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Sommario del 29/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco ad Auschwitz-Birkenau: Dio perdoni tanta crudeltà

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“Signore abbi pietà del Tuo Popolo, Signore, perdono per tanta crudeltà”. E’ il messaggio che Papa Francesco ha lasciato sul libro d’onore di Auschwitz durante la sua toccante visita al campo di sterminio nazista. Qui, ha incontrato 10 sopravvissuti della Shoah. Successivamente, il Pontefice si è recato nel lager di Birkenau, dove ha incontrato 25 Giusti delle Nazioni. Come aveva chiesto il Papa, il silenzio e la preghiera hanno contraddistinto tutti i momenti di una visita toccante e di grande intensità. Il servizio del nostro inviato in Polonia, Alessandro Gisotti: 

Solo il rumore dei passi rompe il silenzio che domina Auschwitz. Sono da poco passate le 9 quando Papa Francesco, a piedi, lentamente passa sotto la famigerata scritta della cancellata del campo di sterminio: “Arbeit macht frei”, “Il lavoro rende liberi”. Aveva voluto una visita senza discorsi, Papa Francesco, aveva chiesto il dono delle lacrime. E così è stato. Il primo luogo dove il Pontefice ha potuto raccogliersi in preghiera è stato il piazzale dell’appello, dove i prigionieri dei nazisti venivano impiccati, a volte anche per futili motivi. Il Papa, visibilmente commosso, ha toccato e baciato una delle travi che sorreggono la struttura usata dai nazisti per le impiccagioni.

Francesco prega al muro delle fucilazioni, incontra i sopravvissuti
Quindi, è giunto all’ingresso del “Blocco 11”, dove è stato accolto dal primo ministro polacco, Beata Maria Szydlo. Francesco si è così recato nel piazzale dove venivano compiute le fucilazioni degli ebrei e degli altri prigionieri. In questo luogo, si è vissuto uno dei momenti più forti della visita: il Papa incontra dieci sopravvissuti della Shoah, tra cui una signora di 101 anni. E’ un momento contrassegnato dalla tenerezza: poche parole. A prevalere sono gli sguardi, le carezze, un abbraccio, una stretta di mano che si prolunga come a non voler lasciarsi più. Il Papa cammina lentamente verso il muro delle fucilazioni, stende le mani per toccarlo, resta immobile per alcuni istanti, poi lascia lì una candela donata dall’ultimo superstite che ha incontrato poco prima.

Il Papa in preghiera nella cella di San Massimiliano Kolbe
Ancora al Blocco 11, il Pontefice fa ingresso in un edificio dove si trova la “cella della fame”, dove gli assassini nazisti lasciavano i detenuti senza cibo fino alla morte. Qui, in questo luogo di tenebre, splende la testimonianza di San Massimiliano Kolbe, che proprio 75 anni fa, sacrificò la sua vita per salvare quella di un altro innocente destinato alla morte. Anche qui, nella cella 18 del seminterrato, Francesco resta solo, lungamente in silenzio, assorto in preghiera. Uscendo, il Papa firma sul libro d’onore e lascia questo messaggio: “Signore abbi pietà del Tuo Popolo, Signore, perdono per tanta crudeltà”. E’ l’ultimo momento della visita ad Auschwitz prima di trasferirsi in auto al lager di Birkenau, un’area immensa di 175 ettari, il più terribile strumento di morte della follia nazista.

In preghiera al monumento delle vittime di Birkenau
Qui, Francesco ha percorso a bordo di un’auto elettrica la via che costeggia i binari dei treni su cui arrivavano i treni con i deportati: uomini, donne, bambini, innocenti che poco dopo l’ingresso a Birkenau sarebbero stati condotti alla morte in una delle 4 camere a gas del lager. Accolto dagli applausi degli ospiti, circa mille persone, Francesco ha lentamente camminato davanti ad ognuna delle 23 stele commemorative del Monumento internazionale a ricordo delle vittime del nazismo. Minuti di silenzio, rotti solo dal pianto di un bambino, che ha reso ancora più toccante il momento. 23 stele, con una scritta in 23 lingue, quante erano parlate dai prigionieri:

Il toccante incontro con 25 Giusti delle Nazioni, il Salmo 130
“Per sempre lasciate che questo posto sia un grido di disperazione e un avvertimento per l’umanità, dove i nazisti uccisero circa 1,5 milioni di uomini, donne e bambini, per lo più ebrei provenienti da vari Paesi d’Europa”. Il Papa ha deposto una lampada votiva, prima di ascoltare il Salmo 130, il "De Profundis", intonato dal rabbino capo della Polonia. Un Salmo che è stato poi letto in polacco dal sacerdote di un paese della Polonia dove una famiglia cattolica fu sterminata, compresi i bambini, per avere ospitato e salvato ebrei. Dunque, l’incontro conclusivo con 25 Giusti delle Nazioni, donne e uomini che si sono opposti al male assoluto, che non si sono lasciati vincere dal male, ma hanno vinto il male con il bene.

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Papa ad Auschwitz. Di Segni: grande il gesto di Francesco

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Commozione, intensità. Sono i sentimenti con i quali gli ebrei italiani hanno vissuto i momenti di Papa Francesco nel campo di Auschwitz, immagini che hanno colpito per la forza del silenzio. Francesca Sabatinelli ha intervistato Noemi Di Segni, presente dell’Ucei, Unione delle comunità ebraiche italiane: 

R. – Per chi rappresenta il popolo ebraico, il popolo massacrato nel campo di Auschwitz-Birkenau, avere un’attenzione, un rispetto così importante da parte del Papa, che con il suo silenzio riesce a comunicare la nostra tragedia e farla diventare patrimonio di memoria che deve diventare di tutti, è il messaggio più importante di queste immagini. Da questo luogo così terrificante, così triste, così isolato sono giunte immagini di altri tempi, oggi nuove immagini danno forse fiducia che qualcuno in più riesca a ricordare, a tramandare, quello che è stato affinché non sia più. Quindi, veramente, grande passione e apprezzamento per questa forma di preghiera che il Papa ha scelto, scegliendo un linguaggio universale e forse facendo parlare chi ha vissuto o visto il terrore più terribile.

D. – Il Papa però, le sue parole forti le ha affidate al libro d’onore di Auschwitz: “Signore, abbi pietà del Tuo popolo; Signore, perdona per tanta crudeltà”…

R. – Questo gesto del Papa è ancor più grande se pensiamo che in qualche modo, paradossalmente, con lo stesso silenzio negli anni terribili della Shoah si è concorso al massacro. Allora, ecco, così come il silenzio può essere forte in un momento di preghiera, il silenzio è stato uno strumento terribile. Credo che anche oggi ognuno di noi, seguendo forse l’esempio del Papa, si debba interrogare in che modo i propri gesti e i propri silenzi aiutino o non aiutino a migliorare il mondo, a risolvere anche piccole situazioni quotidiane, senza parlare solo delle grandi tragedie…

D. – Lei di fronte a queste immagini di Papa Francesco, che sentimenti ha provato?

R. – Con estrema sincerità: a me ha fatto molta impressione nelle immagini che ho potuto condividere questa mattina quando lui è uscito dal cancello con la scritta famosa del lavoro che rende liberi. A me ha fatto molta, molta impressione perché in qualche modo ha voluto rappresentare che non tutti sono usciti da quel cancello, ma tanti sono entrati: un milione e mezzo di persone. Noi cerchiamo di tramandare quello che è successo durante la Shoah ai nostri figli, ma non è facile la didattica o il tramandare la Shoah. E non possiamo essere gli unici a farlo, la nostra voce non si deve levare solo in alcuni giorni dell’anno. Per tutti noi dev’essere un momento di riflessione, occorre riuscire veramente a trarre dal passato una grande forza per tentare il futuro anche in maniera concreta. E’ molto, molto importante che sia legato ai giovani, questo percorso che il Papa sta facendo. L’importante è che sia vissuto come un legame tra le nostre religioni, partendo dal massacro e dal forte dolore del popolo ebraico per condividerlo attraverso la forza della comunicazione e della preghiera.

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Testimone Shoah: il silenzio del Papa vince il rumore della violenza

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“Sono felicissima che un Papa argentino, con la sua straordinaria spontaneità, sia stato ad Auschwitz. Ho apprezzato molto il suo programma silenzioso in quello che è il più grande cimitero del popolo ebraico e della maggior parte della mia famiglia”: è quanto afferma ai nostri microfoni Pupa Garribba, giornalista e scrittrice, testimone della Shoah, intervistatrice della “Shoah Foundation”. L’intervista è di Fabio Colagrande

“Io credo che sia molto importante che sia avvenuto proprio in questo momento storico, in cui siamo sopraffatti dalle urla di dolore, dalla rabbia, dalla paura e dall’angoscia per il futuro. Un momento come questo, con un uomo piccolino, anziano, vestito di bianco, che affronta un viaggio così drammatico, in un luogo così carico di memorie, scegliendo di non dire delle parole, confondendole con il chiasso che ci sta veramente opprimendo, e rompendo questo muro di chiasso, di urla, di pianti, di spari, con il silenzio, io credo che proprio questo momento di silenzio sia una pietra miliare nella storia dell’Europa di questo periodo così tragico. Almeno così ho vissuto questa ora e mezza di attenzione ad un avvenimento, secondo me, opportuno, utile, in questo periodo storico così difficile”.

“Una visita ad Auschwitz è sempre dolorosa e viverla in silenzio è stato il modo più appropriato soprattutto secondo la tradizione ebraica”, afferma anche Sandro Di Castro, della Comunità ebraica di Roma, presidente del ‘Benè Berith’ in Italia. “L’Europa – osserva - deve fare oggi una riflessione su come affrontare l’emergenza terrorismo, senza cadere negli errori del passato e senza minimizzare”. “Dopo le recenti stragi in Europa i mass-media hanno parlato di gesti compiuti da folli. Ma così come per lo sterminio nazista non si possono attribuire queste violenze a dei folli, dietro c’è un piano preciso. Dobbiamo far prevalere il dialogo ma allo stesso tempo tenere molto alta l’attenzione”. “Dobbiamo soprattutto rafforzare la nostra identità - conclude Di Castro - e in questo senso Auschwitz deve essere un monito per le nuove generazioni, affinché questo non accada più. Dobbiamo recuperare la nostra identità e reagire al relativismo che ci ha fatto dimenticare le culture che hanno costruito l’Europa, come quella ebraica e quella cristiana”.

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Auschwitz. Spadaro: silenzio Papa "terapeutico" per il mondo ferito

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Lanciare un messaggio con un silenzio che si fa preghiera. Ha mantenuto fede alle sue intenzioni, Papa Francesco, nel suo lento pellegrinaggio del dolore e della memoria tra i fili spinati di Auschwitz e Birkenau. Padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, la rivista dei Gesuiti, si sofferma sul silenzio di Francesco e sulla forza universale di questa sua parola muta. L'intervista è di Alessandro Gisotti

R. – Sì: il messaggio di Papa Francesco è stato il silenzio; è stato anche un piccolo biglietto che lui ha scritto chiedendo al Signore pietà: “Signore, abbi pietà del Tuo popolo, perdona questa crudeltà”. Ha chiesto perdono per il popolo, quindi non si è lavato le mani davanti a questa responsabilità. Ha chiesto, quindi, come pastore perdono a Dio per tutto il popolo. Ma soprattutto, ha continuato ciò che Benedetto XVI aveva detto: davanti a questa tragedia lui, come Papa tedesco, aveva detto: “Mancano le parole”. Ecco: Francesco ha applicato questo, quindi ha voluto tenere tutta la sua visita in completo silenzio. Devo dire che si è creata attorno a lui e con lui un’atmosfera di grande concentrazione.

