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Sommario del 17/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa su strage Nizza: basta uccidere fratelli, costruire mondo su accoglienza

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Appello del Papa all’Angelus in Piazza San Pietro, dopo la strage di Nizza. Francesco esprime la sua vicinanza al popolo francese e invoca la fine del terrore. Quindi, invita a costruire un mondo nuovo e fraterno praticando la virtù umana e cristiana dell’accoglienza, che oggi – osserva – rischia di essere trascurata. Il servizio di Sergio Centofanti

Subito dopo la strage di Nizza, il Papa aveva manifestato il suo sgomento per la “violenza cieca” che colpisce persone innocenti, incapace di avere pietà anche davanti alla vita di tanti bambini. All’Angelus, davanti a numerosi pellegrini giunti da tutto il mondo in Piazza San Pietro, torna ad esprimere il suo dolore per quanto accaduto e chiede un momento di silenzio per pregare:

“Nei nostri cuori è vivo il dolore per la strage che, la sera di giovedì scorso, a Nizza, ha falciato tante vite innocenti, persino tanti bambini. Sono vicino ad ogni famiglia e all’intera nazione francese in lutto. Dio, Padre buono, accolga tutte le vittime nella sua pace, sostenga i feriti e conforti i familiari; Egli disperda ogni progetto di terrore e di morte, perché nessun uomo osi più versare il sangue del fratello. Un abbraccio paterno e fraterno a tutti gli abitanti di Nizza e a tutta la nazione francese”.

Commentando il brano evangelico di Marta e Maria, proposto dalla liturgia domenicale, Papa Francesco invita a costruire un mondo nuovo, più fraterno, basato sull’accoglienza e non sull’emarginazione e l’esclusione. Le due sorelle che accolgono a casa il Signore, ci ricordano che l’ospitalità è “una virtù umana e cristiana”, una virtù – afferma Francesco – che purtroppo “nel mondo di oggi rischia di essere trascurata”:

“Infatti, si moltiplicano le case di ricovero e gli ospizi, ma non sempre in questi ambienti si pratica una reale ospitalità. Si dà vita a varie istituzioni che provvedono a molte forme di malattia, di solitudine, di emarginazione, ma diminuisce la probabilità per chi è straniero, emarginato, escluso di trovare qualcuno disposto ad ascoltarlo. Perché è straniero, profugo, migrante. Ascoltare quella dolorosa storia! Persino nella propria casa, tra i propri familiari, può capitare di trovare più facilmente servizi e cure di vario genere che ascolto e accoglienza”. 

Oggi siamo presi da tanti problemi - e alcuni dei quali non importanti – sottolinea il Papa - e manchiamo della capacità di ascolto:

“Siamo indaffarati continuamente e così non abbiamo tempo per ascoltare. E io vorrei domandare a voi, farvi una domanda, ognuno risponda nel proprio cuore: ‘Tu, marito, hai tempo per ascoltare tua moglie? E tu, donna, hai tempo per ascoltare tuo marito? Voi genitori avete tempo, tempo da perdere, per ascoltare i vostri figli o i vostri nonni, gli anziani?’ – ‘Ma, i nonni sempre dicono le stesse cose, sono noiosi…’ – ‘Ma hanno bisogno di essere ascoltati!’. Ascoltare. Vi chiedo di imparare ad ascoltare e di dedicargli più tempo. Nella capacità di ascolto c’è la radice della pace”.

Nel passo evangelico Maria ascolta la parola di Gesù, mentre Marta, presa dalle cose da preparare, si lamenta col Maestro perché la sorella non l’aiuta. Il Signore la esorta a non affannarsi ma a scegliere come Maria la parte migliore, l’unica cosa necessaria:

“Nel suo affaccendarsi e darsi da fare, Marta rischia di dimenticare. E questo è il problema: rischia di dimenticare la cosa più importante, cioè la presenza dell’ospite, che era Gesù in questo caso. Si dimentica della presenza dell’ospite. E l’ospite non va semplicemente servito, nutrito, accudito in ogni maniera. Occorre soprattutto che sia ascoltato. Ricordate bene questa parola: ascoltare! Perché l’ospite accolto come persona, con la sua storia, il suo cuore ricco di sentimenti e di pensieri, così che possa sentirsi veramente in famiglia. Ma se tu accogli un ospite a casa tua e continui a fare le cose, lo fai sedere lì, muto lui e muto te, è come se fosse di pietra, l’ospite di pietra. No! L’ospite va ascoltato”.

L’unica cosa di cui c’è bisogno – spiega il Papa – rimanda certamente all’ascolto della parola di Gesù, “che illumina e sostiene tutto ciò che siamo e che facciamo":

“Se noi andiamo a pregare - per esempio - davanti al Crocifisso e parliamo, parliamo, parliamo e parliamo e poi ce ne andiamo: non ascoltiamo Gesù! Non lasciamo parlare Lui al nostro cuore. Ascoltare: quella parola è chiave. Non dimenticatevi! Ma non dobbiamo dimenticare che anche nella casa di Marta e Maria, Gesù, prima di essere Signore e Maestro, è pellegrino e ospite. Dunque, la sua risposta ha questo primo e più immediato significato: Marta, Marta, perché ti dai tanto da fare per l’ospite fino a dimenticare la sua presenza? L’ospite di pietra! Per accoglierlo non sono necessarie molte cose; anzi, necessaria è una cosa sola: ascoltarlo - la parola: ascoltarlo - dimostrargli un atteggiamento fraterno, in modo che si accorga di essere in famiglia, e non in un ricovero provvisorio”.

Il Papa eleva la sua preghiera a Maria:

“La Vergine Maria, Madre dell’ascolto e del servizio premuroso, ci insegni ad essere accoglienti e ospitali verso i nostri fratelli e le nostre sorelle”.

Infine, Francesco rivolge un saluto caloroso anche a un gruppo di pellegrini cinesi.

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Oggi in Primo Piano



Nizza: si cercano i contatti del killer con l'Is. Altri due arresti

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Continuano le indagini delle autorità francesi sulla strage di Nizza. Due nuovi arresti, mentre si cercano le prove dell’affiliazione dell’attentatore allo Stato Islamico, che ieri ha rivendicato l’attacco. Intanto è quasi completata l’identificazione delle vittime. Il servizio di Michele Raviart

Manca solo una vittima da identificare tra le 84 persone uccise dal camion guidato dal franco-tunisino Mohamed Buhlel. Lo ha annunciato il ministro francese della Sanità Marisol Touraine. 85 le persone ancora ricoverate in ospedale, di cui 29 in rianimazione. Tra queste anche un bambino, la cui diagnosi resta riservata. Sul fronte delle indagini un uomo e una donna si aggiungono alle persone già fermate per presunti collegamenti con l’attentato. Liberata la moglie del killer, in carcere restano quindi altre 6 persone.

