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Sommario del 01/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa prega per pace in Siria e dignità umana. E dice: non tollerare abusi su minori

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Rafforzare il dialogo per la pace di fronte alla “disperata situazione umanitaria” della Siria; difendere i minori senza tollerarne “gli abusi”; promuovere la dignità umana nel “pieno rispetto delle normative sul lavoro e sull’ambiente”. Sono le riflessioni e, insieme, la preghiera del Papa al Regina Caeli in Piazza San Pietro, dedicato anche al significato del dono dello Spirito Santo nella nostra vita. Il servizio di Giada Aquilino

E’ un Papa che riceve con “profondo dolore” le drammatiche notizie provenienti dalla Siria e, subito dopo la recita del Regina Caeli, prega perché termini al più presto “la spirale di violenza che - osserva - continua ad aggravare la già disperata situazione umanitaria del Paese”. Il pensiero va alla “città di Aleppo” e alle “vittime innocenti” del conflitto, tra cui “perfino” - ricorda - i bambini, i malati e coloro che “con grande sacrificio” sono impegnati a prestare aiuto al prossimo:

“Esorto tutte le parti coinvolte nel conflitto a rispettare la cessazione delle ostilità e a rafforzare il dialogo in corso, unica strada che conduce alla pace”.

Francesco ricorda anche chi lotta “contro ogni forma di abuso sui minori”: lo fa salutando e esortando a continuare con coraggio l’impegno dell’associazione “Meter” di don Fortunato Di Noto:

“Questa è una tragedia! Non dobbiamo tollerare gli abusi sui minori! Dobbiamo difendere i minori e dobbiamo punire severamente gli abusatori”.

Nel giorno in cui la Chiesa celebra San Giuseppe lavoratore, festa dei lavoratori in tutto il mondo, e ricordando che nelle prossime ore a Roma si tiene la Conferenza Internazionale sul tema “Lo sviluppo sostenibile e le forme più vulnerabili di lavoro”, il Pontefice auspica una sensibilizzazione di autorità, istituzioni politiche ed economiche e società civile:

“Si promuova un modello di sviluppo che tenga conto della dignità umana, nel pieno rispetto delle normative sul lavoro e sull’ambiente”.

Nel corso del Regina Caeli, ripercorrendo il Vangelo di Giovanni dedicato all’Ultima Cena, il Papa ricorda poi che “non siamo soli”, perché “Gesù è vicino a noi, in mezzo a noi, dentro di noi”, attraverso il dono dello Spirito Santo, per mezzo del quale è possibile instaurare un rapporto vivo col “Crocifisso Risorto”. Ed il segno della presenza dello Spirito Santo, aggiunge, è “la pace che Gesù dona ai suoi discepoli”:

“Essa è diversa da quella che gli uomini si augurano e tentano di realizzare. La pace di Gesù sgorga dalla vittoria sul peccato, sull’egoismo che ci impedisce di amarci come fratelli. E’ dono di Dio e segno della sua presenza”.

Ogni discepolo è “chiamato oggi a seguire Gesù portando la croce” e ricevendo la Sua pace:

“Lo Spirito, effuso in noi con i sacramenti del Battesimo e della Cresima, agisce nella nostra vita. Lui ci guida nel modo di pensare, di agire, di distinguere che cosa è bene e che cosa è male; ci aiuta a praticare la carità di Gesù, il suo donarsi agli altri, specialmente ai più bisognosi”.

D’altra parte, come fu per gli apostoli, anche oggi - prosegue - lo Spirito Santo insegna e ricorda “nei nostri cuori” le parole di Cristo. Ai discepoli servì a “comprendere sempre più pienamente il Vangelo”, per essere “inviati” a portarne l’annuncio “in tutto il mondo” e a “risvegliare la memoria” sugli insegnamenti di Gesù. Questo - spiega - è “ciò che avviene ancora oggi nella Chiesa”, guidata dalla luce e dalla forza dello Spirito Santo, perché “possa portare a tutti il dono della salvezza, cioè l’amore e la misericordia di Dio”:

“Quando voi leggete tutti i giorni - come vi ho consigliato - un brano, un passo del Vangelo, chiedere allo Spirito Santo: ‘Che io capisca e che io ricordi queste parole di Gesù’. E poi leggere il passo, tutti i giorni... Ma quella preghiera prima allo Spirito, che è nel nostro cuore: ‘Che io ricordi e che io capisca’”.

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Auguri del Pontefice alle Chiese d’Oriente che celebrano la Pasqua

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Il Papa dopo la recita del Regina Caeli ha rivolto un saluto alle Chiese d’Oriente che oggi celebrano la Pasqua. Alla ricorrenza, Francesco ha dedicato anche un Tweet. Ce ne parla Eugenio Bonanata: 

“Rivolgo un cordiale augurio ai fedeli delle Chiese d’Oriente che oggi celebrano la Santa Pasqua”. Così Papa Francesco in un Tweet, lanciato stamattina attraverso l’account @Pontifex, prima di dedicare un pensiero alla ricorrenza durante il Regina Caeli:

“Il Signore Risorto rechi a tutti i doni della sua luce e della sua pace. Christos anesti”!

Proprio per la Pasqua celebrata dalle Chiese che seguono il Calendario giuliano, ieri a Minsk, in Bielorussia, è stato raggiunto un accordo per l'Ucraina e per un cessate il fuoco completo nel sud-est del Paese, dove la ricorrenza viene osservata sia dagli ortodossi sia dai greco cattolici. Attraverso un messaggio, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, ha invitato i fedeli a testimoniare l’amore verso il prossimo, in mezzo alle atrocità del mondo contemporaneo, dilaniato da terrorismo, guerre e sofferenze. A fargli eco l’esortazione “a purificare il proprio cuore” per riuscire “ad avvertire pienamente la presenza del Risorto” lanciata Gennadios, metropolita ortodosso d’Italia e Malta. E anche il Patriarca della Chiesa ortodossa serba, Irinej, ha diffuso un messaggio chiedendo di perdonare, di “non giudicare gli altri” e di “non avere paura del mondo”, “nonostante le ideologie mondane, la mancanza di unità, l’odio e la violenza”.

