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Sommario del 02/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco ai Mercedari: Spirito spinge a riscattare poveri e oppressi

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Un inviato di Dio sa avvicinarsi alle periferie della povertà “libero da bagagli”, perché “lo Spirito è un vento leggero” ed è Lui che dà forza alla missione di un evangelizzatore. È uno dei pensieri che Papa Francesco ha rivolto alla delegazione dei Padri Mercedari, ricevuta in udienza in Vaticano in occasione del Capitolo generale dell’Ordine, giunto agli 800 anni di vita. Il servizio di Alessandro De Carolis

“Certo, c’è molto da ricordare e ci fa bene ricordare”. Non però per mettere in parata le glorie del passato, ma per capire in questo arco di tempo su quali strade abbia camminato il carisma – giuste, sbagliate – e prendere coraggio e ispirazione per fare altrettanto nelle periferie del presente.

Ottocento anni, quelli dell’Ordine dei Padri Mercedari, sono moltissimi. Papa Francesco li celebra con intensità stringendosi ai 50 religiosi dell’Istituto che partecipano al Capitolo generale, ricevendoli nella Sala del Concistoro del Palazzo apostolico. Il titolo-guida dell’assise dell’Ordine – “La Mercede: memoria e profezia nelle periferie della libertà” – suggerisce a Francesco un chiarimento. Bene, osserva, “una memoria che evoca le grandi opere compiute in questi otto secoli”. E tuttavia, soggiunge:

“Questa memoria non dovrebbe limitarsi a una mostra del passato, ma deve essere un atto sereno e consapevole che ci permetta di valutare i nostri successi senza dimenticare i nostri limiti e, soprattutto, affrontare le sfide che l'umanità pone (…) La vera vita dell'Ordine va ricercata nel continuo sforzo di adattarsi e rinnovarsi, al fine di dare una risposta generosa alle reali esigenze del mondo e della Chiesa, restando fedeli al patrimonio perenne di cui siete depositari”.

“La nostra professione religiosa è un dono e una grande responsabilità” messo in “vasi di creta”, dunque – ribadisce il Papa – “noi non confidiamo nelle nostre forze, ma ci affidiamo sempre alla misericordia di Dio” e i “pilastri che ci sostengono”, sottolinea, sono “la vigilanza, la perseveranza nella preghiera e la cura della vita interiore”. Solo “con questo spirito” – come indica il secondo vocabolo del titolo-guida – “è possibile parlare realmente di profezia, altrimenti non possiamo”, assicura Francesco. Profeta, soggiunge, è un “inviato” che ha ricevuto “un dono dello Spirito” per servire il popolo di Dio:

“Il profeta sa andare alle periferie, alle quali si avvicina libero da bagagli. Lo Spirito è un vento leggero che ci spinge in avanti. Evocare ciò che mosse i vostri Padri e dove li diresse, ci impegna a seguire i loro passi. Loro furono in grado di restare come ostaggio accanto ai poveri, agli emarginati, agli esclusi della società, per consolarli, soffrire con loro (…) E questo un giorno dopo l'altro, nella perseveranza e nel silenzio di una vita libera e generosamente donata”.

Seguire questi predecessori, prosegue Francesco, è comprendere che, per riscattare i più poveri dalla miseria che li imprigiona, “dobbiamo farci piccoli”, pronti a “proclamare l'anno di grazia del Signore” a “tutti coloro – conclude – cui siamo mandati”:

“I perseguitati a causa della fede e i prigionieri, le vittime di tratta e i giovani nelle scuole, chi attende alle opere di misericordia, i fedeli delle parrocchie e delle missioni che sono state affidate loro dalla Chiesa”.

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Papa: piccole e grandi persecuzioni, prezzo della testimonianza cristiana

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Lo Spirito Santo ci dà la forza di essere testimoni di Gesù anche tra le persecuzioni, quelle grandi in cui si arriva a dare la vita e quelle piccole, le persecuzioni delle chiacchiere e delle critiche: lo ha detto Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Lo Spirito tocca i cuori
Siamo ormai vicini a Pentecoste e le letture ci parlano sempre di più dello Spirito Santo. Gli Atti degli Apostoli riferiscono che il Signore aprì il cuore di una donna di nome Lidia, una commerciante di porpora che nella città di Tiàtira ascoltava le parole di Paolo. Commenta il Papa:

“Qualcosa, questa donna, ha sentito dentro di sé, che la spingeva a dire: ‘Questo è vero! Io sono d’accordo con quello che dice quest’uomo, quest’uomo che dà testimonianza di Gesù Cristo. E’ vero quello che dice!’. Ma chi ha toccato il cuore di questa donna? Chi le ha detto: ‘Sentite, perché è vero’? E’ proprio lo Spirito Santo, che ha fatto sentire a questa donna che Gesù era il Signore; ha fatto sentire a questa donna che la salvezza era nelle parole di Paolo; ha fatto sentire a questa donna una testimonianza. Lo Spirito dà testimonianza di Gesù. E ogni volta che noi sentiamo nel cuore qualcosa che ci avvicina a Gesù, è lo Spirito che lavora dentro”.

La persecuzione è il prezzo della testimonianza cristiana
Il Vangelo parla di una doppia testimonianza: quella dello Spirito che ci dà la testimonianza di Gesù e della nostra testimonianza. Noi siamo testimoni del Signore con la forza dello Spirito. Gesù invita i discepoli a non scandalizzarsi, perché la testimonianza porta con sé le persecuzioni. Dalle “piccole persecuzioni delle chiacchiere”, delle critiche, a quelle grandi, di cui “la storia della Chiesa è piena, che porta i cristiani nel carcere o li porta perfino a dare la vita”:

"E’ – dice Gesù – il prezzo della testimonianza cristiana. ‘Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà, crederà di rendere culto a Dio’. Il cristiano, con la forza dello Spirito, dà testimonianza che il Signore vive, che il Signore è risorto, che il Signore è fra noi, che il Signore celebra con noi la sua morte, la sua risurrezione, ogni volta che ci accostiamo all’altare. Anche il cristiano dà testimonianza, aiutato dallo Spirito, nella sua vita quotidiana, col suo modo di agire. E’ la testimonianza continua del cristiano. Ma tante volte questa testimonianza provoca attacchi, provoca persecuzioni”.

Far conoscere Gesù non tanto con le parole quanto con la testimonianza
“Lo Spirito Santo che ci ha fatto conoscere Gesù – conclude il Papa - è lo stesso che ci spinge a farlo conoscere, non tanto con le parole, ma con la testimonianza di vita”:

“E’ buono chiedere allo Spirito Santo che venga nel nostro cuore, per dare testimonianza di Gesù; dirgli: Signore, che io non mi allontani da Gesù. Insegnami quello che ha insegnato Gesù. Fammi ricordare quello che ha detto e fatto Gesù e, anche, aiutami a portare la testimonianza di queste cose. Che la mondanità, le cose facili, le cose che vengono proprio dal padre della menzogna, dal principe di questo mondo, il peccato, non mi allontani dalla testimonianza”.