Dalle telecamere di sicurezza risulta poi che Mohamed Buhlel avrebbe ispezionato con il camion il lungomare della “Promenade des Anglais” già il 12 e il 13 luglio. Si cercano anche prove concrete dell’affiliazione di Buhlel allo Stato Islamico, dopo la rivendicazione di ieri. Sotto esame un sms inviato poco prima della strage. Bouhlel avrebbe chiesto “più armi” a un misterioso destinatario. Nel computer e nel suo appartamento non è stato però ritrovato finora nessun materiale di propaganda che possa far pensare ad un suo reclutamento diretto.

Su questo tema è intervenuto dalle pagine dell’Osservatore Romano il giornalista Zouhir Louassini, musulmano nato in Marocco, che spiega come l’obiettivo del fondamentalismo sia quello di radicalizzare gli islamici moderati – definiti la bestia neri dei jihadisti -  al fine di “alimentare il ciclo delle violenze e delle ritorsioni con un conseguente incremento del caos”. In un’Europa “che non ha gli strumenti per decifrare la complessità del mondo arabo islamico”, la Francia - afferma - sembra un obiettivo ideale, con un islam tanto numeroso quanto debole a livello rappresentativo e uno Stato incapace “di affrontare efficacemente le problematiche dell’integrazione delle nuove generazioni”.

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Mokrani: Is porta avanti ideologia diabolica antireligiosa

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Sgomento, rabbia, sconforto. Sono alcuni dei sentimenti che prevalgono, in Francia come altrove, dopo la strage di Nizza ad opera di un uomo che, il sedicente Stato Islamico, ha definito un suo “soldato” che ha risposto all’appello a colpire gli occidentali. Il rischio è ora che si radicalizzi sempre più lo scontro tra mondo islamico e non musulmani. Un pericolo assolutamente da evitare, come sottolinea – al microfono di Alessandro Gisotti – il teologo musulmano Adnane Mokrani, docente alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Istituto di studi arabi e islamistica (Pisai): 

R. – Questi atti terroristici e criminali stanno colpendo i posti più fragili e non protetti: i cittadini innocenti per strada, in aeroporto oppure al mercato… Si tratta dunque di una criminalità cieca, totalmente cieca. E in questa ideologia criminale troviamo una totale assenza del senso del sacro: non c’è più sacralità, non c’è più il sacro in questa ideologia. Prima di Nizza, hanno colpito Istanbul e a Baghdad un mercato, alla vigilia della festa per la fine del Ramadan, dove hanno bruciato vivi i bambini e le famiglie che andavano lì per comprare vestiti nuovi per la festa. Hanno colpito i luoghi sacri dell’Islam, come la Moschea del Profeta Muhammad a Medina. C’è dunque un gruppo terroristico che ha un’ideologia criminale e cieca; esso vuole creare una spaccatura – una divisione, una polarizzazione – tra il mondo islamico e l’Occidente, il mondo cristiano, gli ebrei, ecc.; ciò per nutrire una guerra, in cui loro possono pescare delle anime fragili e piene di odio.

D. – Il sedicente Stato islamico ha affermato che l’attentatore di Nizza ha risposto "all’appello di colpire l’Occidente"…

R. – Se vediamo il profilo di queste persone, in Francia o in Belgio, ci rendiamo conto che sono molto simili: sono persone con un passato di delinquenza, criminale o che sono passate dalla prigione. Queste persone, di conseguenza, nutrono un certo odio verso la società, a causa dei loro fallimenti personali. Si trovano queste persone e si manipolano i loro cervelli e le loro anime: questo è un lavoro satanico.

D. – Si può dire che questa è un’opera diabolica: lei faceva riferimento alla distruzione di luoghi sacri dell’Islam, oltre che – ovviamente – all’uccisione di vite umane, di persone musulmane, bambini….

R. – Sì, sicuramente. È  un’ideologia antireligiosa, anche se pretende di essere religiosa. Perché il senso del sacro non c’è più; non c’è nessun limite a questa violenza! Tutti possono essere colpiti; forse anche gli stessi genitori di queste persone. E quindi questo è diabolico.

D. – Secondo lei, è presente oggi anche una riflessione interna al mondo islamico?

R. – Sicuramente c’è un grande dibattito tra i musulmani, sia nei Paesi a maggioranza islamica sia in Occidente, sulle cause di questo fondamentalismo e ideologia, e su come si possa rispondere in modo spirituale, umano, e anche democratico. C’è un grande malessere e dolore nel vedere queste stragi, che fanno molto male. Ma, sul piano teologico e pedagogico – secondo me – in Europa c’è bisogno di formazione per gli imam, affinché possano preparare persone adatte a guidare i giovani, a parlare con loro e a diminuire così i rischi della radicalizzazione.

D. – Questo è chiaramente un qualcosa che ha a che vedere con l’educazione e ovviamente guarda al medio termine. Nell’immediato – secondo lei – che cosa si può fare?

R. – Nell’immediato, innanzitutto non dobbiamo mischiare Islam e terrorismo e non dobbiamo vedere in ogni musulmano un potenziale terrorista. Non dobbiamo quindi cadere nel gioco della polarizzazione, odio e panico, perché questo aumenta i rischi, crea frustrazione e un clima favorevole al terrorismo. Di qui la missione saggia del dialogo interreligioso: dobbiamo impegnarci di più in questo campo per produrre un discorso di resistenza al male e alla violenza.

D. – Proprio quello che – ovviamente – sta facendo anche Papa Francesco, per primo…

R. – Sì, sicuramente. Il ruolo del Papa è molto prezioso, perché lui unisce; parla con parole sagge; non reagisce con l’emozione ma con la spiritualità. È un esempio da seguire, non solo per i cristiani, ma anche per i musulmani.

