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Sommario del 24/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Monaco e Kabul, deplorevoli atti di terrorismo. A Gmg, uniti nella preghiera

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Il pensiero ai “deplorevoli” atti di terrorismo e di violenza di Monaco di Baviera, in Germania, e di Kabul, in Afghanistan. La preghiera per l’imminente Gmg di Cracovia. Il senso della preghiera del Padre Nostro, che con Gesù ci aiuta a capire come non si possa vivere senza pane, senza perdono e senza l’aiuto di Dio nelle tentazioni. E' l'Angelus di Papa Francesco, recitato oggi in Piazza San Pietro. Il servizio di Giada Aquilino

Sono “deplorevoli” gli atti di terrorismo e di violenza che in queste ore hanno scosso “il nostro animo”. All’Angelus domenicale, il Papa pensa ai “drammatici eventi” di Monaco, in Germania, con la strage di venerdì pomeriggio che ha causato 10 morti, compreso il giovane killer, e di Kabul, in Afghanistan, dove un duplice attentato ha provocato ieri oltre 80 vittime. Francesco si dice “vicino” ai familiari degli scomparsi e ai feriti. E prega con i presenti:

“Vi invito ad unirvi alla mia preghiera, affinché il Signore ispiri a tutti propositi di bene e di fraternità. Quanto più sembrano insormontabili le difficoltà e oscure le prospettive di sicurezza e di pace, tanto più insistente deve farsi la nostra preghiera”.

Nella domenica in cui il Vangelo di Luca invita a riflettere sul senso della preghiera a Dio, il “Padre Nostro”, Papa Francesco ricorda che il Signore “conosce meglio di noi stessi” le nostre necessità, ma vuole che gliele presentiamo “con audacia e con insistenza”, perché questo è il nostro modo di partecipare alla sua “opera di salvezza”:

“La preghiera è il primo e principale ‘strumento di lavoro’ nelle nostre mani! Insistere con Dio non serve a convincerlo, ma a irrobustire la nostra fede e la nostra pazienza, cioè la nostra capacità di lottare insieme a Dio per le cose davvero importanti e necessarie. Nella preghiera siamo in due: Dio e io a lottare insieme per le cose importanti”.

La preghiera di Gesù e quindi la preghiera cristiana, ricorda, sono prima di tutto “un fare posto a Dio”, lasciandogli manifestare la sua santità in noi e facendo avanzare il suo regno, a partire dalla possibilità di esercitare “la sua signoria d’amore nella nostra vita”. Lo si comprende quando Gesù insegna ai discepoli il “Padre Nostro”, da cui emergono tre “necessità fondamentali”: il pane, il perdono e l’aiuto nelle tentazioni.

“Non si può vivere senza pane, non si può vivere senza perdono e non si può vivere senza l’aiuto di Dio nelle tentazioni”.

Perché il pane “è quello necessario”, “giusto”, “non il superfluo”: è quello dei pellegrini, “che non si accumula e non si spreca, che non appesantisce la nostra marcia”. Il perdono - prosegue il Papa - è, prima di tutto, quello che noi stessi riceviamo da Dio:

“Soltanto la consapevolezza di essere peccatori perdonati dall’infinita misericordia divina può renderci capaci di compiere concreti gesti di riconciliazione fraterna. Se una persona non si sente peccatore perdonato, mai potrà fare un gesto di perdono o di riconciliazione. Si comincia dal cuore dove ci si sente peccatore perdonato”.

Il Pontefice cita quindi “la consapevolezza della nostra condizione, sempre esposta alle insidie del male e della corruzione”: tutti – osserva – “conosciamo cosa è una tentazione”. Esorta poi a chiedere al Padre lo Spirito Santo:

“Serve a vivere bene, a vivere con sapienza e amore, facendo la volontà di Dio. Che bella preghiera sarebbe, in questa settimana, che ognuno di noi chiedesse al Padre: ‘Padre, dammi lo Spirito Santo’”.

Lo dimostra la Madonna “con la sua esistenza”, aggiunge Francesco, auspicando che la Vergine ci aiuti a pregare “per vivere non in maniera mondana, ma secondo il Vangelo, guidati dallo Spirito Santo”. Quindi, al termine della preghiera mariana, osserva che in questi giorni tanti giovani, da ogni parte del mondo, si stanno incamminando verso Cracovia, per la trentunesima Giornata Mondiale della Gioventù. Il Papa li raggiungerà mercoledì prossimo, per celebrare “con loro e per loro” - sottolinea - il Giubileo della Misericordia, “con l’intercessione di San Giovanni Paolo II”:

“Vi chiedo di accompagnarci con la preghiera. Fin da ora saluto e ringrazio quanti stanno lavorando per accogliere i giovani pellegrini, con numerosi vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, laici. Un pensiero speciale rivolgo ai tantissimi loro coetanei che, non potendo essere presenti di persona, seguiranno l’evento attraverso i mezzi di comunicazione. Saremo tutti uniti nella preghiera”!

Nei saluti finali, un pensiero ai pellegrini riuniti in Piazza San Pietro e provenienti dall’Italia e da altri Paesi, in particolare per i giovani di Valperga e Pertusio Canavese, Torino:

“Continuate a provare a vivere e non vivacchiare, come avete scritto sulla vostra maglietta”.

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Francesco: telegramma per strage Monaco, terribile fatto di violenza

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Un “terribile fatto di violenza”. È la strage di Monaco di Baviera nelle parole di Papa Francesco, in un telegramma inviato a suo nome dal segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, all’arcivescovo di Monaco e Frisinga, il cardinale Reinhard Marx. Il Pontefice - si legge nel testo - ha appreso “con costernazione” le notizie della strage “in cui diverse persone, soprattutto giovani, hanno trovato la morte e altre sono state gravemente ferite”. Francesco “partecipa al dolore dei sopravvissuti ed esprime loro la sua vicinanza nella sofferenza”, affidando nella preghiera i defunti “alla misericordia di Dio”. Manifesta al contempo la sua “profonda partecipazione a tutti coloro che sono stati colpiti da questo attentato” e ringrazia i soccorritori e le forze dell'ordine “per il loro impegno attento e generoso”. Il Papa prega “Cristo, Signore della vita, di donare a tutti conforto e consolazione” e imparte la benedizione apostolica come “pegno di speranza”.

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Papa su Instagram: non più terrorismo

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“Prego per tutte le vittime del terrorismo nel mondo. Per favore, non più terrorismo! E’ una strada senza uscita!”. Così Papa Francesco, sul suo account Instagram @Franciscus, quando la violenza continua a colpire diverse parti del mondo: gli ultimi attacchi stamani in Iraq, con oltre 10 vittime, e ieri in Afghanistan, con più di 80 morti. Nell’immagine, le mani giunte del Pontefice in segno di preghiera.

Domenica scorsa, durante l’Angelus in Piazza San Pietro, il Papa aveva lanciato un nuovo appello dopo la strage di Nizza: "Nessun uomo osi più versare il sangue del fratello" – aveva detto pensando alle molte vittime innocenti, “persino tanti bambini” - "Dio, Padre buono - era stata la sua preghiera - accolga tutte le vittime nella sua pace, sostenga i feriti e conforti i familiari; Egli disperda ogni progetto di terrore e di morte”. E aveva invitato a costruire un mondo nuovo, più fraterno, basato sull’accoglienza, che purtroppo “nel mondo di oggi rischia di essere trascurata”.

