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Sommario del 25/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Fragnelli: dalla Gmg nuovo slancio di fede per i giovani

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Tra le nazioni più rappresentate alla Gmg di Cracovia, con 90 mila giovani iscritti e 130 vescovi, c’è sicuramente l’Italia. Un evento al quale si arriva dopo un intenso cammino di preparazione dopo la Gmg di Rio de Janeiro e che trova quest’anno nel Giubileo della Misericordia un significato ancora più forte. Il nostro inviato a Cracovia, Alessandro Gisotti ne ha parlato con mons. Pietro Maria Fragnelli, vescovo di Trapani e presidente della Commissione episcopale Cei per la famiglia, la vita e i giovani: 

R. – Fare della Giornata Mondiale della Gioventù il momento forte della riconciliazione e della misericordia per il mondo giovanile: credo che sia questo il primo significato. E poi, accanto a questo, c’è anche quello di sottolineare fortemente la, direi, capacità “generativa” di misericordia della città di Cracovia, con i suoi Santi e i suoi simboli di richiamo alla misericordia per una riconciliazione effettiva tra popoli diversi: credo che questa sia una delle caratteristiche importanti di questa Gmg.

D. – Chiaramente, per molti giovani San Giovanni Paolo II è una presenza meno forte che per tanti più grandi. Probabilmente, però, ci sono anche molti sacerdoti e persino dei vescovi che hanno visto germogliare la propria vocazione durante una Gmg con San Giovanni Paolo II, vero?

R. – Sicuramente. Credo che questa edizione a Cracovia, 25 anni dopo quella di Częstochowa, sia l’esperienza spirituale che ha un rilievo molto grande nella vita di molti che hanno scelto poi di seguire, nel sacerdozio o nella vita consacrata, il Signore. Mi pare che questa occasione potrà essere un momento di gratitudine profonda per il Signore che continua a chiamare anche nel nostro tempo, servendosi di strumenti nuovi. Una volta c’era l’esemplarità del proprio parroco; ora, in un mondo globalizzato, ci sono anche questi eventi così significativi di incontro tra giovani di popoli diversi, che si sentono chiamati dallo Spirito a mettersi al servizio della civiltà dell’amore, di un’evangelizzazione e di una consegna del Vangelo della pace.

D. – Come pastore sempre vicino ai giovani, e adesso ancora di più – se vogliamo – come presidente della Commissione della Cei, proprio dedicata, oltre che alla famiglia e alla vita, ai giovani, cosa crede che stia dando questa esperienza della Gmg anche e soprattutto ai più giovani?

R. – Credo che fondamentalmente l’impegno sia proprio quello di caratterizzare sempre di più come percorso di preparazione e di sviluppo del valore e del significato della Giornata Mondiale della Gioventù. Siamo entrati in una fase nella quale la dimensione, chiamiamola “globale”, deve entrare in modo strutturale nei percorsi formativi. I giovani di oggi vivono situazioni nuove, non soltanto dal punto di vista tecnologico, ma anche geografico: quindi del confronto tra generazioni, culture ed esperienze religiose diverse. Ed è per questo che è necessario un cammino di avvicinamento, come è stato fatto da parte del Servizio nazionale per la pastorale giovanile; e deve continuare anche dopo nelle nostre diocesi. Noi ci auguriamo che Cracovia 2016 sia davvero un momento forte per rilanciare i percorsi - potrei dire - addirittura “feriali”: il quotidiano dell’attenzione al mondo giovanile.

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Gmg, organizzatori: da qui messaggio di pace all'Europa in fiamme

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Tra poco più di 48 ore, Papa Francesco atterrerà a Cracovia per dare il via agli eventi principali della 31.ma Giornata Mondiale della gioventù. Sono già molte le migliaia di giovani che hanno raggiunto la città di S. Giovanni Paolo II in un clima di festa e fraternità che stride con le notizie di violenze di stampo terroristico in arrivo dall’Europa. Su questo e altri aspetti riflette padre Gregorio Suchodolski, segretario generale del Comitato organizzatore della Gmg, intervistato dal nostro inviato in Polonia, Alessandro Gisotti

R. – Il cardinale Stanislao Dziwisz, quando ha proposto di fare qui la Gmg, non ha fatto altro che seguire il desiderio di San Giovanni Paolo II, che era vescovo di Cracovia. Cracovia non è una città grande come Rio de Janeiro, Buenos Aires, Toronto o Roma. È una città abbastanza piccola per un evento così grande e per questo motivo siamo dovuti andare in una zona periferica, lontana dal centro della città. Questo da una parte crea dei problemi logistici, ma al tempo stesso facciamo sì che più persone e più parrocchie si prendano la responsabilità di questo evento. E tutti lo fanno ben volentieri, perché vogliono proprio ringraziare per tutti i doni che hanno ricevuto tramite San Giovanni Paolo II.

D. – È ovviamente anche una Gmg straordinaria perché avviene nel Giubileo della Misericordia. Colpisce una cosa: quando la Gmg di Cracovia è stata annunciata, non era ancora stato annunciato il Giubileo della Misericordia. Ma Cracovia è da sempre la capitale della misericordia, quindi si sono unite queste due cose straordinarie…

R. – Sì, certo. Cracovia non è solo la città di San Giovanni Paolo II, ma è anche quella di Santa Suor Faustina Kowalska: è proprio il centro del culto mondiale della Divina Misericordia. I gruppi di fedeli che vediamo qui ogni settimana, ogni giorno, nel Santuario della Divina Misericordia, sono veramente numerosissimi. Noi, quando abbiamo sentito che Papa Francesco annunciava Cracovia, da subito – dal primo momento – abbiamo pensato che il tema sarebbe potuto essere quello della Divina Misericordia. E poi c’è stato il dono dell’annuncio dell’Anno Santo, e adesso la Porta principale che si sta adesso costruendo a “Campus Misericordiae”. Il Santo Padre prenderà per mano sei giovani – un giovane da ciascun continente – e passeranno insieme la Porta della Misericordia. E questo è molto significativo.

D. – In un momento in cui anche l’Europa è sconvolta dalla violenza e dal terrorismo – sappiamo quanta violenza ci sia anche nella vicina Ucraina… - questo è un segno fortissimo, perché mai una Gmg ha raccolto giovani di tanti Paesi…

R. – In questi ultimi giorni e mesi, stiamo soffrendo per tutto quello che succede in Europa e nel mondo, con le guerre, la violenza, gli attacchi terroristici… E speriamo veramente che Cracovia sia la risposta: dove c’è la violenza, c’è anche la misericordia. E vogliamo trasmettere questo messaggio ai giovani e alle future generazioni: ossia che il mondo non è fatto dagli uomini, ma è fatto innanzitutto dall’amore di Dio, versato su di noi attraverso il dono di Gesù Cristo Misericordioso. Allora i ragazzi e i giovani, venendo qui a Cracovia, sia a Blonia che a Campus Misericordiae, sul palco vedranno lo sguardo di Gesù Misericordioso. E noi vogliamo che, guardando a Gesù Misericordioso, tocchino come San Tommaso incredulo, le sue ferite per salvare la propria vita e per avere la pace interiore. Questo è il messaggio della Giornata Mondiale della Gioventù.

