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Sommario del 04/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: siamo cristiani aperti e fraterni o puzzeremo di chiuso

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Dio ama tutti, non scarta nessuno, non conosce la nostra cultura dello scarto. E’ quanto ha affermato durante l’udienza generale Papa Francesco commentando la parabola della pecorella smarrita. Per Gesù – ha detto il Santo Padre – “non ci sono pecore definitivamente perdute”. Così, i cristiani non devono chiudersi in se stessi perché altrimenti avranno “il puzzo delle cose chiuse”. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

L’immagine del Buon Pastore, che si carica sulle spalle la pecorella smarrita, è l’icona della “sollecitudine di Gesù verso i peccatori” e della “misericordia di Dio che non si rassegna a perdere alcuno”. Il pastore è “l’unico vero protagonista, tutto dipende da lui”. Dio – ha affermato Papa Francesco - cerca la pecora smarrita, i “figli perduti per poi fare festa”:

“Lui va a cercare quella, perché ognuna è molto importante per lui e quella è la più bisognosa, la più abbandonata, la più scartata; e lui va là a cercarla”.

La misericordia è lo stile di Dio
“La misericordia verso i peccatori è lo stile con cui agisce Dio”. Il Signore – ha detto il Santo Padre – “non può rassegnarsi al fatto che una sola persona possa perdersi”:

“Dio non conosce la nostra attuale cultura dello scarto, in Dio questo non c’entra. Dio non scarta nessuna persona; Dio ama tutti, cerca tutti... Tutti! Uno per uno. Lui non conosce questa parola ‘scartare la gente’, perché è tutto amore e tutta misericordia”.

Il Signore è accanto alla pecora smarrita
Il popolo di Dio è sempre in cammino. Mente il Signore cerca la pecora smarrita, le altre 99 - ha spiegato il Pontefice - partecipano alla riunificazione del gregge. “Il pastore – ha aggiunto - sarà trovato là dove la pecora è perduta”:

“Il Signore quindi va cercato là dove Lui vuole incontrarci, non dove noi pretendiamo di trovarlo! In nessun altro modo si potrà ricomporre il gregge se non seguendo la via tracciata dalla misericordia del pastore”.

Senza cammini di fraternità, prevale “la puzza di chiuso”
Nella comunità cristiana – ha affermato Papa Francesco - c’è sempre qualcuno che “se ne è andato lasciando il posto vuoto”. A volte questo, porta a credere che sia “una perdita inevitabile”. Ma in questo modo si corre il pericolo di rinchiudersi “nelle piccole comunità, nella parrocchia”, dentro un ovile “dove non ci sarà l’odore delle pecore”:

“Non dobbiamo essere chiusi perché avremo il puzzo delle cose chiuse. Mai!”.

Dio cerca tutti gli uomini
Si corre il pericolo della puzza di chiuso – ha aggiunto il Papa – “quando manca lo slancio missionario che ci porta ad incontrare gli altri”. Per Dio nessuno “è definitivamente perduto”:

“Mai! Fino all’ultimo momento, Dio ci cerca. Pensate al buon ladrone; ma solo nella visione di Gesù nessuno è definitivamente perduto ma solo pecore che vanno ritrovate”.

“Nessuna distanza – ha concluso il Santo Padre - può tenere lontano il pastore; e nessun gregge può rinunciare a un fratello”. “Trovare chi si è perduto è la gioia del pastore e di Dio, ma è anche la gioia di tutto il gregge”.

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Papa a delegazione giordana: dialogo costruisce dove c'è distruzione

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Stamattina, prima dell’udienza generale, Papa Francesco ha incontrato i partecipanti al quarto Colloquio con il “Royal Institute for Interfaith Studies” di Amman, promosso dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso sul tema dei valori condivisi da credenti e cittadini nella vita sociale e politica. Erano presenti all'udienza il card. Jean-Louis Tauran, presidente del dicastero vaticano, e il principe giordano El Hassan bin Talal, che ha fondato l'Istituto reale per promuovere i rapporti tra cristianesimo ed islam. Il servizio di Sergio Centofanti

Il Papa ha espresso la sua gratitudine per questo incontro ricordando con gioia la sua visita in Giordania compiuta nel maggio del 2014: “E’ un bel ricordo che porto con me” ha detto. Quindi, ha parlato del lavoro svolto da questi Colloqui:

“E’ un lavoro di costruzione. Noi viviamo un tempo in cui ci siamo abituati alla distruzione che fanno le guerre. E il lavoro del dialogo, dell’avvicinamento ci aiuta sempre a costruire”.

