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Sommario del 27/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: il mondo è in guerra, non di religione ma per il potere

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Il Papa ha iniziato nel pomeriggio il suo viaggio apostolico in Polonia in occasione della Giornata mondiale della gioventù. Partito dall'aeroporto di Fiumicino intorno alle 14.15, è arrivato a Cracovia poco prima delle 16.00. Durante il volo verso Cracovia il Papa, come di consueto, ha salutato brevemente i giornalisti del seguito. Il mondo è in guerra – ha detto commentando il barbaro omicidio di padre Hamel in Francia - ma quella che stiamo vivendo “non è una guerra di religione, no. C’è guerra di interessi, c’è guerra per i soldi, c’è guerra per le risorse della natura, c’è guerra per il dominio dei popoli: questa è la guerra. Qualcuno può pensare: 'Sta parlando di guerra di religione': no. Tutte le religioni, vogliamo la pace. La guerra, la vogliono gli altri. Capito?".

"Una parola che si ripete tanto è ‘insicurezza’ - ha sottolineato - Ma la vera parola è “guerra”. Da tempo diciamo 'il mondo è in guerra a pezzi'. Questa è guerra. C’era quella del ’14, con i suoi metodi, poi quella del ’39 – ’45, un’altra grande guerra nel mondo, e adesso è questa. Non è tanto organica, forse; organizzata, sì, ma organica, dico; ma è guerra. Questo santo sacerdote che è morto proprio nel momento in cui offriva le preghiera per tutta la Chiesa, è 'uno'; ma quanti cristiani, quanti innocenti, quanti bambini … Pensiamo alla Nigeria, per esempio: 'Ma, quella è l’Africa!'. Quella è guerra! Non abbiamo paura di dire questa verità: il mondo è in guerra, perché ha perso la pace".

Poi il Papa ha parlato dei giovani che partecipano alla Giornata della gioventù: "La gioventù sempre ci dice 'speranza'. Speriamo che i giovani ci dicano qualcosa che ci dia un po’ più di speranza, in questo momento". Quindi ha ringraziato tutti quelli che gli hanno espresso le condoglianze per il sacerdote ucciso, "in modo speciale il presidente della Francia che ha voluto collegarsi con me telefonicamente, come un fratello: lo ringrazio".

 

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Cracovia in festa: i giovani di tutto il mondo attendono Francesco

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Il Papa, come consuetudine alla vigilia di un viaggio apostolico internazionale, si è recato ieri sera nella Basilica di Santa Maria Maggiore per sostare in preghiera davanti all'immagine della Vergine e chiedere la benedizione del Signore e della sua Madre sulla sua nuova missione. In Polonia lo attendono centinaia di migliaia di giovani di tutto il mondo che ieri, nel grande parco Blonia di Cracovia, hanno preso parte alla Messa di apertura della Giornata Mondiale della Gioventù, incentrata sulla Misericordia. All’inizio della celebrazione, dedicata in modo speciale a San Giovanni Paolo II, il cardinale Stanislaw Dziwisz ha chiesto di pregare per il sacerdote ucciso nell’attacco alla chiesa vicino Rouen. Il programma della visita del Papa prevede oggi pomeriggio il discorso alle autorità polacche nel Castello del Wawel e successivamente l’incontro con i vescovi nella cattedrale di Cracovia. Il servizio del nostro inviato, Alessandro Gisotti: 

Wjtai, Benvenuto! E’ la gigantesca scritta multicolore che campeggia su un edificio affacciato sulla Vistola nel cuore di Cracovia. Nella città di San Giovanni Paolo II tutto è pronto per accogliere Francesco che, per la prima volta, visita la Polonia. Le misure di sicurezza sono comprensibilmente stringenti, ma questo non impensierisce i giovani venuti da tutto il mondo per la Gmg e che, con il loro entusiasmo e la loro allegria, hanno contagiato la città. I giornali polacchi danno grande risalto alla visita del Papa e ai giovani che, scrivono, hanno “conquistato” Cracovia. Il giornale più diffuso nella città “Gazeta Krakowska” pubblica a tutta pagina una foto di Francesco con il saluto di benvenuto in polacco e in spagnolo.

A Blonia, la Messa d’apertura della Gmg con il cardinale Dziwisz
Ieri pomeriggio, intanto, la Giornata mondiale della Gioventù ha preso il via ufficialmente con la Messa nel grande parco di Blonia. Né la pioggia battente né la preoccupazione per gli ultimi tragici fatti di Rouen hanno impedito ad oltre 400 mila giovani di partecipare alla celebrazione, presieduta dal cardinale Stanislaw Dziwisz. Un mosaico di volti, di popoli, uniti dalla fede, dalla gioia di ritrovarsi insieme nel nome di Gesù. Un evento che ha sottolineato, anche visivamente, come la fraternità sia possibile, la convivenza non sia un sogno anche quando – come succede in questi giorni – la violenza e il terrore si susseguono in una spirale angosciante fino a ferire il cuore dell’Europa. A questi giovani, speranza della Chiesa, il cardinale Dziwisz ha rivolto in più lingue il suo benvenuto: “Cari amici, Benvenuti a Cracovia…”

Dziwisz: vincere la violenza con la fiamma della misericordia
Quindi, ha chiesto loro di essere portatori del linguaggio dell’amore, della solidarietà e della pace. Il linguaggio della Misericordia, dunque, di cui sono stati apostoli due figli di Cracovia, Santa Faustina Kowalska e San Karol Wojtyla, le cui reliquie sono state portate in processione sull’altare assieme ai due simboli della Gmg: la Croce e l’icona della Madonna Salus Popoli Romani. Nell’omelia, lo storico segretario di Giovanni Paolo II, che delle Gmg è stato l’artefice, ha osservato che a questo raduno vengono anche giovani da “regioni del mondo dove ci sono violenze e cieco terrorismo”, dove i cristiani “sono crudelmente perseguitati”.

Domani pomeriggio l’accoglienza dei giovani al Papa
Per questo, richiamando Santa Faustina Kowalska, il cardinale Dziwisz ha incoraggiato i giovani a far sì che la “fiamma dell’amore”, la fiamma della misericordia avvolga il mondo per vincere l’egoismo, la violenza e l’ingiustizia. Quindi, ha esortato la gioventù riunita a Cracovia ad ascoltare la “voce di Papa Francesco”, che domani pomeriggio verrà da loro accolto proprio nel parco Blonia e che a Cracovia ha voluto che si celebrasse con la Gmg, anche il Giubileo dei giovani dell’Anno Santo della Misericordia.

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Papa prega sulla tomba di Giovanni Paolo II, il saluto dei rifugiati

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Stamani, alle 10.00, Papa Francesco si è recato nella Basilica Vaticana ed ha sostato in preghiera sulla tomba di San Giovanni Paolo II. Subito dopo ha salutato un gruppo di bambini malati, con le loro famiglie, accompagnati dai membri dell’Associazione Peter Pan.

Poi alle 13.30, alla partenza da Casa Santa Marta per recarsi in auto a Fiumicino, il Pontefice è stato salutato da un gruppo di quindici giovani rifugiati, nove ragazzi e sei ragazze, di diverse nazionalità, giunti da poco in Italia e ancora privi di documenti che permettano di recarsi all’estero. I giovani, seguiti dall’Elemosineria Apostolica, hanno augurato al Papa un buon viaggio e una felice partecipazione alla Gmg, a cui essi non possono partecipare, ma a cui si uniscono spiritualmente.

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Vescovi polacchi: visita Francesco, festa di fede e di gioia

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Un popolo con una fede ancora radicata: il 92% dei polacchi si dichiara cattolico, il 40% va a Messa tutte le domeniche. Sono 153 i vescovi, 30 mila i sacerdoti e più di 20 mila le suore. Questi alcuni numeri della Chiesa in Polonia che si appresta ad abbracciare Francesco, terzo Papa a visitare il Paese dell'Est europeo. Sulle attese e le speranze di questa visita, nel segno dei giovani e della misericordia, il nostro inviato a Cracovia, Alessandro Gisotti, ha intervistato don Pawel Rytel Andrianik, portavoce della Conferenza episcopale polacca: 

R. – Il presidente della Conferenza episcopale polacca, mons. Stanisław Gądecki, ha detto che ogni pontefice viene accolto in Polonia con il rispetto e le docilità con le quali i cristiani si rivolgono al Successore di Pietro. La Polonia si prepara per questa festa della fede e della gioia. Tutta la Chiesa in Polonia, con grande cordialità, invita tutti i giovani all’incontro con Papa Francesco e la Chiesa di Giovanni Paolo II. Vogliamo anche ringraziare Papa Francesco, perché lui stesso ha scelto la Polonia nell’Anno della Misericordia per vivere il Giubileo dei Giovani di tutto il mondo a Cracovia, dove è partito questo messaggio di Misericordia legato alle rivelazioni ricevute da suor Faustina Kowalska.

D. - Intere generazioni di polacchi sono cresciute con Giovanni Paolo II. Come è cambiata la Polonia rispetto all’ultima visita di San Karol Wojtyla in Polonia?

R. – In questo momento, la Chiesa in Polonia vive con il messaggio che ci ha lasciato Giovanni Paolo II. Noi vediamo questo messaggio come il suo testamento, e in questi anni noi vogliamo compiere ciò che lui ci ha detto. In modo particolare, vogliamo vedere questo suo testamento con gli occhi di Papa Francesco e pensare non solo che cosa avrebbe detto, pensato o fatto Giovanni Paolo I, ma che cosa, in questo tempo, vuole il Santo Padre. C’è sempre questo grande legame, anche attraverso la televisione, la radio i mass media, sia cattoliche che commerciali, dove si torna al messaggio di Papa Giovanni Paolo II, di Papa Benedetto XVI e di Papa Francesco.

D. - Ovviamente ogni volta che si celebra una Giornata mondiale della Gioventù i giovani di tutto il mondo si incontrano con una realtà particolare. Quali, secondo lei, saranno le cose fondamentali che i giovani di tutto il mondo, anche se in pochi giorni, troveranno?

