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Sommario del 18/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa telefona a Nizza: Celi, da Francesco forza e speranza

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Solidarietà, vicinanza, conforto e preghiera per tutte le persone colpite dalla strage del 14 luglio a Nizza. È quanto espresso, in una telefonata, da Papa Francesco al presidente dell'associazione “Amitié France-Italie”, Paolo Celi, e al sindaco della città, Christian Estrosi. Intanto la Francia ha osservato oggi un minuto di silenzio. Il servizio di Giada Aquilino

Dio “disperda ogni progetto di terrore e di morte”, affinché “nessun uomo osi più versare il sangue del fratello”. Da Piazza San Pietro alla Promenade des Anglais, ancora oggi toccano fortemente gli animi le parole di Papa Francesco, che ieri all’Angelus ha espresso il proprio dolore per il massacro del 14 luglio scorso a Nizza. Stamani la Francia si è fermata per un minuto di silenzio in memoria delle oltre 80 vittime. Nella località della Costa Azzurra, il raccoglimento è partito alle 11.45, con circa 15 mila persone. Una vera e propria marea umana si è dunque ritrovata al Monument du Centenaire, a pochi passi dalla Promenade des Anglais. Presenti alla cerimonia il premier Manuel Valls e le autorità locali, con il sindaco della città, Christian Estrosi, e il presidente dell’associazione di amicizia Italia-Francia, Paolo Celi. Entrambi hanno ricevuto la telefonata di Papa Francesco. Lo racconta lo stesso Paolo Celi:

R. – Non mi aspettavo assolutamente la telefonata. Quando ho risposto, ho sentito: “Paolo, sono Papa Francesco”. C’è stato un momento di silenzio da parte mia! Poi ovviamente mi ha invitato a portare a tutta la città di Nizza, a tutte le famiglie delle vittime, il suo messaggio di solidarietà, di conforto dicendo: “Cosa posso fare?”.

D. – Francesco le ha annunciato che incontrerà i parenti delle vittime?

R. - Abbiamo anche parlato – siamo stati diverso tempo al telefono – di un incontro a Roma in un futuro prossimo, senza fissare ancora una data.

D. - Il Pontefice ha sentito anche il sindaco di Nizza. Quale riflessione ne è nata sul dolore, sul sangue versato?

R. - Christian Estrosi per primo ha visto veramente con i suoi occhi delle immagini incredibili. Il Santo Padre gli ha ridato l’energia necessaria in questa situazione. Quella del Papa è stata una telefonata che ha dato conforto a migliaia di persone che si adoperano per alleviare il dolore. È stata veramente fondamentale.

D. - Nelle ultime ore la commorazione a pochi passi dalla Promenade des Anglais. Qual è la sua testimonianza?

R. - Questo minuto di silenzio, questo raccoglimento è stato veramente commovente; c’è stata una partecipazione incredibile da parte della popolazione. Al momento della Marsigliese veramente erano tutti in lacrime.

D. - I fiori, i biglietti, i peluche che ancora sono sulla Promenade a coprire le macchie di sangue delle vittime. Cosa rimarrà?

R. – Rimarrà nel cuore di tutti, perché sono immagini che non potremo mai dimenticare. Ma il Santo Padre con le sue parole, con il suo conforto, può alleviare questo brutto ricordo per ridare vigore e voglia di speranza a tutte queste persone.

Alla cerimonia di questa mattina alla Promenade des Anglais ha partecipato anche don Federico Andreoletti, della Missione cattolica a Nizza:

R. – C’era davvero tantissima gente. Sono passato prima a vedere dove c’erano i segni del sangue delle vittime: c’erano i fiori, tantissimi, dei peluche per i bambini...  È proprio una cosa molto commovente. Quando sono arrivati i politici, sono stati un po’ fischiati. C’erano poi tutti i rappresentanti delle varie religioni, delle confessioni cristiane e anche tanti sacerdoti. Poi c’è stato qualche minuto di applausi, soprattutto per i pompieri – cioè quelli che hanno fatto assistenza alle vittime e che hanno lavorato quella notte – insieme agli infermieri che erano con loro.

D. – Tanta commozione tra la gente…

R. – Tantissima proprio! Poi, dopo il minuto di silenzio, hanno intonato “La Marsigliese”. È stata una cosa che ha colpito davvero: le persone erano molto raccolte, tante piangevano ancora, forse perché toccate dentro dalla tragedia che c’è stata giovedì sera. Risplende adesso un bel sole su Nizza, però cancellare dalla mente della gente e dalla memoria i segni delle morti e dei feriti sarà difficile.

D. – Il Papa all’Angelus ha detto: “Dio disperda ogni progetto di terrore e di morte affinché nessun uomo osi più versare il sangue del fratello”. È stata in un certo senso ripetuta questa preghiera del Pontefice lì a Nizza?

R. – Durante le mie Messe, ho personalmente pregato secondo queste parole del Papa. Certo, se ci fosse un po’ più di fede in Dio, ci sarebbe forse anche più rispetto della persona, di tutti. E invece, soprattutto qui in Francia, non si crede più a niente! E quindi è facile che tanti arrivino a questi gesti, anche se sono di un’altra religione, ma perché appunto non c’è una fede profonda. Le comunità islamiche qui hanno condannato fortemente questi gesti così inumani e mortali.

D. – Nelle Messe, qual è stata la preghiera?

R. – Ho letto prima il comunicato del nostro vescovo, alla fine del quale invitava noi cristiani a guardare all’amore di Cristo, all’esempio di Lui, e anche ad andare oltre questi gesti così tragici. E poi, con le parole del Papa, abbiamo pregato per le vittime; per coloro che hanno prestato soccorso; per le famiglie che sono state colpite e che soffrono per i morti come pure per i feriti.

Proseguono intanto le indagini sul killer, Mohamed Lahouaiej Bouhlel. Si ripercorrono movimenti e contatti del franco tunisino, mentre i sette fermati nell’inchiesta sono stati trasferiti al quartier generale dell'antiterrorismo alle porte di Parigi.

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Papa ai giovani: Gesù è l'unico che dà risposta a vostra inquietudine

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Papa Francesco, a pochi giorni dalla sua partenza per Cracovia in occasione della Giornata mondiale della gioventù, ha inviato un videomessaggio ai giovani partecipanti all’evento intitolato “Insieme 2016”, svoltosi sabato a Washington, negli Stati Uniti. L’iniziativa, a carattere ecumenico, è stata organizzata dal movimento di preghiera ed evangelizzazione “Pulse” fondato da Nick Hall. Ce ne parla Isabella Piro: 

“Cari giovani, so che c’è qualcosa, nei vostri cuori, che vi agita e che vi rende inquieti, perché un giovane che non è inquieto è un vecchio”, dice Francesco nel suo videomessaggio in spagnolo, perché “la gioventù crea inquietudine”. “Ma qual è la tua inquietudine?” domanda il Papa, rivolgendosi ad ogni singolo giovane. Di qui, l’invito a partecipare all’incontro di Washington “per incontrare una Persona”, Gesù, che è l’unico che “può dare una risposta a tale inquietudine”. “E stai sicuro, te lo garantisco: non ti sentirai frustrato – aggiunge Francesco – Dio non delude nessuno”. Quindi, il Pontefice sottolinea: “Gesù ti aspetta, è Lui che ha piantato nel tuo cuore i semi dell’inquietudine”. “Forza! Non hai nulla da perdere. Prova! E poi chiamami”, conclude il Papa.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Dio disperda i progetti di terrore: all'Angelus il Papa ricorda la strage di Nizza.

