Poi alle 3 Erdogan torna ad Istanbul, è tra la folla che inneggia ad Allah, e annuncia: il colpo di Stato è fallito, gli autori la pagheranno cara. L'esercito sarà ripulito. Accusa il carismatico predicatore musulmano Gülen, suo acerrimo avversario esule negli Usa, di essere dietro al tentato golpe. Ma arriva subito la smentita del diretto interessato. Gülen è a capo di un movimento che conta decine di migliaia di attivisti e controlla associazioni professionali e caritative, aziende, scuole e università, radio, quotidiani e televisioni. Intanto, 2745 giudici turchi sono stati rimossi dall'incarico proprio perché sospettati di avere legami con il religioso.

Da parte sua, il premier turco Yildirim, in un’affollata conferenza stampa, fa riferimento ad una "struttura parallela nelle forze armate", termine che la leadership turca utilizza per la confraternita di Gülen e dice che chi lo ospita non può essere amico di Ankara. Il segretario di Stato Usa Kerry si è detto disponibile ad aiutare Ankara nelle indagini ma ha osservato che per quanto riguarda Gülen ci voglionio prove. Yildirim ha sottolineato che questa è una pagina nera per la democrazia del Paese ma ringrazia il popolo turco che ha risposto nel modo migliore ai terroristi. Resistono ancora alcuni militari ribelli, ma la situazione è al 90% sotto il controllo governativo. 8 insorti sono fuggiti in elicottero ad Atene e sono stati arrestati: il governo turco ne chiede l'immediata estradizione. I militari ribelli uccisi sarebbero oltre 100. Il presidente americano Obama, il cancelliere tedesco Angela Merkel, così come il premier italiano Renzi, danno pieno sostegno al governo eletto democraticamente.

La Turchia vive ore di grande tensione dopo il fallito colpo di Stato. Anche tanti turisti sono rimasti coinvolti dalla crisi. Centinaia i voli cancellati da e per Istanbul. Gioia Tagliente ha raccolto la testimonianza di Andrea Zoeddu, un italiano bloccato all'aeroporto Sabiha Gökçen di Istanbul, in attesa di ripartire per l’Italia: 

R. – Sono nel secondo aeroporto di Istanbul. L’atmosfera qui è abbastanza tesa: ci sono delle persone che hanno iniziato a cantare “Inshallah! Innshallah”, che vuol dire: “Se Dio vuole! Se Dio vuole!”. Queste persone hanno reagito quando sono state fermate dalla polizia che le ha prese ed arrestate. Ci sono stati diversi operatori dell’aeroporto che si sono messi a piangere. La tensione è palpabile: c’è tanta gente stanca, gente che dorme, sistemata dovunque; persone che si raggruppano vicino alla televisione per riuscire a capire cosa succede. Piano piano, sembra che anche quest’aeroporto riprenda a smaltire il traffico aereo.

D. – Che atmosfera si respira in queste ore?

R. – Fuori, quando sono arrivato, gli aerei erano tutti parcheggiati e non c’era nessun movimento a terra. E anche adesso, guardando dalla finestra, le strade sono senza macchine, vuote. Questa mattina parlavo con un ragazzo australiano, che mi diceva di essersi trovato nel mezzo della confusione sul ponte del Bosforo. Mi ha detto che ci sono state persone che, quando i carri armati hanno fermato il traffico del ponte, hanno protestato e hanno cercato di salire sui carri armati e i militari hanno risposto sparando alle persone che salivano.

D. – Ci sono altri italiani lì con te?

R. – So che il traffico aereo dell’aeroporto Ataturk è stato dirottato tutto qui. Penso proprio che ci siano altri italiani. So che qualcuno doveva andare a Bologna, ma il volo è stato cancellato e anche quello di Venezia. Quindi penso che vengano dirottati tutti o a Milano o a Roma.

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Il vicario in Anatolia: serve dialogo, c'è malessere dietro tensioni

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La situazione in Turchia sta peggiorando, cresce il malessere, anche per le conseguenze delle guerre che stanno affliggendo la regione mediorientale: è un incendio che potrebbe propagarsi. E' quanto afferma ai nostri microfoni il vicario apostolico di Anatolia, mons. Paolo Bizzeti. Il presule sottolinea anche il confronto che si fa sempre più aspro tra quanti si fanno portavoce di una più decisa laicità, come i militari, e coloro che premono per una maggiore islamizzazione della società turca. Ma ascoltiamo mons. Bizzeti, raggiunto telefonicamente a Iskenderun da Gabriella Ceraso

R. – Dove vivo io – grazie a Dio! – la situazione è tranquilla. Naturalmente c’è molta tensione, ma la situazione qui è tranquilla… E’ difficile, anche per noi, comprendere le reali dimensioni di questo scontro e quindi bisogna essere molto cauti. Purtroppo noi ci siamo sentiti varie volte in questi ultimi tempi per una serie di fatti sanguinosi, che già rivelavano sicuramente una tensione all’interno del Paese. Anche se la stragrande maggioranza delle persone è sicuramente pacifica e vive tranquillamente, non si può però negare che - in questi ultimi tempi - è stata praticata una politica dell’odio, dello scontro e questo evidentemente ad un certo momento porta ad una deflagrazione più grande. Credo che sinceramente l’unica cosa intelligente da fare è quella di non esasperare i toni per ritrovare quel minimo di calma necessaria a comprendere le ragioni anche di chi è insorto: una insurrezione, per quanto non si sappia ancora quanto sia estesa, è indice sicuramente sempre di un malessere. Per cui bisogna andare un po’ alle cause di questo malessere.

D. – Quindi cosa e come testimoniare in questo momento, con la propria presenza nel Paese?

R. – Sicuramente sempre attraverso l’arma del dialogo, che è l’unica che può assicurare un vivere civile. Quindi da parte della Chiesa credo che sarà unanime la testimonianza che, appunto, bisogna abbassare i toni e che si deve cercare di comprendere quali siano le cause di questo malessere.