R. – Ci sono alcuni pilastri di cui ci si rende conto come si arriva il Polonia. Primo pilastro: la Chiesa è sempre rimasta vicino al popolo. Durante il comunismo, ad esempio, la Chiesa è sempre stata accanto alla gente e molti sacerdoti hanno sopportato la persecuzione e qualche volta il martirio, come don Popiełuszko. Anche questo è all’origine della credibilità della Chiesa in Polonia. Questa è una cosa. Secondo pilatro: qui da noi si usa ancora baciare la mano alle donne. Noi polacchi impariamo la stima per le donne, dove? Nei santuari mariani. Non è possibile capire poi la Polonia se non si ha ben chiaro, se non si vede questo profondo amore alla Madonna. Inoltre, la Chiesa in Polonia è sempre una chiesa papale, nel senso che ha sempre guardato a Roma e al Pontefice attraverso un legame molto intenso. Questo ci ha aiutato a perseverare nei momenti molto difficili: quando il Paese era diviso fra Russia, Austria, Germania nel tempo del comunismo, avevamo sempre come riferimento Roma. Un’altra caratteristica è il nostro legame con il popolo ebraico: gli ebrei hanno trovato qui in Polonia la loro casa fino alla Seconda Guerra Mondiale, quando i nazisti hanno distrutto il popolo ebraico nella loro casa, in Polonia. Durante la Seconda Guerra Mondiale circa mille sacerdoti polacchi hanno rischiato la vita per salvare gli ebrei dalla persecuzioni nazista. Anche in questo senso, la visita di Papa Francesco ad Aushwitz avrà un particolare valore simbolico e conserverà questa memoria del popolo ebraico e degli altri che sono stati distrutti proprio in questo campo di concentramento.

D. - Il Giubileo della Misericordia avrà questo momento forte con il Giubileo dei Giovani nella capitale della Misericordia, come viene definita Cracovia. Secondo lei quali frutti potrà dare poi non solo ai giovani, ma a tutti i polacchi questo evento?

R. - Giovanni Paolo II ha ricordato proprio a Cracovia che suor Faustina Kowalska ha parlato di una scintilla che parte dalla Polonia per tutto il mondo. La gente pensa sempre: “Che cosa può essere questa scintilla che parte da Cracovia, dalla capitale della Misericordia e va verso tutto il mondo?” Magari il Santo Padre Francesco accenderà questa scintilla di Misericordia che partirà da Cracovia verso tutto il mondo durante la Giornata Mondiale della Gioventù che poi è il Giubileo dei giovani di tutto il mondo. Perciò vediamo questo messaggio di Misericordia, perché dal primo momento, del primo giorno di Pontificato, Papa Francesco è il Papa della Misericordia, tutti lo sappiamo. La gente, i giovani, porteranno con loro ciò che è scritto sotto il quadro della Divina Misericordia e che Gesù stesso ha voluto: “Gesù, confido in te”. La festa della fede, ma anche la fiducia in Gesù misericordioso saranno protagoniste di quella che sarà una giornata mondiale unica - possiamo dire -, perché il Papa della Misericordia viene nella capitale della Misericordia, nel posto dove Gesù misericordioso si è rivelato a suor Faustina Kowalska. Lui prima di tutto, porta con sé i giovani, affinché qui, veramente, che cosa è la Misericordia.

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P. Szustak: a Jasna Gora, Francesco toccherà cuore mariano Polonia

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Una visita per mettere nelle mani di Maria i giovani di tutto il mondo. Significativamente, all’indomani del suo arrivo in Polonia, Francesco si recherà come pellegrino al monastero mariano di Jasna Gora a Częstochowa, cuore spirituale della Polonia, a cui era devoto fin da bambino Karol Wojytla. Sul valore di questo santuario mariano per i polacchi e la visita di Papa Francesco, il nostro inviato a Cracovia, Alessandro Gisotti, ha intervistato padre Albert Szustak, cerimoniere di Jasna Gora: 

R. – Jasna Gora è la capitale spirituale della Polonia. Karol Wojtyła, quando diventò Papa e venne per la prima volta in Polonia nel 1979, disse che i polacchi sono abituate a legare a questo Santuario le numerose vicende della loro vita: i vari momenti, gioiosi o tristi, specialmente quelli solenni, decisivi; i momenti di responsabilità, come la scelta del proprio indirizzo di vita o della vocazione; la nascita dei propri figli; e tanti altri momenti. Sono abituati a venire con i loro problemi a Jasna Gora per parlarne con la Madre Celeste.

D. – Quanto è importante, oggi, per i giovani della Polonia, Jasna Gora, e la devozione - il legame - alla Vergine Maria?

R. – Posso dire ad esempio che, nei primi mesi dell’anno - a marzo e ad aprile - c’è un’abitudine: da ogni parte della Polonia, i giovani vengono qui prima dell’esame di maturità. C’è poi un costume che va avanti da tanti anni, anzi da secoli: le famiglie, i giovani e i bambini dopo la Prima Comunione, sempre vengono qui o per chiedere delle grazie o per ringraziare per le grazie ricevute.

D. – Quale dono pensa potrà dare al Papa, e ai giovani di tutto il mondo, la vicinanza alla Gmg di Cracovia di Maria, e in particolare della Madonna Nera di Jasna Gora?

R. – Credo che, come San Giovanni Paolo II, anche Papa Francesco sia molto, molto legato a Maria. E poi proprio lui ha deciso, prima di andare alla Gmg di Cracovia per incontrare i giovani di tutto il mondo – lui stesso lo ha deciso – di venire proprio a Jasna Gora, ad incontrare Maria, Regina della Polonia e Madre della Chiesa, per prendere la forza per sé e per darla poi ai giovani di tutto il mondo.

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La voce dei giovani: a Cracovia in nome di Gesù

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Grande la gioia e la festa per i numerosissimi giovani arrivati da tutto il mondo, che hanno partecipato alla Messa di apertura della XXXI Giornata mondiale della gioventù. Ascoltiamo le loro emozioni raccolte da Marina Tomarro

D. – Da dove vieni?

R. – Da Udine.

D.- Cosa vuol dire essere qui alla Gmg di Cracovia?

R. - È una grande gioia, una grande emozione stare insieme a tutti questi altri ragazzi della mia età che sono riuniti qui in nome di Gesù e pregare insieme a loro.

D. – E per te invece?

R. – Respirare una nuova aria di mondialità anche per il futuro. Quindi una nuova speranza per tutti noi che si oppone alla cronaca dei nostri giorni.

D. – Da dove venite?

R. – Dalla diocesi di Molfetta.

D. – Perché si partecipa alla Gmg?

R. – Per la fede che ci porta qui a riunirci insieme a tutti questi giovani per conoscere altre persone di altre nazioni; questa è la cosa più bella.

R. – Accompagno un gruppo di ragazzi che ho seguito in questi anni, quindi spero di trasmettere loro tutto quello che questa giornata ha dato a me, tutta la gioia, tutto l’entusiasmo, tutta la fede che ha fatto crescere in me.

D. – A quali altre Gmg hai partecipato?

R. – Sidney, Madrid e Rio.

D. – Cosa spinge un giovane a partecipare a tutte queste Gmg?

R. – L’entusiasmo che ti dà poi il ritornare; ogni Gmg a cui sono andato mi ha dato una carica grandissima che mi ha permesso di affrontare tutto quello che ho ritrovato tornando a casa.

D. – Il messaggio di Papa Francesco è forte riguardo la misericordia. Ma cosa vuol dire per un giovane la misericordia?

R. – La misericordia è creare, dare qualcosa all’altro senza ricevere niente …

D. – Ragazzi, da dove venite?

R. – Da Carmagnola, Torino.

D. – Cosa vuol dire per voi vivere questa Gmg?

R. – Fare nuove esperienze; è bello essere tutti qui perché è un’occasione unica e rara per noi giovani.

D. – Per te è la prima Gmg?

R. – Sì.

D. – Cosa ti aspetti?

R. – Mi aspetto tanta gioia – ce n’è tanta – e mi aspetto di trovare tanti amici.

D. – Da dove venite?

R. – Dalla Francia.

D. – Cosa vuol dire per voi vivere questa Gmg della Misericordia anche alla luce dei tragici fatti che stanno accadendo in questi giorni nel vostro Paese?

R. – So cosa vuol dire vivere la misericordia qui nella Giornata Mondiale della Gioventù, ma alla luce dei recenti eventi non ho ancora avuto il tempo di fare una riflessione perché è tutto accaduto troppo recentemente.

D. – Papa Francesco ci invita a non avere paura nell’essere cristiani. cosa vuol dire?

R. - Vuol dire semplicemente essere cristiani in tutti i contesti della vita dei giovani che ci accompagnano rimanendo sempre noi stessi senza vergogna: semplicemente essere.

Ascoltiamo un'altra giovane francese che, al microfono della nostra inviata Hélène Destombes, racconta quanto successo alla fine della Messa di apertura della Gmg: 

"Quand on est sorti de la Célébration …
Quando siamo usciti, alla fine della Messa, abbiamo sentito la Marsigliese per le vie di Cracovia. Siamo molto felici di essere qui e di rappresentare la Francia. Anche se ci sono  terroristi, anche se ci sono attentati, noi continueremo ad uscire! Pregheremo per i nostri fratelli e per la Francia. La comunione nella preghiera è molto importante. E’ qualcosa di indescrivibile! Questa settimana abbiamo avuto la fortuna di essere accolti da alcune famiglie di Olsztyn: ci hanno dimostrato tutto il loro sostegno e con loro abbiamo affrontato grandi temi… E’ incredibile! Questa comunità è veramente toccante".

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Francesco ai giovani: scegliete con coraggio il bene, create speranza

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“Giocatevi la vita” diventando, come Dio chiede, creatori di “speranza”. È l’esortazione rivolta da Papa Francesco in un videomessaggio ai giovani di una città texana, riunitisi ieri in occasione della festa di Sant’Anna e nell’imminenza dell’apertura della Gmg di Cracovia. Il servizio di Alessandro De Carolis

Il modo starà anche combattendo una guerra globale a pezzi, ma c’è qualcosa di più grande che chiudersi nella paura e nell’imparare a odiare: giocarsi la vita nel fare il bene.