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Turchia: 6000 arresti dopo il fallito golpe. Tensione con gli Usa

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In Turchia, dopo il fallito colpo di Stato militare, è giro di vite contro tutti i sospetti golpisti. Il ministro della Giustizia riferisce di oltre 6000 arresti e parla di una cifra destinata a salire. In manette anche gli oltre 2700 procuratori rimossi ieri dall’incarico. Il bilancio ufficiale della notte di violenza tra venerdi e sabato resta di oltre 260 morti (di cui 104 insorti) e 1400 feriti. Intanto, sale la tensione con gli Stati Uniti: il presidente Erdogan chiede a Washington l'estradizione di Fethullah Gülen, l’ex imam e magnate turco esule in America accusato di essere l'ispiratore del tentato golpe. Il servizio di Marco Guerra: 

“Supereremo i 6000 arresti attuali. Continueremo a fare pulizia”, il ministro della  Giustizia turco parla apertamente di un giro di vite solo iniziato nei confronti di tutti coloro che hanno sostenuto il tentativo di golpe. Nel mirino soprattutto i vertici delle forze armate e la magistratura. Ieri quasi 3000 militari erano stati arrestati e altrettanti giudici erano stati rimossi e oggi anche per quest’ultimi è scattato l’ordine di arresto. Tra le decine di giudici già in manette anche uno della Corte costituzionale. Nel partito governativo si parla anche di pena di morte per i ribelli.

Continua a salire anche la tensione tra Ankara e Washington. Erdogan accusa il carismatico predicatore musulmano Fethullah Gülen, suo acerrimo avversario esule negli Usa, di essere dietro al tentato golpe e ne chiede agli Stati Uniti l'estradizione. Esponenti del governo turco ipotizzano apertamente un appoggio Usa al golpe, il segretario di Stato John Kerry ha negato tutto mettendo in guardia da quelle che ha chiamato "pubbliche insinuazioni". 

Gülen, predica un islam mistico, alleato di scienza e democrazia: è a capo di un movimento che conta decine di migliaia di attivisti e controlla associazioni professionali e caritative, aziende, scuole e università, radio, quotidiani e televisioni. Si calcola che 4 o 5 milioni di persone lo sostengano, di fronte ad una popolazione turca che arriva quasi a quota 78 milioni. Il premier turco Yildirim ha detto che chi ospita Gülen non può essere amico di Ankara. Kerry si è detto disponibile ad aiutare Ankara nelle indagini sul golpe ma ha osservato che per quanto riguarda Gülen ci vogliono prove.

Dal canto loro le autorità turche hanno chiuso la base aerea di Incirlik, nel Sud del Paese, impiegata dagli Usa e dalla Coalizione internazionale per gli attacchi contro le roccaforti dello Stato Islamico. Tutte le diplomazie occidentali restano comunque con i riflettori puntati sulla Turchia dopo aver ribadito la fiducia al legittimo governo sostenuto dall’Akp. Vladimir Putin è stato il primo leader ad aver chiamato Erdogan al quale ha chiesto un ritorno alla stabilità. Concordato un incontro tra i due per la prima settimana di agosto. 

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I nuovi scenari in Turchia: l'analisi di Fulvio Scaglione

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Tornato a Istanbul, il presidente turco Erdogan si è concesso un bagno di folla. Acclamato da migliaia di sostenitori festanti che sventolavano bandiere turche e inneggiavano ad Allah, ha promesso che "i traditori" pagheranno "un caro prezzo". Per analizzare i vari scenari che si aprono e le sfide che dovrà affrontare il capo di Stato turco, Marco Guerra ha intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana: 

R. – E’ piuttosto scontato che Erdogan approfitterà dell’occasione per fare un po’ di conti, per liquidare qualche nemico, anzi per liquidarne il più possibile. D’altra parte, questo golpe è il proseguimento di discorsi già aperti: per esempio, Erdogan, negli anni del suo potere, ha fatto un energico repulisti tra le forze armate, che sono sempre state un pericolo per chiunque volesse governare la Turchia da un punto di vista non perfettamente occidentalista e antislamico. Quindi, sicuramente dobbiamo aspettarci un giro di vite molto duro, che però potrebbe trovare qualche limite nel fatto che questo tentativo di golpe è stato comunque un campanello d’allarme, dopo tanti altri campanelli d’allarme, per il potere di Erdogan. Erdogan – è inutile nasconderlo – è reduce da una serie di fallimenti: il fallimento della sua politica con i curdi, della sua politica con la Siria; il fallimento della sua politica con la Russia, si è dovuto addirittura scusare; il fallimento del contrasto con Israele ...

D. – Si apre anche una questione interna islamica nella Turchia? Abbiamo visto che i principali sostenitori di Erdogan, che hanno dato vita anche alle proteste di piazza contro i militari, facevano chiaramente riferimento anche ad una Turchia islamica, ai valori islamici…

R. – Sul rapporto tra Erdogan e l’islam e l’islamismo si dicono cose anche un pochino affrettate… E’ vero che Erdogan ha, in qualche modo, re-islamizzato la Turchia; ma è anche vero che in questa sua operazione Erdogan ha tenuto a bada, soprattutto negli anni del successo economico del Paese - perché anche questo non va dimenticato: Erdogan ha garantito alla Turchia anni ed anni di fortissimo e benefico impulso economico – adottando una sorta di islamismo moderato ha anche impedito che l’islamismo estremista, che invece dilagava in tante altre parti del Medio Oriente, prendesse piede in Turchia. Adesso bisogna vedere che cosa farà. Io credo che Erdogan, però, non potrà spingere più di tanto sul pedale dell’islamismo, proprio perché comunque la Turchia – almeno fino a questo mancato golpe – aveva delle ambizioni di contatto con l’Occidente; aveva l’ambizione di essere il migliore alleato in Medio Oriente degli Stati Uniti; aveva l’ambizione di entrare nell’Unione Europea… E più di tanto su quel pedale dell’islamismo Erdogan non potrà premere.

D. – Erdogan torna ad accusare il predicatore musulmano Fetullah Gulen e rischia, questo, di essere anche un motivo di contrasto con gli Stati Uniti…

R. – Gulen è stato, per lunghi anni, il principale alleato di Erdogan: è stato la mente religiosa dietro l’azione politica di Erdogan. Gulen ha avuto una influenza fortissima sulla Turchia, proprio attraverso la rete delle scuole, del sistema educativo. Poi c’è stato questo separarsi delle strade: Erdogan ha fatto una strada politica, che lo ha portato ad essere sempre più un uomo solo al comando; e Gulen – guarda caso – si è trasferito negli Stati Uniti, dove vive sotto la protezione delle autorità americane. Questo, in qualche modo, si connette con il mancato golpe, perché – detto francamente – è impossibile pensare che i militari turchi possano tentare un colpo di Stato senza pensare di avere un semaforo verde da parte degli Stati Uniti. Questo non esiste nella storia della Turchia… Quindi è chiaro che, a questo punto, la Turchia – dopo tutti i problemi di cui si diceva con la Russia, con Israele, con la Siria, con i curdi … ha anche un problema con gli Stati Uniti, inevitabilmente. Erdogan può approfittare del fatto che la parabola politica di Barak Obama è alla fine, ma non può aggiungere gli Stati Uniti alla lista di tutti coloro che hanno con lui relazione tese.