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Giubileo militari. Card. Parolin: difendere e sostenere la pace

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“Educare ad una cultura della pace, della concordia, della solidarietà, della carità”. È questa la missione dei militari e delle Forze di Polizia nelle parole del segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, che stamani all’Altare della Confessione in Basilica Vaticana ha presieduto la Messa a chiusura del Giubileo a loro dedicato, prima del Regina Caeli del Papa in Piazza San Pietro. “La pace - ha sottolineato il porporato, salutato dall’arcivescovo Santo Marcianò, ordinario per l’Italia - è aspirazione insopprimibile del cuore umano”. Voi, ha detto ai presenti, “siete meritoriamente coinvolti in prima persona nel creare, difendere e sostenere la pace in molte aree del mondo e avete chiara la consapevolezza degli ostacoli frapposti dagli egoismi e dalle violenze”. Nel pregare per quanti sono “impiegati in missioni a difesa della giustizia e del ristabilimento della pace”, il cardinale ha auspicato che “il desiderio e l’impegno” per essa “alberghi in ogni persona di buona volontà, in questo nostro mondo così travagliato da lotte che - ha concluso - causano sofferenze, distruzioni e miseria, con un aumento di vittime e di profughi e tanta povertà materiale e spirituale”. Sui sentimenti con cui i militari hanno vissuto il loro Giubileo, Luca Collodi ha intervistato il colonnello Riccardo Cristoni, già comandante del IX Reggimento Alpini, attuale capo ufficio stampa dello Stato Maggiore della Difesa: 

R. – Con grande emozione! Con grande emozione perché ci ha permesso di trovarci insieme a colleghi di altre Nazioni che condividono gli stessi valori di servizio e valori sociali. Quest'Anno del Giubileo è l’occasione per sottolineare quello che è il ruolo delle Forze Armate per il servizio alla pace. In questo, le Forze Armate rappresentano lo spirito dell’Italia e ne sono state lo strumento sul campo in moltissime missioni.

D. – Missioni umanitarie che sono operative in diverse aree…

R. – Attualmente le Forze Armate sono impegnate in 18 Paesi con 25 missioni, per un totale di circa 12mila uomini. Di questi, 7mila uomini lavorano sul territorio nazionale per garantire la sicurezza. Le operazioni più significative sono in Iraq, dove i militari italiani stanno addestrando i ‘Peshmerga’, a Erbil, nel Kurdistan; fornendo, inoltre, un supporto con mezzi e velivoli dell’Aeronautica militare alla coalizione internazionale contro Is. In Libano, è presente da tempo un contingente - attualmente di 1.100 uomini - che garantisce la sicurezza nell’area controllata dalle Nazioni Unite nel sud, al confine con Israele. Altra missione importante è quella in Afghanistan: circa 900 uomini assistono, preparano e formano le forze di sicurezza locali. Degno di nota anche il nostro impegno contro la pirateria nel Corno d’Africa, davanti al mare della Somalia, dove l’Italia partecipa con una nave alla missione internazionale di contrasto ai pirati. Poi l’impegno nel Mediterraneo: l’Italia è presente con due missione, una nazionale, “Mare Sicuro”, e l’altra dell’Unione Europea, detta “Operazione Sofia”, che serve a contrastare l’attività degli scafisti impegnati nella tratta degli esseri umani sfruttando l’immigrazione. Ma, al tempo stesso, è impegnata a salvare vite umane qualora fossero a rischio in mare.

D. – Riuscite a monitorare con precisione la partenza dei migranti dalle coste del Nord Africa?

R. – Il sistema di controllo della navigazione nel Mediterraneo individua quelle che sono le navi di determinate dimensioni. I gommoni o le piccole imbarcazioni sono difficili da vedere e da individuare in mare. Ci arrivano, però, segnalazioni o da altre imbarcazioni di passaggio o dagli stessi migranti che chiamano per segnalare le difficoltà: in base a queste segnalazioni le unità intervengono. Ci sono unità navali anche di altre nazioni, perché la missione dell’Ue vede la presenza anche di altri Paesi. L’obbligo di soccorrere la vita in mare a rischio è un obbligo per tutti, anche per i mercantili che passano in quelle zone.

D. – Ci sarà un prossimo intervento italiano in Libia?

R. – Questa è una crisi che è davanti agli occhi di tutti. Come indicato chiaramente dal nostro governo, l’intervento italiano avverrà solamente sulla base di richiesta del governo libico, in un quadro di legittimazione internazionale.

D. – Colonnello Cristoni, l’Operazione “Strade sicure” contro il terrorismo come prosegue?

R. – L’impegno della lotta al terrorismo tramite le Forze Armate, ci vede impegnati non solo in “Strade sicure”, che è una operazione nazionale, perché anche l’operazione che facciamo in Iraq di contrasto all’Is, che è una organizzazione terroristica, si inserisce in questo quadro. L’Operazione “Strade sicure” nasce nel 2008 e quest’anno è stata rafforzata, così come lo scorso anno, per due grandi eventi che ci sono stati in Italia: il primo, l’Expo a Milano e quest’anno il Giubileo, a Roma. Abbiamo un grande ritorno di quello che è l’opinione dei cittadini per l’opera dei militari: un’opera discreta, che dà un senso di sicurezza alla gente che vede i soldati presenti nelle stazioni, in metropolitana, nelle strade, nei principali luoghi della vita quotidiana, anche fuori le città. Devo dire che a Roma, per esempio, abbiamo avuto una diminuzione del 30 per cento dei reati comuni.

D. – Pochi ne parlano, ma centinaia di uomini sono ancora impegnati nei Balcani…

R. – Sì, è vero. E’ un teatro molto vicino a noi e attualmente vede impiegato un contingente di 550 uomini. Tra l’altro la missione Kfor è a guida di un generale italiano. Come lo sono anche le missioni in Libano, con l’Unifil e con il generale Portolano, e in Somalia per l’addestramento delle forze somale. Molte missioni internazionali sono a guida di militari italiani e questo conferma la qualità dell’addestramento e delle capacità delle Forze Armate italiane, apprezzate in ambito internazionale.