Papa Francesco si rivolge ai giovani di Brownsville, in Texas, riuniti per la festa di Sant’Anna, ma ciò che dice è una sorta di caloroso anticipo del messaggio che in questi giorni di Gmg rivolgerà alle ragazze e ai ragazzi riuniti a Cracovia.

“Quiero decirles que miren siempre hacia adelante…
Voglio dirvi di guardare sempre avanti, guardate sempre l’orizzonte, non lasciate che la vita vi metta muri davanti, sempre guardare l’orizzonte. Sempre avere il coraggio di volere di più, di più, di più… con coraggio, però, allo stesso tempo, non dimenticarsi di guardare indietro all’eredità che avete ricevuto dai vostri avi, dai vostri nonni, dai vostri genitori; all’eredità della fede, quella fede che ora voi avete nelle vostre mani per guardare avanti”.

Dio, insiste con forza Francesco, “ti chiama a creare speranza. Dio ti chiama a ricevere misericordia e a dare misericordia. Dio ti chiama ad essere felice. Non avere paura! Non avere paura”:

“Jugáte la vida! Hoy asumí la vida como está…
Giocati la vita! Oggi prenditi la vita come viene e fai del bene agli altri. Oggi si sta giocando, nel mondo, una partita in cui non c’è posto per i supplenti: o giochi da titolare, o sei fuori”. 

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Mattarella: Papa in Polonia per la Gmg, speranza per il mondo

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“In un periodo segnato da grandi incertezze ed eventi drammatici, l'ultimo dei quali ha tragicamente colpito direttamente la Chiesa Cattolica in Francia, il suo messaggio di speranza e fiducia è particolarmente atteso". E’ quanto ha scritto il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, in risposta al messaggio inviatogli da Papa Francesco, in occasione della sua partenza per Cracovia.

"La Giornata mondiale della gioventù - ha sottolineato il capo dello Stato - costituisce, per i giovani provenienti da ogni parte del pianeta e per l'intera comunità internazionale, un'occasione preziosa di riflessione per progredire attraverso il dialogo e il confronto. Il rinnovato slancio con cui la sua guida pastorale, nell'anno del Giubileo della Misericordia, saprà ispirare mente e cuore dei tanti partecipanti costituirà, ne sono certo, uno straordinario segnale di incoraggiamento ai giovani di tutto il mondo, affinché coniughino nelle rispettive realtà i valori di solidarietà e di pace, opponendosi ad ogni manifestazione di intolleranza, sopraffazione e violenza. Mi è gradita l'occasione per rinnovarle i sensi della mia profonda stima e considerazione".

Questo il messaggio del Papa a Mattarella: “Nel momento in cui mi accingo a partire per la Polonia in occasione della Giornata mondiale della gioventù, animato dal vivo desiderio di incontrare i giovani provenienti da tutto il mondo per un significativo raduno nel segno della fede e della fraternità, mi è gradito rivolgere a lei, signor presidente, e a tutti gli italiani il mio affettuoso e beneaugurante saluto che accompagno con ogni più cordiale ed orante auspicio di  pace  e  di  prosperità”.

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Tauran: vincere il male con il bene o andiamo verso l'abisso

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Ripartire dall’altro. Il cardinale Jean-Louis Tauran, dopo la barbara uccisione di padre Hamel in Francia, indica la strada per superare follie ed estremismi che stanno seminando violenza, odio e divisioni nel mondo. Ascoltiamo il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso al microfono di Manuella Affejee: 

R. – Bien, je dirais que mes sentiments …
I miei sentimenti sono certamente sentimenti di ribellione. Quale ragione può giustificare un crimine del genere? Nessuna! E non può neanche essere la religione la ragione. Invocare il nome di Dio e assassinare un prete sull’altare rappresenta una escalation nel terrore. Stiamo andando dritti nell’abisso.

D. – Quest’atto era prevedibile, secondo lei?

R. – Previsible?
Prevedibile? Io direi di no. Finora si rispettavano almeno i luoghi di culto! Nella storia ci sono stati casi simili, ma non nel mondo di oggi. E’ veramente un qualcosa di insopportabile, siamo di fronte ad una nuova situazione e la Chiesa cattolica è stata attaccata: un prete ucciso sull’altare, mentre celebra l’Eucaristia… Queste cose non si possono improvvisare: è stato organizzato!

D. – Certamente si è ancora sull’onda dell’emozione più viva, nel dolore. Per alcuni le parole di conforto non sono sufficienti: si chiede di passare dalle parole agli atti concreti. E’ un sentimento che condivide e, se sì, cosa fare di fronte a questo moltiplicarsi della violenza?

R. – Je pense que c'est une chose que va durer d'abord; et ensuite il faut que…
Penso che sia qualcosa che durerà ancora. Ma è anche necessario chiedere alle autorità civili di utilizzare tutti i mezzi legittimi per assicurare la sicurezza dei cittadini.

D. – Siamo in un contesto preoccupante in cui gli attentati si succedono: pensiamo ovviamente a Nizza, ma anche alla Siria e all’Iraq, alla Germania, alla Francia stessa. Pensa che stiamo vivendo un momento di “capovolgimento”? Che sguardo ha su questo mondo che sembra essere segnato dalla violenza e dal terrorismo?

R. – Nous sommes dans une époque nouvelle…
Ci troviamo a vivere un’epoca nuova. E’ necessario ritrovare l’umanità, la via interiore; riflettere e dirci che chi è diverso da noi non è necessariamente un nemico. E questo è il principio del dialogo interreligioso: è quello del quale io mi occupo principalmente. Dobbiamo tornare a confrontarci, ad ascoltarci, a comprenderci per compiere questo cammino insieme. Credo che durerà a lungo. Bisogna ricordare la frase di San Paolo: “Vincere il male con il bene”. Il vero grande pericolo è quello della radicalizzazione, della vendetta. Tutti questi atti seminano odio! Non possiamo essere felici senza gli altri, ma non possiamo neanche essere gli uni contro gli altri. C’è la frase di Einstein che dice: “Il mondo non morirà mai a causa dei cattivi, ma per coloro che li guardano fare, senza però fare niente”. E’ una cosa che è molto, molto importante oggi: non guardare solamente, ma agire! Io vorrei anche dire che in questa situazione siamo chiamati – noi cristiani – ad essere pronti a soffrire, anche a morire, perché il nome di Dio venga rispettato. Io credo che si debba avere il coraggio della differenza! Non c’è cristianesimo senza la Croce e io credo che il prete e tutte le vittime del terrorismo facciano parte del lungo elenco di martiri della Chiesa di ieri e di oggi.

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Tomasi: all'odio e alla violenza l'Europa risponda con la fraternità

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E’ stata l’occasione per acclamare mons. Robert Vitillo quale nuovo Segretario generale dell’International Catholic Migration Commission (Icmc), ma anche il momento per fare il punto sull’azione dell’organismo della Chiesa a sostegno dei migranti e dei profughi. Alla 118.ma riunione dell’Icmc, ieri a Roma, ha preso parte mons. Silvano Maria Tomasi, in rappresentanza della Santa Sede, Francesca Sabatinelli lo ha intervistato: 

R. – La Chiesa, attraverso le organizzazioni come questa della Commissione cattolica internazionale per le migrazioni, come la Caritas o il servizio di parrocchie e di diocesi, è una risposta efficace, sistematica, generosa a questo mondo in movimento, fatto di milioni di persone che vengono continuamente spinte fuori dal loro Paese, perché ciò che manca è proprio una di soluzione politica ed economica alle ingiustizie che vediamo nel mondo di oggi.

D. – Mons. Tomasi, di fronte ai milioni di sfollati e di profughi che sono purtroppo il prodotto di tutte le guerre che in questo momento insanguinano il Pianeta, l’Europa si sta chiudendo sempre di più, vittima soprattutto della paura per il ripetersi degli episodi di violenza. Questa, forse, è la vera grande sfida per questo continente?

R. – Il Santo Padre Francesco ci ricorda continuamente il dovere dell’accoglienza. Certo, l’Europa è un continente che ha paura in questo momento, però dobbiamo essere molto prudenti nell’analizzare quello che sta avvenendo attorno a noi. Anzitutto dobbiamo mantenere un atteggiamento di fraternità e di apertura al dialogo, perché il dialogo è la sola strada che porta alla convivenza pacifica. Dobbiamo riflettere sul fatto che questi giovani della seconda e terza generazione, nati e cresciuti in Europa, e ora adescati dal cosiddetto Stato Islamico, hanno perso la vera conoscenza di quello che è l’islam come religione, si sono lasciati dominare dalle frustrazioni, spesso generate dalle loro condizioni sociali, perché vivono troppo spesso in ghetti che non permettono loro una educazione, un impiego ed una opportunità uguale al resto della popolazione. Dobbiamo anche considerare che non basta discutere di quante persone dobbiamo accettare: dobbiamo accogliere per ragioni etiche e legali, perché tutti i Paesi d’Europa hanno firmato la Convenzione sui rifugiati, le persone che hanno bisogno di protezione. Fatto questo, dobbiamo poi pensare al secondo passo, che è quello dell’integrazione. Per integrare queste nuove comunità è importante che accettino dei valori fondamentali, in modo che si possa convivere democraticamente in un contesto sociale e culturale che rispetti l’identità delle persone e che – allo stesso tempo - dia gli stessi diritti e doveri ad ogni cittadino. Se noi non portiamo avanti questa seconda fase dell’integrazione avremo sempre problemi di convivenza, che porteranno coloro che sono ai margini della società, a margini delle nostre grandi città, a vedere nel fondamentalismo islamico, o cosiddetto islamico, la soluzione ai loro problemi e un modo per affermare la propria personalità.