D. – Si apre anche un problema militare, della permanenza della Turchia nella Nato…

R. – L’Alleanza Atlantica non rinuncerà mai alla Turchia e questo è certamente per Erdogan un punto di forza. Questa situazione, però, è stata finora fonte di grande ambiguità e di grandi disastri, continuerà ad essere fonte di ambiguità e di disastri.

D. – Erdogan ha giocato un ruolo importante anche nelle crisi mediorientali…

R. – Io credo che, se Erdogan non è completamente fuori di sé, dal rischio corso con questo mancato golpe, trarrà conclusioni che lo porteranno ad una maggiore attenzione, ad una maggiore prudenza in quello che fa, anche nel resto del Medio Oriente. La politica di Erdogan in Siria è stata un fallimento e non ha portato nulla al Paese; la politica nei confronti dei curdi, altrettanto. Per lunghi anni la politica estera della Turchia è stata all’insegna del non creare problemi con i vicini: sarebbe meglio se quella teoria politica fosse, in qualche modo, recuperata…

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Utero in affitto: prezzi modici in Cambogia per comprare un figlio

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Dopo le ultime restrizioni imposte agli stranieri in India e Thailandia, si fa sempre più difficile per le coppie etero e gay di altri continenti comprare figli in Asia da donne povere che affittano il proprio utero. Una strada low cost, a prezzi economici, si è aperta in Cambogia: bastano 30 mila dollari per portare a casa un bambino bello e sano, di fronte ai 120 mila che si spenderebbero nelle cliniche degli Stati Uniti. Sull'argomento Michele Ungolo ha intervistato la dottoressa Emanuela Lucci, consigliere nazionale dell'associazione Scienza & Vita: 

R. - È un evento molto triste perché ci rendiamo conto che lo schiavismo continua ad esserci e a coprirsi sotto altre forme e soprattutto che queste pratiche non solo alterano, ma segnano per sempre l’identità della mamma del bambino, della mamma che vende il proprio utero, del figlio che poi le viene portato via, ma soprattutto ci ricorda come la pratica di fecondazione in vitro attraverso cui vengono costruiti questi bambini è ancora una volta una pratica di morte, perché seleziona chi ti dà un bambino a 30mila dollari, sano, avendone eventualmente eliminati altri malati. Quindi insomma è una notizia di grande tristezza e anche di grande rabbia perché sui giornali hanno dato poco spazio.

D. - Perché rivolgersi alla  fecondazione artificiale e non ad altri centri come orfanotrofi?

R. - L’idea di base è quella di avere un figlio a tutti i costi, non quella di dare una famiglia ad un bambino che non ce l’ha o non ce l’ha mai avuta. Quindi è una logica totalmente opposta quella di avere tutti i diritti, far diventare i propri bisogni - come quello di due gay, due omosessuali che desiderano un figlio – un diritto. Questa è ovviamente una via veloce, no? È un figlio mio, me lo sento più vicino, non c’è la compassione. L’obiettivo non si sposta sul bambino: l’obiettivo della telecamera è sulla nostra coppia che deve essere più piena con un figlio. Quindi è un cambio di prospettiva radicale. Ovviamente l’anello debole della catena come sempre sono i bambini.

D. - Avere un figlio è sicuramente il desiderio più grande di una coppia. Ma importa davvero a chi si rivolge a questo mercato avere un figlio che crescerà per nove mesi nella pancia di una sconosciuta?

R.- Ma sì, perché comunque la donna è ridotta a schiava, è uno strumento di crescita. C’è talmente tanta bramosia di avere quello che si desidera, che in fondo lei è solo un’incubatrice brava, generosa, magari la edulcorano con tanti aggettivi, però è sempre un’incubatrice, sempre uno strumento. Nessuno mette in evidenza anche da un punto di vista scientifico tutto ciò che accade, il dialogo chimico materno-fetale dei primi nove mesi della nostra vita, che, secondo quanto la scienza ci dice, è un dialogo sempre più forte fin dai primi giorni del concepimento e in cui il piccolo lascia sempre traccia alla propria mamma in termini di cellule totipotenti, staminali. Quindi la mamma avrà sempre una traccia di questo figlio che però non ha mai abbracciato.

D. - Dove arriverà la scienza continuando su questa scia?

R. - Arriveremo alla fecondazione inter-specie, alla clonazione oppure ci fermeremo perché capiremo che siamo diventati inumani.

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Conferenza mondiale sull'Aids. Caritas: più fatti e meno interessi

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Tenere alta l’attenzione sulla prevenzione e garantire l’accesso su larga scala al trattamento dell’Hiv. Queste le sfide lanciate dall’Organizzazione mondiale della Sanità in occasione della 21.ma Conferenza internazionale sull’Aids, che si apre lunedì 18 luglio a Durban, in Sudafrica. L’Oms segnala anche il crescente emergere della resistenza del virus ai farmaci antiretrovirali e la necessità di un finanziamento sostenibile della risposta al problema. I lavori di Durban dureranno fino al 22 luglio e saranno gestiti dall'International Aids Society, la principale associazione globale di esperti del virus, e dalle diverse autorità locali. Sull’importanza di questo evento, Elvira Ragosta ha intervistato mons. Robert Vitillo, consigliere speciale di Caritas Internationalis per l’Hiv: 

R. - È un grande evento a cui parteciperanno circa 25 mila persone tra scienziati, medici, ricercatori, attivisti e rappresentanti delle Chiese. Questa riunione è anticipata da una pre-conferenza cattolica. I rappresentanti delle organizzazioni cattoliche sono qui con noi per riflettere sul ruolo della Chiesa in risposta alla pandemia dell’Aids, per scambiare le esperienze positive e riflettere sui problemi che loro affronteranno. Durante questi due giorni abbiamo ascoltato le testimonianze delle persone affette da Aids e quelle dei vescovi che sono impegnati nelle loro diocesi in risposta a questo problema. In questi giorni sono presenti sia il nunzio apostolico in Sudafrica che il cardinale arcivescovo di Durban.

D. - La conferenza si tiene appunto in Sudafrica, dove sono sette milioni le persone affette dal virus; il 19 percento della popolazione. Allora quali le sfide per questo Paese?

R. - In Sudafrica sono stati fatti molti progressi. Quasi il 60 per cento delle persone ha accesso ai trattamenti però ci sono ancora altre sfide: il 40 per cento non ha questo accesso, soprattutto nelle zone rurali, nelle zone più povere, nelle zone dove il governo non arriva con i servizi sanitari. Questo è un punto molto importante perché la Chiesa è dappertutto.