E all’Angelus del 3 luglio, il Papa aveva espresso la sua vicinanza anche ai famigliari delle vittime e dei feriti degli attentati avvenuti a Dacca e a Baghdad: “Preghiamo insieme per loro” – aveva detto – “e chiediamo al Signore di convertire il cuore dei violenti accecati dall’odio”.

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Alla Gmg anche “Radio Jobel”, emittente dei giovani cosentini

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Alla Gmg di Cracovia saranno presenti anche i ragazzi di Radio Jobel, l’emittente dell’arcidiocesi di Cosenza, integrata con il settimanale diocesano “Parole di Vita”. La Radio, nata in questi mesi, si chiama “Jobel” come la radice ebrea della parola Giubileo che la Chiesa sta vivendo quest’anno grazie a Papa Francesco. Sulla presenza a Cracovia di questa radio, animata dai ragazzi cosentini, Alessandro Gisotti ha intervistato il direttore dell’emittente, don Enzo Gabrieli

R. – La nostra radio l’abbiamo voluta chiamare “Jobel” per riferirci al Giubileo e al simbolo fondamentale; per essere un richiamo per tutti e per ricominciare, così come ci ha chiesto il Papa, proprio da queste esperienze forti per ridare vitalità e stimolo al nostro territorio. I nostri ragazzi dell’ufficio della comunicazione della diocesi si sono cimentati in questa nuova avventura, recuperando una storica radio di un sacerdote pioniere, per varcare, come fece lui, le montagne non solo geografiche, ma anche culturali. Il nostro andare a Cracovia con la pattuglia di giornalisti vuole essere un servizio per i tanti giovani i quali, per vari e disparati motivi, non possono partecipare a questa grande esperienza di chiesa. E allora cercheremo di metterci in contatto con loro, raccontando, facendo un servizio di occhi, orecchi e voce anche per loro. Nell’esperienza della Gmg che contemporaneamente si svolgerà in diocesi, tenteremo anche dei contatti attraverso i social,  lo streaming e le dirette, per raccontare e metterli in comunione con questa grande esperienza di chiesa.

D. – Quindi la radio e i social network come occasione e strumento della cultura dell’incontro di cui parla Papa Francesco, in un incontro straordinario come la Gmg dei giovani…

R. – In fondo, i mezzi di comunicazione – il giornale prima e oggi la radio – sono ponti che mettono in comunione e fanno superare le distanze. Così come si può superare la distanza con l’amico che si raggiunge attraverso il social network, possiamo superare le distanze per raccontare e far vivere loro, direttamente o indirettamente, l’esperienza di quella che ormai è stata definita come la “Gmg social”, la “Gmg del Terzo Millennio”.

D. – Ovviamente, sarà soprattutto una grande esperienza di fede per lei, e per i giovani che saranno presenti: cosa vi aspettate come frutti per i giovani in quanto tali, e poi anche per la Radio, appena nata?

R. – Sicuramente un cammino, perché noi stiamo vivendo questa esperienza di redazione come una piccola “parrocchia nella parrocchia” o nella diocesi. Abbiamo cominciato la preparazione sin dall’anno scorso, quando siamo andati sui passi di San Giovanni Paolo II a visitare i luoghi e a prendere i primi contatti anche con Radio Maria di Częstochowa; i primi passi li abbiamo fatti lì, entrando proprio in contatto con quella realtà in cui tutto parla di un cammino di fede, sigillato dalla presenza di San Giovanni Paolo II. E sicuramente l’obiettivo primario del nostro impegno in diocesi è quello di aiutare i giovani a crescere nella fede e nel cammino che ciascuno deve fare sia come giovane sia come giornalista cristiano, reporter e partecipante a questa grande avventura, che sicuramente segnerà la loro vita, com’è stato per qualcuno di noi che ha partecipato alla precedenti Gmg.

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Oggi in Primo Piano



Iraq, attentato contro quartiere sciita a Baghdad. Ieri strage in Afghanistan

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E' salito ad almeno 14 morti e 20 feriti il bilancio dell'attentato suicida avvenuto questa mattina in un quartiere sciita nel nord di Baghdad, in Iraq, e rivendicato on line dal sedicente Stato islamico (Is). In Afghanistan, intanto, è stato proclamato il lutto nazionale per l’attentato di ieri, pure rivendicato dall'Is. Neppure in Siria cessano le violenze: 5 ospedali colpiti dai bombardamenti nelle ultime 24 ore. Tra le vittime ci sarebbe anche un neonato di appena due giorni. Sul fronte politico-diplomatico, il governo siriano si dice pronto a continuare i colloqui di pace senza precondizioni, per raggiungere una soluzione politica alla crisi del Paese. La cronaca nel servizio di Elvira Ragosta: 

Arriva dal web la rivendicazione del sedicente Stato islamico per l'attentato di oggi a Baghdad, dove all'ora di punta un kamikaze si è fatto esplodere in prossimità di un posto di blocco e di una piazza molto affollata, all'entrata del quartiere sciita Kadhmiyah. L'esplosione ha distrutto parte del posto di blocco e incendiato molti veicoli nelle vicinanze. Ieri l'Is ha rivendicato anche l'attentato avvenuto in Afghanistan, sempre contro gli sciiti. Ottanta i morti e oltre 230 i feriti nella doppia esplosione di Kabul, dov'era in corso una manifestazione di protesta pacifica da parte della minoranza etnica degli hazara, di confessione sciita. Sulla contrapposizione tra sunniti e sciiti abbiamo intervistato Massimo Campanini, professore di Islamistica e Storia dei Paesi islamici all'Università di Trento:

R. – Il contrasto tra sunniti e sciiti in Iraq dipende dal fatto che la sciaguratissima spedizione di George Bush contro Saddam Hussein nel 2003 ha praticamente alimentato al Qaeda in Mesopotomia e i gruppi terroristi di Abu Moussab al-Zarqawi legati ad al Qaeda hanno scelto la lotta contro gli sciiti invece che contro il nemico lontano. Questa è stata una deviazione tattico-strategica che ha precipitato lo scontro tra sunniti e sciiti in Iraq, dopo che per secoli le due confessioni avevano convissuto sotto l’Impero ottomano. E naturalmente questa situazione è stata ulteriormente peggiorata e precarizzata dal fatto che l’Iraq è nel mezzo tra le opposte egemonie dell’Iran, che ovviamente è sciita, e dell’Arabia Saudita, che è sunnita. Quindi, tutti questi elementi convergono a spiegare questo tipo di situazione. In Afghanistan, la situazione è parzialmente diversa nella misura in cui ci sono delle faglie tribali. L’estremismo sunnita è legato soprattutto all’etnia pashtun, dove gli sciiti sono una minoranza diversa, comunque, rispetto a quella irachena: a mio avviso, le due situazioni non possono essere ricondotte a un minimo comune denominatore.