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Altre udienze di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, l’arcivescovo Piero Marini, presidente del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali, i membri della Presidenza del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (Ccee), e il prof. Victor García de la Concha, direttore dell'Istituto Cervantes.

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Le persone di strada di tutta Europa incontrano Papa Francesco

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Il prossimo novembre migliaia di persone, che hanno vissuto o che vivono in strada, verranno da tutta Europa per incontrare Papa Francesco a una settimana dalla chiusura del Giubileo della Misericordia. Il Papa li riceverà l’11 novembre, memoria di San Martino di Tours, celebre per aver dato metà del suo mantello ad un mendicante, quando era ancora pagano e soldato dell’Impero Romano. Da quell'incontro scaturì la sua conversione. Francesco dona spesso ai capi di Stato e di governo una medaglia raffigurante il gesto del santo per ricordare la necessità di promuovere i diritti e la dignità dei poveri. Domenica 13 novembre i senza fissa dimora parteciperanno alla Messa presieduta dal Papa.

Organizza l’evento l’Associazione “Fratello”. “Questo tempo di pellegrinaggio e di incontro con Papa Francesco - si legge in un comunicato dei promotori - consentirà alle persone più fragili della nostra società, spesso in situazione di esclusione, di scoprire che il loro posto è nel cuore di Dio e al centro della Chiesa”.

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Papa, tweet: il problema del lavoro è grave

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Il problema del lavoro è grave, per gli alti livelli di disoccupazione giovanile, e perché a volte il lavoro stesso non è dignitoso”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Situazione disperata: al Regina caeli dedicato allo Spirito Santo il Papa lancia un nuovo appello per la Siria.

La Shoah delle donne: Anna Foa sul campo di concentramento di Ravensbruck.

Giubilei dal basso e dall'alto: il prefetto Sergio Pagano sulle bolle custodite nell'Archivio segreto vaticano.

Per grazia ricevuta: l'arcivescovo Tommaso Caputo su una mostra dedicata alla devozione religiosa a Pompei antica e moderna.

Il primo angolo di pace: messa del cardinale segretario di Stato per il giubileo dei militari.

Il mensile "donne chiesa mondo" è dedicato alla Visitazione.

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Oggi in Primo Piano



Mons. Warduni: in Iraq sempre peggio, ma il mondo è indifferente

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E' salito ad almeno 31 morti il bilancio ancora provvisorio del duplice attentato compiuto con due autobomba esplose ieri a pochi minuti l'una dall'altra a Samawah, città a maggioranza sciita a Sud di Baghdad, rivendicato dall'Is. Secondo l’Onu nel solo mese di aprile sono state uccise in Iraq almeno 741 persone, mentre nel mese di marzo le vittime della violenza erano state addirittura 1119. Cifre terribili e tuttavia la situazione in Iraq sembra quasi essere scomparsa dagli schermi della comunità internazionale. A denunciarlo è il vescovo ausiliare di Baghdad dei caldei, mons. Shlemon Warduni, raggiunto telefonicamente in Iraq da Alessandro Gisotti

R. – O succede una cosa gravissima e allora se ne parla oppure non se ne parla. La situazione in Iraq - lo abbiamo sempre detto - continua a peggiorare: risolviamo un problema ed ecco che ne viene fuori un altro, più grande. Siamo andati giù, sempre più giù, finché non è arrivato l'Is. Abbiamo sempre gridato aiuto, facendo appello all’Europa, all’America, alle Nazioni Unite, implorandole ad agire insieme per poter fare qualcosa per noi, per poter far cessare la guerra… “Potete, per favore. Potete!”: questo è stato il nostro grido!

D. – La Chiesa denuncia anche gli interessi che sono dietro a questa violenza…

R. – La questione riguarda solo gli interessi: le armi! Se l’Europa, l’America e le organizzazioni internazionali non vendessero le armi a questa gente, la guerra cesserebbe! Le grandi nazioni dove si concentra il potere: queste vogliono sempre vendere armi e non pensano che ai loro interessi. E quindi poi ci sono gli altri, che non hanno una coscienza, che dicono di agire “in nome di Dio”, ma questo è tutto falso – sono tutte bugie! - perché Dio non vuole che l’amore, non vuole che il bene dell’uomo… Questa gente, invece, mette benzina sul fuoco! Questa gente mette le bombe! E quando scoppiano, come è successo a Samawah, ci sono questi attentati: ce ne sono tanti, tantissimi, ma non se ne parla! Anche noi siamo stanchi di dire, di parlare, di gridare!

D. – La Chiesa dell’Iraq è una Chiesa di martiri: che cosa sta facendo tra mille difficoltà, per dare un po’ di fiducia?

R. – La popolazione ha quasi perso la fiducia, e ciò malgrado il fatto che la Chiesa stia facendo tutto il possibile per aiutare la gente. Per esempio noi della Caritas ogni tanto lanciamo un progetto nuovo per i donatori; e li ringraziamo veramente e preghiamo per loro, perché stanno facendo tanto per noi, e davvero con uno spirito di carità e di amore cristiano. E cosa può fare la Chiesa? Noi cerchiamo di parlare dappertutto, di chiedere aiuti… Gli aiuti veramente non mancano, cominciando dal Santo Padre fino ad arrivare agli ultimi: i poveri cristiani, che cercano di fare il bene per gli altri, per dire a Gesù: “Ecco, noi ti abbiamo servito nei nostri piccoli fratelli”.

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Tregua violata in Siria: ancora bombe su Aleppo

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L’appello del Papa per la Siria è stato raccolto dal delegato Onu Staffan de Mistura che ha annunciato una settimana decisiva per i colloqui di pace. Il Segretario di Stato americano, John Kerry, si trova a Ginevra per discutere con l’inviato delle Nazioni Unite le prossime mosse necessarie per salvare il tavolo delle trattative. Domani de Mistura volerà a Mosca per un faccia a faccia con il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, nel tentativo di trovare una mediazione che porti alla fine degli scontri nella regione. Intanto ad Aleppo i bombardamenti delle forze di Assad continuano a mietere vittime: almeno 250 civili sono morti negli ultimi 7 giorni, secondo fonti locali. Sul perdurare delle difficoltà nel raggiungere un compromesso tra opposizioni e il regime di Damasco, Daniele Gargagliano ha raccolto il commento di Stefania Azzolina, del Cesi, Centro Studi Internazionali. 

R. – Gli eventi del fine settimana, con i pesanti bombardamenti di Aleppo, di fatto hanno generato un nuovo impulso affinché si riesca a trovare una soluzione a livello internazionale che poi possa essere proposta anche alle parti in questo momento in causa. Per quanto riguarda la tregua, sono sottoposti a un cessate-il-fuoco, di fatto temporaneo, quindi di 72 ore a partire dallo scorso venerdì, solamente le provincie di Latakia e della regione di Damasco, ma non Aleppo, perché Aleppo in questo momento rappresenta per Assad un obiettivo fondamentale. In primo luogo, perché comunque Aleppo – lo ricordiamo – era la capitale economica del Paese ed è tuttora la città più grande. La ripresa di una delle città fondamentali siriane darebbe ad Assad un forte ritorno d’immagine agli occhi della popolazione. Ben più importante è poi il ritorno sul piano diplomatico perché – appunto – grazie al controllo di Aleppo, Assad sicuramente avrebbe una posizione di forza maggiore al tavolo dei negoziati, controllando di fatto le aree principali, più importanti del Paese.