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Francesco: Gmg sia un pellegrinaggio di fede e fraternità

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“Cari giovani, benedico i vostri passi verso Cracovia perché siano un pellegrinaggio di fede e fraternità. #Krakow2016”. È il tweet lanciato dall’account di Papa Francesco @Pontifex a due giorni dall’inizio della Gmg. Cracovia, che la ospiterà, è anche un crocevia di storie particolari come quella di Stella Bradascio, una universitaria italiana che ha interrotto per un anno gli studi e si è trasferita nella città polacca per collaborare alla realizzazione del grande raduno. La giovane intervistata dall’inviato in Polonia, Alessandro Gisotti

R. – Il mio arrivo a Cracovia è stato abbastanza inaspettato, perché non sapevo minimamente della possibilità di poter far parte dell’organizzazione di un evento come la Giornata Mondiale della Gioventù. Mi è stato semplicemente chiesto, non ho fatto niente di particolare. Mi hanno detto: il Servizio Nazionale di Pastorale giovanile per ogni Gmg invia una persona per poter seguire più da vicino l’organizzazione e poter trasmettere più velocemente comunque le informazioni… Il mio responsabile diocesano mi ha fatto questa proposta a lui arrivata dal responsabile nazionale.

D. – Certo è una scelta che colpisce, perché per un anno intero ci si sposta da Gioia del Colle, quindi dalla provincia di Bari a Cracovia, tutt’altra realtà, e non si vive soltanto – come la stragrande maggioranza dei giovani – solo gli eventi con il Papa, ma addirittura tutta la preparazione lunga, intensa, nascosta, impegnativa…

R. – Sì, è abbastanza impegnativa, infatti oggi posso dire che sono stanca ma felice. Ho dovuto comunque lasciare quello che stavo facendo. Stavo per prendere la laurea specialistica in Ingegneria ambientale, ero in regola con gli esami, però bisogna sempre fare delle scelte. Quando mi è stata fatta questa proposta ero molto propensa a dire “no”, perché comunque sono una persona che segue in maniera lineare gli obiettivi. Però, ho pensato che un’esperienza del genere non mi sarebbe più ricapitata. Quindi ho detto “va bene dai proviamoci, buttiamoci”. Quindi ho cambiato per un anno quello che stavo facendo. Ora ritorno, scrivo la tesi e torno a fare quello che facevo prima.

D. – Cosa ti auguri per i giovani che invaderanno, anzi hanno già invaso, pacificamene Cracovia per questa Gmg?

R. – Penso che la Gmg sia un evento abbastanza particolare, perché tocca alcune delle corde che appartengono a tutti, in modo particolare dei giovani: li invita a mettersi alla prova, a lasciarsi coinvolgere dall’incontro con l’altra persona, dall’incontro con il Papa e non per ultimo dall’incontro con Dio.

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Rinuncia e nomine episcopali

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Nelle Filippine, Papa Francesco ha nominato vescovo di Kidapawan mons. José Colin Mendoza Bagaforo, finora ausiliare di Cotabato. Il neo presule è nato a Cotabato il 30 gennaio 1954.  Ha compiuto gli studi filosofici al Notre Dame Seminary di Cotabato, e quelli teologici al St. Francis Xavier Regional Mayor Seminary di Davao.

E' stato ordinato sacerdote il 25 marzo 1980 per l’arcidiocesi di Cotabato. Dopo due anni come Vicario parrocchiale a Tacurong City, è stato fino al 1990 Sovrintendente delle scuole dell'arcidiocesi e contemporaneamente, per un biennio, Direttore Spirituale al Notre Dame Seminary di Cotabato. Dal 1990 al 1991 ha seguito studi teologici alla Weston School of Theology a Cambridge, negli U.S.A., conseguendo una specializzazione. L'esperienza si è ripetuta nel 1994 alla Xavier University di Cagayan de Oro e nel 2003 all'Asian Institute Management di Makati City, in entrambi i casi con specializzazioni in campo pedagogico. Dal 1991 al 1997 è stato Parroco della Cattedrale di Cotabato, dal 1997 al 1999 Parroco a Tacurong City, e dal 1999 al 2001 Parroco a Maguindanao. Dal 2001 al 2002 ha servito come Economo dell'arcidiocesi. Dal 2002 è stato Presidente del Notre Dame of Tacurong College. Nel 2004 è stato nominato Vicario Generale dell'arcidiocesi di Cotabato. Il 2 febbraio 2006 è stato nominato Vescovo titolare di Vazari Didda e Ausiliare di Cotabato, ricevendo la consacrazione episcopale il 25 aprile successivo.

In Mozambico, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Nampula, presentata da mons. Tomé Makhweliha, dehoniano, in conformità al can. 401 – par. 2 del Codice di Diritto Canonico, e ha nominato mons. Ernesto Maguengue, ausiliare della medesima arcidiocesi, amministratore apostolico “sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis” della medesima Sede Metropolitana.

Il Pontefice ha nominato membri del Consiglio direttivo dell'Agenzia della Santa Sede per la Valutazione e la Promozione della Qualità delle Università e Facoltà Ecclesiastiche (AVEPRO), per il quinquennio 2016‑2021, le seguenti personalità:

P. Franco Imoda, S.I., Presidente dell'Agenzia; Dott. Riccardo Cinquegrani, f.f. di Direttore dell'Agenzia; P. Friedrich Bechina, F.S.O., Sotto‑Segretario della Congregazione per l'Educazione Cattolica; Dott. Sjur Bergan; Prof. John H. Garvey, Presidente della "Catholic University of America"; Dott. Achim Hopbach, Direttore della AQ Austria ("Austrian Quality Assurance Agency"); Rev.do Roberto Repole, Presidente dell'Associazione Teologica Italiana; Dott. Jan Sadlak; Mons. Guy‑Réal Thivierge, Segretario Generale FIUC.

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Affidata alla Comunità Emmanuel la chiesa di Trinità dei Monti

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Sarà l’associazione di fedeli francese "Communauté de l’Emmanuel" ad assumere la responsabilità della chiesa e del Convento della Trinità dei Monti a Roma, che da diverse centinaia d’anni fino a oggi ha visto alternarsi al suo interno varie comunità religiose.

A sancire il cambio della guardia è stato l’“Avenant” alle Convenzioni diplomatiche del 14 maggio e dell’8 settembre 1828 e agli “Avenants” del 4 maggio 1974, del 21 gennaio 1999 e del 12 luglio 2005, firmato questa mattina tra la Santa Sede e la Repubblica francese, rappresentate rispettivamente dall’arcivescovo mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, e dall’Ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, Philippe Zeller.

In una nota ufficiale, ricordando “il carattere francese del suddetto complesso della Trinità dei Monti”, si precisa che il nuovo Accordo internazionale “esprime riconoscimento per l’opera ivi svolta dall’Ordine dei Minimi dal XV al XVIII secolo, dalla Società del Sacro Cuore di Gesù dal XIX secolo al 2006, e dalla Fraternité monastique des Frères de Jérusalem e dalla Fraternité monastique des Sœurs de Jérusalem dal 2006 ad oggi”.