D. – Il silenzio, ma tanti gesti. Tanti gesti piccoli e grandi. Soprattutto colpiva l’incontro, la tenerezza anche qui con pochissime parole, con i dieci sopravvissuti della Shoah …

R. – Ha detto una parola a ciascuno, ha ascoltato, ha salutato ma ha anche vissuto tutti i momenti con grande lentezza, con grande concentrazione. Questo ha colpito. Cioè, non c’è stata fretta, non c’è stata formalità o ufficialità. Il suo ingresso è stato molto lento, e come se fosse stato una lunga meditazione. Ha colpito veramente tutti.

D. – Nella cella di San Massimiliano Kolbe, anche lì è rimasto intensamente in preghiera silenziosa. Un segno anche per dire che in un luogo di così indicibile terrore c’è una luce, c’è una possibilità …

R. – Un uomo che ha dato la sua vita per gli altri, quindi è stato un martire perché ha dato la vita per un’altra persona: questa è la luce, questo è il gesto che Papa Francesco ha voluto accogliere nel silenzio, vivere nel silenzio ma che è assolutamente eloquente specialmente oggi, in un momento così difficile per la storia del mondo dove vediamo accese guerre, tensioni che sembrano inestinguibili. Ecco, quel gesto di Massimiliano Kolbe, dare la vita per gli altri, è un gesto da accogliere nel silenzio, con rispetto e con la nostra generosità.

D. – Un’ultima domanda, in parte anticipata in quest’ultima riflessione: al di là del momento veramente storico, che messaggio può dare il Papa con questa visita, proprio in un contesto come questo in cui anche all’interno dell’Europa ci sono violenze anche, in qualche modo, inedite?

R. – Noi stiamo assistendo a una Giornata mondiale della gioventù che è una costruzione continua di ponti. Noi abbiamo giovani che vengono da tutte le parti del mondo e che insieme stanno abbattendo i muri delle differenze, costruendo appunto ponti tra di loro. Questo gesto che il Papa ha vissuto oggi ad Auschwitz, vissuto nel silenzio, a sua volta è in qualche modo un ponte, e costruisce un ponte che va sopra le miserie umane, la crudeltà, l’impossibilità – addirittura – di riconciliarsi. Il Papa ha detto che l’accoglienza che bisogna avere può superare anche l’inimicizia, la divisione, addirittura la crudeltà. Allora, anche questo silenzio è stato un ponte e devo dire anche che la cosa che ha colpito molto davanti al muro delle fucilazioni è stato il silenzio e il suo toccare con la mano quel muro lì. E’ esattamente lo stesso gesto che lui ha fatto a Betlemme su un muro. E’ un gesto terapeutico. E’ un gesto che vuole guarire. Il suo silenzio è stato un silenzio terapeutico e possiamo dire un silenzio davanti alle tragedie che stiamo vivendo nel mondo.

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Papa tra i bimbi malati: tenerezza verso i fragili fa crescere umanità

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Momenti commoventi durante la visita del Papa, nel pomeriggio, all’ospedale pediatrico universitario di Prokocim, a Cracovia. Si tratta del più grande ospedale pediatrico del Sud della Polonia e ogni anno cura 200mila bambini. E’ all’avanguardia, in particolare, nella separazione dei gemelli siamesi, nel trattamento delle ustioni e degli scompensi cardiaci. Giovanni Paolo II lo ha visitato nel 1991. Il servizio di Sergio Centofanti:

Ad accogliere il Papa è stato il premier polacco, la signora Beata Szydło, e una cinquantina di piccoli malati con i loro genitori. Il Papa li ha salutati uno per uno, li ha accarezzati, ha ricevuto in dono qualche disegno, poi si è recato nel reparto emergenze per visitare altri bimbi. “Vorrei poter stare un po’ vicino ad ogni bambino malato, accanto al suo letto – ha detto Francesco - abbracciarli ad uno ad uno,  ascoltare anche solo un momento ciascuno di voi e insieme fare silenzio di fronte alle domande per le quali non ci sono risposte immediate. E pregare”. Gesù – ricorda – sempre si accorge dei malati, “li guarda come una madre guarda il figlio che non sta bene, e sente muoversi dentro di sé la compassione”:

“Quanto vorrei che, come cristiani, fossimo capaci di stare accanto ai malati alla maniera di Gesù, con il silenzio, con una carezza, con la preghiera. La nostra società è purtroppo inquinata dalla cultura dello ‘scarto’, che è il contrario della cultura dell’accoglienza. E le vittime della cultura dello scarto sono proprio le persone più deboli, più fragili; e questa è una crudeltà”.

“Segno della vera civiltà, umana e cristiana”, è invece “mettere al centro dell’attenzione sociale e politica le persone più svantaggiate”. Ma “a volte - aggiunge - le famiglie si trovano sole nel farsi carico di loro. Che cosa fare?”:

“Da questo luogo in cui si vede l’amore concreto, vorrei dire: moltiplichiamo le opere della cultura dell’accoglienza, opere animate dall’amore cristiano, amore a Gesù crocifisso, alla carne di Cristo. Servire con amore e tenerezza le persone che hanno bisogno di aiuto ci fa crescere tutti in umanità; e ci apre il passaggio alla vita eterna: chi compie opere di misericordia, non ha paura della morte”.

Infine, il Papa incoraggia tutti coloro che hanno fatto dell’invito evangelico a “visitare gli infermi” una personale scelta di vita: medici, infermieri, tutti gli operatori sanitari, come pure i cappellani e i volontari:

“Il Signore vi aiuti a compiere bene il vostro lavoro, in questo come in ogni altro ospedale del mondo. Non vorrei dimenticare, qui, il lavoro delle suore - tante suore! -  che spendono la vita negli ospedali. Che il Signore vi ricompensi donandovi pace interiore e un cuore sempre capace di tenerezza”.

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Francesco ai giovani: lanciatevi nell’avventura della misericordia

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Abbiate un cuore misericordioso, lanciatevi nell’avventura della Misericordia, la Chiesa vuole imparare da voi. Sono alcuni dei passaggi chiave del discorso che Papa Francesco ha rivolto ai giovani di tutto il mondo, riuniti al parco Blonia di Cracovia, per la cerimonia di accoglienza della 31.ma Gmg, sul tema “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia”. Nonostante il cattivo tempo, l’evento è stato contraddistinto dalla gioia e dall’entusiasmo dei giovani, oltre 500 mila. Il Pontefice ha messo in guardia i giovani dai venditori di false illusioni e li ha esortati a far entrare Gesù nel loro cuore per alzare lo sguardo e sognare alto. L’intervento del Papa è stato preceduto dal saluto del cardinale Stanilsaw Dziwisz e dall’animazione dei giovani. Il servizio dell’inviato a Cracovia, Alessandro Gisotti: 

“Finalmente ci incontriamo!”. Papa Francesco ha esordito, così, nella cerimonia d’accoglienza al Parco Blonia di Cracovia: tre semplici parole per sintetizzare i sentimenti di attesa per una Gmg dal sapore “speciale”, perché avviene nel Giubileo della Misericordia e perché si svolge nella terra di San Giovanni Paolo II che, come ha ricordato Francesco, le Gmg le ha prima sognate e poi ha dato loro vita. Prima dell’evento, il Papa ha ricevuto le chiavi della città dal sindaco quindi è arrivato al grande parco a bordo di un tram ecologico, assieme a 15 giovani disabili, accompagnato lungo la strada da applausi e cori festosi.

L’animazione dei giovani che ha preceduto il discorso del Papa, con canti e danze dei diversi Paesi di provenienza dei ragazzi, è stata incentrata sulla santità, su alcuni grandi testimoni della misericordia dei cinque continenti, da Madre Teresa di Calcutta a San Vincenzo de’ Paoli. Donne e uomini che hanno seguito Gesù e così sono diventati strumenti della Misericordia di Dio.

Un cuore misericordioso si apre a chi soffre, a poveri e migranti
Proprio sul tema della Gmg, “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” si è incentrato il discorso che Francesco ha rivolto ai giovani. La misericordia, ha detto, “ha il volto sempre giovane”, perché un cuore misericordioso “ha il coraggio di lasciare le comodità” e “abbracciare tutti”.

“Un cuore misericordioso sa essere un rifugio per chi non ha mai avuto una casa o l’ha perduta, sa creare un ambiente di casa e di famiglia per chi ha dovuto emigrare, è capace di tenerezza e di compassione. Un cuore misericordioso sa condividere il pane con chi ha fame, un cuore misericordioso si apre per ricevere il profugo e il migrante. Dire misericordia insieme a voi, è dire opportunità, è dire domani, impegno, fiducia, apertura, ospitalità, compassione, sogni”.

La Chiesa vuole imparare dai giovani, dal loro entusiasmo
Francesco ha quindi confidato che, negli anni vissuti da vescovo, ha imparato che non c’è nulla di più bello che “contemplare i desideri, l’impegno, la passione e l’energia” dei giovani. Ed ha osservato che “quando Gesù tocca il cuore” dei ragazzi, “questi sono capaci di azioni veramente grandiose”:

“E’ un dono del cielo poter vedere molti di voi che, con i vostri interrogativi, cercate di fare in modo che le cose siano diverse. E’ bello e mi conforta il cuore, vedervi così esuberanti. La Chiesa oggi vi guarda – direi di più – il mondo oggi vi guarda e vuole imparare da voi, per rinnovare la sua fiducia nella Misericordia del Padre che ha il volto sempre giovane e non smette di invitarci a far parte del suo Regno, che è un Regno di gioia, è un Regno sempre di felicità, è un Regno che sempre ci porta avanti, è un Regno capace di darci la forza di cambiare le cose”.

I giovani, ha ripreso il Papa, dialogando con loro hanno la forza di “opporsi” a quelli che non vogliono cambiare, i “quietisti”. Francesco ha quindi messo in guardia dal diventare “giovani che sembrano pensionati prima del tempo”. Mi preoccupa, ha detto, “vedere giovani che hanno gettato la spugna prima di iniziare la partita”:

I giovani non corrano dietro ai venditori di false illusioni
Al tempo stesso, ha rilevato, ci sono “giovani che lasciano la vita alla ricerca della vertigine” e “poi finiscono” per “pagare caro”:

“Fa pensare quando vedi giovani che perdono gli anni belli della loro vita e le loro energie correndo dietro a venditori di false illusioni e ce ne sono! Venditori di false illusioni (nella mia terra natale diremmo 'venditori di fumo') che vi rubano il meglio di voi stessi ... e questo mi addolora”.

Per questo, ha detto, “ci siamo riuniti per aiutarci a vicenda, perché non vogliamo lasciarci rubare il meglio di noi stessi, non vogliamo permettere che ci rubino le energie, la gioia, i sogni con false illusioni”. L’unica risposta alle domande esistenziali, ha detto il Papa, “non è una cosa, non è un oggetto, è una persona ed è viva, si chiama Gesù Cristo”:

"Vi domando: Gesù Cristo si può comprare? [No!] Gesù Cristo si vende nei negozi? Gesù Cristo è un dono, è un regalo del Padre, il dono del nostro Padre. Chi è Gesù Cristo? Tutti! Gesù Cristo è un dono! Tutti! [Gesù Cristo è un dono!] E’ il regalo del Padre".

E’ Lui, ha detto Francesco, che “ci porta a non accontentarci di poco e a dare il meglio di noi stessi”, “ci spinge ad alzare lo sguardo e sognare alto”. La mano di Gesù, ha soggiunto, “sempre è tesa per alzarci, quando noi cadiamo”.