D. – C’è una forte divergenza tra le parti in campo nel definire le aree interessate al cessate-il-fuoco: Damasco e la diplomazia russa parlano di attacchi contro gruppi di al Nusra nell’area di Aleppo, in quanto si tratterebbe di un territorio escluso dall’accordo Onu. Perché la tregua prosegue ancora a macchia di leopardo?

R. – Questo è un retaggio, una criticità che si è avuta fin dall’inizio della proclamazione della tregua e del cessate-il-fuoco. La volontà qual'era? Era quella di escludere quelle zone e quelle aree controllate da gruppi quali al Qaeda o lo Stato islamico. In realtà, però, la geografia del Paese vedeva di fatto non delle aree precise in cui era possibile individuare territori sotto il controllo dello Stato Islamico o, per esempio, territori sotto il controllo dei gruppi ribelli, come il “Free Syrian Army”. E quindi questo ha reso difficile tracciare linee precise, di zone quindi sottoposte o meno al cessate-il-fuoco.

D. – Il nuovo “round” di colloqui tra opposizioni e regime è previsto il 10 maggio a Ginevra, ma le parti sono di nuovo molto distanti per via – appunto – della mancata tregua. Quali sono le distanze che al momento si trovano al tavolo delle contrattazioni?

R. – La distanza principale consiste proprio nella figura di Assad. I gruppi dell’opposizione siriana vedono come elemento imprescindibile per iniziare una fase di negoziazione l’allontanamento di Assad dalla guida del Paese. Al contrario, Assad stesso non ha in questo momento alcuna intenzione di fare un passo indietro.

D. – Insomma, le distanze non sembrano accorciarsi: anzi …

R. – Ci auspichiamo ovviamente che a un certo punto vi sia l’intervento da parte di tutti quei Paesi esterni – Russia, Stati Uniti, Arabia Saudita, Turchia, Iran – affinché aiutino le rispettive parti nella ricerca di un compromesso.

D. – Nelle scorse ore il Qatar ha lanciato un appello per una riunione d’emergenza della Lega Araba in cui analizzare gli sviluppi sulla situazione ad Aleppo. Quale ruolo può avere la diplomazia araba in questa direzione?

R. – All’interno della stessa Lega Araba – penso, per esempio, all’Arabia Saudita – vi sono comunque delle posizioni meno conciliatorie: infatti, bisogna sempre inserire la crisi siriana nel contesto mediorientale che attualmente vede Arabia Saudita da una parte e Iran dall’altra, utilizzare la crisi siriana come uno dei diversi teatri in cui “testare” la propria capacità di egemonia. Attualmente il regime di Assad è un regime filo-sciita, quindi l’Iran ha tutto l’interesse a far sì che non cambi, l’equilibrio all’interno del Paese. Invece c’è l’Arabia Saudita che, come sappiamo, ha sostenuto i gruppi di opposizione, in quanto vedrebbe di buon occhio l’instaurazione di un regime sunnita all’interno della Siria.

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Nigeria, card. Onaiyekan coinvolto in agguato: non cercavano me

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“Atti simili accadono quasi tutti i giorni, manca un controllo della polizia, ma non si è trattato di una rivendicazione religiosa”: è stato questo il commento del cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, rimasto coinvolto insieme ad altre persone nell'attacco armato avvenuto il 22 aprile scorso lungo la strada Benin-Ekpoma, in Nigeria. I probabili autori dell’azione sarebbero predoni Fulani, un’etnia nomade di pastori che non ha particolari rivendicazioni politiche da avanzare. Il porporato racconta l'accaduto al microfono di Valentina Onori

R. – Per tutta la settimana non ho voluto fare un grande chiasso sull’accaduto perché non avevano preso di mira me. L’auto su cui viaggiavo si trovava sulla strada pubblica assieme a tante altre macchine. Siamo finiti in mezzo agli attacchi che fanno ogni tanto a caso. Come si dice, eravamo nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Comunque, non è stata attaccata solo la macchina su cui viaggiavo ma anche le altre perché quella non è una strada deserta. Si tratta di una strada principale con un traffico abbastanza intenso.

D. – Eravate insieme ad altre persone. Non è stato un attacco mirato a lei

R. - Sì, sì. Era una strada pubblica che collega dei centri importanti. Quindi, non si tratta di una strada deserta. Nel punto in cui è stato compiuto l’attacco c’erano tante macchine: la mia macchina è stata colpita, anche un’altra è stata colpita, forse in modo peggiore perché sono rimasti feriti due o tre passeggeri. Noi siamo riusciti a scappare. L’autista che guidava la macchina su cui viaggiavo ha inserito la retromarcia per scappare e non dare loro la possibilità di trovarci. La macchina è stata colpita, ma nessun passeggero è stato ferito. Eravamo in quattro. Alla fine siamo riusciti a  continuare il viaggio insieme ad una scorta di polizia armata. A quel punto i malviventi erano già spariti tra i boschi.

D. – Sono frequenti questi attacchi in Nigeria?

R. – Questi fatti sono frequenti. Due o tre settimane fa la macchina su cui viaggiavano due o tre sacerdoti è stata attaccata, un sacerdote è rimasto gravemente ferito. Forse questo è accaduto per attirare l’attenzione delle forze e delle autorità pubbliche. C’è bisogno di portare maggiore sicurezza tra le strade, perché quello che è accaduto a me, accade spesso. Questo significa che non è impossibile individuare quelli che compiono questi atti e fermarli.

D. – Si dice che siano i predoni Fulani, un’etnia nomade di pastori…

R. – Non abbiamo visto nessuno, abbiamo solamente sentito il “pam, pam, pam” del fucile e visto la pallottola che si conficcava nella macchina. Non ho visto le persone. Potrebbero essere loro, potrebbero essere altri tipi di malviventi, ma alla fine dei conti l’unica cosa certa è che la strada non è sicura. Non possiamo andare sempre in giro con la scorta armata! Non è questo il modo di vivere!

D. – Ma dietro questi atti violenti nei suoi confronti e della gente comune, quali rivendicazioni ci sono?

R. – Queste cose accadono da tanti mesi, ma adesso in modo particolare con il mio caso ed altri due molto clamorosi si inizia finalmente a parlare di come mettere in sicurezza il Paese, di quali soluzioni individuare per questi gruppi di fulani itineranti che vanno in giro armati di fucili con le loro mandrie di mucche: è diventata una questione di dibattito nazionale.

D. – Loro che cosa chiedono?

R. – Non lo sappiamo. A volte, si tratta di persone che vogliono la strada libera per far mangiare le loro mucche sui campi seminati dagli agricoltori. Non sappiamo se vogliono altro oltre questo. Altre volte si tratta semplicemente di criminali che arrivano addirittura a rapire le persone per chiedere un riscatto in denaro. È tutto un insieme di indicazioni. Ma non vedo in questo una chiara rivendicazione politica. Non credo che mi abbiano preso di mira, non sapevano chi fossi in mezzo a tutto quel disordine. Anzi, immagino che quanto accaduto sia per loro imbarazzante, perché finora hanno attaccato tante persone senza sollevare rumore.

