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Sommario del 22/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Costituzione del Papa per le contemplative: fari e fiaccole per l'umanità

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La promozione di una formazione adeguata; i criteri specifici per l’autonomia delle comunità contemplative; l’appartenenza dei monasteri ad una federazione: sono questi alcuni punti della Costituzione Apostolica “Vultum Dei Quaerere – La ricerca del volto di Dio”, firmata da Papa Francesco e dedicata alla vita contemplativa femminile. Il documento indica 12 temi di riflessione per la vita consacrata in generale e si conclude con 14 articoli dispositivi. Il servizio di Isabella Piro: 

Le contemplative siano fari e fiaccole dell’umanità
Essere “fari e fiaccole” che guidano ed accompagnano il cammino dell’umanità, interlocutrici “sapienti” che sanno “riconoscere le domande che Dio e l’umanità pongono”: questa è la sfida indicata da Papa Francesco alle contemplative. In un mondo che cerca Dio, anche inconsapevolmente – scrive il Pontefice – le persone consacrate non devono fermarsi mai nella loro ricerca di Dio, portando il Vangelo nel mondo contemporaneo. E non si tratta di una missione facile, considerata la realtà attuale che “obbedisce a logiche di potere, economiche e consumistiche”. Ma è proprio in questo contesto che il silenzio, l’ascolto, la stabilità della vita contemplativa “possono e devono costituire una sfida”.

Vita consacrata, storia di amore appassionato per Dio e l’umanità
“Dono inestimabile ed irrinunciabile” per la Chiesa – si legge nella Vultum Dei Quaerere (VDQ) – “la vita consacrata è una storia di amore appassionato per il Signore e per l’umanità”, che si dipana attraverso “l’appassionata ricerca del volto di Dio”, di fronte al quale “tutto si ridimensiona”, perché guardato con “occhi spirituali” che permettono di contemplare “il mondo e le cose con lo sguardo di Dio”. Di fronte alle “tentazioni”, poi, il Papa esorta le contemplative a “sostenere coraggiosamente il combattimento spirituale”, vincendo con tenacia “la tentazione che sfocia nell’apatia, nella routine, nella demotivazione, nell’accidia paralizzante”.

Formazione e preghiera
Quindi, il Papa invita a “riflettere e discernere su dodici temi della vita consacrata in generale. Il primo è quello della formazione, processo senza fine che “richiede una continua conversione a Dio” e un tempo adeguato, tra i nove ed i dodici anni.  Di qui, il richiamo del Pontefice ai monasteri affinché “prestino grande attenzione al discernimento vocazione e spirituale, senza lasciarsi prendere dalla tentazione del numero e dell’efficienza”. Segue, poi, la preghiera: “midollo della vita consacrata”, essa non deve essere vissuta come “un ripiegamento” della vita monastica su se stessa, bensì come un “allargare il cuore per abbracciare l’intera umanità”, in particolare i sofferenti. In tal modo, le comunità diverranno “vere scuole di preghiera”, alimentata dalla “bellezza scandalosa della Croce”.

Lectio divina, Eucaristia e Riconciliazione
Centrale, poi, la Parola di Dio: esplicitata nella lectio divina, essa permette di passare “dal testo biblico alla vita” e deve scandire la giornata “personale e comunitaria” delle contemplative, aiutandole a “discernere ciò che viene da Dio e ciò che invece può allontanare da Lui”. Ma lectio divina dovrà anche trasformarsi in actio, “dono per gli altri nella carità”. Successivamente, la VDQ ricorda l’importanza dell’Eucaristia e della Riconciliazione, suggerendo di “prolungare la celebrazione con l’adorazione eucaristica” e di vivere la pratica della penitenza come “occasione privilegiata per contemplare il volto misericordioso del Padre”. Sperimentando il perdono di Dio, infatti, si può diventare “profeti e ministri di misericordia e strumenti di riconciliazione, perdono e pace” di cui il mondo di oggi ha “particolarmente bisogno”.

Vita comunicatoria e autonomia dei monasteri
Il quinto tema indicato dalla Costituzione apostolica è quello della vita fraterna in comunità, intesa come “riflesso del modo di donarsi a Dio” e “prima forma di evangelizzazione”. “Una comunità esiste in quanto nasce e si edifica con l’apporto di tutti”, scrive il Pontefice, nell’ottica di “una forte spiritualità di comunione” e di “mutua appartenenza”. E questa è una testimonianza quanto mai necessaria “in una società segnata da divisioni e disuguaglianze”. “È possibile e bello vivere insieme – si legge nel documento – nonostante le differenze di generazione, formazione e cultura”. Anzi, tali diversità non impediscono la via fraterna, ma “la arricchiscono”, perché “unità e comunione non significano uniformità”. Il sesto tema, invece, riguarda l’autonomia dei monasteri: pur favorendo la stabilità, l’unità e la contemplazione di una comunità, l’autonomia “non deve significare indipendenza o isolamento”, scrive il Papa, esortando le contemplative a non  ammalarsi di “autoreferenzialità”.

Le federazioni e la clausura
Strettamente legato a questo è il settimo tema, in cui il Papa richiama l’importanza delle Federazioni come “strutture di comunione tra monasteri che condividono lo stesso carisma”. Mirate alla promozione della vita contemplativa nei monasteri e all’aiuto nella formazione e nelle necessità concrete degli stessi, le Federazioni – è l’indicazione del Pontefice – “dovranno essere favorite e moltiplicate”. L’ottavo tema, invece, è relativo alla clausura, “segno dell’unione esclusiva della Chiesa sposa con il suo Signore”.

Il lavoro e il silenzio
Poi, Papa Francesco sottolinea l’importanza del lavoro che le contemplative devono compiere “con devozione e fedeltà, senza lasciarsi condizionare dalla mentalità efficientistica e dall’attivismo della cultura contemporanea”. Il lavoro andrà quindi inteso come “servizio all’umanità e solidarietà con i poveri”. E ancora: il silenzio, da intendere come “ascolto e ruminatio della Parola”, “vuoto di sé per fare spazio all’accoglienza”, silenzio “ricco di carità”, che “ascolta Dio ed il grido dell’umanità”.

La cultura digitale ed i mezzi di comunicazione
Consapevole, poi, dei mutamenti della società e della “cultura digitale” che “influisce in modo decisivo nella formazione del pensiero e nel modo di rapportarsi con il mondo”, come undicesimo tema Francesco pone i mezzi di comunicazione. “Strumenti utili per la formazione e la comunicazione”, li definisce il Papa che, tuttavia, esorta le contemplative ad “un prudente discernimento” affinché tali mezzi non siano occasione di “dissipazione o di evasione dalla vita fraterna, danno alla vocazione o ostacolo alla contemplazione”.

L’ascesi: le contemplative, “scala” verso Dio
Infine, l’ultimo tema è quello dell’ascesi: “segno eloquente di fedeltà” in un mondo globalizzato e senza radici, esempio, per “l’umanità segnata e lacerata da tante divisioni”, di come “restare accanto” al prossimo anche di fronte a diversità, tensioni, conflitti, fragilità,  l’ascesi non è una fuga dal mondo “per paura” – sottolinea Francesco – perché le monache “continuano a stare nel mondo, senza essere del mondo”. La loro profezia, allora, sarà quella di “intercedere costantemente per l’umanità” presso il Signore, ascoltando “il grido” di chi è “vittima della cultura dello scarto”. Così, le contemplative saranno la “scala” attraverso la quale Dio scende incontro all’uomo e l’uomo sale incontro a Dio. 

Reclutamento candidate non sia solo per far sopravvivere i monasteri
La Conclusione dispositiva della VDQ si suddivide in 14 articoli che, di fatto, definiscono in termini giuridici quanto detto dal Pontefice in precedenza. In particolare, l’art. 3 stabilisce che si possono frequentare corsi formativi “anche al di fuori del proprio monastero e che “si deve assolutamente evitare il reclutamento di candidate da altri Paesi con l’unico fine di salvaguardare la sopravvivenza del monastero”. L’art. 8 elenca i requisiti necessari all’autonomia giuridica di una comunità, tra cui la capacità formativa e di governo, l’inserimento nella Chiesa locale e la possibilità di sussistenza. Qualora tali requisiti non sussistano, la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata “valuterà l’opportunità di costituire una commissione ad hoc” per “una rivitalizzazione del monastero oppure per la sua chiusura”.

Obbligo iniziale di far parte di una federazione
L’art. 9 sottolinea che “inizialmente tutti i monasteri dovranno far parte di una federazione”, che potrà essere configurata secondo criteri sia geografici che di affinità di spirito e tradizioni. Se un monastero non potrà confederarsi, la VDQ ribadisce che si dovrà chiedere il permesso alla Santa Sede, alla quale compete “un adeguato discernimento”.  Infine, l’art. 14 stabilisce che la  Congregazione per gli Istituti di vita consacrata emani indicazioni applicative secondo i carismi delle diverse famiglie monastiche. Tali indicazioni applicative dovranno essere approvate dalla Santa Sede.

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Mons. Carballo: per le monache è il tempo della responsabilità

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Il briefing di presentazione della Costituzione Apostolica di Papa Francesco “Vultum Dei quaerere – La ricerca del volto di Dio” sulla vita contemplativa femminile, pubblicato nella prima festa liturgica di Santa Maria Maddalena, è stato tenuto da mons. José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Numerose le domande dei giornalisti. Per noi c’era Adriana Masotti

Un bellissimo dono di Papa Francesco: mons. Carballo definisce così la Costituzione sulla vita monastica femminile che arriva dopo 66 anni dalla pubblicazione della precedente Costituzione "Sponsa Christi" di Papa Pio XII. Testimonianza quindi del suo apprezzamento per questa forma di speciale consacrazione. “Siate sentinelle del mattino che annunciano il sole che sorge”, questa l’esortazione iniziale di Francesco che, nota mons. Carballo, non trascura nulla in questo documento della vita contemplativa con indicazioni precise. E dice:

“Non manca nel documento una raccomandazione, 'si eviti assolutamente di reclutare candidate alla vita contemplativa da altri Paesi, al solo scopo di mantenere la sopravvivenza del monastero'”.

