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Sommario del 20/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: Gmg sia segno di armonia e misericordia per il mondo

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Un mosaico di volti, di lingue e popoli diversi per offrire un segno di armonia e misericordia. Papa Francesco definisce così l’imminente Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia, in un videomessaggio indirizzato alla Polonia. Il Pontefice ricorda la figura di San Giovanni Paolo II, artefice delle Gmg, e ringrazia la Chiesa polacca per aver attraversato tante prove andando sempre avanti con la forza della fede. Il servizio di Alessandro Gisotti

Cari giovani so che da tempo vi state preparando alla Gmg, “soprattutto con la preghiera”, vi ringrazio “per tutto quello che fate” e “per l’amore con cui lo fate”. In un videomessaggio Papa Francesco esprime tutta la sua gioia e trepidazione per l’incontro con la gioventù di tutto il mondo a Cracovia.

Gmg nel segno della Misericordia e nella memoria di Karol Wojtyla
Un’occasione, osserva, che gli offrirà anche “la felice occasione per incontrare la cara nazione polacca”:

“Tutto sarà nel segno della Misericordia, in questo Anno Giubilare, e nella memoria grata e devota di San Giovanni Paolo II, che è stato l’artefice delle Giornate Mondiali della Gioventù, ed è stato la guida del popolo polacco nel suo recete cammino storico verso la libertà”.

Francesco si rivolge direttamente ai giovani che da ogni Paese stanno per arrivare a Cracovia. Il Papa benedice i Paesi di provenienza dei ragazzi e auspica che il cammino verso la Gmg sia “un pellegrinaggio di fede e di fraternità”.

Gmg sia mosaico di volti e culture, popoli e razze, uniti da Gesù
Un pellegrinaggio, soggiunge, in cui possano già sperimentare il tema della Giornata: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”:

“Ho un grande desiderio di incontrarvi, per offrire al mondo un nuovo segno di armonia, un mosaico di volti diversi, di tante razze, lingue, popoli e culture, ma tutti uniti nel nome di Gesù che è il Volto della Misericordia”.

Il Papa si rivolge dunque alla nazione polacca e subito afferma che è un “grande dono” per lui visitare la Polonia, perché, afferma, “siete un popolo che nella sua storia ha attraversato tante prove, alcune molto dure, ed è andato avanti con la forza della fede, sostenuto dalla mano materna della Vergine Maria”.

Polonia metta al centro la famiglia, come indicava Giovanni Paolo II
Quindi, confida la sua gioia per il pellegrinaggio che compirà al Santuario mariano di Czestochowa, per un’ “immersione di fede” che, dice, gli farà “tanto bene”:

“Ringrazio i vescovi e i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i fedeli laici, specialmente le famiglie, alle quali porto idealmente l’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia. La ‘salute’ morale e spirituale di una nazione si vede dalle sue famiglie: per questo San Giovanni Paolo II aveva tanto a cuore i fidanzati, i giovani sposi e le famiglie. Continuate su questa strada”.

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Gmg: oltre un milione e mezzo i giovani attesi a Cracovia

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La Messa al Santuario della Madonna nera di Jasna Gora, la visita ai campi di concentramento nazisti di Auschwitz e Birkenau, il passaggio della Porta Santa nel Santuario della Divina Misericordia a Cracovia, tra le tappe principali del prossimo viaggio apostolico di Papa Francesco in Polonia, dal 27 al 31 luglio, in occasione della XXXI Giornata mondiale della Gioventù. L’incontro con i giovani, provenienti da tutto il mondo, vedrà tre momenti: l’accoglienza, la veglia e la Messa. I particolari del programma sono stati illustrati ai giornalisti da padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana. Adriana Masotti

Scopo principale, ma non unico di questo viaggio, sottolinea subito padre Lombardi, è la Giornata mondiale della Gioventù. L’altro obiettivo è far visita, per Francesco è la prima volta, alla Polonia come spiega p. Lombardi:

“Questo viaggio è anche un viaggio a Cracovia, quindi in Polonia, e ci sono degli eventi e delle circostanze che non sono strettamente legati alla Gmg, ma piuttosto alla Polonia, alle sue circostanze e ai luoghi che il Papa visiterà, anche distinti da Cracovia, e in particolare Czestochowa e Auschwitz".

Si tratta del 15.mo viaggio di Papa Francesco ed è il 23.mo Paese che visita. Non è invece la prima volta che la Polonia ospita la Gmg. Nel 1991 infatti si era tenuta a Czestochowa. Tema quest’anno, nell’ambito del Giubileo, “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia”. Il Papa toccherà luoghi come Cracovia fondamentali per la rivelazione del Dio della Misericordia. Tutti i suoi discorsi saranno in italiano, tranne uno in spagnolo.

Padre Lombardi espone il programma soffermandosi a lungo con i giornalisti sull’intenso rapporto che legava San Giovanni Paolo II e i luoghi che anche Francesco visiterà come la Cattedrale di Cracovia e il Santuario di Czestochowa, densi di storia e simboli della nazione come la nota immagine della Madonna Nera. La terza giornata del viaggio, venerdì 29 luglio, sarà dedicata alla visita ai campi di concentramento nazisti in territorio polacco, Auschwitz a circa 30 chilometri da Cracovia e poco distante, Birkenau. Padre Lombardi:

“Ricordiamo che naturalmente anche altri due Papi sono stati in questi luoghi. Giovanni Paolo II, nel ’79, durante il primo viaggio in Polonia, celebrò una Messa vicino ad Auschwitz, e quindi il suo intervento fu una omelia della Messa. Poi Benedetto XVI invece, come ricorderete - perché più vicino - il 28 maggio del 2006 visitò sia il campo di Aushwitz 1 sia Birkenau (Aushwitz 2), e fece un grande discorso, che non era nel contesto liturgico. Una forma, quindi, differente. Francesco, come ci ha detto, come ci ha spiegato, non dice parole: fa il silenzio di dolore, di compassione e le lacrime”.

Una scelta questa molto apprezzata dal Rabbino capo della Polonia. Altra tappa del Papa sarà, il giorno dopo, il convento a Cracovia dove viveva ed è sepolta Santa Faustina Kowalska a cui si deve la devozione della Divina Misericordia e poi il Santuario di San Giovanni Paolo II dove, di sera, nell’adiacente Campus Misericordiae, si terrà la veglia con i giovani e infine, la domenica mattina, momento culmine della Gmg, la Messa.

Riguardo al tema della sicurezza padre Lombardi dice ai giornalisti che non ci sono problemi particolari, non risulta che gruppi si siano ritirati, e che il clima generale in Polonia in vista della presenza del Papa è di grande normalità e tranquillità. 800 i vescovi che saranno presenti, oltre un milione e mezzo i giovani attesi: i particolari li snocciola mons. Pawel Rytel-Andrianik, portavoce della Conferenza episcopale polacca:

“Come sappiamo, di solito, vengono più persone di quelle che si sono iscritte. Quando si sono chiuse le iscrizioni eravamo a 335.437 persone. I primi iscritti dalla Spagna e poi dagli altri Paesi… Però, come organizzazione, si aspetta che il Santo Padre incontrerà nel Campus Misericordiae tra il milione e mezzo e il milione e 800 mila giovani. Poi a Czestochowa potrebbero essere tra i 300 e i 500 mila, in maggioranza polacchi, che celebrano i 1050 anni del Battesimo della Polonia. Questi sono i numeri. Poi riguardo ai Paesi che verranno, qui vediamo che nella maggioranza sono dalla Polonia, poi Italia, Francia, Spagna, Stati Uniti, Germania, Brasile, Ucraina e il Portogallo”.

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Turkson in Sud Sudan con un messaggio del Papa: basta guerra!

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“Papa Francesco segue da vicino la difficile situazione in Sud Sudan e ha inviato una lettera alle autorità locali con un forte appello alla pace”. E' quanto ci ha detto il cardinale Peter Turkson, che domenica scorsa era in visita a Giuba, capitale del Paese. Il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace racconta al microfono di Gabriella Ceraso le sofferenze della popolazione, specie dei profughi, nonostante il cessate il fuoco in vigore da martedì scorso, e l’attenzione del Papa per la vita della comunità cristiana: 

R. – Sono stato a Giuba domenica mattina, giusto in tempo per celebrare la Messa con la comunità nella Cattedrale. È stato un grande momento di sollievo. Ho portato i saluti del Santo Padre, l'espressione della sua solidarietà con la comunità. Quindi, abbiamo fatto visita ad alcune delle persone che avevano lasciato le loro case, che erano fuggiti a causa della mancanza di sicurezza. Hanno trovato rifugio nelle scuole, nelle chiese. Il giorno successivo abbiamo fatto visita al presidente e gli abbiamo consegnato il messaggio del Santo Padre.