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Prospettive in Turchia: le analisi di Ferrari e Guolo

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Il tentativo di golpe militare di questa notte in Turchia, nonostante le dichiarazioni delle autorità e il lento ritorno alla normalità, lascia aperte una serie di ipotesi. E i pareri non sempre sono concordi. Gabriella Ceraso:

Debolezza o autorità rafforzata del presidente turco Erdogan, unità o spaccatura del Paese, dopo una notte di violenza e di incertezze? Secondo Antonio Ferrari, analista di politica internazionale del Corriere della Sera, che ha seguito l’evolversi della vicenda, siamo di fronte ad una situazione del tutto particolare: 

R. – Erdogan, con questo, potrebbe essersi addirittura rafforzato e non è escluso che questo tentativo di quella parte dell’esercito, che magari era vicina al pastore sunnita Fethullah Gülen, che vive negli Stati Uniti, era stata lasciata correre per poi alla fine frenarla. Ed ora Erdogan, più forte di prima, credo che passerà alla resa dei conti.

D. – Chi ha agito?

R. – Non i generali, non quelli importanti, non quelli decisivi, ma quelli che più o meno erano controllati proprio da questo Gülen, diventato il più grande nemico dello stesso presidente Erdogan. Chi diceva “Erdogan è finito!” stava commettendo un gravissimo errore. 

Diverso il parere anche sulle prospettive future, di Renzo Guolo, professore di sociologia dell'Islam. La sua analisi al microfono di Luca Collodi: 

R. - Quanto è successo stanotte mostra che il premier è indebolito, che un pezzo di mondo turco in qualche modo non è più allineato sulle sue posizioni per effetto della sua politica estera spesso avventurista per effetto della situazione al confine siriano e per la sua guerra totale ai curdi e la sua ambiguità verso gli islamisti radicali oltre frontiera. Siamo quindi in una situazione molto complicata.

D. – Quale ricaduta avrà la situazione turca in Europa? E penso ad un tema in particolare, l’accoglienza dei migranti …

R. - L’accordo tra Turchia ed Unione Europea, voluto fortemente da Germania, punta su Erdogan ovviamente perché c’era una sorta di "monetizzazione" del suo controllo sul territorio. È ovvio che se Erdogan vuole ritrovare consenso - sia Berlino che Washington hanno sostenuto la sua posizione una volta che hanno capito che quello che stava accadendo riguardava solo una parte minoritaria delle forze armate - è evidente che quell’accordo dovrebbe rimanere in auge, anzi semmai i turchi dovrebbero adeguarsi ad applicarlo con maggiore rigorosità. Però il vero nodo che riguarda anche la questione dei migranti è quale atteggiamento la Turchia avrà nei confronti della vicenda siriana. È questa ancora la vera incognita.

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Nizza: l'Is rivendica la strage. Hollande: vincere chi vuole dividere

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Il gruppo terrorista dello Stato Islamico ha rivendicato la strage di Nizza di giovedì scorso, in cui il franco-tunisino Mohamed Boulhel ha travolto con un camion la folla che assisteva ai festeggiamenti per la presa della Bastiglia. Ancora fermo ad 84 il bilancio delle vittime, tra cui dieci bambini. Su di loro e sul Paese, ha ricordato il Papa, una “violenza cieca”. Il presidente Hollande ha lanciato oggi un appello all'unità e alla coesione nazionale contro i tentativi di chi vuole dividere. Il servizio di Michele Raviart

L’autore dell’attentato a Nizza “è un soldato dello Stato Islamico, che ha risposto agli appelli a colpire i cittadini dei Paesi membri della coalizione che sta combattendo l’Is”. Il comunicato è stato diffuso attraverso i social dall’agenzia Amaq, che fa capo al gruppo jihadista. Un sostegno esplicito che confermerebbe quanto affermato  ieri dalla Procura. L’attacco alla Promenade des Anglais corrisponde infatti ai dettami diffusi dall’Is in media e riviste, in cui si incita a colpire l’occidente anche utilizzando mezzi di trasporto.

“Mohamed Boulhel si è radicalizzato molto velocemente”, ha detto il ministro degli interni Cazeneuve, che ha poi precisato come il camion abbia forzato con violenza il posto di blocco e sia poi salito sul marciapiede prima di compiere la strage. Proseguono intanto le indagini. Ieri era stata arrestata la moglie dell’attentatore, oggi sono state fermate altre cinque persone, probabilmente parenti della donna.

Sono ancora 16 i corpi in attesa di identificazione e rimane critica la situazione di molti bambini. Nell’ospedale pediatrico Fondation Lenval ne sono ricoverati trenta, cinque in gravi condizioni e tre sottoposti a respirazione artificiale. Nel primo dei tre giorni di lutto Hollande ha invitato il Paese all’unità nazionale, mentre è stata annullata per ragioni di sicurezza la cerimonia in omaggio alle vittime dell’attentato, prevista per questa mattina a Nizza.

 

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A Nizza, Messa per le vittime: speranza, perdono e carità

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Al di là della rivendicazione e degli arresti per le indagini in corso, Nizza vive il secondo giorno dopo la strage e fa i conti con una delle più sanguinose tragedie della storia francese, dopo gli attentati parigini dello scorso 13 novembre. Il servizio di Giada Aquilino

I feriti ancora ricoverati, l’identificazione delle vittime, lo strazio dei parenti e insieme le indagini sulla strage, le ricostruzioni raccolte tra i trentamila che hanno assistito ai fuochi d’artificio del 14 luglio sulla Promenade des Anglais. Questa è Nizza oggi che, allo choc, affianca la quotidianità della Costa Azzurra: è infatti la seconda città turistica di Francia, dopo Parigi, con 5 milioni di visitatori all’anno. Lo testimonia Angela Distratis, ingegnere informatico che lavora a Nizza e vive proprio sul lungomare:

R. – Sembra un po’ strano dirlo, però già ieri sembrava che la città fosse tornata alla normalità: c’erano tanti negozi aperti, tanta gente in giro e soprattutto tanti turisti…

D. – Ma poi di fatto non è tornata alla normalità…

R. – Purtroppo no. In realtà ieri sera hanno riaperto la Promenade al traffico, chiaramente con pochissime macchine, ai pedoni è ancora vietato l’accesso al luogo in cui c’erano i cadaveri.