Rispondendo ad una domanda poi precisa:

"Questo non vuol dire chiudere la porta a vocazioni di altri continenti, no, soltanto fare attenzione al discernimento. Perché io chiamo sorelle di un altro continente? Perché se è soltanto per mantenere muri, questa non è una giustificazione evangelica”.

Mons. Carballo si sofferma poi su una novità: tutti i monasteri, salvo casi particolari a giudizio della Santa Sede, dovranno essere federati, non più soltanto secondo un criterio geografico, ma piuttosto “di affinità di spirito e di tradizioni”. Il segretario dela Congregazione per gli Istituti di vita consacrata conferma che a questa Costituzione seguirà al più presto possibile, forse già nel mese di ottobre, l’Istruzione elaborata, secondo lo spirito di questo documento, da parte del suo Dicastero: sostituirà quella vigente, “Verbi sponsa”, e conterrà la legislazione che regola formazione, autonomia e clausura dei monasteri.

La Costituzione presentata oggi si riferisce alla vita contemplativa femminile e, per il momento, dice mons. Caballo non si è pensato di farne una sulla vita monastica maschile. Il documento è stato elaborato in circa un anno e mezzo ed è il frutto delle risposte abbondanti pervenute da tutti i monasteri a cui era stato inviato un questionario. Alla sintesi hanno collaborato alcune contemplative di diversi ordini e congregazioni: è stata dunque, sottolinea, fortemente ascoltata la voce delle religiose.

Una domanda riguarda l’autonomia degli istituti religiosi di vita monastica femminile. E’ necessario, dice mons. Carballo, osservare ciò che è già regolato dalle leggi dei Codici e dai documenti della Chiesa, in ogni caso:

“Va considerato che le monache non sono delle minorenni e comunque delle persone non del tutto capaci, che hanno bisogno di avere qualcuno accanto a loro per essere sostenute, consigliate e, comunque, per non adottare scelte sbagliate; è il momento di credere alla loro responsabilità e alle loro scelte. E questo dovrà essere rispettato scrupolosamente sia dai vescovi, quando i monasteri dipendono dai vescovi, sia dai superiori religiosi, quando i monasteri dipendono dall’ordine maschile corrispondente, perché credo che a volte non siano giusti certi interventi. Però si deve dire anche che le abbadesse e le priore devono assumersi le proprie responsabilità”.

Le statistiche: i due Paesi dove ci sono più monache contemplative sono Spagna e Italia; un calo nei numeri sta avvenendo e ci sarà ancora, riconosce mons. Carballo. Secondo i dati in possesso della Congregazione, dopo l’Europa con oltre 23 mila consacrate, il continente con il maggior numero di religiose è l’America Latina con circa 5 mila. Ultima l’Oceania con poco più di 200. In totale tra le 43mila e 500 e le 44mila. Il numero dei monasteri è di circa 4000 in tutto il mondo. Riguardo alle famiglie religiose: al primo posto è quella francescana, subito dopo quella carmelitana.

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Gmg. Parolin: Francesco coi giovani lungo la mappa del Vangelo

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Un mosaico di misericordia e armonia. Così Papa Francesco ha definito l’ormai imminente Gmg di Cracovia che accoglierà il Papa mercoledì prossimo per il suo 15.mo viaggio internazionale in terra polacca, il primo in Polonia. Su questa visita del Pontefice nella terra natale di San Giovanni Paolo II, Alessandro Di Bussolo del Centro Televisivo Vaticano ha intervistato il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin:

R. – Certamente. Papa Francesco si porrà sullo stesso cammino iniziato da Giovanni Paolo II e poi naturalmente percorso anche da Benedetto XVI. Un cammino con i giovani, un cammino di fede, di speranza e di carità. Un cammino che ha una meta e la meta è sempre la stessa, e cioè l’incontro con Gesù Cristo e la proposta che il Papa continuerà a fare a tutti i giovani che parteciperanno alla Giornata Mondiale. Un cammino che ha una mappa e questa mappa è il Vangelo, e l’insegnamento, il magistero della Chiesa, e che ha anche un pane, un nutrimento, che è l’Eucaristia. Quindi cambiano gli scenari, ovviamente sono diversi, diversi continenti, diversi Paesi, ma, diciamo, il cammino continua, c’è una continuità in questo cammino. E mi pare che per quanto riguarda il magistero di Giovanni Paolo II possiamo sottolineare anche il fatto che questa Giornata Mondiale della Gioventù si colloca nel cuore dell’Anno Santo della misericordia. Dire misericordia significa fare riferimento a una parte fondamentale dell’eredità magisteriale e spirituale di Papa Woytila, di San Giovanni Paolo II. Il quale ha dedicato una delle sue prime encicliche, “Dives in Misericordia”, proprio alla realtà della misericordia e poi ha preso molte altre iniziative proprio per sottolineare questo aspetto: basterebbe ricordare la canonizzazione di Santa Faustina, nell’Anno Santo e ancora l’istituzione della domenica della Divina misericordia, nella Domenica in Albis, la seconda domenica di Pasqua. Quindi ecco, Giovanni Paolo II ha sottolineato molto questo aspetto, che sarà ripreso proprio da Papa Francesco nel corso di questa Giornata, per accendere questa scintilla, la scintilla della misericordia, nei cuori dei giovani e far divampare il fuoco della misericordia in tutto il mondo secondo il tema della giornata: “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia”.

D. – Cracovia è anche la città di Santa Faustina Kowalska, l’apostola della Divina misericordia. Il passaggio della porta Santa a Lagiewniky sarà uno dei momenti forti di questo giubileo?

R. – Certamente, proprio nella dimensione che ho appena ricordato, di questo legame con il tema della Divina misericordia. Il Papa lo ha detto chiaramente, anche nel messaggio che ha indirizzato ai giovani che parteciperanno, che questo passaggio sarà un andare verso Gesù Cristo e sarà un lasciarsi guardare da lui, un incontrare il suo sguardo misericordioso, per potergli dire con tutta la fiducia e con tutto l’abbandono quella preghiera che ci è stata insegnata dal Santa Faustina, “Gesù confido in te”. E io direi che questa sarà anche l’esperienza del Papa: sarà lui il primo a fare questa esperienza di incontro personale con il Signore, questa esperienza della Divina misericordia. Quindi, il Papa concretamente si recherà nel Santuario della Divina misericordia e lì dovrebbe anche ascoltare alcune confessioni, esercitare il ministero della misericordia, pregare anche nei luoghi dove è vissuta Santa Faustina, soprattutto nella cappella dove ha avuto la maggior parte delle sue visioni e dove ha scritto i suoi diari da cui è nata appunto questa particolare spiritualità di Gesù misericordioso, e poi, insieme con tutti gli altri pellegrini, passare la Porta santa.

D. – Il Papa torna nel cuore dell’Europa e con la Polonia visita il primo grande Paese europeo dopo il viaggio a Strasburgo. Quale messaggio manderà all’Europa?

R. – Evidentemente questo è un viaggio alla Giornata Mondiale della Gioventù, quindi immagino che il Papa non si rivolgerà direttamente né alla Polonia, Paese che ospita questa iniziativa, né all’Europa direttamente perché ha davanti a sé i giovani rappresentanti da tutto il mondo. Anche se è vero che questa Giornata si svolge in un paese che è nel cuore dell’Europa e immagino che la maggior parte dei giovani che vi parteciperanno verranno soprattutto dall’Europa. Per quanto riguarda l’Europa, il Papa ripeterà a questi giovani, credo, il messaggio che già tante volte ha espresso in più occasioni al parlamento di Strasburgo e poi in occasione della consegna del Premio Carlo Magno. Direi che si può raccogliere questo messaggio in due parole: un messaggio di speranza di fronte al futuro dell’Europa, e di fronte anche alle tante sfide che sono poste davanti alla costruzione europea, e un messaggio di coraggio, nel senso di riscoprire quelle che sono le autentiche radici cristiane dell’Europa, che hanno permesso all’Europa di diventare quello che è. Il Papa ricordava soprattutto questo spirito umanistico che l’ha sempre caratterizzata e nello stesso tempo anche coraggio che significa saper annunciare il Vangelo nelle mutate condizioni di vita in cui si trova e di fronte ai grandi problemi che si trova ad affrontare ogni giorno, soprattutto il problema delle grandi povertà, sia spirituali che materiali.

D. – A Czestochowa, davanti alla Madonna nera, Francesco ricorderà il 1050.mo anniversario del Battesimo della Polonia. La comunità cattolica polacca è ancora testimone fedele e coraggiosa di questa fede o il secolarismo sta facendo breccia?