D. – Era un messaggio che invocava la pace...

R. – Sì, ho potuto incontrare il Santo Padre prima di partire e nel consegnarmi il messaggio ha espresso alcuni di questi sentimenti: si potrebbe riassumere così: ora basta, basta con questi conflitti!

D. - Che realtà ha trovato? Una realtà di povertà, di sofferenza?

R. - Certo, quando una persona è costretta a lasciare la propria casa senza portare con sé nulla, non c’è solo la povertà, ma questa è aggravata dall’aumento di malattie: ci sono casi di malaria, alcuni casi di colera. Ho subito contattato il nostro ufficio a Roma chiedendo medicinali e alcuni viveri.

D. – Ma c’è ancora la guerra? Ci sono ancora scontri?

R. – Adesso c’è un momento di pace, ma c’è sempre questa paura, perché questa non è la prima volta che accade una cosa del genere. E' la terza: succede questo, c’è pace e poi le sparatorie tornano di nuovo e la gente scappa …

D. – Lei ha la sensazione che la vostra presenza abbia portato una speranza?

R. – Certo, già a partire dalla Cattedrale, non solo per i laici ma anche per i sacerdoti e tutti i religiosi che lavorano qui. Parecchi sono già andati via dal Paese, ma alcuni ancora restano.

D. – Quindi lei ci può confermare che questa situazione sta sempre nel cuore del Papa, che è sempre informato su quello che accade lì …

R. – Quando sono andato da lui, ha accettato di scrivere due lettere: una al presidente e l’altra al vicepresidente che ora è in fuga. La prontezza con la quale ha reagito a questa esigenza di mandare un messaggio di solidarietà, un appello anche di pace, è impressionante! Qualche tempo fa, parlando con lui, mi diceva: “Io vorrei andarci …”. Queste situazioni difficili sono sempre nel cuore del Santo Padre.

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Parolin: scenario mondiale preoccupa, promuovere dialogo e diritti

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Lo scenario mondiale preoccupa molto perché la violenza e l'odio sono sempre più diffusi, è necessario più che mai oggi promuovere il dialogo e il rispetto della persona. E' questo, in sintesi, quanto ha detto il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, rispondendo alle domande dei giornalisti a margine di un incontro in Vaticano. Per noi c'era Debora Donnini. Ascoltiamo il porporato: 

R. – Purtroppo, notiamo come aumentano gli odi, le divisioni, le contrapposizioni. Ed è sempre più difficile risolvere questi conflitti; è sempre più difficile porvi mano, e trattarli secondo criteri di dignità, giustizia e solidarietà.

D. – Il Papa ha detto che la pace in Siria è possibile e la soluzione è politica, non militare…

R. – Certamente, noi insistiamo sul principio che solamente una soluzione pacifica e negoziata può evitare ulteriori sofferenze alla popolazione, che già – purtroppo – ne ha sofferte tante ed è allo stremo. E può anche permettere una ricostruzione del Paese: una ricostruzione che sia duratura.

D. – A Nizza c’è stata una strage e un dramma assoluto…

R. – Di fronte a quanto è successo a Nizza non ci sono parole. A mio parere, è proprio un’espressione di odio puro: andare così alla cieca contro queste persone che erano riunite per un momento di festa… Massacrare bambini, anziani, così… Veramente uno si chiede che cosa stia succedendo. Dobbiamo lavorare, tutti insieme, per cercare di capire prima di tutto, di comprendere, quali sono le cause di questi fenomeni così drammatici e dolorosi; e poi – evidentemente – di superarli. Naturalmente l’intervento deve avvenire a più livelli: ci sarà un intervento di intelligence, sicuramente: questo è necessario per la sicurezza. Ma l’intervento deve essere soprattutto di tipo culturale, per estirpare le radici di questi fenomeni e aiutare la gente, i popoli, e le persone, ad accettarsi reciprocamente – lo dice spesso il Papa – ecco, io credo che questo sia un punto fondamentale sul quale ritornare spesso; che le differenze, che pur ci sono, diventino una fonte di arricchimento reciproco e non un’occasione di scontro e di lutto.

D. – In Turchia, la Chiesa vive sempre una situazione abbastanza complicata. La situazione di adesso vi preoccupa ulteriormente?

R. – Sì, non credo che la Chiesa cattolica sia stata direttamente interessata da queste vicende. La Chiesa cattolica è una piccola realtà in Turchia. Naturalmente, noi stiamo facendo il possibile perché siano riconosciuti anche i suoi diritti e affinché i cittadini che professano questa fede, che sono una piccola minoranza, possano vivere con uguali diritti rispetto agli altri cittadini del Paese.

D. – Possiamo dire che i diritti umani - i diritti civili - sono oggi una delle sfide fondamentali di questo momento storico così complicato e così pieno di crisi?

R. – Sì, certamente.  Ma io direi che è proprio il punto di partenza: il rispetto della persona e della sua dignità. Quello che diciamo sempre: mettere al centro la persona, che poi si declina in tutte queste varie situazioni, ma che deve essere davvero il punto di partenza; altrimenti non ne veniamo fuori e altrimenti – davvero – vivremo sempre più queste situazioni di odio,  di violenza e di divisione,  che aumenteranno.

D. – Costruire ponti quindi rimane una parola d’ordine, uno slogan…

R. – Certo, però che non sia solo uno slogan. Credo che abbiamo bisogno di operatività, oggi. Abbiamo bisogno che ciascuno – veramente – al suo posto, e secondo la sua responsabilità, si metta a lottare, a combattere contro queste derive, e a costruire veramente un mondo solidale.

D. – Eminenza, anche lei si prepara per la Gmg…

R. – La mia attesa è che questo incontro – naturalmente – serva a rafforzare nei giovani che parteciperanno attraverso l’incontro con il Papa soprattutto una forte convinzione di vita cristiana, che nasce dall’incontro con Gesù Cristo e il suo Vangelo. Ecco: che sia un incontro, anche attraverso questa esperienza di comunità, con Gesù Cristo e il suo Vangelo, che, come dice il Papa all’inizio della “Evangelii Gaudium”, dà una grande gioia a chi riesce a realizzarlo.

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Eretta nuova diocesi in Brasile

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Papa Francesco ha eretto la diocesi di Votuporanga (Brasile), con territorio dismembrato dalle diocesi di São José do Rio Preto e di Jales, rendendola suffraganea dell’arcidiocesi di Ribeirão Preto. Il Papa ha nominato primo Vescovo della diocesi di Votuporanga (Brasile) il Rev.do Moacir Aparecido de Freitas, del clero della diocesi di São Carlos, finora Parroco della parrocchia “Santa Teresa” ad Ibitinga.

Il Rev.do Moacir Aparecido de Freitas è nato il 22 agosto 1962 ad Ibirá, diocesi di Catanduva, nello Stato di São Paulo. Ha compiuto gli studi di Filosofia presso la Facoltà Salesiana di Filosofia, Scienze e Lettere di Lorena (1981-1983) e quelli di Teologia presso la Pontificia Università Cattolica di Campinas (1984-1987). È stato ordinato sacerdote l’11 dicembre 1987 ed incardinato nella diocesi di São Carlos. Nel corso del suo ministero sacerdotale ha svolto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della parrocchia “Nossa Senhora do Patrocínio” a Jaú (1988); Parroco della parrocchia “Nossa Senhora Aparecida” ad Américo Brasiliense (1989-1990); Parroco della parrocchia “Senhor Bom Jesus” a Ibitinga (1991-1992); Direttore Spirituale del Seminario Maggiore di Teologia (dal 2008). Inoltre, è stato Vicario Episcopale; Assessore diocesano per la Catechesi; Coordinatore diocesano e regionale della Scuola di Teologia per i Laici; Membro del Consiglio Presbiterale e del Consiglio Pastorale. Dal 1993 è Parroco della parrocchia “Santa Teresa” ad Ibitinga.