Corsa contro il tempo: Charles de Pechpeyrou sulle rispsote di Parigi alla crisi migratoria.

Case al posto di cannoni: Paolo Portoghesi sull'opera dell'architetto Corbusier dichiarata patrimonio dell'Unesco.

Magnifico mistificatore: Gabriele Nicolò su una mostra a Washington, dedicata la pittore francese di rovine Hubert Robert.

Ho da lasciare soltanto l'amore: testamento spirituale del cardinale Silvano Piovanelli.

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Oggi in Primo Piano



Turchia: oltre 7500 arresti. Ue: no a pena di morte per golpisti

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In Turchia si stringe il cerchio contro tutti gli esponenti dello Stato e delle forze di sicurezza sospettati di aver partecipato al tentativo di golpe, fallito nella notte tra venerdì e sabato scorsi. Dopo militari e giudici le purghe hanno colpito la polizia. Oltre 8.700 dipendenti del ministero dell’interno sono stati sollevati dai loro incarichi mentre  sono già state arrestate oltre 7.500 persone e altre migliaia di ordini di arresto sono in attesa di esecuzione. Intanto l’Europa minaccia di bloccare le trattative di adesione all’Ue di Ankara qualora sia ripristinata la pena di morte per i golpisti. Il servizio di Marco Guerra: 

Il giro di vite contro i golpisti colpisce ogni ordine e grado della sicurezza nazionale. 7.900 i poliziotti sospesi; stesso provvedimento per 30 degli 81 prefetti di tutto il Paese. 103 tra generali e ammiragli dell’esercito sono già finiti in manette; un terzo del totale degli alti ufficiali con questi gradi militari in Turchia. Tra questi Akin Ozturk, ex numero uno dell’Aviazione, considerato il vero promotore del mancato golpe. Tra gli arresti si annoverano anche, circa 6.000 soldati, 755 tra giudici e procuratori, e 650 civili. Aggiornato anche il numero di vittime della notte di violenza, 312 i morti e 1.491 i feriti. 104 sono i soldati golpisti uccisi. E in queste ore destano preoccupazione le foto choc dei militari catturati e tenuti nudi e legati mani e piedi. A questo si aggiunge la censura: 20 i siti web oscurati.

Usa e Ue chiedono rispetto dei diritti umani
Il Segretario di Stato Usa John Kerry si schiera a fianco di Erdogan, si dice pronto ad aiutare la Turchia a trovare i responsabili, ma invita a rispettare lo Stato di diritto. E riguardo alla polemica sulla permanenza negli Usa di Fetullah Gulen, l’ex imam schierato contro Erdogan, Kerry esorta la Turchia ad inviare prove di un suo supporto al colpo di Stato.  Nelle stesse ore, il portavoce della Merkel e l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue Federica Mogherini, hanno condannato  le scene di vendetta e avvisato il governo turco che la reintroduzione della pena di morte significherà lo stop immediato per le trattative di ingresso di Ankara nell’Ue. Intanto in Turchia resta altissima la tensione; un uomo in uniforme militare è stato ucciso lunedì mattina dopo che aveva aperto il fuoco nei pressi del tribunale di Ankara. 

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Caracciolo: Erdogan rafforza il potere ma si scontra con Usa e Ue

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Sul fallito golpe in Turchia potrebbero arrivare presto particolari inediti. “Preparatevi per uno scontro perché pubblicheremo oltre 100 mila documenti sulla struttura del potere politico della Turchia”, annuncia Wikileaks, in un post pubblicato in inglese e in turco sul suo account Twitter. Ma fino a quando andrà avanti il ‘giro di vite’ delle forze di sicurezza avviato dal Presidente Erdogan e quali ripercussioni ci saranno nei rapporti con le diplomazie internazionali? Marco Guerra lo ha chiesto a direttore di Lines, Lucio Caracciolo: 

R. – Non si fermeranno finché Erdogan non sarà perfettamente sicuro di controllare tutti gli apparati dello Stato: quindi Polizia, magistratura, Forze Armate. Chiaramente l’obiettivo finale di Erdogan è quello di consolidare il suo potere personale, anche in vista del suo obiettivo strategico e cioè di festeggiare il centenario della Repubblica Turca, nel 2023, da padrone assoluto del Paese.

D. - Molti analisti si dividono nel dire che questo golpe ha rafforzato il potere di Erdogan, altri affermano che in realtà è un campanello d’allarme…

R. – Sono vere tutte e due le cose: nell’immediato esce rafforzato sicuramente il potere di Erdogan, ma è anche evidente che non può dormire sogni tranquilli e che, comunque, un qualche prezzo lo dovrà pagare, dato che il suo controllo del Paese non potrà mai essere totale, come invece desidera.

D. – Come ne escono il rispetto dello Stato di diritto, il principio della divisione dei poteri e il principio della laicità dello Stato nella Turchia di oggi?

R. – I tre aspetti che lei ha nominato non esistono oggi ed esisteranno ancora di meno domani!

D. – La Turchia viene da rapporti molto turbolenti con la Russia e altri partner regionali. La questione di Gulen rischia di aggiungere Washington tra i fronti di crisi?

R. – I rapporti con Washington sono sempre stati piuttosto complicati e questa vicenda li complica ulteriormente. E’ chiaro che quanto tu definisci “nemico” un Paese che ospita Gulen, colui cioè che – a sentire Erdogan – è il responsabile del tentativo di colpo di Stato, cambia un po’ tutto: non puoi essere contemporaneamente nemico e alleato!

D. – L’Unione Europea oggi si riunirà: ci sono da immaginare anche ripercussioni nei rapporti con i Paesi europei?

R. – Sarà interessante vedere soprattutto se ed eventualmente in che misura terrà l’accordo concordato con la Germania, ma firmato dagli europei, per cui Erdogan – in cambio di varie concessioni  - si tiene in casa tre milioni di profughi…

D. – Sarà interessante capire, però, se anche sulla crisi siriana ci saranno cambiamenti di atteggiamento?

R. – Sì la mia impressione è che Erdogan cercherà, nei prossimi mesi, di tornare ad una posizione più prudente, dato che l’obiettivo è di scalzare Assad è ormai assolutamente irrealistico.