Lanciatevi nell’avventura della misericordia, costruite ponti non muri
Quindi ha tracciato una parallelo tra la visita di Gesù nella casa di Marta e Maria di Betania e la vita dei giovani:

“In questi giorni della Gmg, Gesù vuole entrare nella nostra casa; vedrà le nostre preoccupazioni, il nostro andare di corsa, come ha fatto con Marta... e aspetterà che lo ascoltiamo come Maria: che, in mezzo tutte le faccende, abbiamo il coraggio di affidarci a Lui. Che siano giorni per Gesù, dedicati ad ascoltarci, a riceverlo in quelli con cui condivido la casa, la strada, il gruppo o la scuola”.

Il Papa ha infine incoraggiato i giovani a “lanciarsi nell’avventura della misericordia”, “nell’avventura di costruire ponti e abbattere muri”, “nell’avventura di soccorrere il povero, chi si sente solo e abbandonato, chi non trova più un senso per la sua vita”:

“Eccoci, Signore! Mandaci a condividere il tuo Amore Misericordioso. Vogliamo accoglierti in questa Giornata Mondiale della Gioventù, vogliamo affermare che la vita è piena quando la si vive a partire dalla misericordia, che questa è la parte migliore, è la parte più dolce, è la parte che mai ci sarà tolta”.

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Gmg. I giovani: vogliamo trasmettere la speranza che abbiamo

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Grande l’entusiasmo che ha attraversato il mezzo milione e più di giovani radunati nel parco di Blonia per accogliere e acoltare Papa Francesco. Fra loro, Marina Tomarro ha raccolto una carrellata di impressioni: 

D. – Da dove venite?

R. – Da Pistoia.

D. – Il Papa ha detto che voi siete il volto giovane della misericordia. Che cosa vuol dire? 

R. – Io penso che voglia dire che la speranza sta in noi; e qui si sente bene proprio questo clima di speranza, di gioia e di grande entusiasmo.

D. – Cosa vuol dire avere un cuore misericordioso?

R. – Secondo me, avere un cuore misericordioso non vuol dire semplicemente amare, ma vuol dire sapere accogliere le differenze, vuol dire sapere portare pazienza quando qualcosa non va come noi vorremmo, essere sempre pronti per chi ci sta accanto, che sia un portatore di handicap, un immigrato, ma anche un proprio familiare.

R. - Vuol dire che dobbiamo essere un passaggio verso le generazioni future, dobbiamo comunque riuscire a trasmettere quello che abbiamo imparato da questa esperienza, anche alle persone che non sono venute con noi e che sono a casa.

R. - Io penso che noi giovani possiamo, in questo mondo attualmente pieno di guerre e di conflitti, cercare di perdonare gli errori degli altri e cercare di essere più misericordiosi e trovare una soluzione per garantire più pace in questo mondo.

R. - Penso che la misericordia per noi voglia dire che alla fine il Signore ha pensato a qualcosa di bello, di speciale, unico per ognuno di noi e che anche se noi cadiamo, lui ogni volta ci dà sempre una nuova possibilità di rialzarci e nonostante tutto ci dice: "Venite; tenetemi per mano, cari giovani, perché ho qualcosa di bello per voi".

D. - Il Papa vi ha chiesto anche di trovare un maggior tempo per la preghiera; allora, come si fa a trovare più tempo, come Marta e Maria?

R. - Concretamente, organizzare meglio le nostre giornate. La Chiesa ci offre tante possibilità anche per pregare; penso soprattutto all'Eucaristia quotidiana ... mezz'ora, che ci cambia la vita? A me ha cambiato la vita ...

D. - Invece, quanto è bello per voi condividere questo momento con coetanei di tutto il mondo?

R. - E' sicuramente bellissimo; ci fa capire, ci fa soprattutto coraggio. Perché vedere che c'è mezzo milione di persone, un milione di persone che la pensa come noi o che comunque prova a pensare, che riflette su cosa sia la vita e cerchi di darsi una risposta è bello e ci fa capire che i giovani, comunque, ci pensano. Non siamo totalmente indifferenti a quello che ci succede intorno. Ci interroghiamo, cerchiamo di darci delle risposte ...

R. - Vedere tutta questa gente che nonostante la pioggia, nonostante tutto, viene e partecipa ... è veramente fantastico trovare tutta questa gente unita da questi ideali?

D. - E' la vostra prima Gmg?

R. - Sì ...

D. - Cosa vi aspettate?

R. - Giorni stupendi, sorrisi sempre ...

R. - Le persone sono fantastiche, qui ... Sono tutte accoglienti: portano il volto della misericordia, veramente!

D.- Cosa vuol dire per voi condividere qeusto momento con tanti coetanei della vostra età?

R. - E' un'esperienza unica: serve a tutti ed è una cosa che secondo me rimarrà dentro: me la porterò per la vita!

R. - (in coro): Ciao, Papa Francesco, ti aspettiamo a Saluzzo!

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Il saluto del Papa dall'arcivescovado: tre parole salvano le famiglie

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In serata, Papa Francesco, come ieri si è affacciato dalla finestra dell’arcivescovado di Cracovia per salutare i tanti giovani radunati sul piazzale antistante. Francesca Sabatinelli

“Mi dicono che molti di voi capiscono il castigliano, parlerò in castigliano”: ed è così che il Papa si rivolge ai giovani che hanno atteso che si affacciasse. Francesco parla a un gruppo di sposi novelli e di giovani sposi, e li elogia per il “coraggio” del loro gesto:

"Yo cuando encuentro a uno que se casa, a un joven que se casa…
Io – dice loro Francesco - quando incontro qualcuno che si sposa, un giovane che si sposa, gli dico: 'Questi sono quelli che hanno coraggio!'. Perché non è facile formare una famiglia, non è facile impegnare la vita per sempre, bisogna avere coraggio. E mi congratulo, perché voi avete coraggio".

Francesco poi suggerisce tre parole a chi lo ascolta come “fare perché la famiglia vada sempre avanti e superi le difficoltà”. Tre parole che – spiega ancora – esprimono tre atteggiamenti:

"El matrimonio es algo tan lindo, tan  hermoso que…
Il matrimonio è qualcosa di tanto  bello, tanto splendido – continua – che dobbiamo averne cura, perché è per sempre. E le tre parole sono: permesso, grazie, scusa".

Il permesso, come quello di poter fare qualcosa, è quello che i coniugi devono chiedere per non calpestarsi, il grazie è quello che marito e moglie devono dirsi, ringraziarsi a vicenda “perché – dice il Papa – il Sacramento del matrimonio viene conferito dai due sposi, l’uno all’altro e perché questa relazione sacramentale si mantiene con questo sentimento di gratitudine: “Grazie”.

La terza parola è: “scusa”.  E' una parola molto difficile da pronunciare dice il Papa. Nel matrimonio c’è sempre qualche incomprensione, bisogna sapere riconoscerla e chiedere scusa perché chiedere perdono, prosegue Francesco, fa molto bene.

Il Papa parla alle giovani famiglie, agli sposi novelli e a chi sta per sposarsi e chiede loro di ricordare le parole che aiutano la vita matrimoniale: permesso, grazie, scusa. Nel matrimonio ci sono sempre problemi o discussioni, si alza la voce, si litiga, a volte volano i piatti. Non bisogna spaventarsi, dice ancora, e poi da un consiglio:

"Nunca terminen el dia sin hacer la paz…
Non si deve terminare il giorno senza fare pace perché la guerra fredda il giorno seguente è molto pericolosa".

Per fare la pace non occorrono discorsi, basta un gesto, e la pace è fatta. Perché quando c’è amore – è la sua conclusione – un gesto sistema tutto.

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Padre Lombardi: oggi il Papa incontra il mistero del dolore

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Il direttore della Sala stampa vaticana, Padre Federico Lombardi, al microfono di Alessandro Gisotti ripercorre la giornata di ieri del Papa a Jasna Gora e a Cracovia e commenta gli eventi di oggi: una giornata che è un incontro - ha detto - con il dolore e la sofferenza nei suoi diversi aspetti: 

D. - Padre Lombardi, nella cerimonia di accoglienza dei giovani con Papa Francesco - che, ancora una volta, ha mostrato come abbia il desiderio del dialogo con i giovani - si è spesso distaccato dal testo per dialogare, porre delle domande ai giovani. Che impressione ha avuto da questa cerimonia lungamente attesa anche dai giovani polacchi?

R. - Direi che era attesa anche dal Papa, perché sono mesi oramai che si prepara per questo viaggio e per l’incontro con i giovani. Ci sono altre dimensioni importantissime di questo viaggio. Quella che abbiamo vissuto ieri pomeriggio e questa mattina per il Battesimo della Polonia e la visita ai campi di concentramento di Auschwitz. Però devo dire che anche questi altri momenti si inseriscono in un discorso più ampio se, in particolare, consideriamo anche il momento storico che stiamo vivendo. Per cui tutto quello che viviamo in questi giorni ha un significato di contributo per la pace, per il dialogo fra i popoli di tutto il mondo. Oggi (ieri - ndr) abbiamo visto 178 bandiere di Paesi differenti sfilare davanti al Papa, portate dai giovani di tutti questi Paesi che sono qui presenti. Questo è già di per sé un grande messaggio: stare insieme, stare insieme per dei grandi valori, per annunciare la misericordia, per annunciare la gioia di costruire un mondo nuovo, “di impegnarsi per far cambiare le cose”- come diceva il Papa nella sua Omelia , farle cambiare in meglio, farle cambiare nella linea del servizio della solidarietà e dell’amore. Nei giorni in cui viviamo, abbiamo un bisogno estremo di questo messaggio. I giovani della Giornata Mondiale della Gioventù, guidati dal Papa con il suo entusiasmo con la sua capacità di coinvolgerli, sono veramente protagonisti di questo servizio di speranza per il mondo, il mondo che è quello che conosciamo. La meditazione che faremo domani (oggi - ndr) in silenzio e pregando e piangendo con il Papa nel campo di concentramento di Auschwitz è terribile, ma ci fa pensare non solo al passato, ci fa pensare a tutto quello che può essere la presenza del male nel mondo oggi e anche domani. Quindi, è un monito straordinario, un monito fortissimo a cui anche gli ulteriori passi che vivremo insieme con il Papa nella Via Crucis di domani sera (stasera - ndr) e l’Eucarestia che ci proietta verso una nuova missione, saranno certamente elementi di una grande risposta corale che qui cerchiamo di dare con l’aiuto del Signore per il mondo che ne ha un bisogno estremo.

D. - Stamattina (ieri mattina - ndr) la grande Messa per il 1050.mo Battesimo della chiesa polacca. È ritornata in qualche modo la memoria buona a cui faceva riferimento il Santo Padre nel primo discorso al Castello di Wawel. Anche qui colpiva l’intensità del Papa nel guardare la Madonna Nera con il segno anche delle sofferenze di questo popolo polacco che le ha sempre superate con la fede…

R. - È vero. Come sappiamo è la prima volta che il Papa viene in Polonia ed è la prima volta che ci si prostra davanti all’immagine della Madonna di Czestochowa. Sono momenti di grandissima esperienza spirituale. Ricordo anche per me, la prima volta che ho visto lo svelamento di questa immagine - ero insieme a Giovanni Paolo II in uno dei suoi viaggi - fu un momento di emozione straordinaria, perché senti veramente come questa Vergine è la Madre di questo popolo, come lo ha accompagnato e lo ha sostenuto in tutte le sue vicende, lo ha aiutato a continuare a sperare anche nelle difficoltà più grandi ed è sentita come la via principale attraverso cui arrivare a Cristo e trovare quindi il senso della fede, della speranza, della carità cristiana. Quindi, certamente, vivere il Battesimo della Polonia che è l’incontro con Cristo, e viverlo sotto gli occhi della madre che ci ha dato Cristo, era assolutamente fondamentale per Papa Francesco qui a Czestochowa.