D. - A proposito dell’aiuto della Chiesa, cosa fa la Chiesa per combattere l’Aids in tutto il mondo?

R. - Prima di tutto la Chiesa fa educazione per dare informazioni corrette alla gente, soprattutto per prevenire la trasmissione dell’infezione. La Chiesa propone i valori più profondi: essere fedeli ad un marito e ad una moglie per la vita e poi ai giovani di aspettare fino al matrimonio prima di iniziare una vita sessuale. La Chiesa promuove i test dell’Hiv. Se una persona risulta positiva al test consiglia di iniziare i trattamenti il prima possibile. La Chiesa provvede a questi trattamenti in molti luoghi, però non fa solo servizi di tipo medico: fa anche un accompagnamento integrale. In questo caso si occupa non solo dei problemi della salute, ma anche di quelli sociali, economici e spirituali.

D. - Si parlava del Sudafrica come di uno dei Paesi maggiormente colpiti. Ma quali sono gli altri Paesi colpiti dal virus?

R. - Naturalmente tutta la regione subsahariana: in Africa è la zona più colpita, però ci sono anche altre regioni che in questo momento sono vulnerabili: l’Europa dell’Est, l’Asia Centrale, qualche Paese del Medio Oriente. Oltre a questo c’è il fatto che in tutto il mondo è stato fatto molto progresso in termini di espansione dell’accesso al trattamento; anche il numero delle infezioni è diminuito. Adesso siamo in uno status quo: se non cambiamo l’approccio della gente, c’è il rischio di aver un altro incremento di infezioni in tutto il mondo.

D. - Trattamenti e prevenzione: quanto ancora c’è da fare per combattere l’Aids?

R. - In tutto il mondo, solo la metà delle persone bisognose di trattamento vi hanno accesso. Dunque c’è molto da fare. Molti dei meccanismi globali che provvedono ai fondi per questi trattamenti stanno cambiando il loro approccio. Dicono che i Paesi stessi devono provvedere ai fondi per questo trattamento. Molti Paesi sono troppo poveri per fare questo. C’è bisogno di fare educazione, in modo particolare ai giovani. L’educazione proposta da molti governi non è efficace perché si pensa solamente alla prevenzione del rischio.

D. - Quanti e quali interessi girano intorno a questo virus?

R. - Ci sono molti interessi. Qualche governo riceve fondi internazionali, in alcuni Paesi questi fondi non vengono utilizzati in modo appropriato. Ci sono interessi politici, ma gli interessi della persona devono essere messo al primo posto in questo senso.

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Trump punta su Pence vicepresidente: siamo coppia "Legge e ordine"

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Inizia lunedì a Cleveland, in Ohio, la Convention repubblicana, nella quale verrà nominato il candidato alle elezioni presidenziali del prossimo 8 novembre. La principale novità è rappresentata dall’ufficializzazione della candidatura a vicepresidente di Mike Pence, governatore dell'Indiana. Donald Trump, presentando ieri il suo vice, in una conferenza stampa a New York, ha detto: "Siamo la coppia ‘Legge e ordine’, aggiusteremo l'America e la renderemo di nuovo grande. Hillary Clinton crede nel globalismo, noi nell'americanismo". Pence è una figura popolare tra i conservatori, che potrebbe fare da contraltare a Trump e contribuire a unificare i repubblicani. Su questo ultimo punto, in particolare, Salvatore Tropea ha intervistato il prof. Ferdinando Fasce, americanista e ordinario di Storia Contemporanea all’Università degli Studi di Genova: 

R. – Precisamente è nelle intenzioni di Trump e in quelle del nuovo manager della sua campagna Paul Manafort. Pence é una figura riconosciuta, molto popolare tra gli evangelici, molto popolare tre le componenti estreme.

D. - Se verrà confermata la sua candidatura, quanto sarà rilevante la sua carica di governatore dell’Indiana?

R. - Potrebbe essere rilevante. La storia delle elezioni dell’ultimo quarantennio ha esaltato il ruolo dei governatori, da Nixon a Reagan, passando attraverso Carter. Quindi lo fa perché - soprattutto con le politiche repubblicane dagli anni ’80 in poi con l’accentuazione di processi di delega agli Stati, di rafforzamento del ruolo degli stessi - i governatori hanno assunto un ruolo sempre più rilevante e quindi potrà essere decisamente importante in quell’area decisiva – il Midwest – in cui lo scontro elettorale si farà particolarmente intenso.

D. - Quali sono i punti che tengono ancora troppo distanti le varie anime interne del Partito Repubblicano e quali sono i margini di un avvicinamento?

R. - I punti che tengono distanti le varie anime del Partito Repubblicano sono, prima di tutto, la credibilità di Trump in politica estera, cioè la capacità di immaginare e di implementare adeguate iniziative in politica estera. Finora Trump sotto questo profilo ha decisamente mancato, quindi è ancora sotto test. L’elemento che può ravvicinarlo è questo fatto: sappiamo che Pence è molto ben visto da Paul Rayan, figura decisiva all’interno del partito. Quindi ci sono elementi personali e di orientamento che dovrebbero favorire l’integrazione di Trump all’interno dei Repubblicani.

D. - I recenti avvenimenti a Nizza e in Turchia porteranno qualche novità all’interno delle discussioni di politica estera?

R. - Ci sarebbe da sperare che Trump fosse richiamato alla necessità di presentarsi con un profilo da statista, ma visto quello che ha atto finora mi pare legittimo dubitarne.

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Don Pino Puglisi: un nuovo libro sul "Martire di Mafia"

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“Don Pino Puglisi, Martire di Mafia”, è il nuovo libro di mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace e postulatore della Causa di canonizzazione del sacerdote siciliano, beatificato da Papa Francesco nel maggio del 2013. Il volume ripercorre tutte le tappe della vita di don Pino, dall’infanzia a Palermo alla missione nel quartiere Brancaccio, fino alla morte che, come disse egli stesso agli assassini, si aspettava. Salvatore Tropea ha intervistato il curatore del libro, il vaticanista Salvatore Cernuzio su come è nata l’opera e quali sono gli insegnamenti di don Puglisi, più attuali che mai, e ha raccolto la testimonianza di mons. Vincenzo Bertolone. Ascoltiamo Salvatore Cernuzio: 

R. – L’idea del libro nasce come omaggio a don Pino Puglisi, una figura fortunatamente abbastanza conosciuta. Quello che credo invece non sia ancora abbastanza conosciuto, è tutto il vissuto di Puglisi, cioè in quell’opera che lo ha portato a questo epilogo così cruento, a questa morte da martire, quindi quell’opera che ha dato così tanto fastidio ad una struttura organizzata e radicata nella società come la mafia tanto da individuare in lui, che di fatto era un parroco di periferia, un obiettivo da eliminare. Mi riferisco a tutto il lavoro svolto da don Pino come educatore di bambini, come missionario in un quartiere di Palermo che si può benissimo paragonare ad una favelas latinoamericana o anche al suo lavoro come maestro ed amico di giovani che altrimenti si sarebbero persi nella strada della malavita. Lui si è davvero sporcato le mani. In lui c’è davvero una perfetta sintesi di uomo di fede e di prete di strada che ha voluto compiere un’opera di santificazione di tutto quello che creato, quello che è umano, anche se degradato socialmente e culturalmente tanto da essere facile preda del male. Quello di don Pino era un impegno non semplicemente contro la mafia ma per il Vangelo e credo che questo sia veramente il più grande insegnamento che questo prete del Sud possa dare a tanti sacerdoti, anche uomini di fede anche laici di oggi, a volte rinchiusi in quelli che il Papa chiama “salotti”.