Dunque, conclude la nota, “prendendo atto dell’impossibilità per le suddette Fraternità monastiche di continuare tale missione, la chiesa e il convento della Trinità dei Monti vengono affidati, a partire dal 1° settembre 2016, alla Communauté de l’Emmanuel, associazione pubblica internazionale di fedeli di diritto pontificio, fondata in Francia nel 1972”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Violenza contro innocenti - All’Angelus dedicato alla preghiera il dolore del Papa per gli attentati di Monaco e Kabul

Sylvie Barnay - Guardando all’arte dal cattolicesimo. Estetica e religione dal XIX al XX secolo

Da simbolo dello sterminio a luogo di rinascita - un articolo di Barbara Sułek-Kowalska sui mille anni di presenza degli ebrei in Polonia

Nel giardino dell'Eden - Rossella Fabiani sulle paludi delle Marshlands nel sud dell’Iraq che diventano patrimonio Unesco

Con Pietro e imitando Maria - Pietro Martinelli sull'istituzione e carisma in «Iuvenescit ecclesia»

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Oggi in Primo Piano



Terrorismo. Merkel: no generalizzazioni su rifugiati

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“Il governo è in lutto”: così si è spressa la cancelliera tedesca, Angela Merkel, dicendosi sconvolta per le violenze che hanno colpito ieri le città di Ansbach e a Reutlingen, per mano di due giovani rifugiati siriani pur in contesti completamente diversi. Il terrorismo di matrice islamica non è provato: no dunque alle generalizzazioni in materia di immigrazione, chiede Berlino. Intanto, emergono nuovi particolari sulla strage di Monaco di venerdì scorso. Il servizio di Gabriella Ceraso

E' afghano il sedicenne arrestato ieri sera a Monaco. Poco prima dell'attentato del 22 luglio aveva avuto una chat via Whatsapp con l’assassino, il ragazzo tedesco di origini iraniane che ha ucciso 9 persone in un centro commerciale di Monaco di Baviera. Il complice sapeva quello che l'amico voleva fare, ma è escluso il legame col terrorismo islamico. Il dubbio di un coinvolgimento del genere c’è ancora invece negli inquirenti che lavorano all’attentato che un 27.enne siriano con richiesta d'asilo respinta ha compiuto ieri sera ad Ansbach facendosi saltare in aria mentre cercava di introdursi a un concerto. Si chiamerebbe Mohammed Delel secondo alcuni media online tedeschi.Sempre un rifugiato siriano, ma per motivi passionali, ha aggredito una donna ieri a Reutlingen, nel sud della Germania. Il governo è sconvolto ma raccomanda a più voci di non generalizzare nell'accusare di terrorismo i rifugiati. Tuttavia, il portavoce della Commissione europea precisa: le porte dell'Europa sono e restano "aperte per chi fugge da guerre e persecuzioni e cerca asilo", ma "ci difenderemo da chi cerca di attaccare il nostro modello di vita", evidenziando quindi la necessità di rafforzare i controlli alle frontiere esterne e la cooperazione tra i servizi di intelligence.

 Sul clima a Monaco e in Germania dopo i recenti fatti di violenza e sulla questione migrazioni sentiamo al microfono di Antonella Palermo il direttore del settimanale italo tedesco "Die Zeit", Giovanni Di Lorenzo: 

R. – Una cosa del genere in Germania non si era mai vista. Una città praticamente spettrale e tutti pensavano che quello che da tanto tempo si temeva e cioè un attacco terroristico riuscito, questa volta sia diventato realtà. Però bisogna dire che la risposta della polizia è stata molto efficace e soprattutto non hanno in alcun modo diffuso notizie adatte a produrre panico: di panico ce n’era già abbastanza... Purtroppo, ogni forma di squilibrio mentale, ogni crimine adesso potrebbe trovare un pretesto su questo sfondo ideologico.

D. – E questo, come lo valuta lei?

R. – Veramente è un veleno che potrà nuocere molto alla società.

D. – Più in generale, invece, per riprendere i temi della Germania “accogliente” nei confronti dei profughi, dei migranti: questa sua connotazione quanto e come dà fastidio in Europa?

R. – La Germania si è dimostrata un Paese molto aperto, molto generoso: ha accolto dal settembre dell’anno scorso qualcosa come un milione e 200 mila profughi… Poi, vedere che all’interno di queste comunità di profughi ci sono degli elementi che attentano alla vita dei cittadini tedeschi sarebbe un durissimo colpo a un Paese che si è dimostrato generoso – come dicevo – ma forse anche un pochino naïf per quanto riguarda i problemi che potrebbero un giorno nascere: infatti, è impossibile anche per una società bene organizzata come la Germania integrare in così breve tempo più di un milione di profughi.

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Turchia. La denuncia di Amnesty: detenuti torturati

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Proseguono le epurazioni in Turchia dopo il fallito golpe: oggi arrestati 42 giornalisti, mentre il ministero dell’Interno di Ankara punta il dito contro la Cia, cui attribuisce la regia del fallito golpe. Intanto il ministro degli Esteri turco avverte l’Unione Europea: non ci minacci con una negata adesione. Torture e stupri sui detenuti: questa la denuncia di Amnesty International che sostiene di avere in merito “prove credibili”. Per un commento su quanto sta accadendo, Roberta Barbi ha raggiunto telefonicamente a Istanbul Marco Ansaldo, giornalista di Repubblica: 

R. – È giusto che Amnesty si occupi della repressione in Turchia, perché vediamo che le misure che sono state prese dal governo controllato dal Presidente Recep Tayyip Erdogan sono davvero molto dure, toccano una tipologia di categorie professionali molto ampia che va, naturalmente, dai militari considerati golpisti ai giudici ai magistrati ai giornalisti … E naturalmente, il fatto che ci siano persone – se verrà effettivamente verificato – che sono sottoposte a maltrattamenti o torture, tutto questo andrà sottoposto agli organi europei e internazionali perché intervengano. Del resto basti ricordare le fotografie, le immagini che sono arrivate subito dopo il fallito golpe, che mostravano i militari non soltanto picchiati, malmenati dalla folla, ma ci sono stati casi di linciaggio. Quindi certamente ci sono casi che vanno posti sotto controllo.

D. – Oggi Erdogan incontra le opposizioni, ma dall’incontro è escluso il Partito curdo: è un tentativo di dialogo, secondo te?

R. – Il dialogo viene formalmente avviato. Certamente è un dialogo che soffre di un cardine importante, perché a giudizio di molti osservatori internazionali il Partito curdo, che è un partito democratico, nato da poco, che ha avuto lo scorso anno nelle elezioni generali il 13% dei voti oltrepassando, quindi, la soglia di sbarramento  parlamentare, è un partito che si sta dimostrando - come il suo leader Selahattin Demirtaş - molto duttile, capace di dialogare, è un partito in cui credono anche, non soltanto i curdi, non soltanto la parte del Sudest, ma molti intellettuali, molti cittadini semplici che stanno nelle grandi città … È, quindi, un interlocutore che va considerato a tutti gli effetti come tale, ha una rappresentanza parlamentare assolutamente legittima e, se si deve avviare un dialogo costruttivo e allargato a tutte le parti, non vedo perché non debba essere coinvolto.

D. – La piazza ha detto “no” al golpe, ma anche “no” ai diktat. Come si concilia il volere della gente con le intenzioni del Presidente?

R. – È molto difficile, perché di fatto la piazza ieri era divisa in due: per la prima volta, era occupata – a dieci giorni dal golpe – dalle forze della sinistra del Partito socialdemocratico, che diceva: “Siamo per la democrazia, non siamo per i colpi di Stato”. Dopo un’ora di discorso del leader del Chp Kemal Kilicdaroglu, la manifestazione si è sciolta pacificamente e dopo, invece, è stata la volta dei sostenitori del Partito conservatore di ispirazione religiosa che è al potere in Turchia da ormai 14 anni e che dalla sera del fallito golpe continuano a stare per le strade e a manifestare. Certo, se le due parti fossero venute a contatto, sarebbe stato molto problematico.