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Bambino Gesù: unico ospedale in Europa per ogni tipo di trapianto

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Il Bambino Gesù è l’unico ospedale europeo dove si effettua ogni tipo di trapianto oggi possibile. E’ quanto emerso, ieri, alla presentazione della Relazione sanitaria e scientifica 2015 del nosocomio, avvenuta per la prima volta in Vaticano, presso la Casina Pio IV, sede della Pontificia Accademia delle Scienze. Era presente il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. Ad intervenire anche il presidente della stessa Accademia, mons. Marcelo Sanchez Sorondo, il presidente del Bambino Gesù, Mariella Enoc, il direttore scientifico, Bruno Dallapiccola e il direttore sanitario, Massimiliano Raponi. Il servizio di Debora Donnini

Il card. Parolin mette in evidenza i frutti del lavoro svolto
Un’occasione per restituire alla Santa Sede “i frutti” del lavoro svolto dall’ospedale nell’ultimo anno. Il cardinale Parolin ringrazia quanti si impegnano, quotidianamente, per curare i bambini, italiani e stranieri. “L’idea - ha detto - di portare i risultati dell’attività scientifica in questa sede appare particolarmente appropriata”.

I traguardi nella cura e nella ricerca del Bambino Gesù nel 2015
Alla Conferenza è stato presentato il bilancio del lavoro svolto nel 2015: 326 i trapianti effettuati, il 4 per cento in più rispetto all’anno precedente, 78.849 accessi al registrati al pronto soccorso, pari al 21 per cento del totale dei regionali, con la possibilità di avvalersi dell’eliporto vaticano per le urgenze pediatriche, 1.639.658 prestazioni ambulatoriali. Questi alcuni dei numeri ai quali si aggiungono i 12 mila bambini affetti da malattie rare, che hanno ricevuto diagnosi e assistenza con il metodo “case management”, dove un unico interlocutore guida bambino e famiglia fra i vari specialisti. Non solo, sono state garantite 88mila notti gratuite alle famiglie. Rilevanti i traguardi raggiunti nel campo della Ricerca. Il Bambino Gesù è il primo tra gli ospedali pediatrici italiani per livello di Impact Factor, valore che misura il “peso” delle pubblicazioni scientifiche. Per l’attività di formazione, la ricerca e la conformità a indicatori di eccellenza internazionali, l’Ospedale ha ricevuto nel 2015 dalla Joint Commission International il prestigioso riconoscimento di “Centro Medico Accademico”, in collaborazione con la cattedra pediatrica dell’Università di Tor Vergata. Messi a punto nuovi test diagnostici nell'isolamento di geni-malattia: sono oltre 50 quelli identificati negli ultimi anni. Forte anche l’aiuto alle famiglie straniere con 3.300 mediazioni culturali in 43 lingue. Sul cuore della missione del Bambino Gesù, sentiamo, ai nostri microfoni, il presidente dell’Ospedale, Mariella Enoc:

R. – Questo è il compito dell’Ospedale: curare bene per dimostrare che si ama molto. I bambini ammalati sono veramente una domanda continua di aiuto e di misericordia. E questo Ospedale ha le possibilità e le deve dare loro. Io credo che sia il suo compito fondamentale: curare bene e curare con una capacità anche di relazione; curare in un ambiente sereno, in un ambiente in cui – pur stando male – si riesce a stare bene. Quindi, la ricerca non deve diminuire la sua attenzione e il miglioramento deve essere continuo. Noi ci diamo degli obiettivi non per orgoglio o per raggiungere più Impact Factor. Naturalmente i ricercatori hanno bisogno anche di queste soddisfazioni per il lavoro. Un giorno un ricercatore mi ha detto: “Dietro questa provetta - si ricordi - io vedo sempre un bambino!”.

D. – Molto importante è questo sguardo che voi avete anche per bambini di altri Continenti. Ce lo può declinare concretamente?

R. – Sì. Noi accogliamo bambini che vengono da altri Paesi, che non hanno la possibilità di essere curati e l’Ospedale li cura gratuitamente e accoglie gratuitamente anche le loro famiglie. Poi abbiamo fatto due missioni e ce ne sono alcune altre aperte. Adesso stanno andando avanti queste, che sono quella dell’ospedale di Bangui, dove il Papa è stato ad aprire la Porta Santa e che noi vorremmo restituirgli alla fine del Giubileo con un lavoro fatto: noi stiamo facendo una convenzione con l’Università, stiamo finanziando i medici e stiamo facendo anche dei lavori di ristrutturazione di questo Ospedale. L’altra in Giordania, dove c’è questo centro in cui non si fa soltanto riabilitazione fisica e motoria, ma si curano anche malattie psichiatriche molto gravi. Questo è un tentativo, però non vogliamo disperdere troppo le nostre energie: vogliamo concentrarle e fare dei progetti che davvero lascino un segno forte nei Paesi in cui noi andiamo.

D. – Per il Giubileo della Misericordia vi siete occupati anche dei bambini rom che sono a Roma…

R. – Ero appena tornata da Bangui, quindi ero fresca di Africa. Sono andata e devo dire che non c’è molta differenza. Quindi, si tratta di situazioni veramente tragiche, situazioni difficilissime, in cui il bisogno di salute è veramente grande. Noi abbiamo mandato alcuni medici: non risolviamo certo i problemi, ma cominciamo a dare alcune risposte e diamo un segnale, facendo soprattutto riacquistare fiducia anche nei medici. I bambini non venivano più in ospedale, anche per le complicazioni burocratiche, e poi quelli che sono sulla Casilina hanno anche molte difficoltà a trasferirsi. Quindi proviamo ad andare a curare anche loro, che hanno tanti bisogni: forse hanno malattie non sempre gravi, ma hanno tanto bisogno di essere accuditi.

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Oggi in Primo Piano



Cammino neocatecumenale: si è spenta Carmen Hernandez

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Si è spenta ieri pomeriggio, all’età di 85 anni, a Madrid, Carmen Hernandez che insieme con Kiko Argüello ha iniziato il Cammino neocatecumenale in Spagna negli anni ’60. Era responsabile dello stesso Cammino a livello internazionale insieme a Kiko e Padre Mario Pezzi. La ricordano le oltre 22mila comunità neocatecumenali, presenti in 110 Paesi del mondo. Le esequie si terranno giovedì 21 luglio alle ore 18.00 nella cattedrale dell'Almudena a Madrid e saranno presiedute dall'arcivescovo della capitale spagnola mons. Carlos Osoro Sierra. Saranno presenti numerosi vescovi e cardinali vicini alla realtà neocatecumenale e agli itineranti di tutto il mondo.

La vita, la testimonianza, il suo amore per la Chiesa
Maria del Carmen Hernández Barrera nasce a Olvega, Navarra, in Spagna, il 24 novembre 1930. Ha passato l’infanzia con la famiglia a Tudela: il padre, Antonio Hernández, è stato il fondatore della società Herba, una delle industrie del riso più importanti della Spagna.

L'impronta missionaria ricevuta dai Gesuiti
Carmen frequentò la scuola dei Gesuiti a Xavier, ricevendo un’impronta missionaria che caratterizzerà tutta la sua vita. Per desiderio del padre, iniziò gli studi di chimica all’Università di Madrid e, dopo la laurea, lavorò per un periodo nell’industria di famiglia. Ma presto, lasciò questo per ritrovare la sua vocazione missionaria giovanile.

L'esperienza in un Istituto femminile
Entrò in un istituto femminile, sorto da poco: “Le Missionarie di Cristo Gesù”, per coronare il suo sogno. Per prepararsi alla missione in India, si recò in Inghilterra per apprendere l’inglese. Erano gli anni ’60 e, con l’inizio del Concilio, anche il suo Istituto entrò in crisi, ponendosi su due binari diversi: da una parte chi voleva restare fedele all’idea originaria della missione e dall’altra chi voleva orientarsi verso una vita religiosa più “normale”. 

Gli studi di liturgia e l'incontro con la Terra Santa
L’incontro con alcuni studiosi di liturgia (mons. Pedro Farnes Sherer, professore all’Istituto Liturgico di Parigi, Dom Botte, L. Bouyer, ecc.), che stavano mettendo in atto un profondo rinnovamento conciliare, riscoprendo l’Eucaristia, la centralità della Pasqua, l’importanza della catechesi, la necessità di una iniziazione cristiana nelle parrocchie, orientarono Carmen verso il mondo ebraico e verso la Parola di Dio. Passò due anni in Israele, visitando tutti i luoghi sacri, con la Scrittura in mano, meditando e pregando.