D. – Tragedia nella tragedia, quella dei bambini. Quale immagine le rimarrà?

R. – Noi vedevamo dal balcone tutto: dopo la strage, c’era la Polizia Scientifica che, piano piano, scopriva i corpi delle vittime. E fra questi, c’era quello di un ragazzino…

D. – Abitando sulla Promenade, siete anche vicini all’Ospedale pediatrico?

R. – Sì. Hanno aperto la possibilità di donare il sangue per i feriti, in vari punti della città, anche in centro commerciale. Nizza si sta davvero mobilitando con la solidarietà. E questo è veramente bello. È stata pure organizzata una specie di colletta, alla quale si può aderire via Internet e donare, in modo da dare sostengo alle vittime.

Ieri sera, nella cattedrale di Sainte Reparate, si è tenuta una Messa di suffragio per le vittime. Ce ne parla don Federico Andreoletti, della missione cattolica a Nizza:

R. – L’ha presieduta il nostro vescovo, mons. André Marceau. Erano presenti anche l’arcivescovo di Monaco, mons. Bernard César Augustin Barsi, il nostro vescovo emerito, mons. Jean Marie Louis Bonfils, ed altri presuli e religiosi. Poi c’erano anche le autorità politiche della città e l’ex presidente Nicolas Sarkozy e tanta gente. E’ stata una celebrazione molto partecipata.

D. – Qual è stata la riflessione che ha mosso la preghiera?

R. – La riflessione sulla quale ha insistito il vescovo, anche nell’omelia, è stata quella che faceva riferimento alla Croce: ha fatto leggere il Vangelo della Crocifissione. Ha insistito molto sull’atteggiamento dell’amore, della carità, della disponibilità, ringraziando tutti quelli che si sono dati da fare in questa situazione, pensando a coloro che sono rimasti coinvolti nella strage.

D. – Il Papa ha invitato a convertire il cuore dei violenti accettati dall’odio. Come costruire armonia sociale e convivenza attenta alla dignità di ogni essere umano?

R. – Il modo è quello di dialogare, di parlarsi, di incontrarsi e non creare dei vuoti, delle emarginazioni, ma tentando veramente sempre di essere accanto gli uni agli altri, al di là delle nostre diversità politiche, sociali, economiche. Anche il messaggio del nostro vescovo è stato proprio quello che noi cristiani abbiamo, nel mondo, questo compito di portare una visione diversa, un atteggiamento diverso di fronte anche a situazioni come quella che si è creata qui a Nizza. Anche se è stato un momento di choc per tutti, dobbiamo impegnarci per evitare che si ripetano questi atteggiamenti così negativi e dolorosi per tanta gente.

Sulla preghiera nel duomo, si sofferma anche don Stéphane Drillon, cancelliere della Diocesi di Nizza:

R. – La decisione di celebrare nel tardo pomeriggio questa Messa in suffragio delle vittime è stata presa ieri mattina. Dunque, non c’è stato un avviso sui giornali, ma soltanto su Internet, attraverso il sito della diocesi. Eppure ho visto che la gente - malgrado l’informazione fosse stata molto parziale - è venuta in massa: la navata del duomo era piena.

D. – Qual è stata la preghiera che si è levata dal duomo?

R. – Da una parte una preghiera primariamente di solidarietà, di compassione: una compassione fra il popolo cristiano presente, le vittime e ovviamente le famiglie delle vittime. Dall’altra, è stato un atto di fede, perché il vescovo ha soprattutto predicato sulla Croce di Gesù, per spiegare il senso della sofferenza cristiana. Ma è stata anche una invocazione in favore di tutti quelli che soffrono e di tutti quelli che sono morti. Il numero delle vittime aumenta poco a poco, i medici fanno quello che possono, ma non riescono purtroppo a salvare ogni ferito.

D. – Don Stéphane, lei ha parlato dei medici che stanno intervenendo per i feriti e ha colpito in particolare l’impegno di quelli dell’Ospedale pediatrico. E’ stata compiuta una riflessione sui tanti bambini colpiti da questa strage?

R. – Sì, nella Croce di Gesù c’è anche la dimensione dell’innocenza: Gesù è stato il Servo innocente del Padre. E questa visione è la stessa per il nostro sguardo davanti ai bambini che sono morti o che adesso stanno soffrendo molto, perché feriti, nell’Ospedale Lenval, che a Nizza è specializzato nelle cure dei bambini.

D. – Quale messaggio di speranza è emerso, alla fine, dalla celebrazione?

R. – È stata una Messa ci ha anche ricordato come il popolo cristiano abbia un compito su questa terra, in questo momento: il compito è di ridare una speranza al mondo, molto ferito dall’odio, in fondo da una guerra: perché adesso in Francia c’è una guerra, con tutti questi attentati. Poi ci ha ricordato il perdono, perché la contemplazione della Croce è soprattutto una contemplazione che ci porta a perdonare. E poi ci ha dato un terzo messaggio: quando siamo ai piedi della Croce, vediamo un Gesù che ci porta a dare una soluzione a tutto questo problema e la soluzione unica sarà la carità, l’amore per il prossimo.