D. – Dunque, non una contrapposizione specificamente tra sunniti e sciiti, ma una lotta per il potere?

R. – Certamente sì, secondo me, perché gli sciiti detengono la maggior parte del petrolio iracheno. Cioè, i territori sunniti sono privi di petrolio, perché in Iraq il petrolio c’è nel Kurdistan e nel Sud sciita: quindi, ci sono anche queste variabili che si aggiungono, evidentemente, ai giochi di potere, di opposte egemonie di cui – come dicevo prima – l’Iraq si trova a essere l’anello di bilanciamento tra l’Iran e l’Arabia Saudita; e inoltre c’è questa infiltrazione qaedista che, fin dall’epoca di Abu Moussab al-Zarqawi, aveva cercato di modificare – almeno parzialmente – la strategia di al Qaeda, preferendo la lotta contro gli sciiti alla lotta contro l’Occidente.

D. – Riguardo all’attentato di Kabul: oggi in Afghanistan giornata di lutto nazionale; anche il Consiglio degli ulema afghani ha condannato l’attentato e in un comunicato scrive: “I terroristi non conoscono limiti di etnia e di religione e agiscono contro esseri umani e islam”. Ma come leggere l’attentato rivendicato dal sedicente Stato islamico a livello territoriale?

R. – Credo che siccome lo Stato islamico effettivamente, nella zona di radicamento principale, cioè nella zona siro-irachena, è potenzialmente in ritirata o, se non in ritirata, comunque non è più in grado di espandersi e di radicarsi ulteriormente sul terreno, è chiaro che esso può avere interesse ad allargare la sua prospettiva organizzando attentati come può essere quello di Dacca, come può essere quello di Kabul. Siccome c’è un indebolimento sul terreno e quindi un indebolimento della capacità militare, si cercano soluzioni “terroristiche”, anche perché a livello di perdite, a livello di costi, di rapporto costi-benefici le azioni terroristiche obiettivamente – è cinico dirlo – ma costano di meno.

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Monaco, polizia: killer preparava attacco da un anno

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E' salito a 35 il numero delle persone rimaste ferite nella sparatoria di venerdì scorso a Monaco in cui sono morte 10 persone, compreso il killer. Intanto, secondo la polizia tedesca, Ali Sonboly - diciottenne tedesco di origini iraniane - stava preparando l’attacco da almeno un anno. Le autorità hanno anche confermato che il giovane si è suicidato intorno alle 20,30 di venerdì, mentre una pattuglia di agenti cercava di stabilire un contatto con lui. Tra le vittime, perlopiù ragazzi provenienti da famiglie di immigrati turchi e kosovari. Il giovane avrebbe agito per vendicarsi di presunti atti di bullismo ed era stato in cura per disturbi psichici. Ma nessuna delle vittime di Sonboly era nella sua classe, secondo il procuratore capo di Monaco. Il Programma tedesco della Radio Vaticana ha intervistato il padre gesuita Karl Kern, rettore della chiesa di San Michele a Monaco, e ha chiesto come abbia vissuto le ore della strage nella città bavarese:

R. – Ich hatte wie jeden Freitagabend die Abendmesse um 18 Uhr, und bekam dann unmittelbar nach…
Come sempre il venerdì sera, avevo la Messa alle 18, e subito dopo ho appreso quanto stava avvenendo. La chiesa era aperta e sarebbe rimasta aperta comunque in vista della Messa successiva, alle 20.30. Mi sono accorto subito che tante persone cercavano di entrare con foga in chiesa, in cerca di protezione. Tutti erano alle prese con il loro cellulare, molto concitati. Ovviamente, la chiesa l’abbiamo lasciata aperta; un po’ più tardi, dopo essersi un po’ tranquillizzati, mentre la situazione rimaneva ancora un po’ vaga, alcuni se ne sono andati, ma sono rimaste 30-40 persone. Allora, verso le 22 abbiamo portato qualcosa da mangiare e da bere e le abbiamo fatte pernottare da noi.

D. – Che tipo di supporto pastorale avete potuto dare a queste persone?

R. – Man versucht natürlich in diesen Situationen Ruhe zu verbreiten, dass nicht unnötige Panik sich …
In queste situazioni si cerca, ovviamente, di portare un senso di tranquillità, affinché non si diffonda il panico. Ogni tanto andavo al presidio di polizia, che è proprio di fronte alla nostra chiesa, per poter dare informazioni aggiornate. Quindi, abbiamo voluto portare informazioni, aiutare a mantenere la calma. Alcuni hanno pregato. Nel gruppo di coloro che sono rimasti c’erano persone di tutta Europa – spagnoli, turisti dall’Europa dell’Est, tedeschi e e si è venuta a creare una sorta di solidarietà umana. C’è stato anche un bel sentimento di gratitudine perché avevamo offerto loro ospitalità. Fino alle 23 non abbiamo avuto notizie precise sulla situazione, poi hanno cominciato a diffondersi voci secondo le quali, per esempio, anche al “Stachus”, a circa 300 metri di distanza, in direzione del Marienplatz, ci sarebbe stata una sparatoria: queste sono le cose che poi creano maggiore insicurezza. Molto difficile è stata l’assistenza pastorale delle persone anziane, che già hanno paura in condizioni normali di spostarsi al buio, poi non passava la metropolitana, si chiedevano come poter tornare a casa. Per loro è stato un momento veramente difficile. In realtà, il problema degli anziani è stato il problema più serio.

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Convention democratica a Philadelphia, Clinton punta su Kaine

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Al via lunedì 25 luglio la Convention democratica a Philadelphia dove saranno presentati i punti di forza della candidatura Hillary Clinton alla Casa Bianca. Il moderato Tim Kaine, ex governatore della Virginia, è il nome del candidato alla vicepresidenza nel ticket democratico per le urne di novembre. 58 anni, laureato in legge ad Harvard, cattolico praticante, ha studiato dai Gesuiti. Il senatore è un veterano della politica democratica. Gioia Tagliente ha intervistato l’americanista Giuseppe Mammarella: 

R. – È una scelta inattesa per certi aspetti, perché si pensava che Hillary Clinton avrebbe voluto equilibrare il suo team con un uomo­ – una personalità – di sinistra o di centro, mentre Tim Kaine è un personaggio di "destra". Mi sembra che nella strategia della Clinton ci sia il tentativo di sottrarre a Donald Trump una parte dei suoi voti, sostanzialmente questo è il motivo, perché sembra che negli ultimi mesi l’establishment democratico abbia espresso più di uno scontento per il ruolo che Bernie Sanders, della sinistra, ha avuto durante le primarie. Adesso vedremo come sarà il programma e fino a che punto quest’ultimo possa essere stato influenzato da Sanders, che aveva delle idee molto precise, per esempio in fatto di riforme, a vantaggio dei giovani e delle classi meno agiate. Quindi, ora vedremo quale sarà il “platform”, ossia il programma del partito; fino a che punto personaggi come Elizabeth Warren o Bernie Sanders sono riusciti a far sentire la loro voce. È interessante lo slogan che è stato adottato per la Convention di Philadelphia – questa è un po’ la città della tradizione americana, dove è stata fatta la Costituzione –; lo slogan sarà: “Let’s Make History Again”, cioè  “Torniamo a fare storia”. Questo riecheggia un po’ lo slogan di Trump: “Torniamo a fare grande l’America”. Sono cioè due slogan che partono dal presupposto che l’America sia in crisi e che quindi vada rilanciata.