D. – I media pro-Erdogan accusano la Cia di avere finanziato il golpe: quante altre verità usciranno?

R. – Sono verità che vanno provate. Ovviamente, il Presidente Erdogan si è scagliato con molta forza contro il predicatore islamico che ormai da molti anni vive in Pennsylvania – Fetullah Gülen – e quindi adesso sta procedendo anche ad arresti di decine di giornalisti, non solo i professori, i magistrati … Oggi, un giornale filo-governativo porta il coinvolgimento di un alto ufficiale americano. La tesi che viene sostenuta da Ankara è che l’America sapesse e che abbia, in un certo modo, agevolato il golpe portato avanti – secondo le autorità turche – da Fetullah Gülen. A sostegno di questo, ci vogliono delle prove. Ankara chiede fortemente l’estradizione di Gülen in Turchia: la pena di morte non viene eseguita ormai da 30 anni - è stata eliminata ufficialmente nel 2004 - ma oggi la situazione in Turchia si è talmente incattivita e incrudelita che lo stesso Presidente ha prospettato il fatto di poter tornare alla pena di morte qualora il Parlamento decida in questo senso. E vediamo anche quali sono le reazioni dell’Europa – anche di Juncker - che ha detto: “Mai la Turchia in Europa, nel momento in cui Ankara dovesse applicare nuovamente la pena di morte”.

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Siria: colpiti sette ospedali e una banca del sangue

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Ancora bombardamenti in Siria. Colpiti sette ospedali e una banca del sangue nel nord del Paese. Si temono decine di morti tra cui un neonato. Razzi anche sulla capitale Damasco, dove sono morte 8 persone. Il servizio di Michele Raviart

Ad essere presa di mira dai raid governativi è la parte orientale di Aleppo, controllata dalle forze anti-Assad e sotto assedio da due settimane. Quattro gli ospedali colpiti in questa zona della città, oltre a una banca del sangue nel quartiere Shaar. Una clinica è stata colpita  poi ad Atareb, sulla strada che collega Aleppo con la Turchia e un'altra nella città nord-occidentale di Idlib. Un settimo ospedale è stato distrutto vicino Damasco, dove, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, razzi sparati dai ribelli anti-governativi hanno ucciso 8 persone, ferendone venti.  Proprio a Damasco abbiamo raggiunto telefonicamente suor Anna Maria Scarzello, che con le sue consorelle salesiane gestisce un ospedale nella città:

"Dal nord le notizie sono bruttissime: la guerra non finisce, questo è molto brutto. Grazie a Dio noi ci troviamo al centro e cerchiamo di fare il possibile per aiutare le persone che si sono molto, molto impoverite. Noi siamo qui nell’ospedale; la gente viene dai dintorni e l’emergenza più grande è dare risposta a tutti".

Ancora da accertare il numero delle vittime di questi attacchi agli ospedali, ma si parla di decine di morti. I bombardamenti, confermati anche dalla Croce rossa internazionale, ribadiscono la gravità della situazione ad Aleppo. Pochi giorni fa l’Onu aveva lanciato l’allarme umanitario per i circa 300 mila civili rimasti nella città, dove scarseggiano farina, medicine ad acqua.

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Trovati sulla spiaggia in Libia almeno 60 migranti annegati

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I corpi di almeno 60 migranti annegati sono stati rinvenuti sabato su una spiaggia di Sabrata, nell’ovest della Libia, da un gruppo di volontari. I cadaveri sono stati trasferiti al centro di medicina legale per il prelevamento del Dna. Sarebbero morti cinque o sei giorni fa, probabilmente vittime del traffico di esseri umani. Gioia Tagliente ne ha parlato con Gino Barsella, responsabile progetti del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) in Libia e Nordafrica: 

R. - Il contesto libico attuale è fatto di tanti migranti che, dai centri di detenzione o dalle mani di trafficanti, sono in attesa di partire. Quantificare questo è impossibile, ma dal dato degli arrivi, si capisce che tale numero non è destinato a calare, né nell’immediato e nemmeno nel medio termine. Poi, nel lungo termine, tutto dipenderà anche dalle scelte politiche più generali riguardo ai flussi migratori. Il fatto di aver trovato, praticamente in un giorno, una sessantina di cadaveri, mi confermano infatti che i cadaveri sono intorno ai sessanta e non una quarantina, anche se per il momento è difficile essere più precisi, questo è il dato eclatante che ha fatto finire l’avvenimento tra le principali notizie. In realtà, però, noi sappiamo che i cadaveri di migranti vengono trovati continuamente. Ci sono molti dispersi nel mare e alcuni di questi vengono riportati dal mare sulle coste libiche.

D. – Almeno 60 cadaveri in un giorno: come mai?

R. – Probabilmente, qualcosa di grosso è accaduto causando il naufragio, anche se non si sono avute notizie precise al riguardo. In ogni caso, si tratta di cadaveri che sono rimasti in mare per qualche giorno; e quindi, probabilmente, vengono anche da lontano. In Libia poi non vengono fatti molti accertamenti. Le autorità locali, tramite la Mezzaluna Rossa, hanno cura dei cadaveri: li prendono, li seppelliscono; hanno formato delle persone per fare questo tipo di lavoro. Però bisogna comunque cercare di capire come e dove possa essere successo.

D. – Infatti, la municipalità di Sabrata ha addestrato un gruppo di volontari proprio per queste finalità…

R. – Sì, insieme con la Mezzaluna Rossa, che è l’organizzazione che poi, in collaborazione con  le varie municipalità del territorio – non solo Sabrata – insieme ai suoi volontari gestisce questo lavoro.

D. – Qual è la situazione dei migranti in Libia?

R. – I trafficanti continuano a lavorare molto durante l’estate. I centri di detenzione sono pieni; ma soprattutto sono pieni i centri dove i migranti vengono tenuti segregati dai trafficanti, e non è possibile accedervi. E se ci sono numeri altissimi di persone che partono, ci saranno allora anche persone che moriranno.

D. – Come ostacolare il traffico di esseri umani?

R. – Togliendo il business alle mafie. E questo si può fare legalizzando i flussi migratori: permettendo alle persone che vogliono venire in Europa per motivi di lavoro di entrarvi con un visto di ricerca di lavoro. Questo toglierebbe il business alle mafie; permetterebbe alla gente di fare i propri calcoli, sul se vuole o no partire, e ciò con i dovuti criteri e delle leggi chiare. La gente che vuole partire potrebbe quindi farlo senza rischiare la vita e senza spendere così tanti soldi, perché un biglietto aereo non sarebbe una spesa così elevata. Risparmierebbero tutti: si risparmierebbero vite umane; i flussi calerebbero; si toglierebbero di mezzo le mafie. Ma tutto questo ha bisogno ovviamente della volontà politica ma se la volontà politica fa gli affari con le mafie, sarà molto difficile risolvere il problema dei flussi migratori irregolari e ingestibili. 