D. – Mons. Vincenzo Bertolone, nel suo libro si pone l’accento sull’azione di don Pino Puglisi che ha insegnato un metodo …

R. - L’insegnamento di Papa Francesco in questo Anno giubilare è quello di operare con misericordia agendo sempre pro, mai contro qualcuno o qualcosa. Era questo il metodo di don Pino Puglisi che altro non è che l’annuncio mite del Vangelo della tenerezza, di un prete che camminava con la Bibbia sotto il braccio o sul cruscotto della macchina. Il metodo della povertà personale che non teme di portare ai piedi scarpe bucate e di non disporre di un nutrito guardaroba. Il metodo della missione popolare annuale tra la gente per annunciare la genuina Parola di Dio. Il metodo della moralizzazione delle feste popolari per non sprecare inutilmente danaro per cantanti, spettacoli e fuochi d’artificio molto costosi. Il metodo del coinvolgimento di credenti nei momenti civici per far sentire la voce dell’intera comunità, non di una sola. Il metodo della formazione della gente alla celebrazione sacramentale, insomma, non solo denuncia del male, ma evangelizzazione, promozione umana: il buon grano isola così la zizzania della mafia, della ‘ndrangheta, della camorra e ne evita i tentacoli criminali e mafiosi.

D. - Giovanni Paolo II ad Agrigento ha lanciato un duro anatema contro cosa nostra. Anche Benedetto XVI e Francesco si sono scagliati duramente contro la mafia, addirittura con la scomunica. Quanto è importante la netta condanna della Chiesa per contrastare la mafia?

R. – “La società corrotta puzza”, disse Papa Francesco. Queste sono parole che chiudono il cerchio di un cammino intrapreso dalle Chiese particolari che suonano come una presa d’atto generale di un atteggiamento inderogabile e indifferibile, configurando l’appartenenza ad ogni forma di criminalità organizzata come apostasia e in quanto tale sono essi stessi che si collocano automaticamente fuori dalla comunità cristiana e della retta professione di fede, ma è anche invito ai mafiosi ai corrotti ad arrendersi a Dio.

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San Miniato: Scaparro dirige il dramma di Oscar Romero

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A San Miniato, in provincia di Pisa, è in corso fino al 20 luglio l’annuale Festa del Teatro. Filo conduttore della settantesima edizione è la fede che si esprime in una esistenza votata al bene. Al centro del cartellone è "Il martirio del Pastore", storia di una morte che diventa dono per gli altri. Il dramma ripercorre la vicenda di mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo salvadoregno, determinato a chiedere il rispetto dei diritti umani per la sua gente, oppressa allora dalla dittatura militare, per questo ucciso nel 1980 e beatificato nel maggio 2015 da Papa Francesco. Il servizio di Adriana Masotti

Il  testo di Samuel Rovinski, uno dei più rappresentativi drammaturghi del Costa Rica della seconda metà del ventesimo secolo, tradotto e adattato da Eleonora Zacchi per la regia di Maurizio Scaparro, racconta gli ultimi tre anni di vita di mons. Romero. Le sue denunce contro la violenza, le torture e le sparizioni, il suo stare sempre dalla parte degli ultimi, avevano fatto di lui un prete e un vescovo scomodo, oggi un martire riconosciuto. Ma che cosa ha convinto uno dei maggiori registi e critici teatrali italiani a mettere in scena quest’opera? Sentiamo lo stesso Maurizio Scaparro:

R. – Quella di Romero è una grande figura e ad una persona come me, che ha ricevuto un’educazione anche religiosa ma che non ha il privilegio di credere, ha incuriosito il fatto che, morto nell’80, fosse calato il silenzio su di lui. Il fatto che poi con l’avvento di Papa Francesco, e anche un po’ prima, si sia cercato di ricordare questa figura che significava anche ricordare qual è stato l’intreccio in tutto il mondo, ma anche in Salvador, tra l’oligarchia e la Chiesa, questo è un problema grande naturalmente che tutti noi abbiamo credenti o non credenti. La figura di padre Romero è incredibilmente limpida; lui vuole essere sacerdote assolutamente fedele alla Chiesa e non vuole accettare il modo in cui si viveva nel Salvador in quegli anni. La sua figura è limpida, lucida, coraggiosa. Mi ha colpito il suo modo di vivere apparentemente mite e in realtà poi duro, preciso. Questa è la ragione per cui mi sono detto: “Voglio ricordare a me stesso gli anni in cui ho seguito da vicino la Chiesa, come militante nell’Azione Cattolica e come studente, e che cosa significa oggi ricordare padre Romero, con una piccola domanda che ancora mi pongo: “Come mai per tanti anni non se ne è parlato?”.

D. - Indubbiamente Oscar Romero corrisponde, se così si può dire, alla visione della Chiesa guidata in questi anni da Papa Francesco …

R. - Esatto. Questa è stata la spinta per me. Poi quando ho visto l’adattamento del testo, mi sono accorto che c’era un’attenzione naturale a certi aspetti  che mi hanno colpito. Per esempio, Romero aveva scoperto la possibilità di parlare ai fedeli del Salvador, usando la radio della chiesa. Così poteva collegarsi con tutte le piccole città del Paese e abbracciare in una sola trasmissione tante omelie, tanti interventi che altrimenti non sarebbe stato possibile far arrivare materialmente, al servizio della comunità. E questo mi fa piacere dirlo alla Radio Vaticana perché mi sembra una cosa molto importante.