D. – Mons. Tomasi, quello che il Papa da sempre rifiuta è definire quello che accade “guerra di religione”. Ma che tipo di interpretazione dare a quanto accaduto nella chiesa di Rouen? E’ stato un atto di violenza nei confronti di un uomo rappresentante di Dio…

R. – La tragedia di Rouen rappresenta, in un certo senso, una escalation della violenza, quasi una sfida al cuore stesso dei valori e della sensibilità del mondo europeo. Un altro sforzo, ancora più grande, di incutere paura, di bloccare il dialogo e di fare così in modo che venga accettata dalla gente comune la tentazione di dire che non si può convivere e che bisogna rispondere con la forza. Questo sarebbe un suicidio per l’Europa! Bisogna continuare a camminare sulla strada della fraternità e cercare di capire che questo tentativo ultimo di spingere ad una reazione violenta la popolazione, toccando le corde più delicate, come sono - appunto - quelle della convinzione religiosa, diventa una provocazione che non dobbiamo accettare. Noi vinceremo la battaglia contro l’estremismo, contro l’odio che imperversa, solo con una risposta completamente diversa, che è quella della fraternità, dell’amore, del rispetto reciproco, cercando di fare in modo che le condizioni sociali, che possono rappresentare una scusa per questi giovani della seconda e terza generazione di emigrati venuti da Paesi in maggioranza islamica, non siano una causa di frustrazione ma che vengano corrette in modo che ci sia uguaglianza nella società.

La Commissione cattolica internazionale per le migrazioni (Icmc), nata nel 1951 con l’incoraggiamento e il sostegno dell’allora mons. Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI, è una delle attività di servizio che la Chiesa cattolica esercita in questo momento ai milioni di persone che per ragioni di estrema povertà e, soprattutto, a causa della violenza, sono sulle strade del mondo. L’Icmc si avvale del lavoro di 500 persone sul terreno che aiutano decine di migliaia di rifugiati e di persone.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Nel segno della fraternità: il Papa è giunto a Cracovia per la trentunesima giornata mondiale della gioventù.

Dal sangue del giusto Abele: su "La Croix" una meditazione di Frederic Boyer sul mistero del male.

La stampa internazionale sul sacrificio di don Hamel.

Le chiese nella città secolare: Vittorio Gregotti sulla rappresentazione architettonica del sacro.

Fausta Speranza sulla parte sommersa del web: propaganda e armi dell'Is viaggiano sulla rete parallela a quella che conosciamo. 

Piero Coda sui doni per un'unica missione: la prospettiva sinodale di "Iuvenescit ecclesia".

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Oggi in Primo Piano



Francia. Leader religiosi: più sicurezza in luoghi di culto

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In Francia il giorno dopo l’assalto alla chiesa a Saint Etienne di Rouvray,  il Consiglio di Sicurezza e Difesa riunito all’Eliseo decide di impiegare  diecimila militari in più per vigilare sui grandi eventi. Stamattina i rappresentanti religiosi francesi hanno chiesto al Presidente Hollande di rafforzare la sicurezza nei luoghi di culto. Intanto, proseguono le indagini dell’antiterrorismo. La cronaca nel servizio di Elvira Ragosta

Diecimila militari in più per sorvegliare la vigilanza dei grandi eventi estivi. È quanto deciso nel Consiglio straordinario di sicurezza e difesa riunito oggi all’Eliseo. Secondo il ministro dell'Interno, Bernard Cazeneuve, non è solo un aumento numerico: diminuiranno gli uomini dispiegati a Parigi per essere spostati in provincia. Si farà  inoltre un maggiore ricorso alla riserva della Gendarmeria, la polizia militare: per integrare le sue fila sono già pervenute richieste di arruolamento volontario da parte di almeno 2.500 giovani. Nella conferenza stampa a margine del Consiglio, Cazeneuve ha aggiunto che sono state impartite direttive per valutare caso per caso le necessità di concerto con i sindaci, delimitando in maniera precisa le rispettive competenze e responsabilità, e autorizzando gli emissari del governo centrale anche ad annullare senza preavviso determinati appuntamenti, qualora "non ne sussistessero le condizioni" in termini di prevenzione. Per quanto rifguarda le operazioni all’estero, il titolare della Difesa, Jean-Yves le Drian, ha confermato per fine settembre il ritorno nel Mediterraneo orientale, dopo nove mesi, della portaerei 'Charles de Gaulle', ammiraglia della Marina, per incrementare la capacità offensive contro le milizie in Siria e Iraq del sedicente Stato islamico che ha rivendicato sia l'attacco di ieri sia quello del 14 luglio a Nizza.

Sempre all’Eliseo, stamattina, il Presidente Francois Hollande ha incontrato gli esponenti francesi delle Chiese cattolica, ortodossa e protestante, insieme ai rappresentanti di islam, ebraismo e buddismo, che hanno chiesto maggiore sicurezza nei luoghi di culto. I fedeli in Francia "non devono lasciarsi trascinare nei giochi politici di Daesh - ha detto l’arcivescovo di Parigi, il card. André Vingt-Trois - la trappola è quella di mettere i figli di una stessa famiglia gli uni contro gli altri".  Il rettore della Grande moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, ha definito l’attacco alla chiesa  un “sacrilegio blasfemo contrario a ogni insegnamento della nostra religione”. Intanto, proseguono le indagini sui due killer di padre Hamel uccisi nel blitz delle teste di cuoio francesi. Ieri la polizia ha arrestato un minore, forse legato all'assalitore, di cui non è ancora nota l’identità. Si scava, invece, nella vita di Adel Kermiche, il diciannovenne in libertà vigilata che era stato in carcere per quasi un anno per aver tentato di raggiungere i jihadisti in Siria. Ai media francesi i compagni di liceo raccontano che tutti sapevano della sua radicalizzazione. 

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P. Jacques Hamel: una testimonianza di servizio e fraternità

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Una vita spesa per la comunità all’insegna della fratellanza, quella di padre Jacques Hamel, ucciso ieri mentre stava celebrando la messa del mattino. Aveva 86 anni ed era stato ordinato nel 1958. Era molto amato dai suoi parrocchiani, ma anche da molti musulmani che abitavano a Saint-Etienne du Rouvray. Adriana Masotti

Lo conoscevano bene in tanti, padre Jacques Hamel: "Era anziano, ma sempre disponibile con chiunque", “pronto al servizio”. “Era un bravo sacerdote e ha fatto il suo dovere fino all'ultimo", così dicono di lui alcuni fedeli della parrocchia che serviva da 10 anni. Non come parroco, perché era già andato in pensione, ma come semplice sacerdote e si sentiva a suo agio nel suo ruolo di servizio e ancora pervaso dalla voglia di essere utile alla comunità. Nonostante l’età era molto attivo nella celebrazione della messa e dei sacramenti, "convinto della sua fede e desideroso di condividerla". Aveva scelto di trasferirsi in quella piccola comunità, con un'elevata presenza musulmana, per portare un messaggio di fratellanza. Lo testimonia anche il suo ultimo scritto, pubblicato nel bollettino parrocchiale all’inizio dell’estate e che ora è diventato il suo testamento spirituale: "Possiamo ascoltare in questo tempo - scriveva padre Jacques - l'invito di Dio a prenderci cura di questo mondo, per renderlo, là dove viviamo, più caloroso, più umano, più fraterno". Un tempo, suggeriva, da dedicare all’incontro con gli altri. Un tempo di condivisione, di vicinanza ai bambini e ai più soli. Un tempo anche di preghiera: attenti a ciò che accade nel nostro mondo oggi. E invitava tutti a pregare per coloro che hanno più bisogno, per la pace, per un migliore vivere insieme. Questo è l'anno della misericordia, concludeva padre Hamel, facciamo in modo che il nostro cuore sia attento alle cose belle e ad ognuno. Che le vacanze ci permettano di fare un pieno di gioia, di amicizia. E allora potremo, ricaricati, riprendere il cammino insieme”.

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Bruno Forte: credenti e non credenti alleati contro barbarie

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Un’alleanza di uomini e donne, credenti di qualsiasi religione e non, per rifiutare la violenza. Questa l’esortazione di mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti Vasto, che riflette sui tragici fatti avvenuti in Francia. Luca Collodi lo ha raggiunto telefonicamente a Cracovia, dove sta partecipando alla Gmg: 

R. – Siamo di fronte a qualcuno che, con barbarie e ferocia inaudita, uccide un uomo innocente, un uomo mite, un uomo di pace per il solo gusto di uccidere. Quale altra finalità può esserci se non la finalità assolutamente folle di voler seminare odio, di voler abbrutire l’umanità e negarla in quelle che sono le sue espressioni più belle, più vere, cioè gli uomini di pace? Siamo di fronte veramente a ciò che non può essere legato ad alcuna giustificazione ideologica o politica o religiosa: siamo di fronte ad un atto di pura follia. Naturalmente questa non vuole essere un’analisi buonista: è un atto di follia che è stato innescato in qualcuno, predisposto in tale senso, che probabilmente ha ricevuto dei messaggi di violenza che hanno segnato la sua mente e la sua vita. Dunque, accanto ad una prima considerazione - e cioè quella di rifiutare ogni condanna generalizzata di un mondo religioso come può essere l’islam, perché l’islam non è certamente questo - c’è però l’esigenza profonda di essere solidali, credenti, cristiani e non cristiani, ma anche non credenti, nel condannare la barbarie e nell’impegno educativo affinché atti del genere non possano avvenire mai più. Un impegno educativo che significa formazione delle coscienze, che significa sensibilizzazione al rispetto delle dignità di ogni persona umana. Siamo di fronte ad una sfida che ci riguarda tutti.