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Oggi in Primo Piano



Primo maggio: in troppi senza lavoro. Con noi l'economista Becchetti

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Oggi, primo maggio, la Chiesa ricorda San Giuseppe lavoratore. E in tutto il mondo si celebra la festa dei lavoratori. Manifestazioni di piazza sono in programma in numerose città degli Stati Uniti, anche a sostegno dei diritti dei migranti. “Creare lavoro è un dovere costituzionale”, ha detto il presidente della Repubblica italiana Sergio Matterella, in occasione della cerimonia per i cavalieri del lavoro al Quirinale. A Genova, corteo nazionale di Cgil, Cisl e Uil. A Roma, tradizionale concerto in Piazza San Giovanni. Gli appuntamenti giungono in un momento in cui il rallentamento dell’economia ha generato un nuovo aumento della disoccupazione: nel 2015 colpiva 197 milioni di persone, quasi un milione in più rispetto al 2014 e 27 milioni in più rispetto al periodo prima della crisi. Ma cosa possono fare sindacati e aziende per rilanciare il lavoro?  Alessandro Guarasci ha sentito l’economista Leonardo Becchetti: 

R. – Pensiamo che oggi un sindacato moderno, per difendere il lavoro, debba votare “con il portafoglio”, cioè debba esprimere la sua forza dicendo ai cittadini che devono consumare e premiare i prodotti delle aziende che tutelano il lavoro e danno al lavoro dignità. Credo che questo sia più importante piuttosto che una semplice manifestazione celebrativa. Ovviamente si tratta di un gesto simbolico, ma che ha anche una valenza politica, perché spinge poi le aziende a scegliere e a premiare la responsabilità sociale.

D. – Professore, appena gli sgravi sul lavoro hanno perso un po’ di efficacia, secondo l’ultima Legge di Stabilità, la ripresa dell’occupazione si è andata smorzando: allora che cosa manca all’Italia?

R. – Soprattutto la macroeconomia: basta vedere quello che è successo dal 2007 ad oggi. Gli Stati Uniti partivano da una crisi finanziaria con una disoccupazione dell’11-12 per cento e oggi sono al 4,9 per cento. E noi invece abbiamo fatto il percorso contrario; quindi lo sbaglio è stato la macroeconomia. Dopo la crisi bisognava fare una politica fiscale espansiva - il “Quantitative Easing” - quindi una politica monetaria espansiva subito e poi riprendere tutti i “titoli tossici” con un provvedimento. Questo in Europa non è stato fatto: il “Quantitative Easing” è arrivato solo sette anni dopo; la politica fiscale espansiva ancora non c’è stata. L’Europa e l’Italia pagano politiche macroeconomiche sbagliate.

D. – Secondo lei sono state riposte troppe speranze nel “Jobs Act”?

R. – Il “Jobs Act” io la chiamo una “ritirata strategica” necessaria - purtroppo necessaria - per competere con Paesi a basso costo del lavoro; ma se è una cosa che può aumentare anche l’occupazione negli impieghi a tempo indeterminato, questi sono resi meno sicuri e tutelati perché il datore di lavoro può licenziare quando vuole. Se ciò ha avuto un effetto importante per aumentare questo tipo di impieghi, sicuramente però non ha aumentato la qualità del lavoro e non può neanche avere un effetto così forte sul tasso di occupazione, visto che poi ci vuole una politica macroeconomica diversa.

D. – Il premier italiano Renzi ha annunciato degli interventi sulle Partite Iva: bisogna cominciare a lavorare anche sui lavoratori autonomi per rilanciare il Paese?

R. – Questa è una cosa importante e credo che il governo abbia fatto bene a dare un po’ più di garanzie e di tutele alle Partite Iva, perché rappresentano una parte fondamentale del nostro lavoro. C’è un tentativo da questo punto di vista: quello di dare un po’ più di garanzia, di sicurezza e di tutela del lavoro. Quindi l'intervento del governo secondo me va sostenuto e appoggiato. 

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Grecia: la crisi è grave ma crescono solidarietà e creatività

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I ministri delle Finanze dell'eurozona terranno una riunione straordinaria sulla Grecia il prossimo 9 maggio. In Europa, infatti, torna alto all’allarme per i conti ellenici dopo che Bruxelles ha chiesto nuove riforme e misure di austerity ad Atene, condizione per sbloccare altri aiuti da 86 miliardi di euro. Secondo il commissario per gli affari economici “ci sono tutte le condizioni per trovare un accordo”. Intanto, malgrado sia stato evitato il deafault, il popolo greco continua a versare in una stato di grave indigenza economica. Marco Guerra ha intervistato Francesca Brufani, volontaria della Caritas greca: 

R. – Passeggiando per Atene è molto evidente e visibile, anche ad occhio nudo, l’impatto della crisi e delle misure di austerity; nel centro della città c’è veramente una sfilata di negozi chiusi, di interi palazzi sfitti: non solo negozi, ma anche alberghi. E questo è particolarmente visibile nelle zone centrali. Ricordo un giorno di aver contato i negozi che erano chiusi solamente in un tratto di strada – una delle vie che si diramano dal centro – circa una quarantina avevano le insegne chiuse. Questo senz’altro è il lato più evidente e tangibile venendo qui in Grecia.