D. – Quali saranno le differenze tra le due Convention?

R. – Quella di Trump è stato un “one man show”, ossia dominata interamente da lui e dalla sua famiglia. In quella di Philadelphia, invece, assisteremo a una parata di personaggi abbastanza conosciuti, anche sul piano internazionale. Ci sarà il marito di Hillary, Bill Clinton; forse un altro ex presidente – si parla del vecchio Carter. Poi ci saranno personaggi della politica e della cultura: parleranno Elizabeth Warren e Bernie Sanders, i due campioni della sinistra. Quindi sarà certamente una Convention più vivace e interessante.

D. – Quali sono i punti di forza della candidatura democratica?

R. – La composizione dell’elettorato democratico, perché la Clinton può contare sugli African Americans; la maggioranza delle donne; e la maggioranza dei Latinos. Quindi questo già le dà un vantaggio iniziale notevole. Fra l’altro devo dire che, nonostante gli ultimi sondaggi diano i due candidati più o meno in pareggio, l’attribuzione degli Stati vede però Hillary Clinton nettamente favorita. Ricordiamoci che in America non si vince la presidenza con i voti popolari, ma con quelli degli Stati; e ci vogliono 270 voti di questi ultimi. Ora, a Hillary ne vengono attribuiti 258, mentre a Trump 180: la differenza è quindi abbastanza evidente; la Clinton necessita di una quindicina di voti in più.

D. – Qual è l’incognita della Clinton e di Trump?

R. – Da una parte, se la sinistra del partito democratico voterà per la Clinton. Ci sono stati dei sondaggi secondo i quali solo una parte dei voti dei sostenitori di Bernie Sanders, dichiaratosi a favore della Clinton, confluirà su di lei. Certamente, da parte di Trump, ci sarà il tentativo di portare alle urne un elettorato che ne è rimasto fuori; non dimentichiamoci che soltanto più o meno la metà degli americani va a votare per la presidenza. L’incognita rappresentata da Trump, quindi, potrebbe essere quella di essere riuscito a portare alle urne dei votanti che avevano cessato di votare.

D. – Sarà un duello interessante…

R. – Soprattutto durante una campagna elettorale che tutti prevedono sarà abbastanza “hot”! Questo perché è nella cifra di Trump l’aggressività, anche verbale; e certamente Hillary Clinton risponderà a tono. Quindi credo che, a cominciare dalla metà di agosto – la campagna elettorale si svolgerà soprattutto durante settembre e ottobre. Assisteremo a un duello molto, molto acceso.

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Cannabis, Ramonda: dalla legalizzazione più sfascio e criminalità

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Approderà lunedì alla Camera la proposta di legge per la legalizzazione della cannabis in Italia. C’è chi sostiene che potrà essere motivo soprattutto di contrasto alla criminalità organizzata; in realtà - secondo molte associazioni - una legalizzazione potrebbe portare alla nascita di un fiorente mercato nero e ad un incremento di acquisto di droga che di “leggero” ha ormai ben poco. Salvatore Tropea ha intervistato Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Giovanni XXIII: 

R. – Legalizzare aumenta la domanda, perché diventa norma, e la norma diventa cultura; la cultura fa storia, soprattutto nei giovani. La cannabis crea dipendenza e crea lo sfascio delle famiglie. Quindi noi siamo convinti che assolutamente non metta sotto scacco le organizzazioni criminali, anzi: dà un doppio mercato, perché non contrastando la domanda, ma soprattutto non dicendo ciò che è bene e ciò che è male, noi veramente immettiamo nelle braccia del racket un fiume di giovani che andranno a rovinarsi. Chi ha in mano questo mercato metterà in atto tutte le risorse per creare più dipendenza, perché la dipendenza alimenta la domanda. Ma poi, la dipendenza crea criminalità e poi nella nostra esperienza, molti passano dalle droghe leggere alle droghe pesanti.

D. – Cosa si può fare per sensibilizzare l’opinione pubblica?

R. – Io penso che intanto sia corretto anche che ci sia un’informazione nella scuola e anche alle famiglie riguardo ai danni oggettivi che l’uso della cannabis produce nella psiche ma anche a livello cerebrale. E’ fondamentale, poi, soprattutto che sui territori ci sia una discussione, una dialettica, un dibattito nelle parrocchie, nei quartieri, anche facendo ricorso all’esperienza, alla conoscenza che si ha eventualmente da parte di giovani che fanno uso di queste sostanze. E’ fondamentale che anche il legislatore – quindi questi 240 parlamentari che portano avanti in modo trasversale questo disegno di legge – si metta prima in ascolto del popolo, della gente, di chi vive sul territorio, le famiglie che sono state distrutte dall’avere al proprio interno un giovane che dall’uso della cannabis è passato all’uso di droghe pesanti, devastando la famiglia.

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Bambino Gesù: i bambini autistici salgono in pedana alle Olimpiadi

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Salire in pedana con gli atleti della nazionale italiana di scherma alle imminenti Olimpiadi di Rio. É il sogno che si realizzerà per otto bambini con disturbo dello spettro autistico in cura all'Ospedale Bambino Gesù di Roma. Un progetto innovativo che punta a migliorare l'inclusione sociale e il benessere psico-fisico dei piccoli affetti da autismo. Il servizio di Daniele Gargagliano

"In guardia, pronti a voi". Saluto all'avversario e l'incontro prende il via. Sulla pedana questa volta non ci sono, però, i grandi spadaccini ma i più piccoli, quelli che non sempre riescono a far sentire la loro voce. Otto bambini con disturbo dello spettro autistico, che si sono allenati negli ultimi mesi nella parrocchia di Nostro Signore di Coromoto, vivranno fianco a fianco con i loro idoli sportivi la prossima avventura olimpica. Il progetto Rio 2016, dell'Ospedale Bambino Gesù, in collaborazione con Aita Onlus e con l'Accademia di scherma Lia e la stessa federazione italiana, permetterà ai piccoli pazienti del reparto di neuropschiatria infantile dell'ospedale pediatrico di accompagnare la nazionale di scherma a Rio de Jainero, grazie all'idea e al lavoro del dottor Luigi Mazzone che li segue passo passo, con addosso sia il camice che la tuta:

R. – Attraverso lo sport, attraverso i progetti ludico-ricreativi, secondo me, otteniamo tanto quanto – se non a volte di più – rispetto a tanti ricoveri e a tante terapie farmacologiche. Il principio, quindi, è stato quello di costruire un’attività sportiva strutturata - in questo caso la scherma - scegliendo uno sport socio-relazionale che potesse garantire una reale integrazione, un reale gruppo, che questi ragazzi potessero vivere quotidianamente.

D. – Quando nasce la vostra Accademia, l’Accademia Lia?

R. – L’Accademia Lia nasce a novembre del 2015, per ricordare una persona che in questo momento non c’è più, per far sì che comunque questi ragazzi possano avere una possibilità reale di stare a contatto con i bambini normotipici. Il principio infatti è che in questa palestra si allenino sia bambini normotipici, sia bambini con la condizione autistica.