D. – Davanti a questo scenario, si può parlare di lotta tra bene e male, in questa fase storica della vita del mondo?

R. – L’espressione è naturalmente un’espressione solenne. Io temo che identificare tout court il male con la follia omicida di questi uomini che si ritengono ispirati alla religione significa, forse, anche banalizzare il male. Il male certamente è drammatico ed ha conseguenze devastanti, ma io mi rifiuto di identificarlo con la follia: qui siamo di fronte semplicemente alla barbarie, alla follia. Il male è una scelta, anche consapevole e ragionata di qualcuno e non semplicemente l’atto violento nella sua atrocità, nella sua ferocia, nella sua barbarie. Qui siamo di fronte a qualcosa che non è umano. Qualcosa che, forse nel senso più drammatico, è diabolico: è qualcosa che vuole creare e seminare odio fra mondi e civiltà, fra culture e singole persone. Il peggio che potrebbe avvenire, dopo quello che è successo nella chiesa di Rouen, in Francia, è che si generalizzi l’odio verso una comunità religiosa. Questo non deve essere. Perché le comunità religiose – ed è l’appello che come cristiano e come pastore della Chiesa sento di rivolgere a tutti – devono levare insieme le loro voci nel condannare quello che è accaduto e nell’invitare tutti, specialmente i giovani, ad educarsi al rispetto dell’altro, al senso della giustizia e della pace. Quello che ha operato in queste menti folli e malate non è certamente una motivazione che possa essere stata ispirata a qualunque immagine di Dio che si possa avere. Dio, il Dio Vivente, è sempre contro la violenza.

D. – L’islam cosa può fare per fermare questi fanatici?

R. – Credo che sia importantissima, in questo momento, l’esigenza di convergere, credenti di tutte le fedi, nella comune condanna di ciò che è avvenuto, nell’indicazione dell’assurdità di ogni possibile appello ad una motivazione religiosa. Abbiamo bisogno di sentire alta e forte non solo la voce della sofferenza, non solo la voce della preghiera, ma anche la voce della condanna della barbarie. In modo speciale, in questo momento, è importante che cristiani e musulmani, insieme, levino la loro voce per condannare tali atti e per chiamare tutti al rispetto di ogni altro essere umano, quale che sia la sua religione, la sua storia, la sua cultura.

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Attacco contro chiesa in Francia: la condanna del mondo islamico

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Si moltiplicano in queste ore le espressioni di condanna, da parte di esponenti del mondo islamico, nei confronti dell’attacco di ieri a Rouen, in Francia. Dopo la presa di distanza, ieri, del Gran Mufti d'Egitto, Sheik Shawki Allam, che l’ha definito "atto terrorista e criminale", è arrivata anche la condanna del governo saudita secondo cui l'attentato è "contrario a tutte le religioni, ai valori e ai precetti umani". “Questi atti non hanno niente a che vedere con la religione e gli estremisti vanno denunciati, ha dichiarato Abdel Hamid Shaari, guida dell'Istituto Islamico di Milano. Antonella Palermo ha sentito Abdallah Kabakebbji di origini siriane, giovane medico che vive a Milano, co-fondatore nel 2001 dell’associazione Giovani musulmani d’Italia, impegnato nella formazione e nell’educazione dei ragazzi: 

R. – Innanzitutto, la mia è una doverosa posizione contro quello che è avvenuto: siamo tutti inorriditi di fronte al crimine accaduto ieri. Sicuramente questo attacco risveglia in noi una volontà di capire, di fare qualsiasi cosa per evitare che questo accada di nuovo. L’incontro fra le persone, tra credenti e naturalmente non credenti, è una cosa importantissima per noi. A questo punto, la domanda che ora ci si pone è invece come questo radicalismo sia arrivato a colpire in questa maniera così efferata. La nostra speranza è che proprio quel lavoro che facciamo quotidianamente con i giovani sia quello che disinneschi e riduca questi episodi a mere tracce nella foresta che cresce.

D. - Abdallah Kabakebbji: qui si parla di suicidio per l’Europa se si va avanti di questo passo. Lei che scenari vede? L’opera di educazione di queste giovani generazioni forse sta mostrando degli aspetti fallimentari, distruttivi?

R. - Sì, senz’altro è preoccupante quello che è successo, però si tratta sempre di episodi che numericamente non possono dirci che c’è proprio un fenomeno di fallimento nell’integrazione, nella formazione e nell’educazione dei nostri giovani in generale. Certo, ci sono dei problemi che vanno risolti ricordandoci appunto di ciò che vogliamo essere come Europa, come mondo civile: una civiltà. La civiltà va costruita con le idee che vengono portate anche dalle convinzioni, dalle tradizioni religiose e naturalmente noi non chiediamo ai giovani musulmani di aderire alle società occidentali nella pluralità, nella diversità, nel rispetto, chiedendo loro un islam attenuato, una religiosità attenuata, anzi, chiediamo una religiosità ancora più consapevole del fatto che questa diversità, questa pluralità, questo rispetto, questa convivenza è volontà di Dio. Chiunque vada contro questo rispetto, questa convivenza, questa realizzazione della civiltà fatta di persone che anche con diverse condizioni spirituali vivono insieme, è anche nemico di Dio. Chi ieri si è deliberatamente permesso di uccidere in nome di Dio un fedele, un pastore di anime, una persona di religione, lo ha fatto contro Dio! Questo è ciò che deve passare.

D. – C’è, secondo lei, da rifondare qualcosa nella religione islamica?

R. - La religione islamica è un messaggio che ha un suo DNA che va espletato secondo i tempi e i modi in cui viene vissuto. C’è sicuramente da riconoscere che c’è da fare probabilmente una revisione del linguaggio; c’è da riprendere tutta quella tradizione di convivenza che c’è stata in 14 secoli e capire che anche quella fa parte profondamente della storia dell’islam e infine che c’è una relazione con l’attualità, con il mondo, con il territorio e con il tempo che è necessaria. Il dialogo interreligioso è sicuramente una parte importante di questo motore; senza dubbio un messaggio religioso è sempre qualcosa che si rinnova. 

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Acs: in 10 Paesi è “persecuzione estrema” contro i cristiani

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Dalla Cina all’India, dall’Eritrea all’Arabia Saudita: sono in continuo aumento le persecuzioni contro i cristiani nel mondo. Il 2015 è stato l’anno nero, con un aumento del 63% dei cristiani uccisi e più del doppio del numero di chiese attaccate rispetto all’anno precedente. L’uccisione di padre Jacques Hamel, ieri in Normandia, però, è la prima di un religioso in Europa e all’interno di una chiesa. Roberta Barbi ne ha parlato con Alessandro Monteduro, direttore della sezione italiana di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), Fondazione di Diritto Pontificio da 70 anni accanto ai cristiani perseguitati: 

R. – Per la prima volta, per quanto ci riguarda, siamo di fronte a un chiaro attacco alla libertà religiosa e un altrettanto chiaro esempio di odio anticristiano. Non dobbiamo e non possiamo, tuttavia, indignarci soltanto nelle occasioni in cui i crimini si rivelano particolarmente efferati. In Europa, nel 2015, sono stati oltre 150 i casi di cappelle e chiese profanate, di scritte blasfeme e oltraggi di ogni tipo – appunto - a simboli della cristianità. Non ci dobbiamo stupire se da quegli oltraggi il passo successivo, poi, si concretizza nella brutalità di ciò che è avvenuto. Non ci dobbiamo stupire, perché in Medio Oriente è accaduto esattamente questo.

D. – Acs ha ricordato che negli ultimi anni un numero crescente di simboli cristiani è stato attaccato e profanato in Francia. Quello che è accaduto è segno della scristianizzazione dilagante in Europa?

R. - Questa è la questione centrale: come rispondere alla brutalità, come rispondere al fanatismo? Non c’è ovviamente una sola risposta. Certamente c’è la risposta del confronto, quella che viene da tutti definita la via del dialogo. Ma non si può essere autorevoli nel dialogo se tutta l’Europa - la comunità internazionale in primis - non riscopre con orgoglio l’identità e la radice da cui effettivamente l’Europa promana: la radice cristiana. In Francia, forse, paghiamo anche un problema di legislazioni sempre più votate alla restrizione della libertà religiosa.

D. – Mettendo insieme diversi dati, i cristiani perseguitati nel mondo risultano essere 200 milioni - 20 quelli uccisi ogni giorno - e quest’anno è salito a 10 il numero dei Paesi di “estrema persecuzione”. Come mai? Dialogo e interazione hanno fallito?

R. – Il dialogo per essere efficace, deve avere alla base una forza identitaria che non tutta la comunità cristiana probabilmente sente, avverte e indossa fino in fondo. Negli ultimi due anni, effettivamente, il grado di persecuzione ai danni della realtà, del mondo cristiano è aumentato. Erano sei, prima del 2013, i Paesi nei quali la persecuzione veniva classificata come “estrema”: le ben note e famigerate Cina, Iran, Arabia Saudita, Pakistan, Eritrea e Corea del Nord; negli ultimi due anni si sono aggiunti Iraq e Siria, ma anche la Nigeria e il Sudan. Hanno tutte - queste realtà - un’unica connotazione: sono tutte segnate dall’ascesa dell’estremismo islamico.

D. – Tra le cause di questo odio c’è il nazionalismo religioso - come nel caso dell’India - ma soprattutto l’ascesa dell’estremismo islamico. La domanda che si fanno molti osservatori è questa: tra dieci anni ci sarà ancora spazio per i cristiani in Medio Oriente, antica terra di provenienza?

R. – No, non ci sarà spazio. Basterebbe fare un mero calcolo e proiettare da qui a cinque anni - non dieci anni - quella che è la realtà dei cristiani in Iraq. Nel 2000 erano 1 milione e 300 mila; oggi sono meno di 300 mila. Lasciano quella nazione tra i 60 e i 100 mila cristiani ogni anno. Proiettiamo quei 300 mila rimasti nel prossimo quinquennio e la risposta è: no, non ci sarà più alcun cristiano in Iraq fra cinque anni, se la comunità internazionale tutta non decide finalmente, fino in fondo, di affrontare il problema.

D. – Cosa si può fare di concreto per difendere la nostra fede?

R. – Difendere la nostra fede significa andarne orgogliosi, significa rivendicarla, significa riscoprire effettivamente le nostre origini, le nostre radici. Non avere un impianto o un’impostazione bellica, ma significa riscoprire la bellezza dell’essere  cristiano, del nostro essere cattolici. Forse, con un trasporto di questo tipo, un approccio di questo tipo, il dialogo con le altre religioni potrà avere uno sviluppo e una prospettiva futura di pace.