D. – Dopo circa sette anni di crisi che società è quella greca? Come sta il corpo sociale greco?

R. – Nel mio lavoro come operatore Caritas vedo una Grecia che resiste, nonostante le grandissime difficoltà e soprattutto a dispetto del livello sanitario che è stato completamente distrutto, e che ora è pari a quello di un Paese in situazione post-bellica. Ecco, nonostante questo, mi sorprendo sempre nel vedere la creatività dei greci che consiste nel reinventarsi, lottare, non abbattersi, reinventare il proprio lavoro… Inoltre, un altro aspetto molto evidente che è emerso con la crisi è il fatto di assemblarsi, riunirsi, ritrovarsi insieme, creare delle realtà parallele a quello che lo Stato non può più fornire e con le quali di fatto la Grecia sta andando avanti. Per esempio sono nate tantissime cliniche e farmacie sociali, così come supermercati sociali, dove le persone che hanno perso il lavoro o non possono più permettersi un’assicurazione sanitaria possono gratuitamente usufruire di questi servizi. E c’è da dire che il popolo greco sta mostrando, l’uno con l’altro, ma anche verso i profughi che stanno arrivando, una grandissima generosità.

D. – Quindi ci sono segni di speranza e di ripresa, soprattutto tra i giovani: quali sono le prospettive di questo Paese?

R. – Ci sono segni di speranza, però è difficile parlare di “ripresa”, perché i giovani, almeno quelli con cui abbiamo modo di interagire nel nostro contesto Caritas, ci dicono che di solito loro non vedono grandi alternative se non quella di andare via dal Paese. È importante il dato dei giovani, che ad oggi sopravvivono grazie alla pensione dei nonni e che quindi sono costretti a vivere con i propri genitori o a ritornare alla terra ad esempio. Tanti giovani laureati, plurilaureati, con master, ritornano alla terra dalle grandi città. Quindi, la prospettiva che si apre per loro è o quella di andare fuori o quella di ritornare alla terra e alla coltivazione e di inventarsi in qualche modo il lavoro. È chiaro che questo non è sufficiente dato anche il costo della vita che è sempre più alto – nell’ultimo anno è aumentato del 18% – e parlo di pasta, olio, latte e pane, con delle tasse sempre più stringenti, soprattutto quelle sulle proprietà e la sanità che è a livello zero.

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Bin Laden: a cinque anni dalla morte, l'eredità raccolta dall'Is

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Domani ricorre il quinto anniversario della morte di Osama Bin Laden. Il leader e fondatore di al Qaeda fu ucciso in un blitz dei Navy Seal statunitensi nel suo covo fortificato nei pressi di Islamabad, in Pakistan. Al fondamentalista islamico di origini saudite e alla sua rete sono attribuite molte azioni terroristiche che hanno causato migliaia di morti, su tutte l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Ma cosa è diventata al Qaeda dalla scomparsa della sua guida? Marco Guerra lo ha chiesto ad Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici all'Università di Trieste: 

R. – Possiamo dire che al Qaeda con Bin Laden - il suo ideologo – sia stato un grande movimento terroristico nel mondo islamico, ma anche un movimento terroristico transnazionale, come non se ne erano conosciuti prima. Questa orribile eredità presenta degli aspetti sicuramente di discontinuità, ma anche degli aspetti veri e propri di continuità. Anche se al Qaeda oggi lotta con l’Is, ed è in qualche modo messa ai margini, l’idea di un grande Califfato che superasse l’eredità degli Stati è rimasta nel dna anche dell’Is, che poi l’ha sviluppata tatticamente. Comunque la grande idea era nata dall’incontro dei due terroristi - Bin Laden e Azzam - al tempo della prima guerra in Afghanistan contro l’Unione Sovietica. Sicuramente, quindi, ci sono delle differenze. La differenza più grande sta nel fatto che al Qaeda era rappresentata da un gruppo di terroristi guerriglieri, che tentavano prima di tutto di far fallire gli Stati nei quali essi combattevano, mentre l’Is, con un salto - se si può dire - di qualità, oggi tenta di fondare uno Stato terrorista. Gli elementi di continuità, comunque, a mio parere, sono molto forti.

D. – La figura di Bin Laden ancora oggi esercita un certo "fascino" nell’ambiente del radicalismo islamico? Questi giovani miliziani che si arruolano guardano a Bin Laden come un punto di riferimento?

R. – Non più come un punto di riferimento, ma certamente come uno dei riferimenti anche dei nuovi miliziani, dei nuovi terroristi. Nessuno tocca Bin Laden, questa è la verità. Può non essere più la guida, ma comunque è sempre un terribile esempio da imitare. In questo senso, io credo che la sua immagine sia presso i foreign fighters e presso coloro che combattono in questo momento in Medio Oriente ancora un’immagine di riferimento.

D. – Afghanistan e Pakistan sono state per Bin Laden le aree di azione. Il governo afghano in questo momento sta cercando di instaurare colloqui di pace con i talebani, ma la stabilizzazione stenta a partire sia in Afghanistan sia in Pakistan…

R. – Quell’area è un’area assolutamente di frontiera tra l’Occidente, l’Asia e l’interno del mondo islamico. E’ una faglia dove difficilmente si potrà ricostituire un territorio ordinato e di pace. L’Occidente, nel tentativo di entrare in quella frontiera avanzata, ha sicuramente compiuto molti errori. Spesso la guerra è stata fatta dove andava fatta la pace e viceversa. Penso che quello del rapporto con il Pakistan rimanga un punto centrale, anche per sistemare le vicende afghane che sono strettamente collegate.

D. –  In Pakistan è stata data copertura a Bin Laden per diverso tempo…

R. – Sì, poi lo ha venduto. Il personaggio ingombrante, ad un certo punto, è stato “passato di mano”. Ma questo, nonostante quello che credevano alcuni della classe dirigente pakistana, non è servito comunque a stabilizzare il Paese. I problemi, quindi, evidentemente sono più profondi, addirittura più profondi di quelli del terrorismo creato da Bin Laden. E’ per quello che dico che la situazione va affrontata con una strategia diversa, forse anche radicalmente cambiata. La visione adesso è di un’area che è al confine con un mondo assolutamente in evoluzione e sviluppo, che è quello asiatico, e non è più una visione che guarda all'Occidente. Se non cambiamo questa strategia, credo che da lì non se ne venga fuori.