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Imam di Nizza: è barbarie. Si dimette vicepresidente imam francesi

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All'indomani della strage di Nizza, ha annunciato le sue dimissioni il vice-presidente degli imam di Francia, Hocine Drouiche: "Rassegno le mie dimissioni - ha detto - e condanno queste istituzioni (musulmane) incompetenti che non hanno fatto nulla per la pace sociale e continuano a ripetere che non esiste l'estremismo. Ormai non si può più distinguere tra Islam ed islamismo". L’imam ha anche lanciato l'appello perché tutti i musulmani francesi scendano in strada per manifestare contro gli attentati che infangano l’islam. Samuel Bleynie, ha raccolto la testimonianza dell’imam della moschea Ar Rahma di Nizza, Otmane Aissaoui, presidente dell’Unione dei musulmani delle Alpi Marittime: 

R. – Nous avons double sentiments, de tristesse et amertume…
Noi abbiamo un duplice sentimento di tristezza e di amarezza. Quello che è successo ci ha toccato moltissimo, ci ha sconvolto: c’erano anche le nostre famiglie alla festa che si stava celebrando sulla Promenade des Anglais. Noi abbiamo dei cari, dei vicini, degli amici che sono morti… Quello che è successo lo deploriamo e lo viviamo molto, molto male. E’ molto duro da superare: è un atto barbarico!

D. – L’Università di al-Azhar ha già condannato quanto avvenuto e ha invitato a restare nell’unità. Quale è l’appello che vuole lanciare?

R. – Dénoncer cet acte barbare, cet acte de terrorisme qui touche notre Pays …
Condannare questo atto barbarico, questo atto terroristico che ha colpito il nostro Paese. Noi saremo molto attenti e combatteremo qualsiasi forma di aggressione che va al di là dell’umano. Inoltre, accanto a tutto questo, il 14 luglio è la Festa dell’unità nazionale e tante persone si sono battute per ottenerla: questo ci ha ricordato la necessità di essere attenti proprio in rapporto a questa unità nazionale. Al di là di quale sia la nostra origine, il colore della nostra pelle, la nostra appartenenza e la nostra religione, la prima cosa che deve primeggiare è la nostra cittadinanza e il nostro vivere insieme. Tutto quello che è successo non può che rafforzare la giustizia del nostro modo di vivere: mantenendo i legami con il mondo, continuando un lavoro interreligioso, un lavoro intercomunitario, un lavoro che aiuti a favorire tutti gli elementi del vivere insieme; ma anche proseguire questa civilizzazione che abbiamo iniziato a costruire insieme attraverso il dialogo reciproco e lo sforzo congiunto di tutte le nostre società.

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Sud Sudan: l'impegno dei missionari per la pace

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Nonostante il cessate il fuoco la pace in Sud Sudan è soltanto apparente. Sono infatti un milione, secondo l'Onu, i profughi e gli sfollati senza cibo e riparo, e i racconti della missione salesiana che ospita più di 8mila persone al giorno parlano di una tregua non rispettata, con raffiche di mitragliatrici, esecuzioni sommarie e violenze. Il Consiglio delle Chiese sud-sudanesi ha promosso per oggi una giornata di preghiera per la nazione e perché i leader del Paese tornino al dialogo. Salvatore Tropea ha intervistato fratel Amilcare Boccuccia, lasalliano, che dal 2007 al 2011 è stato responsabile del progetto Solidarietà per il Sud Sudan, un’iniziativa ecclesiale inter-congregazionale presente nel Paese per la formazione di insegnanti, personale sanitario e agenti pastorali: 

R. – Sembra che il cessate il fuoco per ora sia rispettato, però non c’è sicurezza e quindi molta gente non è ritornata nelle proprie case. Quelli che sono tornati le hanno trovate in generale completamente depredate, altri cercano di fuggire, però il problema fondamentale è che non sentono più la sicurezza ed hanno paura che la guerra tra le varie fazioni, a questo punto, possa riprendere in una forma più totale, generale. Quindi nessuno è sicuro, non si sa che cosa potrebbe avvenire.

D. - Il processo di pace è in stallo. Serve una risposta dalla comunità internazionale?

R. - Gli aiuti servono senz’altro, così come una risposta da parte della comunità internazionale, soltanto che penso realisticamente che sia molto difficile prima di tutto far arrivare gli aiuti. Gli unici punti di movimento sono i piccoli aeroporti, di cui solo due sono stati assaltati, quindi molte volte non si può atterrare. Il resto delle strade sono quasi impraticabili. Il problema vero è che la paura di quello che è successo in questi quattro cinque giorni a Juba sia solo l’inizio di una ripresa dei combattimenti a larga scala. Sicuramente con quello che è successo, con la morte di centinaia di soldati, ma soprattutto quella di molti civili, è come aver innescato la miccia. Ci troviamo di fronte a qualcosa che molto difficilmente è un cessate il fuoco per un periodo di dialogo e discussioni. Si spera questo, ma tutte le cose fanno prevedere che probabilmente non sarà così.

D. - Il progetto solidarietà per il Sud Sudan è operativo nel Paese dal 2007. Come sta reagendo in questi giorni? La formazione di insegnanti e paramedici continuerà?

R. - La nostra intenzione è quella di non lasciare. Di tutti i Centri che avevamo creato abbiamo dovuto abbandonare soltanto quello di Malakal, perché tutta la città è stata distrutta ed è stata quasi completamente abbandonata. Gli altri Centri continuano ad offrire l’educazione anche se non è facile; ci sono periodi in cui bisogna stare chiusi e si cerca di continuare a fare le lezioni quando le cose sono abbastanza tranquille. La stessa cosa si può dire di altri Centri. Sicuramente l’estensione e l’impatto che avevano durante il periodo tranquillo in cui c’erano corsi al di fuori dei nostri Centri attraverso il movimento, non c’è più. Questo ormai è fermo.