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Afghanistan, 1.300 bambini uccisi nel 2016. Unicef: è indegno

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Più di 1.300 bambini colpiti nella guerra in Afghanistan, 1.601 civili morti e 3.565 feriti. Sono numeri da brividi, ancora più raccapriccianti se si pensa che il periodo di riferimento è il solo 2016, dall’inizio dell’anno fino al mese di giugno. È questo il dato shock reso noto a Ginevra dall’Onu nell’ultimo rapporto steso dalla squadra di esperti per i diritti umani della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama). In una nota si sottolinea che le forze antigovernative restano responsabili della maggior parte delle vittime civili (60 %), ma anche che tra i civili uccisi e feriti da forze pro-governative sono aumentati. I bambini vengono coinvolti in guerriglie, sparatorie e rappresaglie. Andrea Iacomini, portavoce Unicef Italia, ne parla al microfono di Michele Ungolo: 

R. – Oggi, ancora una volta, come negli ultimi sei mesi, ci troviamo a dover registrare in questo Paese dei fatti impressionanti! I bambini vengono uccisi nelle situazioni più disparate: durante la preghiera; mentre giocano, per strada o con i genitori, in condizioni di quasi normalità. Per quanto riguarda le morti dei bambini innocenti, l’Afghanistan, insieme alla Siria, può essere assolutamente considerato il più grave dramma degli ultimi decenni.

D. – Quanto possono far male questi dati?

R. – Sono dati che impressionano, perché dimostrano che la comunità internazionale, ancora una volta, è inerme – ferma – e soprattutto non ci sono forme di sanzioni tali da impedire questi eccidi. I bambini stanno pagando un prezzo enorme in questo Paese: 1.300 sono coinvolti; la metà di loro morti, e gli altri mutilati o vittime delle peggiori sofferenze: questo è veramente un dato inaccettabile! E questa non è retorica: non è retorico il fatto di dover usare, ogni volta, questi termini per enfatizzare questi dati. Ed è assurdo che non ci sia un piano internazionale per porre fine a queste situazioni!

D. – Quali soluzioni si potrebbero adottare?

R. – Innanzitutto, porre fine ai conflitti. Sembra un fatto retorico, ma evidentemente non si fa abbastanza; e in queste situazioni così polverose, che durano da decenni, lo scacchiere internazionale, con le sue regole e le sue norme di geopolitica, ha preso di fatto il sopravvento sulla tutela dei diritti umani e delle leggi. Perché la Convenzione sulla salvaguardia dei diritti umani, firmata da tutti gli Stati, sancisce con forza che i bambini non devono essere vittime dei conflitti! Lo dicono anche tutti i trattati di diritto internazionale e tutte le norme che questi Stati hanno firmato. E anche noi, che siamo stati protagonisti di grandi momenti di civiltà, siamo ora vittime di questa situazione! Il nemico da abbattere non è un nemico semplice: anche negli altri Paesi esistono dei problemi geopolitici enormi, conflitti che non trovano soluzione; in questi però, in qualche modo, siamo tutti coinvolti.

D. – Se non venissero presi imminenti provvedimenti, quali dati potremmo aspettarci?

R. – Si parla di situazioni in cui ci saranno milioni e milioni di bambini colpiti dai conflitti in moltissime parti del pianeta. Il trend a cui stiamo assistendo va invertito, e l’unico modo per farlo è il dialogo; l’istruzione; e sicuramente la ricerca di sforzi diplomatici per arrivare alla pace. E naturalmente è necessario impegnarsi anche per portare, in vaste zone del mondo, la lotta alla fame, alla povertà, alla mortalità infantile; lotta che ha fatto in questi anni grandi passi avanti, ma che evidentemente genera poi delle situazioni di sempre maggiore disagio, che sono poi alla base di grandi malcontenti sociali e dell’esplosione di forti scontri all’interno dei Paesi. Poi, per quanto riguarda l’Afghanistan, è necessario uno sforzo ulteriore che possa mettere fine alle violenze delle forze antigovernative, che - secondo quanto afferma il Rapporto - non hanno neanche la giusta punizione. Quindi questo è un ulteriore problema.

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Filippine. Duterte annuncia tregua con in ribelli comunisti

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Nelle Filippine, il presidente Duterte ha annunciato un cessate-il-fuoco unilaterale con i ribelli comunisti. Lo ha fatto durante il suo primo discorso sullo stato della Nazione pronunciato davanti al Congresso, confermando di proseguire con i negoziati di pace in programma nel mese di agosto in Norvegia. Su questa mossa del capo di stato filippino, Eugenio Bonanata ha raccolto il commento con Paolo Affatato, esperto di Sudest asiatico: 

R. – Questo suo annuncio di avviare nuovi colloqui di pace nei confronti di una delle piaghe che hanno tormentato per anni la società filippina – cioè quella della ribellione comunista, di movimenti che da decenni conducono una guerriglia anche a bassa intensità, ma davvero pericolosa, tenendo in scacco l’esercito nazionale – forse è quello che potrà caratterizzare il quinquennio che si è appena aperto. Duterte, infatti, è un presidente che viene dall’isola di Mindanao, dove è stato sindaco per 18 anni nella città di Davao, il luogo dove la guerriglia comunista, e anche dei movimenti secessionisti islamici, ha la sua culla. Quindi, conosce bene quella situazione e potrà essere la persona che può fare un passo verso la pace, può arrivare a un compromesso con queste forze che, da alcuni decenni, dilaniano la società filippina.

D. – Comunque, cambia l’immagine di Duterte. In queste settimane si è parlato a lungo del pugno di ferro contro il narcotraffico, che peraltro oggi lui ha confermato…

R. – Il presidente ha caratterizzato e improntato tutta la sua campagna elettorale sul tema della sicurezza. Direi che questo aspetto sicuramente caratterizzerà la sua azione politica ed è un aspetto che sicuramente anche la popolazione filippina si attende da lui. Quando è stato sindaco di Davao si è in qualche modo vantato di aver “ripulito” la città da tutte le forze criminali, anche – come dicono alcuni – con metodi poco ortodossi, avvalendosi cioè a volte di questi squadroni della morte e gruppi di paramilitari che hanno fatto una sorta di giustizia sommaria. Non vi sono prove, però, dirette del suo coinvolgimento con questi gruppi. Sta di fatto che il tema della sicurezza è molto sentito attualmente nelle Filippine e la popolazione si attende dei passi concreti.

D. – Qual è la valenza delle ricette economiche di Duterte?

R. – Duterte è un uomo che viene dal popolo, non è parte di quei clan, di quelle grandi famiglie dell’oligarchia, che hanno governato per anni – direi per decenni – da quando sono nate le Filippine. Da quando è nata la Repubblica delle Filippine, il potere è sempre stato in mano a grandi gruppi familiari di cui facevano parte anche gli ex presidenti, come Benigno Aquino, che proprio Duterte ha sostituito. Duterte è un outsider in questo senso, quindi la sua è una figura che viene dalla popolazione più povera. E’ un uomo che si è fatto da solo e in questo senso viene visto come un riferimento proprio dalle fasce sociali più basse. Le sue promesse sono proprio quelle di poter semplificare il sistema fiscale e operare nel senso di una redistribuzione delle ricchezze, di una giustizia e di una equità sociale. Vedremo quali saranno le ricette concrete con cui poterlo mettere in pratica.

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"Cultura crea": opportunità di lavoro nel Sud Italia

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Incentivare, in 5 regioni del Sud d'Italia, piccole e medie imprese e del terzo settore della filiera culturale e creativa. E’ questo l’obiettivo del programma “Cultura crea” promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo che si inserisce nell’ambito di un vasto piano operativo per coniugare cultura e sviluppo. Ce ne parla Amedeo Lomonaco

Sono la protezione e lo sviluppo del patrimonio culturale alcune delle principali leve per promuovere la crescita e la coesione sociale. Guardando a questi obiettivi cruciali, l’Italia è il primo Paese in Europa che ha interamente dedicato alla cultura un “Piano Operativo Nazionale Cultura e Sviluppo” 2014 – 2020 che prevede investimenti per oltre 491 milioni di euro.