D. – Pensa che sia anche un atto religioso?

R. – No, non vedo questo perché in mezzo a tutte quelle auto che percorrevano la strada quel giorno nessuno sapeva chi fosse musulmano o chi fosse cristiano. Si è trattato di un atto criminale.

D. – Succede ogni giorno?

R. - Quasi ogni giorno. Quasi ogni giorno in una strada o in un’altra. Se la polizia avesse la possibilità e le risorse, potrebbe avere il modo di liberare la strada rendendola libera e sicura per noi viaggiatori. È possibile perseguire questa gente, scoprire da dove vengono, come si organizzano affinché noi siamo liberi.

D. – Com’è la situazione politica in Nigeria?

R. – È passato ormai un anno dalle elezioni. Il partito vincente, una coalizione di oppositori, sta ancora cercando una strada. Purtroppo, non vedo abbastanza volontà da parte del governo di lavorare insieme per unire il Paese. C’è ancora troppo senso di divisione e di polarizzazione nel Paese. I nostri problemi sono abbastanza gravi.

D. – Secondo lei, perché accadono questi fatti di cui lei è stato vittima?

R. – La ragione è semplice. In Nigeria ci sono tante persone arrabbiate, che hanno fame, che non trovano lavoro. La disoccupazione è terribile. Allora, trovarsi in un gruppo criminale è molto facile. È la stessa ragione per cui Boko Haram nel nordest del Paese non ha avuto nessun problema a reclutare tante persone per i loro atti di terrorismo.

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Usa-Cuba, riparte il turismo culturale, crociera da Miami a L'Avana

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Dopo la riapertura delle relazioni politiche tra Stati Uniti e Cuba, anche il turismo culturale unisce i due Paesi. Per la prima volta da decenni, una nave carica di turisti è partita dal porto statunitense di Miami, per una storica crociera di sette giorni a Cuba: rotta sull'Avana e soste anche a Cienfuegos e Santiago. Si tratta della "Adonia", della compagnia "Carnival Cruise", che ha annunciato di avere in programma crociere ogni due settimane da Miami a Cuba, facendo seguito all'impegno dell'amministrazione Obama di incrementare il turismo verso l'isola dei Caraibi, dopo la decisione del 17 dicembre 2014 di ristabilire relazioni diplomatiche tra Washington e l'Avana. A bordo, tra i 704 passeggeri, ci sono anche diverse persone nate a Cuba. All'inizio, la Carnival aveva fatto sapere che non avrebbe imbarcato turisti di origine cubana, a causa del divieto imposto dall'Avana,  ma a seguito delle proteste della comunità cubana negli Stati Uniti, che avevano intentato una causa per discriminazione, il governo di Raoul Castro ha revocato il divieto lo scorso 22 aprile. Sul significato di questo viaggio, Elvira Ragosta ha intervistato Sergio Fabbrini, docente di Relazioni Internazionali alla Luiss: 

R. – La distanza tra Stati Uniti e Cuba è una distanza che ormai non è più giustificabile: la partenza della nave da Miami, l’epicentro della resistenza e della ribellione al regime castrista, dimostra che gli Stati Uniti e Cuba sono avviati verso degli accordi di amicizia, culturali innanzitutto, e anche soprattutto di tipo commerciale, in un futuro molto vicino.

D. – Questa crociera che avrà, sembra, cadenza bisettimanale prevede tre tappe – L’Avana, Cienfuegos e Santiago de Cuba – con incontri culturali, incontri con artisti, ma anche con imprenditori. Allora, si può parlare di ripresa del turismo culturale? E cosa aspettarsi per la ripresa del turismo “tout court” da parte degli Stati Uniti verso Cuba?

R. – La soluzione del turismo culturale è uno stratagemma per avviare il processo e renderlo intanto possibile. In realtà, le 700 persone che vanno a Cuba rompono un muro che era stato eretto tra l’isola e il continente. La motivazione ufficiale è che vanno a imparare la danza, ma avranno incontri anche culturali. Nei fatti, tuttavia, si può dire che quel muro non è più così insuperabile. C’è un problema di fondo: gli Stati Uniti hanno una linea di politica estera che è quella sostenuta dall’amministrazione e quest’ultima vuole andare verso il superamento dell’embargo economico nei confronti di Cuba. C’è tuttavia una resistenza da parte di settori fortissimi, in particolare nel Senato, ma anche nella Camera dei rappresentanti. Questi sono settori fortemente motivati e naturalmente sostenuti dalla comunità cubana americana che vive ancora nella logica della Guerra Fredda: del muro contro muro. E quindi, questi settori renderanno difficile il superamento dell’embargo in tempi ravvicinanti. Probabilmente, moltissimo dipenderà anche da come evolverà la situazione politica in America dopo le elezioni di novembre.

D. – Cosa possiamo aspettarci nel futuro prossimo riguardo all’embargo?

R. – Penso che la resistenza dei cubano-americani sia molto indebolita e lo si vede anche nelle primarie del partito repubblicano. Certamente, una presidenza Trump potrebbe complicare molto le cose: con Trump riemergerebbe infatti una politica estera americana molto più aggressiva e antagonistica. Questo ridarebbe di nuovo fiato al gruppo più forte del regime castrista. Quindi, io penso che l’embargo sia sempre meno giustificato: settori importantissimi dell’imprenditoria e anche dell’economia americana sono contro l’embargo da tempo.

D. – Professore, abbiamo visto il valore simbolico, politico, economico di questo viaggio, di questa prima crociera. Ma dal punto di vista sociale, per i cubani di Cuba, cosa rappresenta questo viaggio?

R. – Rappresenta l’apertura, l’uscita dall’autarchia, lo sguardo sulle possibilità di entrare in un mondo molto più integrato. C’erano delle ragioni che avevano motivato la rivoluzione all’inizio e il malessere contro gli Stati Uniti: quello americano in passato è stato un vero e proprio colonialismo dell’isola. Tuttavia, quelle buone ragioni si sono perse per strada e sono invece diventate l’occasione per formare un regime prima illiberale e poi dittatoriale. Non è stata consentita la libertà di opinione, coloro che avevano opinioni diverse venivano arrestati. Non c’era una stampa libera. Certo, si garantivano i servizi sanitari, una scuola elementare per tutti, ma insomma: la libertà è cruciale. Una popolazione non si conquista solamente facendo funzionare gli ospedali, ma è richiesta anche una libertà di opinione, un funzionamento delle università, delle scuole, e un dibattito pubblico. Insomma, oggi chiunque abbia visitato l’isola si rende conto di quanto i cubani abbiano bisogno di far parte del mondo, di rientrare nel mondo. Solamente la Corea del Nord è rimasta fuori da questo mondo. Era insensato che un’isola, a pochi miglia dagli Stati Uniti, continuasse a vivere in un frigorifero. Secondo me, su un piano sociale è la rinascita di quel Paese che ha tante potenzialità, tante possibilità.