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Funerali ad Andria. Il vescovo: periferie abbandonate da politica

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Circa 5.000 persone hanno partecipato questa mattina, all’interno del Palasport di Andria, ai funerali di 13 delle 23 vittime dell’incidente ferroviario verificatosi in Puglia martedì scorso. Tanti i giovani presenti e molti vigili del fuoco e volontari intervenuti nei primi soccorsi dopo il disastro. Alla cerimonia, presieduta dal vescovo di Andria, mons. Luigi Mansi, erano presenti il capo dello Stato, Mattarella, la presidente della Camera, Boldrini, insieme ad altre autorità civili e al capo della Polizia, Gabrielli, e poi il sindaco di Bari e quelli dei Comuni più colpiti dalla tragedia. Prima della celebrazione Mattarella ha salutato i parenti delle vittime fermandosi vicino alle bare e guardando, una per una, le foto. Mons. Mansi, nella sua omelia, ha fatto riferimento alla morte e alla resurrezione di Gesù come motivo di speranza in un momento così doloroso. Ma ascoltiamolo al microfono di Luca Collodi: 

R. – Il brano del Vangelo scelto per la celebrazione è quello della crocifissione e della morte di Gesù, subito seguito dal racconto della resurrezione. Ho pensato che l’unica pagina evangelica che potesse essere di conforto e di speranza fosse questa: il dolore di fronte alla tragedia, ma anche la speranza che la risurrezione di Gesù infonde in noi credenti. Questo apparente silenzio del Padre di fronte al suo Figlio in croce, ma poi la sua risposta con la resurrezione ci sostiene in questo momento che viviamo il dolore della separazione dai nostri cari, ma nello stesso tempo sappiamo che i nostri cari sono nel cuore di Dio, sono nel mondo di Dio e quindi sono nella gioia, sono nell’amore del Padre. Non li pensiamo come persone cadute nel nulla, ma come persone che, anche se in maniera tragica, sono entrati nel mondo di Dio, in un orizzonte di vita e di speranza più ampio, diverso.

D. - In questa triste vicenda non dobbiamo dimenticare la grande solidarietà dimostrata dal popolo pugliese e in particolare di Andria …

R. - Sì, una grande solidarietà, perché c’è stata davvero una vera gara di solidarietà: tantissima gente che non è stata chiamata da nessuno si è resa disponibile ad esempio per i servizi volontari, per tutto quello che serviva per aiutare le famiglie delle vittime, per aiutare i servizi di vigilanza e di coordinamento. Tanti e tanti giovani, attraverso le associazioni di volontariato, ma anche a titolo personale, si sono presentati e si sono messi a disposizione; anche tanti giovani delle scuole superiori. Poi il fatto più rilevante è un numero davvero enorme di persone che si sono recate spontaneamente ai centri trasfusionali del circondario per donare il sangue, perdendo una giornata di mare, una giornata di lavoro. C’è stato davvero un arrivo inatteso di persone. Questo vuol dire che il cuore della nostra gente è un cuore buono, che l’animo è intatto nella sua fondamentale bontà e anche questo male che si scaraventa sulle persone è, in qualche modo, assorbito attraverso questi innumerevoli atti di bontà.

D. - La pagina delicata delle responsabilità …

R. - Credo che si divida in due aspetti: da una parte le responsabilità immediate per il singolo episodio: qualche disattenzione, qualche leggerezza che ha provocato questa strage; ma dall’altra bisogna considerare la responsabilità di più ampio respiro, cioè una disattenzione di certa politica e di certa economia di fronte a linee ferroviarie che spostano migliaia e migliaia di persone e che hanno l’unica colpa di essere in periferia, di essere lontane dal centro e quindi di non essere attenzionate da una serie di interventi di continuo ammodernamento per renderle davvero sicure.

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Ad Assisi, convegno per 800.mo Indulgenza della Porziuncola

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Si svolge a Santa Maria degli Angeli, in questi giorni, in occasione dell’VIII centenario dell’Indulgenza della Porziuncola (1216 – 2016), il convegno sul perdono e le indulgenze plenarie. L’incontro di studio s’inserisce nell’ambito del “Seminario di formazione in storia religiosa e studi francescani” aperto a giovani studiosi e ricercatori italiani e stranieri. Stefano Brufani, docente di studi francescani all’Università degli studi di Perugia, ci parla dell’evento nell’intervista di Michele Ungolo: 

R. - L’ottavo centenario dell’Indulgenza della Porziuncola è un punto fondamentale dell’identità minoritica, cioè dei Frati Minori, in quanto tradizionalmente, da secoli, si fa risalire proprio all’anno 1216 l’incontro tra Papa Onorio III e Francesco a Perugia, dove allora risiedeva la corte papale. In quell’occasione il Papa ha concesso a Francesco questa straordinaria indulgenza plenaria per tutti coloro che avessero visitato la piccola chiesa - la cappella della Porziuncola - tra il primo e il due di agosto di ogni anno.

D. - Quali sono gli argomenti e le tematiche affrontate durante il convegno?

R. - Il taglio dato a questo convegno dal comitato scientifico è un taglio - potremmo dire - sincronico, cioè si vuole cercare di contestualizzare l’indulgenza della Porziuncola nel contesto delle indulgenze plenarie del tempo, poiché agli inizi del secolo XIII.mo esisteva solo una indulgenza plenaria, cioè quella per i crociati che avessero partecipato al viaggio per il recupero della Terra Santa. Sabato 2 luglio si è aperta una mostra di documenti di archivio di codici medievali e di libri a stampa antica, proprio qui alla Porziuncola, che ha come tema proprio quello del Perdono di Assisi. Dunque l’incontro di studi è complementare, poiché sono due iniziative culturali per l’approfondimento di questa tematica da un punto di vista soprattutto storico religioso.