Potenziare l’asset della cultura
L’obiettivo è di consolidare un asset - quello della cultura - potenzialmente decisivo per lo sviluppo del Paese. Il Piano Operativo, gestito dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, risponde alle scelte strategiche scaturite dall’Accordo di Partenariato tra Italia e Commissione Europea.

“Cultura crea”, incentivi per oltre 114 milioni
Nell’ambito di questo articolato Piano Operativo si inserisce “Cultura Crea”, il programma del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – presentato recentemente a Matera, eletta Capitale Europea della Cultura per il 2019 - che prevede incentivi per 114 milioni di euro.

Rafforzare la filiera culturale del Mezzogiorno
Il programma “Cultura crea”, gestito da Invitalia, mira a promuovere la nascita e la crescita di micro, piccole e medie imprese e del terzo settore della filiera culturale e creativa in 5 regioni del Sud Italia: Basilicata, Campania, Calabria, Sicilia e Puglia. Sono previsti, tra l’altro, un finanziamento agevolato a tasso zero - fino al 40% della spesa ammessa - e incentivi in particolare per giovani e donne. Un altro criterio determinante per ottenere agevolazioni è il rating di legalità.

Tre ambiti di intervento
Sono 3 le linee di intervento previste. Oltre 41 milioni di euro sono destinati alla creazione di nuove imprese dell’industria culturale e creativa che promuovano l’innovazione, lo sviluppo tecnologico e la creatività. Quasi 38 milioni di euro sono riservati allo sviluppo delle imprese dell’industria culturale, turistica e manifatturiera. Più di 27 milioni di euro sono inoltre destinati al sostegno delle imprese del terzo settore attive nell’industria culturale, turistica e manifatturiera.

On line i primi passi delle nuove imprese
Sono finanziabili progetti di investimento fino ad un massimo di 500.000 euro. Le domande per usufruire degli incentivi previsti nel programma “Cultura crea” possono essere presentate solo on line a partire dalle ore 12.00 del 15 settembre 2016 a questo indirizzo: www.culturacreativa.beniculturali.it

L’asse portante di questo articolato piano, incentrato sullo sviluppo attraverso l’imprenditorialità creativa nell’industria della cultura, è il Meridione. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il sottosegretario al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Antimo Cesaro: 

R. – Il Meridione d’Italia rappresenta un bacino di beni culturali di primo ordine. Se guardiamo però, ad esempio, i dati dei flussi turistici, scopriamo che il Trentino da solo fa numeri che incidono sulla bilancia commerciale del turismo paragonabili a tutto il resto del Mezzogiorno d’Italia. Allora comprendiamo facilmente che c’è un gap da colmare. E’ un gap molteplice: infrastrutturale, di risorse pubbliche da mettere a disposizione delle regioni del Sud, ma anche di forma mentis. Il Mezzogiorno deve comprendere che il turismo, legato ai beni culturali, è un asset strategico e le amministrazioni locali, il Comune e le Regioni, devono darsi da fare più di quanto fino ad oggi si è potuto realizzare, per cercare di colmare questo differenziale.

D. – A proposito di gap da colmare, un’attenzione particolare viene posta, attraverso una serie di incentivi, ai giovani, alle donne. Viene considerato anche il concetto di rating della legalità. Sono tutte attenzioni molto importanti…

R. – Sono tutte importanti, perché comprendiamo le difficoltà in cui tante regioni del Sud si muovono, in riferimento ai dati della disoccupazione giovanile e femminile, in riferimento alla pietra di inciampo rappresentata da un’illegalità che incide sull’attività imprenditoriale. Tenendo presente tutto questo, il Fondo cultura e sviluppo si rivolge innanzitutto a privati, ovvero a startup, ad aziende che già operano nella filiera della valorizzazione dei beni culturali del turismo e a soggetti terzo settore. Si rivolge quindi anche ad onlus, a cooperative sociali, a fondazioni che vogliano immaginare attività innovative di valorizzazione, con ricadute occupazionali, in special modo coinvolgenti giovani donne, con un’attenzione particolare ai protocolli di legalità. Tutto questo sarà indice di valutazione della bontà dei progetti, che potranno essere finanziati con una parte cospicua di quanto richiesto con finanziamento a fondo perduto e, una parte, con ingegneria finanziaria da restituire nell’arco di tempo di una decina d’anni con tassi particolarmente agevolati.

D. – Un programma, dunque, che mira a potenziare in particolare la creatività imprenditoriale. In questo il Sud, parlando di creatività, è un bacino importante…

R. – Sì, l’intelligenza dinamica dei nostri giovani - ci auguriamo - non tradirà le aspettative del Piano Operativo Nazionale. Significa anche che c’è un Sud diverso da raccontare. C'è un’immagine dei nostri giovani che sono molto spesso brillanti laureati in Lettere, in Conservazione dei beni culturali, in Economia e gestione dei beni culturali, in Economia e commercio. Questo impianto umanistico, però, deve fondersi con una consapevolezza di una cultura d’impresa, e quindi di giovani che si mettono gomito a gomito a lavorare per delle idee particolarmente innovative. Le idee non devono essere complesse, perché l’innovazione non necessariamente rappresenta la complessità. A volte al Sud basta immaginare cose molto semplici, che però mancano, per poter rappresentare quel Sud diverso. Penso alle infrastrutture, all’attenzione alle classi sociali meno abbienti o meno fortunate – gli anziani, i diversamente abili – che sono tutti settori dove c’è moltissimo da fare, anche all’insegna dell'innovazione.

D. – Questa creatività di cosa ha bisogno nel Sud d’Italia per poter emergere?

R. – Ha bisogno che si faccia squadra. Le università devono fare la loro parte, cercando di indirizzare i nostri giovani non solo all’approfondimento di un sapere umanistico, ma anche alla capacità di saper leggere, interpretare e corrispondere ai desiderata di vari bandi europei, regionali o ministeriali, come nel nostro caso.Le amministrazioni locali devono aiutarci a comunicare queste opportunità. Il ministero dovrà impegnarsi in un road show per comunicare queste opportunità. Penso poi anche alla Confcommercio, alla Confindustria, alle organizzazioni del terzo settore che devono aiutarci e contribuire ad incoraggiare i giovani che vorranno cogliere questa opportunità.

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Secam: attenzione alla famiglia anche quando vive difficoltà

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Il rinnovo della pastorale per la famiglia, l’attenzione per chi vive situazioni di difficoltà, la difesa della famiglia contro ciò che può distruggerne l’integrità. Sono i temi al centro del Messaggio finale della 17.ma Assemblea plenaria del Secam, Simposio delle Conferenza episcopali di Africa e Madagascar, che si chiude oggi. “La famiglia in Africa, ieri, oggi e domani: alla luce del Vangelo”: il tema scelto per la riflessione dei vescovi africani, riuniti a Luanda, in Angola, da lunedì scorso. Il servizio di Debora Donnini

Rinnovare la pastorale sulla famiglia
Alla luce dei due Sinodi sulla famiglia e dell’Esortazione apostolica, “Amoris Laetitia”, i vescovi africani vogliono approfondire la pastorale. Ribadita l’importanza della famiglia come “Chiesa domestica” e fondamento di ogni società. Si esprime gratitudine a Francesco anche per i viaggi pastorali compiuti in Africa. L’attenzione viene posta sul matrimonio, legame inseparabile di amore fra un uomo e donna, aperto alla vita, che, scrivono, “non può riguardare persone dello stesso sesso”.