D. - Anche oggi alcuni piccoli gesti che però contengono grandi messaggi: ieri il ricordo commosso di questo volontario che è morto e che non ha potuto vivere la Gmg che tanto desiderava, oggi questo stare sul tram che lo portava al parco di Błonia con dei giovani disabili che chiaramente da soli non sarebbero potuti andare alla Gmg; avevano bisogno di accompagnatori. Anche qui si vede fortemente questo senso dell’essere non solo con le parole ma anche con i gesti vicini ai più deboli, alle periferie, ai bisognosi …

R. - Certo. Oggi oltre a questo gesto che hai ricordato dei disabili sul tram verso Błonia, c’è stata anche la visita al cardinale  Macharski, questa mattina (ieri - ndr), una persona proprio sulla soglia dell’incontro con Dio, un grande pastore che si sta per incontrare con il Signore. Il Papa ieri sera ha ricordato ai vescovi il dovere delle opere di misericordia spirituale, corporale, visitare gli ammalati e visitare una persona come questo grande pastore che ha dedicato la sua vita per la diocesi di Cracovia e per la Chiesa in Polonia ed essergli vicino nel momento del passaggio. Questo è stato molto bello, molto efficace. Quando a Roma ci sono dei cardinali malati il Papa normalmente va a trovarli nelle cliniche o a casa loro. Anche qui è andato a trovare il cardinale Macharski. Mi sembra molto significativo, molto caratteristico della spontaneità e della rapidità della decisione con cui egli mette in pratica queste esigenze fondamentali della carità cristiana. Anche questo viaggio in tram con gli handicappati è stato molto emozionante. Io gli sono stato vicino, come sempre quando incontra gli handicappati, i sofferenti. Ha una capacità di prossimità, di tenerezza, di vicinanza a loro e ai parenti, ai cari che li stanno accompagnando che è di grandissimo conforto. Quindi, l’arrivo all’incontro con tutti i giovani, insieme ad alcuni giovani sofferenti, è stato certamente un segno molto bello, molto significativo: si vede come si vive la misericordia concretamente, quotidianamente in tanti aspetti concreti di ogni momento.

D. - Le chiedo un’ultima riflessione guardando al venerdì di questo viaggio. È un giorno dedicato in particolare al dolore alla sofferenza. Ovviamente la visita ad Auschwitz, ma poi anche la visita ad un ospedale pediatrico, quindi a bambini che soffrono, e poi la Via Crucis la sera. Questa dimensione sarà presente molto fortemente domani …

R. - Infatti anche io riflettendo sul programma di domani (oggi - ndr) mi sono detto: “Ma guarda, proprio il giorno dell’incontro con il dolore nei suoi diversi aspetti”: alla mattina nei campi di Auschwitz, il dolore provocato dall’odio, dall’assurdità omicida più terribile che ci sia stata nella storia dell’umanità o che ci possa essere e sulla quale è necessario fare una grande meditazione sul mistero del male che il Papa vuole comprensibilmente fare in silenzio e piangendo. La compassione per tutto questo a cui non si danno facili risposte evidentemente. Allo stesso tempo, poi nel continuare della giornata l’incontro con un altro tipo di sofferenza, quella con i bambini malati, con i bambini innocenti che soffrono… Anche questo è un grande mistero. E trovare il senso di questa sofferenza per loro e per le persone che vogliono loro bene non è facile. In questo senso credo che la Via Crucis della sera sulle opere di misericordia corporale e spirituale ci metta di fronte esplicitamente al Mistero della Croce di Cristo per chiedere a lui che soffre di aiutarci a far fronte alle sofferenze del mondo che vengono per tante cause diverse. Nella Via Crucis queste sofferenze sono tutte un po’ evocate e riassunte. Mi sembra sia una giornata estremamente centrale, tanto più nel momento che stiamo vivendo in cui le preoccupazioni, le sofferenze, gli attentati, le morti e i conflitti ci sono attorno continuamente, fanno parte del nostro orizzonte quotidiano, della nostra esperienza quotidiana. Allora, vivere meditando con il Papa e accompagnandolo su queste strade di confronto con il dolore più assurdo provocato dall’odio più pazzo e più folle, come quello della visita della mattina, e il dolore che invece ha altre cause, ma per noi comunque misteriose nel pomeriggio, e la risposta nella fede, e chiedere che Dio ci aiuti a rispondere nella fede contemplandolo e accompagnandolo sulla via della Croce: mi sembra che sia una grande giornata.

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Gmg, confessionali a cielo aperto, la testimonianza di un sacerdote

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A Cracovia sono tantissimi i confessionali a cielo aperto per i giovani. Padre Doris Howell, giovane sacerdote della diocesi di Southwark vicino Londra, è uno dei sacerdoti impegnati a confessare i ragazzi della Gmg. Ascoltiamo la sua testimonianza al microfono del nostro inviato Alessandro Gisotti

R. – Penso che questo sia il cuore della Gmg, questo è il centro di tutta la conversione spirituale di tutti i giovani. E’ in questo momento che Gesù veramente fa qualcosa nelle loro anime, specialmente in quest’Anno della Misericordia.

D. – I giovani vengono al confessionale?

R. – Sì ed è molto sorprendente la profondità della vita spirituale di alcuni di questi giovani, la sincerità delle loro confessioni: loro hanno sete di confessarsi … Se c’è la disponibilità dei sacerdoti, vogliono venire sempre …

D. – Oltre alle confessioni, vediamo spesso giovani che pregano … Quindi, c’è il momento della festa, chiaramente, nelle Gmg, ma c’è anche il momento di preghiera, di intensità spirituale. Questo ha un significato molto forte nella terra di Giovanni Paolo II …

R. – Sì, perché lui una volta ha detto che nessuno avrebbe potuto capirlo senza conoscere la sua vita di preghiera: questo è il segreto, il fondamento di tutto.

D. – Cosa rappresentano per lei le Gmg? Che cosa hanno rappresentato anche prima che diventasse sacerdote, che sentisse la vocazione?

R. – Per me la Gmg è un momento in cui ognuno può pensare alla propria vocazione e per me è stato un grande aiuto, mentre riflettevo sulla vocazione sacerdotale. Anche il momento di vedere la comunità dei giovani: qui si vede chiaramente che ci sono tanti giovani fedeli e c’è un sostegno reciproco che può essere una spinta a una vita spirituale più profonda.

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P. Bart: Gmg della Misericordia porterà vocazioni sacerdotali

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Il passaggio della Porta Santa del Santuario della Divina Misericordia a Cracovia e il rito della Riconciliazione di alcuni giovani: due momenti forti della visita del Papa a Cracovia in occasione della Gmg, nel segno di Karol Wojtyla e Santa Faustina Kowalska. Alessandro Gisotti ne ha parlato con mons. Jozef Bart, rettore di Santo Spirito in Sassia, Santuario della Divina Misericordia di Roma: 

R. – Papa Francesco porta questi giovani proprio nella “capitale del culto della Divina Misericordia”: Cracovia è stata definita così da Giovanni Paolo II. Davvero non è un caso che questo avvenga proprio nell’Anno Santo della Misericordia. E’ una grazia!

D. – Papa Francesco e Giovanni Paolo II sono legati strettamente dalla misericordia…

R. – C’è uno stretto legame, fortissimo, tra Papa Francesco e Giovanni Paolo II. Papa Francesco stesso ha detto a noi sacerdoti romani che è Giovanni Paolo II che ha intuito, proprio durante il suo Pontificato, questo tempo della misericordia, questo bisogno della misericordia da parte dell’uomo. Questa intuizione poi ha avuto il suo momento solenne, forte, proprio il 17 agosto 2002, nell’ultimo viaggio apostolico di Giovanni Paolo II a Cracovia, quando ha consacrato l’umanità alla Divina Misericordia. E’ un testamento anche, un’eredità, che ha consegnato a noi, affinché tutta l’umanità sperimenti questa misericordia. Bene, Papa Francesco ha risposto a questa intuizione, a questa eredità, attraverso l’indizione dell’Anno Santo della Misericordia.

D. – Santa Faustina Kowalska, l’Apostola della misericordia, questa figura così grande, cosa può dare ai giovani di oggi?

R. – Santa Faustina ha ricevuto il messaggio per tutti. Gesù le ha detto: “Io ti mando a tutta l’umanità”. Questa volta la manda proprio a questi giovani. Allora, in questo tempo, suor Faustina a questi ragazzi, che potrebbero a volte sembrare smarriti, abbandonati, a questi giovani, offre questo bel messaggio di fiducia: “Gesù confido in te”. Ecco, non molte parole: una consegna della vita, avere coraggio, umiltà, fiducia di consegnare la vita in questa età così importante per tutti – per loro, per la Chiesa, per il mondo – a Gesù, alla sua infinita misericordia, che è un miracolo continuo.

D. – Una Gmg nel Giubileo della Misericordia è davvero una festa doppia. Quali frutti si possono sperare…

R. – Siamo in un tempo in cui veramente la Chiesa ha bisogno di nuove sante vocazioni! C’è una grandissima mancanza, e lo sappiamo, perché questo mondo cambia. Da questo Anno Santo della Misericordia devono nascere nuovi apostoli della Divina Misericordia. I primi apostoli di questa misericordia sono i sacerdoti, sono religiosi. E io sono certo e sicuro, e preghiamo per questo, che uno dei frutti proprio di questo incontro, di questi giovani di tutto il mondo, con Papa Francesco, con San Giovanni Paolo II, con Santa Faustina, questa grande Santa dei nostri tempi, con la Divina Misericordia, sarà quello di donare generosamente la vita al servizio della Chiesa.

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Papa a giovani cubani: amore non distrugge nemici, costruisce sempre

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L’amore costruisce sempre, non distrugge neanche i nemici, questo è il Vangelo che trasforma il mondo: è quanto ha detto il Papa in un videomessaggio ai giovani cubani riuniti all'Avana per una Giornata mondiale della gioventù organizzata in coincidenza con quella di Cracovia per quanti non sono potuti andare in Polonia per motivi economici. Il servizio di Sergio Centofanti: 

“All’Avana con il cuore a Cracovia”. Tanti i giovani che partecipano alla speciale Gmg cubana con il ricordo ancora vivo del viaggio di Francesco nell'isola caraibica nel settembre dell'anno scorso. Il Papa li invita a lasciarsi trasformare dal Vangelo per “costruire ponti” e promuovere la “cultura dell’incontro, la cultura del rispetto, la cultura della comprensione e del perdono reciproco. Questo - afferma - è ‘fare chiasso’; questo è sognare. E i giovani devono fare chiasso”:

“Jóvenes cubanos: ¡Ábranse a cosas grandes!
Giovani cubani: apritevi a cose grandi! Non abbiate paura, non siate schizzinosi. Sognate che il mondo, con voi, può essere diverso! Sognate che Cuba, con voi, può essere diversa ed ogni giorno migliore! Non arrendetevi! In questo impegno è importante, è necessario aprire il cuore e la mente alla speranza che dà Gesù”.