D. - Il primo Papa di nome Francesco il 4 agosto visiterà la Porziuncola. C’è sicuramente grande attesa per il suo arrivo, ma anche una forte emozione …

R. - Sicuramente sì perché già precedentemente Papa Francesco, all’inizio del suo pontificato, era venuto a fare una visita ufficiale ad Assisi anche per il fatto che aveva scelto questo nome in riferimento al Santo di Assisi. Nello specificò della vista del 4 agosto l’attesa è intorno alla Porziuncola, perché questo è stato ed è il luogo della memoria delle origini dei Frati Minori e di quelle francescane. Dunque questa visita specifica ha sicuramente per i Frati Minori, ma in genere per il mondo francescano, una grande importanza. Potremmo dire che il Perdono di Assisi è un altro modo di invocare l’Anno della Misericordia. Dunque c’è una sovrapposizione e una complementarietà di carattere teologico e pastorale. Lo stesso termine “perdono” non è altro che un sinonimo di Misericordia. “Perdonum” è l’assoluta gratuità dell’amore di Dio che dà la concessione di questa indulgenza plenaria senza avere in cambio alcun obolo. Questa era stata nella geografia francescana la richiesta esplicita che Francesco d’Assisi aveva fatto al Papa, cioè che fosse possibile ai penitenti pentiti e confessati che venivano in pellegrinaggio di avere un perdono, un’indulgenza plenaria senza dare nulla in cambio.

D. - Questo convegno è aperto a giovani studiosi...

R. - È stato organizzato specificamente per gli studiosi, ma in particolare per i giovani studiosi, perché da due settimane qui ad Assisi  - è una tradizione che risale all’anno 1985 - un gruppo formato da 20 giovani studiosi sta svolgendo un seminario di studi su tematiche francescane che si concluderà proprio sabato con la partecipazione al convegno di studi sul Perdono di Assisi e le indulgenze plenarie contemporanee.

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Madonna del Carmelo: una guida materna per incontrare Dio

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La Chiesa celebra oggi la festa della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo, istituita in ricordo dell'apparizione mariana che avvenne il 16 luglio 1251 all’allora generale dell’Ordine carmelitano, l’inglese Simone Stock, sul Monte Carmelo in Galilea. Durante l’apparizione, San Simone, che chiedeva alla Vergine di concedere un privilegio ai Carmelitani, ricevette uno scapolare, detto anche “Abitino”, e la rivelazione di privilegi connessi alla sua devozione. Ascoltiamo il commento della biblista suor Maria Anastasia di Gerusalemme, priora del Monastero delle Carmelitane di Ravenna, al microfono di Marina Tomarro: 

R. – E’ una tradizione che ha radici molto lontane e molto profonde. Possiamo dire che sono le radici stesse che riscopriamo nella Divina Scrittura: tutto il Carmelo - questa grande spiritualità e questa grande esperienza di incontro con Dio; e poi questa grande famiglia che è nata ha una connessione vitale proprio con le Scritture, con la Parola di Dio, per il fatto che il Carmelo ha la sua origine nella terra di Israele, nella terra del Signore, nella terra in cui la Parola di Dio ha risuonato in maniera viva, in maniera diretta. E proprio dentro questo dialogo e dentro questa storia, Maria ha un posto tutto speciale e tutto particolare: i nostri primi padri, gli eremiti che si sono installati sul Carmelo per vivere la loro vita di preghiera, hanno proprio fatto la scelta fortissima di porre Maria al centro di questa loro esperienza spirituale e di vita. Anche in Europa, dunque, questo rapporto di amicizia e di amore con Maria ha continuato a crescere. I Carmelitani si sono rivolti alla loro Madre per chiedere a Lei un segno forte e tangibile di aiuto: e il segno è il segno meraviglioso e bellissimo dello Scapolare. Qui emerge la figura di San Simone Stock, il priore generale dell’Ordine, che ha ricevuto in una visione la visita di Maria e il dono dello Scapolare.

D. – Quanto è diffusa, oggi, la tradizione dello Scapolare?

R. – E’ una tradizione, è una devozione mariana molto diffusa in tutto il mondo: dal Brasile all’Africa, all’America, all’America del Sud; anche in Italia, soprattutto in Sicilia ci sono delle comunità di Terziari – quindi laici carmelitani – molto fiorenti; ma pensiamo anche al Carmine Maggiore di Napoli, alla Calabria... Non si finirebbe mai di fare l’elenco dei luoghi, delle situazioni, delle comunità cristiane che sono visitate e che sono animate da questa devozione alla Vergine del Carmelo e quindi allo Scapolare.

D. – In una società spesso così martoriata da fatti gravi, da fatti sanguinosi, quando è importante oggi il messaggio di pace della Madonna del Carmelo?

R. – Il messaggio fondamentale, che sta al cuore di questa devozione e di questo dono dello Scapolare, è il messaggio della presenza, presenza nel senso di relazione, perché Maria si offre come strada possibile da percorrere per arrivare ad una relazione molto forte, molto profonda e intima con Dio, perché il Carmelo – in definitiva – offre proprio la spiritualità della relazione, dell’incontro con Dio: una relazione con il Signore che passa, in modo particolare, attraverso la Sacra Scrittura. Quindi se una persona, una comunità cristiana si abitua a vivere la relazione con Dio in questo modo, le persone - coinvolte in questa esperienza di fede - diventano capaci anche di vivere le relazioni in modo più vero e più vivo. E’ proprio una scuola di relazione il Carmelo: la preghiera nel Carmelo diventa veramente una porta di ingresso nelle relazioni più vere e più vive ed è proprio di relazioni, di incontro e di comunione che il nostro mondo ha bisogno. E’ questo che noi vogliamo annunciare.

D. – Tanti i Santi e i Papi devoti alla Madonna del Carmelo che hanno portato lo Scapolare, tra loro anche Giovanni Paolo II: cosa vuol dire?