Le sfide che destabilizzano
Vengono, quindi, passate in rassegna le principali sfide che destabilizzano la vita delle famiglie, “specialmente quando non c’è una forte strategia pastorale in atto”. Si va dalla povertà all’impatto delle nuove strategie della comunicazione, dall’ideologia del gender alla sterilizzazione fino alle conseguenze delle migrazioni per le guerre e alla credenza nella stregoneria. Sfide che coinvolgono anche la questione delle famiglie monoparentali e delle coppie di divorziati-risposati.

Il Secam incoraggia le famiglie ed è vicino a chi vive situazioni di difficoltà
I vescovi vogliono ribadire con Papa Francesco “la bellezza del matrimonio”, dell’accoglienza dei figli, della cura degli anziani. Il Secam incoraggia, quindi, le famiglie che testimoniano la gioia di amare e condivide anche le sofferenze di chi vive in situazioni di difficoltà e di coloro che sono profondamente feriti nell’amore. Preghiamo e li esortiamo, scrivono, a “non essere scoraggiati e abbattuti”. I vescovi africani invitano tutte le famiglie a diventare “agenti di trasformazione per le nostre società,” e tutte le associazioni pastorali cristiane ad impegnarsi nell’accompagnamento delle coppie prima, durante e dopo la celebrazione del matrimonio.

L'impegno degli Stati e la preoccupazione per alcuni Paesi africani
Lo sguardo è rivolto anche agli Stati membri dell’Unione Africana ai quali si chiede di resistere alle pressioni di governi e organizzazioni che vogliono imporre politiche anti-famiglia in Africa. Si esprime, invece, gratitudine a quei governi che hanno avuto il coraggio di opporsi a tali politiche. Si chiede loro anche di impegnarsi per garantire un futuro ai giovani e che li si aiuti a realizzare una famiglia. L’attenzione è anche rivolta ai popoli dell’Africa, che attraversano momenti di difficoltà come il Sudan, la Somalia, la Nigeria, il Mali, la Libia e molti altri. Si ricordano anche le sofferenze dei profughi, in particolare di donne e bambini, e si esortano le fazioni in conflitto a lavorare per la pace attraverso un dialogo costruttivo.

La Chiesa protegge la famiglia
“La famiglia è un dono dell’amore misericordioso di Dio”, dicono i vescovi che si impegnano a proteggere questo contro tutto ciò che potrebbe distruggerne l’integrità. Quindi l’invito alle famiglie africane: “Non abbiate paura a fare di Cristo il centro della vostra vita!”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Strage a Monaco. Card. Marx: paura è causa profonda di peccato e odio

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“Possiamo tornare alla nostra vita quotidiana dopo eventi terribili come Nizza, Würzburg e adesso Monaco di Baviera?”; “da dove viene questo scatenamento di violenza e di odio che sembra svilupparsi senza fine?”. Queste domande ha posto l’arcivescovo di Monaco-Frisinga, card. Reinhard Marx, in una riflessione andata in onda sul canale Ard, nella trasmissione “Wort zum Sonntag” (Parole per la domenica). 

Questi atti di violenza hanno radici e sostegno religioso
Alla luce dell’“orrore, dolore e spavento” vissuti dalla “vivace e ospitale” capitale bavarese, il cardinale - riferisce l'agenzia Sir - ha affermato che “la paura è la causa più profonda del peccato ma anche della violenza e dell’odio” e si è dichiarato convinto che causa di questi atti di violenza, che “germogliano politicamente a destra e a sinistra, che hanno radici e sostegno religioso, come nel caso del radicalismo islamico” sia “la paura di perdere il proprio mondo di riferimento considerato come assoluto”. In quest’orizzonte, gli altri sono visti come “una minaccia, come nemici da eliminare, emarginare, reprimere o addirittura uccidere”. 

Come cristiani non vogliamo che la paura domini sulle nostre vite
Secondo il cardinale, il terrorismo, così come questi “pazzi che vanno in giro ad uccidere”, indossano “l’arma della paura” e con essa vogliono “avvelenare la nostra convivenza sociale” perché “la paura porta alla diffidenza, ai pregiudizi, all’odio, all’ostilità all’interno di una società e tra le nazioni e tra le religioni”. “Come cristiani non possiamo e non vogliamo permettere che la paura domini sulle nostre vite”, ha affermato il card. Marx.

Imparare di nuovo a vivere gli uni con gli altri e per gli altri
“Uno Stato sano, una sana convivenza possono esistere solo in un’atmosfera di fiducia, rispetto e solidarietà”, ha sostenuto il card. Reinhard Marx nell’intervista rilasciata sabato, esprimendo vicinanza e preghiera per chi è stato in qualche modo colpito dall’attentato. “Se non si impara sempre e di nuovo a vivere gli uni con gli altri e gli uni per gli altri nella diversità in cui siamo di tradizioni, credenze, religioni e confessioni”, allora “i terroristi e chi opera violenza continueranno a spargere semi di paura, violenza e odio”. 

Noi cristiani ci ribelleremo attraverso la preghiera e la testimonianza
Compiti precisi spettano anche alle strutture che regolano la società nel fare “di tutto per proteggere i propri cittadini dalla violenza e dall’ingiustizia” e a questo proposito il cardinale ha ringraziato “tutti i responsabili della politica e della polizia per questi sforzi”. Tuttavia, ha dichiarato il cardinale, “noi cristiani ci ribelleremo”: “attraverso la preghiera a Dio e Padre di tutti, attraverso la testimonianza del Vangelo in parole e opere, attraverso il nostro impegno per tutti gli oppressi, indipendentemente dalla loro origine, religione o colore della pelle”. Un tale atteggiamento dei cristiani non è ingenuo e naif, ha concluso il cardinale di Monaco “poiché il futuro non appartiene alla violenza, all’odio e alla lotta l’uno contro l’altro, ma alla speranza che nella dimora comune della terra la famiglia umana trovi casa”. (R.P.)

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Salvador: annullata legge aministia. Vescovi: impunità sconfitta

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La Conferenza episcopale salvadoregna ha plaudito all’annullamento, da parte della Corte Suprema di Giustizia, della Legge sull’amnistia generale varata nel 1993: una decisione - affermano i presuli - che rappresenta il “superamento dell’impunità” e apre il cammino della “riconciliazione” e della “giustizia riparativa” per le vittime del conflitto armato. In una nota, l’episcopato spiega che con la cancellazione della Legge sull’amnistia resta in vigore la Legge di riconciliazione nazionale del 1992, la quale prevedeva il ricorso per crimini contro l’umanità denunciati dalla Commissione della Verità. “Consideriamo - si legge nel comunicato dei vescovi - che la deroga dell'amnistia costituisce una valida opportunità per la riconciliazione della società salvadoregna e per costruire la pace sociale”.

Ascolto e rispetto dei diritti delle vittime
“Si presenta oggi  – si legge nella nota - una grande opportunità perché la società salvadoregna possa guarire le sue profonde ferite e per fare questo  è necessaria una giustizia riparatoria a favore delle vittime, che siano ascoltate, che siano rispettati i loro diritti, che siano trattati con dignità e che gli sia chiesto perdono”. In questo contesto, l’episcopato chiama le autorità legislative a creare il procedimento giuridico più conveniente per “implementare una giustizia di transizione” che renda possibile una  “vera guarigione del tessuto sociale che sanguina ormai da tanti anni”.