L'incontro con Kiko 
Con questo profondo e ricco bagaglio, tornò a Madrid alla ricerca di alcuni giovani che potessero unirsi a lei in un progetto di evangelizzazione che voleva avviare concretamente in Bolivia, per aver conosciuto un vescovo disposto ad accogliere questa esperienza. Non vuole rientrare nell’ambiente familiare e va a vivere tra i baraccati di Palomeras Altas, alla periferia di Madrid. Qui si incontra con Kiko Argüello, un giovane di buona famiglia, anch’egli alla ricerca di un’esperienza di vita cristiana più autentica. Non pensa ad un lavoro sociale, ma piuttosto – ispirandosi a Charles de Foucauld – ad una presenza di povero tra i poveri, certo della parola di San Giovanni XXIII che la salvezza della Chiesa sarebbe venuta attraverso i poveri. 

Il fascino della comunità cristiana tra i poveri di Palomeras
E qui, tra questi poveri, zingari, quiquies, ex prostitute, handicappati, si venne formando una comunità cristiana, così radicale, così semplice e sincera, così povera ed evangelica che quando Carmen la incontrò ne rimase affascinata. L’evangelizzazione lasciava di essere una teoria teologica o un progetto pastorale da mettere in atto: era una comunità cristiana. Nel dialogo con quella povera gente nasce a poco a poco una nuova sintesi teologico-catechetica che non solo tocca la vita delle persone, ma la va cambiando, trasformando poco a poco in una novità: nasce una preghiera sincera, la comunione tra persone socialmente e intellettualmente “incapaci” di questo, si aprono con entusiasmo all’evangelizzazione.

La nascita di un catecumenato post-battesimale
Carmen ne è affascinata. Dalla periferia di Madrid, inizia l’annuncio nelle parrocchie, dalla Spagna si passa in Italia: l’azione si va organizzando come un vero e proprio catecumenato post-battesimale. Al fascino catechetico di Kiko (che parla con forza e canta e scruta la scrittura e forma comunità…), Carmen offre una solida base teologica e liturgica, un amore alla Chiesa ed al Papa in particolare, davvero ammirevoli, specie in un tempo tanto critico contro tutte le istituzioni.

Sempre in difesa della donna
È sempre attenta alla condizione della donna, di cui prende spesso le difese con originalità e profondità… Famosi i suoi interventi durante le Gmg a difesa della donna, contro gli attacchi che il demonio che dalla Genesi all’Apocalisse la attacca, proprio perché ella ha la fabbrica della vita nel suo seno.

La profondità delle sue catechesi
Le sue catechesi, semplici ma profonde, coinvolgono spesso il cosmo stesso, strappando l’uomo dalla meschinità della sua vita sedentaria e lanciandolo dentro un ritmo ed un movimento che stanno alla base della sua visione pasquale della creazione e della salvezza.

Il suo ruolo nella redazione dello Statuto del Cammino approvato dalla Santa Sede
Il Cammino Neocatecumenale non sarebbe ciò che esso è senza la presenza intelligente e creatrice di Carmen. Ha partecipato alla redazione dello Statuto del Cammino, dando un contributo fondamentale davanti a difficoltà e dubbi ed ha gioito quando nel 2011 ha visto la sintesi catechetica che, con Kiko ed i poveri aveva contribuito a mettere insieme, è stata approvata dalla Santa Sede come “Direttorio Catechetico del Cammino Neocatecumenale”.

Ha sempre rifiutato riconoscimenti ufficiali
Schiva di ogni adulazione e di ogni onorificenza, si rifiutò sempre di ricevere riconoscimenti particolari. Solo nel 2015 accettò il Dottorato Honoris Causa in Sacra Teologia, in riconoscimento del suo immenso contributo alla formazione cristiana in tutto il mondo, conferitole dalla Catholic University of America di Washington, l’unica università pontificia negli Stati Uniti.

Una donna dal carattere schietto e dal linguaggio diretto
Ha partecipato sino alla fine, anche quando era ormai già molto malata, in modo eroico all’evangelizzazione. Un tratto che rivela l’anima di questa donna eccezionale, dal carattere e dal linguaggio diretto, mai doppio, mai ipocrita – e per questo spesso quasi temuta – è quanto ha confessato una volta a Kiko: “Vedi, Kiko, io spesso passo da scorbutica e da impertinente davanti a vescovi e cardinali, ma lo faccio perché essi accettino te!".

Il ricordo di Kiko
Per questo Kiko, dando l’annuncio della sua morte, ha detto: “Carmen, che grande aiuto per il Cammino! Mai mi ha adulato, sempre pensando al bene della Chiesa. Che donna forte! Non ho mai conosciuto nessuno come lei”. E ancora: “Carmen è stata per me un avvenimento meraviglioso: la donna, il suo genio grande, il suo carisma, il suo amore per il Papa e, soprattutto, il suo amore per la Chiesa”. (A cura di don Ezechiele Pasotti)

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Kiko ricorda Carmen: una donna libera perchè ha amato Cristo

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La notizia della morte di Carmen Hernandez l’ha voluta dare lo stesso Kiko Argüello con una lettera a tutti gli aderenti al Cammino neocatecumenale. “Carmen, che grande aiuto per il Cammino! – scrive Kiko - Mai mi ha adulato, sempre pensando al bene della Chiesa. Che donna forte! Non ho mai conosciuto nessuno come lei.  Carmen è stata per me un avvenimento meraviglioso: la donna, il suo genio grande, il suo carisma, il suo amore per il Papa e, soprattutto, il suo amore alla Chiesa”. “Per me ha concluso Kiko - è stato commovente che abbia atteso che io giungessi, la baciassi e le dicessi: 'Animo”. E dopo averle dato un bacio è spirata. Roberto Piermarini ha raggiunto telefonicamente a Madrid Kiko Argüello e gli ha chiesto cosa ha rappresentato Carmen per il Cammino neocatecumenale: 

R. – Carmen è stata una donna libera. Tutte le ragazze del Cammino hanno detto che grazie a Carmen hanno trovato l’orgoglio di essere donne, perché Carmen è stata fantastica. Ha sempre parlato dell’importanza della donna nella Chiesa. La donna è la figura più importante per questo è stata perseguitata dal demonio dalla prima pagina della Bibbia fino all’ultima, dalla Genesi fino all’Apocalisse. Carmen ha avuto l’ispirazione di chiedere ragazze per i monasteri di clausura. Oggi abbiamo monasteri pieni di ragazze del Cammino: sono più di quattromila le giovani che oggi sono suore di clausura!

D. – Che eredità lascia al Cammino Carmen?

R. – La Veglia pasquale. Lei era innamorata della Veglia pasquale. Ha passato la sua vita studiando attraverso padre Farnes, che era il migliore studioso di liturgia in Spagna, che ha conosciuto quando quest’ultimo andava all’Istituto liturgico di Parigi. Lei ha studiato tutta la riforma liturgica del Concilio e ha donato questa conoscenza al Cammino.

D. - Come stai vivendo questi momenti?

R. - Carmen è felicissima insieme al Signore, con Gesù Cristo che l’amava moltissimo! E io sono qui che soffro. Speriamo che ora sia ancora più forte e che aiuti il Cammino.