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Assedio ad Aleppo: è emergenza umanitaria per i civili

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Dopo la strage di Nizza, la Francia è tornata a bombardare in Siria e in Iraq le postazioni del sedicente Stato islamico. Ad annunciarlo il ministro francese della Difesa Le Drian, con l’intento - ha detto - di “annullare la presenza dell’Is” in questi due Paesi e “sradicare questo cancro”. Peggiora, intanto, la situazione umanitaria in Siria, specie ad Aleppo, occupata dai ribelli e assediata dalle forze governative, che hanno tagliato l’ultima via di accesso alla parte orientale della città, dove secondo l’Onu, risiedono ancora circa 300 mila persone, che mancano di tutto. Gioia Tagliente ha intervistato Francesca Borri, giornalista di guerra che da anni segue il conflitto in Siria: 

R. –  Sono completamente circondati e naturalmente sono sotto bombardamento, progressivamente ridotti alla fame.

D. –  La Siria è piombata in un inferno senza fine: qual è il volto dei ribelli oggi?

R. – Sono completamente diversi da quelli che erano all’inizio.

D. – Cinque anni di conflitto: com’è cambiata la Siria? 

R. – La Siria è letteralmente in macerie e la cosa più pericolosa è che, in realtà, la frammentazione di cui parliamo tanto, tra i gruppi ribelli, si ha anche dal lato del governo di Assad: anche lui è sostenuto e quindi manovrato da altri Paesi, come la Russia o l’Iran. Questo è il vero problema: il destino della Siria, da entrambi i lati del fronte, non è più nelle mani dei siriani.

D. – Tu racconti la Siria dalla Siria: cosa vuoi dire?

R. – In questo momento è difficile dire qualsiasi cosa. La guerra non sta finendo, purtroppo sta finendo Aleppo. Però, la fine di una guerra in questo modo, ossia senza in realtà andare a capire quali siano state le sue cause, è solo il preambolo di una guerra successiva. 

D. – Come intervenire? 

R. – In realtà, bisognerebbe non intervenire, perché sono intervenuti tutti in Siria, contrariamente alle apparenze. E quindi il problema è finirla di rifornire di armi entrambe le parti. Il problema è agire in modo radicalmente diverso: proprio perché è una guerra spinta dall’esterno, sono gli attori esterni che sostanzialmente hanno in mano la possibilità di dire “basta!".

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Usa: al via convention Repubblicani, tensione dopo Baton Rouge

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Al via oggi a Cleveland, in Ohio, la Convention dei Repubblicani che dovrà ufficializzare la candidatura di Donald Trump alla Casa Bianca. Ingenti le misure di sicurezza per l’appuntamento che durerà quattro giorni e che vedrà la partecipazione di almeno 50 mila persone. Ma quale sarà l'impatto sulla sicurezza e l'ordine pubblico dopo i tragici fatti di Baton Rouge? Eugenio Bonanata ne ha parlato con Tiziano Bonazzi, docente di storia americana all'Università di Bologna: 

R. – L’impatto delle vicende di Baton Rouge, prima ancora di quelle di Dallas, è stato violentissimo negli Stati Uniti e non ha fatto altro che dividere ulteriormente un’America che è già spaccata. Trump ha scelto una strada diretta, immediata perché ha capito che ormai tra lui e i Democratici c’è uno scontro ideologico. Per cui si è dichiarato il candidato “law and order”, cioè il candidato che difenderà ad ogni costo l’ordine e la legge negli Stati Uniti, anche se poi la cosa non è facilissima, perché i poteri dei presidenti americani sulle polizie locali è assolutamente nullo.

D. – Quale sarà, invece, l’impatto della Convention dei repubblicani a livello di ordine pubblico?

R. – Trump è sempre stato molto violento verbalmente nei confronti dei suoi oppositori ai suoi discorsi e alle sue manifestazioni; ha sempre avuto dei vigilantes che hanno escluso ogni possibilità di dissenso. Questo è piaciuto: diciamo la verità. Questo, a moltissimi americani, è piaciuto! Lo stesso avverrà alla convenzione di Cleveland, nel senso che ogni opposizione, ogni voce dissidente sarà quasi certamente messa ai margini o addirittura zittita completamente. Naturalmente, c’è una cosa molto nota: si può circolare armati, alla convenzione, ma anche questo fa molto piacere alla base repubblicana e la fa sentire più sicura. Questo è il paradosso... E’ evidente che la cosa non potrà far altro che approfondire il solco fra gli americani o – se vuole – tra le due Americhe.

D. – Professore, qual è il valore politico della Convention dei repubblicani?

R. – Il valore della Convention è sempre estremamente alto: questo è il momento in cui i partiti americani che sono – come si sa – estremamente decentrati, sono più coalizioni di partiti statali se non addirittura di partiti locali, arrivano finalmente ad avere una loro unità attorno al nome del candidato. E questo è anche una conseguenza del presidenzialismo al posto del parlamentarismo: un candidato-presidente è un candidato attorno a cui si debbono unire i tanti rivoli, se non i tanti fiumi, che compongono sia il Partito Repubblicano che il Partito Democratico.

D. – Cosa dire dell’assenza annunciata di diversi personaggi importanti del mondo repubblicano?

R. – Vuol dire che sono totalmente sconfitti e per il momento fuori da partito; nel senso che sono stati fatti fuori completamente alle primarie, hanno cercato di mettere in piedi un movimenti anti-Trump che avesse un qualche peso all’interno della convenzione e hanno assolutamente fallito, per cui non avranno spazio, non avranno voce, non avranno voti all’interno della convenzione. Il Partito Repubblicano, come è al momento – come dicono i commentatori americani – è “trumpified”, cioè reso del tutto simile a Trump.

D. – Cambierà la retorica nei confronti degli avversari democratici?

R. – Sono cose che vengono decise dagli strateghi elettorali e essere uno stratega elettorale negli Stati Uniti è una professione assolutamente specializzata: è difficile dirlo. La cosa che sappiamo è che negli ultimissimi tempi – e lo si è visto proprio nella “platform” – Trump si è molto avvicinato alle ali estreme del Partito Repubblicano e anche la scelta come candidato vicepresidenziale del governatore dell’Indiana, Mike Pence, che è un vecchio conservatore estremamente noto ed estremamente importante all’interno del partito, non ha fatto altro che consolidare il conservatorismo estremo che era stato espresso dal movimento “Tea Party” e non solo, ma in generale è espresso da quella rivolta di base contro tutto ciò che è “élite”, contro tutto ciò che non è popolano, contro tutto ciò che non riflette la pancia profonda del Paese e dei Repubblicani, che abbiamo visto manifestarsi.