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Dispersione scolastica: manca ancora una politica di contrasto

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In Italia uno studente su tre abbandona la scuola superiore senza completare i cinque anni. La maglia nera spetta alle scuole di Napoli e Palermo. In Sicilia, Sardegna e Campania il dato sulla dispersione scolastica arriva sino al 60 per cento, mentre al Nord si attesta mediamente sotto il 30. Dati sconfortanti che da anni vengono pubblicati dal ministero dell’Istruzione a cui non si riesce ancora a fare argine. La dispersione scolastica torna di attualità anche alla luce del fenomeno jihadismo in Europa, per cui molti giovani delle periferie del Vecchio Continente subiscono il richiamo del terrorismo islamico. Di questi temi si è parlato al convegno delle presidenze diocesane organizzato a Roma dall’Azione Cattolica italiana. Daniele Gargagliano ha raccolto a margine dell’incontro la testimonianza di Cesare Moreno, presidente della Onlus "Maestri di Strada", che da anni si batte nei quartieri popolari di Napoli per il recupero dei ragazzi e il contrasto alla dispersione scolastica: 

R. – Molti di quelli che vanno a scuola in realtà sono dispersi: vanno a scuola perché ormai ci devono andare, ma per loro la scuola non serve a niente, quando non è addirittura dannosa. La dispersione è destinata ad aumentare e infatti la novità interessante, rispetto a dieci anni fa, è che mentre prima avevamo la maglia nera della dispersione scolastica, in una situazione in cui sembrava che i ceti medi, le città del Nord, non avessero il problema, adesso siamo in buona compagnia. Ci sono fenomeni di dispersione, infatti, tra i ricchi; ci sono fenomeni di dispersione nelle zone alte della società; e, soprattutto, quello "stato di guerra" permanente che caratterizza i quartieri sottoproletari di Napoli, Palermo, Bari e così via, adesso coinvolge l’intera Europa: Bruxelles, Parigi… Lo "stato di guerra", quindi, di tutti contro tutti è andato avanti. Può darsi, dunque, che adesso a parlare di educazione in modo serio saremo forse più persone e non soltanto gli specialisti della dispersione.

D. – Gli episodi di cronaca - se vogliamo anche il rischio terrorismo negli altri Paesi - possono richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica, ma soprattutto delle istituzioni. Il Comune di Napoli di recente ha pubblicato uno studio per cui la dispersione scolastica è in aumento all’interno del territorio napoletano. Ma qual è ancora la distanza che rimane fra le istituzioni e il problema, il fenomeno della dispersione scolastica?

R. – Non c’è alcuna distanza: lo ignorano. Le politiche quotidiane, cioè, ignorano completamente il fenomeno, che viene trattato una volta ogni tre anni in un convegno o in un incontro. Non c’è una politica seria. A Palermo, che io sappia, esistono ancora gli osservatori d’area sulla dispersione scolastica. A Napoli sono stati aboliti 20 anni fa e non sono stati più ricostituiti. C’è un arrembaggio delle singole scuole dei quartieri, dei volontari e così via, nel dire: “Date le risorse a me, perché io affronto il problema”. E’ una cosa ridicola e vergognosa. La verità è che non esiste una politica sulla dispersione scolastica e parlare di dispersione scolastica, quindi, ormai fa ridere. E’ in corso un suicidio.

D. – Ma qual è allora la speranza?

R. – La speranza è che, parlando chiaro e facendo vedere che è possibile fare le cose con una spesa ridicola, rispetto agli sprechi che vengono fatti, noi riusciamo ad ottenere dei risultati. Questi risultati si basano non sui soldi o chissà che cosa, ma sul fatto che noi guardiamo i ragazzi negli occhi. Basta, infatti, guardare i ragazzi negli occhi, perché ti vengano dietro. Il fatto è che i giovani, almeno quelli che conosciamo noi, ma anche molti giovani di buona famiglia, per anni non vengono guardati da nessuno: non li guardano i genitori, non li guardano gli insegnanti, non li guardano gli educatori. Tutti fanno cose per loro e su di loro, nessuno fa le cose con loro.

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La Chiesa ricorda San Riccardo Pampuri, il "Dottor carità"

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Era il primo maggio del 1930 quando a Milano si spegneva Riccardo Pampuri, religioso dei Fatebenefratelli, da tutti conosciuto come il “Dottor carità” per la dedizione con cui si era prodigato in veste di medico a servizio in particolare dei più poveri. La sua storia ricordata in questo servizio da Alessandro De Carolis

C’era, tra i suoi colleghi, a chi non andava già tutto quel darsi da fare, senza respiro, come se il malato da curare fosse questione di vita o di morte. In realtà era proprio quest’ultima che non interessava molto ai medici che criticavano la passione intrisa di pietà verso gli infermi mostrata in ogni circostanza da Riccardo Pampuri. Prenditela con calma, gli dicevano, “tanto si nasce e si muore anche senza di noi”.

Il medico dei poveri
Non era invece così per il “dottorino”, come lo chiamavano - il decimo di undici figli nato in provincia di Pavia il 2 agosto 1897 e diventato medico sull’esempio dello zio che lo aveva cresciuto. Quando a 24 anni gli viene affidata la “condotta” di Morimondo, nella piana milanese, i 1.800 abitanti che popolano i cascinali imparano presto ad amare quel giovane medico e il perché lo spiega Fra Marco Fabello, religioso dei Fatebenefratelli:

“I sei anni che ha fatto come medico condotto a Morimondo sono un esempio per il medico condotto di oggi: questo andare nelle case dei poveri, lasciare le sue scarpe, portare i soldi a chi non poteva comprare i farmaci… Ecco, mi pare che oggi molte similitudini siano presenti. Io ho conosciuto un medico di Roma, morto pochi mesi fa, che era il medico dei poveri, un medico di strada, e praticamente in altre forme, in altro modo, in tempi più moderni potrebbe essere paragonato a un Santo del nostro tempo. Conosceva bene la vita di San Riccardo Pampuri, per altro, e anche con il discorso degli immigrati ma non solo, con le famiglie povere italiane in questo momento: ci sono molte persone che fanno le stesse cose che faceva San Riccardo Pampuri. Bisognerebbe metterle più in evidenza, farle conoscere di più perché accanto al tanto male che si sente, c’è anche tanto bene che viene distribuito.