La vita è concreta – spiega il Papa – “non sono sogni”: o “la prendi come viene, concreta, o fallisci”. Ma “nella concretezza della vita” non bisogna perdere la “capacità di sognare”, cioè di andare avanti, senza restare chiusi in se stessi: un giovane che non sogna “è già in pensione”. Chi punta in alto, invece, si lascia contagiare dall’amore di Gesù:

“Enférmense, enférmense de amor …
Ammalatevi, ammalatevi di amore, così imparerete a guardare sempre gli altri con misericordia, con vicinanza, con tenerezza, soprattutto chi soffre e chi ha bisogno di aiuto”.

Solo in Gesù – ripete il Papa – è possibile trovare la forza per vivere il progetto di felicità più bello e costruttivo della vita, l’amore:

“El amor es constructivo, el amor no destruye ni al enemigo...
L’amore è costruttivo, l’amore non distrugge neanche il nemico, l’amore sempre costruisce”.

Chi ama - afferma – sa cosa è la croce: è un amore che non ha paura di entrare nella sofferenza perché è sicuro che Dio è fedele:

“Chicos y chicas, no le tengan miedo a nada...
Ragazzi e ragazze, non abbiate paura di nulla, siate liberi dalle catene di questo mondo e annunciate a tutti, agli ammalati, agli anziani, ai tristi, che la Chiesa sta piangendo insieme a loro, e che Gesù è capace di dare loro nuova vita, di resuscitarli”.

Siate “portatori di speranza” – esorta ancora Papa Francesco – quella speranza che riunisce anche persone diverse, perché “non è necessario che tutti la pensino uguale”: “L’importante, uguali e diversi, è costruire ‘l’amicizia sociale’ con tutti; costruire ponti, lavorare tutti insieme”:

“Muchachos y muchachas, reunidos en La Habana...
Ragazzi e ragazzi, riuniti all’Avana ma con il cuore a Cracovia: non disgregatevi! Camminate insieme! Costruite ponti sempre con la mano tesa!”.

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Rinunce e nomine episcopali in Irlanda

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In Irlanda, Papa Francesco ha nominato Vescovo di Killaloe il sacerdote Fintan Monahan, del clero dell’arcidiocesi di Tuam, finora segretario diocesano. Il neo presule è nato a Tullamore, nella Contea di Offaly, il 23 gennaio 1967. Dopo aver frequentato le scuole secondarie a Carraroe, entrò nel seminario nazionale di Maynooth per prepararsi al sacerdozio. Lì ottenne la Licenza in Teologia. Successivamente conseguì anche il Diploma di Educazione Superiore presso l’Università di Galway nel 1993. E' stato ordinato sacerdote il 16 giugno 1991 per l’arcidiocesi di Tuam. Dopo i primi due anni trascorsi come Vice-Parroco presso la parrocchia di An Tulach, Baile na hAbhann, è entrato nel team degli educatori del St. Jarlath’s College di Tuam, con il ruolo di insegnante e poi di Cappellano. Nel 2006, a tale incarico, si è aggiunto quello di Assistente del Segretario Diocesano subentrando poi, l’anno successivo, nel medesimo ruolo. E’ poi diventato anche Segretario della Commissione diocesana per le finanze, Direttore della pastorale vocazionale e Responsabile della Protezione per i Minori nell’arcidiocesi.

Sempre in Irlanda, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Ossory (Irlanda), presentata da mons. Séamus Freeman, dei Padri Pallottini, in conformità al canone 401- par.2 del Codice di Diritto Canonico.

Ancora in Irlanda, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Galway and Kilmacduagh, presentata da mons. Martin Drennan, in conformità al canone 401 – par. 2 del Codice di Diritto Canonico.

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Oggi in Primo Piano



Attentato Rouen: i musulmani invitati ad andare nelle chiese domenica

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Giornata di raccoglimento in Francia dopo l’attentato di Rouen, in cui due uomini legati al sedicente Stato Islamico hanno ucciso in chiesa l’86.enne padre Hamal. La conferenza episcopale francese ha invitato tutti i cattolici ad osservare una giornata di digiuno e preghiera per la pace, dopo che ieri 3.500 persone avevano reso omaggio al sacerdote nell’impianto sportivo di Saint-Etienne-du-Rouvray. Intanto il Consiglio francese del culto musulmano ha invitato i fedeli  islamici ad andare a Messa questa domenica, in segno di solidarietà e compassione con i fratelli cristiani. Sul significato di questo gesto Michele Raviart ha intervistato Omar Camilletti della Grande Moschea di Roma: 

R. – Tutti i musulmani che ho incontrato sono sdegnati e inorriditi dal fatto che si possa uccidere un uomo di Dio in uno spazio sacro. Questo ci rimanda ai peggiori orrori che abbiamo vissuto in passato, no? Non esiste per un buon musulmano un’azione del genere. Ci sentiamo veramente vicino ai cristiani, ai cattolici. Le parole del Papa poi risuonano nelle menti dei musulmani molto, molto positive. Quindi non bisogna assolutamente – perché questo sarebbe l’obiettivo del terrorismo – avvalorare in ogni scintilla una guerra di religione. Questa non è una guerra di religioni: è la guerra alle religioni.

D. - Che significato ha l'invito fatto ai musulmani di andare in Chiesa domenica?

R. - Il gesto è di alto valore simbolico, però si dovrebbe unire ad un’azione  di vera conoscenza reciproca. Penso che bisogna andare oltre questo. Faccio un esempio: qui alla moschea riceviamo circa 30 mila visitatori l’anno. Quest’anno il numero è sensibilmente diminuito, forse la metà. Sono scuole di tutta Italia, tutta Europa, … Penso che una vera azione sarebbe quella di portare dei ragazzi musulmani, dei fedeli musulmani, in visita alle chiese tutto l’anno, non solo questa domenica, perché – qui lo vedo – molti ragazzi, molte ragazze ignorano il fatto che questo Paese abbia migliaia di chiese e che l’identità cristiana sia comunque l’identità religiosa della maggioranza del Paese. Quindi bisogna favorire ogni proposizione di incontro.

D. - Una delle cose che viene ribadita più volte è quella della presa di distanza del cosiddetto islam moderato. È corretto ragionare in questo senso?

R. – L’islam moderato ormai è un’etichetta massmediatica, però per noi è islam; l’islam è questo. Il resto non è islam. Ripeto le parole di Papa Francesco, sono altre dimensioni, anche psicopatologiche che si sono riversate in una dimensione che è fondamentalmente spirituale. In quest’ultimo periodo siamo veramente senza parole. Rimaniamo sbigottiti, anche ansiosi, perché ogni mattina c’è un altro attentato.

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Germania. Merkel: la paura non cambia politica sui migranti

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Nonostante la “settimana nera” di attentati in Germania, la politica di Berlino in materia di immigrazione non cambierà. Queste le parole di Angela Merkel, che ha aggiunto: “Il nostro Paese resta fedele ai suoi principi e darà rifugio a chi lo merita”. Berlino negli ultimi mesi ha aperto le porte a oltre un milione di rifugiati, investendo quasi 10 miliardi di euro per la loro integrazione. Per un commento sulle parole della cancelliera tedesca e la sua politica sui migranti, Roberta Barbi ha intervistato l’analista dell’Ispi, Matteo Villa: 

R. - La Mekel è confortata dai sondaggi perché per la prima volta resta in alto, nonostante gli attentati e la paura dell’opinione pubblica tedesca che sembra quasi presa nella stessa morsa della Francia e del Belgio. Gli euroscettici di “Alternative für Deutschland” che hanno guadagnato molto negli ultimi mesi di fronte alle politiche della Merkel di aprire ai migranti, oggi non avanzano più. In questo momento deve rilanciare perché all’interno della Germania c’è uno scontro aperto; a settembre si va a votare in due lander settentrionali importanti e a Berlino, e sarà il primo scontro importante prima dell’anno prossimo con le elezioni.

D. - Parlando della guerra globale al sedicente Stato islamico, la Merkel ha indicato due vie: “dare sicurezza ai cittadini, ma soprattutto dominare la questione integrazione e superarla”. Come si può fare?

R. - Questo è un punto importantissimo nella politica della Merkel perché, ovviamente, se si apre la porta poi bisogna anche capire come gestire un flusso così importante di migranti senza farli sentire marginalizzati, perché poi spesso chi arriva si ritrova in condizioni abbastanza pessime di alloggio, con posti che magari non consentono alla persona di integrarsi agevolmente. I richiedenti asilo in questo momento non possono lavorare finché non vengono accettate le loro richieste, quindi si ritrovano tutti raggruppati in posti in cui il dissenso e la radicalizzazione possono crescere. Dall’altra parte bisogna cercare di contrastare la narrativa dello Stato islamico che, a quanto pare, non riesce a essere contrastata da nient’altro.

D. - Tra le misure concrete individuate da Berlino per la sicurezza ci saranno: un abbassamento degli ostacoli per l’espulsione dei richiedenti asilo e un sistema di preallarme sulla radicalizzazione dei rifugiati. Che tipo di conseguenze avranno sull’immigrazione in Germania?

R. - Intanto bisogna dire che il flusso in questi mesi si è abbassato moltissimo, perché tra la Grecia e la Turchia continua a essere in vigore l’accordo che ha permesso ai migranti che arrivavano sulle isole greche – duemila, tremila al giorno – di scendere a livelli molto più bassi, 20-30 al giorno, quindi molto più “maneggevoli”. È chiaro che la Merkel debba dare un segnale e che voglia rallentare l’afflusso per cercare di gestire chi è già qui. Vedremo cosa accadrà nei prossimi mesi. Credo che al momento la Merkel debba cercare di fronteggiare proprio questo problema. Il secondo problema in Europa è che le agenzie di intelligence spesso non si parlano.

D. - La Merkel ha parlato anche di un nuovo ufficio centrale per le informazioni a livello europeo. Il Presidente francese Hollande ha annunciato la creazione di una guardia nazionale con compiti specifici di anti terrorismo. Saranno misure efficaci?

R. - Ormai si parla da oltre un anno - dagli attentati di Charlie Hebdo - di unificare l’intelligence, di fare di più per collaborare… Di fatto ci sono molte gelosie nazionali, quindi poi è difficile unificare procedure che magari da un lato sono segrete e dall’altro diverse. L’integrazione in Europa procede a passo molto lento e di fronte a questa emergenza forse troppo lento. La mia speranza è che adesso e nei prossimi mesi Francia e Germania di fronte alle elezioni, all’avanzare delle destre xenofobe ma anche di fronte agli attentati che si sono fatti più frequenti – anche se magari meno letali - si diano la mossa necessaria per unificare almeno le agenzie di intelligence dell’Europa occidentale.

D. - La cancelliera si è detta “consapevole” e “preoccupata del potenziale di razzismo” che esiste in Germania. Quanto è forte questo problema nel Paese?

R. - È un problema che probabilmente sottotraccia è sempre esistito; è stato silenziato nel Secondo Dopoguerra, perché, ovviamente, la Germania sconfitta e di fronte all’Olocausto ha dovuto darsi una nuova faccia. Però di fatto sappiamo che pervade un po’ tutti o Paesi occidentali e a volte riemerge perché c’è sconcerto di fronte al diverso e perché i migranti in questo momento sono sempre di più, vista la globalizzazione dei flussi e perché in un momento in cui, nonostante l’economia vada molto bene, rimangono sacche di sotto lavoro anche in Germania e c’è chi se la prende con il più debole pensando che gli rubi il lavoro e che dovrebbe tornare a casa.

D. - Il governo turco ha chiesto alla Germania la consegna dei turchi sostenitori di Gülen che vivono in territorio tedesco. Cosa succederà?