D. – Qual è per il momento la posizione dei Democratici e della Clinton?

R. – La Clinton, la stanno grigliando a fuoco lento: questo è il punto. In una situazione estremamente difficile, estremamente complessa sia per lo scandalo delle e-mail in cui sicuramente ha commesso non solo degli errori ma molto probabilmente qualcosa di peggio, e questo la indebolisce; secondo, lo scontro razziale violento che si è manifestato negli ultimi tempi negli Stati Uniti sicuramente non farà altro che consolidare attorno a lei la minoranza nera, ma le renderà sempre più ostile una parte crescente dell’opinione pubblica bianca, non solo quella che era già repubblicana ma forse anche parecchi indipendenti, spaventati dall’assenza di ordine, da questa rivolta di base. Certo, può avvenire anche il contrario: tutto dipende da come si svolgerà la campagna elettorale. Sicuramente, queste sono le elezioni più polarizzate nella storia americana da decenni; forse le più polarizzate e le più ideologizzate in assoluto.

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Centrafrica. Parroco cattedrale: chi non vuole la pace non vincerà

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In Centrafrica, la situazione continua a restare tesa dopo gli ultimi episodi di violenza che fanno temere un riaccendersi del conflitto civile. Numerosi progetti umanitari sono stati sospesi, mentre la siccità sta creando nuovi problemi ad una situazione economica già difficile. Sergio Centofanti ne ha parlato con don Mathieu Bondobo, parroco della Cattedrale di Bangui, che durante il viaggio del Papa nel Paese, nel novembre scorso, ha tradotto nella lingua locale, il sango, le parole di Francesco: 

R. – La situazione ora è un po’ fragile: a volte ci sono degli episodi violenti, che fanno compiere un passo indietro nella ricerca della pace in Centrafrica. Ma riguardo a tutto questo, devo dire in modo chiaro che dalla visita del Santo Padre in Centrafrica la situazione è migliorata molto: ci sono tanti impegni e tanti sforzi in favore della pace, anche se – ripeto – la situazione è ancora fragile. Però ci auguriamo che un giorno arriveremo a questa pace, tanto desiderata dal popolo del Centrafrica.

D. – Perché ci sono queste tensioni?

R. – Bisogna dire anche la verità: c’è gente che non vuole la pace; c’è gente che – in modo paradossale – vuole la guerra, perché vivono bene. Io ricordo bene quello che il Santo Padre ci diceva: la pace è una cosa artigianale e ci vuole quindi l’impegno di tutti quanti. Ma bisogna trovare il modo per costruire dei ponti per riuscire ad entrare in dialogo con quelli che non vogliono la pace.

D. – C’è chi vuole strumentalizzare la religione. Qual è il rapporto, oggi, tra cristiani e musulmani?

R. – Il rapporto tra cristiani e musulmani in Centrafrica è da sempre un rapporto pacifico e siamo sempre riusciti a coabitare. E’ vero che questa guerra è strumentalizzata, ma è anche vero che riusciamo sempre a non dimenticare la storia di questo popolo: ricordare la propria storia è un fatto molto importante. Nella storia siamo sempre riusciti a vivere insieme e quindi perché dobbiamo combatterci ora? Credo che la visita del Santo Padre sia stata un momento molto forte per far capire ad ogni religione il proprio ruolo nella società: il Papa è venuto non solo per i cattolici, ma per tutti quanti! E’ venuto dai cattolici, è andato dai protestanti, è andato dai musulmani: un modo per dire che siamo fratelli. E il Santo Padre lo ha ripetuto in modo forte: “Siamo fratelli, figli dello stesso Dio”. E questo aiuta la religione ad essere al di sopra di tutto quello che succede. Perché se la religione è in favore della guerra, è la fine della religione stessa: la religione vuole la pace, perché Dio è pace!

D. – Da un punto di vista umanitario, qual è la situazione?

R. – Ci sono ancora dei seri problemi, perché c’è ancora gente che vive fuori dalla propria casa, perché la casa è distrutta e non sa dove andare. Quindi di campi di fortuna ce ne sono ancora nella capitale, vicino all’aeroporto, nella parrocchia di San Salvatore; anche nel Seminario Maggiore ci sono ancora delle persone che vivono lì… La situazione umanitaria – secondo me – è ancora critica e c’è molto da fare. Però la speranza di arrivare ad una situazione migliore c’è sempre! Ricordo quello che un mio amico italiano mi diceva un giorno: non si può costringere un popolo a vivere senza speranza, perché è peggio della schiavitù. Quindi la speranza ce l’abbiamo ed è per questo che stiamo lavorando tanto, per dare a quelli che hanno perso casa e una vita dignitosa. La speranza di uscire da questa situazione c’è ed è quello che fa vivere la gente.

D. – C’è il pericolo che riesploda la guerra?

R. – Il pericolo c’è, è vero… Però sarà difficile arrivare proprio alla guerra, perché abbiamo vissuto delle cose terribili e nessuno vuole fare un passo indietro per rivivere queste cose. Il pericolo c’è perché ci sono ancora armi, c’è tanta gente che possiede in modo illegale le armi e non siamo arrivati a disarmare queste persone. E quindi il fatto di avere le armi è già un pericolo. Però – ripeto – nessuno vuole fare un passo indietro, perché abbiamo vissuto delle cose terribili in Centrafrica. Quindi sì, il pericolo c’è, però il bene che abbiamo nel nostro cuore trionferà sul male. 

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Marocco: Mohammed VI chiede il ritorno nell’Unione Africana

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“È tempo che il Marocco rientri nella famiglia dell’Unione Africana”. Questa la richiesta di re Mohammed VI formalizzata in un messaggio indirizzato al 27.mo summit dei capi di Stato africani appena concluso in Rwanda. Il Paese aveva lasciato l’Ua oltre 30 anni fa, in seguito al riconoscimento del Sahara occidentale nelle mani degli indipendentisti del Fronte Polisario da parte dell’organismo sovranazionale. Per un commento sulla notizia, Roberta Barbi ha raggiunto Fabrizio De Longis, giornalista esperto dell’area nordafricana: 

R. - È una buona notizia, prima di tutto perché l’ingresso in queste organizzazioni sovranazionali comporta una stabilità maggiore dei territori e il Marocco, in particolare, è coinvolto da alcuni anni – dal 2011 – da una serie di processi che stanno cercando di portare una maggiore stabilità nel Paese, nell’area, e di inquadramento di partnership economiche. Questa richiesta di tornare nell’Unione Africana va inquadrata soprattutto nelle esigenze del Marocco di dare una risposta alla situazione del Sahara e a quella che è la stabilità del movimento del Fronte Polisario dopo la morte del leader Mohammed Abdel Aziz, il 31 maggio scorso. In questo momento Mohammed VI sta provando, invece, a stabilizzare l’area sotto l’influenza del Marocco, soprattutto perché il Fronte Polisario, nei campi profughi presenti nella vicina Algeria, si sta sempre più avvicinando alla radicalizzazione dell’Islam e all’Is.