R. – Io sono molto contento di questo fatto perché il Santo Padre mi ha privilegiato con la nomina a suo legato in aprile scorso, in occasione della stessa circostanza, e quindi sono stato a Poznan e a Gniezno e ho presieduto le celebrazioni per i 1050 anni del battesimo della Polonia, che in un certo senso completano quello che è mancato nella celebrazione del millenario, quando, lo sappiamo, data allora la situazione politica della Polonia è stato impedito a Papa Paolo VI di andare come aveva ardentemente desiderato. Quindi, ci sarà quasi una continuità con questa celebrazione di 50 anni fa ed è una celebrazione prima di tutto di ringraziamento: il Papa va a ringraziare, insieme alla Chiesa polacca, con i pastori e i fedeli, per questi mille anni di fede cristiana, e anche direi per quello che è successo in questi ultimi 50 anni: la ritrovata libertà e la possibilità di esprimere liberamente la propria fede. Io credo che la Chiesa polacca, per quello che ho potuto vedere anche direttamente durante la visita che ho fatto e nelle precedenti visite, è una Chiesa ancora forte, è una Chiesa viva, che unita ai suoi pastori continua a testimoniare la fede anche nelle mutate circostanze attuali. Ci sono tante famiglie buone, ci sono tanti giovani che ancora si impegnano nella formazione e nella vita cristiana, c’è slancio missionario e c’è desiderio di apostolato. Ci sono ancora vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa. Quindi un tessuto che ancora a mio parere fondamentalmente tiene, certo è chiamato a rispondere alle nuove sfide e come lei ricordava prima, la sfida principale è proprio questa del secolarismo, quindi della perdita del senso di Dio e di vivere come se Dio non esistesse nelle nostre società. In questo senso, la chiesa polacca dovrà essere creativa e aperta a trovare modalità nuove anche per rispondere a questi nuovi problemi.

D. – Gli orrori di Auschwitz e Birkenau e i dolori dei piccoli malati dell’ospedale pediatrico di Cracovia. Toccando con mano le sofferenze di ieri e di oggi, il Papa ricorderà la testimonianza di chi ha dato la vita per gli altri come san Massimiliano Kolbe?

R. – E’ interessante che il Papa, fin dall’inizio, quando si stava programmando questo viaggio, ha voluto questi due momenti, e io li definire un po’ il luogo dell’orrore e il luogo del dolore. Il luogo dell’orrore Auschwitz, Birkenau, la testimonianza di San Massimiliano Kolbe, l’olocausto del popolo ebraico, quindi più orrore di così. Ed è una presenza che significa soprattutto un richiamo, sarà un richiamo silenzioso, perché il Papa non farà discorsi in quella circostanza, io credo che di fronte agli orrori il silenzio è a volte più eloquente delle stesse parole… E il ricordo di tutte queste vittime dell’odio e della pazzia umana per ricordare che anche oggi purtroppo esistono situazioni di violenza, di disprezzo della vita umana, di disprezzo della persona, situazioni in cui si fomenta la divisione, situazioni in cui si usa il terrore, il terrorismo, per degli interessi personali o la costruzione di interessi economici e politici. E d’altra parte l’aspetto dell’ospedale come vicinanza al dolore delle persone… Il Papa richiama spesso che la Chiesa deve essere vicina, la Chiesa deve essere prossima di tutti quelli che sui trovano nella sofferenza. Chi più dei bambini ammalati si trova in questa situazione di necessità di avere qualcuno che sia vicino, come buon samaritano... Credo che la visita all’ospedale ha proprio questo significato, il Papa ne fa fatti altri. Ricordo che in Messico, mi pare, quando ha visitato un altro ospedale pediatrico ha parlato della terapia dell’affetto, l’affetto-terapia. Ecco, anche qui, certamente, userà la stessa terapia e inviterà tutti noi a farlo, nei confronti di questi bambini e nei confronti di coloro che soffrono.

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Papa ricorda l'ansia evangelizzatrice e l'ardore apostolico di Carmen

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Nella cattedrale dell’Almudena, a Madrid, l’ultimo saluto a Carmen Hernandez, 85 anni, iniziatrice, insieme a Kiko Argüello, del Cammino Neocatecumenale. Anima limpida, teologa attenta, dopo una laurea in chimica, la Hernandez, negli anni ’60, ha iniziato la sua opera di evangelizzazione nella periferia di Madrid. Il Papa in un messaggio la ricorda per la sua ansia evangelizzatrice e l'ardore apostolico. Il servizio di Eugenio Murrali

“Ho appreso con emozione la notizia della morte di Carmen Hernandez, sopraggiunta al termine di una lunga esistenza, segnata dal suo amore per Gesù e da un grande slancio missionario. In quest’ora di doloroso distacco, sono spiritualmente vicino, con affetto, ai familiari e all’intero Cammino Neocatecumenale, di cui lei è stata co-iniziatrice, come pure a quanti hanno apprezzato il suo ardore apostolico, concretizzato soprattutto nell’indicare un itinerario di riscoperta del Battesimo e di educazione permanente alla fede. Ringrazio il Signore per la testimonianza di questa donna, animata da sincero amore per la Chiesa che ha speso la sua vita nell’annuncio della Buona Novella in ogni ambiente, anche quelli più lontani, non dimenticando le persone più emarginate. Affido la sua anima alla Divina Bontà affinché la accolga nel gaudio della Pasqua eterna e incoraggio coloro che la hanno conosciuta, e quanti aderiscono al Cammino Neocatecumenale, a mantenere viva la sua ansia evangelizzatrice, operando in fattiva comunione con i vescovi e i sacerdoti ed esercitando la pazienza e la misericordia con tutti” .

Così, Papa Francesco, si è rivolto, in un messaggio, ai fedeli riuniti a Madrid per le esequie di Carmen Hernandez.  
A presiedere la Messa funebre, l’arcivescovo della capitale spagnola, mons. Carlos Osoro Sierra. Insieme con lui il cardinale Antonio María Rouco Varela, arcivescovo emerito di Madrid, il cardinale Stanisław Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, il cardinal Ricardo Blázquez Pérez, presidente della Conferenza episcopale spagnola, il cardinal Carlos Amigo Vallejo, arcivescovo emerito di Siviglia, e molti altri vescovi e prelati. Mons. Osoro Sierra ha ricordato in questo modo la figura della Hernandez:

“Credere nella resurrezione ha provocato in Carmen una spinta missionaria irresistibile. Lei ha sentito il desiderio di dare una testimonianza valorosa, con un carattere franco e un linguaggio diretto. Ha vissuto tutto questo con un  grande amore per la chiesa, soprattutto nella redazione dello Statuto del Cammino, approvato dalla sede apostolica”

Kiko Argüello ha espresso, con commozione, il suo sentito pensiero per questa sua compagna di viaggio:

“Dice San Paolo: 'Non so che desidero di più, se vivere per aiutarvi o morire, che è meglio: perché morire è stare con Cristo. Ora Carmen è felice, mentre noi qui stiamo soffrendo. Cosa posso dire di Carmen, potete immaginarlo: senza di lei il cammino non esisterebbe, lei ha portato la ricchezza del Concilio”.

E Kiko ha poi affidato al canto i sentimenti di questo momento di sofferenza, invitando anche gli itineranti e gli altri fedeli presenti ad accompagnare la sua voce, rotta dall’emozione:

(Kiko canta)

Padre Mario Pezzi, dal 1970 al fianco di Carmen e Kiko, ha tracciato un ricco resoconto del percorso della co-iniziatrice del Cammino e ha concluso menzionando i messaggi di vicinanza inviati dalle comunità ebraiche:

“Prima di tutto, penso che gli storici approfondiranno questo fatto: la fondazione di una realtà ecclesiale compiuta da un uomo e una donna che hanno collaborato costantemente insieme. Voglio dire poi che Carmen è stata innamorata di Dio, e Dio innamorato di lei, perché già da piccola le ha conquistato il cuore, quando voleva partire missionaria in India, e per questo una volta è scappata da casa. Lei ha collaborato con Kiko, portando su un vassoio, come diceva lei, il rinnovamento del Concilio Vaticano II, che si fonda soprattutto sulle tre costituzioni: Liturgia, Parola di Dio e Chiesa. Carmen ha combattuto molto per ciò che riteneva fondamentale per l’attuazione del Concilio: la Veglia pasquale, con tutto il suo splendore. In questo mons. Casimiro Morcillo l’ha aiutata. Inoltre, ha voluto recuperare la ricchezza del Battesimo, come dice molte volte Papa Francesco, attraverso un percorso graduale, progressivo, di conversione, durante il quale le persone, colpite dall’annuncio del Kèrigma, dall’amore di Dio, lasciano che esso generi un cammino sotto la Parola. E infine qui ci sono molte sorelle, molte donne. Una cosa che ha permesso a Carmen e Kiko di collaborare in questi anni, da quello che posso vedere io, è il fatto che fossero radicati in Dio, nell’amore di Dio. E quella realtà di carattere di entrambi ha aiutato molte donne a essere libere, a dire la verità di fronte ai loro mariti. Perché, come ha detto Benedetto XVI e ora ha ripetuto Francesco in “Amoris laetitia”: l’amore è rispetto dell’alterità, l’altro è una persona, non c’è amore senza libertà, senza verità”.

Un amore che ha dato i suoi frutti. Oggi, come ha ricordato Kiko, il Cammino Neocatecumenale conta 30 mila comunità in tutto il mondo, un milione e mezzo di fratelli, in 128 nazioni, 107 seminari "Redentoris Mater", 6.800 parrocchie.

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Papa ai giovani in un libro su Madre Teresa: servite i poveri

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Papa Francesco ha scritto la prefazione – pubblicata oggi in anteprima dal Corriere della sera – al libro “Amiamo chi non è amato”, nel quale la Emi ha raccolto due interventi inediti pronunciati da Madre Teresa nel ’73, a Milano, incontrando giovani e religiose. Francesco ha raccolto la sua riflessione sul testo in cinque parole: preghiera, carità, misericordia operosa, famiglia e giovani.  Il servizio di Roberto Piermarini: 

Il Papa inizia le sue riflessioni parlando della preghiera e ricorda che “Madre Teresa iniziava la sua giornata partecipando alla Santa Messa e la chiudeva con l’adorazione a Gesù Sacramento, Amore infinito. Così diventa possibile trasformare il lavoro in preghiera” afferma il Papa. Se entreremo nei sentimenti di Gesù, potremo gustare la vita e donare uno sguardo rinnovato a chi incontriamo.