R. – Se un Papa sceglie di portare su di sé questo segno, significa che questo segno è veramente denso di forza spirituale. Quindi penso che guardare a queste figure di Papi, che hanno dato questo risalto allo Scapolare, possa essere veramente utile, possa essere un aiuto, anche per chi – forse – fa fatica ad arrivare ad una scelta consapevole di ricevere e di indossare lo Scapolare. Penso sia importante avere questo sguardo aperto, questo sguardo che sa vedere oltre la piccolezza del segno: dentro questo segno c’è veramente la forza di una presenza e di una relazione con il Signore, per dire che l’incontro con Maria è sempre accessibile, è a portato di mano per tutti. 

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Il commento di don Sanfilippo al Vangelo della Domenica XVI T.O.

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Nella 16.ma domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone  il Vangelo in cui Gesù è ospitato da due sorelle. Maria ascolta la sua parola. Marta, presa dai molti servizi, si lamenta col Signore perché Maria non l’aiuta. Gesù le dice:  

«Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».  

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

Accogliere” è il verbo  delle letture di questa domenica: Abramo ospita in casa tre inviati del Signore, San Paolo si affatica perché ogni uomo si apra al mistero nascosto da secoli: Cristo in noi. Marta serve i discepoli e si lamenta, presso Gesù, di sua sorella Maria, la quale, invece, incurante di tutto ciò, si accoccola ai piedi del Maestro, per ascoltare la sua parola. Molti sono i modi di ricevere e onorare coloro che Dio invia per donare la salvezza, e sono tutti apprezzabili, ma per il Nazzareno, ne esiste uno migliore, che permane nel tempo. Al Signore è piaciuto, anzitutto, salvare il mondo attraverso la stoltezza della parola, dell’ascolto del kerigma, che i padri apostolici chiamavano lo sperma dello Spirito Santo, ovvero quell’annuncio che genera, nelle anime di chi lo crede possibile, la vita divina: l’inabitazione di Cristo in noi: di qui l’elogio a Maria, che “ha scelto la parte migliore”. Dare il cibo a chi ha fame, curare l’infermo, riparare il rifugiato, visitare il prigioniero, sono opere di misericordia degne di ogni encomio; adoperarsi perché il cuore dell’uomo sia trasformato dalla presenza di Gesù, liberato dalla prigionia dell’egoismo, guarito dall’odio, trovi rifugio, cioè, dalla dannazione eterna, è proprio di quella misericordia insuperabile che, risolve alla radice il dramma di ogni persona: non poter amare.

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Nella Chiesa e nel mondo



I giovani asiatici si preparano alla Gmg di Cracovia

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Conto alla rovescia per i giovani asiatici che, da diversi Paesi del continente, si preparano a partecipare alla 31.ma Giornata mondiale della gioventù, in programma nella città polacca di Cracovia, dal 26 al 31 luglio. Secondo i dati riportati dall’agenzia Eglise d’Asie, dalle Filippine è previsto l’arrivo di almeno 1.500 ragazzi. Dalla Corea del Sud partiranno circa 800 giovani provenienti da 16 delle 18 diocesi locali. Dall’Indonesia sono in partenza 170 ragazzi, mentre altri 150 si preparano a lasciare l’India. In 120 raggiungeranno Cracovia dal Giappone.

Gli aiuti delle Ambasciate per ridurre le spese di viaggio
Anche la piccola Chiesa cattolica della Cambogia, nonostante le difficoltà economiche, riuscirà ad inviare una rappresentanza di 30 giovani. Anche da Taiwan è prevista la partenza dei ragazzi, circa 140. Da Hong Kong partiranno, probabilmente, più di 60 giovani. Ad andare incontro alle esigenze economiche del viaggio sono state, spesso, le ambasciate polacche situate nei Paesi asiatici che hanno accettato di ridurre il costo dei visti di ingresso.

I giovani di Hong Kong in pellegrinaggio
Le delegazioni dei giovani asiatici non si fermeranno solo a Cracovia per la Gmg, ma hanno in programma di visitare i luoghi più significativi della Polonia, tra cui il campo di concentramento di Auschwitz. Alcune, inoltre, visiteranno i Paesi confinanti, come l’Ungheria e la Repubblica Ceca. In programma infine il pellegrinaggio da Assisi a Roma, per i giovani della diocesi di Hong Kong. (I.P.)

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Summit Ua. Card. Souraphiel: lavorare insieme per l’Africa

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Lavorare tutti insieme per rendere l’Africa un continente migliore: questo l’appello lanciato dal card. Berhaneyesus Souraphiel, arcivescovo di Addis Abeba e presidente dell'Associazione delle Conferenze episcopali dell'Africa Orientale (Amecea), in occasione del 27.mo summit dell’Unione Africana. Iniziata il 10 luglio, la riunione continentale si tiene a Kigali, in Rwanda, e proseguirà fino a lunedì prossimo sul tema “I diritti delle donne, diritti umani”.

Contrastare migrazioni illegali e tratta di esseri umani
Esortando i rappresentanti istituzionali africani a “lavorare insieme per consentire al continente di raggiungere gli obiettivi prefissati”, il card. Souraphiel ha auspicato il contrasto efficace delle migrazioni illegali e del traffico di esseri umani. Al contempo, l’arcivescovo di Addis Abeba ha invitato l’Ua ad attuare pienamente l’agenda 2063 per il progresso dell’Africa, ribadendo che essa va promossa attraverso “la partecipazione di tutte le persone di buona volontà, così da portare l’unità e la solidarietà in tutto il continente”.

Attuare l’agenda 2063 per lo sviluppo di tutto il continente
Suddivisa in sette punti, l’agenda 2063 punta ad alcuni fattori essenziali per l’Africa: crescita inclusiva e sviluppo sostenibile; integrazione e unità politica; buon governo, democrazia, rispetto dei diritti umani e della legge, giustizia; pace e sicurezza; forte identità, basata su valori etici condivisi; sviluppo del potenziale della popolazione, soprattutto delle donne e dei giovani. Infine, l’agenda 2063 mira a rendere l’Africa attore e partner globale rilevante, unito ed influente a livello internazionale. (I.P.)