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Elezioni Usa: Barack Obama alla convention democratica

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Atteso oggi l’intervento di Barack Obama alla convention democratica di Philadelphia, che ha incoronato Hillary Clinton candidata democratica in corsa per la Casa Bianca. L’attuale Presidente degli Stati Uniti interverrà a favore della sua ex rivale Hillary Clinton, per contrastare la candidatura di Donald Trump. Secondo il suo portavoce Eric Scultz, Obama sottolineerà “L’intelligenza, la capacità di giudizio e la forza di succedere alla presidenza" del suo ex Segretario di Stato. Sicuramente l’America sta attraversando un momento storico di grandi trasformazioni non solo economiche ma anche sociali e questo è uno dei motivi per cui per la prima volta alle elezioni americane è stata candidata una donna. Ma com’è cambiata la figura della Clinton in questi anni di lotta ai diritti per le donne, i bambini, le minoranze e i disabili. Gioia Tagliente ne ha parlato con l’americanista Massimo Teodori: 

R. – Ci sarà un appoggio completo ed entusiasta di Barack alla Clinton, anche perché nel 2008 quando fu eletto Obama proprio contro la Clinton nelle primarie, di fatto allora i Clinton appoggiarono Barack Obama nella fase conclusiva della campagna elettorale, con il patto che dopo otto anni Obama avrebbe appoggiato la Clinton. E oggi l’appoggio del Presidente è una cosa importantissima, visto che i sondaggi non sono così favorevoli a Hillary.

D. – E’ un momento storico per l’America, che vede la prima donna ad essere candidata alla Casa Bianca…

R. – Sì, è un momento storico, non soltanto per la prima donna – come c’è stato il primo nero – ma anche perché i problemi nuovi che si affacciano sull’orizzonte americano sono abbastanza gravi. C’è, innanzitutto, il problema dell’impoverimento della classe media bianca, che è un fenomeno generale dopo la crisi del 2008; poi c’è la paura soprattutto dell’America bianca tradizionalista rispetto all’emergenza dei non bianchi, la cui curva demografica – neri e ispanici – nel giro di un decennio prevarrà su quella dei bianchi.

D. – Rispetto alla trasformazione dell’America, quanto è diversa la nuova figura della Clinton rispetto alla sua vecchia immagine?

R. – Necessariamente è appiattita su quella dell’establishment. Una donna che è stata first lady, che è stata segretario di Stato, che è stata senatrice di New York, che ha la sua età, necessariamente è vista come parte dell’establishment. E questa è stata la sua difficoltà nell’emergere nelle primarie, rispetto al vecchio senatore Sanders, che rappresentava quella rivolta anti elitista che caratterizza l’America sia a destra che a sinistra. 

D. – A novembre le elezioni: chi la spunterà?

R. – Oggi non lo possiamo dire, perché i sondaggi vedono un Trump crescente e una Clinton in diminuzione. Io ritengo che l’elemento fondamentale per decidere se la vittoria sarà dell’uno o dell’altra, dipenderà  dall’affluenza alle urne: se ci sarà un’alta affluenza - il che significa che i non bianchi, i neri e gli ispanici, andranno a votare -  probabile che la Clinton ce la farà; se ci sarà una bassa affluenza, con una partecipazione in massa dell’America tradizionale bianca, soprattutto nelle regioni dell’Ovest e del Sud, allora è probabile che Trump possa prevalere.

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P. Spadaro: lo sguardo di Francesco sull'Europa parte da periferie

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“Cosa ti è successo, Europa?”. La domanda che il Papa rivolse lo scorso 6 maggio, nel ricevere il “Premio Carlo Magno” dalle massime autorità europee, è divenuto il titolo dell’incontro sull’Europa tenutosi, ieri pomeriggio, presso il Complesso di Santa Maria della Minerva, a Roma.  L’occasione è stata offerta dalla pubblicazione del volume di Limes “Brexit e il patto delle anglo spie”. Ad intervenire padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica e Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera dei Deputati. Le conclusioni sono state affidate a Lucio Caracciolo, direttore della stessa Limes. A seguire per noi l’evento, Debora Donnini

Papa Francesco è “figlio dell’Europa” e “fratello dell’America”. Questa affermazione è stata fatta da padre Antonio Spadaro per far capire come le radici anche intellettuali di Francesco affondino nel Vecchio Continente. Padre Antonio Spadaro nel suo intervento ricostruisce il pensiero del Papa sull’Europa. Francesco, sostanzialmente, è “un migrante”, ha detto padre Spadaro e, infatti, così si è presentato durante il viaggio negli Stati Uniti. Non a caso, poi,  il primo viaggio di Francesco è stato a Lampedusa, Porta delle rotte dei migranti. Anche i successivi viaggi, come quello in Albania e a Strasburgo, testimoniano la sua attenzione per le periferie, punto di vista privilegiato per leggere la realtà, senza dimenticare il centro. L’accorato appello del Papa, “Che cosa ti è successo, Europa?”, è perché l’Europa torni ad essere madre. Una delle parole centrali per Lui, è “integrare”, non nel senso delle due velocità economiche, ma per includere l’ampiezza delle anime europee. L’unità per Francesco è sempre superiore al conflitto, sottolinea padre Antonio Spadaro come sentiamo ai nostri microfoni:

R. – Papa Francesco vede l’Europa non come una cosa o una casa, perché comunque sarebbe un oggetto, qualcosa di fisso, uno spazio da difendere. Vede, invece, l’Europa come un progetto, che è in evoluzione e che procede per sintesi progressive. Allora, la cosa più importante, in questo momento, è capire cosa stia succedendo, non chiudersi nell’idea di frontiera, di un “dentro e fuori”; capire quali siano i processi che stanno avvenendo e muoversi verso un’integrazione sempre più profonda. Il rischio fondamentale, nel non fare questo, è di creare una Europa di “abitanti” europei, cioè di gente che vive in un luogo, in uno spazio, ma non di “cittadini” europei. Allora, il movimento di Jorge Mario Bergoglio - che si sposta geograficamente da Lampedusa a Lesbo, da Istanbul a Tirana e Sarajevo – è un movimento che testa le periferie; è un movimento importante per capire che cosa stia succedendo.

D. – Il Papa accogliendo gli ultimi, ad esempio i migranti, vuole mostrare anche cosa voglia dire veramente essere cittadino europeo?

R. – Certamente l’essere cittadino europeo è un processo e significa abitare un luogo, sentendo che insieme ad altre persone c’è un progetto condiviso. La sua attenzione, quindi, non è solo per il presente - che cos’è l’Europa – ma la sua domanda è: che cosa spera l’Europa? Il Continente, cioè, si definisce non per la sua identità statica, ma per il suo desiderio, un orizzonte utopico condiviso…

D. – Per questo va nelle periferie…

R. – Certamente lo sguardo di Francesco è uno sguardo periferico. Sguardo periferico non significa solo andare in periferia, dimenticando il centro. Per lui l’anima non è il centro, ma è il cuore. Quindi non è una questione di centralità fisica. Certamente lo sguardo periferico è quello che permette di vedere le cose da punti di vista più creativi, più ampi. Bisogna guardare la cittadinanza europea non dal punto di vista dell’Istituzione europea, ma dal punto di vista della vita concreta dei cittadini.

D. – Inizia la Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia. Alla vigilia di questo importante evento nel cuore dell’Europa, c’è stato questo dramma del sacerdote sgozzato in Francia. Come leggere questo?

R. – La Giornata Mondiale della Gioventù in questo momento storico può essere estremamente utile, perché indica la via dell’unità. La Giornata Mondiale della Gioventù significa di fatto costruire ponti tra giovani di tutte le parti del mondo. Quindi è un episodio di abbattimento di muri. Questo potenziale di energia dovrà fondersi e unirsi alla saggezza degli anziani, come dice spesso il Papa.

D. – Secondo lei, come si possono affrontare nel modo più giusto questi episodi di violenza, che stanno insanguinando l’Europa?

R. – Allora, le strategie concrete sono affidate ai politici. Quello che posso dire, però, è certamente una cosa: dobbiamo evitare di entrare in una dinamica di guerra, cioè di immaginare o di nominare quello che sta avvenendo come se fosse una guerra. Questo significa, di fatto, fare il gioco esattamente di coloro che vogliono fomentare il terrorismo: farci credere che siamo in piena guerra di religione! Questo non bisogna farlo e, in questo, la responsabilità dei media è molto importante. Bisogna considerare le cose per quelle che sono, cioè gesti di grande violenza, gesti di terrorismo…   

Padre Spadaro ha anche raccontato un episodio accaduto durante la visita di Francesco a Lesbo, quando ha incontrato in un tendone un gruppo di migranti. Uscendo fuori dalla tenda, si è reso conto della gente che stava fuori, allora – prosegue padre Spadaro – ha chiamato il patriarca Bartolomeo, ha spostato le transenne ed è entrato. “E’ stato straordinario!”, conclude padre Spadaro. Il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, spiega che il Movimento Cinque Stelle  non è mai voluto uscire dall'Unione Europea, nonostante le critiche per l’austerity e altro. Le conclusioni sono state affidate a Lucio Caracciolo, direttore di Limes, a cui abbiamo chiesto come interpreta la Brexit a livello di politica internazionale:

R. – Come il segno che in questo momento in Europa esiste una forte crisi identitaria. Gli inglesi, più che i britannici, hanno detto “No” all’Europa perché vedevano in questa una minaccia alla loro identità e in particolare in alcuni migranti, provenienti anche da Paesi europei, una minaccia al loro livello di vita. Le due cose insieme hanno  portato al “Leave”, cioè all’annuncio che l’Inghilterra, quindi il Regno Unito, vorrà lasciarci.

D. - Come vede il futuro dell’Europa? C’è speranza?

R. - Non credo che oggi sia ragionevole parlare di Europa; ce ne sono parecchie, molto diverse fra loro. Una cosa è vedere l’Europa  dall’Italia, altra cosa è vederla da Varsavia o magari da Cipro. Il problema è proprio questo: non c’è un modo comune di vedere le cose. Ma questo è un dato di fatto. Poi, la politica dovrebbe essere quell’arte che ci permette di ricucire i punti di vista e di produrre atti positivi.