D. – Maurizio Scaparro, quale esperienza ha vissuto come regista mettendo in scena questo lavoro?

R. - Ho la tendenza ad essere di solito una persona che in scena preferisce togliere piuttosto che mettere, perché penso che la cosa importante sia usare bene lo spazio, la parola e il significato delle parole. Per quanto riguarda l’incontro con “Il martirio del Pastore” ho pensato in questa splendida piazza di San Miniato di costruire un palco che fosse il più nudo possibile con tre livelli: il livello della piazza, il livello della chiesa, il livello dell’altare. Tutti gli attori si muovono attorno a questi tre piani, le luci sono abbastanza suggestive perché riesco a raccogliere in questo spazio il mondo dei fedeli, dei preti, degli oppositori ...

D. - Lei che ha alle spalle tante attività, che esperienza sta facendo a San Miniato? Che cosa pensa di questa Festa del Teatro che ritorna da tanti anni?

R. - Mi fa piacere che mi abbiano invitato. Penso che sia importante che questo festival riprenda forza, per farlo conoscere. Lei sa che è seguito da tanto pubblico. Cosa mi aspetto? Che si possa partire ricordandoci una cosa che ogni tanto possiamo dirci tra noi che siamo in Europa: tutti noi, compresa lei, penso abbiamo sperato che nascesse l’Europa della cultura, invece è nata l’Europa delle banche. Forse anche nel nome di Romero sarebbe bello se potessimo cambiare passo e cercare di costruire, ognuno come può, un’Europa della cultura partendo anche da questo incontro a San Miniato.

D. –“Il martirio del Pastore” sarà probabilmente ripreso a Roma nella prossima stagione teatrale. È così?

R. - Io credo di si. Spero si possa portare per alcuni giorni a Roma, e comunque andremo in giro.

Una scelta carica di significati, quella fatta quest’anno dalla Fondazione Istituto Dramma Popolare, a cui si deve l’iniziativa di San Miniato, proponendo la storia dell’ arcivescovo Romero: mette al centro la fede che diventa anche speranza, lotta per il bene. Marzio Gabbanini, presidente del Consiglio di Amministrazione della Fondazione:

R. – Sì. Noi volevamo festeggiare questo 70.mo e lo abbiamo fatto scegliendo un tema – il tema conduttore della fede, come diceva lei - che è un tema in completa assonanza con quelli che sono i principi dei soci fondatori. Il nostro è un teatro dello spirito, non è un teatro di tipo confessionale: è un teatro che deve stimolare quelle che sono le inquietudini dell’uomo moderno; è un teatro che deve parlare alla mente, ma anche al cuore di tutti gli uomini. Credo che quest’anno, con questo spettacolo, “Il martirio del Pastore” di Rovinski, ci siamo assolutamente riusciti! Il successo di queste sere sembra lo dimostri: successo di pubblico, ma anche mi pare di critica. Il cast è un cast di eccezione, così come il regista: Maurizio Scaparro è un grande del teatro; abbiamo Antonio Salines e non sta certo a me dire quali siano le qualità e la grandezza di questo attore; Edoardo Siravo e tutti gli altri… Il tema della fede è, appunto, fede non intesa in maniera passiva; ma una fede attiva, una fede positiva: come diceva un mio insegnante quando ero molto più giovane: “Se si ha fede, si può cambiare il mondo”.

D. – Appunto, scuotere le coscienze è l’obiettivo anche di questo Festival…

R. – Esatto! Scuotere le coscienze e riportare l’attenzione su un dramma, che è poi un dramma universale, un dramma di sempre: l’attenzione agli ultimi - anche secondo gli insegnamenti cristiani e noi siamo una forma di teatro di ispirazione cristiana - per riportare all’attenzione i principi dell’uguaglianza, i principi della libertà e i principi della giustizia.

D. – Una iniziativa – quella della Festa del Teatro  – molto sentita da tutta San Miniato?

R. – Noi siamo particolarmente fortunati a San Miniato, perché la gente comune ci segue tutta: il dramma popolare è qualcosa di sentito nell’anima e nella mente di tutti. Anche le istituzioni ci sono molto vicine: la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, la Spa Bancaria di San Miniato, il Comune. Ma anche e soprattutto la diocesi. E’ arrivato da poco il nuovo vescovo, mons. Andrea Migliavacca, che è il vescovo più giovane di Italia, che da subito ha manifestato una attenzione particolare e una vicinanza alla nostra istituzione. Noi abbiamo questa fortuna! L'ho voluto sottolineare per metterlo in evidenza…

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Nella Chiesa e nel mondo



Gerusalemme: sventato un attentato sulla linea di un tram

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A Gerusalemme la polizia israeliana ha arrestato un palestinese di 21 anni che cercava di salire su un tram con un borsa carica di ordigni esplosivi. Il ragazzo, residente in Cisgiordania, è stato fermato all’altezza di King George Street, quando ha destato i sospetti di un guardiano, che ha notato il contenuto della borsa, gli ha impedito di salire a bordo e ha dato l’allarme. Secondo i media il presunto attentatore aveva già percorso in autobus un breve tragitto e si pensa stesse cercando un luogo più affollato per fare esplodere gli ordigni. E’ stato sventato “un attentato di grandi dimensioni”, ha dichiarato il sindaco della città Nir Barkat, che ha aggiunto: “I terroristi cercano di diffondere la paura. Bisogna continuare la proprio routine, essere vigili e non arrendersi al terrorismo". (M.R.)

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Giordania, eretta nuova parrocchia a Zarqa

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È intitolata a “Maria  Regina della pace” la nuova parrocchia costituita a Zarqa, in Giordania. Lo rende noto la Congregazione di Don Orione, alla quale è stata affidata la struttura. Da tempo – informa una nota - il Patriarcato latino di Gerusalemme aveva individuato il bisogno di costituire una nuova parrocchia nella vasta zona di Zarqa che affiancasse, nella cura pastorale, l’unica parrocchia cattolica della città di un milione di abitanti.

Due anni di preparazione
“Dopo due anni di contatti e accordi con i superiori della Congregazione di Don Orione – continua la nota - proprio allo scadere del suo mandato, il Patriarca ha comunicato a don Flavio Peloso, anch’egli al termine del suo servizio di superiore generale, la costituzione della parrocchia territoriale ‘Maria Regina della pace’ in Zarqa”. Primo parroco sarà padre Hani Al-Jameel Polus Yono, mentre vicario parrocchiale sarà padre Antonio Ursillo, entrambi orionini.

Unità nella carità
“La nuova parrocchia – racconta il padre Yono - costituisce un evento importante dello sviluppo della presenza orionina in Giordania, dove si possono curare pastoralmente i cristiani, ma non predicare la fede cristiana. Tuttavia si può praticare la carità verso tutti. Lo spirito orionino, nel tempo, ha creato simpatia e buona convivenza”. “Sono circa 600 – prosegue il neo parroco - le famiglie cristiane con cui siamo in contatto. Poco più di un centinaio sono cattoliche. Ma qui le diversità di rito e di storia sono molto sfumate e i cristiani si uniscono volentieri agli altri cristiani anche se di diversa denominazione. Si è creato un bel clima di familiarità”.