Esempio per la medicina di oggi
La medicina è per Riccardo un modo per amare Cristo nei più deboli. Il giovane dottore, stimatissimo per la sua bravura, è anche un uomo di fede, con la seconda che nutre la prima. Anche il suo cavallo impara presto a fermarsi e ad aspettare pazientemente il padrone davanti alla chiesetta nella quale entra appena può per pregare con la stessa intensità con cui si dedica ai pazienti:

“Lui era medico: faceva il medico, ma faceva anche il compagno di strada, faceva anche un po’ il consigliere delle mamme che andavano con i bambini a togliere i denti… Essere medico era solo una scusante in più per essere vicino ai malati dal punto di vista umano. E questo forse è quello che manca oggi nelle strutture sanitarie: l’umanità. E infatti sentiamo parlare spesso di scandali, trattamenti maldestri dei malati, malati che vengono picchiati, eccetera: non dobbiamo generalizzare per non cadere nel lato opposto, ma è chiaro che l’esempio di San Ricardo oggi, se fosse riconosciuto e sviluppato meglio, potrebbe essere anche per la realtà assistenziale pubblica un segno importante”.

Professione, umanità, sapienza
L’amore per Dio che gli brucia il cuore lo spinge a consacrarsi. Il 21 ottobre 1927, riceve il saio di “fratello” dei Fatebenefretelli e comincia il noviziato. Si muove come uno fra tanti, anche se chi gli è vicino si accorge presto dell’uomo, della caratura della sua mente e della sua anima:

“Ha vissuto la sua vita religiosa nell’umiltà più forte e nello stare con i confratelli in modo molto umile, come se fosse l’ultimo dei religiosi, facendo tutte le cose che facevano allora i giovani religiosi: lavando, pulendo, spazzando le scale, eccetera. Come medico, credo che miglior professionista non si potesse trovare, perché la sua professione in realtà era intrisa di umanità e di sapienza che veniva anche dal suo grande amore di Dio. Io credo che oggi noi, come religiosi, abbiamo proprio questo da imparare da lui: non può che essere il nostro continuo riferimento e compagno di viaggio”.

Gli ultimi anni di vita arrivano presto per Riccardo Pampuri. Pleurite e febbre lo scavano, lui continua il suo lavoro nell’ambulatorio dentistico con lo stile di sempre: nessuna pausa perché neanche le malattie aspettano. “Se il Signore mi lascia, sto qui volentieri, se mi toglie, vado volentieri da Lui”, dice a tanti. E quell’incontro avviene, il primo maggio di 76 anni fa, a 33 anni.

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In un libro di Pasquale Ferrara la “geopolitica” del Papa

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E’ un volume che affronta a tutto tondo i nodi cruciali dell’attività internazionale di Papa Francesco, quello scritto da Pasquale Ferrara, diplomatico di carriera e docente di Diplomazia alla Luiss di Roma e all’Istituto universitario “Sophia” di Loppiano. “Il mondo di Francesco. Bergoglio e la politica internazionale” è il titolo del saggio appena pubblicato dalla San Paolo, porta la prefazione del ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni. Fatti, viaggi, incontri, iniziative di questi primi tre anni di Pontificato evidenziano il forte ruolo di Francesco sullo scenario mondiale, ma che cosa c’è di peculiare nel suo approccio alle sfide planetarie poste dal nostro tempo? Adriana Masotti lo ha chiesto allo stesso Ferrara: 

R. – Ci sono diverse chiavi di lettura. Innanzitutto la questione delle periferie, cioè guardare il mondo dal basso, non dall’alto, non dai centri di potere. Questo spiega tante cose: spiega, ad esempio, il viaggio a Lampedusa, quello a Lesbo. La seconda questione è mettersi nelle fratture, nelle criticità del mondo contemporaneo per svolgere un ruolo possibilmente in funzione di una riconciliazione.

D. - Ma è corretto affermare che il Papa fa politica estera? Sappiamo che Francesco è molto attento nei suoi rapporti con le autorità, con i politici …

R. - Il Papa non fa politica nel senso comune del termine, soprattutto non fa politica estera, perché quest’ultima è propria degli Stati. Certo, c’è anche lo Stato del Vaticano, ma questo c’entra poco con la proiezione mondiale di Francesco. La prospettiva è proprio quella della famiglia umana universale da rendere, però, concreta. Quando si passa dalle dichiarazioni di principio alle azioni concrete non sempre le questioni sono semplici e per molti aspetti Papa Francesco è anche un Papa “scomodo”; la sua è una dimensione che non utilizza i canoni della prudenza diplomatica, al contrario utilizza quella che si chiama “parresia”, cioè dire forte e chiaro quello che si pensa indipendentemente poi da come questo viene letto, spesso poi in modo strumentale.

D. - Un’altra cosa che colpisce nello sguardo del Papa alle cose del mondo è che certamente usa le parole, ma organizza, inventa dei gesti. Ad esempio, la Giornata di preghiera per la Siria, oppure l’incontro tra leader palestinesi e israeliani in Vaticano, il suo andare in Centrafrica e l’ultima cosa, portare con sé da Lesbo alcune famiglie migranti …

R. – Sì, sicuramente la lista è molto lunga. Per esempio, l’apertura della Porta Santa a Bangui è un gesto di grandissimo significato politico, come a dire, se l’idea è quella di rendere operativa la Misericordia, la comunichiamo proprio dal cuore di un continente che è stato martoriato. Altrettanto importante è il fatto che i siriani che sono stati portati da Lesbo in Vaticano sono musulmani. Questo sta a sottolineare il fatto che i cristiani non si preoccupano solo di altri cristiani, ma ai cristiani sta a cuore la dignità e la preservazione della vita di tutte le persone che soffrono per un conflitto.