La seconda parola, carità, spiega Francesco, “significa farsi prossimo alle periferie degli uomini e delle donne che incontriamo ogni giorno e provare compassione per gli ultimi nel corpo e nello spirito”, “farsi testimoni della carezza di Dio per ogni ferita dell’umanità”, per offrire alle persone che lo desiderano, la presenza e la vicinanza di Dio.

Sulla misericordia operosa il Papa ricorda che con le opere di misericordia corporali e spirituali, siamo chiamati a prenderci cura di ogni uomo. “Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina”. “Madre Teresa ha fatto di questa pagine del Vangelo – osserva Francesco – la guida della sua vita, la strada verso la santità e potrebbe diventarlo anche per noi”.

Quarta parola la famiglia. E’ qui che “impariamo da mamma e da papà – scrive il Papa – a sorriderci, a perdonarci, accoglierci, sacrificarci gli uni per gli altri, donare senza pretendere nulla in cambio, pregare e soffrire insieme, gioire e aiutarci reciprocamente”, come ci invita Madre Teresa.

E infine una parola per i giovani, che vedrà la settimana prossima alla Gmg di Cracovia. Il Papa li invita ad essere “costruttori di ponti per spezzare la logica della divisione, del rifiuto, della paura gli uni degli altri” e a mettersi al “servizio dei poveri”. Li esorta ad “affrontate con coraggio la vita, che è dono di Dio” e a “non farsi rubare il futuro che è nelle loro mani”. Nel libro Madre Teresa – che Francesco proclamerà santa il prossimo 4 settembre – afferma che la “malattia più grave non è la lebbra o la tubercolosi, ma la solitudine. Questa è la causa di tanti disordini, divisioni e guerre che oggi ci affliggono”.

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In udienza da Francesco mons. Galantino

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei).

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S.Sede-Osce: nelle guerre, dignità delle donne offesa da violenza sessuale

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Ancora oggi dignità e diritti delle donne sono violati. Così mons. Janusz Urbanczyk, osservatore permanente della Santa Sede all’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce), intervenendo ad una sessione del Consiglio permanente dell’organismo dedicato alla prevenzione della violenza sessuale sulle donne in contesti di guerra. Il servizio di Giada Aquilino

La dignità e i diritti umani delle donne continuano ad essere violati in particolare dalla “persistente piaga” della violenza sessuale contro di esse nei conflitti armati. A denunciarlo è stato mons. Janusz Urbanczyk, osservatore permanente della Santa Sede all’Osce. Negli anni e nelle diverse situazioni, ha spiegato il presule, le donne hanno dimostrato di essere “agenti vitali di cambiamento, riconciliazione e ricostruzione” nell’ambito delle loro famiglie, delle comunità locali, dei Paesi di appartenenza, rivestendo pure un “un ruolo chiave” nell’evitare che le società ricadano “nell’aggressività e nel conflitto armato”. Eppure in alcuni Paesi resta molto da fare per promuovere i diritti delle donne, come sottolineato anche da Papa Francesco nell’Esortazione apostolica “Amoris laetitia” sull’amore nella famiglia.

Papa Francesco e il contrasto alla violenza sulle donne
Il Pontefice, ha ricordato mons. Urbanczyk, “ha puntato il dito” contro i “vergognosi” maltrattamenti contro le donne, la violenza domestica, le varie forme di riduzione in schiavitù: piuttosto che una dimostrazione di potere maschile - ha sottolineato - sono atti codardi di “viltà”, aggiungendo che la violenza verbale, fisica e sessuale che le donne sopportano in alcuni matrimoni “contraddice la natura stessa dell’unione coniugale”.

L’impegno della Santa Sede
La Santa Sede, ha spiegato il rappresentante vaticano, è dunque impegnata sia a “combattere e prevenire” la violenza sessuale nei conflitti, assistendo e proteggendo al contempo le vittime, sia a favorire “l'adozione di misure per porre fine all'impunità” dei responsabili.

Parità tra uomini e donne
A proposito della “ricerca di una autentica e vera parità tra uomini e donne” mons. Urbanczyk ha ricordato che San Giovanni Paolo II la evidenziò già nella Lettera alle donne del 1995, facendo riferimento a parità di retribuzione per una parità di lavoro, protezione delle madri che lavorano, giusti avanzamenti di carriera, uguaglianza fra i coniugi nel diritto di famiglia.

L'impegno per l’uguaglianza
La Santa Sede, ha proseguito l’osservatore permanente presso l’Osce, sostiene “pienamente” gli impegni dell’organismo volti a determinare tale uguaglianza e ad affrontare le discriminazioni. Per questo, ha annunciato, la delegazione vaticana è pronta a negoziare “in buona fede” una potenziale decisione da prendere sull’integrazione al Piano dell’Osce per la promozione dell’uguaglianza di genere del 2004, nella misura in cui tale provvedimento possa contribuire a portare avanti, “in un nuovo formato”, la “vera e autentica” parità tra uomini e donne. Prima di concludere, mons. Urbanczyk ha voluto esprimere la “preoccupazione” della Santa Sede per il rischio che tale impegno per l’uguaglianza possa però essere ostacolato da “altri obiettivi e interessi” che impediscano misure efficaci e tempestive.

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Dicastero Famiglia: online corso di educazione affettivo sessuale

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Il Pontificio Consiglio per la Famiglia presenta a Cracovia, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, un progetto di educazione affettivo-sessuale per adolescenti e giovani. Elaborato in collaborazione con esperti della Conferenza episcopale spagnola, il progetto mira a una educazione integrale dei giovani entro cui la dimensione affettiva e sessuale si sviluppa armonicamente, attraverso scelte e passaggi maturati progressivamente. Il materiale, disponibile gratuitamente online (www.educazioneaffettiva.org) in cinque lingue (italiano, inglese, spagnolo, francese e portoghese), offre una presentazione organica dell’intero progetto dedicata agli educatori e una serie di schede (per educatori e ragazzi) articolata in sei grandi unità. Arricchiscono il percorso numerosi contributi multimediali offerti in una playlist disponibile sul canale Youtube del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Mons Carlos Simon Vazquez, sottosegretario del Dicastero, ha sottolineato come “questo progetto si iscrive nella logica indicata da Papa Francesco, dove l’educazione sessuale è inserita in un quadro più complessivo di  educazione all’amore e alla reciproca donazione (cf. Amoris Laetitia 280). E' un progetto in crescita e in evoluzione, che si potrà arricchire dell’esperienza di quanti vorranno sperimentarlo e adottarlo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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La Costituzione apostolica “Vultum Dei quaerere”.

Tutto in cinque parole: la prefazione di Papa Francesco al volume “Amiamo chi non è amato”, che raccoglie testi inediti di madre Teresa di Calcutta.

Chi ha paura non ha futuro: in prima pagina, Gualtiero Bassetti sulle parole profetiche di madre Teresa e di Giovanni Paolo II.

Cammino di misericordia: intervista di Alessandro Di Bussolo al cardinale segretario di Stato sul viaggio del Papa in Polonia.

Rodrigo Guerra Lopez su sviluppo e fedeltà creativa: dalla riflessione di Wojtyla all'esortazione “Amoris laetitia”.

Lettera a Papa Francesco della presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane.

San Giorgio torna a splendere: Fabrizio Bisconti sul restauro dei mosaici della Rotonda di Salonicco.

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Oggi in Primo Piano



Usa: Trump è ufficialmente il candidato dei repubblicani

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Negli Stati Uniti, Donald Trump ha accettato formalmente l’investitura dei repubblicani per la corsa alla Casa Bianca. Lo ha fatto durante un lungo intervento pronunciato davanti alla platea di Cleveland, dove è tornato a criticare con forza la candidata del Partito democratico, Hillary Clinton. Il servizio di Eugenio Bonanata

È durato più di un’ora il discorso di Trump. Il più lungo della storia recente, fanno notare gli analisti. I temi e sono quelli attesi: aumenta la violenza per le strade, dilaga la crisi economica e cresce l’insicurezza in tutto il Paese. Impietoso – secondo Trump – il bilancio dell’amministrazione Obama e in particolare dell’azione della Clinton sul fronte della politica estera. Un riferimento alla vicenda delle email che coinvolge la candidata del Partito democratico e poi l’affondo sulla questione dell’immigrazione. Occorre sospendere i flussi da tutti quei Paesi compromessi con il terrorismo e ristabilire efficaci meccanismi di controllo. Il disegno di Trump è chiaro: “Costruiremo un grande muro di frontiera per fermare l’immigrazione illegale”, dice, incitando i partecipanti alla convention di Cleveland. In tempo reale la replica della Clinton: “Non sei la nostra voce, siamo meglio di così”, scrive su Twitter. 

Sull’ufficializzazione della candidatura di Trump, e sul suo discorso pronunciato davanti alla Convention di Cleveland, Eugenio Bonanata ha intervistato Dario Fabbri, analista della rivista di geopolitica “Limes”: 

R. – È il discorso che, in assoluto, ci ha consegnato il “pensiero Trump”: un pensiero a tutto tondo, dall’economia alla strategia internazionale, passando per l’immigrazione e la sicurezza. Ovviamente, è stato il culmine di una settimana, a partire da lunedì, giorno in cui è iniziata la Convention repubblicana, in cui, di fatto, si è realizzato un climax. Gli oratori che hanno preceduto Trump hanno dipinto un quadro tetro degli Stati Uniti da ogni punto di vista, fino ad arrivare poi a questa notte e al discorso del “nominee” ormai ufficiale del partito che si è presentato come il “cavaliere senza macchia e senza paura” – l’unico, quasi un "messia" – che dovrà rilanciare gli Stati Uniti e salvarli dal loro assoluto abisso. In un certo senso, scientificamente, questo tipo di operazione sembra aver funzionato, almeno per quanto riguarda la base repubblicana. C’è da dire che però il discorso è rimasto molto vago su tantissimi punti. Intendiamoci, nulla di nuovo: normalmente i discorsi alle Convention sono tutti molto vaghi, anche se pare che le ricette di Trump siano veramente forse troppo poco circostanziate, almeno per ora.