Il Centro Saint Joseph e la formazione professionale
La città di Zarqa è situata a 40 chilometri a nord-est dalla capitale giordana di Amman. Gli abitanti sono circa un milione, il 6% dei quali di fede cristiana. Non lontano dalla scuola sorge il campo profughi di Zaatari, il più esteso e popoloso del paese. In città, è anche il Centro professionale orionino “Saint Joseph”, una scuola fondata nel 1984 ed attualmente frequentata da oltre 600 giovani, in gran parte musulmani, con poco più un centinaio di cristiani. Diversi gli indirizzi di studio proposti: scientifico, letterario, informatico, alberghiero, industriale, meccanico e tecnico-falegnameria. (I.P.)

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Chiesa brasiliana presenta Rapporto su diritti dei pescatori

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“Conflitti socio-ambientali e violazioni dei diritti umani nelle comunità tradizionali di pesca in Brasile”: questo il rapporto presentato nei giorni scorsi dal Consiglio per la Pastorale dei pescatori (Cpp) della Chiesa cattolica brasiliana. L’organismo è legato alla Commissione episcopale locale per la carità, la giustizia e la pace. 

Denunciare i casi di violazione di diritti umani, sociali e ambientali
Il rapporto – informa una nota del Cpp, ripresa dall’agenzia Fides - oltre ad analizzare le cause dei conflitti getta, anche luce sulle strategie organizzate dalle comunità per convalidare i loro diritti. "Questo rapporto è importante perché dà visibilità e denuncia i casi di violazioni dei diritti umani, sociali, ambientali e culturali - ha detto padre Olavio Dotto, presidente della Commissione episcopale per la carità, la giustizia e la pace – È un rapporto che ricorda le lotte in difesa dei territori delle comunità di pescatori".

Accrescere consapevolezza della società
“In questa nostra epoca – ha aggiunte padre Dotto – parlare di diritti umani sembra essere un po’ complicato, perché vediamo che vengono violati ogni giorno”. Per questo, informare la società “sui conflitti e sulla situazione in cui vivono le comunità di pescatori è molto significativo, perché accresce la consapevolezza delle persone” su tali questioni.

I principali conflitti ambientali del Paese
Oltre a raccogliere numerose informazioni sulle violenze subite dalle comunità di pescatori che vivono nelle acque interne e lungo la costa brasiliana, il rapporto della Cpp contiene i dati sui principali conflitti ambientali che coinvolgono la pesca tradizionale nelle comunità di 14 stati del Paese. (I.P.)

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Sri Lanka. Incendio a Salawa: appello dei vescovi per la ricostruzione

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Accelerare la ricostruzione delle abitazioni distrutte a Salawa: lo chiede, in una nota, il card. Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo, in Sri Lanka. Il porporato guarda con preoccupazione alla zona del Paese distrutta, agli inizi di giugno, dall’esplosione di un deposito di armi dell’esercito.

La popolazione locale ha perso tutto
“I residenti della zona sono stati costretti a fuggire e sono ancora in stato di shock e di sofferenza – sottolinea l’arcivescovo di Colombo – Hanno perso tutto ciò per cui lavoravano da una vita: le loro case, le loro imprese commerciali, i loro averi che sono stati ridotti in macerie e cenere”. Il tutto a causa di “un incidente del quale non avevano alcuna colpa”.

No alle lungaggini burocratiche, servono aiuti urgenti
Quindi, il card. Ranjith punta il dito contro le promesse non mantenute dall’autorità competente che, a causa di lungaggini burocratiche, non ha ancora avviato la ricostruzione. “Nel frattempo – sottolinea il porporato – la popolazione continua a soffrire i danni di un futuro incerto”, mentre vive accampata “in tende di fortuna”. Di qui, l’appello a velocizzare i lavori, così da “aiutare con urgenza le persone, affinché possano tornare ad una vita normale”.

Ancora ignote le cause dell’incidente
Deflagrato il 6 giugno scorso, l’incendio si è sviluppato nella base dell'esercito di Salawa, nel distretto di Kosgama, a 46 chilometri dalla capitale Colombo. Le fiamme si sono poi estese al deposito di munizioni, producendo detonazioni avvertite a chilometri di distanza. Ancora ignote le cause dell'incidente, che ha provocato una vittima, alcuni feriti e numerosi intossicati. (I.P.)

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Il 14 settembre l’Africa sarà consacrata alla Divina Misericordia

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Giovedì 14 settembre sarà una data importante per l’Africa: in quel giorno, infatti, l’intero continente sarà consacrato alla Divina Misericordia. La celebrazione avverrà nell’ambito del terzo Congresso per l’Africa ed il Madagascar sulla Divina Misericordia (Amacom) in programma a Kigali, in Rwanda, dal 9 al 15 settembre. All’evento prenderà parte, in qualità di Inviato speciale del Papa, il card. Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshsa, in Repubblica democratica del Congo.

Divina Misericordia, fonte di speranza per nuova evangelizzazione
“Il Congresso – spiega padre Stanislas Filipek, coordinatore dell’Amacom – offrirà la possibilità di una riconciliazione radicata nella misericordia”. Incentrato sul tema “La Divina Misericordia, fonte di speranza per la nuova evangelizzazione in Africa”, il convegno si inserisce, naturalmente, nel contesto del Giubileo straordinario della misericordia, indetto da Papa Francesco ed in corso in tutto il mondo fino al 20 novembre prossimo. “Speriamo – continua padre Filipek – che questo congresso possa offrire a tutti i partecipanti un momento di preghiera, di riflessione, di approfondimento della fede in Dio, ma anche la possibilità di essere in comunione nella diversità”.

Pellegrinaggio a Kibeho, la “Lourdes d’Africa”
Oltre all’atto di consacrazione dell’intero continente africano alla Divina Misericordia, l’Amacom vedrà anche un altro grande evento: il pellegrinaggio di tutti i partecipanti al Santuario della Madonna Addolorata a Kibeho, che si terrà il 15 settembre. Conosciuta come “la Lourdes d’Africa”, la località commemora le apparizioni della Vergine Maria ad alcuni giovani, avvenute tra il 1981 ed il1989. Infine, in preparazione al congresso, che sarà ospitato dalla Chiesa della Divina Misericordia di Kigali, si terrà anche una speciale novena di preghiera. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 199

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.