In incontri di questo tipo – ha proseguito – “la parola più importante è dialogo”:

“E il dialogo è uscire da se stessi, con la parola, e ascoltare la parola dell’altro. Le due parole si incontrano, i due pensieri si incontrano. E’ la prima tappa di un cammino. Dopo questo incontro della parola, i cuori si incontrano e incomincia un dialogo di amicizia, che finisce con la stretta delle mani. Parola, cuore, mani. E’ semplice! Lo sa fare un bambino… Perché non farlo noi? E questo è  - piccolo, piccolo, piccolo - il passo della costruzione, dell’amicizia, della società”.

“Tutti abbiamo un Padre comune – ha aggiunto - siamo fratelli. Andiamo su questa strada, che è bello!”. E ha concluso: “Vi chiedo umilmente di pregare per me e io vi prometto di pregare per voi. Grazie!”.

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Papa alle cooperative: promuovere l'economia dell'onestà

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“Contrastare le false cooperative, perché le cooperative devono promuovere l’economia dell’onestà”. Il Papa si rivolge in questo modo con un videomessaggio all’assemblea di Confcooperative in corso a Roma. Francesco ha anche ricordato che le “famiglie non vanno lasciate sole, vanno armonizzati lavoro e famiglia”. Alessandro Guarasci: 

Francesco dice di parlare alle cooperative come “un amico” e ricorda le parole di incoraggiamento nell’incontro del 28 febbraio dell'anno scorso in Vaticano. Dunque, ancora oggi, serve “continuare a essere il motore che solleva e sviluppa la parte più debole delle nostre comunità e della società civile, soprattutto fondando imprese per dare lavoro”. E poi cercare nuove soluzioni per il welfare, coinvolgere tutti, aiutare le famiglie:

“Con Amoris laetitia ho indicato una prospettiva di gioia e responsabilità, ma le persone e la famiglie non vanno lasciate sole, vanno armonizzati lavoro e famiglia”.

E’ necessario inoltre contrastare le false cooperative e allo stesso tempo promuovere sviluppo, giustizia e pace. Tutti aspetti che valgono ancora oggi in un tempo di migrazioni, “terrorismo senza confini”, “rallentamento dell’economia mondiale”:

“Fare un’impresa partendo dai bisogni è il vostro talento. Mantenete questa ricchezza mentre costruite una prospettiva comune con altre associazioni per rendere evidenti il valori comuni a tutte le cooperative”.

I cooperatori quindi sono chiamati ad essere guidati dal bene comune. “Se la cooperativa funziona fa crescere la solidarietà anche fra i soci, rafforza la responsabilità comune, la capacità di riconoscere generosamente quello che gli altri sanno fare e anche di accettarne i limiti – dice il Papa - In una parola nella cooperativa cresce la fraternità come i cooperatori hanno sempre saputo. Non è solo un capitale di fiducia, è di più: è fraternità, è la risorsa di cui il mondo oggi ha più bisogno. Voi siete anche la testimonianza di come la fede anima un impegno concreto nella storia umana e sostiene motivazioni generose, che possono migliorare le cose. Questa missione la dovete vivere e condividere con gli altri”.

Infine, il Papa ricorda che siamo nell’Anno della Misercordia e si augura che l’impegno delle cooperative “sia tale da diventare anche un’espressione della misericordia”.