R. - Questo è veramente un terreno molto delicato. Il governo turco non soltanto ha proseguito la repressione in casa, ma sta attuando una serie di misure diplomatiche molto forti e molto problematiche. Prima hanno chiesto agli Stati Uniti addirittura l’estradizione di Gülen stesso e adesso accusano la Germania di non avere offerto asilo né sostegno successivo al tentativo del colpo di Stato. Credo che la Germania possa sottostare a quella che di fatto è una minaccia da parte della Turchia, però dovremo vedere nei prossimi mesi cosa accadrà, perché Erdogan può provare di nuovo ad usare il rubinetto dei migranti come arma di scambio.

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Siria. Scissione consensuale tra il fronte Al Nusra e Al Qaida

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Il leader del gruppo armato jihadista siriano, Abu Mohammed al Golani, si è mostrato per la prima volta pubblicamente in un video per dichiarare la scissione consensuale del fronte Al Nusra da Al Qaida, la rete del terrore creata da Osama Bin Laden. Intanto, a Ginevra si è tenuto un incontro tra alcuni delegati russi e americani per definire un accordo per "stabilizzare" Aleppo. La capitale siriana è ormai ridotta un cumulo di macerie ed è emergenza umanitaria per i civili che non riescono a emigrare. Al Nusra nasce nel 2012, ed è silenziosamente diventato protagonista della guerra civile in Siria. Secondo alcuni osservatori, il gruppo jihadista può contare fra i 5 mila e i 10 mila combattenti. Sulle motivazioni che hanno condotto alla separazione tra le due forze armate, Gioia Tagliente ne ha parlato con Alessandro Orsini, professore di sociologia del terrorismo alla Luiss: 

R. – La ragione per cui al-Golani ha preso questa decisione è puramente strategica ed è lui stesso che la chiarisce. Il problema è che la Russia e gli Stati Uniti si sono accordati per un cessate-il-fuoco in Siria, ma hanno escluso da questo cessate-il-fuoco sia al-Nusra Front, vale a dire il braccio armato di al-Qaeda in Siria, sia l’Is. Quindi il problema, in questo momento, per al-Golani è di sottrarsi a questi bombardamenti. La sua speranza è che fuoriuscendo formalmente da al-Qaeda e assumendo un nuovo nome, possa sottrarre agli americani e ai russi la giustificazione per proseguire nei bombardamenti contro la sua formazione. Quindi, è una mossa puramente strategica, priva di valore, sotto il profilo politico, perché al-Golani continua a dichiarare la sua immensa ammirazione per al-Qaeda, per al-Zawahiri e per Bin Laden. Infatti, la reazione di John Kirby, che è il portavoce del Dipartimento di Stato americano, è stata piuttosto negativa, nel senso che ha commentato la notizia, dicendo testualmente che quello che conta per gli Stati Uniti non è tanto ciò che al-Golani e i suoi uomini dicono, è importante ciò che fanno.

D. – La nuova scissione potrebbe portare al-Nusra verso un’aria più moderata…

R. – Non credo in alcun modo che si possa affermare che al-Golani, al-Nusra, stiano assumendo delle posizioni più moderate. Per poter fare un’affermazione di questo tipo, bisognerebbe avere una dichiarazione di al-Golani che prenda le distanze da al-Qaeda, che ne critichi la leadership, che critichi le violenza di al-Qaeda o quelle commesse dalla sua organizzazione nei mesi passati. Non c’è niente di tutto questo. Questa è soltanto una mossa strategica finalizzata ad esemplificare il conflitto in Siria. E, soprattutto, la mossa di al-Golani è finalizzata a garantirsi un maggior sostegno internazionale. Ma sotto il profilo politico è una mossa totalmente priva di contenuti, appunto perché al-Golani continua a dichiarare la sua immensa ammirazione nei confronti di al-Qaeda.

D. – Il nuovo gruppo potrebbe costituire un fronte contro l’Is?

R. – E’ abbastanza difficile, perché in realtà, anche se esistono delle tensioni strategiche tra l’Is e al-Qaeda, continuano a rimanere comunque delle formazioni gemelle: sono entrambe impegnate nella lotta contro gli Stati Uniti, nella lotta contro l’Occidente e credono chiaramente nel jihadismo, nel martirio. Quindi, secondo me, queste sono più che altro forzature dell’Occidente, che cercano di interpretare in maniera positiva e ottimistica delle scelte di al-Nusra, che poi sostanzialmente non sono così importanti sotto il profilo della sostanza.

D. – Al-Nusra potrebbe diventare una realtà anche più diffusa e presente, rispetto a quella di al-Qaeda?

R. – Al-Nusra, in effetti, ha i combattenti più addestrati, più preparati e quindi più efficaci, in Siria, nel fronte contro Bashar al-Assad . Questa è una forza oggettiva che al-Nusra ha e che non può essere negata ed è anche la ragione per cui l’opposizione siriana, Bashar al-Assad, che ha ottimi rapporti con gli Stati Uniti, sta facendo in queste ore delle pressioni affinché gli Stati Uniti assumano un atteggiamento più morbido nei confronti di al-Nusra. Questo è il punto fondamentale, cioè un grande movimento di opposizione a Bashar al-Assad, che ha ottimi rapporti con gli Stati Uniti e che in queste ore sta cercando una mediazione. Chiaramente, infatti, sono direttamente coinvolti nel conflitto e stanno cercando di creare una situazione più favorevole, appunto, alle forze che si oppongono a Bashar al-Assad e vedono probabilmente al-Nusra Front come alleato potenziale.

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Tratta di esseri umani: una vittima su 5 è un minore

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Nel mondo sono almeno un milione e 200 mila i minori vittime di schiavitù e di sfruttamento. Una vittima della tratta su cinque è un bambino o un adolescente.  Sono alcuni dei drammatici dati che emergono dal dosseir 2016 “Piccoli schiavi invisibili” diffuso oggi da Save the Children alla vigilia  della Giornata mondiale contro la tratta di esseri umani, che si celebra domani. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Sono piccoli e invisibili. Vivono una realtà drammatica che le statistiche, solo in parte, riescono a fotografare. Il quadro numerico reale delle vittime e degli sfruttatori è infatti difficilmente quantificabile. Nel rapporto si ricorda che, solo in Europa, gli ultimi dati ufficiali disponibili parlano di quasi 16 mila vittime di tratta accertate o presunte. Tra queste, il 15% è un minore. Raffaela Milano, direttore Programmi Italia-Europa di Save the Children:

“Proprio i più vulnerabili, come i bambini, sono vittime di questo enorme mercato e anche in Italia, purtroppo, sono migliaia gli adolescenti poco più che bambini che sono vittime di condizioni di sfruttamento”.

I più vulnerabili sono i minori stranieri
I minori stranieri non accompagnati restano i più vulnerabili: nei primi sei mesi del 2016 sono raddoppiati quelli giunti via mare in Italia. Tra i più colpiti, ragazze nigeriane e rumene, adolescenti egiziani e minori in transito, tra cui soprattutto eritrei e somali. Sono inoltre più di 1000, in Italia, le persone inserite in programmi di protezione. Il 7% di loro ha meno di 18 anni.

“Sono vulnerabili, in modo particolare, perché sono minori che hanno raggiunto l’Italia senza avere adulti di riferimento, senza familiari adulti. Spesso arrivano avendo già contratto un debito di viaggio da ripagare in qualsiasi modo. Poi anche le famiglie che sono rimaste nel Paese di origine spesso vengono ricattate. Questi debiti, che poi crescono esponenzialmente con l’andare del tempo, diventano una vera e propria trappola da cui i ragazzi non riescono più ad uscire, ad emanciparsi”.

La tratta fonte di redditto per organizzazioni criminali
In Italia la tratta di esseri umani, dopo il traffico di armi e di droga, è la terza fonte di reddito delle organizzazioni criminali. Ma il numero di procedimenti a carico degli sfruttatori, e soprattutto quello delle condanne in via definitiva, resta però limitato. Tra il 2013 e il 2015 sono state denunciate in Italia 464 persone. Gli arrestati sono stati 190 e tra questi il 12% sono italiani. Ancora Raffaela Milano:

“E’ molto difficile, evidentemente, riuscire ad assicurare alla giustizia le persone che speculano su questo terribile mercato. Certamente, l’impegno va rafforzato anche a livello sovrannazionale, perché sappiamo – e i dati ce lo dimostrano – che ci sono sia sfruttatori individuali, magari legati alle famiglie, legati direttamente a questi ragazzi e ragazze. Poi ci sono veri e propri circuiti di criminalità transnazionale. Sono le diverse mafie che si attivano per organizzare sia il viaggio sia poi l’arrivo e lo sfruttamento qui in Italia dei minori che vengono da varie parti del mondo”.

Save the Children: il governo attui il Piano contro la tratta
Nel dossier l’organizzazione umanitaria Save the Children delinea anche una serie di raccomandazioni finalizzate all’emersione e all’identificazione dei casi in cui minori sono vittime di tratta e di sfruttamento. Per la piena attuazione dei loro diritti, si chiede in particolare al governo italiano di attuare il Piano nazionale di azione contro la tratta:

“Noi chiediamo, innanzitutto, che venga applicato il Piano anti-tratta che finalmente, dopo tanti anni di attesa, l’Italia ha varato: c’è un piano nazionale per contrastare il fenomeno della tratta. Noi vogliamo che sia applicato, al più presto, con una particolare attenzione dedicata ai servizi per i minori. Infatti, si deve riuscire a incontrare tutti i minori, magari da un’unità di strada con mediatori culturali. E' necessario formare anche chi si trova già nei porti, nei luoghi di sbarco perché sappia individuare una persona a potenziale rischio di tratta, separarla dai suoi sfruttatori. Sfruttatori che, spesso, la guardano a vista e non la perdono d’occhio. Bisogna assicurarsi una rete di case di fuga in modo tale che questi ragazzi siano protetti e immediatamente sottratti al circuito dello sfruttamento quando incontrano un operatore o qualcuno nel quale poter riporre fiducia”.

Helpline contro la tratta
Save the Children ha lanciato in questo mese di luglio una Helpline telefonica dedicata a fornire supporto e orientamento a minori stranieri non accompagnati in Italia. Si offrono tra l’altro informazioni, assistenza legale e psicologica. E’ anche un riferimento per attivare contatti con i servizi presenti sul territorio. Il servizio telefonico, multilingue, risponde al numero verde 800 14 10 16.

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Antigone: torna il sovraffollamento nelle carceri, uno su tre è straniero

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La popolazione carceraria è tornata a crescere, nonostante le misure contro il sovraffollamento. Secondo il pre-rapporto di Antigone, si hanno 1.318 persone in più rispetto al 2015, il numero globale dei detenuti al 30 giugno 2016 è salito a 54.072. Si tratta sicuramente di un numero inferiore rispetto al passato, quando il 30 novembre del 2010 l’Italia raggiunse il massimo storico della popolazione detenuta ovvero 69.155 unità, ma pur sempre in sovraffollamento, infatti, secondo il Ministero della Giustizia, la capienza regolamentare è di 49.701 posti. Secondo l’Associazione, la spiegazione va ricercata nell’aumento dei “presunti innocenti”, soprattutto stranieri detenuti in fase di primo giudizio. Inoltre, lo spopolamento delle carceri deve fare i conti con i tempi di attesa dei processi italiani, ancora troppo lenti. L'opinione di Alessio Scaudurra, dell'Associazione Antigone, al microfono di Michele Ungolo: 

R. – La situazione odierna è incomparabilmente diversa rispetto al 2010, al 2011, ovvero agli anni del massimo sovraffollamento che ha vissuto il sistema penitenziario italiano. Ci sono molti detenuti in meno, i servizi a disposizione, pur se limitati, sono destinati a un numero più ridotto di detenuti. Quindi, la situazione è decisamente migliorata. L’elemento di allarme è che per la prima volta da diversi anni i numeri tornano a crescere. È una crescita piccola, lenta, però inizia sempre così: quando la popolazione detenuta inizia a crescere, se non si pongono argini, rimedi, è solo questione di tempo e il sistema torna a scoppiare. Quindi, bisogna prenderne atto, bisogna fare attenzione e mettere in campo tutti gli strumenti per evitare che si torni alla situazione degli anni passati.