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Terra Santa: dialogo tra i popoli attraverso lo sport

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Lo sport al servizio del dialogo in Terra Santa. L’iniziativa parte dall’intesa siglata a Gerusalemme tra Patriarcato latino e Fondazione Real Madrid, attraverso la quale l’omonima compagine calcistica spagnola promuove attività sociali e culturali di integrazione. L’obiettivo è quello di rilanciare i valori positivi dello sport tra gli studenti, attraverso la formazione degli allenatori. Il progetto è già presente in quattro scuole del Patriarcato e viene ora esteso ad altri nove istituti in Palestina, Israele e Giordania. Giancarlo La Vella ne ha parlato con mons. Willam Shomali, vicario generale del Patriarcato: 

R. – In questo piano di formazione i professori, gli insegnanti di sport, sono allenati per insegnare agli allievi, agli studenti i valori positivi dello sport. Questo programma è stato realizzato specialmente nelle zone dove ci sono problemi, dove c’è esclusione e marginalizzazione, conflitti, perché tramite lo sport si possono veramente creare valori positivi di cooperazione, di tolleranza, di lavoro insieme, perché i valori che vengono insegnati mentre si gioca sono molto utili per le persone quando interagiscono tra loro.

D. - Quindi un progetto per creare, attraverso lo sport, il calcio, un dialogo …

R. - Praticamente nelle nostre scuole ci sono musulmani e cristiani. Allora giocare insieme è una forma di dialogo: il giocatore è giocatore, non guarda se è musulmano o cristiano. Studenti musulmani o cristiani fanno parte  della stessa squadra, lavorano insieme, imparano ad accettarsi, a collaborare, a giocare insieme, ad amarsi. Quando sono giovani, mentre giocano sul terreno, sarà come una profezia di quello che accadrà quando saranno adulti.

D. - Comunque un messaggio di speranza per allargare questa iniziativa a tutto il territorio, un territorio che ha bisogno di dialogare, ha bisogno di pace …

R. - Veramente. Speriamo che tramite lo sport e anche la musica  –  anche questa strumento di pacificazione -, l’arte ci sia più ravvicinamento tra i due popoli. Lo sport può essere uno strumento di dialogo, di pace, di tolleranza, anche di perdono, perché bisogna perdonare sul terreno quando c’è un’offesa. Saper scusarsi, saper chieder perdono: sono valori umani, mondiali e cristiani. Tramite lo sport sono sicuro che uno studente possa diventare più umano e un cristiano diventare più cristiano.

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Pedofilia. Meter: omertà è cattiveria infame

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 In Italia proseguono le indagini sull’omicidio della piccola Fortuna, la bimba di sei anni precipitata nel 2014  da un palazzo nel Parco Verde di Caivano. Il presunto assassino, accusato di aver abusato della bambina è stato aggredito nelle ultime ore dai suoi compagni di cella nel carcere di Poggioreale. Intanto i familiari di Fortuna chiedono di far luce sulla morte di un altro bambino,  precipitato 3 anni fa dallo stesso edificio. Si sospetta l’esistenza di una rete di pedofili. Di ieri le forti parole del Papa: “Dobbiamo difendere i minori e dobbiamo punire severamente gli abusatori”, ha detto Francesco rivolto all’Associazione "Meter". Al microfono di Paolo Ondarza ,il portavoce Antonino D’Anna: 

R. – Noi abbiamo una forte gratitudine nei confronti del Papa per l’attenzione che ci rivolge ogni anno, così come ha fatto il Papa emerito Benedetto XVI che ha il merito di essere stato il primo ad intraprendere una forte lotta contro la pedofilia. Ci ha dato un’energia, una carica pazzesca ad andare avanti.

D. – “Difendere i minori e punire severamente i colpevoli”. Sono parole molto forti quelle del Papa…

R. - Più chiaro di così! Un Papa che ha avuto il coraggio di dire che chi compie atti di pedofilia sta facendo una messa nera … È un uomo che ha le idee molto chiare. Nel passato, nella chiesa cattolica  - questo purtroppo lo dobbiamo ammettere - c’è stato chi non ha saputo gestire l’emergenza pedofilia perché non sapeva davvero cosa fare. C’è stata proprio una mancanza di preparazione. Ma davanti alle parole chiare di Benedetto XVI, fino all’uscita di ieri di Papa Francesco, mi sembra che la Chiesa abbia assunto una posizione più che chiara di tutela e di protezione dell’infanzia.

D. - Le parole del Papa arrivano in un momento in cui in Italia si sta guardando all’orrore della storia della piccola Fortuna Loffredo; una storia caratterizzata dal silenzio, dall’omertà di tanti adulti …

R. - Intanto facciamo una precisazione doverosa, perché noi siamo comunque davanti a indagati ma anche presunti innocenti fino a sentenza definitiva. Certamente la vicenda della piccola Fortuna dovrebbe interpellarci tutti quanti, perché il problema non è la camorra; il problema non è che dove non c’è la criminalità organizzata lo sfruttamento pedopornografico o pedofilico non avvenga. La pedofilia è un fenomeno paradossalmente democratico perché attraversa tutti gli strati sociali, tutti i tipi di reddito, persino tutti i tipi di religione. Molto spesso queste cose avvengono in buone case borghesi e in luoghi dove gente dall’accento ben educato apparentemente sembra completamente irreprensibile. La cosa più orrenda che li accomuna però è l’omertà, perché Fortuna è stata ammazzata due volte: la prima volta da chi l’ha uccisa e la seconda volta da chi ha taciuto ed ha istigato i bambini a tacere! Questo è un atto di cattiveria infame; tappare la bocca ai bambini: ma che razza di società abbiamo costruito? Non bisogna pensare al fatto che poiché questo è accaduto a Caivano, questo ci tenga lontano dai mostri. I mostri possono essere anche a 50 centimetri di distanza. Personalmente ricordo che al tempo in cui ho scritto con don Fortunato Di Noto il nostro primo libro che si chiamava “Corpi da gioco” nel 2007, c’era un collega che si trovava ad un metro di distanza da me. Era una persona spensierata, molto allegra. Quando gli ho regalato questo libro un bel giorno è venuto da me dicendomi: “ Sai, quando ero bambino un amico di mio padre, che era un professore universitario, ha cercato di violentarmi”..

D. - Quanto racconta evidenzia la difficoltà che si ha ad uscire, a rompere il silenzio da parte delle vittime. Ecco perché diventa ancora più importante che coloro che si trovano intorno alla vittima parlino, denuncino …

R. - Esatto. Noi abbiamo bisogno di adulti che abbiano gli occhi aperti, che parlino con i loro figli, che siano responsabili ad educarli ad un uso responsabile delle nuove tecnologie.