D. - Ti mancherà?

R. - Senza dubbio! 50 anni insieme, predicando il Vangelo! Abbiamo percorso mezzo mondo, abbiamo visitato 40 nazioni!

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Turchia, continua giro di vite. Rosselli: verso islamizzazione

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In Turchia prosegue il giro di vite contro tutti i sospettati di aver preso parte al fallito golpe. Salgono a 50mila quanti sono stati sospesi o licenziati dai loro incarichi nei settori più vari della vita pubblica. Quasi 10mila gli arresti nei confronti di membri di diversi apparati dello Stato. Oggi il presidente Erdogan è nella capitale Ankara, per la prima volta dal tentato colpo di Stato, per presiedere il Consiglio di Sicurezza nazionale al margine del quale è atteso un importante annuncio. Il portavoce della cancelliera tedesca Angela Merkel accusa: il governo turco sta agendo contro lo stato di diritto. Marco Guerra: 

La repressione del governo si allarga a quasi tutti i settori della macchina statale. Dopo forze armate, polizia e giudici, il pugno di ferro colpisce anche gli accademici. Il ‘Consiglio per l'alta educazione’ ha imposto un divieto di espatrio a tutti i professori universitari turchi. Ieri, lo stesso organismo aveva chiesto le dimissioni di 1577 docenti. Il provvedimento include anche la richiesta ai professori attualmente all'estero di rientrare in Turchia. Nel mirino anche la stampa: chiuse 24 tra radio e televisioni, ritirati i tesserini professionali di 43 giornalisti. E poi ancora silurati otto alti funzionari del Parlamento e 245 tra impiegati e dirigenti del Ministero dello Sport e della gioventù. Bloccato l'accesso a WikiLeaks, a seguito della pubblicazione di 294.mila mail inviate e ricevute dai vertici dell'Akp, il partito al governo. Secondo l'esecutivo, l'imam e magnate turco Fethullah Gulen, residente negli Usa, rimane il principale responsabile del tentato golpe ed è stata avanzata a Washington richiesta ufficiale per la sua estradizione. I media turchi affermano che un ufficiale avrebbe confessato di far parte della rete dell’Imam, ma Gulen continua a definire ridicole le accuse. Intanto ad Istanbul è apparso un enorme striscione sulla facciata del centro culturale Ataturk che apostrofa Gulen come “cane del diavolo” e promette l’impiccagione di tutti i suoi seguaci. E continuano a colpire le immagini di giovani musulmani radicali che inneggiano ad Erdogan. Sui rischi di una islamizzazione della società turca sentiamo il giornalista esperto dell’area, Alberto Rosselli:

R. – Sicuramente la Turchia di oggi è avviata lungo la via di una radicalizzazione islamica e si vede l’affermarsi nel Paese di un governo sempre più autocratico e filo-islamista che, nel contempo, coniuga il mai sopito nazionalismo etnico linguistico e la fede islamica. Questi fenomeni hanno una radice profonda che affonda in parte nel lungo conflitto con le popolazioni allogene che vivono in Turchia ed hanno a che fare con l’ambigua politica anti-Is di Ankara e nell’evidente politica islamista di Erdogan. Una politica che però, oltre a distruggere sistematicamente uno Stato laico fondato da Mustafà Ataturk, sostituisce quel sogno laicista con un altro sogno: quello del Califfato islamico sunnita. Questo atteggiamento non fa altro che aizzare la parte più radicale dell’islam presente in Turchia.

D. – Dopo il fallito golpe, per le vie delle principali città turche si sono visti giovani fare caroselli con bandiere turche che prima erano appannaggio dei sostenitori della laicità. Questa Turchia laica e liberale sembra essersi polverizzata?

R. – Sicuramente. Il sogno di Mustafà Ataturk è già iniziato a svanire da circa 10-11 anni. È stato un processo di eliminazione graduale e la deriva islamica o filo-islamica di Erdogan non è una novità, perché già nel 2008 Erdogan aveva dichiarato di volere in qualche modo instaurare nuovamente una politica che coniugasse lo sviluppo economico e finanziario del Paese ma col rispetto della Sharia.

D. – Erdogan rischia veramente di accentrare il potere in maniera autoritaria? Si rischia di andare verso un autoritarismo molto forte?

R. – La recente legge sull’abolizione della tutela, materia di determinati reati di opinione, che è stata varata del governo turco pochi mesi fa e che di fatto ha riaperto dei processi per reato di opinione nei confronti di dissidenti di Erdogan – ma dissidenti parlamentari soprattutto di parte curda – lo dimostra ampiamente. Si può parlare sicuramente di una deriva fortemente autoritaria.

D. - Alcuni sottolineano che la Turchia di Erdogan è quella dei ceti medio bassi che hanno goduto del boom economico, a cui ha contribuito indubbiamente il presidente…

R. – Si è fatto cenno, come avete giustamente notato, di classi medio basse che hanno avuto effettivamente un riscontro positivo per quella che è stata un po’ l’apertura alle nuove indicazioni dell’economia moderna e contemporanea. Però bisogna anche considerare che la Turchia ha avuto il suo zenit per quanto riguarda la ripresa economica due anni fa, ma in questo momento la Turchia non è in ripresa economica. C’è una stagnazione, quindi bisognerà vedere nell’arco di due, tre anni, quello che poi succederà.

D. – Questa Turchia si allontana dall’Unione Europea e si avvicina agli Stati del Medio Oriente più radicali?

R. – Il sogno della Turchia è quello di diventare lo Stato capocordata per quello che riguarda il mondo sunnita. È stato dichiarato più volte dallo stesso Erdogan, cioè lo Stato guida moderno che in qualche modo è il punto di riferimento non solo politico e istituzionale ma anche religioso del mondo islamico. Io non credo che sia possibile anche perché le sensibilità sotto questo punto di vista di un Iran o di un’Arabia Saudita sono ben differenti, ma il sogno della Turchia è la restaurazione del ruolo guida del Califfato ottomano.

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Turchia. Mons. Bizzeti: spero che prosegua dialogo con minoranze

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La piccola comunità cristiana della Turchia vive con apprensione queste ore difficili che sta attraversando il Paese. La speranza è che non si imbocchi la strada del radicalismo islamico ma si conservi il tradizionale rispetto per la laicità. Luca Collodi ha sentito mons. Paolo Bizzeti, vicario apostolico di Anatolia: 

R. – Per noi la vita scorre tranquilla. C’è stato soltanto un episodio a Trebisonda, dove hanno danneggiato i vetri della Chiesa e della casa parrocchiale con dei sassi. Ma questo – diciamo – succede periodicamente, quindi non è una particolare novità.

D. – Si può pensare ad un rinnovato dialogo tra partito di maggioranza di ispirazione islamica e l'opposizione laica? 

R. - Spero proprio di sì e spero che il partito di maggioranza, che indubbiamente ha un’ispirazione fortemente islamica, sia anche capace di dialogare con le minoranze.

D. - Come vive questo momento la società turca? 

R. – In questo momento, mi sembra che le persone con cui sono in contatto stiano cercando di capire che cosa sta succedendo. Sono state annunciate queste misure molto drastiche. Bisogna vedere, però, sicuramente, come evolvono le cose. Mi sembra, dunque, prematuro trarre delle conseguenze in questo momento. Certo, c’è la rabbia per un golpe che non è sicuramente il modo con cui si possono risolvere le cose. Passato il momento caldo, dunque, penso tutto tornerà ad un livello ragionevole.

D. – C'è il rischio di una guerra civile nel Paese?

R. – Mi sembra che non ci sia questo pericolo. Certamente, c’è la questione curda, che da anni è una spina nel fianco e crea problemi non piccoli e certamente questo golpe purtroppo ha scatenato le passioni. Bisogna vedere quindi come le cose evolvono. In questo momento, mi sembra, sarebbe azzardato fare previsioni su periodi di medio termine. Sicuramente la situazione è tesa e ci sono questi arresti, licenziamenti e così via. Vediamo un poco...

D. – Mons. Bizzeti, è in contatto con sacerdoti e parrocchie della comunità cristiana in Turchia? 

R. – Sì, sì. Se è per questo, diciamo che siamo tutti ben collegati. La situazione è tranquilla nelle parrocchie. Certamente si sono dovute sospendere alcune iniziative, perché le famiglie sono preoccupate. Dovevamo fare il campo con i ragazzini, ma abbiamo dovuto sospendere tutto per gli ovvi motivi del momento.

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Allarme dell'Unicef in Nigeria, quasi 250mila bambini malnutriti

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Mentre in Nigeria la crisi umanitaria causata da Boko Haram continua, ci sono quasi 250mila bambini malnutriti nello stato del Borno, a nordest del Paese. La stima, divulgata dall’Unicef parla di 1 bambino su 5 a rischio di morte se non saranno raggiunte le cure necessarie. E ancora si è molto lontani dall’obiettivo minimo di 55,5 milioni di dollari per rispondere alla crisi. Salvatore Tropea ha chiesto a Paolo Rozera, direttore generale di Unicef Italia come si prospetta la situazione nel Paese africano: 

R. – Si prospetta ancora più grave se non interveniamo subito. Tanto per dare un numero che può rendere meglio l’idea: se non si interviene, ogni giorno 134 bambini moriranno per cause legate alla malnutrizione. La malnutrizione di per sé non è una causa di morte, ma diventa concausa insieme a tutta una serie di altre situazioni ambientali molto, molto difficili.