D. – Perché il numero dei detenuti è in crescita?

R. – Probabilmente, la ragione principale riguarda la percezione generale: si pensa che sia terminata l’emergenza sovraffollamento, che tutti i problemi siano risolti e quindi si ricorre anche più a cuor leggero alla custodia cautelare. Qualche anno fa, chi mandava un imputato in custodia cautelare sapeva di mandarlo in strutture sovraffollatissime: è un sistema penitenziario in grande difficoltà, il personale è in grande difficoltà… Oggi questa consapevolezza non c’è  più e si ricorre più a cuor leggero a questa misura. Rimane il fatto che l’Italia è uno dei Paesi in cui il tasso di custodia cautelare è il più alto tra i Paesi europei, quindi comunque questa decisone non andrebbe presa così alla leggera.

D. – Ogni anno aumenta il numero dei detenuti nelle carceri italiane, ma a crescere sono soprattutto le percentuali degli stranieri…

R. – Purtroppo, è un dato collegato al precedente. Per gli stranieri è più facile che per gli italiani finire in custodia cautelare a parità di reato, perché si presume che non abbiano lavori stabili, che non abbiano abitazioni idonee per gli arresti domiciliari ad esempio. I dati che riguardano la percentuale di persone in custodia cautelare e la percentuale degli stranieri detenuti di solito crescono insieme.

D. – Secondo il Ministero della giustizia, la capienza regolamentare è inferiore al numero dei detenuti che oggi risiedono nelle carceri. Questo sovraffollamento cosa comporta?

R. – Può capitare che una cella, magari pensata per due persone, sia occupata da tre. Il carcere non è pensato come un luogo dove c’è abbondanza di spazi, quindi un carcere sovraffollato non è come un appartamento sovraffollato. È uno spazio ideato per due persone e che poi bisogna dividere per tre. È una situazione molto difficile perché si protrae per giorni, settimane, mesi. E' una convivenza forzata difficile e rende ancora più complicato quello che già è un compito complicato, cioè accompagnare il ritorno alla società, ma anche il ritorno alla legalità di persone che hanno storie di devianza.

D. – Un altro dato allarmante arriva anche dalle morti che avvengono tra le mura delle carceri…

R. – Il suicidio è sempre un gesto in qualche modo inspiegabile. È sempre una reazione estrema ed è un gesto su cui è difficile fare generalizzazioni, così come per il reato. Anche questo spesso è un gesto di disperazione. Il carcere è un luogo di disperazione, un luogo dove i livelli di povertà materiale delle persone detenute e delle loro famiglie sono estremi. E' un luogo dove le percentuali di malattie sono enormemente più alte rispetto a fuori, il disagio mentale è altissimo. Si tratta di una popolazione molto fragile rispetto alla media della popolazione libera che vive una situazione di disagio, di stress, di ansia, di paura per il futuro come si può immaginare.

D. – Per quanto riguarda il numero dei detenuti in custodia cautelare, urgono delle riforme urgenti…

R. – La nostra legislazione è molto esplicita nel dire che la custodia cautelare deve essere una misura estrema, eccezionale. La persona sospettata di aver commesso un reato ha diritto in linea di massima, di principio e di regola a fare il proprio processo in libertà, quindi attendere che si arrivi aduna condanna da libero. La custodia cautelare dovrebbe essere una misura eccezionale e la legge prevede questo in maniera anche piuttosto rigorosa. Altri Paesi con una legislazione meno restrittiva della nostra hanno percentuali più basse di persone in custodia cautelare. L’altro problema è ovviamente la durata dei processi. In Italia durano molto tempo, quindi ci vuole tanto tempo per avere una condanna definitiva e questo comporta che chi si trova in custodia cautelare si trova in carcere più a lungo. Inoltre, il giudice potrebbe anche aver paura di lasciare in libertà un imputato per un periodo così lungo e quindi preferisce ricorrere a questa misura. Indubbiamente ci guadagneremmo tutti da processi più brevi.

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Promette alta qualità la 73.ma Mostra del Cinema di Venezia

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E’ stata presentata ieri mattina a Roma la 73.ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica che si svolgerà al Lido di Venezia dal 31 agosto al 10 settembre, caratterizzata da una rinnovata vitalità della produzione mondiale e dall’alta qualità dei titoli, con la scoperta anche di nuovi autori che guardano, per vie mediate, al nostro presente. Il servizio di Luca Pellegrini

Dedicata agli scomparsi Michael Cimino e Abbas Kiarostami, la Mostra del Cinema di Venezia conferma la sua vocazione: cinema d’autore, attenzione al pubblico, un'oasi di cultura che riflette sulle condizioni del mondo e del tempo presente, tutt’altro che sicure e pacifiche. Venti film in concorso, diciannove nella sezione "Orizzonti", diciotto fuori concorso, i classici restaurati, il mondo rappresentato sullo schermo. Il presidente della Biennale, Paolo Baratta, parla della Mostra come modello di un’istituzione culturale che nella fedeltà alle proprie tradizioni genera un paradosso. E lo spiega così:

“La fedeltà al modello, che è quello della Mostra d’arte, e non a caso è un modello tipico di Biennale - che ha nel cinema nient’altro che una ulteriore estensione del suo raggio di azione che è “Le arti”: il mantenersi fedele a un modello nel quale si premia l’energia vitale dell’artista e si osserva la sua capacità di interpretare, di incalzarci sui temi del tempo presente, ma anche sui temi generali che riguardano l’uomo e la sua vita…la Biennale riconosce in questo la vitalità dell’arte: aprire lo sguardo, dilatare gli occhi, dilatare la mente, guardare oltre, non accontentarsi delle banali verità quotidiane. Quindi, questo è il compito di un’istituzione culturale. La cosa paradossale è che nel momento in cui noi abbiamo tenuto ferma la barra su questa linea, col passare degli anni questo ci è stato riconosciuto come un elemento importante e di valore aggiunto. Il mondo, cioè, guarda a noi con la stima che merita un’istituzione che, se ospita un’opera, è perché vede in quell’opera della vitalità artistica. E questo ci ha fatto tornare, dopo anni di lavoro, ad essere luogo di destinazione di opere di qualità, anche di quelle che mirano al successo poi di pubblico e di commercio, che sono nel campo dell’arte cinematografica e delle arti in genere molto importanti. Stando, cioè, fermi con la barra, invece di inseguire quotidianamente - come tanti, troppi suggeriscono continuamente di fare, perché confondono il moderno con l’essere banderuola del tempo presente, ma mantenendo ferma la barra, si diventa luogo nel quale il meglio del tempo presente ambisce andare. E il paradosso, se vuole, è questo: che siamo diventati anche attrattori - come si usa dire adesso - di opere che ambiscono al successo di mercato”.

Alberto Barbera è al suo ottavo anno di direzione. E’ soddisfatto dei tre titoli italiani in concorso, tra i quali il ritorno di Giuseppe Piccioni con “Questi giorni”. E sottolinea come l’alta qualità dei titoli quest’anno dimostrino un approccio alla realtà e al presente non più diretto, ma mediato: dalla letteratura, dalla storia, dalla finzione di genere. Lo conferma ai nostri microfoni.

R. – Negli ultimi anni, insomma, avevamo la sensazione che i registi, il cinema contemporaneo avesse voglia di approcciare direttamente i grandi temi – le guerre, l’immigrazione, la disuguaglianza sociale, la famiglia, il disagio giovanile – in maniera non dico quasi giornalistica, ma comunque molto franca, molto aperta, molto diretta. L’impressione – ed è quello che si ricava dai film che poi abbiamo selezionato – è che invece in qualche modo gli autori utilizzino degli schermi, dei filtri: o sono romanzi trasposti in film o sono film di genere - fantascienza, western… - oppure film che affrontano temi storici – l’Olocausto, la Prima Guerra Mondiale e così via. Tutto questo non vuol dire fuggire dalla contemporaneità e sfuggire alla realtà, vuol dire parlare dell’oggi in un altro modo. Sappiamo – ci hanno insegnato i grandi autori – che ogni racconto, anche se ambientato nel passato, ambientato nel futuro, è sempre un racconto dell’oggi. Il cinema è costantemente un cinema del presente.

D. – C’è anche una parabola cristologica, ambientata nel Nord del Cile, il film di Christopher Murray “El Cristo ciego”...

R. – E’ un film fortemente ispirato da Pasolini. E’ un film che ha, come dire, un approccio realistico nel mostrare le condizioni di estrema povertà di queste popolazioni, che vivono in una zona desertica dove ci sono le miniere più sfruttate, più ricche del Cile, e che sono sfruttati dai proprietari di queste miniere che li costringono a vivere in condizioni miserabili. E c’è questo ragazzo che sente improvvisamente una vocazione, sente di essere la reincarnazione del Cristo e sente di poter fare miracoli e parte in un viaggio attraverso questi villaggi abbandonati da tutti – dall’uomo, dalla società – con l’ambizione di fare il miracolo, di fare miracoli per salvare queste persone. E’ un esordio assolutamente impressionante.

Una sorpresa è in Orizzonti il documentario “Liberami” di Federica Di Giacomo su un gruppo di sacerdoti esorcisti siciliani:

“Questo documentario ci ha impressionato - ci ha divertito ed impressionato, colpito ed affascinato – perché è una realtà che conosciamo poco, ma è un fenomeno invece di dimensioni gigantesche. Il film si conclude a Roma con un convegno mondiale degli esorcisti dove ci sono migliaia di esorcisti autorizzati dal Vaticano ad affrontare casi sempre più numerosi di persone che si rivolgono a loro perché ritengono di essere posseduti dal demonio. E il film - con grande rispetto, con grande intelligenza - segue due o tre esorcisti siciliani in questa pratica quotidiana incredibile, che a noi sembra fuori dal mondo, fuori dal tempo, mentre invece è una realtà quotidiana con cui questi preti hanno a che fare costantemente”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Venezuela: il governo cerca di screditare la Chiesa

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Mons. Ramon Ovidio Pérez Morales, vescovo emerito della diocesi di Los Teques ed ex presidente della Conferenza episcopale del Venezuela (Cev), ha allertato la popolazione riguardo agli attacchi del governo di Nicolas Maduro contro la Chiesa cattolica al fine di screditarla agli occhi della gente. Nel suo account Twitter - riporta l'agenzia Fides - mons. Pérez Morales ha pubblicato il 27 luglio questo messaggio : "Chiesa sotto attacco ufficiale su più fronti: irruzioni nelle case, clonazioni nella rete, attacchi mediatici. Obiettivo: minare la credibilità". In seguito ha invitato i cattolici venezuelani a "essere preparati per la campagna che scredita la Chiesa e agli attacchi contro le persone e le strutture", sollecitando "a rafforzare la fede e l'unità".