D. – Come valutare la posizione dei repubblicani in tema di politica estera, in prospettiva?

R. – I repubblicani sono un conto, Trump è un altro. Perché lui è di fatto un alieno rispetto alla tradizione dei repubblicani, almeno quella degli ultimi anni. In realtà, l’isolazionismo che Trump propugna è comunque parte della tradizione statunitense e della destra americana in un certo qual senso. Tuttavia, ormai da diversi decenni, non ve ne era traccia nel partito repubblicano: basti pensare a George W. Bush, che era un signore interventista, molto legato agli affari internazionali. Trump, invece, è un potenziale presidente che vorrebbe restare fuori dalle beghe internazionali e che ha una visione quasi esclusivamente economicistica della politica estera: gli Stati Uniti devono intervenire soltanto lì dove c’è la possibilità di trarne un beneficio economico o materiale. E questa è una dimensione di fatto non imperiale, perché un impero – la prima potenza del mondo – come sono gli Stati Uniti, interviene per mere ragioni strategiche e non soltanto per avere un ritorno economico, ma per mantenere la sua egemonia. Per tutte queste ragioni, l’approccio di Trump, che non è lontanissimo da quello di Obama, è comunque alieno alla tradizione repubblicana.

D. –Tra i temi di politica estera c’è anche la questione Nato, che è stringente…

R. – Sì, la questione Nato si inserisce nell’approccio economicistico di Trump. Lui dice essenzialmente che non è più automatico che gli Usa difendano una nazione che è parte della Nato se questa non avrà speso quanto richiesto in difesa, ossia se non avrà speso la quota di Pil in difesa, come previsto nelle intenzioni. Anche qui, è un approccio tutto sommato un po’ alieno quello di Trump, perché gli Stati Uniti comunque – come detto – dovranno muoversi anche per ragioni strategiche. Quindi, intervenire in funzione anti-russa, o comunque indirettamente intervenire – anche se forse non militarmente – in difesa di Paesi come quelli baltici, che sono al confine con la Russia. È però altrettanto vero che questa forma di semi-isolazionismo, di non interventismo, è presente nell’establishment tanto di sinistra quanto di destra degli Usa. Quindi, in un futuro dobbiamo aspettarci un’America maggiormente restia ad intervenire negli affari internazionali, anche in Europa in funzione anti-russa, ma che comunque non abbandonerà definitivamente al loro destino i Paesi baltici o qualsiasi altro che non abbia pagato la sua quota. Si troverà cioè un bilanciamento, che non sarà più l’interventismo di qualche tempo fa, ma non sarà nemmeno una ritrosia totale ad intervenire.

D. – Trump ha ribadito il progetto di un muro per proteggere gli Stati Uniti dall’immigrazione illegale; i conservatori ci credono davvero?

R. – I conservatori ci credono fino ad un certo punto. Il muro, in realtà, parzialmente esiste già, e lo hanno peraltro costruito – “costruito” si fa per dire, nel senso che ne hanno almeno avallato la costruzione – anche i presidenti di “sinistra”, come Bill Clinton. Comunque c’è già una buona porzione di muro tra gli Stati del Sud e il Messico. Il fatto che Trump riesca o meno ad ultimare la costruzione del muro – peraltro sarebbe un’opera monumentale – è meno rilevante del fatto – e intendo per base che lo ascolta – che Trump sia invece favorevole a una nettissima riduzione dell’immigrazione. Anche qui però dobbiamo essere molto chiari: gli Stati Uniti hanno bisogno di migranti, la loro economia ne ha bisogno, la loro società ne ha bisogno. Quindi, a mio avviso succederà che, al di là della retorica di Trump, gli Stati Uniti continueranno ad accogliere i migrati e non espelleranno le decine di milioni di clandestini – si parla di 11-12 milioni – che vivono nel Paese.

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Turchia: epurazioni ed arresti. Possibile proroga dello stato di emergenza

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In Turchia non si ferma il pugno duro del governo contro tutti gli apparati dello Stato sospettati di aver partecipato al golpe. Le epurazioni sono salite a 65 mila, quasi 10 mila arresti. Intanto si segnalano nuove manifestazioni pro-Erdogan e tiene banco il tema del rispetto dei diritti umani. Dopo la sospensione della Convenzione europea dei diritti umani si torna a discutere della reintroduzione della pena di morte. Sentiamo Marco Guerra: 

Circa 700 impiegati pubblici dei ministeri dei Trasporti, delle Comunicazioni e delle Risorse Forestali, a cui si aggiungono 300 dipendenti della tv di Stato, sono le ultime vittime delle epurazioni di massa scattate dopo il fallito golpe. Il totale dei dipendenti pubblici allontanati, riferisce la Cnn Turk, sale così a 44.530, cui vanno aggiunti i 21 mila docenti cui è stata tolta la licenza di insegnamento. Erdogan tiene alta la tensione sugli oppositori e afferma che se ce ne sarà bisogno, non ci sono ostacoli a un'estensione oltre i 3 mesi attualmente previsti dello stato d'emergenza. Preoccupano poi le parole del ministro della Giustizia, Bekir Bozdag, secondo il quale l'eventuale ripristino della pena di morte è una questione interna, e si svolgerà senza tenere conto delle possibile reazioni dell'Unione Europea. Dichiarazioni che arrivano dopo la sospensione della Convenzione europea dei diritti umani. Su questo punto abbiamo raccolto l’analisi di Arduino Paniccia, docente di Studi strategici all’Università di Trieste:

R. – La Turchia – ormai 65 anni fa - è stata firmataria - assieme ad un gruppo di Paesi che, allora, per primi, costituirono l’Unione Europea - della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che è sostanzialmente un trattato internazionale, cui oggi aderiscono 47 Paesi. In questo modo, la Turchia, che era stata uno dei primissimi firmatari, si allontana dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che è a Strasburgo, da questa Convenzione di protezione delle libertà fondamentali e dei diritti umani. Va detto, per onestà, che negli ultimi anni, all’interno della Convenzione, vi erano stati dei forti dibattiti che riguardavano non solo la Turchia e la Russia – Paesi che sono stati moltissimo oggetto di sentenze all’interno della Corte, ma anche di Paesi di cui non ci saremmo aspettati, come la Svizzera, la Gran Bretagna... Quindi, comunque, c’era un forte dibattito e alcuni Paesi avevano minacciato di abbandonare. Il messaggio, a mio parere, è molto chiaro: si è passati dalle riflessioni, dai dibattiti ai fatti, cogliendo l’occasione del golpe, e la Turchia sembra momentaneamente uscita. Devo dire, però, che ho dei forti dubbi che la questione si limiterà ad un piccolo periodo di tempo.

D. – Il Consiglio d’Europa fa sapere che, comunque, la Turchia dovrà rispettare dei criteri anche in questo momento…

R. – Non credo che Erdogan per il momento abbia intenzione di seguire i consigli dell’Europa e di altri Stati, anche perché ha dichiarato apertamente che alcuni Stati, non ben specificati, sono coinvolti nel golpe. Questa, quindi, è l’occasione per allontanarsi, per non seguire quelle che sono le risoluzione e le raccomandazioni del Consiglio d’Europa, che già appunto molto fastidio avevano dato in passato; è l’occasione per liberarsi da quello che Erdogan da tempo considera un peso e non obbedirà ad altre indicazioni.  

D. – Forse, adesso, rischia anche l’accordo per il contenimento dei migranti…

R. – Non credo che in una situazione di questo genere possa proseguire - perlomeno sui binari in cui si era incanalata - una trattativa così come l’aveva impostata la Merkel e così come l’aveva impostata l’Europa. Erdogan farà altre richieste, se continuerà la trattativa, e le richieste saranno sicuramente diverse e sicuramente più imbarazzanti per l’Unione Europea. Ma sinceramente l’Unione Europea e gli Stati Uniti, nel caso della Turchia, hanno fatto due grossi errori strategici, e hanno commesso lo stesso errore, pensando – gli Stati Uniti – di delegare alla Turchia un ruolo che rivestiva all’interno del Mediterraneo - che la Turchia comunque non è riuscita a rivestire e quando lo ha fatto, lo ha fatto, giustamente, pensando ai propri interessi nazionali e non a sostituire la delega che gli americani intendevano dare come elemento di stabilità nel Mediterraneo orientale; e l’Unione Europea ha cercato di risolvere in malo modo il problema degli immigrati - male e per una via traversa -, mettendo cioè come primo baluardo la Turchia a fronte di un problema epocale. E quindi, sia l’Europa che gli Stati Uniti, hanno fatto due errori molto forti.