D. – Un valore aggiunto…

R. – Assolutamente. Il principio è un’integrazione reale, ma non solo a parole. Praticamente vogliamo far stare insieme tutti i bambini, a prescindere dal loro modo di relazionarsi.

D. – So che state utilizzando una parrocchia per gli allenamenti…

R. – Sì, don Francesco ha messo a disposizione la parrocchia Nostra Signora di Coromoto ed io di questo lo ringrazio, perché senza uno spazio non fai nulla sostanzialmente.

D. – Ai ragazzi viene insegnata la luce, con cui capiscono che hanno fatto punto. E’ un metodo particolare…

R. – Noi normotipici sostanzialmente ci muoviamo su un canale verbale. Le persone con autismo sono più su un canale visivo. Avendo, dunque, la scherma un supporto tecnologico che è quello dell’accensione della luce nel momento in cui tu porti il punto, ovviamente quello, a livello di rinforzo positivo, gratifica molto il ragazzo autistico che è in pedana. Gli porta motivazione e, comunque, gli dà la forza e l’energia per tornare a combattere. Poi c’è tutta l’attrezzatura, perché comunque hai la spada e te la curi; hai il tuo armamentario da combattimento. Le mamme mi dicono: “Lui tiene molto alla spada; tiene molto alla sua attrezzatura”. E tutto questo in alcuni sport non c’è.

D. – Studiandone il comportamento, quali sono i risultati che si notano subito?

R. – C’è un aumento dell’autostima, per cui i ragazzi sono in grado di fare qualcosa. Questi sono ragazzi che spesso hanno difficoltà a fare attività sociali. Sono stati ragazzi, dunque, che fin da subito hanno aumentato l’autostima, hanno aumentato la loro motivazione a fare qualcosa. E poi sulle famiglie, essendo finalmente i ragazzi impiegati in qualcosa.

Campioni di sport, campioni nella vita. Come Paolo Pizzo oro mondiale nella scherma individuale nel 2011 e quinto alle ultime Olimpiadi di Londra, al quale a soli 13 anni era stato diagnosticato un tumore al cervello:

R. – E’ un vanto – l’ho detto prima parlando con il dott. Mazzone, che è anche il mental coach della nostra squadra olimpica - ed è un orgoglio, perché è un progetto nuovo. Non credo che altre nazioni, di altri sport abbiano portato alle Olimpiadi dei ragazzi con dei problemi del genere. Quindi ne va fatto vanto. Io spero di poter stringere questi ragazzi a Rio, dopo una gara fatta bene, con qualcosa appeso al collo.

D. – Tu hai avuto un travaglio personale, una malattia che hai affrontato. Hai un’empatia particolare con questi ragazzi?

R. – Sì, diciamo che chi è passato per una storia del genere, come la mia – io ho superato un tumore al cervello – è chiaro che arrivando in un ambiente ospedaliero, di terapia, viene colpito immediatamente e sia in qualche modo più sensibile, se possibile, e non è retorica. Poter vedere, quindi, anche un loro mezzo sorriso, mi riempie di gioia, e non sono uno che parla a caso.

D. – Vincerai anche per loro?

R. -  Ci provo. Ce la metterò tutta, sicuro.

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Marcia Francescana, i giovani verso Assisi aspettando il Papa

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Zaino in spalla lungo le strade che conducono “Alla porta del cielo”. È questo l’obiettivo, e il titolo, della 34.ma Marcia Francescana che vede molte centinaia di giovani di varie parti d’Italia diretti a tappe verso Assisi, all’appuntamento con la Festa del Perdono del 2 agosto. Una festa che ben si inserisce nel più grande alveo del Giubileo della Misericordia: lo stesso Papa Francesco sarà in visita ad Assisi il 4 agosto. Alessandro De Carolis ne parla con uno dei religiosi presenti alla Marcia, padre Fabio Nardelli

R. – La Marcia francescana avviene in concomitanza con l’ottavo centenario del Perdono di Assisi alla Porziuncola: 800 anni fa, nel 1216, San Francesco chiese l’indulgenza per tutti i pellegrini. Il tema è proprio questo: camminare avendo come compagna di viaggio la Vergine Maria, la “Porta del Cielo”, che ci accoglierà il primo agosto alla Porziuncola.

D. – Quest’anno l’itinerario della Marcia, che punta alla Festa del Perdono di San Francesco, cade nell’anno in cui si celebra la Misericordia voluta da Papa Francesco che tra pochi giorni sarà ad Assisi con voi. Che sapore ha per la comunità francescana questa coincidenza di spirito e, direi, anche di nomi?

R. – Sicuramente, per noi Francescani che accompagniamo i giovani ha un sapore del tutto particolare, perché proprio quest’anno parleremo dei vari incontri he Gesù fa portando la misericordia: l’incontro alla porta del Sepolcro, alla porta della tomba vuota, alla porta del tempio… Sempre, ogni giorno, i giovani saranno invitati a riflettere su un passo della Bolla di indizione dell’anno giubilare di Papa Francesco, la “Misericordiae vultus”, e a meditare su un aspetto della misericordia. Quindi, sia per i giovani che per noi diventa un’attesa e una coincidenza di nome e di spirito, perché la misericordia è proprio questo abbraccio, come diceva Papa Francesco in qualche omelia ultimamente. L’abbraccio è proprio il segno concreto di Dio che ti viene incontro. Il giovane marciatore sperimenterà proprio questo durante il cammino, che a volte sarà faticoso, durante il Sacramento della Riconciliazione che celebreremo tutti insieme il 29 luglio in una tappa della nostra marcia e il primo agosto entrando alla Porziuncola, ricevendo l’indulgenza plenaria e l’abbraccio saramentale di Dio Padre.

D. – Voi definite la Marcia francescana “un viaggio a piedi” non solo attraverso l’Italia ma anche dentro, ciascuno, il proprio cuore. Il pellegrinaggio è un formula affascinante per i giovani?

R. – Sì, la marcia è un pellegrinaggio e penso sia metafora della vita, non solo camminare nelle strade dell’Umbria. Quest’anno, i giovani percorreranno 160 km attraverso delle tappe, ma non è solo un itinerario fisico: è un itinerario del cuore, nelle profondità. E quindi camminare nelle strade dell’Umbria, ma camminare nelle strade della vita, per il giovane vuol dire fermarsi, riconoscere la propria condizione di creatura e alzare lo sguardo verso Dio Padre, che è il Creatore e che ci attende lì alla Porziuncola il primo agosto.

D. – Nel giorno del Perdono verrà alimentata, come ormai da antica tradizione, la lampada che arde accanto alla tomba di San Francesco. Che cosa della fiamma del suo carisma attraversa i secoli senza mai spegnersi?