Le cooperative tra il 2007 e il 2015 sono riuscite a creare oltre 48 mila nuovi posti di lavoro, il 10,1% in più rispetto al 2007. Secondo il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, ora il governo deve rafforzare la sua azione per rilanciare l’occupazione:

R. - Dobbiamo favorire l’accesso dei giovani al mercato del lavoro: non possono entrare nel mercato ad oltre 30 anni! Come fare per agevolarli? Incentivare l’uscita di chi è prossimo alla pensione, a chi manca un anno o due. Le cooperative sono pronte a pagare, come devono essere pronte a farlo anche le altre imprese, perché nel momento del bisogno bisogna suddividere quello che è uno sforzo per mettere al centro quello che è il bene del Paese.

D. – Troppi giovani scappano dal Sud verso il Nord. Questo rischia di togliere dal Mezzogiorno delle energie vitali, soprattutto per la ripresa. Che cosa si può fare?

R. – Oggi dobbiamo invertire assolutamente questa tendenza, utilizzando al meglio i fondi strutturali per il Mezzogiorno, i fondi comunitari; rilanciando su progetti non da sogno, non su progetti di una crescita di poli industriali, ma rilanciando sulle nostre materie prime. La cultura è la nostra materia prima: la cultura legata al turismo è una grande risorsa per l’economia del Mezzogiorno.

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Tweet: difficoltà ecumeniche ci stimolino a conoscerci meglio

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Il Papa oggi ha lanciato un nuovo tweet dall’account @Pontifex in nove lingue: “Le difficoltà nel cammino ecumenico ci stimolino a conoscerci meglio, a pregare insieme e a collaborare nelle opere di carità”.

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Nomine in Brasile

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Il Santo Padre Francesco ha nominato Vescovo della diocesi di Amargosa (Brasile) S.E. Mons. Valdemir Ferreira dos Santos, trasferendolo dalla diocesi di Floriano. S.E. Mons. Valdemir Ferreira dos Santos è nato il 30 marzo 1960 a Nova Canaã, arcidiocesi di Vitória da Conquista, nello Stato di Bahia. Ha compiuto gli studi di Filosofia nel Seminario Maggiore della diocesi di Teófilo Otoni e poi nelle Faculdades Adamantinenses Integradas di São Paulo, e quelli di Teologia presso la Pontificia Facoltà Nossa Senhora da Assunção a São Paulo. Ha poi ottenuto la Licenza in Teologia Biblica presso la Pontificia Università San Tomaso d’Aquino di Roma. Il 6 settembre 1987 è stato ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Vitória da Conquista, nella quale ha svolto gli incarichi seguenti: Coordinatore della Catechesi e della Pastorale vocazionale; Direttore Spirituale del Movimento Cursilhos de Cristandade; Professore nell’Istituto di Filosofia e nel Centro di Formazione per i laici; Parroco; Vice-Rettore e poi Rettore del Seminario di Filosofia; Rettore del Seminario Propedeutico; Direttore della Scuola di formazione di Diaconi permanenti; Vicario Episcopale; Economo arcidiocesano; Membro del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori. Inoltre, ha collaborato nel Coordinamento della Catechesi del Regionale Nordeste 3 della CNBB. Il 17 marzo 2010 è stato nominato Vescovo di Floriano ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 30 maggio successivo.

Il Papa ha nominato Vescovo Coadiutore della diocesi di Itapeva (Brasile) il Rev.do Arnaldo Carvalheiro Neto, del clero della diocesi di Araçatuba, finora Parroco della parrocchia São Pedro Apóstolo, a Gabriel Monteiro. Il Rev.do Arnaldo Carvalheiro Neto è nato l’11 aprile 1967 a São Paulo, nell’omonima arcidiocesi. Ha compiuto gli studi di Filosofia presso la Facoltà Salesiana di Filosofia, Scienze e Lettere (UNISAL), a Lorena (1989-1991) e quelli di Teologia presso l’Istituto Teologico Rainha dos Apóstolos a Marília (1993-1996). Ha poi frequentato i corsi di Direzione Spirituale presso l’Institute for Spiritual Leadership a Chicago-USA (2002-2003) e di Cappellania Ospedaliera presso il Mater Misericordiae Hospital a Dublin-Irlanda (2006). Inoltre, ha ottenuto la Licenza in Pastoral Counseling presso la Loyola University of Chicago (2003-2006). Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 17 maggio 1997 ed è incardinato nella diocesi di Araçatuba. È stato Parroco della parrocchia di São Brás a Birigui (1997-2000) e, durante il soggiorno a Chicago per gli studi, è stato Vicario parrocchiale della parrocchia Saint Roman (2003-2006). Inoltre, ha svolto l’incarico di Direttore Spirituale dell’Istituto Teologico Rainha dos Apóstolos a Marília. Al presente è Parroco della parrocchia São Pedro Apóstolo a Gabriel Monteiro (dal 2007) e Rettore del Seminario Propedeutico di Araçatuba.