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Brasile: l'ombra dell'Isis sui Giochi di Rio

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A pochi giorni dall’inizio dei Giochi olimpici di Rio 2016, in Brasile sale l’allarme per possibili azioni terroristiche. La bandiera del terrore approda nel Sud America e minaccia di colpire durante i Giochi: nero è il colore della paura, rosso quello dei sanguinosi attentati finora rivendicati dall’Isis. Nelle ultime ore, il sedicente Stato islamico (Is) è tornato a farsi sentire e nel mirino questa volta è finita Rio de Janeiro, che ad agosto ospiterà i Giochi olimpici. La polizia federale è riuscita ad arrestare un gruppo di dieci potenziali terroristi, i quali avrebbero giurato fedeltà all’Is offrendosi per colpire durante la manifestazione sportiva. Michele Ungolo ha intervistato Marco Lombardi, esperto di terrorismo e docente di Gestione del rischio e Crisis management all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: 

R. – È la prima volta che abbiamo un gruppo terrorista che occupa uno spazio geografico. Hanno costruito un Califfato che ha un luogo geografico: il “Siraq”, ossia la Siria e l’Iraq. E poi è un terrorismo che si inquadra soprattutto in un contesto molto differente: quello della globalizzazione. La globalizzazione è un nostro prodotto e questo terrorismo ne sta usando in maniera assolutamente competente gli effetti: quindi si estende su tutto il pianeta.

D. – Il clima di tensione si estende giorno dopo giorno in un nuovo Paese. In Europa, la Francia è finita nell’occhio del ciclone e adesso anche il Brasile diventa una zona calda…

D. – Sì, le tendenze alla diffusione aumenteranno. Noi la definiamo una guerra “delocalizzata”, pervasiva, diffusa, quindi ci saranno punti di attrazione che aumenteranno. Poi in Brasile – lo abbiamo tutti sotto gli occhi – ci saranno le prossime Olimpiadi. E abbiamo visto che il modus operandi del terrorismo è andare a colpire quelli che si chiamano “soft targets”: quindi i grandi eventi per esempio, soprattutto quelli molto mediatizzati, sono evidentemente dei punti di attrazione. Il terrorismo promuove il terrore, il terrore si porta avanti – si promuove – attraverso la comunicazione. Ci stiamo lavorando e stiamo cercando di capire quali siano le possibilità di penetrazione e la decina di arresti ieri in Brasile conferma purtroppo la capacità di penetrazione, soprattutto attraverso la Rete. Questa è moltiplicata dal fatto, se si guarda agli arresti, che si tratta di persone estremamente giovani – 17, 18, 20 o 22 anni – quella che chiamiamo la generazione “digitale”, che vive, lavora, gioca, ma si radicalizza anche nella Rete. Inoltre, tutto ciò con delle derive particolari nel Sud America: abbiamo notato che ci sono certe favelas particolarmente penetrabili da parte della propaganda di Daesh.

D. – Data l’imprevedibilità di questi attori dell’orrore, risulta sempre più difficile comprendere dove e come avverrà una nuova azione di attacco…

R. – L’imprevedibilità è da sempre lo strumento preferito dal terrorismo, sottolineato e richiamato soprattutto da Daesh in questi ultimi mesi con delle campagne comunicative intensissime, come quelle in particolare dell’aprile e maggio 2016, in cui ha chiamato il “Lone Wolf” a colpire improvvisamente. E poi anche rispetto a una capacità opportunistica che ha Daesh: in fin dei conti noi possiamo anche argomentare sulle ragioni per cui alcuni di questi lupi solitari hanno colpito – se si tratti di vera adesione, vera vicinanza ideale o ideologica a Daesh – ma a Daesh questo alla fine importa poco. Importa poco quale sia la ragione profonda per cui una persona si sia mossa con un camion facendo strage sulla Promenade di Nizza. Daesh dice: “Quella è roba mia!”. E questo sfruttamento comunicativo fornito dall’occasione ottiene gli effetti che Daesh vuole.

D. – I luoghi con il maggior numero di afflusso di civili sono costantemente sorvegliati e protetti, ma i riflettori ora sono puntati sulle Olimpiadi di Rio…

R. – Le Olimpiadi, come ogni altro evento mediatizzato, sono sicuramente sotto potenziale attacco. Questi luoghi sono anche per loro natura dei luoghi aperti: “securizzare”, come si dice in gergo, iniziative di questo tipo, è possibile ma è estremamente difficile. Ormai ci stiamo abituando, purtroppo: i tornelli e i metal detector per le partite di calcio, ma fra un po’ anche ai musei o ai concerti che teniamo nelle piazze… Purtroppo, il modus operandi che si sta importando o esportando dipende dalla posizione in cui ci mettiamo: è quello dell’Intifada dei coltelli, dell’Intifada delle bombe, è quello tipico del Medio Oriente. Questo poi porta evidentemente ad altre modalità operative, ma innanzitutto ci interroga sul fatto se sia questa la soluzione, perché è una soluzione che ha un impatto enorme sulla nostra vita quotidiana.

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Terapie riparative, c'è il carcere. Camerini: ddl contro libertà

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Due anni di carcere, multa da 10 mila a 50 mila Euro e sospensione dalla professione. E’ quanto previsto, da un ddl depositato al Senato, nei confronti di psicologi, medici, psichiatri o educatori che facciano uso su soggetti minorenni di pratiche rivolte a quella che definisce "conversione dell’orientamento sessuale". Il provvedimento a firma, tra gli altri, dei senatori Pd Lo Giudice e Cirinnà, nelle intenzioni dichiarate mira a contrastare “atteggiamenti omonegativi”  fra cui include le cosiddette “terapie riparative”. “Ciò significa - afferma il portavoce del Family Day Massimo Gandolfini - che un minore che vive con disagio il suo orientamento sessuale, con l’aiuto e l’approvazione dei genitori, non può e non deve trovare alcun professionista che lo aiuti, salvo solo confermarlo nell’orientamento vissuto con sofferenza. Siamo allo Stato Etico - sottolinea - omosessualità, bisessualità e transessualità sono dogmi morali intoccabili a anche difronte alle valutazioni che può fare un esperto medico psichiatra. Che ne è della libertà? La libertà di scelta, la libertà di ricerca, la libertà di educazione dei genitori? Senza contare quanto instabili ed insicure sono le scelte emotivo-affettive che caratterizzano gli anni dell’adolescenza!”. Paolo Ondarza ha raccolto il commento del neuropsichiatra infantile Giovanni Battista Camerini, docente di master presso le Università di Padova e Sapienza di Roma: 

R. – Mi sorprende molto che si possa pensare a un ddl per censurare una tecnica e una metodica, quando in Italia non sono praticate terapie cosiddette riparative volte alla conversione dell’orientamento sessuale. Ogni setting psicoterapeutico è rivolto, indipendentemente dalla tecnica, a far raggiungere al paziente una maggiore consapevolezza delle problematiche di cui soffre; è volto ad aiutare il paziente a raggiungere un maggiore benessere, a raggiungere un migliore adattamento. Ma questo, indipendentemente dalla tecnica che si usa.

D. – L’obiettivo dichiarato è quello di proseguire nella strada di de-patologizzare l’omosessualità, iniziata già nei decenni passati. Però nel provvedimento, non si va a distinguere tra l’omosessualità – potremmo dire – “accettata” e quella “subita”: in termini tecnici, ego-distonica o ego-sintonica...

R. – Anche qua c’è uno strano pensiero pseudo-positivistico secondo il quale l’omosessualità sarebbe come il colore dei capelli, un tratto genetico che non va contrastato perché è già inscritto nel destino evolutivo o nelle libere scelte di un soggetto. Non è così. Chi ha pratica di adolescenti sa benissimo che il più delle volte vengono in terapia ragazzi che attraversano un momento di confusione, che ti pongono dei problemi che loro stessi hanno internamente e che vivono in maniera conflittuale in relazione al loro orientamento sessuale. La psicoterapia può essere uno spazio utile per affrontare questi conflitti e lo psicoterapeuta può essere utile – appunto – per cercare di dissipare queste nebbie. Questo è il lavoro di uno psicoterapeuta.

D. – Questo lavoro dello psicoterapeuta rischia di essere in qualche modo “ostacolato” da un provvedimento legislativo di questo tipo?

R. – Questo inibirebbe completamente a qualunque ragazzo che abbia conflitti, problematiche in questo ambito, la possibilità di accedere alla psicoterapia, nel senso che qualunque psicoterapeuta in un set psicoterapeutico può dare consigli. Ora, se un consiglio venisse interpretato come un qualcosa dato per avversare le scelte sessuali, quale psicoterapeuta mai potrebbe prendere in terapia un ragazzo con problemi, con questa minaccia che si può prospettare?

D. – Il riferimento esplicito che viene fatto nella presentazione di questo disegno di legge è a quei casi di ragazzi adolescenti che vivendo difficoltà con la propria famiglia nel farsi accettare nella condizione di omosessuale o di transgender, che sono ricorsi al suicidio, quindi casi tragici …

R. – Questo certamente non riguarda il setting della psicoterapia: questo riguarda l’accettazione che i genitori sono ovviamente chiamati ad avere nei confronti di figli che hanno orientamenti sessuali diversi da quelli che i genitori si attendono, ma non può certamente la legge a normare questi comportamenti.

D. – Professore, lei ravvisa in Italia atteggiamenti omo-negativi riscontrabili anche tra psicologi o psichiatri, e magari riconducibili a fattori come il sentimento religioso, il conservatorismo politico, la scarsa conoscenza delle persone lesbiche, gay, bisessuali – come viene citato nel ddl – che provocano, appunto, una forzatura nel processo di acquisizione dell’identità sessuale di un adolescente?

R. – Nel mondo psicologico, assolutamente no: non c’è nessun orientamento di questo tipo. Non esiste nessun rilievo di tecniche psicologiche, psicoterapeutiche orientate in questo senso. Probabilmente, negli Stati Uniti c’è qualcosa, ma non è assolutamente di mia conoscenza nulla del genere in Italia.

D. – E’ preoccupato da provvedimenti di questo tipo?

R. – Molto, perché c’è un’ingerenza del settore pubblico anche nella sfera delle relazioni intime-private financo intervenendo in una delle dimensioni più intime, che è quella della relazione terapeutica. Mi preoccupa estremamente. Siamo a livello di una specie di interferenza nella libertà di pensiero.