D. - Venendo al suo libro “Il mondo di Francesco”, qual è la tesi di fondo? Che cosa vuole essere?

R. - Innanzitutto non è il libro di un vaticanista. Piuttosto è il libro di un osservatore esterno delle relazioni internazionali che vede questo attore mondiale, Papa Francesco, operare su una scena molto complessa come quella del mondo contemporaneo. Quindi l’idea è quella di identificare delle linee guida che ormai sono abbastanza chiare. Sicuramente, come dicevo prima, la questione delle periferie; il discorso dei muri, quelli fisici, quelli culturali e politici; la riflessione sulla guerra e sulla pace. Il Papa parla della “Terza Guerra mondiale a pezzi”, un’altra metafora molto potente.

D. - Lei poi scrive che questo non è un libro celebrativo, perché intende anche segnalare alcune problematiche, alcune conseguenze magari di questo modo di affrontare le sfide del mondo …

R. - Infatti parlavo prima di questa libertà del Papa di dire esattamente quello che pensa, è un Papa che non ha paura di assumersi le proprie responsabilità, non in un modo antagonistico, ma in modo dialogante e ben argomentato. Il fatto che il Papa, ad esempio, sia andato negli Stati Uniti e abbia detto forte e chiaro che il capitalismo contemporaneo così com’è non funziona, ha creato certamente qualche mal di pancia. Quindi posizioni molto chiare e molto precise che non sempre trovano il consenso.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: colloqui in corso per ripristinare la tregua

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Come ha ricordato il Papa al Regina Caeli, in Siria diventa sempre più urgente ripristinare la sospensione delle ostilità. I raid governativi sulla città di Aleppo in questi giorni hanno provocato centinaia di vittime. La Russia ha fatto sapere che sono in corso colloqui per raggiungere questo obiettivo, dopo il pressante appello degli Stati Uniti per fermare i bombardamenti nell’area condotti dall’esercito siriano. Washington ha ribadito l’intenzione di rilanciare gli sforzi internazionali per ristabilire la tregua raggiunta lo scorso 27 febbraio, grazie alla mediazione della Russia. Per l’amministrazione Usa gli attacchi di questi giorni rappresentano una violazione degli accordi e devono essere fermati immediatamente: ne ha parlato il segretario di Stato John Kerry, prima di partire per Ginevra. (E.B.)

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Iraq: nuovo sanguinoso attentato a sud di Baghdad

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In Iraq almeno 18 morti per un doppio attentato avvenuto stamattina nella città sciita di Samawh, a sud di Baghdad. L’episodio arriva all’indomani delle massicce proteste nella capitale, dove i sostenitori del leader sciita Moqtada al Sadr hanno invaso la cosiddetta 'zona verde', occupando per sei ore il Palazzo del Parlamento. In un comunicato le autorità locali hanno fatto sapere che la situazione è tornata "sotto il controllo delle forze di sicurezza". Il premier al Abadi ha chiesto di arrestare i responsabili delle manifestazioni, avvenute dopo che la Camera non è riuscita ad approvare le riforme programmate e a nominare i ministri tecnici presentati dallo stesso premier. (E.B.)

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Migranti: sei Paesi Ue chiedono di prolungare controlli alle frontiere

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Nel Canale di Sicilia si intensificano le operazioni di soccorso di migranti. La notte scorsa la Guardia Costiera ha tratto in salvo 249 persone che si trovavano a bordo di un’imbarcazione mentre è salito ad almeno 84 il numero dei dispersi nel naufragio di un barcone al largo di Sabratah, in Libia. Il premier italiano Renzi ha proposto un “Patto per l'Africa” per affrontare alla radice il fenomeno immigrazione. Sei Paesi Ue - Germania, Francia, Austria, Belgio, Danimarca e Svezia - sono pronti a chiedere alla Commissione europea un prolungamento di altri sei mesi dei controlli alle frontiere. (E.B.)

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Iran: confermata maggioranza dei riformisti in Parlamento

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Risultati ufficiali in Iran per il secondo turno delle elezioni legislative di venerdì. I riformisti, sostenitori del presidente Hassan Rohani, hanno vinto le consultazioni e potranno contare su una maggioranza relativamente sicura tra i 290 deputati del Majlis, il Parlamento iraniano. Erano in gioco 68 seggi in 21 province dove, nel voto nazionale del 26 febbraio scorso, nessun candidato aveva raggiunto il quorum minimo. Intanto, il Parlamento uscente - dominato dai conservatori e in carica fino al prossimo 27 maggio - ha approvato nelle ultime ore una nuova legge per aumentare la capacità balistica del Paese, secondo quanto annunciato dall’agenzia di stampa ufficiale Irna. Il testo parla di misure per “sviluppare le capacità anti-aeree di corto, medio e lungo raggio”. (G.A.)

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Il Senegal si prepara al pellegrinaggio di Popenguine

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“Come Maria, siamo testimoni della misericordia divina”: questo il tema scelto dalla Conferenza episcopale del Senegal per il tradizionale pellegrinaggio al Santuario mariano di Popenguine. L’evento si terrà dal 14 al 16 maggio prossimi e sarà concluso da una Messa solenne presieduta da mons. Jean Noël Diouf, vescovo di Tambacounda.

Pellegrinaggio, segno peculiare del Giubileo
Il tema scelto, informa una nota, si iscrive naturalmente nell’ambito del Giubileo straordinario della misericordia indetto da Papa Francesco ed in corso fino al 20 novembre. Ed in effetti, come scritto dal Pontefice nella “Misericordiae Vultus”, la bolla di indizione dell’Anno Santo, ”il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata”. 

Attesi fedeli anche da Gambia, Guinea Bissau, Mali e Mauritania
In quest’ottica, dunque - prosegue la nota - “i fedeli cattolici del Senegal, in comunione con quelli di Gambia, Guinea Bissau, Mali e Mauritania, si metteranno in cammino per raggiungere l’insostituibile scuola della Vergine Maria, Madre di Misericordia”, così da “ispirarsi al suo esempio per essere veri testimoni della Divina Misericordia nei rispettivi Paesi ed in tutto il mondo”.