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Mons. Paglia in Nigeria per presentare l'Amoris laetitia

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Mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, si reca in visita in Nigeria da domani all’8 maggio. Su invito della Conferenza episcopale locale, il presule visiterà le diocesi di Owerri Lagos, Abuja, dove incontrerà anche gruppi e associazioni familiari e presenterà ai vescovi l’Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris laetitia”. Ma come si concilia il messaggio di questo documento con la grave situazione di violenza in cui versa la Nigeria? Stefano Leszczynski lo ha chiesto allo stesso mons. Vincenzo Paglia

R. – Non c’è dubbio che la Nigeria sia un Paese che sta vivendo momenti non poco difficili. La stessa Chiesa, che è una grande Chiesa, ha avuto attacchi attraverso gruppi di Boko Haram. Nell’ultimo attacco è stato coinvolto anche il cardinale Onaiyekan a cui va ovviamente tutta la mia solidarietà. Proprio per questa situazione il messaggio di Amoris laetitia è un aiuto a vivere con maggior forza il Vangelo ed in questo caso anche l’impegno della Chiesa per le famiglie, anche perché – e vorrei dirlo immediatamente – l’Esortazione non chiede solamente un aggiornamento della pastorale famigliare, ma esige molto di più, ossia un cambio di passo: meglio ancora, un cambio di forma della Chiesa, una chiesa famigliare che accompagni, che comprenda, che sostenga tutte le famiglie.

D. - Tra l’altro, il tema della famiglia in Africa è molto sentito e la Chiesa africana ha dato anche un buon contributo durante il Sinodo. All'Europa può venire un esempio dalla famiglia africana?

R. - Credo che questa Esortazione apostolica chieda a tutte le Chiese un grande esame di coscienza e anche un rinnovato impulso e questo deve valere anche per la Chiesa africana che più volte ha parlato della Chiesa come famiglia di Dio. C’è un aspetto positivo importante: a differenza della cultura europea ed occidentale in Africa il “noi” è più robusto dell’”io”; una cultura della societas è più robusta di una cultura individualista come in Occidente. In questo senso c’è un tesoro da poter accogliere.

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Amazzonia: vescovo minacciato di morte perché lotta contro pedofilia

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Il cardinale Cláudio Hummes, presidente della Commissione episcopale per l’Amazzonia, ha appena compiuto un viaggio nell'isola brasiliana di Marajó, situata alla foce del Rio delle Amazzoni. Una realtà difficile, dove povertà e abusi, soprattutto ai danni dei più puiccoli, sono all'ordine del giorno. Per questo è stato accolto con grande soddisfazione l'appello-denuncia lanciato domenica scorsa dal Papa al Regina Caeli contro le violenze sui bambini. Ma ascoltiamo il cardinale Hummes al microfono di Cristiane Murray

R. – C’è questo grande flagello dell’abuso sessuale sui minori, sui bambini, nei barconi che passano per i grandi fiumi, dove la gente è molto povera e, dall’altra parte, un’impunità totale, che è qualcosa di intollerabile, qualcosa che non si può veramente accettare in nessuna forma. E’ inaccettabile! Il Papa ha parlato di questo e noi ne siamo molto contenti, perché qui rafforza tutto il lavoro fatto dalla Chiesa contro questa piaga. E’ veramente un flagello. La Chiesa lì è sul posto, soprattutto mons. Azcona, vescovo di Marajó, che soffre delle persecuzioni a causa di questo e di altro. Persecuzioni e persino minacce di morte. Lui è sotto la protezione ufficiale dello Stato, perché è stato minacciato di morte a causa della sua lotta contro tutte queste miserie. Siamo, allora, molto contenti e grati al Papa, per questo intervento, per queste parole che lui ha pronunciato domenica, dicendo che è una vera tragedia che non può essere tollerata in nessuna forma e che quelli che sono coinvolti, i criminali, devono essere puniti severamente. Questa impunità, infatti, che tante volte si vede, non può essere accettata. Siamo, allora, davvero molto contenti di queste parole del Papa di domenica scorsa.