Niente vendette ma verità e perdono
La Conferenza episcopale chiede al popolo salvadoregno di affrontare questa situazione con maturità e serenità. “Anche noi come Chiesa - si legge nella nota - siamo stati vittime di crimini di lesa umanità, ma non chiediamo il carcere per nessuno, solo chiediamo che sia riconosciuta la verità e che si chieda perdono, per donare subito dopo il nostro perdono”. Il comunicato dell’episcopato ribadisce che la sentenza della Corte Suprema di Giustizia non deve essere vista come uno strumento di rivalsa o di vendetta  ma  come un “momento di giustizia, di misericordia e di perdono.

L’anelito di pace di mons. Romero
​Alla vigilia dell’apertura dell'Anno santo per il centenario della nascita del beato mons. Oscar Arnulfo Romero, i vescovi ricordano l’anelito di una vera pace del popolo salvadoregno e di “tutti i fratelli che per essa hanno versato il proprio sangue”. In effetti, la Chiesa di El Salvador ha una lunga lista di sacerdoti, religiosi, religiose che come mons. Romero e centinaia di uomini e donne, sono stati assassinati durante il conflitto armato e ancora oggi - dopo quasi 25 anni dalla firma degli accordi di pace - sono in attesa di giustizia. (A cura di Alina Tufani Diaz)

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Messico. Mons. Arizmendi: dialogo unica via per la pace sociale

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Mons. Felipe Arizmendi Esquivel, vescovo di San Cristóbal de las Casas, ha chiesto di continuare il dialogo come unica via per la pace sociale: "dialogare è condividere i propri punti di vista con gli altri, è ascoltare con il cuore ciò che dicono gli altri, disposti a rinunciare a qualcosa, mettendo sempre davanti il bene comune". Le dichiarazioni del vescovo, riprese dall'agenzia Fides, sono state motivate dagli omicidi di sabato scorso a San Juan Chamula, dove sono state assassinate cinque persone, tra cui il sindaco della città. 

Le armi sono la debolezza della ragione
"Questi omicidi - ha detto - segnalano che la violenza c'è in tutti gli ambienti, non solo nelle comunità indigene". Inoltre mons. Arizmendi Esquivel ha avvertito che la mancanza di trasparenza e di corretta informazione sull'uso delle risorse pubbliche genera diffidenza verso le autorità, vendetta, lotta politica e ambizioni non prevedibili e difficili da controllare. Non si può scegliere ed accettare leader che basano la loro forza sul numero di sostenitori e sulla forza armata per raggiungere i loro scopi. "Le armi sono la debolezza della ragione" ha ribadito, sottolineando la necessità di proseguire il dialogo, "come l'unica via praticabile" per costruire la pace sociale.

A San Juan Chamula ucciso il sindaco e 4 suoi collaboratori
​Il Messico, dopo le elezioni del 5 giugno, deve affrontare la mancanza di una maggioranza politica nei capoluoghi di provincia e in altre città. A San Juan Chamula, durante una manifestazione di protesta contro il sindaco, delinquenti con il volto coperto hanno ucciso il sindaco e 4 suoi collaboratori. Il governatore del Chiapas, zona a cui appartiene San Chamula, ha dichiarato: "Tutti dobbiamo lavorare insieme per il dialogo e la pace per la nostra comunità, in modo particolare con la vocazione pacifista degli indigeni di San Juan Chamula". (C.E.)

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Libano: 250 mila bambini siriani rifugiati non sono scolarizzati

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Oltre la metà dei circa 500 mila bambini siriani in età scolare registrati in Libano non vanno a scuola a causa delle risorse limitate e delle politiche del Governo libanese. La denuncia arriva da Human Rights Watch (Hrw) che, in un recente studio, ha segnalato anche i passaggi positivi del Paese per consentire l’accesso dei rifugiati siriani all’istruzione pubblica e gratuita. Nella nota ripresa dall'agenzia Fides, la Ong evidenzia l’importanza dell’istruzione, cruciale perchè i bambini possano avere uno strumento per affrontare e superare il trauma della guerra e dello sfollamento, oltre che avere un ruolo positivo nella futura ricostruzione della Siria.

70% dei ragazzi non possono andare a scuole per motivi economici
Il Libano ha stabilito una serie di lezioni serali in 238 scuole per fare fronte ad un numero maggiore di alunni nel corso dell’anno scolastico 2015-2016. Inoltre sono stati aumentati i posti per i rifugiati siriani nelle scuole del Libano, anche se molti sono rimasti scoperti a causa di problemi economici. Infatti, il 70% delle famiglie siriane non può permettersi spese per l’acquisto di materiale e mantenimento scolastico.

Contro la scolarizzazione: abusi e molestie sui ragazzi e l'uso delle lingue
Oltre al fattore economico, tra gli altri motivi che pregiudicano l’alfabetizzazione, influiscono abusi e molestie cui sono sottoposti i ragazzi, l’uso di lingue che i piccoli siriani non conoscono o le norme di iscrizione previste da ogni scuola. I ragazzi di scuola media incontrano ostacoli ancora maggiori, come la difficoltà di ottenere la residenza legale dopo i 15 anni. Solo il 3% di loro è riuscito ad iscriversi a scuola lo scorso anno. Attualmente in Libano ci sono 1,1 milioni di rifugiati siriani registrati ufficialmente, la metà dei quali minorenni, anche se le autorità stimano siano di più. (A.P.)

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Egitto: Patriarca Tawadros sospende catechesi per violenze settarie

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Il Patriarca copto ortodsso Tawadros II ha annunciato la sospensione delle tradizionali catechesi settimanali da lui tenute al Cairo ogni mercoledì pomeriggio, in conseguenza del clima di tensione nuovamente creatosi a causa della nuova sequenza di attacchi settari subiti da comunità copte in varie zone del Paese. L'annuncio e la motivazione della scelta sono stati comunicati dallo stesso Papa Tawadros in occasione della sua ultima catechesi pubblica. Il Primate della Chiesa copta ortodossa ha aggiunto che nelle prossime settimane dedicherà il suo tempo soprattutto alla preghiera per le famiglie colpite dalle violenze.

Continuano gli attacchi contro case di cristiani
La nuova catena di scontri settari - riferisce l'agenzia Fides - ha avuto il suo epicentro nel governatorato di Minya, dove domenica 17 luglio un cristiano copto è stato ucciso da assalitori musulmani durante una rissa. Giovedì scorso, 21 luglio, lo stesso presidente Abdel Fattah al Sisi aveva lanciato un appello alla concordia religiosa, ribadendo l'intenzione di perseguire per legge gli artefici di violenze settarie. Dopo l'appello presidenziale, nuovi attacchi settari si sono registrati in un villaggio presso Beni Suef, dove quattro case di cristiani copti sono state assaltate da facinorosi musulmani che accusavano i copti di voler costruire senza permessi una chiesa.

Tawadros aveva sospeso le catechesi pubbliche anche nel 2013
​In passato il Patriarca Tawadros aveva sospeso per circa dieci settimane le sue catechesi pubbliche, nell'estate 2013, segnata dagli scontri – con assalti a decine di chiese - che avevano sconvolto il Paese in seguito alla deposizione del Presidente islamista Morsi. (G.V.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 207

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.