D. - Il Marocco lasciò l’Unione Africana nel 1984 in polemica con il riconoscimento da parte di quest’ultima dell’indipendenza del Sahara occidentale guidato dagli indipendentisti del Fronte Polisario. A che punto sono oggi i rapporti?

R. - Sono in stallo proprio per la morte di Mohammed Abdel Aziz. Questo sta dando spazio a movimenti - soprattutto tra i più giovani - di radicalizzazione dell’Islam che hanno base nei campi profughi algerini.

D. - Sulla decisione può avere influito la recente ascesa di Brahim Ghali a segretario del Fronte e presidente dell’autoproclamata Repubblica araba democratica saharawi?

R. - Assolutamente sì. Il passaggio di richiesta di ritorno all’Unione Africana avviene dopo quello che è stato invece l’iter di ingresso nell’Alleanza del Golfo che dal 2011 vede il Marocco sotto l’egida dell’Arabia Saudita - che è il primo partner di esportazione e importazione - proprio nell’ottica di fermare i movimenti radicali islamici e non per caso il Marocco ha chiesto, nel processo di rientro nell’Unione Africana, che il suo “advisor” sia il Kenya. Tutti e tre i Paesi - Arabia Saudita rispetto allo Yemen, il Kenya rispetto alla Somalia e il Marocco rispetto ai movimenti indipendentisti - hanno un grande problema nella gestione della radicalizzazione dell’Islam legato all’Is.

D. - Al Fronte Polisario è venuto meno negli anni anche il tradizione appoggio di Libia e Algeria. Anche questo è stato motivo di distensione?

R. – È stato un motivo di distensione con Mohammed VI, perché comunque un Fronte non riconosciuto dalla Stato marocchino e indipendentista non trovi più l’appoggio di nazioni costituite, distende indubbiamente i rapporti fra queste nazioni, tra Marocco, Algeria e Libia. Questo è conseguente alla nuova ristrutturazione dell’Algeria che sta cercando di dare un nuovo impulso economico alla situazione libica, ma va anche osservato, con grande importanza, quello che è il ruolo, oggi, in quell’area della Russia. Sappiamo che più del 50% delle importazioni agricole di verdura e il 30% di frutta della Russia arrivano direttamente dal Marocco.

D. – “È giunto il momento per il Marocco di trovare il suo posto naturale dell’Ua”, queste le parole del sovrano. Quale può essere il ruolo del Marocco in un Nord Africa in cui si è affacciato anche lo Stato islamico, pensiamo alla situazione in Libia e agli attentati in Tunisia?

R. - Il Marocco, vista la situazione in Nord Africa, può realmente diventare un soggetto di forte stabilizzazione e internazionalizzazione dell’area, perché è uno Stato che dal 2011 ha visto l’ingresso di fondi sovrani dal Golfo con investimenti che sono passati da due a cinque miliardi annui in infrastrutture – quindi stabilizzazione economica -, sta entrando nel Consiglio di Cooperazione del Golfo, ha un dialogo privilegiato con tutta quella che è l’area dell’Ex Unione Sovietica a partire dalla Russia e  può averlo con i Paesi del Mediterraneo. È un ruolo che prima giocavano insieme Egitto e Libia. Noi sappiamo che l’Egitto è in forte crisi, che ha gravi problemi, la Libia è nella situazione che conosciamo dovuta alla guerra, l’Algeria è in un momento non dico di isolamento, ma di chiusura maggiore per la risoluzione di problematiche economiche interne. Questo sta portando il Marocco a poter essere un grande soggetto di dialogo. Ed è per questo che l’Unione Africana sta guardando con interesse il suo ingresso nell’area, anche se Mohammed VI ha chiesto di poter rientrare senza nessun tipo di sanzione e senza nessun tipo di problema.

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Card. Sepe: senza etica la politica spoglia la società

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Vestire coloro che sono spogliati della loro dignità, dei loro diritti, di privacy e di rispetto, di considerazione e di speranza. E’ questa l’opera di misericordia che promuove l’arcidiocesi di Napoli dopo l’intenso lavoro fatto negli ultimi due anni. Nella lettera pastorale, intitolata “Vestire gli ignudi", il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo della città, illustra questo cammino. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Dopo le prime opere di misericordia mosse dal proposito di “dar da mangiare agli affamati” e dall’intento di “dar da bere agli assetati”, il nuovo compito che coinvolge la Chiesa di Napoli è “vestire gli ignudi”. E’ un cammino che prosegue nel solco di un piano pastorale rivolto “agli ultimi, ai più fragili”. Lo spirito di “dar da bere agli assetati” è entrato in molte coscienze.

Dar da bere agli assetati
Sono infatti numerose le iniziative promosse, tra l’altro, da parrocchie e associazioni. Tra queste, lo sviluppo dei centri di ascolto della Caritas, l’incremento dell’offerta di pasti per i poveri e il servizio docce per quanti vivono in strada. Altre preziose iniziative sono la “Farmacia solidale, per la distribuzione di farmaci ad indigenti, e l’opera di sostegno rivolta alle famiglie di detenuti.

Da Napoli all’Africa
Si è avviata, poi, la preparazione di operatori da destinare ad ambiti complessi come quelli delle ludopatie, delle tossicodipendenze e dell’usura. Ma non è solo il territorio di Napoli ad essere al centro di questa grande attenzione caritativa. L’orizzonte di questa ricca attività pastorale coinvolge anche popoli lontani e sofferenti. Tra i vari progetti c’è, in particolare, quello di realizzare un pozzo in Africa.

Vestire gli ignudi
Il cammino che abbiamo di fronte – si legge infine nella lettera pastorale del cardinale Sepe – è ancora lungo e impegnativo. Il proposito di quest’anno è “vestire gli ignudi”, restituire all’altro la sua identità. “Vestire è, in fondo, sostare con rispetto davanti a un essere umano per ricoprirlo di stoffa e ammantarlo di dignità”. “E’ la strada della carità che ci invita a vestire gli ignudi”.

Nelle nostre città, tra cui Napoli, vivono persone spogliate di tutto a causa di indigenza estrema, violenze, viaggi della disperazione. Chiedono di essere ricoperti di vita e di bellezza. Ma chi sono gli ignudi da vestire? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto all’ arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe: 

R. – Il mondo ignudo è un mondo immenso. Ignudo è, innanzitutto, chi non ha materialmente di cosa vestirsi: pensiamo ai clochard, ai senzatetto. A questa nudità materiale corrisponde una schiera, ancora più folta, di nudità spirituale, psicologica: sono quelli che non hanno più nessun valore che possa coprire la loro esistenza umana, sociale. C’è poi la nudità di tante donne che sono violentate, quella di tanti bambini violentati. C’è la nudità di tanti che vengono sfruttati nelle maniere più diverse possibili, senza parlare poi della nudità nelle famiglie: quante famiglie sono nude, cioè non hanno più niente con cui affrontare i problemi! Sono nudi i tanti giovani – e non solo giovani – che non hanno un lavoro: nudi di lavoro, nudi di occupazione, nudi di sogni, perché sono i sogni che vengono infranti e che non vengono coperti da nessuno. E’ necessario che questa opera di misericordia – “vestire gli ignudi” – divenga coscienza dei cristiani, non solo dei cristiani, ma di tanti uomini di buona volontà che sono coinvolti nella responsabilità di dare un vestito di dignità a queste realtà. 