D. – Come presidente della Commissione episcopale per l’Amazzonia e come presidente della Rete ecclesiale panamazzonica, lei viaggia molto in quella regione e ha visitato più di 30 diocesi negli ultimi tempi. In genere, informa Papa Francesco su queste visite e su queste realtà...

R. – Senz’altro. Sì, noi lo informiamo. Gli ho fatto un breve rapporto anche su Marajó e lui lo ha ricevuto.

D. – E’ consapevole di questa realtà anche in Brasile, quindi…

R. – Senz’altro. Sì, lui è informato e accompagna tutto questo. Ne era a conoscenza anche prima di essere Papa, perché conosce le situazioni dell’America Latina e questi problemi sono presenti già da tanto tempo.

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Oggi in Primo Piano



Siria-Unicef: salviamo i bambini di Aleppo

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Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon lancia l’allarme per la Siria, dove stanno avvenendo crimini contro l’umanità. Il leader del Palazzo di Vetro si riferisce all’ultimo nuovo bombardamento di un ospedale di Aleppo, da parte dei ribelli, che ha provocato la morte di 20 persone, tra cui diversi bambini. E proprio dei bambini siriani parla l’Unicef. L’organismo dell’Onu esorta la comunità internazionale ad agire con urgenza per salvare almeno 1 milione e 200 mila minori che vivono in condizioni drammatiche nella regione di Aleppo. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia: 

R. – E’ inutile, naturalmente, continuare a dire la cosa più retorica, quella di sperare in un accordo di pace. Nell’immediato bisogna fornire delle risposte, e la risposta più urgente è quella di riuscire a creare dei corridoi umanitari nelle 18 città sotto assedio, che ci consentano, ad Aleppo, ma anche in tutta la Siria, di arrivare dove purtroppo queste popolazioni, e questi bambini soprattutto, sono intrappolati. Il nostro personale sta fornendo aiuti di ogni tipo: kit igienico-sanitari e pasticche per la potabilizzazione dell’acqua, che purtroppo manca a giorni alterni. I bambini, quelli che purtroppo non sono riusciti a fuggire, naturalmente vivono in condizioni, anche psicologiche, difficili. In alcune situazioni abbiamo evidenze anche di mancanza totale di cibo. Quello che noi chiediamo, quindi, è un immediato intervento, almeno umanitario, nelle zone di maggior crisi, a partire da Aleppo.

D. – Per creare dei corridoi umanitari bisogna però portare del personale sul terreno: una delle questioni, questa, su cui la comunità internazionale non si trova proprio d’accordo…

R. – E’ chiaro che lo sforzo deve essere invece proprio questo: lasciare almeno che la Croce Rossa, le organizzazioni umanitarie delle Nazioni Unite, la Mezza Luna e tutte le altre riescano ad entrare.

D. – L’Onu si è pronunciato a favore della protezione degli ospedali, del personale medico e dei pazienti, quindi indirettamente anche dei minori. Come fare, però, per realizzare questo progetto?

R. – Bisogna, purtroppo, cercare di richiamare la comunità internazionale alle proprie responsabilità. Nell’’89 è stata firmata una Carta, che è la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che, proprio sulla protezione, sul superiore interesse del bambino, in particolar modo nelle situazioni di guerra, vincolava tutti gli Stati. E’ stata firmata da tutti. Noi ci domandiamo come mai proprio questa Carta oggi venga quotidianamente violata da tutti. Serve, quindi, un atto di volontà, non c’è dubbio. Non vedo altre soluzioni. Purtroppo le parti in causa sono molte. E’ diventato un coacervo di posizioni diverse: c’è al-Qaeda, al-Nusra, ci sono le grandi potenze internazionali che sono lì per procura, ci sono gruppi di Daesh. E’ chiaro, insomma, che la situazione è molto complessa. Rispetto a tutto questo, però, non si può perdere di vista la condizione dei bambini.