D. - C’è bisogno di adulti di fronte ad una tragedia che – ha detto il Papa – va contrastata “punendo severamente i colpevoli”. Dunque c’è bisogno anche di uno Stato …

R. - Certo, c’è bisogno di uno Stato, però dobbiamo dire una cosa. In Italia, per fortuna, c’è una buona legislazione che punisce i colpevoli e addirittura li persegue se vanno a fare turismo sessuale all’estero. Il problema però non sono né i giudici né gli inquirenti che, anzi, fanno benissimo il loro lavoro. Il problema siamo noi, la società: abbiamo  un dovere di accoglienza e di aiuto a guarire dalla ferite dell’abuso, anche se non si diventa mai ex vittime di abuso sessuale. Abbiamo un dovere di accoglienza. Invece in passato è successo che ad esempio in alcuni Paesi, dopo la giusta e sacrosanta condanna di questo o di quel pedofilo, la famiglia di chi aveva denunciato gli abusi sia stata ostracizzata.

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Crotone in serie A. Mons. Graziani: una bella boccata d’ossigeno

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Crotone è in festa per la storica promozione della squadra cittadina di calcio in serie A. Per la città e per un’intera regione, la Calabria, questo prestigioso traguardo può rivelarsi un’occasione di riscatto. Questa vittoria – sottolinea l’arcivescovo di Crotone e Santa Severina, mons. Domenico Graziani – è “una bella boccata d’ossigeno”. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

E’ la prima volta che la squadra calabrese del Crotone raggiunge la serie A. L’obiettivo iniziale era quello della salvezza ma la formazione rossoblu, soprannominata il Leicester d’Italia in onore del team inglese ormai ad un passo da uno storico titolo in Premier League, ha sovvertito ogni pronostico. La squadra si è rivelata una fucina di talenti. Proprio da Crotone, negli ultimi anni, sono passati alcuni dei giovani italiani più promettenti: tra questi Alessandro Florenzi, una delle colonne della Roma, Danilo Cataldi, difensore della Lazio e Federico Bernardeschi, attaccante della Fiorentina, pronto ad andare ad Euro 2016 con la nazionale italiana. La festa per la promozione è stata scandita dalle note del compianto e celebre cantante crotonese, Rino Gaetano. La sua canzone “Ma il cielo è sempre più blu” è diventata il simbolo di una città che non si arrende nonostante i problemi. La marcia trionfale della squadra di una tra le regioni più povere d’Italia, segnata dal dramma della n’drangheta e dalla piaga della disoccupazione, è infatti un’occasione di riscatto non solo per la città ma per l’intera Calabria.

Ma come si è vissuta questa festa nella città calabrese? Risponde, al microfono di Amedeo Lomonaco, l’arcivescovo di Crotone, mons. Domenico Graziani: 

R. – Si è vissuta con molta semplicità e anche con molto fervore. In fondo, si tratta di fare festa ad una squadra fatta da gente giovane, che è arrivata qui senza grosse pretese. Una società che non poteva neanche contare su chissà quali finanziamenti o su quali risorse. Ma il coraggio dell’allenatore e il coraggio dei giovani in cerca di affermazione hanno determinato questa reazione, che è stata come una bella boccata di ossigeno che ti arriva nei polmoni, che ti fa guardare la vita con occhi diversi e ti dà anche la capacità di prospettare cammini più gioiosi.

D. – In quali altri settori della realtà di Crotone si possono vincere altre scommesse, puntando sempre sui giovani?

R. – Crotone è una città che ha tantissimo. Le potenzialità di Crotone sono moltissime da un punto di vista naturalistico da un punto di vista della bellezza, da un punto di vista del clima, da un punto di vista delle risorse. Quello che manca, qui a Crotone, è immaginare uno slancio più deciso. Bisogna dare alla società il contributo necessario perché questa torni a rigustare la luce.

D. – A proposito di luci, il Crotone l’anno prossimo sarà sotto i riflettori della massima serie di calcio. Quindi sarà una vetrina importante per Crotone, anche un’occasione per ribadire, ancora con più forza, la lotta contro la ‘ndrangheta, una piaga che mina la realtà crotonese e anche quella della Calabria…

R. – Riscoprendo anche quanto sia forte la luce nei confronti delle tenebre. C’è un vizio che a volte potrebbe essere anche coltivato strumentalmente e con fini precisi: quello di esaltare il male, in maniera tale da tarpare le ali e da costruire su questo incantesimo del male la propria irresponsabile passività.

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“Arts for the blind”, l'Ara Pacis fruibile per gli ipovedenti

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L’Ara Pacis accessibile in modo permanente ai non vedenti e ipovedenti in versione polisensoriale. E’ questo il Progetto “Arts for the blind” della Sifi, azienda italiana del settore oftalmico. Il presidente, Fabrizio Chines, ne spiega il funzionamento al microfono di Maria Cristina Montagnaro:

R. – L’esperienza visiva viene tradotta in una esperienza audio-tattile guidata: Un ipovedente o un non vedente può, attraverso una tecnologia particolare, scoprire su un modello in scala ridotta i particolari di un’opera d’arte, ed ascoltare un audioguida specifica all’oggetto o alla porzione di oggetto che tocca con il dito.

D. – Quindi, non si tratta di toccare propriamente l’opera d’arte, ma una riproduzione…

R. – In questo caso, dipenderà molto dall’implementazione del progetto di ricerca. Abbiamo avuto la disponibilità per parte del direttore del Museo di poter rendere disponibile agli ipovedenti, nel caso specifico dell’Ara Pacis, anche un’esperienza diretta sull’opera d’arte. Però, evidentemente questa non è una cosa che si può replicare dovunque, anche per la conservazione delle stesse opere d’arte.

D. – Questo percorso avviene grazie a una particolare tecnologia: ce la può spiegare meglio?

R. – La tecnologia è stata inventata da una "start-up" veneziana attraverso l’impiego di tecnologie identificazione a radio-frequenza. Essa permette di abbinare una prossimità fisica, di un anello che si mette intorno al dito della persona ipovedente o non vedente, con dei sensori che sono localizzati nel modello: quindi, nella riproduzione su scala ridotta, piuttosto che sulla stessa opera d’arte.

D. – Che cosa chiedete alle istituzioni?

R. – Chiediamo di dedicare una parte degli investimenti oggi destinati alle disabilità motorie anche a quelle visive. Con un senso di responsabilità sociale abbiamo voluto dare un finanziamento e un supporto a questa tecnologia innovativa e ci auguriamo che progressivamente essa venga estesa a tutti i monumenti che caratterizzano il nostro Paese, che non è secondo a nessuno per numero e qualità delle opere d’arte.

D. – Quando inizierà questo progetto?

R. – Il progetto è appena iniziato e se ne prevede la conclusione entro il primo trimestre del 2016: in primavera 2016 sarà sicuramente operativo al Museo dell’Ara Pacis per l’appunto. Un ringraziamento ai patrocinatori dell’iniziativa: ovvero lo Iapb (International Association For the Prevention of Blindness); l’Unione Italiana Ciechi di Milano e la Società Oftalmologica Italiana.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria. Vescovi di Aleppo: partecipiamo alla Passione di Cristo

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“Noi siamo figli della Risurrezione, figli della Speranza, e crediamo fermamente che queste sofferenze non andranno a vuoto: sull'esempio dei Santi e dei Martiri, le uniamo con la Passione di Cristo, perché diventino sofferenze santificate e santificanti, per la pace in Siria e la salvezza della nostra città”. Così i vescovi cattolici di Aleppo, in un messaggio rivolto innanzitutto ai propri fedeli, offrono parole di consolazione e speranza agli abitanti della città-martire siriana, di nuovo stravolta dal riacutizzarsi del conflitto che dopo poche settimane di tregua è tornato a infierire sulla popolazione civile, sia nei quartieri controllati dal governo che in quelli dove sono insediate le milizie ribelli, con lanci di artiglieria e bombardamente che hanno colpito anche un ospedale gestito da Medici Senza Frontiere.