Iniziativa antichissima, istituita nel 1888
Da ricordare che il pellegrinaggio mariano a Popenguine ha origini antichissime: è stato istituito, infatti, nel 1888, su iniziativa di mons. Mathurin Picarda, all’epoca vicario apostolico di Senegambia. In origine, l’iniziativa mirava ad essere un segno di omaggio a Notre Dame de la Délivrance, particolarmente venerata a Caen, in Francia, diocesi natia di mons. Picarda. Ma oggi l’evento rappresenta anche un importante momento di dialogo interreligioso, poiché ad esso partecipano anche molti musulmani. (I.P.)

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Portogallo: incontro nazionale dei laici su ecologia integrale

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“Nulla ci è indifferente - tra la terra e il cielo”: su questo tema, il prossimo 7 maggio si svolgerà ad Evora, in Portogallo, il terzo incontro promosso dalla Conferenza nazionale dell’Apostolato dei laici. Tra i numerosi dibattiti previsti - riferisce l’agenzia Sir - Miguel Oliveira Panão coordinerà “un laboratorio dedicato all’ecologia ambientale, economica e sociale”, che vedrà la partecipazione di cattedratici dell’Istituto superiore di agronomia, della Universidade Aberta di Lisbona e dell’Università Cattolica portoghese.

Sostenibilità si basa su armonia tra economia, società e ambiente
“La definizione classica di sostenibilità si regge su tre pilastri fondamentali: l’economia, la società e l’ambiente; noi cercheremo di evidenziare e armonizzare le relazioni che intercorrono tra essi”, ha spiegato il moderatore in una nota di presentazione del proprio laboratorio. “Avremo l’intervento di specialisti che parleranno con autorità dei diversi argomenti - ha aggiunto - ma dietro tale competenza siamo interessati a mettere in luce anche le nostre storie personali e il rapporto che esiste tra noi come individui e quello che studiamo”.

Uomini sono figli del cielo e della terra
“Gli uomini sono figli della terra in quanto esseri naturali - ha concluso il prof. Panão - ma anche figli del cielo, in quanto creati e figli dello stesso Padre: il nostro incontro nazionale cercherà quindi di evidenziare esattamente questo stretto legame”.

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Si rinnova Rádio Nova di Capo Verde

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Dopo 24 anni di attività, Rádio Nova, un’emittente cattolica voluta e realizzata dal segretariato delle Missioni di Torino come mezzo di apostolato per la gente dell’Arcipelago di Capo Verde, sarà completamente rinnovata. Da radio privata, gestita e diretta dai Frati minori cappuccini della Custodia capoverdiana, l’emittente diventerà la voce ufficiale della Chiesa cattolica, che aprirà un nuovo studio a Praia, capitale della nazione, rinnovandone l’intero palinsesto, pur tenendo conto dei programmi che la vecchia gestione ha mandato in onda con notevoli successi. Il delicato passaggio sarà accompagnato da due tecnici brasiliani della rete di Comunicação Canção Nova do Brasil già sul posto e pronta ad affiancare alla radio uno studio televisivo, previa approvazione da parte  del governo nazionale. La storia di Rádio Nova è quanto mai interessante sia per le difficoltà superate per coprire l’interro territorio isolano (4.033 kmq), estremamente accidentato ed esposto a micidiali agenti atmosferici, propri delle isole oceaniche (sono stati installati sette ripetitori nelle varie isole), sia per i programmi che, per quasi un quarto di secolo e per 24 ore su 24,  hanno accompagnato, guidato e sostenuto la vita cattolica degli abitanti che hanno preferito sintonizzarsi sulla sua lunghezza d’onda, piuttosto che su quelle emittenti di carattere politico o commerciale, grazie anche al suo quotidiano collegamento con i programmi in lingua portoghese della la Radio Vaticana (A cura di P. Egidio Picucci).

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Stati Uniti: il 22 maggio è la Giornata di preghiera per i marittimi

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“Offrire l’opportunità di incontrare la misericordia di Dio ai nostri fratelli e sorelle marittimi e pescatori, che trascorrono la maggior parte dell’anno lontano dalle loro famiglie, in alto mare, a volte di fronte a situazioni di pericolo”: così mons. Kevin Boland, vescovo emerito di Savannah, in Georgia, e promotore dell’Apostolato del mare negli Stati Uniti, spiega il significato della Giornata nazionale di preghiera e commemorazione dei marittimi. L’evento verrà celebrato il 22 maggio, in concomitanza con la Giornata nazionale della Marina americana, che si festeggia dal 1933.

Preghiera a Maria, Stella Maris
“In questo Anno Santo della Misericordia - sottolinea mons. Boland - possiamo accompagnare i nostri fratelli e sorelle in mare, con i loro bisogni spirituali, le loro gioie e le loro prove di vita, in modo che possano anche crescere nella fede e nella comprensione dell’amore di Dio”. In preparazione alla Giornata, a partire dal 20 maggio, verranno celebrate a Washington numerose Messe: mons. Boland incoraggia pure le singole diocesi del Paese a ricordare la ricorrenza, pregando in particolare la Beata Vergine Maria con il titolo di  “Stella Maris”.

1,2 milioni i marittimi al mondo che operano su 10mila imbarcazioni
Indetta nel 2005 per incoraggiare i fedeli statunitensi a ricordare e pregare per i tutti i marittimi, la Giornata è organizzata dall’Apostolato del mare, organo della Commissione episcopale per la Pastorale dei migranti e dei rifugiati. L’Apostolato è attualmente attivo in 48 diocesi degli Usa e in 53 porti di 26 Stati del Paese, con una rete composta da 92 cappellani, sacerdoti, religiosi, diaconi e laici. Da ricordare, infine, che attualmente nel mondo il 90% dei beni viene trasportato via mare, i marittimi sono 1,2 milioni ed operano su 10 mila imbarcazioni. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 122

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.