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Siria unita e riconciliata : il sogno di p. Dall'Oglio vive ancora a Deir Mar Musa

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Un Paese unito e dialogante: era il sogno per la Siria di padre Paolo Dall’Oglio. Del gesuita rapito più di 1000 giorni fa a Raqqa non si sa più nulla, ma la sua eredità vive a Deir Mar Musa, la comunità monastica da lui fondata a 80 km da Damasco. Qui, riconciliazione e dialogo interreligioso portati avanti nella preghiera, nel lavoro e nell’ospitalità, sono l’impegno dei suoi compagni ed eredi. Tra loro suor Carol Cook Eid, cristiana libanese. Gabriella Ceraso l’ha incontrata: 

R. – La sfida, in realtà, è diventata più grande: non si tratta solo del dialogo, ma anche della crescita dell’uomo. Noi oggi, quindi, possiamo solo seminare per il futuro, come abbiamo fatto nel passato. Certo, in modo diverso, ma con lo stesso spirito. Stiamo portando sempre avanti la nostra vocazione di preghiera per tutti, anche per i carnefici, che sono a volte le vittime di ieri, come le vittime di oggi possono diventare  i carnefici di domani. Quindi bisogna pregare perché Dio ci aiuti a capire la vera sfida umana che c’è ora: vivere insieme da diversi, insieme nella fratellanza e nell’amore. Oltre alla preghiera, la nostra vocazione ha come pilastro l’accoglienza. L’accoglienza, però, si deve fare anche dal didentro: accogliere quindi non solo nella propria casa, ma nel proprio cuore. Penso che oggi questa sfida riguardi non solo il Medio Oriente, ma soprattutto l’Europa, l’Occidente. Davanti al dramma dei profughi, siamo tutti chiamati a prendere sul serio questo cammino. Quello che sta accadendo è un’opportunità. Bisogna, dunque, andare oltre le nostre paure, oltre le nostre chiusure identitarie ed aprirci alla voce di Dio nel fratello sofferente.

D. – Lei teme per il futuro dei cristiani, in questo Medio Oriente così martoriato?

R. – Io temo per tutti. Da cristiani siamo chiamati ad essere il sale della terra, ad aprire il nostro cuore a tutti, al dolore di tutti, all’ingiustizia che subiscono tanti. E’ per questo che non bisogna chiuderci. Io mi ricordo di un tweet di Papa Francesco in cui diceva: “Meglio una Chiesa ferita, ma presente sulla strada, che una Chiesa chiusa in se stessa”.

D. – L’incontro, il portare vicinanza alle persone, è anche un’idea che sempre padre Paolo Dall’Oglio ha ripetuto, ha perseguito. Lei lo ha conosciuto? Cosa ha lasciato alla comunità?

R. – Ci ha lasciato l’unica vocazione per cui viviamo. Lui è veramente stato un profeta in questo.

D.- Profeta nell’idea della riconciliazione e della pace?

R.- Sì, assolutamente, profeta della pace e della riconciliazione, che auguriamo al nostro Medio Oriente.

D. – Non c’è pace tuttora in Siria , nonostante gli sforzi internazionali. In che cosa, secondo lei, si sta sbagliando?

R. – Quando ciascuno pensa solo a sé e non contemporaneamente al bene dell’altro, al futuro comune, sbaglia. L’unica soluzione è di pensare al bene di tutti, solo così si apre la porta per un futuro di pace.