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Cannabis. Cnr: rischi elevati, danni a sviluppo neuronale

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Il 25 luglio prossimo, il parlamento italiano dovrà affrontare il tema della legalizzazione della cannabis. Lo chiede un disegno di legge che vede come primo firmatario Daniele Farina, di Sinistra italiana. Molti scienziati però sono contrari, per gli effetti negativi di questa sostanza provocati dalla presenza di Thc, il delta 9 tetraidrocannabinolo, uno dei maggiori principi attivi della cannabis. Alessandro Guarasci ha sentito Vincenzo Di Marzo, ricercatore del Cnr, tra i maggiori esperti del settore: 

R. – Se la percentuale di Thc rispetto agli alti cannabinoidi o rispetto al peso stesso secco dell’infiorescenza è molto elevata, è chiaro che gli aspetti psicotropi sono molto più alti e anche la potenzialità di dare dipendenza o altri effetti molto negativi aumenta.

D. – Noi sappiamo che sul mercato ci sono tipologie di cannabis con Thc molto elevato, se non altro questo è quello che ci dicono gli studi e i sequestri. Qual è la tossicità per l’organismo?

R. – Le varietà di cui lei parlava, come per esempio quella che viene conosciuta con il nome di "Shank", possono superare anche il 10%, 20% di Thc in relazione al peso, mentre la cannabis tradizionale raramente superava il 2-3% di Thc. Quindi, parliamo di quantità di Thc dieci volte superiore a quelle che si utilizzavano ad esempio negli anni ’60 o ’70. Esistono degli studi condotti sull’uomo che indicano che l’utilizzo continuo, eccessivo, di preparati a base di Thc possono portare ovviamente effetti sulla cognizione, sulla memoria e sulla percezione anche di lunga durata. Poi, ci sono anche i cosiddetti "cannabinoidi sintetici": bisogna stare particolarmente attenti a questi ultimi perché, ovviamente, si tratta di molecole sintetiche, disegnate per essere potenti sul cosiddetto ricettore del Thc anche cento volte più potenti del Thc stesso. Chiaramente, di queste molecole si conosce ancora poco la tossicologia, ma è facile prevederne effetti molto più drammatici rispetto al Thc stesso.

D. – Gli effetti secondo quello che dicono gli studi possono essere più pericolosi su soggetti in fase evolutiva, dunque, sugli adolescenti?

R. – Assolutamente sì, si possono avere dei disturbi anche profondi dello sviluppo neuronale. Questo, ovviamente, ancora una volta si verifica quando si utilizzano dosi molto elevate di Thc. Il Thc come molecola non è un attivatore molto potente dei ricettori degli endocannabinoidi presenti nel cervello, però è chiaro che se si consumano alte dosi di Thc si possono avere degli effetti sullo sviluppo neuronale molto profondi.

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Maria Maddalena, la prima "festa" liturgica

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La Chiesa celebra oggi per la prima volta la “festa” liturgica di Maria Maddalena, che finora figurava nel Calendario Romano con il grado di “memoria obbligatoria”. È stato Papa Francesco, il giugno scorso, a volere tale modifica, fissata attraverso un decreto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Nel nuovo prefazio della Messa si definisce “Apostola degli Apostoli” colei che per prima annunciò la Risurrezione di Cristo. Il servizio di Alessandro De Carolis

Pietro, la roccia. Giacomo e Giovani, i figli del tuono. Non c’erano loro, le pietre angolari della Chiesa neonata, quando l’indicibile si manifesta a un essere umano. A guardare in volto il Risorto dai morti, a sentirsi chiamare per nome da Lui, c’è lei, la donna dalla quale sono usciti un giorno sette demoni e al loro posto è entrato il cielo.

Gesù, amore della vita
Maria di Magdala, ha detto Papa Francesco in una delle sue primissime Messe a S. Marta, ha avuto la grazia delle lacrime. Quelle versate sui piedi di Gesù e asciugate con i capelli. Le lacrime che le rigano il viso davanti a quel sepolcro improvvisamente vuoto, dove non c’è più neppure un corpo freddo da onorare per dire l’ultimo grazie, l’ultimo atto d’amore per ricambiare l’immensità del perdono che ha placato il morso del buio. Perché Maria Maddalena è la fede fatta amore appassionato, estranea ai sentimenti tiepidi, a un cuore diviso fra tanti. Il suo è solo per il Maestro. “Lo amò mentre viveva” e “lo cercò quando giaceva nel sepolcro”, recita su di lei un’antica sequenza del XII secolo.

La fede e la carne
Per questo Maria Maddalena è la cristiana modello per chiunque. Non l’eccellenza della fede mitizzata da angelici aneddoti e soffusa d’incenso, come quella narrata da certi “santini”. Lei è la fede di carne, autentica fin nel midollo: l’esperienza di una persona che conosce Cristo, ne sente la misericordia dissipare i fantasmi che la agitano e decide da quel momento di cambiare per sempre vita pur di seguirlo, senza voltarsi indietro a riprendere l’aratro delle vecchie abitudini.

Anticipo di Risurrezione
Si può dire che Maria di Magdala veda accendersi nel proprio cuore una fiammata della risurrezione che la abbaglierà più avanti fuori del sepolcro, quando Gesù la chiamerà per nome e la invierà dai Dodici, facendola – come afferma la nuova forma liturgica – “Apostola degli Apostoli”.

La grazia delle lacrime
Pur vivendo fuori dal sepolcro vuoto il “momento del buio” nell’anima, il “fallimento”, Maria Maddalena – aveva osservato Papa Francesco – “non dice: ‘Ho fallito su questa strada’”, ma “semplicemente piange”. “A volte – aveva continuato il Papa - gli occhiali per vedere Gesù sono le lacrime”. “Tutti noi, nella nostra vita abbiamo sentito la gioia, la tristezza, il dolore” ma “nei momenti più oscuri – si era chiesto – abbiamo pianto? Abbiamo avuto quella bontà delle lacrime che preparano gli occhi per guardare, per vedere il Signore?”. Di fronte alla Maddalena che piange – aveva concluso Francesco – “possiamo anche noi domandare al Signore la grazia delle lacrime”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi francesi: no a strumentalizzazioni dopo strage di Nizza

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No alle strumentalizzazioni politiche sul tema della sicurezza in questo anno di campagna elettorale. ”Il richiamo alla solidarietà nazionale è un appello a tutti i francesi perché si riconoscano francesi, al di là della diversità della loro origine etnica e religiosa”. Lo ribadisce mons. Georges Pontier, arcivescovo di Marsiglia e presidente dei vescovi francesi in un intervista rilasciata oggi all'agenzia Sir, ad una settimana dalla strage di Nizza del 14 luglio.

Il terrorismo può provocare divisioni in un Paese multietnico
In un comunicato diffuso il giorno stesso dell’attentato, i vescovi scrissero: “La solidarietà nazionale deve essere più forte del terrorismo”. “Siamo consapevoli – spiega il vescovo Pontier – che questo terrorismo – e il modo in cui si produce – può provocare divisione in una popolazione europea e francese che ha origini diverse. Può non solo dividere ma porci gli uni contro gli altri. Ad essere attaccati in modo particolare sono i francesi di religione musulmana. Sono accusati di essere solidali con questa gente completamente folle”.

C'è il rischio che il terrorismo possa dividere la Francia
“Il terrorismo può dividere la Francia? Non lo auspico, non lo penso. Ma non posso certo nascondere – prosegue il presule – che questo rischio esiste e che ci siano proposte populiste che vanno in questa direzione, creando fratture tra francesi. La nostra unità nazionale non è minacciata ma lo può essere. I corporativismi e le accuse possono essere spesso irrazionali”.

Sulle misure di sicurezza evitare strumentalizzazioni politiche
​Riguardo alle polemiche che in questi giorni stanno scuotendo la Francia sulle falle del sistema-sicurezza a Nizza il giorno dell’attentato, il vescovo Pontier dice: “Ci troviamo purtroppo anche ad un anno dalle elezioni nel nostro Paese e a qualche mese o settimana dalle primarie. Purtroppo quando si affrontano queste questioni di sicurezza in una maniera o nell’altra, si sa bene che ci sono delle strumentalizzazioni politiche e, in casi come questi, si prendono posizioni che cercano di essere più dure rispetto alle affermazioni degli altri, per apparire all’opinione pubblica più difensori del Paese. Se ci sono stati degli errori, non saranno certo i media o i politici ad accertarlo. Spetta alla polizia e alla giustizia stabilirlo con un’inchiesta che mi risulta essere in corso. Sarà l’inchiesta a dirci la verità. Il resto contribuisce solo alla divisione e dipende dal clima delle elezioni che si avvicinano”. (R.P.)

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Egitto. Al Sisi: cristiani e musulmani uguali davanti alla legge

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In Egitto tra musulmani e cristiani c'è uguaglianza di diritti e di doveri davanti alla legge, e lo Stato deve prestare attenzione “a tutti i tentativi di 'infilare un cuneo'” tra le due comunità. Per questo i responsabili di violenze e attacchi di matrice settaria saranno perseguiti e puniti secondo la legge, perchè “l'Egitto è uno Stato di diritto”. Così il Presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha espresso ieri, in maniera netta, la sua posizione riguardo agli scontri settari come quelli registrati negli ultimi tempi soprattutto nel governatorato di Minya, dove domenica scorsa un cristiano copto è stato ucciso da assalitori musulmani durante una rissa. L'appello alla concordia religiosa e la riaffermata intenzione di perseguire per legge gli artefici di violenze settarie sono stati espressi dal Presidente nel corso di una cerimonia di consegna di attestati militari.