D. - Che tipo di aiuti sono già arrivati nello Stato del Borno? Di cosa c’è ancora bisogno?

R. - C’è bisogno delle cose basiche, quindi sicuramente cure per i bambini, accesso all’acqua, strutture igienico-sanitarie che siano adeguate, oltre a tutto quello che facciamo di solito, come le varie vaccinazioni, supporto psicologico, perché - non scordiamoci - che questi bambini assistono e a volte sono protagonisti, attori non voluti, di questa guerra. La cosa più importante è l’istruzione, perché è l’arma principale per far tornare questi ragazzi alla normalità.

D. - Alcune zone del Paese sono state liberate e rese accessibili. Che scenario si presenta nelle aree che prima erano state colpite da Boko Haram?

R. - Lo scenario è raccapricciante. Al giorno d’oggi, è veramente impensabile che ci siano persone che rischiano di morire di fame. Ma è una costante che noi vediamo in vari scenari di guerra. In questo, mi permetto di dire, che alcune zone della Siria non sono differenti da queste zone del Nord-Est della Nigeria. Laddove di sperimenta la guerra e soprattutto regimi totalitari, quando riusciamo ad entrare attraverso i corridoi umanitari ci troviamo davanti scenari raccapriccianti: prendere un ragazzo di 16 anni in braccio, e vederselo morire per fame è qualcosa di veramente inaccettabile.

D. - All’inizio del 2016 l’Unicef ha lanciato un appello per rispondere alla crisi con circa 55 milioni di dollari. Quanto si è ancora lontani dall’obiettivo e cosa si deve ancora fare?

R. - Siamo circa al 40 percento dei fondi raccolti, quindi bisogna continuare ad aiutare l’Unicef perché insieme ad altre organizzazioni e ong locali stiamo facendo di tutto per rispondere a questa emergenza e per evitare che questi 134 bambini debbano morire ogni giorno.

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A 30 anni da incontro Assisi: Islam educhi più chiaramente alla pace

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A trent’anni dalla storica Giornata di preghiera delle religioni per la pace convocata da Giovanni Paolo II nel 1986 ad Assisi, si terrà nella città umbra dal 18 al 20 settembre un nuovo incontro internazionale per la pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. L’iniziativa, presentata questa mattina a Perugia, prosegue sul solco tracciato da Papa Wojtyla per dare risposte alle violenze e ai contrasti che attraversano il mondo di oggi. Su questo incontro, intitolato "Sete di pace", Christine Seuss ha intervistato il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo: 

R. – Nel 1986 la questione centrale era la Guerra Fredda: il mondo era diviso ancora in due blocchi e c’erano tante guerre o focolai di guerre provocate da questa Guerra Fredda. Per questo Giovanni Paolo II volle ribadire il ruolo decisivo delle religioni per la pace. Fu un discorso profetico, perché poi – come  si vide - negli anni successivi non solo cadde il Muro di Berlino, ma ci furono tante paci nate da questo impegno anche delle religioni. Io penso al 1992, alla pace in Mozambico: dopo tanti anni di guerra e più di un milione di morti, fu mediata proprio da una comunità cristiana – la nostra – assieme alla Chiesa del Mozambico. Oppure penso ai tanti altri conflitti che sono finiti in questi anni, fino alle buone notizie che giungono dalla Colombia recentemente o alla riconciliazione tra Stati Uniti e Cuba, grazie all’opera di Papa Francesco. Quindi è stata un’idea profetica e anche geniale per un mondo in cui – purtroppo – le religioni, anche in altri contesti, sono state utilizzate come benzina sul fuoco della guerra. Oggi il contesto è quello del terrorismo, della violenza diffusa, della violenza che nasce dal narcotraffico, dalla diffusione delle armi. Quindi i religiosi che noi chiamiamo ad Assisi, saranno quest’anno chiamati a confrontarsi su questi temi e, soprattutto, sul tema del valore di continuare a pregare per la pace, di farlo di più, con più forza e con più insistenza.

D. – Quale contributo concreto per la pace  vi aspettate da questo incontro?

R. – Anzitutto, non isolare nessuna religione. Noi sappiamo che l’islam non è un problema: è una religione di pace nei suoi libri sacri, ma ha un problema nel senso che all’interno di certi Paesi, che si definiscono islamici, sono nati gruppi terroristici che stanno seminando il terrore e non solo in Europa o in Occidente, ma soprattutto in Medio Oriente. Penso in particolare alla Siria e all’Iraq. Quindi noi dovremo, anzitutto, chiedere ai nostri fratelli musulmani un impegno più forte e più chiaro su questo punto di desolidarizzazione completa della violenza da ogni tema religioso. E poi naturalmente di essere tutti più uniti per lavorare, assieme alla nostra gente e i nostri popoli per la pace: le religioni devono fare della predicazione di pace e dell’educazione alla pace un elemento molto più forte di quello che è stato finora. Devono smetterla di parlare sempre con un linguaggio poco chiaro su questo tema, ma essere molto più forti proprio sul tema della pace.

D. – Chi saranno i rappresentanti del mondo islamico e delle altre religioni che parteciperanno a questo evento?

R. – Dal mondo islamico abbiamo grosse personalità: certamente il Rettore dell’Università di al-Azhar, il Gran Muftì del Libano e di tutti i Paesi del Medio Oriente. Ci saranno anche leader dell’Asia: penso alla presenza di due leader delle due più grandi Confraternite musulmane indonesiane, che raccolgono circa 60-70 milioni di aderenti. Poi siamo molto felici di annunciare la presenza di Patriarchi delle Chiese ortodosse, primo fra tutti il Patriarca ecumenico Bartolomeo, dell’arcivescovo di Canterbury. Ci saranno i grandi leader – sia pastori che vescovi – delle Chiese luterane riformate. Parteciperanno anche personalità del mondo del buddhismo giapponese, del mondo ebraico da Israele e dall’Europa. Insomma, c’è veramente una sete di pace nel mondo: una sete che è la sete dei poveri, che è la sete della gente che soffre per la guerra e per le vittime della violenza. E penso a tante donne che sono vittime di violenza. Dunque la presenza di un numero così vasto di personalità religiose, a fianco dei popoli che soffrono, mi sembra un bel segnale per il futuro del mondo.

D. – I rappresentanti islamici che verranno sono leader che, con questa partecipazione, manifestano anche una loro disposizione al dialogo e all’apertura. Lei spera e pensa che loro possano avere un’influenza significativa, poi, su quelli che sono forse un po’ più lontani da questo dialogo?

R. – Credo che l’islam si stia confrontando con questo problema: le grandi scuole, le grandi università sono sfidate oggi da un messaggio semplificato, che è una caricatura della religione, di cui fanno uso i terroristi o i loro fiancheggiatori. Quindi, credo che anche l’islam si stia ponendo il problema - e se lo porrà anche ad Assisi – di rinnovare il linguaggio e di trovare nuove vie per toccare il cuore dei giovani, per educare alla pace. Noi saremo al loro fianco per aiutarli in questa grande battaglia di pace.

D. – Che cosa ci può dire sulla presenza di Papa Francesco?

R. – Noi abbiamo saputo recentemente che Papa Francesco già visiterà Assisi il 4 agosto prossimo, per la Festa della Perdonanza. E’ l’Anno del Giubileo e il Papa è molto impegnato a Roma per le celebrazioni giubilari. Certamente noi sentiamo la sua presenza, che sarà testimoniata in qualche modo, come c’è stato annunciato. Non sappiamo ancora quali saranno le modalità, ma certo non con la sua presenza fisica. Ma ci sarà un suo accompagnamento. Il Papa è stato aggiornato sull’evento dal prof. Riccardi recentemente ed ha espresso tutta la sua soddisfazione e il suo sostegno. Naturalmente, ci saranno anche personalità della Curia Romana o vescovi o cardinali che rappresenteranno – in qualche modo – il pensiero del Papa in questo evento. 