Sale a Dio il grido del sangue dei bambini e dei martiri
In un messaggio, ripreso dall'agenzia Fides, i vescovi cattolici di Aleppo rivolgono il loro grido “alle coscienze di chi progetta e chi esegue questa guerra”, implorando ad alta voce “Basta!” per “amor di Dio” e “per misericordia degli uomini”, per “il grido del sangue dei bambini e dei martiri che sale a Dio” e “per le lacrime delle madri in lutto”.

Uno sguardo cristiano alle sofferenze dei propri fratelli nella fede 
Nel delirio di morte e violenza che sommerge Aleppo, i vescovi cattolici esprimono uno sguardo cristiano alle sofferenze dei propri fratelli nella fede e di tutti i propri concittadini, lontano dalle pose interessate di chi usa anche le sofferenze dei cristiani come armamentario strumentale per battaglie ideologiche, o come pretesto di mobilitazioni e campagne impostate in chiave cultural-politica.

I vescovi rinnovano la consacrazione di Aleppo al Cuore Immacolato di Maria
I vescovi di Aleppo invitano tutti a non lasciarsi “vincere dalla tristezza e dalla disperazione”, e suggeriscono che proprio nella loro misteriosa partecipazione alla passione di Cristo le sofferenze dei cristiani di Aleppo fanno percepire a tutto il mondo qualcosa di come accade nella storia il mistero della salvezza annunciata dal Vangelo. “Questo” riferiscono i vescovi nel loro comunicato “è il significato più importante della nostra permanenza ad Aleppo”. In questo orizzonte, i Pastori cattolici della città martire siriana rinnovano la consacrazione di Aleppo al Cuore Immacolato di Maria, a colei “che nelle sue apparizioni a Fatima aveva chiesto la consacrazione del mondo al suo Cuore Immacolato per ottenere la pace”. 

Nel mese di maggio la preghiera del Rosario per la pace in Siria
​In particolare, nel mese di maggio dedicato a Maria, i vescovi chiedono ai cattolici di offrire “preghiere, e specialmente il Rosario, nelle nostre chiese per questa intenzione: convertìti a Dio, e supplicando l'intercessione di Maria Vergine, Regina della pace, mettiamo il nostro Paese, la Siria e la nostra città di Aleppo sotto la Sua protezione”. Dell'assemblea dei vescovi cattolici di Aleppo fanno parte l'arcivescovo siro cattolico Denys Antoine Chahda. l'arcivescovo greco melchita Jean Clément Jeanbart, l'arcivescovo maronita Joseph Tobji, l'arcivescovo armeno cattolico Boutros Marayati e il vescovo caldeo Antoine Audo, insieme al francescano Georges Abou Khazen, vicario apostolico per i cattolici di rito latino. (G.V.)

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Abu Mazen: proteggere la presenza dei cristiani in Medio Oriente

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La tutela della presenza cristiana in Palestina e in tutto l'Oriente “è per noi un compito e una missione”: così il Presidente palestinese Abu Mazen ha ribadito il proprio impegno a far tutto il possibile per onorare tale dovere, a vantaggio dell'unità e del bene comune di tutto il popolo palestinese. Il Capo di Stato arabo ha confermato il suo impegno nel messaggio rivolto ai cristiani in occasione della Pasqua, celebrata ieri dalla Chiese che seguono il Calendario giuliano, vissuta in Palestina come festività nazionale.

Contrastare tutti i tentativi che indeboliscono la presenza dei cristiani in Terra Santa
“Non è un segreto” si legge nel testo diffuso dal leader palestinese “che il destino dei cristiani in Medio Oriente è carico di insidie”, in una spirale che mette a rischio la convivenza, il pluralismo e la libertà religiosa. Per questo – ha rimarcato Abu Mazen – occorre contrastare in ogni modo tutti i tentativi volti a indebolire la presenza dei cristiani autoctoni in Terra Santa.

La comunità cristiana araba di Gerusalemme è una ricchezza
Nel messaggio pasquale, il Presidente palestinese ha voluto sottolineare che la permanenza di una comunità cristiana araba a Gerusalemme è percepita come una ricchezza e un aiuto a vivere in pienezza il pellegrinaggio ai Luoghi Santi anche dai cristiani provenienti da ogni parte del mondo, che visitano la Terra Santa soprattutto in occasione delle solennità liturgiche. Nel testo presidenziale, tra le novità positive registrate negli ultimi tempi riguardo alla presenza cristiana in Terra Santa, il Presidente palestinese ha ricordato l'accordo globale tra la Santa Sede e lo Stato palestinese, firmato il 26 giugno 2015 e entrato in vigore all'inizio del 2016. (G.V.)

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Colombia: guerriglia dell'Eln chiede mediazione della Chiesa

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"Ci è arrivata la richiesta non di essere garanti, ma di accompagnare, quindi saremo presenti per moderare i colloqui, si spera che questo possa servire a renderli più efficaci e ci porti velocemente verso la pace": così mons. Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja e presidente della Conferenza episcopale, ha commentato la richiesta pervenuta alla Chiesa colombiana da parte dell’Eln. L’arcivescovo - riporta l'agenzia Fides - si è espresso alla fine del suo intervento al forum sul Post Conflitto “Impactos Sociales y Empresariales”, svoltosi a Rionegro alla fine della settimana scorsa, al quale hanno partecipato diverse autorità del governo locale e nazionale, oltre ad alcuni diplomatici dei Paesi che si sono offerti come mediatori per la pace fra i gruppi di guerriglia e il governo colombiano.

Chiesa chiede liberazione di tutti gli ostaggi dell'Eln
Mons. Castro Quiroga ha lanciato anche un appello all’Eln per "liberare tutti gli ostaggi e non chiedere neanche un centesimo", ricordando che è una delle condizioni del governo per avviare i colloqui con l’Eln. Purtroppo ieri l’Eln ha affermato di non tenere sotto sequestro Melisa Trillos né il dirigente contadino Henry Perez, e ciò ha causato ulteriore preoccupazione nelle rispettive famiglie, che non hanno informazioni sul loro stato di salute ed ora nemmeno sul gruppo rapitore.

Chiesto il rilascio di Melisa Trillos, rapita due settimane fa
In seguito a questo aggiornamento, mons. Gabriel Angel Villa Vahos, vescovo di Ocaña, ieri ha chiesto pubblicamente il rilascio di Melisa Trillos, rapita due settimane fa. Il vescovo ha chiesto ai rapitori di dare prove certe che Melisa è viva e di rispettare la sua vita, perché possa tornare presto in famiglia. (C.E.)