Appello del Patriarca Tawadros a non dare pretesti ai violenti
Parlando durante la cerimonia, Al-Sisi ha sollecitato tutti a vivere e a favorire l'unità nazionale tra egiziani, ribadendo che cristiani e musulmani sono uguali davanti alla legge. A seguire, anche il Patriarca copto ortodosso Tawadros II, dopo un breve incontro con il Presidente al Sisi, in una dichiarazione diffusa dalla stampa egiziana ha invitato tutti a non offrire pretesti a chi vuole sfruttare gli avvenimenti per arrecare danno a una società che ha 90 milioni di cittadini e soffre per difficoltà economiche e penuria di risorse finanziarie, “perchè il loro obiettivo è la distruzione del nostro Paese”.

Appello alla pacificazione anche del Grande imam di al Azhar al Tayyib
Gli interventi del Presidente al Sisi e del Patriarca Tawadros seguono quello dello Sheikh Ahmed al Tayyib, Grande Imam di al Azhar, che già era intervenuto con una dichiarazione pubblica, in cui invitava gli abitanti della regione a scegliere la via della ragione, per impedire il dilagare della sedizione settaria. 

I responsabili delle violenze settarie non vengono puniti
L'Organizzazione “Iniziativa Egiziana” ha conteggiato almeno 77 episodi più o meno gravi di violenza settaria avvenuti nella regione di Minya dopo la cosiddetta rivoluzione del 26 gennaio 2011. Finora, in molte occasioni, dopo i casi di scontri settari non si innescano processi penali per individuare e punire i responsabili delle violenze, ma si organizzano i cosiddetti “incontri di riconciliazione”, raduni pubblici ispirati dalle autorità locali per mettere a confronto i membri delle diverse comunità religiose dopo il consumarsi di scontri settari e indurli a pubblici atti di pacificazione. Una prassi da molti considerata inefficace, e che spesso finisce per garantire l'immunità agli artefici di atti violenti e intimidatori. (G.V.)

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Sudan: le inondazioni causano morti e distruzione

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Le forti inondazioni seguite alle pesanti piogge cadute nel Paese hanno causato la morte di diverse persone delle ultime settimane. Circa 2.200 abitazioni sono andate distrutte dalle piogge incessanti nel campo profughi Naivasha a Shangil Tobaya, nord Darfur, lasciando decine di famiglie sfollate senza casa. Lo straripamento dei fiumi durante la stagione annuale delle piogge in Sudan è la causa principale di questi devastanti allagamenti.

Case distrutte anche nella capitale Khartoum
Tra i distretti più colpiti - riferisce l'agenzia Fides - quello di El Fasher e Karary in Omdurman, oltre al villaggio di El Laota, Stato di El Gezira, dove sono stati registrati anche alcuni morti, e Khartoum con case andate distrutte. La Rete per la Sicurezza Alimentare, Fews, ha segnalato che l’aumento delle piogge presumibilmente porterà una produzione migliore nei raccolti, anche se questo incremento potrebbe essere causa di inondazioni localizzate in aree a rischio. (A.P.)

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Cile: ai negoziati sul conflitto Mapuche invitati i leader indigeni

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Si è svolta a Temuco, mercoledì scorso, la seconda sessione del "Tavolo di dialogo" per l'Araucania a cui ha partecipato mons. Hector Vargas come facilitatore del dialogo. Al termine dell’incontro mons. Vargas ha riferito alla stampa locale sulla partecipazione dei rappresentanti del Cam (Coordinadora Arauco-Malleco), principale rappresentanza mapuche.

La Chiesa ha invitato ai negoziati i principali leader Mapuche
Secondo quanto riferisce l'agenzia Fides, il vescovo della diocesi di Temuco ha commentato la sua conversazione con Héctor Llaitul, uno dei principali rappresentanti del Cam: "Ho parlato con lui e gli ho fatto capire che esiste questo tavolo di dialogo, qual è il suo scopo, l'obiettivo, e che se vogliono venire con una proposta interessante, ragionevole, che riesca gradualmente a superare i conflitti, così come tutte le altre istituzioni, lo possono fare". Llaitul ha risposto che tali questioni devono essere trattate con calma, con il resto dei capi della Cam. I partecipanti al Tavolo di dialogo si sono incontrati anche ieri, per discutere sui temi della problematica indigena e della zona Mapuche. L'incontro si è svolto presso l'Universidad de la Frontera de Temuco, presenti 16 dei 21 membri.

Un conflitto che ha visto violenze e incendi di chiese
​Nell'Araucanía cilena, il cosiddetto “conflitto Mapuche” contrappone dagli anni '90 il più grande e importante gruppo etnico del Paese, agli agricoltori e agli imprenditori a causa della proprietà delle terre, considerate dai Mapuche "patrimonio ancestrale". Negli ultimi mesi ci sono stati diversi episodi di violenti scontri fra indigeni mapuche e membri di alcune comunità di agricoltori della zona, ci sono stati anche diversi incendi di chiese per esprimere in modo violento la “causa mapuche”, ora il tavolo di dialogo sembra una prima soluzione per trattare insieme il problema (C.E.)

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Terra Santa: quasi 700 giovani alla Gmg di Cracovia

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Sono quasi 700 i ragazzi e le ragazze che dalla Terra Santa sono partiti nei giorni scorsi diretti in Polonia, per partecipare alla Giornata Mondiale della Gioventù 2016, i cui eventi centrali si svolgeranno a Cracovia dal 27 al 31 luglio. Alla precedente Gmg di Rio de Janeiro 2013 avevano partecipato solo 30 ragazzi provenienti da Israele, Palestina e Giordania. Stavolta del gruppo fanno parte un centinaio di giordani, quasi duecento palestinesi, maroniti e greco-cattolici della Galilea, un gruppo di cattolici delle parrocchie ebreofone e il gruppo di ragazzi e ragazze del Cammino neocatecumenale, provenienti anche da Cipro. 

Un giornale di bordo sul sito del Patriarcato per raccontare le esperienze alla Gmg
I quasi 200 ragazzi e ragazze preovenienti dai Territori Palestinesi – compresi 5 che vivono nella Striscia di Gaza - hanno deciso di raccontare le loro avventure e raccogliere emozioni e riflessioni nel “diario di George”, una sorta di giornale di bordo collettivo i cui passaggi chiave vengono rilanciati sul sito ufficiale del Patriarcato latino di Gerusalemme.

Accoglienza travolgente a Torun, la città che li ospita 
Nelle prime pagine, il “diario di George” sta raccontando le prime giornate e le prime impressioni delle ragazze e dei ragazzi arabi cristiani nella loro trasferta polacca. Dicono di aver avuto "un'accoglienza travolgente" a Torun, la città che li ospita, e subito prendono nota delle cose che possono imparare durante questo viaggio che li porterà a incontrare migliaia di coetanei provenienti da tutto il mondo: “il popolo polacco” si legge nel resoconto del primo giorno “quando si impegna, lo fa fino in fondo! Io penso che noi, i palestinesi in particolare e gli arabi in generale, abbiamo qualcosa da imparare da questo popolo. Dei valori che ci mancano ancora: lo spirito del rigore nel lavoro, dell'impegno serio, e anche privilegiare il bene comune”. 

Preghiera di ringraziamento al termine della prima giornata in Polonia
“Grazie, Signore, tu mi hai appagato durante questa lunga giornata di amicizia e di bellezza. Donami un cuore che ascolta, un cuore in pace, un cuore saggio, per vivere intensamente questi giorni futuri nella tua amorevole presenza. Guarisci la mia anima, io ho sete della pace.... della Tua pace”. (G.V.)

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Chiesa Senegal: mancanza di trasparenza delle istituzioni

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La mancanza di trasparenza e di comunicazione: sono questi i mali  principali della vita pubblica in Senegal oggi. A denunciarlo è la Commissione interterritoriale della Giustizia e della Pace delle Chiese del Senegal e della Guinea Bissau, riunita nei giorni scorsi a Dakar per discutere il suo piano di azione triennale.

Comunicazione e trasparenza garantiscono la pace sociale
In una dichiarazione pubblicata dall’Ufficio stampa dell’arcidiocesi di Dakar il segretario esecutivo dell’organismo, padre Alphonse Seck. osserva che le attuali tensioni sociali e politiche in Senegal sono in larga parte da attribuire alla scarsa comunicazione e trasparenza delle istituzioni e dei suoi leader politici. Secondo il sacerdote questi due elementi sono un fattore di serenità e di pace sociale, mentre l’opacità alimenta le polemiche: “Quando in un Paese le persone comunicano – afferma - le cosa vanno meglio. Quale che siano le decisioni prese, se si spiegano le ragioni e se c’è trasparenza nel modo in cui si gestiscono le cose, ciascuno si fa le sue opinioni”.

Tra le priorità di Giustizia e Pace la promozione della buona governance
Padre Seck ha quindi ricordato che la missione di Giustizia e Pace è proprio quella verificare presso le autorità locali quello che succede e che si vive e in quale misura ciò che si fa sia a favore delle persone, sia rispettoso dei loro diritti e delle condizioni che permettono a ciascuno di realizzarsi pienamente”. Ed è attorno alla promozione della buona governance, della gestione equa delle risorse naturali e delle iniziative della società civile che si articola il piano di azione triennale di Giustizia e Pace discusso alla riunione di Dakar. Tra gli altri punti qualificanti del piano, la creazione e il rafforzamento delle Commissioni diocesane di giustizia e pace, l’assistenza ai detenuti e alle famiglie. Tutti obiettivi che l’organismo si propone di realizzare in sinergia con altre organizzazioni non governative. (A cura di Lisa Zengarini)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 204

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.