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La Lateranense accoglie 20 rifugiati, firmata intesa con il Viminale

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E’ stato firmato ieri a Roma il Protocollo d’intesa tra il Ministero dell’Interno e la Pontificia Università Lateranense per l’inserimento di giovani studenti titolari di protezione internazionale in percorsi di alta formazione universitaria. Sul significato di questa intesa, Salvatore Tropea ha intervistato il vice-ministro dell’Interno Filippo Bubbico, il responsabile della Pastorale universitaria della Lateranense don Mirko Integlia e alcuni studenti dell'Ateneo Pontificio, responsabili dell'acoglienza dei migranti che saranno selezionati per il progetto. Ascoltiamo l'on. Bubbico: 

R. – C’era una volontà comune tra questa amministrazione e l’impegno dell’Università Lateranense perché noi dobbiamo mettere l’uomo al centro e dobbiamo farlo dotando ciascuno degli strumenti di conoscenza, partendo dalla considerazione della dignità della persona, perché ciascuno poi possa, in completa libertà, esercitare la propria fede, praticare il proprio credo e testimoniare la propria testimonianza religiosa.

D. - Questa iniziativa può rappresentare una sorta di progetto pilota da estendere magari agli atenei italiani?

R. - Io me lo auguro. Sicuramente la forza di questa iniziativa e l’autorevolezza della Pontificia Università Lateranense alimenterà questi risultati.

D. - Don Mirko Integlia, un ruolo importante sarà svolto dalla Pastorale universitaria. Quali saranno i progetti e le iniziative?

R. - La nostra Pastorale universitaria è in cammino da ben sei anni e gode della partecipazione della collaborazione dei tanti studenti laici che frequentano la nostra università. Il legame tra questo protocollo, il Ministero dell’Interno e la pastorale è fortissimo, perché il nostro scopo non è semplicemente quello di permettere a questi studenti di frequentare un corso accademico ma è importante, allo stesso tempo, la loro integrazione nel tessuto accademico; ecco perché i giovani della pastorale saranno coinvolti nell’accoglienza di questi studenti e nel comitato tecnico che si è costituito per l’attuazione del protocollo, insieme a me e ad alcuni funzionari del Ministero, ci sono due studenti della Facoltà di diritto. Questo perché ho voluto significare in questo modo il contributo importante degli studenti nella realizzazione di questo progetto.

D. - Come sarà possibile integrare esigenze multiculturali con le iniziative e la vita di un’Università pontificia?

R. - Il nostro contesto è già di per sé multiculturale, benché tutti cristiani, abbiamo però studenti provenienti da ogni parte del mondo. Certamente noi dobbiamo prevedere che tra questi studenti che arriveranno ci saranno alcuni che non sono cristiani, questa è la sfida. Tra l’altro questa è una sfida che già abbiamo iniziato in parte con l’Università delle Religioni di Qom, abbiamo già ospitato alcuni loro studenti e devo dire che c’è stata reciproca soddisfazione. Non voglio dire che sarà facile, ma le sfide si accettano.

D. - È già stata pensata una giornata di inaugurazione del progetto e accoglienza degli studenti all’interno dell'Università?

R. - Questo ancora no sinceramente, perché quello che mi preme in questo momento è avviare il processo di selezione e di scelta degli studenti. Certamente è mio desidero che l’ingresso di questi studenti sia reso pubblico attraverso un gesto comunitario di accoglienza in modo che tutta la comunità accademica si senta responsabile all’interno di questa nuova e bella sfida che ci aspetta.

D. - Giovanni Rizzo e Bianca Gervasio saranno i responsabili del progetto per quanto riguarda l’accoglienza e l’integrazione con il resto della comunità studentesca. Come è stata accolta questa iniziativa? Quale risposta ci si aspetta dagli studenti quando il progetto sarà avviato?

R. - (Giovanni) Questa iniziativa è stata accolta con entusiasmo da parte degli studenti. Ci rendiamo conto che offrire solamente delle borse di studio non è sufficiente. Tutti noi studenti dobbiamo essere pronti e dobbiamo essere pronti ad accogliere perché la vera cultura nasce solo dalla condivisione e noi faremo il massimo per poter condividere la nostra esperienza e cercare di apprendere quello che questi ragazzi hanno da insegnare.

R. - (Bianca) Sicuramente la riposta è positiva. Questo si può vedere anche dalla partecipazione che c’è stata alla firma del protocollo alla quale era presente parte della comunità. Quando a settembre il progetto partirà ci sarà un grande entusiasmo ad accogliere questi ragazzi e soprattutto ad integrarli all’interno della comunità. Questo sarà il compito più importante e sicuramente non lo potremo fare senza la comunità dei ragazzi che ci sosterrà con il loro entusiasmo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Yemen: speranze che p. Tom sia vivo dopo la foto su facebook

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“Non abbiamo notizie ulteriori e oggi, con i mezzi tecnici a disposizione in questo campo, tutto è possibile. Ma la foto può essere autentica. C'è chi vi vede comunque la prova che padre Tom è ancora vivo. E anche io credo che sia vivo”. Cosi il vescovo Paul Hinder, vicario apostolico per l'Arabia meridionale, commenta la pubblicazione della foto comparsa sull'account facebook di padre Tom Uzhunnalil, il sacerdote salesiano indiano rapito lo scorso 4 marzo ad Aden dal commando di terroristi che quel giorno assaltarono una casa di cura nella città yemenuta, trucidando quattro suore Missionarie della Carità, insieme ad altre 12 persone.

La foto annuncia un'imminente supplica del sacerdote
​La foto, apparsa ieri sull'account facebook di padre Tom, ritrae un uomo dall'aria sofferta, con i capelli piuttosto lunghi, la barba incolta e le mani sul petto. Il messaggio in inglese che accompagna la foto annuncia l'imminente pubblicazione di una “supplica” del sacerdote rapito. Non viene segnalato chi abbia “postato” la foto e il messaggio. Secondo quanto riportato da media indiani, molti familiari di padre Tom, sotto la barba incolta e i capelli insolitamente lunghi, hanno riconosciuto nell'uomo ritratto nella foto i tratti somatici del sacerdote. 

Non ci sono stati sviluppi per la sua liberazione
“Per ora” riferisce all'agenzia Fides il vescovo Hinder “non ci sono elementi ulteriori per decifrare il senso e la provenienza di quella foto. Negli ultimi tempi, i tentativi di arrivare alla liberazine di padre Tom non avevano registrato sviluppi significativi”.

Timori per la sua vita in un altalenarsi di notizie
Lo scorso 4 marzo, i terroristi avevano portato via con loro padre Tom Uzhunnalil dopo aver compiuto la strage nella residenza per anziani e disabili affidati alle cure delle suore di Madre Teresa. A quasi un mese dal massacro e dal sequestro, erano circolate nella rete web indiscrezioni che accreditavano senza alcun riscontro l'uccisione violenta del sacerdote nella giornata del Venerdì Santo (25 marzo). Nei giorni seguenti, lo stesso vescovo Hinder aveva parlato di “forti indicazioni” che facevano ritenere il sacerdote ancora in vita e nelle mani dei suoi rapitori. Poi, martedì 29 marzo, la Congregazione salesiana, in un comunicato ufficiale, aveva indicato nel governo indiano, nel vicariato apostolico per l'Arabia meridionale e nell'ispettore salesiano di Bangalore, le fonti affidabili a cui riferirsi per seguire eventuali sviluppi della vicenda di padre Tom. (G.V.)

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Secam: la famiglia in Africa oggi e domani alla luce del Vangelo

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Con una solenne concelebrazione eucaristica della parrocchia della Santa Famiglia a Luanda, capitale dell’Angola, ieri si è aperta ufficialmente la 17ma Assemblea Plenaria del Secam (Il Simposio delle Conferenza episcopali di Africa e Madagascar) sul tema “La famiglia in Africa, ieri, oggi e domani: alla luce del Vangelo”. 

Prima Assemblea del Secam in Angola
La Messa - riferisce l'agenzia Fides - cui erano presenti i circa 150 partecipanti all’Assemblea, tra cardinali, vescovi, segretari regionali e nazionali di Conferenze episcopali africane, è stata presieduta dal vescovo di Lubango, mons. Gabriel Mblingue, presidente della Conferenza episcopale di Angola e Sao Tomé: per la prima volta dalla sua creazione, nel 1969, il Secam tiene la sua Assemblea in Angola.