R. – L’intuizione di San Francesco è sempre stata molto semplice, molto originaria: seguire Gesù Cristo amando e ascoltando il Vangelo. Noi accogliamo circa 20 mila giovani durante un anno provenienti da tutte le parti d’Italia: quello che passa ancora dell’esperienza di Francesco è questo vivere il Vangelo sine glossa, come diceva Francesco. Vivere il Vangelo totalmente, radicalmente. La seconda cosa che ancora resta di Francesco è la bellezza della fraternità, il poter condividere con i fratelli questa esperienza di grazia, di luce, di vita nuova. La terza caratteristica ancora viva di Francesco è l’amore alla Chiesa. Credo che questo aspetto quest’anno sarà ancora più calcato durante il percorso, nel prepararci ad accogliere Papa Francesco il 4 agosto. Sarà proprio questo segno della Chiesa che ancora una volta viene incontro, ancora una volta si fa viva, presente attraverso il vicario di Cristo in terra.

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Monastero di Camaldoli: al via le Settimane estive della Fuci

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Al via questa domenica nel Monastero di Camaldoli in provincia di Arezzo, le tradizionali Settimane estive promosse dalla Fuci, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, per tutti gli studenti universitari d’Italia. Si tratta di un’occasione di riposo, riflessione, condivisione e amicizia. Gli studenti ospitati dai monaci camaldolesi, vivranno in sintonia con la Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia riflettendo sul tema della Misericordia. Poi, le meditazioni si sposteranno sul tema “Povertà e Giustizia. Nel mondo con gli occhi del Vangelo”. Su questo appuntamento ascoltiamo Cristina Renzi, condirettore della rivista della Fuci "Ricerca", al microfono di Michele Ungolo

R. – Quest’anno è in sintonia con le proposte della Chiesa cattolica italiana circa le due settimane teologiche classiche: la prima settimana consiste in cinque giornate di esercizi spirituali, scandite e in sincronia con i momenti della Gmg sul tema della misericordia. Quindi saremo in sintonia di preghiera spirituale, ma anche in comunicazione tramite i social con i nostri ragazzi a Cracovia. La seconda settimana – quella dal 31 luglio al 6 agosto – rimane una settimana teologica. Per noi giovani studenti cattolici poter approfondire tematiche dal punto di vista teologico non è scontato. Oggigiorno ci formiamo a livello intellettuale nelle nostre università, ma riuscire ad approfondire temi a livello teologico, quindi anche la nostra fede, è sempre una ricchezza.

D. - A proposito di misericordia: una delle attività che si terranno a Camaldoli e che suscita un certo interesse riguarda “I sentieri interrotti della Misericordia”. Di cosa si tratta?

R. - Il nome dell’attività viene dal titolo di un testo del monaco Matteo che guiderà questi esercizi spirituali in linea con l’invito di Papa Francesco ad approfondire, anche a livello di vocabolario, il termine “misericordia”. Siamo per natura e per nascita in un sentiero di misericordia che, però, a volte si interrompe. Papa Francesco dice sempre: “Non stanchiamoci di chiedere perdono”. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono, ma il Padre è sempre pronto a darcelo a braccia aperte.

D. - A chi sono rivolte le settimane di Camaldoli?

R. - E' una proposta specifica per gli studenti universitari, fucini e non fucini. C’è forse una carenza di proposte specifiche per questo target. Per questo motivo noi proponiamo dei momenti specifici con esercizi spirituali e la settimana teologica in cui i ragazzi  sono a confronto tra di loro; hanno vari momenti di laboratorio, di condivisione, per cui possono scoprire di non essere soli in questo cammino e anche nelle esigenze di queste età e di poter trovare insieme l’occasione di approfondire, di crescere, di scoprire …

D. - Dunque ci saranno anche dei momenti sincronizzati con quelle che sono le Giornate mondiali della gioventù a Cracovia...

R. - Noi abbiamo una cinquantina di ragazzi in diretta da Cracovia appartenenti ai vari gruppi universitari d’Italia. Due in particolare ci porteranno sul palco della veglia con il Papa e ci rappresenteranno come federazione. Concretamente ci teniamo in comunicazione per cui loro ci invieranno foto, immagini, pensieri, emozioni e riflessioni che ci comunicheranno in presa diretta e noi seguiremo a livello di ufficio stampa, pubblicando post nei momenti salienti della Gmg e in parallelo con quello che succederà a Camaldoli. Cercheremo di fare un ponte di contatto diretto. A Cracovia facciamo parte della rete internazionale delle Imcs Pax Romana, per cui i nostri ragazzi vivranno dei momenti di condivisione con studenti cattolici di altre nazioni.

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"Strada facendo", un libro di Stefania Perna tra preghiera e poesia

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E’ un cammino a metà tra poesia e preghiera il libro “Strada Facendo” di Stefania Perna, professoressa liceale con dottorato in letteratura cristiana antica. Edito da Cantagalli, il volume è una raccolta di riflessioni sulla vita quotidiana che diventano spontaneamente preghiere. “L’autrice ci aiuta a ricominciare umilmente ogni giorno - scrive don Ugo Borghello nella prefazione - traendo spunto da ciò che ci succede, dentro e fuori, nel quotidiano e agganciandolo alla Parola, ai Salmi, al Vangelo: la preghiera profonda in fondo non è altro!”. Il titolo prende spunto dal passo del Vangelo di Matteo: “E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino”. Ascoltiamo Stefania Perna al microfono di Elvira Ragosta

R. – Credo che contenga proprio il senso profondo di tutto il Vangelo in due sole frasi. La prima è “strada facendo”: una metafora della nostra vita, che è come un cammino e quindi, in quanto tale, non raggiunge mai la pace totale di chi è arrivato, anche se si dice spesso di qualcuno che “è arrivato!” in senso sociale o economico. Invece è un cammino e quindi, come tale, ha sempre qualcosa di precario: infatti “preghiera” e “precario” hanno la stessa radice, perché solo chi si sente precario prega profondamente. E inoltre, camminando, si incontrano sempre nuovi orizzonti. Soprattutto se si cammina in montagna ci si rende subito conto che ad ogni curva c’è uno scenario nuovo e così anche nella vita. Che c’entra con la fede tutto questo? Lo spiega la seconda parte della frase: “Dite a tutti che è vicino il regno”. Secondo me, questa è l’unica differenza tra chi crede e chi non crede: sapere che il nostro cammino e il nostro “strada facendo” è accompagnato da un Dio vicino che si è incarnato per dirci che ci è vicino, che cammina al nostro fianco. E quindi, con la sua stessa presenza, ci permette di salvare ogni momento del nostro viaggio.

D. – Il libro è una serie di riflessioni sulla vita di tutti i giorni; riflessioni che si trasformano poi in preghiere. Dunque, chiunque può riconoscersi nei temi trattati?

R. – Sì, questa è proprio una delle scoperte che ho fatto scrivendo. Ci sono delle esperienze personali, ovviamente diverse. Ma in fondo siamo tutti guidati dagli stessi bisogni profondi ed emergono le stesse paure. Quindi, a livello profondo, siamo proprio fraterni. Questo è un tema che ho sviluppato soprattutto nel mio ultimo libro, “Il diario di Elena”, uscito a fine maggio, che – appunto – essendo un diario, racconta un’esperienza personale particolare. Ma poi leggendolo si nota come, anche se ci sentiamo unici e soli, le nostre esperienze sono spesso comuni: sono come quelle degli altri. E ci si sente davvero amici.