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Primarie repubblicane: la sfida per Trump ora è unire il Partito

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È la giornata di Donald Trump. Il miliardario di New York si è aggiudicato l’ultimo braccio di ferro elettorale per la corsa alle primarie in casa repubblicana, battendo lo sfidante Ted Cruz nello Stato dell’Indiana. Il senatore di origini ispaniche ha già annunciato il ritiro dalla competizione, lasciando così il campo all’ormai più che probabile candidato per la presidenza nella strada che porta alla convention repubblicana di luglio. L’obiettivo del magnate adesso è quello di superare l’ostilità di buona parte del partito nei confronti della sua contestata leadership. Alla luce della vittoria di Trump nello stato del Midwest, Daniele Gargagliano ha chiesto al direttore de La Stampa, Maurizio Molinari, per anni corrispondente negli Usa del suo quotidiano, quali scenari politici potrebbero aprirsi d’ora in avanti nella sfida per la Presidenza degli Stati Uniti. 

R. – Le elezioni in Indiana, le primarie di questa notte, segnano una svolta nella corsa alla nomination repubblicana. Il successo di Trump, grazie all’elettorato bianco, in uno Stato tradizionalmente conservatore, obbliga Ted Cruz a gettare la spugna e lascia, di fatto, Kasich nella posizione dell’unico sfidante rimasto. Per la prima volta Trump è in una condizione di vantaggio e favore rispetto al resto del Partito che lo ha osteggiato. Il discorso che ha pronunciato a Indianapolis è stato un discorso nel quale ha tentato di unificare il Partito. Questa è una svolta per Trump, che finora ha sfidato il Partito, lo ha messo con le spalle al muro, lo ha ironizzato e ha attaccato in maniera  - a volte – anche brutale i leader del proprio Partito. Ora punta ad unificarlo. L’interrogativo è se ci riuscirà…

D. – Come ne esce il Partito Repubblicano da questa corsa alle Primarie?

R. – David Brooks, l’editorialista del “New York Times”, ha scritto che ormai esistono due partiti repubblicani: uno figlio dell’establishment e della tradizione di Reagan e Bush, l’altro figlio della rivolta del “Tea Party”. Queste elezioni presidenziali – fino adesso – confermano che esistono almeno due anime del Partito, che di fatto sono divergenti: la feroce ostilità dell’establishment repubblicano nei confronti di Trump deve ancora manifestarsi in tutta la sua interezza. Non a caso, dopo il risultato dell’Indiana, alcune fonti repubblicane a Capitol Hill, hanno ipotizzato addirittura l’ipotesi di un altro candidato presidenziale da portare o alla Convention o addirittura esterno alla Convention. La realtà vera è che esistono due mondi conservatori diversi: uno espressione dell’establishment e l’altro della protesta.

D. – Sembra che in una parte del Partito alcune persone salgano sul “carro del vincitore”, cioè Trump…

R. – Questa è una dinamica consolidata nelle elezioni americane. Le elezioni americane vedono nella stagione delle primarie una estrema frammentazione. tanto fra i Repubblicani quanto fra i Democratici. Quando poi inizia la fase nazionale i due schieramenti tendono a raggrupparsi attorno ai candidati. Il vero interrogativo è se questo adesso avverrà anche nel campo repubblicano con Trump. Molto, credo, dipenderà proprio da Trump: per questo oggi ha iniziato ad operare un linguaggio più moderato nei confronti dei leader del Partito. Sta al vincitore delle Primarie creare una propria coalizione. La prima sfida per Trump è unire i Repubblicani.

D. – Secondo un sondaggio di Rasmussen, Donald Trump sorpasserebbe Hillary Clinton in una ipotetica sfida finale per la Casa Bianca. Qual è la sua previsione?

R. – Io credo che il sondaggio di Rasmussen è interessante soprattutto perché fotografa la debolezza di Hillary, testimoniata - fra l’altro - dalla sconfitta subita proprio in Indiana da parte di Bernie Sanders. Ciò che distingue la campagna di Hillary, in questo momento, è che sebbene sia la candidata più forte sulla carta e anche in qualche maniera più rivoluzionaria, essendo la prima donna che sta per cogliere l’obiettivo e il risultato di una nomination presidenziale, l’indice di negatività nei suoi confronti è molto alto, attorno al 46%. Ci sono molti americani che non la amano. Se noi andiamo a vedere chi sono gli elettori Bernie Sanders nelle primarie democratiche, vediamo che sono in gran parte giovani e in gran parte ragazze giovani. Il fatto che i giovani preferiscano votare per un senatore di 70 anni, che si autodefinisce “socialista”, anziché per Hillary Clinton, fotografa la debolezza di Hillary; e la debolezza di Hillary è la maggior forza dei Repubblicani e, nel caso specifico, di Donald J. Trump.