Soluzioni pastorali per le sfide della famiglia
​Durante i lavori, che si concluderanno con la Messa di domenica 24 luglio, i partecipanti analizzeranno attraverso seminari e tavole rotonde, una serie di temi legati alla realtà e al futuro delle famiglia africana, tenendo conto dei due recenti Sinodi sulla famiglia e della Esortazione apostolica “Amoris laetitia”. Si parlerà quindi delle sfide poste oggi alla famiglia in Africa, di evangelizzazione della famiglia, di come l’influsso dei nuovi media e delle nuove ideologie sta cambiando la vita familiare nel continente. La riflessione dovrà portare ad individuare le soluzioni pastorali più adatte per rispondere alle sfide poste alla famiglia, che è il nucleo fondamentale della società. (S.L.)

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No dei vescovi sudcoreani al sistema antimissile Thaad

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La Chiesa coreana si preoccupa che la penisola possa diventare “il centro di una nuova guerra fredda” se il governo di Seoul, in collaborazione con gli Stati Uniti, porterà avanti il progetto della Thaad (Terminal High Altitude Area Defense), il sistema anti-missili a corto e medio raggio, varato la scorsa settimana. In un documento diffuso alcuni giorni fa – con la data del 15 luglio – i vescovi ribadiscono che “la pace non si realizza mai con il potere delle armi, ma attraverso la fiducia”. Il testo porta la firma di mons. Pietro Lee Ki-heon, presidente della Commissione episcopale per la riconciliazione (delle due Coree), e di mons. Lazzaro You Heung-sik, presidente di Giustizia e pace.

I vescovi citano i documenti dei Papi contro la guerra
Il documento - riferisce l'agenzia AsiaNews - cita con ampiezza frasi della Pacem in Terris, l’enciclica di Giovanni XXIII, quali “la pace non può essere costruita mai attraverso l’equilibrio del potere delle armi, realizza attraverso la fiducia mutua” (cfr. Pacem in Terris, 110, 113). Cita anche il documento conciliare Gaudium et Spes (“La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l'equilibrio delle forze avverse”, GS, 78) per affermare la sua opposizione al varo del sistema Thaad che rischia di far diventare la penisola coreana “il centro di una nuova guerra fredda” e incrementare la situazione che Papa Francesco ha definito come “una Terza guerra mondiale a pezzi”.

Citato il discorso di Papa Francesco in Corea del sud
I vescovi citano anche il discorso di papa Francesco alla Casa blu (il palazzo presidenziale a Seoul), durante la sua visita in Corea nel 2014. “La diplomazia come arte del possibile, – aveva detto il pontefice -  è basata sulla ferma e perseverante convinzione che la pace può essere raggiunta mediante il dialogo e l’ascolto attento e discreto, piuttosto che attraverso reciproche recriminazioni, critiche inutili e dimostrazioni di forza”. Per questo i pastori chiedono a Seoul di fermare il progetto Thaad e a Pyongyang di fermare i progetti di arricchimento nucleare.

Il sistema Thaad è un pericolo per l'umanità
I vescovi fanno anche notare che “la competizione” nella escalation militare “porta grandi pericoli all’umanità”, e crea “sofferenze economiche fra i poveri”. I due prelati presidenti ricordano come elemento negativo la chiusura del complesso industriale di Kaesong, che portava benessere a entrambi i poli della penisola e a tutto il popolo coreano e si preoccupano della “influenza negativa sull’economia” che potrà portare il progetto della Thaad.

I vescovi invocano il dialogo, la riconciliazione e la cooperazione
Per questo i vescovi chiedono al governo di Seoul di “far diventare la Corea un Paese in cui si può trovare la riconciliazione e la vita nella cooperazione, non un Paese pericoloso, in cui si scontrano le potenze degli Stati”. La strada - essi scrivono - non è quella della “pressione militare”, ma quella del “dialogo”, della “riconciliazione e della cooperazione”. E poiché “lo sviluppo è il nuovo nome della Pace” (Populorum Progressio, 76)”, solo lo sviluppo, “può portarci la pace vera”. A parere dei vescovi, “la realizzazione della pace sarà molto difficile, se la situazione economica e politica diventerà peggiore a causa delle tensioni internazionali”. (R.P.)

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P. Nicolás: audacia, immaginazione e coraggio per la nostra missione

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“Spero che i frutti della Congregazione siano una migliore vita religiosa nello spirito del Vangelo e una nuova capacità di immaginare l’approccio alla nostra missione”. È ciò che si augura padre Adolfo Nicolás Pachón, Preposito generale della Compagnia di Gesù, nel presentare la 36ª Congregazione generale che si aprirà a Roma il prossimo 2 ottobre. Lo riporta l'agenzia Sir.

Il Padre generale illustra le sue aspettative 
“Dopo il Concilio Vaticano II, era necessario riformulare molti aspetti e dimensioni della vita religiosa e questo è quanto è successo dalla 31ª alla 35ª Congregazione generale. Le Congregazioni si sono assunte questo compito e, con più o meno successo, hanno cambiato la metodologia per incorporare questo aspetto dei nuovi tempi nella Chiesa”. “Ora possiamo iniziare a occuparci nuovamente dei compiti che sono propri di una Congregazione di questo tipo e con dei numeri così elevati”, prosegue padre Nicolás, secondo cui “una Congregazione non ha lo scopo di produrre, comunemente, lunghi documenti. Essa rappresenta piuttosto tutta la Compagnia, nel discernere su come perfezionare la nostra vita religiosa e su come migliorare il nostro servizio alla Chiesa e al Vangelo nel ‘servizio delle anime’”. 

I bisogni la Compagnia di Gesù per la sua missione
​Per il padre generale, “c’è una nuova consapevolezza nella Compagnia di aver bisogno di audacia, immaginazione e coraggio per affrontare la nostra missione come parte della più grande missione di Dio per il nostro mondo”. (R.P.)

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Terra Santa: Ordine del Santo Sepolcro inaugura nuovo sito Web

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Le iniziative e i progetti realizzati e sostenuti soprattutto in Terra Santa dall'Ordine equestre del Santo Sepolcro avranno d'ora in poi un nuovo strumento per essere conosciuti in tutto il mondo: si tratta del nuovo sito Web internazionale dell'Ordine equestre www.oessh.va, inaugurato nei giorni scorsi dal card. Edwin O'Brien, Gran Maestro dell'Ordine del Santo Sepolcro. Già accessibile in cinque lingue, il nuovo Sito è stato progettato dal Dipartimento Comunicazione dell'Ordine, in collaborazione con la Segreteria delle comunicazioni della Santa Sede. 

Servirà soprattutto ai 30mila Cavalieri e Dame, sparsi in tutto il mondo
Il nuovo website – riferisce sui media del Patriarcato latino di Gerusalemme Francois Wayne, Direttore del servizio comunicazione dell'Ordine – servirà in primis agli stessi membri – 30mila Cavalieri e Dame, sparsi in tutto il mondo – per seguire le informazioni provenienti dalla Terra Santa, in particolare quelle relative alla vita del Patriarcato latino e della Custodia francescana. Ma “tutti coloro che sono interessati alla Terra Santa” aggiunge Wayne “possono trovare in questo sito stimoli e incoraggiamento per continuare ad aiutare le comunità cristiane che vivono nelle terre bibliche, dentro una prospettiva di dialogo e in una dinamica di fraternità universale”.

Tra i modelli di santità a cui si ispirano cavalieri e dame dell'Ordine c'è il Beato Bartolo Longo
Oggi – sottolinea ancora Wayne - “i Cavalieri e le Dame del Santo Sepolcro, sempre più numerosi, sono uomini e donne impegnati nelle loro diocesi, per lo più laici, che cercano di vivere il loro Battesimo alla luce della spiritualità della tomba vuota, a testimoniare la potenza della risurrezione di Cristo dedicando le proprie energie a sostenere le "pietre vive" della Chiesa Madre in Terra Santa”. Tra i modelli di santità a cui si ispirano c'è il Beato Bartolo Longo, apostolo del Rosario e membro laico dell'Ordine, che presso le rovine di Pompei “ha costruito un luogo di preghiera e opere sociali, fonte di speranza per milioni di pellegrini”. Proprio al Santuario della Madonna di Pompei i membri dell'Ordine si recheranno a ottobre in un pellegrinaggio giubilare, nel contesto dell'Anno Santo della Misericordia. (G.V.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 202

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.