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India: card. Gracias condanna le violenze a mons. Gallela

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Siamo profondamente rattristati da questo attacco sacrilego compiuto contro mons.  Prasad Gallela, cui assicuriamo tutto il nostro sostegno e le nostre preghiere. La Chiesa indiana si appella alle autorità, affinché trovi al più presto i colpevoli di questo attacco. Il vescovo è stato rapito il 25 aprile, di pomeriggio, mentre era come sempre impegnato nel servizio disinteressato alla sua diocesi di Cuddapah. Attraverso il suo ministero di pastore instancabile - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha dato speranza anche ai disperati. Senza alcuna discriminazione, mons. Gallela ha sempre molto aiutato i più poveri tra i poveri e le comunità trascurate dal sistema delle caste, ancora molto radicato in India. Se nascono in povertà, hanno poche possibilità di cambiare vita: il vescovo era di ritorno da una funzione religiosa nel suo distretto ed era in missione proprio per loro.

Un attacco che ha provocato dolore alla comunità cattolica
Nella diocesi di Cuddapah vivono 5,8 milioni di persone, tra cui 80mila cattolici. Le 56 parrocchie della zona sono servite da due sacerdoti che celebrano la Messa nella “stazione centrale” e visitano i villaggi per amministrare i sacramenti. Questo attacco, compiuto di rientro da questo servizio, provoca dolore.

Mons. Gallela si è sempre preoccupato per i poveri e per le donne 
Uno degli impegni maggiori del suo ministero è stato a favore dei delle donne. Poiché la maggior parte delle ragazze nell’India rurale non frequenta la scuola oltre i 15 anni di età, la diocesi offre un programma di formazione di 11 mesi che culmina con il dono di una macchina per cucire dal valore di 100 dollari. In questo modo si permette alla ragazza di potersi guadagnare da vivere.

Programmi sanitari per i poveri ed i bambini
Fra gli altri programmi, nella sua diocesi spiccano quelli sanitari per i poveri e quelli per i più piccoli, così come i programmi di nutrizione e di salute generale. "Questo attacco è causa di immensa tristezza per la Chiesa in India - afferma il card. Gracias -la quale prega per il recupero rapido del vescovo e affinché l'amore misericordioso di Dio possa toccare e convertire i cuori di coloro che hanno perpetrato questo assalto sacrilego". (O.G.)

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Chiesa Sudafrica: destinare fondi per armamenti, in medicinali

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“Si potevano spendere i fondi utilizzati per acquistare gli armamenti per comprare invece medicinali antiretrovirali” afferma mons. Abel Gabuza, vescovo di Kimberley e presidente della Commissione Giustizia e Pace della Southern African Catholic Bishops’ Conference (Sacbc), in un comunicato diffuso all’indomani della pubblicazione del rapporto della commissione d’inchiesta incaricata di verificare se ci siano state irregolarità nell’accordo del 1999 per l’acquisto di grandi quantità di armamenti da parte del governo del Sudafrica.

Acquisto di armamenti un errore etico
La commissione ha stabilito che non vi sono prove di frodi e di malversazioni nella stipulazione del contratto che avvenne al tempo della Presidenza di Thabo Mbeki. I vescovi africani, attraverso mons. Gabuza, affermano che indipendentemente dal fatto che vi sia stata corruzione o meno, l’accordo per l’acquisto massiccio di armamenti è in quanto tale “un errore etico madornale”.

Anzichè armi acquistare farmaci antiretrovirali
“È importante ricordare - scrive mons. Gabuza - che all’epoca nella quale il governo spendeva miliardi di Rand nell’acquisto di armi, alla nostra popolazione veniva detto da quello stesso governo che non si poteva erogare denaro per acquistare farmaci antiretrovirali. Quindi continuiamo ad insistere che il contratto per gli armamenti fu un errore etico madornale”.

Combattere disoccupazione e povertà estrema
Il presidente della Commissione episcopale Giustizia e Pace afferma inoltre che dopo aver studiato “le argomentazioni tecniche usate dalla commissione Sereti per arrivare alle sue conclusioni, ripetiamo che in assenza di una chiara minaccia militare esterna al nostro Paese, è eticamente irresponsabile e inutile spendere miliardi delle nostre scarse risorse in armi, in un Paese che sta lottando per riprendersi dagli alti livelli di disoccupazione e d’estrema povertà”.

Chiesa invita il il governo a sospendere l’acquisto di nuove centrali nucleari
“La più grande minaccia alla nostra sicurezza nazionale sono le ineguaglianze economiche e la disoccupazione giovanile che da sole alimentano violente proteste sociali” ribadisce il vescovo. “Ogni giorno vediamo proteste nei servizi pubblici e altre forme di contestazione che stanno progressivamente diventando violente. Le capacità di difesa che i militari hanno ottenuto attraverso l’accordo per l'approvvigionamento di armi nel 1999 sono irrilevanti di fronte a questa minaccia alla sicurezza” conclude mons. Gabuza che invita pure il governo a sospendere l’accordo per l’acquisto di nuove centrali nucleari. (L.M.)

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Punjab: musulmani finanziano costruzione di una chiesa cattolica

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Contadini musulmani che contribuiscono ad una raccolta fondi per la costruzione di una chiesa cattolica. È il grande gesto di generosità di cui sono protagonisti gli abitanti di Khalsabad, chak (villaggio in lingua urdu) del Punjab, situato vicino a Gojra. Lì le famiglie cristiane sono solo otto, e la cappella di fango che usavano come luogo di culto è stata distrutta dalle piogge monsoniche dell’ultimo anno. Costretti a pregare in casa, i cattolici hanno deciso di fondare una nuova chiesa e hanno chiesto aiuto alla cittadinanza.

Il dialogo della vita
Per ora sono stati eretti i muri esterni della struttura. “Questo è dialogo della vita”, afferma paadre Aftab James Paul commentando le donazioni. Il sacerdote è assistente parroco della chiesa di San Fedele a Khushpur e Khalsabad è uno dei 56 villaggi a cui fa visite pastorali: “Un altro fedele musulmano ha donato 2mila rupie la domenica di Pasqua”, fa sapere mentre un uomo d’affari islamico locale, ha deciso di devolvere 30mila rupie alla commissione del villaggio che si occupa dei lavori.

I pregiudizi di pochi fanno ricadere la colpa su tutti i fedeli islamici
​Padre Paul, che per nove anni ha guidato la commissione della diocesi di Faisalabad per il dialogo interreligioso, afferma che non è la prima volta in cui i musulmani aiutano la costruzione di un luogo di culto cattolico. Nel 2005 fu finanziata una chiesa nel sotto-distretto di Gojra Tehnsil. L’area, però, divenne famosa solo nel 2009 per un episodio negativo: a seguito di sospetti di blasfemia, 10 cristiani furono uccisi, almeno sette dei quali arsi vivi. Quattro chiese furono distrutte nell’attacco. “Abbiamo troppi pregiudizi – afferma il sacerdote – e lasciamo che le azioni di pochi facciano ricadere la colpa su tutti i fedeli dell’islam”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 123

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.