D. – A proposito di questo, nella sua lettera pastorale lei sottolinea che è necessario puntare a una forma più alta di carità, quella che attraverso l’impegno socio-politico mira proprio al bene comune. Ma la politica, chiamata a un impegno così alto, sembra, in molti casi, dimenticare il Sud, considerarlo solo una periferia e non in quella dimensione virtuosa degna di attenzione, più volta ricordata dal Papa … 

R. – E’ proprio la mancanza di responsabilità a tutti i livelli: a livello personale, a livello di quartiere, anche a livello di città, ma soprattutto a livello istituzionale che lascia la società nuda. Perché? Perché non fanno il bene della società, non fanno il bene comune, non fanno il bene degli altri. Quando ci si arrocca sui propri privilegi, sulle proprie preoccupazioni partitiche e non si pensa, invece, di dare valore, di dare dignità alla società, alla comunità, allora è chiaro che questa comunità rimane nuda. Lasciare la popolazione nuda di valori, di dignità significa anche provocare, in una maniera che può essere anche pericolosa, una reazione sociale che può portare, appunto, a conseguenze veramente gravi. 

D. – E’ allo studio la possibilità di donare alloggi di proprietà dell’arcidiocesi di Napoli a quanti non riescono più a sostenere le spese per l’affitto? 

R. – Sì, io parlo solo di quei beni che sono della diocesi. Noi abbiamo tanti casi di persone che occupano queste case. Va bene, io ho detto: nessuna difficoltà a poter donare queste case, naturalmente pagando almeno le tasse una volta diventati proprietari di queste case, così come è un dovere di tutti. 

D. – Attenzione alla famiglia, nuove opportunità di lavoro e una cittadinanza responsabile: sono queste le “coperte” di cui oggi, in particolare, ha bisogno Napoli? 

R. – Una famiglia rivestita di dignità che trovi nella carità, nell’amore, nella donazione, un giovane che si sente accompagnato, che si sente aiutato dalla Chiesa, dalla scuola, dalla società a realizzare le proprie aspirazioni: sono queste le cose che di fatto condizionano la vita e anche la crescita sociale, culturale, morale e religiosa della nostra comunità.

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Disabile picchiato. Ileana Argentin: vigliacco non intervenire

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Il recente episodio di violenza ai danni di un disabile in Sardegna, con un video postato sui social, riapre il dibattito sui casi di violenza e discriminazione verso persone diversamente abili, ma anche sull’indifferenza generale che spesso caratterizza questi problemi. Salvatore Tropea ha intervistato l'on. Ileana Argentin, deputato e membro del direttivo nazionale della Fish, la Federazione Italiana Superamento Handicap: 

R. – Sicuramente la paura di essere coinvolti incide moltissimo, però credo che ci sia un’indifferenza negli animi umani vergognosa, nel senso che di fronte ad una persona che ha delle difficoltà, siano queste fisiche – in questo caso parliamo di difficoltà mentali – credo che non intervenire sia un atteggiamento vigliacco e assolutamente scorretto dal punto di vista etico.

D. - Dal punto di vista legislativo, serve maggiore attenzione per la tutela alla sicurezza delle persone disabili e maggiori condanne per chi si rende protagonista di simili episodi violenti?

R. - È già prevista un’aggravante dal Codice penale quando si fa del male ad una persona con disabilità, però io credo che bisognerebbe mettere delle sanzioni più forti. Chi si approfitta dei più deboli va comunque punito. Il gradasso che l’ha picchiato, secondo me, a sua volta era un disabile mentale, visto che ha avuto bisogno di picchiare una persona debole per gratificarsi. Ciò che sconvolge veramente sono tutte le persone presenti che hanno fatto finta di nulla.

D. - Cosa porta una persona che assiste ad una violenza simile a filmare quanto sta accadendo anziché intervenire e poi addirittura pubblicarlo sulla rete quasi come fosse uno spettacolo?

R. - L’indifferenza, soprattutto il distacco da chi ha dei problemi. In questo mondo ormai chi è diverso viene escluso. Siamo tutti omologati nel sistema di uguaglianza e di parità rispetto a valori che sono quelli estetici, di immagine, … Per cui è una tendenza, fa moda: riprendo e mi sento alternativo, una persona in gamba, perché alla fine lo metto sul mio Facebook, avrò un sacco di visite. È la follia! Io non so come giudicare un atteggiamento del genere se non in modo folle. Io non sono una giustizialista, ma questa gente la punirei dal punto di vista etico. Proverei a far capire loro capire cosa significa essere in minoranza in un Paese dove solo chi è alto bello, biondo con gli occhi azzurri ha la meglio.

D. - Cosa fare per sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica?

R. - La scuola. Non c’è altro da fare: a scuola cominciare a parlare della disabilità come un patrimonio e non come un limite, non come una negatività. Penso sia un valore aggiunto; secondo me va spiegato fin da piccini che la disabilità è uno status di vita, non è solo una malattia, non sono soltanto camici bianchi. Ci vuole un’educazione alla diversità.

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Ad Acireale il progetto della diocesi "Cammini di fede"

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“Itinerari della fede-Cammini di fede”: è il progetto della diocesi di Acireale che coniuga fede e turismo e che vuole valorizzare il patrimonio culturale e religioso siciliano e offrire opportunità di lavoro ai giovani. Promosso dall’assessorato Tutismo, Sport e Spettacolo della Regione Sicilia è stato sostenuto fortemente dal vescovo di Acireale, mons. Antonino Raspanti. Lo illustra, al microfono di Tiziana Campisi, Anna Musmeci, dell’Ufficio Pastorale del Turismo e coordinatrice regionale del progetto: 

R. – E’ un progetto che mira alla promozione e alla fruizione delle risorse turistiche collegate ad una tematica religiosa, con focus specifici come feste patronali, cammini, per esaltare e riscoprire le radici del nostro territorio e della nostra cristianità.

D. – Proponete degli itinerari, ce ne può descrivere alcuni?

R. – Gli itinerari sono volutamente costruiti e riconducibili all’offerta religiosa siciliana, per cui a seconda delle province c'è la festa di Sant’Agata a Catania, il cammino di fede a Sant’Alfio, alle pendici dell’Etna, la festa di Santa Lucia a Siracusa, il cammino di fede di Santa Rosolia a Palermo, la festa di San Calogero ad Agrigento, le Settimane Sante di Trapani, Enna, Caltanissetta, la Vara di Messina, le feste di San Giorgio e San Giovanni a Ragusa. Queste feste hanno voluto essere per noi una proposta che unisse insieme l’offerta religiosa siciliana a quella che è la rappresentatività del nostro territorio. 