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Ventimiglia: l'ex convento dei Maristi apre le porte ai rifugiati

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Procede senza sosta a Ventimiglia l’accoglienza dei migranti, il nuovo Campo gestito dalla Croce Rossa, in collaborazione con la Caritas, nel parco ferroviario del Roja, ospita oggi circa 500 rifugiati, ma sono ancora in molti ad essere rimasti fuori in attesa dell’ampliamento della struttura che garantirà altri 380 posti. Le buone notizie giungono dai Fratelli Maristi, disposti a cedere l’ex convento di Ventimiglia per favorire aiuti e ospitalità ai rifugiati in fuga dai Paesi in guerra. Tuttavia, non sarà una cessione a costo zero, infatti, il valore è stato stimato intorno ai 400 mila euro, senza contare i lavori che dovranno essere fatti per rendere abitabile l'ex convento. La diocesi del ponente ligure, ha spiegato mons. Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-Sanremo, ha dato la sua disponibilità a impegnarsi finanziariamente. Michele Ungolo ha intervistato Maurizio Marmo, direttore della Caritas diocesana Ventimiglia-Sanremo: 

R. - In questo momento a Ventimiglia ci sono tra i 400 e i 500 migranti accolti nel Campo nuovo che è stato aperto una decina di giorni fa. Questo Campo è gestito dalla Croce Rossa in collaborazione con noi ed altre associazioni e la chiesa di Sant’Antonio, dove accogliamo donne e bambini. Purtroppo rimangono fuori ancora delle persone che in attesa dell’ampliamento del nuovo campo si ritrovano senza particolari servizi; sono un po’ in difficoltà.

D. - Come evolverà la situazione nei prossimi giorni?

R. - La capienza del Campo dovrebbe essere raddoppiata che da 180 posti passerà a 360; quindi ci auguriamo che quasi tutti le persone che al momento sono fuori riescano ad entrare. Ci sono poi possibilità di ulteriore allargamento. Vedremo un po’ le esigenze dei prossimi giorni, perché comunque questa è una zona di transito e ci sono persone che continuamente arrivano e partono quindi il numero cambia quotidianamente.

D. - L’appello di Papa Francesco è proprio quello di aprire le porte degli ex conventi ai rifugiati. È questa la strada giusta?

R. - Sicuramente sì, perché in questa fase vengono in Italia tante persone che hanno bisogno di un’accoglienza e, se riusciamo a fornire un servizio adeguato è positivo senz’altro per loro e per le nostre città e le nostre comunità. Quindi riuscire a fornire un luogo dove potersi inserire e poi da lì ripartire per ricostruire una vita è senz’altro fondamentale. Noi di Ventimiglia viviamo, oltre alla presenza in diocesi anche di chi si ferma stabilmente in Italia, questo passaggio, questo transito di persone visto che siamo al confine.

D. - L’ex convento dei Fratelli Maristi ha comunque un costo importante. Come si pensa di affrontare questa spesa?

R. - Cercheremo risorse grazie a donatori sensibili a questo tema e che condividano l’ottica di poter  creare un luogo di accoglienza soprattutto per il passaggio, trovandoci – ripeto – in una zona di frontiera. In un anno e mezzo presso la chiesa di Sant’Antonio abbiamo registrato il passaggio di circa seimila persone. Per cui sono numeri molto elevati e significativi e questo convento potrebbe avere senz’altro questa funzione di accoglienza, oltre che magari poter essere utile per altre attività sociali con il sostegno del volontariato.

D. - Si tratta di un passo decisivo per ridare dignità a coloro che si ritrovano in Italia perché in fuga dai Paesi in guerra. In che modo avverrà l’accoglienza nelle nuove strutture?

R. - Questo nuovo campo che è stato aperto e gestito dalla Croce Rossa ha dei moduli abitativi e poi vari servizi. Quindi con l’apporto di altre associazioni dovrebbe diventare uno spazio dignitoso dove le persone possano essere ascoltate e possono avere consigli legali e informazioni. Nel convento dei Maristi vorremmo poi portare avanti delle iniziative analoghe in modo da essere pronti per le esigenze, perché può accadere che per qualche tempo il passaggio dei migranti sia inferiore e in altri momenti – come quelli che stiamo vivendo – il transito sia veramente elevato qui a Ventimiglia. 

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"Il figlio sospeso" un film sul dramma dell'utero in affitto

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Solo se conosciuta la verità rende liberi. Parte da questo assunto ‘Il figlio sospeso’, l’opera del regista siciliano Egidio Termine proiettato oggi alla Camera dei deputati nell’ambito un’iniziativa organizzata dal Movimento per la vita. Il film, nelle sale il prossimo autunno, affronta il tema della maternità surrogata senza entrare nel merito di questioni bioetiche o legali, ma piuttosto affrontando lo stato di sospensione del protagonista, Lauro, la cui sete di verità lo spinge ad un "viaggio" alla ricerca della sua identità. Senza essere un film di “denuncia”, "Il figlio sospeso" riesce a raccontare tutta la drammaticità legata alla pratica dell’utero in affitto. Per conoscere il vero intento di questa narrazione cinematografica Marco Guerra ha intervistato il regista Egidio Termine

R. - Avevo lasciato il cinema 20 anni fa, in seguito ad una conversione verso il cattolicesimo. Mi sono iscritto alla facoltà di teologia e studiando materie come antropologia, psicologia, sociologia, mi sono sentito tirato in causa dell’impegno come cristiano di dare un contributo alla cinematografia. In quel periodo, circa dieci anni fa, si cominciava a parlare di maternità surrogata.

D. - C’è un pubblico pronto a recepire queste storie?

R. - Io non ho scritto un saggio sulla maternità surrogata; ho scritto una storia cinematografica. Mi sono servito del cinema che è emozione. Se non arrivi al cuore del pubblico non hai fatto cinema e quindi hai tradito in qualche modo la verità dello strumento. Ho cercato di rispettare questo e i riscontri sono stati questi: ho visto persone piangere in sala al Festival di Taormina e al Festival di Bari. Tutto questo, poi, deve essere razionalizzato, ma prima arriva al cuore, mentre a volte le leggi, i saggi, i ragionamenti arrivano direttamente alla mente e lì ci si può anche inquinare con pregiudizi di carattere politico e di parte. Però nel cuore non ci sono schieramenti né politici né scientifici: il cuore è il cuore e basta.

D. - Con la sua narrazione cinematografica, quali aspetti ha voluto mettere a fuoco di questo drammatico fenomeno della maternità surrogata?

R. - Si parla spesso di maternità surrogata focalizzando l’attenzione sulle madri che oggi possono essere anche quattro. Nessuno pensa invece al bambino, al figlio che è il protagonista di questo fatto sociale nuovo. Quindi mi sono messo dalla parte del bambino e lo stesso titolo “Il figlio sospeso” è esplicativo di questo mio punto di vista che parte appunto dalla necessità di attenzionare il bambino, il protagonista che viene scambiato nella maternità surrogata.

D. - Lei racconta un giovane uomo alla ricerca e una madre biologica che non si è mai arresa all’idea di riveder suo figlio. Questa storia poi non è molto lontana dalla realtà che emerge dalle testimonianze di persone concepite in questo modo …

R. - Intanto mi oppongo ad un fatto storico che sta avvenendo da un punto di vista sociologico: il passaggio dall’umanesimo al post-umanesimo che vuole vedere e rielaborare la stessa antropologia umana. Da un punto di vista scientifico, filosofico ci si inventano delle teorie ma, purtoppo per loro, ci si scontra sempre con quella che è la natura dell’uomo, la vera antropologia dell’uomo, quasi a volere forzare un sentimento che mai potrà morire. Questa ricerca c’è sempre: una mamma sa sempre e comunque che da qualche parte ha un figlio.

D. - Il protagonista di questa storia indica anche una strada per la riconciliazione. Nel film si afferma che solo se conosciuta per intera la verità rende liberi. Sembra un manifesto per la felicità …

R. - Intanto il Vangelo stesso ci dice che la verità ci fa liberi, e la verità è Gesù. Ma anche laicamente questa frase ha il suo valore essenziale: solo con la verità si può raggiungere una concretezza di situazioni che fanno migliorare l’essere umano. Con la bugia accade tutto il contrario; l’essere umano si perde. Questo personaggio, il protagonista del film, va alla ricerca della verità in quanto insito nell’essere umano, nell’antropologia vera. Questa ricerca della verità si ottiene pagando anche a caro prezzo con una ferita che comunque resterà per sempre incisa nell’essere umano. La conoscenza della verità ti fa soffrire, ma ti rende anche libero con una ferita, quindi rende vero, reale. Tutto questo non può che portare un beneficio anche a coloro che sono responsabili di questa sofferenza. Le madri alla fine si riconciliano e riescono a continuare a vivere dal momento in cui il figlio li riconcilia un po’. Il personaggio principale è Lauro che paga ma dà la vita agli altri, dà l’armonia nella crescita anche alle madri che hanno commesso il fatto.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovo di Aleppo: padre Hamel e altri martiri salveranno il mondo

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La vicenda di padre Jacques Hamel, l'anziano sacerdote francese sgozzato mentre celebrava la Messa, “appartiene alla grande storia del martirio cristiano, come quelle dei martiri recenti delle Chiese in Oriente”. Per questo “non merita di essere strumentalizzata, magari proprio da chi, fino a poco tempo fa, per seguire i propri interessi, pensava di giocare di sponda con i gruppi jihadisti a cui fanno riferimento anche i giovani terroristi che lo hanno ucciso”. Così il vescovo Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino, guarda dalla città martire siriana al tragico evento consumatosi ieri mattina nella chiesa di Saint Etienne du Rouvray, vicino Rouen.

Il martirio è la confessione più alta della fede
“Lungo i secoli” rimarca il vescovo francescano parlando all'agenzia Fides, “i cristiani hanno sempre visto nel martirio la confessione più alta della fede. Mentre piangevano i loro martiri, li hanno sempre celebrati come quelli che redimono tutti noi e salvano il mondo, perchè prendono su di sé le sofferenze ricevute nel nome di Gesù, e così applicano ai loro contemporanei la redenzione portata da Cristo”.