D. – Leggendo ci si imbatte in citazioni di autori, Santi, Papi e delle Sacre Scritture: come ha tessuto questa trama?

R. – Direi che non l’ho mai tessuta, me la sono un po’ ritrovata tra le mani. Questo si può forse spiegare con la genesi del libro, che è nato da un percorso che ho fatto anni fa. Ho iniziato a pormi una serie di domande esistenziali per vari motivi, anche personali. Ho percorso tre strade – anche se ancora sono in cammino, perché non si arriva mai, è sempre uno “strada facendo” – e le mie tre strade sono innanzitutto il dialogo con persone credenti, di vari cammini. Infatti nel libro ci sono citazioni di Luigi Giussani, Chiara Lubich, Sant'Escrivá: ho scoperto infatti che ci sono risposte che accomunano – per così dire – i credenti di tutti i cammini, e questo è molto bello. La seconda strada è stata la frequentazione di varie catechesi, tra le quali citerei senz’altro quella di don Rosini, che mi ha aperto il mondo della Scrittura. E la terza strada è stata la meditazione: l’approfondimento personale. Perché – effettivamente – ci sono tanti libri che, se letti con attenzione, permettono di incontrare l’anima di chi scrive. Ho inserito citazioni, perché ho trovato espresso in questi libri e in questi autori quello che io cercavo di dire.

D. – Professoressa, c’è qualcuna di queste citazioni a cui lei si sente particolarmente legata?

R. – Questa è una domanda difficile, perché in realtà tutte le citazioni che ho raccolto sono quelle che hanno detto qualcosa di importante alla mia vita, in momenti magari diversi. La citazione di partenza è stata quella del Vangelo, ossia “Strada facendo”: una frase semplice che usiamo spesso, anche senza rifletterci. Però, letteralmente, rifletterci, analizzare bene questa frase. Per esempio, è importante capire che tante volte le situazioni non si risolvono perché uno le ha capite razionalmente oppure perché ha pianificato le soluzioni, ma hanno bisogno di tempo, di camminare. A volte la soluzione è solo capire che camminando si apre il cammino o si aprono cammini nuovi, impensati.

D. – Secondo lei, quanto è importante la preghiera in un mondo in cui si è sempre più di corsa e sempre più esposti alla globalizzazione, anche mediatica?

R. – Direi che la preghiera è importante proprio perché andiamo sempre di corsa e viviamo nel mondo globale. Infatti la preghiera ci impedisce di ridurci a queste due sole dimensioni. Ne costituisce “l’antidoto”: alla corsa infatti oppone momenti di calma e alla globalizzazione la riflessione su se stessi, quindi quanto di più particolare e personale esista.

D. – Il sottotitolo del volume è una domanda che chiede: “Tutti sogni o tutti segni?”: qual è la sua risposta?

R. – Qui direi che, più che la mia risposta, conterà quella a cui arriva il lettore. Io vorrei che chi legge il mio libro si sentisse invogliato a riflettere e a pregare, provandoci; perché la preghiera è un po’ come tutte quelle attività che si imparano non tanto leggendo libri, ma facendola. Penso che tutte queste cose – leggere la Scrittura, meditare – hanno alla fine proprio questo scopo: farci capire che viviamo, camminiamo “strada facendo”, tra sogni e segni. È una realtà che è naturale ma al tempo stesso è anche soprannaturale. E la fede mantiene aperti sempre i sogni, no?

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Nella Chiesa e nel mondo



Gmg: mons. Galantino, non si può pregare e respingere migranti

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La Giornata mondiale della gioventù di Cracovia sia “occasione propizia” per contrastare la mentalità di oggi, “contraria all’uomo e al desiderio di bene”. Così mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, celebrando stamani la Santa Messa a Cracovia in vista della Gmg, alla quale prendono parte circa 90.000 ragazzi italiani. Il presule ha invitato a riflettere su “due dimensioni fondamentali e inscindibili della vita cristiana: la figliolanza con Dio e la fratellanza con gli altri uomini”. “Continuo a domandarmi - ha detto - come si possano tenere le mani giunte in preghiera e poi con le stesse mani respingere il fratello che chiede di essere accolto”, come si possa “con la stessa bocca invocare il Padre e pronunziare dei ‘no’ decisi e spezzanti di fronte al bisogno del fratello, come “si possa elevare la propria mente a Dio e semmai impegnare la stessa mente a trovare giustificazioni per chiudere il proprio cuore dinanzi a chi è profugo e perseguitato”. Quindi l’esortazione a lasciarci trasformare dalla “preghiera autentica”, affinché possa contribuire “a rinnovare il mondo e la società in cui viviamo”. Sono tanti - ha osservato - “i motivi di dolore e di preoccupazione che incontriamo attorno a noi: un circolo di violenza e di follia omicida tenta di avvolgere lo spazio pubblico e di trascinare in basso, nel timore e nella tristezza, la convivenza umana. Ciò rischia di alimentare la diffidenza e dar vita a un individualismo ancora più esasperato, che non può che spegnere la felicità di ognuno”. La Gmg, come ha auspicato Papa Francesco, offra al mondo - ha concluso mons. Galantino - “un nuovo segno di armonia”.

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Gmg: a Cracovia più di 6 mila giovani dalla Repubblica Ceca

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Sono oltre 6 mila i giovani boemi e moravi che si sono iscritti per partecipare alla Giornata mondiale della gioventù (Gmg) di Cracovia. Si tratta - riporta l’agenzia Sir - del secondo numero più alto nella storia della Repubblica Ceca, con oltre 300 mila utenti che seguono regolarmente il profilo Facebook nazionale dell’evento. Molti di loro leggono articoli relativi ai pontificati di Papa Francesco e San Giovanni Paolo II e cercano informazioni pratiche sulla partecipazione alla Gmg.

20 mila giovani europei fanno tappa a Praga prima di andare a Cracovia
Secondo il gruppo di coordinamento nazionale, circa 20 mila giovani provenienti da diversi Paesi europei faranno tappa a Praga in questi giorni prima di recarsi a Cracovia. Il programma per molti di loro prevede una celebrazione eucaristica nello “storico gioiello” della Chiesa cattolica ceca: la cattedrale dei Santi Vito, Venceslao e Adalberto. Più di 130 pellegrini cechi hanno iniziato il loro “pellegrinaggio in bicicletta” alla volta della Polonia dopo aver ricevuto la benedizione, domenica scorsa, del cardinale Dominik Duka, arcivescovo di Praga. Il viaggio è visto come “un’intensa preparazione spirituale” e, come hanno rivelato poco prima di partire, “a livello fisico un pellegrinaggio di 700 chilometri può essere piuttosto difficoltoso, ma speriamo che all’apice della nostra abilità saremo in grado di dare nuovo impulso alla nostra spiritualità”.