D. – Come si articola il progetto?

R. – Trattandosi di turismo, abbiamo puntato ad una comunicazione che fosse un po’ diversa, attraverso quindi una piattaforma multimediale, costruita seguendo il calendario delle feste, che poi dalla festa si potesse sviluppare e potesse poi entrare nel territorio stesso, apprezzandone così le bellezze artistico-culturali. La piattaforma mediatica è stata accompagnata anche da una forte segnaletica sul posto, proprio a segnare i luoghi relativi alla festa. Infine, la creazione di brochure, che però non fossero solamente le classiche brochure, quanto piuttosto mappe tematiche che potessero abbracciare proprio in una forma di rete comune i momenti più importanti delle singole feste all’interno delle province siciliane.

D. – Come è stato accolto questo progetto?

R. – Con tanta curiosità, tanto interesse, da parte sia delle istituzioni che del territorio, principalmente. Proprio per volere di mons. Raspanti, appunto, il nostro vescovo, si è voluto puntare sui giovani. Quindi, i giovani delle diocesi saranno gli attori protagonisti di questi itinerari. Per loro si è voluta costruire anche la possibilità di una progettualità futura che potesse essere uno sbocco lavorativo non indifferente. Le feste, gli edifici, le visite culturali che si vanno a creare, vengono realizzate in collaborazione con dei giovani appartenenti alle diocesi, che hanno sviluppato una preparazione non solo a livello artistico-culturale, ma anche a livello delle feste stesse, dei riti, delle pratiche legate all’essenza stessa della devozione che si va a celebrare. E loro sono i primi a veicolare tutto ciò di fronte ad una possibile domanda turistica.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi California: no alla pena di morte, ogni vita è sacra

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È un chiaro no alla pena di morte ed un forte appello alla sacralità della vita quello lanciato dai vescovi della California, in una nota diffusa in questi giorni. Nel documento, i presuli manifestano il loro sostegno alla “Proposizione 62” contro la pena capitale, promossa da diversi esponenti: leader religiosi, avvocati penalisti, familiari di vittime, forze dell’ordine e persone condannate ingiustamente. Intitolata “La giustizia che funziona”, l’iniziativa vuole porre fine alla pratica della pena di morte nello Stato, sostituendola, per i colpevoli, con l’ergastolo senza possibilità di condizionale e con l’obbligo di lavorare e di risarcire i familiari delle vittime.

Ogni vita è sacra, innocente o no
“Ogni vita è sacra, sia essa innocente o imperfetta – ribadiscono i presuli – Ognuno di noi ha un valore intrinseco che deriva dall’essere creato ad immagine e somiglianza di Dio ed ognuno di noi ha il dovere di amare l’immagine divina impressa in ogni persona”. Al contempo, i vescovi ribadiscono la loro “ferma determinazione nell’accompagnare e sostenere le vittime” che “patiscono le dolorose conseguenze dei crimini”: “La perdita violenta di una persona cara – affermano i presuli – è come una spada che trafigge il loro cuore”. Ma la loro “angoscia perenne” non viene mitigata “dalla cultura della morte”, anzi: essa porta solo “ad una maggiore violenza in un mondo che ne ha già troppa”.

Investire in programmi di recupero sociale dei criminali
La Chiesa cattolica della California, poi, evidenzia che “i costi elevati dell’attuazione della pena capitale sottraggono risorse a programmi più costruttivi, come quelli per la riabilitazione ed il recupero” sociale dei criminali. Non solo: “La ricerca – sottolineano i presuli – ha ripetutamente dimostrato che la pena di morte viene applicata in modo incoerente, a seconda della razza, dello status economico e dell’area geografica delle persone”.

No alla semplificazione processuale per i reati capitali
Sempre nel mese di novembre, verrà sottoposta a votazione la “Proposizione 66” che mira, invece, ad accelerare i tempi processuali relativi alle esecuzioni capitali in California. Una proposta, naturalmente, alla quale i vescovi californiani si oppongono. “La fretta di semplificare i processi – notano i vescovi – può portare, inevitabilmente, all’esecuzione di persone innocenti”. Di qui, il richiamo al magistero pontificio di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco che tante volte hanno lanciato appelli per fermare la pena di morte nel mondo.

L’appello di Papa Francesco
In particolare, i presuli ricordano l’Angelus del 21 febbraio 2016, in cui Papa Bergoglio ha detto: “Il comandamento ‘Non uccidere’ ha valore assoluto e riguarda sia l’innocente che il colpevole. Anche il criminale mantiene l’inviolabile diritto alla vita, dono di Dio. Faccio appello alla coscienza dei governanti, affinché si giunga ad un consenso internazionale per l’abolizione della pena di morte. E propongo a quanti tra loro sono cattolici di compiere un gesto coraggioso ed esemplare: che nessuna condanna venga eseguita in questo Anno Santo della Misericordia”.

Abbracciare giustizia e misericordia
​Per questo, la Chiesa della California ricorda che “nel mese di novembre, al termine del Giubileo della misericordia, i californiani hanno l’opportunità, con il loro voto,  di abbracciare sia la giustizia che la misericordia. Li esortiamo, quindi, a supportare la Proposizione 62 e ad opporsi alla Proposizione 66”. (A cura di Isabella Piro)

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Vescovi Africa orientale: vicini ai fratelli del Sud Sudan

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“In spirito di solidarietà, noi, vescovi cattolici della regione Amecea, condanniamo ogni atto di violenza, senza eccezioni. Combattere per qualsiasi motivo è un atto malvagio ingiustificabile”. Lo scrivono i vescovi dell’Amecea, l’organismo che riunisce le Conferenze episcopali dell’Africa orientale, in un comunicato firmato dal presidente dell’organismo, il card. Berhaneyesus D. Souraphiel, arcivescovo di Addis Abeba.

Dolore dei vescovi per le violenze a Juba
Nel testo, diffuso dall’Amecea e ripreso dall'agenzia Fides, i vescovi si dicono “addolorati per le tragiche conseguenze della violenza che si è scatenata a Juba a partire dalla sera del 7 luglio, che ha causato più di 100 morti e migliaia di persone innocenti senzatetto”.

I vescovi invocano il dialogo per arrivare alla pace
​Richiamando la Costituzione “Gaudium et Spes” sulla condivisione delle gioie e dei dolori da parte di tutti i seguaci di Cristo, il testo afferma: “I nostri fratelli e le nostre sorelle nella Repubblica del Sud Sudan, hanno bisogno del nostro sostegno per continuare a vivere una vita dignitosa”. Quindi, richiamando la dignità della persona umana proclamata dalla Sacra Scrittura, concludono: “Siamo incoraggiati da tutte le voci che hanno invitato alla calma e alla fine dei combattimenti. Aggiungiamo le nostre voci alle loro e sollecitiamo tutti i militari e i civili ad astenersi da tutte le azioni che possono infiammare e far degenerare la situazione. il dialogo pacifico è l’unica via praticabile per arrivare alla fine del conflitto”. (S.L.)