Poteri occidentali non hanno esitato ad appoggiare i gruppi di jihadisti invasati
Questa dinamica, cosi intima al mistero di salvezza, a giudizio di mons. Georges non può essere sfigurata da chi fomenta indignazione per incassare qualche tornaconto di natura politica. “Sono anni” fa notare il vicario apostolico di Aleppo “ che noi vescovi del Medio Oriente mettevamo in guardia quei poteri occidentali che pur di perseguire i propri interessi non esitavano ad appoggiare i gruppi di invasati che perseguono l'ideologia jihadista. Adesso vedo circolare reazioni feroci, che identificano tutto l'islam con quei gruppi accecati da un'ideologia di odio e di morte che sembra diffondersi dovunque, per vie misteriose. Occorre essere semplici come colombe e astuti come serpenti, come insegna il Vangelo. Ma la furbizia non consiste nel farsi contaminare dal veleno del serpente”. (G.V.)

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Abu Mazen al Papa: condanniamo chi giustifica il terrore con la religione

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“Siamo sconvolti dall’attacco barbaro alla chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray in cui abbiamo perso il parroco Jacques Hamel. A nome dello Stato di Palestina e del popolo palestinese, e a nome mio personale, condanno la vile ed odiosa azione terroristica e qualsiasi giustificazione si osi dare in nome della religione a questi atti contro l’umanità”. Cosi il Presidente di Palestina Mahmud Abbas si rivolge a Papa Francesco, nella lettera di condoglianze da lui inviata al Pontefice dopo l'efferato assassinio dell'anziano sacerdote sgozzato ieri da due terroristi mentre stava celebrando Messa nella chiesa di Saint Etienne du Rouvray, vicino Rouen. “Saremo sempre fianco a fianco” si legge nel messaggio presidenziale, ripreso dall'agenzia Fides, “per diffondere l’amore, la misericordia e la giustizia, contro l’odio e l’integralismo, e per far crescere insieme giustizia e pace a vantaggio di tutta l’umanità”.

Il cordoglio dei vescovi cattolici di Terra Santa
Anche i vescovi Ordinari cattolici di Terra Santa, già nella giornata di ieri, avevano diffuso un messaggio di condoglianze rivolto alla Chiesa che è in Francia e a tutti i francesi. “Dalla Terra Santa che continua a soffrire violenza e instabilità” si legge nel messaggio, pubblicato dai media ufficiali del Patriarcato latino di Gerusalemme, “alziamo le nostre voci esortando a mettere fine all’uso della violenza in nome della religione e, piuttosto, ad utilizzarla come via per promuovere il rispetto reciproco e la comprensione tra i popoli. In queste occasioni, noi, i credenti - hanno sottolineato i vescovi cattolici di Terra Santa - dobbiamo pregare l’Onnipotente di custodire l’unità tra i popoli, per cooperare insieme allo scopo di porre fine a ogni forma di terrorismo, e perché ispiri i responsabili del mondo ad agire consapevolmente e in modo risoluto, per sradicare il terrorismo e le sue cause nelle regioni che patiscono questo terribile flagello”. (G.V.)

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Patriarca Sako con sciiti iracheni e iraniani per un dialogo permanente

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Un Comitato di dialogo permanente tra i rappresentanti dei centri religiosi sciiti e il Patriarcato caldeo, per affrontare insieme i problemi vissuti dalle popolazioni locali, in un contesto di amichevole collaborazione. E' questa la proposta concreta emersa durante la visita resa lunedì scorso al Patriarca caldeo Louis Raphael I da quattro autorevoli rappresentanti delle istituzioni accademiche sciite di Najaf (Iraq) e Qom (Iran). La delegazione era composta dallo sheikh Aladdin Jazairi (che ricopre anche incarichi nel Movimento al Nujaba, a cui fa riferimento anche una milizia sciita), dallo sheikh Jassim Mandalawi, e dagli sheikh Hamid Reza e Hamid Albabai, dirigenti del Centro per il dialogo di Qom, la città iraniana dove sono concentrate importanti istituzioni accademiche dell'islam sciita.

Creare strumenti di dialogo a livello locale
Il modello di dialogo messo in cantiere si configura come complementare a quello già in atto tra le stesse realtà accademiche sciite e le istituzioni vaticane. “Noi cristiani d'Oriente” riferisce all'agenzia Fides il Patriarca Louis Raphael Sako “possiamo e dobbiamo essere attori privilegiati nel dialogo con le realtà dell'islam. Viviamo qui, parliamo la stessa lingua, siamo assillati dagli stessi problemi e dagli stessi mali, conosciamo le cose dall'interno. Sono utili tutte le occasioni per creare strumenti di dialogo a livello locale, che possono anche servire a sciogliere tanti nodi incontrati dalle comunità cristiane, in questi tempi drammatici”.

Comitato di dialogo anche con i sunniti
Il Primate della Chiesa caldea prende atto che al momento “i sunniti hanno tanti problemi con la liberazione delle loro città dal Daesh, ma, in futuro, un eventuale comitato di dialogo eventualmente avviato con gli sciiti potrebbe coinvolgere anche loro e diventare uno strumento di dialogo tra cristiani e musulmani”. 

Sako chiede di aggiornare il linguaggio della predicazione religiosa
Il Patriarca caldeo ipotizza anche alcuni punti su cui il dialogo potrebbe focalizzare l'attenzione: “Ai rappresentanti sciiti ho detto con amichevole franchezza che non c'è futuro, se non si aggiorna il linguaggio della predicazione religiosa. Ho accennato loro all'esperienza dei cristiani: alla lunga, se questo aggornamento non avviene, le persone si allontaneranno dalla religione. La predicazione e anche il dialogo devono essere concreti, tener conto del momento storico e dei problemi reali: prima delle questioni strettamente accademiche e teologiche, possiamo iniziare a confrontarci sulle questioni sociali, comprese quelle della giustizia e del riconoscimento dei diritti della persona. Quelli sono i terreni su cui dobbiamo iniziare a sperimentare soluzioni condivise”. (G.V.)

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Uganda: ondata di profughi sud sudanesi

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In sole tre settimane sono giunti in Uganda 30 mila rifugiati, i Centri di accoglienza sono sovraffollati, al limite del collasso. I recenti combattimenti in Sud Sudan hanno causato una nuova ondata di arrivi, mettendo sotto pressione i Paesi limitrofi del sud, che già ospitano mezzo milione di rifugiati. Dai primi giorni di dicembre 2015 - riferisce l'agenzia Fides - in Uganda c’erano già almeno 511 mila profughi e richiedenti asilo, e il Paese era diventato il terzo in quanto ad accoglienza in Africa dopo Etiopia e Kenya. Negli ultimi giorni oltre 30 mila persone sono fuggite dai combattimenti in Sud Sudan e le agenzie umanitarie hanno denunciato la precarietà delle risorse e l’inadeguatezza delle strutture di accoglienza e dei Centri di transito nella parte nord occidentale del Paese.

Allarme igienico-sanitario
Il Centro di Elegu, ai confini tra Sud Sudan e Uganda, attualmente ospita 10 mila persone, cifra dieci volte superiore alla capacità prevista. Le forti piogge contribuiscono ad ostacolare gli interventi, i servizi sanitari sono scarsi e i luoghi pieni di spazzatura. Le latrine non riescono a contenere il grande numero di persone costringendone migliaia a defecare all’aperto.

Donne e bambini costituiscono il 90% del nuovo afflusso
“La situazione è molto peggiorata: allarmante e spaventosa. Le cifre sono schiaccianti e le agenzie umanitarie sul territorio sono relativamente poche” si legge in una dichiarazione del direttore esecutivo della Caritas dell’arcidiocesi di Gulu, pervenuta a Fides. I bambini e le donne, visibilmente stanchi e affamati, costituiscono il 90% del nuovo afflusso. Altrettanto drammatica la situazione nel Centro di transito di Nyumanzi, nel distretto nord occidentale di Adjumani, che fu costruito nel 2014 per ospitare circa 2.000 persone per non oltre due settimane. Attualmente accoglie oltre 20 mila profughi. Il Centro di raccolta di Kuluba ne ospita 1.500, rispetto ai 300 previsti dalla capacità degli ambienti. (A.P.)

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Vescovi Perù: combattere insicurezza, povertà e corruzione

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In occasione della Festa nazionale del Perù, che ricorre domani 28 luglio, la Conferenza episcopale ha preparato un Messaggio al Popolo di Dio che inizia così: "Il popolo peruviano ha grandi speranze nel nuovo Presidente del Paese e nel nuovo Congresso, da cui si aspetta che rispondano con saggezza, in modo efficiente e tempestivo, ai grandi mali che incombono sulla nostra popolazione: l'insicurezza, la povertà e la corruzione".

I governanti del Paese non dimentichino i valori cristiani
"Il dono della fede cristiana radicata nella nostra identità nazionale - si legge nel Messaggio, ripreso dall'agenzia Fides - è la forza più potente che può spingere il cambiamento e la trasformazione di ogni uomo e di ogni popolo". "Non dobbiamo dimenticare, in questa festa nazionale, che valori come il rispetto della vita, dal concepimento alla morte naturale; il rispetto per la famiglia, base della società, il matrimonio tra uomo e donna; la giustizia e il rispetto dei diritti dei più deboli, l'onestà e la salvaguardia del creato, rimangono una sfida per ogni peruviano e per le nostre autorità". Il documento si conclude con la richiesta "ai leader e ai membri dei partiti, di lavorare uniti in armonia per il bene del Perù".

Anche la Chiesa si impegna per la celebrazione del Bicentenario dell'indipendenza
Il Messaggio dei vescovi acquisisce importanza particolare perché, secondo la nota inviata a Fides dalla Conferenza episcopale, a partire da questo anno, 195° anniversario della nazione, anche la Chiesa si impegna a preparare nei prossimi cinque anni la celebrazione del Bicentenario dell'indipendenza nazionale. (C.E.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 209

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.