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Croazia: tribunale annulla condanna del ’46 per Beato Stepinac

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Il tribunale distrettuale di Zagabria ha deciso l’annullamento della sentenza con la quale, nel 1946, l’arcivescovo della capitale della Croazia, Alojzije Stepinac, fu condannato a sedici anni di lavori forzati: l’accusa era di aver collaborato con il regime ustascia e di aver dato il proprio appoggio alle stragi di serbi, ebrei e rom attuate da quelle milizie in tutto il Paese. Stepinac morì nel 1960 agli arresti domiciliari, per i postumi dei tentativi di avvelenamento subiti in carcere. Nei giorni scorsi in Vaticano si era riunita la Commissione mista di esperti croati e serbi, “incaricata di procedere ad una rilettura in comune della vita del Beato cardinale Alojzije Stepinac prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale”. Tale organismo è stato creato “su iniziativa del Santo Padre, dopo vari incontri e consultazioni tra rappresentanti della Santa Sede, della Chiesa ortodossa serba e della Conferenza episcopale croata, per rispondere all’esigenza di chiarire alcune questioni della storia”. Lo scorso 7 aprile, nel colloquio di Papa Francesco con il premier croato Tihomir Orešković, ci si era soffermati anche sull'importanza della figura del Beato Stepinac per i fedeli croati. Il porporato è stato una figura cara pure a Benedetto XVI, che si recò in Croazia nel 2011. San Giovanni Paolo II, quando beatificò Alojzije Stepinac nel 1998, spiegò come nella sua figura si sintetizzi “l’intera tragedia che ha colpito le popolazioni croate e l’Europa” nel corso del secolo segnato “dai tre grandi mali del fascismo, del nazismo e del comunismo”. (G.A.)

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Egitto. Cristiani preoccupati per legge su costruzione chiese

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In Egitto attende ancora di essere presentata in aula la nuova legge che dovrebbe regolamentare la costruzione delle chiese e dei luoghi di culto nel Paese. L'inizio della discussione parlamentare era stato annunciato per la fine dello scorso maggio, ma a distanza di quasi due mesi il provvedimento è ancora fermo nelle commissioni parlamentari competenti e viene sottoposto a continui ritocchi. Il ritardo suscita preoccupazione nelle Chiese e comunità cristiane egiziane. Lo stesso Patriarca copto ortodosso Tawadros II, in una recente intervista, ha riferito di pregare spesso affinché l'iter legislativo della nuova legge giunga presto a compimento.

Continue modifiche
Fonti egiziane, consultate dall'Agenzia Fides, riferiscono che Anba Paula, vescovo copto ortodosso di Tanta, continua come rappresentante delle Chiese ad incontrarsi con i funzionari del ministero della Giustizia e delle commissioni parlamentari per apportare ulteriori correzioni al testo di lavoro, in modo che esso possa essere approvato e non rischi di essere bocciato in aula da un voto contrario. Il progetto di legge consisteva in 13 articoli. Nella bozza si riconosceva tra l'altro il diritto dei vescovi a ricorrere al Consiglio di Stato in caso di ritardi imposti in maniera artificiosa alle procedure per la costruzione di nuove chiese.

Le novità della nuova legge
La nuova legislazione, nelle attese dei cristiani egiziani, dovrebbe portare alla totale archiviazione delle regole disposte dal cosiddetto “Decreto Hamayoni”, la legge risalente al periodo ottomano che è all'origine di numerose controversie a livello locale. Secondo tali regole, la costruzione delle chiese cristiane è sottoposta a vincoli che non pesano sulla costruzione di moschee, come il divieto di costruire luoghi di culto cristiani vicino alle scuole, ai canali, agli edifici governativi, alle ferrovie e alle aree residenziali. Inoltre, finora la costruzione di ogni nuova chiesa doveva essere autorizzata direttamente dal presidente egiziano.

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Secam: pochi investimenti nei media per evangelizzare l’Africa

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"La Chiesa deve assolutamente essere più presente sui media digitali in maniera deliberata e consapevole". Lo ha sottolineato il vescovo della diocesi nigeriana di Oyo, mons. Emmanuel Badejo, coordinatore del workshop dal titolo: "L'influenza dei mezzi di comunicazione moderni e delle nuove ideologie sulla famiglia in Africa oggi", nell’ambito della 17.ma Assemblea Plenaria del Secam-Sceam, in corso a Luanda, in Angola.

Coinvolgere i giovani  nativi del mondo digitale per diffondere il Vangelo
Il presule ha invitato a riflettere sul fatto che “miliardi di persone oggi si rivolgono ai social media come loro fonte di informazione, ma si investe troppo poco nei programmi dei media per l'evangelizzazione in Africa". Secondo secondo quanto riportato dall’agenzia cattolica Canaa, citata dalla Fides, il vescovo di Oyo ha quindi esortato i pastori della Chiesa in Africa a "creare nuovi apostoli”, coinvolgendo “i giovani stessi, che sono nativi del mondo digitale e affidando loro i valori del Vangelo".

L’urgenza di educare le famiglie all’uso dei media
Riferendosi in particolare al tema dell’Assemblea, “La famiglia in Africa, ieri, oggi e domani: alla luce del Vangelo”, il vescovo di Oyo ha sottolineato l’urgenza di educare le famiglie all’uso dei media e soprattutto informarle “sui benefici e sui pericoli dei nuovi media", in quanto "i genitori che non hanno familiarità con il funzionamento di Internet sono più propensi a ignorare i pericoli": e "questo è ancor più vero in Africa". A livello di diocesi e di parrocchie è quindi necessario promuovere incontri di formazione sui media moderni, guidati da esperti, per genitori e figli. Anche vescovi, sacerdoti e religiosi devono assumere familiarità con i media, in modo di saper dare risposte documentate alle domande della gente.

I benefici dei nuovi media superano di gran lunga i loro demeriti
Purtroppo va rilevato un uso negativo dei moderni media digitali in alcune situazioni, tuttavia, ha rilevato mons. Badejo che guida la Commissione episcopale panafricana per le comunicazioni sociali (Cepas), la Chiesa deve "continuare ad essere convinta che i benefici dei nuovi media superano di gran lunga i loro demeriti, anche riguardo alle possibilità pastorali e all'impegno spirituale".

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Turchia, arrestato braccio destro di Gulen

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In Turchia continua il giro di vite del presidente Erdogan contro il fallito golpe della scorsa settimana. Le forze di sicurezza hanno arrestato Halis Hanci, considerato il 'braccio destro' dell'imam e magnate Fethullah Gulen, accusato da Ankara di essere dietro il tentativo di colpo di Stato. Secondo fonti citate da Hurriyet, Hanci è ritenuto responsabile del trasferimento di fondi a Gulen e sarebbe entrato in Turchia due giorni prima del tentato putsch. Ieri, era stato arrestato anche il nipote dell'imam, Muhammet Sait Gulen. Inoltre, l'organismo turco per la supervisione degli istituti bancari ha revocato la licenza all'istituto di credito Bank Asya per presunti legami con l'imam Gulen. Intanto, il premier Binali Yildrim ha annunciato che i vertici delle Forze armate turche cesseranno di dipendere dal ministero della Difesa e in futuro saranno subordinate direttamente alla presidenza. Mentre il ministro dell'Educazione, Ismet Yilmaz, annuncia che Ankara assumerà 20 mila nuovi insegnanti per sostituire quelli sospesi su ordine di Erdogan perché sospettati di presunti legami con Gulen. (E.R.)
 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 206

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.