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Polonia: Cracovia si prepara ad accogliere una Gmg social

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“Quella di Cracovia sarà una Gmg social. Aspettiamo due milioni di giovani. E se ognuno di loro ha almeno 500 amicizie social, ecco che arrivare a toccare un miliardo di persone non è un’utopia. Centinaia di milioni di persone potrebbero essere raggiunte dal messaggio di misericordia lanciato dalla Polonia”. Ad affermarlo è don Pawel Rytel Adrianik, portavoce della Conferenza episcopale polacca (Cep), mentre la città è ormai pronta ad accogliere il grande evento con Papa Francesco.

I social media grandi catalizzatori dell’evento
La presenza dei social media svolgerà un importante ruolo di diffusione e sensibilizzazione in questo grande evento dove arriveranno per la prima volta anche giovani dallo Stato della Palestina, dalla Siria, dall'Iraq, dal Sud Sudan e dal Kosovo e dove le catechesi si terranno, sempre per la prima volta, in lingua armena e cambogiana. Nella terra di San Giovanni Paolo II la GMG confermerà la sua vocazione social con risultati ancora più sorprendenti rispetto a Madrid e a Rio de Janeiro, dove si sono tenuti gli ultimi due appuntamenti.

Già 1 milione e mezzo di fan su Facebook e più di 200mila follower su Twitter
La pagina Facebook – riferisce la Newsletter del Giubileo Vox Iubillaei - ha raggiunto già 1 milione e mezzo di fan da tutto il mondo ed è tradotta in 20 lingue. Sono invece 13 le lingue disponibili su Twitter dove si contano in totale 218.500 follower. L’hashtag per seguire l’evento è #KRAKOW2016. Il videoclip con l’inno ufficiale dell’evento è stato già visualizzato sul canale YouTube 3,2 milioni di volte. Numeri importanti dunque che continueranno a crescere grazie anche ai volontari - presenti in ben 31 Paesi -, impegnati a portare con i social network  il messaggio della Gmg dovunque e a coprire ogni fuso orario.

La Gmg anche su Instagram, Snapchat, Pinterest, Flickr
La Gmg è anche su Instagram, Snapchat, Pinterest, Flickr e su altri social network minori. Inoltre, per permettere ai partecipanti di avere a portata di smartphone informazioni utili durante la loro permanenza in terra polacca, è stata progettata un’ applicazione gratuita, disponibile in nove lingue, che comprende anche una mappa e una guida mobile. (L.Z.)

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Kyrgyzstan: la morte di mons. Messmer, unico vescovo del Paese

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Si è spento stamani a Bishkek mons. Nikolaus Messmer, amministratore apostolico del Kyrgyzstan, unico vescovo nel Paese. Nominato il 18 marzo del 2006, era stato ordinato vescovo tre mesi dopo dal Segretario di Stato vaticano card. Angelo Sodano, nella Basilica di San Pietro in Vaticano. Nato il 19 dicembre 1954 a Karaganda, da una famiglia cattolica di etnia tedesca, nel 1975 è entrato nella Compagnia di Gesù. Dopo la sua ordinazione sacerdotale, nel 1989, è stato assegnato come parroco a Bishkek, nella chiesa di S. Michele Arcangelo, dove è rimasto fino al 1997, poi è stato Superiore del preseminario della diocesi della Trasfigurazione a Novosibirsk (Federazione Russa). Nel 2004 ha ottenuto la licenza in Spiritualità presso la Pontificia Università Gregoriana. 

La chiesa di San Michiele Arcangelo, è l’unica chiesa cattolica del Kyrgyzstan
La chiesa è stata costruita nel 1969 dalla minoranza tedesca, emigrata in Asia centrale dopo l’ordine di Stalin di rilocarli dalla regione del Volga insieme a polacchi, lituani e coreani. La chiesa è stata costruita ad un piano, in modo da non distaccarsi dall’architettura locale. Nel 1981, dati i tanti fedeli, è stato costruito un secondo piano. Nel Kyrgyzstan, da anni lavorano alcuni religiosi della Compagnia di Gesù.

L’amministrazione apostolica del Kyrgyzstan 
L'area si estende sull'intero territorio dello Stato del Kirghizistan, nell’Asia centrale. Sede dell'amministrazione apostolica è la capitale Biškek. Il territorio è suddiviso in 3 parrocchie con annesse 20 cappelle. Le parrocchie si trovano nelle città di Biškek (San Michele arcangelo), Žalalabad (Beata Madre Teresa di Calcutta) e Talas Il 22 dicembre 1997 era stata eretta come missione sui iuris, ricavandone il territorio dall’amministrazione apostolica del Kazakistan del latini (oggi diocesi di Karaganda). Il 18 marzo 2006 la missione sui iuris è stata elevata ad amministrazione apostolica con la bolla In Kyrgyzstania spiritali di Papa Benedetto XVI. (T.C.)

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Pakistan: in aumento violenze contro difensori dei diritti umani

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Urgono misure più forti di tutela e protezioni per i difensori dei diritti umani in Pakistan: è l'appello lanciato al governo dalla società civile e da organizzazioni internazionali come "Christian Solidarity Worldwide". L'appello - riferisce l'agenzia Fides - giunge in seguito all'assassinio dell'attivista musulmano Zafar Lund avvenuto il 14 luglio. Lund è stato colpito alla testa da aggressori non identificati ed è morto al di fuori della sua casa di Kot Addu, nella provincia del Punjab . Era il fondatore di un forum della società civile che mira a proteggere i diritti delle comunità che vivono grazie alla vicinanza col fiume Indo a Kot Addu, ma anche l'istruzione e i diritti del bambino.

Forum della società civile chiede al governo di intervenire
"La violenza contro gli attivisti per i diritti umani in tutto il Pakistan è in aumento. Vi sono minacce e intimidazioni di difensori dei diritti umani in Pakistan da parte di attori statali e non statali", afferma il forum della società civile, che raccomanda al governo del Pakistan di "combattere la cultura dell'impunità e assicurare alla giustizia tutti i responsabili di attacchi e minacce contro avvocati, intellettuali, giudici e difensori dei diritti umani".

Tra gli ultimi omicidi, il 7 maggio scorso Khurram Zaki
Noto attivista per i diritti umani ed editore, è stato ucciso da quattro sconosciuti a Karachi. Zaki era tra gli attivisti della società civile a gennaio hanno presentato una denuncia contro il Maulana Abdul Aziz, il religioso della Lal Masjid, la nota "moschea rossa" di Karachi, accusata di incitare e di instillare in bambini e giovani l'odio settario e la violenza. (P.A.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 200

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.