Chiesa denuncia falso account con notizie non vere
Solo pochi giorni fa mons. Mario del Valle Moronta Rodríguez, vescovo della diocesi di San Cristobal de Venezuela, aveva denunciato un falso account Twitter, accreditato alla Cev, dove sono state pubblicate informazioni false. Diverse associazioni cattoliche hanno quindi chiesto alla piattaforma digitale di eliminare il falso account. Le reti sociali sono ormai diventate in Venezuela il mezzo di comunicazione per eccellenza, e i media ufficiali non vengono più considerati da nessun settore della società.

Proteste per il ritardo nell'indizione del referendum per destituire Maduro
Nel frattempo non si placano le proteste in tutto il Paese per il ritardo nell’indizione del referendum per destituire il Presidente Maduro. Ieri a Caracas, la Guardia Nazionale ha impedito un corteo dell’opposizione che voleva raggiungere la sede del Consiglio Nazionale Elettorale (Cne) per chiedere di non rallentare la procedura per il referendum. Il primo passo è stato la consegna di circa 1,8 milioni di firme al Cne, ma ancora si attende che l’organismo le dichiari valide e fissi la data per il secondo passo: la raccolta di quattro milioni di firme, pari al 20% degli iscritti nelle liste elettorali. (C.E.)

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Filippine. P. D'Ambra: a Jolo la vita dei cristiani è in pericolo

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Un appello “per fermare l’uccisione dei cristiani a Jolo”. È questo il titolo del messaggio diffuso dal Silsilah Dialogue Movement e firmato da padre Sebastiano D’Ambra, presidente del movimento e missionario del Pime da più di 40 anni a Mindanao (sud delle Filippine). Il sacerdote - riferisce l'agenzia AsiaNews - denuncia la situazione di paura e pericolo vissuta dai cristiani nella città della provincia di Sulu, quartier generale del gruppo jihadista Abu Sayyaf.

Cristiani uccisi e rapiti
Pochi giorni fa, scrive padre D’Ambra, “un cristiano è stato ucciso e una fonte affidabile mi ha detto che altri 20 cristiani sono stati presi di mira per essere uccisi o rapiti al più presto. In mezzo a così tanti buoni leader islamici e amici di Jolo, la comunità cristiana soffre per la persecuzione di coloro che sono guidati da individui cattivi che dicono di agire in nome dell’islam”.

Padre D'Ambra denuncia il silenzio dei leader locali
Il Silsilah Forum, fondato 30 anni fa da padre D’Ambra, è un movimento per il dialogo e la pace fra musulmani e cristiani. Esso segue tuttora numerosi gruppi interreligiosi a Mindanao, regione che ospita una consistente comunità islamica, dove si nascondono gruppi fondamentalisti e separatisti. Il missionario si chiede: “Perché i leader locali e nazionali di diversi settori sono così silenziosi nella loro autorità? Perché coloro che detengono il potere non agiscono per trovare le soluzioni adeguate?”. Purtroppo, riconosce il sacerdote, “la bella relazione che esisteva in passato fra i cristiani e musulmani di Jolo non è più realtà. Molti cristiani se ne sono andati e altri stanno programmando di partire appena ne avranno l’opportunità”.

I cristiani hanno paura anche di andare a Messa
Padre D’Ambra si appella “a tutti, in special modo a voi leader musulmani che siete parte del Silsilah Dialogue Movement e del Consiglio interreligioso (Ifcl)”. “Molte vite – continua – sono in pericolo a Jolo. I cristiani hanno paura di parlare e anche di andare a Messa nella cattedrale nel centro della città nonostante ci siano i militari di pattuglia. Quella chiesa è stata per anni simbolo del dialogo fra cristiani e musulmani, ma ora non lo è più per i molti che seguono un islam che divide e oppone sempre più”.

Situazione allarmante anche per i musulmani moderati
​“Sono a Mindanao da 40 anni – prosegue il missionario – e so che i tausug (etnia musulmana maggioritaria a Sulu, ndr) di Jolo sono coraggiosi. Mi appello al loro coraggio e alla loro bontà prima che sia troppo tardi e il mondo vi accusi di essere stati silenti di fronte all’agonia della comunità cristiana e di altri musulmani. Infatti, la situazione è allarmante anche per i bravi musulmani, perché gli individui cattivi trovano motivi per ucciderli chiamandoli ‘kafir’ (infedeli) come i cristiani”. (R.P.)

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Siria. Mons. Audo: al Nusra cambia nome? Solo tatticismo

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La scelta della fazione jihadista Jabhat al-Nusra di cambiare nome e di annunciare la propria fuoriuscita formale dalla rete di al Qaida rappresenta “una pura mossa tattica per accreditare il simulacro di una fantomatica 'ribellione islamista moderata' che sarebbe presente nel ventaglio di forze impegnate nella guerra contro Assad. Una entità che in realtà non esiste”. Ne è convinto il gesuita siriano Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo. 

Sono estremisti islamici che cambiano nome per puro tatticismo
​“Cambiare il nome, e dichiarare a parole la propria uscita dalla rete di al Qaida” dichiara il vescovo della città martire siriana all'agenzia Fides, “non cambia assolutamente nulla sul piano della realtà. Loro sono gli stessi, esponenti delllo stesso estremismo sunnita jihadista. Cambiano nome per puro tatticismo. Un gioco ingannevole, per provare a presentarsi come rappresentanti di quella immaginaria 'opposizione moderata siriana' di cui sembrano avere bisogno certi poteri per continuare a perseguire i propri disegni sulla Siria”.

L'uscita da al Qaida per ridurre le distanze tra le fazioni jihadiste
Ieri Abu Muhammad al-Jawlani, capo militare del Fronte al Nusra, ha annunciato che il gruppo d'ora in poi si chiamerà Jabhat Fatah Al-Sham (“Il Fronte per la Conquista del Levante”). In un video, trasmesso in esclusiva da al-Jazeera, al-Jawlani ha confermato anche la fuoriuscita di al Nusra dalla rete di al Qaida, motivando la decisione con l'intento di “ridurre le distanze tra le fazioni jihadiste” operanti nel conflitto siriano. Nello stesso video, il capo jihadista ha comunque ringraziato i vertici attuali di al-Qaeda (la rete jihadista creata da Osama Bin Laden) "per aver compreso il bisogno di rompere il legame". In passato, in diverse situazioni locali, le milizie di al Nusra sono state impegnate in scontri armati per il controllo del territorio anche con i jihadisti del cosidetto Stato Islamico (Daesh). (G.V.)

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Egitto: Patriarca Tawadros incontra il Presidente Al Sisi

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I cittadini egiziani, a qualsiasi comunità religiosa appartengano, “sono tutti uguali nei loro diritti e nei loro doveri, in accordo con la Costituzione”. E i cristiani egiziani hanno mostrato “saggezza e spirito di Patria” nel modo in cui hanno risposto alle sofferenze e alle provocazioni subite negli ultimi anni, rimanendo saldi davanti agli attacchi provenienti da coloro che “vorrebbero sfruttare la religione come uno strumento per fomentare divisioni e diffondere idee estremiste”. Sono queste le considerazioni essenziali che il Presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha voluto esprimere nel suo incontro con il Patriarca copto ortodosso Tawadros II, da lui ricevuto ieri nel palazzo presidenziale insieme a una delegazione comprendente diversi vescovi del Sinodo della Chiesa copta ortodossa. 

Fratellanza tra cristiani e musulmani in Egitto
Al Sisi - riporta l'agenzia Fides - ha posto l'accento sul valore della fratellanza in Egitto fra cristiani e musulmani, valorizzando le iniziative messe in campo dall'Egyptian Family House (Casa della Famiglia egiziana), organismo di collegamento interreligioso sorto da alcuni anni come strumento per prevenire e mitigare le contrapposizioni settarie.

Polemiche dopo le dimostrazione negli Usa della diaspora copta
Intanto suscitano ancora polemiche le dimostrazioni pubbliche svolte da alcuni gruppi della diaspora copta – come quello che ha manifestato nei giorni scorsi a Washington, davanti alla Casa Bianca – per protestare contro le violenze subite dai cristiani in Egitto. Il portavoce del Patriarcato copto ortdosso non hanno voluto esprimere commenti ufficiali su tali manifestazioni, ma nei giorni scorsi dal Patriarcato erano arrivate messe in guardia contro possibili strumentalizzazioni, e la diffida a organizzare all'estero mobilitazioni e campagne pubbliche che potevano essere percepite come tentativi di “interferenza” nelle vicende interne egiziane, messe in atto da organizzazioni e gruppi stranieri.

Il ruolo dello Stato nella difesa dei copti
​Lo scrittore egiziano Michel Fahmy ha duramente polemizzato con tali manifestazioni, organizzate da membri della diaspora egiziana copta, definendoli atti “di stupidità o di tradimento” compiuti da piccoli gruppi, sottolineando che solo lo Stato egiziano è in grado di proteggere anche i copti dalle violenze settarie, obiettivo che non sono in grado di assicurare né le sigle militanti della diaspora copta ortodossa, né i parlamentari copti presenti nel Parlamento egiziano. (G.V.)

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Argentina: Giornata dei martiri nel ricordo di mons. Angelelli

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Giovedì 4 agosto la diocesi di Neuquen, guidata dal suo vescovo, mons. Virginio Bressanelli, celebrerà la "Giornata dei Martiri latinoamericani", ricordando il 40° anniversario della morte del vescovo di La Rioja, mons. Enrique Angelelli, avvenuta il 4 agosto 1976, e i 33 anni da quando l’allora vescovo di Neuquen, mons. Jaime Francisco De Nevares, denunciò l'accaduto come un "crimine della dittatura". Mons. Bressanelli celebrerà una Messa solenne in cattedrale.

Gruppo di laici agli atti commemorativi per mons. Angelelli
Secondo quanto riferisce l'agenzia Fides, durante una conferenza stampa, mons. Bressanelli, accompagnato dal sacerdote Rubén Capitanio, ha messo in evidenza la figura di mons. Angelelli e ha annunciato che parteciperà con un gruppo di laici agli atti commemorativi che domenica prossima, 31 luglio, si terranno a La Rioja, la diocesi di cui era vescovo mons. Angelelli.

La Chiesa ha denunciato la sua morte come un crimine della dittatura
Padre Capitanio ha ricordato che 33 anni fa, durante la Messa celebrata dal vescovo di Neuquen, mons. De Nevares, per la prima volta venne denunciato pubblicamente che "mons. Angelelli era stato ucciso, e ciò ha determinato il caso giudiziario, affidato in seguito alla giustizia di La Rioja per le indagini". “Anche se la pratica è stata archiviata per un lungo periodo di tempo, recentemente è stata ripresa per procedere con il processo e la condanna dei responsabili del crimine" ha detto il sacerdote.

L'impegno pacifico di mons. Angelelli
“Vogliamo raccogliere il ricordo di mons. Angelelli, perché è un ricordo di impegno totale con Dio e con le persone, e da loro siamo certi che si trattava di un impegno pacifico, secondo il Vangelo, per la giustizia, per la verità, per una democrazia dove c'è il vero rispetto da parte di tutti" ha concluso mons. Bressanelli.

La sua morte in un incidente d'auto simulato 
​Mons. Enrique Angelelli (1923-1976), vescovo della diocesi di La Rioja, era uno dei più noti vescovi del Paese, contrario alla dittatura. Morì in un incidente d'auto simulato, poco dopo l'instaurarsi della dittatura militare. Dopo 38 anni, il 4 luglio 2014, sono stati condannati all'ergastolo due alti ufficiali per l'omicidio del vescovo. Per decenni le autorità avevano sostenuto che la sua morte fosse stata accidentale. Nel 2015 è stata aperta la fase diocesana della causa di beatificazione. (C.E.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 211

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.