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Vescovi Australia: aborigeni testimoni della misericordia

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Testimoni di misericordia: così mons. Christopher Saunders definisce gli indigeni di Australia. Il presule, presidente della Commissione episcopale australiana per i popoli aborigeni, ha diffuso una nota in occasione della “Domenica degli aborigeni”, celebrata recentemente. “Le popolazioni native dell’Australia – si legge nel testo – sono famose per la loro resilienza. Come dicono loro stesse, sono popolazioni sopravvissute. Nonostante i cambiamenti politici al governo o i pregiudizi evidenti in alcuni atteggiamenti razzisti” della pubblica opinione, “gli aborigeni vivono la misericordia”.

Misericordia è incontro con Cristo
“Abbiamo tutti bisogno – scrive ancora mons. Saunders – di misericordia, della misericordia proclamata da Dio e condivisa tra i popoli. Essa non è una strada a senso unico, perché l’incontro con Cristo è davvero l’incontro” con una Persona. “Nell’amore misericordioso di Dio – ribadisce il presule – abbiamo l’opportunità di abbracciare coloro che sono intorno a noi che, forse, sono gravati da terribili delusioni della vita”.

Aiutare chi è nel bisogno
Di qui, l’invito ai fedeli ad essere “ministri dei fratelli e delle sorelle che vivono nel bisogno”. Infine, mons. Saundersi invita a pregare per tutti gli aborigeni affinché “l’amorevole comunione con loro possa continuare ad arricchire la Chiesa in Australia”. (I.P.)

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Usa: a Los Angeles, Messa per tutti i migranti

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“Riconoscere che siamo tutti immigrati, perché siamo o siamo stati tutti stranieri in terra straniera”: questo il motto che campeggia al centro del manifesto diffuso dall’arcidiocesi di Los Angeles, negli Stati Uniti, per promuovere una Messa per i migranti. La celebrazione si tiene domenica 17 luglio alle ore 16.00, presso la Cattedrale di “Nostra Signora degli Angeli”.

Siamo tutti creati ad immagine e somiglianza di Dio
“In quanto cattolici e persone di fede – scrive l’arcivescovo titolare, mons. José Gomez – riconosciamo che siamo una Chiesa di immigrati e prendiamo sul serio l’invito evangelico ad accogliere lo straniero tra noi”. “Siamo tutti consapevoli – continua il presule – di essere una Chiesa composta da molti popoli, con origini differenti, storie differenti, famiglie differenti. Ognuno di noi è unico, ma la nostra comune fede cattolica ci insegna che siamo tutti creati ad immagine e somiglianza di Dio”.

Serve riforma giusta e compassionevole per l’immigrazione
Celebrare, dunque, le radici di immigrati sia come Chiesa che come nazione: questo sarà l’obiettivo della Messa di domenica prossima, spiega ancora mons. Gomez, auspicando poi “una riforma globale dell’immigrazione che sia giusta e compassionevole”. “Invito ciascuno di voi ad unirsi a me – conclude il presule, lanciando un appello ai fedeli – nel riconoscimento di tutti coloro che, per un qualsiasi motivo, sono venuti nella nostra bella terra in cerca di una vita migliore”.

Chiesa sia unita, come il Corpo di Cristo
A Los Angeles, si legge inoltre sul sito diocesano, “l’immigrazione è un fenomeno sociale che tocca sia molte comunità parrocchiali, sia differenti gruppi etnici. Riconoscendo, quindi, che la questione dell’immigrazione non riguarda solo la comunità latina, invitiamo tutti a partecipare alla Messa: si tratta di un’opportunità per dimostrare che, come Chiesa, siamo davvero un solo Corpo di Cristo”. (l.P.)

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Colombia: sciopero trasporti, Chiesa invita al dialogo

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“Cercare in maniera urgente e sincera” una soluzione allo sciopero degli autotrasportatori che da circa 40 giorni sta paralizzando la Colombia. È quanto richiede al governo ed agli stessi camionisti, in una nota, la Conferenza episcopale colombiana (Cec). Esprimendo preoccupazione perché lo sciopero “ha iniziato a danneggiare in modo pesante” la popolazione in molte regioni del Paese, creando anche serie difficoltà al trasporto dei passeggeri,  i vescovi auspicano che le proteste e le richieste dei camionisti, così come le risposte del governo, siano pensate in funzione della pace sociale e del benessere dell’intero Paese.

Paese ha bisogno di pace e giustizia sociale
La Cec invoca, poi, “protezioni urgenti” per coloro che protestano in modo pacifico e ricorda che il raggiungimento di un eventuale accordo servirebbe “a legittimare la legalità e il clima di rispetto per le istituzioni colombiane, come apporto significativo al processo di costruzione di una pace stabile e duratura” e di “una giustizia sociale di cui il Paese ha bisogno”.

I motivi della protesta
Le proteste degli autotrasportatori sono iniziate circa sei settimane fa: i manifestanti lamentano la mancanza di risposte soddisfacenti, da parte dell’esecutivo, di fronte all’aumento di carburante, pedaggi e merci. Numerosi gli atti di violenza accaduti in questi giorni e che hanno provocato il ferimento di 18 agenti di polizia e l’arresto di 75 persone. Dal suo canto, il capo dello Stato, Juan Manuel Santos, ha schierato 50mila militari in tutte le strade della Colombia per affrontare i manifestanti, ordinando il sequestro dei veicoli utilizzati per bloccare le strade, il ritiro delle licenze ed il pagamento di multe salate per gli aderenti allo sciopero. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 198

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.