D. – Qual è l’eredità del Presidente Obama, soprattutto a livello di comunicazione?

R. – Il pendolo della tradizione politica americana è molto chiaro: dopo otto anni – in genere – si va sul fronte opposto: dopo Bush è venuto Obama e dopo Obama adesso si affaccia Trump… L’eredità che lui lascia è una eredità economica forte; di un Paese che è tornato a crescere e che resta la nazione più ricca del mondo, e che sul piano dell’innovazione, è di gran lunga il più efficace ed efficiente. Sul piano della comunicazione, invece, la realtà vera è che Obama non è riuscito a trasmettere contenuti in grado di segnarlo in maniera permanente. Questo è uno dei motivi per i quali viene criticato dai Democratici e le critiche dei Democratici ad Obama indeboliscono Hillary, perché è percepita proprio come un elemento di continuità.

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Industria guerra non conosce crisi: cresce spesa mondiale per le armi

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Crescono nel mondo - a dispetto di tanti trattati e campagne per il disarmo - le spese degli Stati in armamenti, personale e strutture per la Difesa. Lo documenta il rapporto annuale del Centro di Studi strategici e internazionali di Washington (Csis). Il servizio di Roberta Gisotti: 

1.652 miliardi di dollari le spese globali per la Difesa nel 2015, nonostante gli Stati Uniti - primi al mondo, oltre un terzo del totale - abbiano diminuito negli ultimi 5 anni il loro bilancio da 625 a 595 miliardi. Seconda la Cina, distaccata con 190 miliardi, salita quasi del 10%, arriverà a 255 miliardi nel 2020; quinta la Russia (54 miliardi), cresciuta del 21%, dopo Regno Unito e Francia (66 e 56 miliardi). Ma chi ha incrementato di più sono: Ucraina 70%, Iran quasi il 30% e Polonia 21%. Tutta l’Europa dell’Est sale in media del 13%, le Repubbliche baltiche del 20%. Stabili i Paesi del Golfo, in testa l’Arabia Saudita che nel 2014 aveva raddoppiato le importazioni e nel 2015 registra i primi lievi tagli in 10 anni. Anche l’Europa occidentale, dopo 5 anni di contrazione, cresce e prevede un aumento di 50 miliardi da qui al 2020. In Asia, la Corea del Sud è al decimo posto nella classifica mondiale con 35 miliardi, e salgono le spese anche in Vietnam, Filippine e Giappone per modernizzare i loro arsenali. Ma quali sono le ragioni di questo riarmo? Tante guerre, conflitti, tensioni tra Paesi e minacce in corso, reali o percepite come tali, anche per la sicurezza nazionale. Le armi restano comunque un affare colossale, a cui i Paesi produttori non vogliono rinunciare, mentre i Paesi importatori beneficiano sovente di speciali accordi in cambio delle spese sostenute. Solo in Italia è triplicata nel 2015 la vendita di armi all’estero, da 2,8 miliardi a 8,2 miliardi, come rivela una relazione al Parlamento, anticipata oggi dal settimanale Nigrizia. Tra i destinatari anche Paesi in guerra.

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Ue: via libera per la liberalizzazione dei visti dalla Turchia

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La Commissione europea raccomanda a Consiglio e Parlamento Ue la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi nell'area Schengen. Si tratta di uno dei punti più controversi dell’accordo Ue-Turchia per ridurre gli sbarchi dei migranti in Grecia. Da Bruxelles è anche arrivato il via libera all’estensione di ulteriori sei mesi dei controlli ad alcune delle frontiere di cinque Paesi Schengen: Austria, Germania, Danimarca, Svezia e Norvegia. Intanto, il Centro Astalli, che continua a chiedere all’Unione Europea di aprire corridoi umanitari per chi fugge soprattutto dalla Siria, ha annunciato la sospensione, fino a nuovo ordine, delle attività del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati ad Aleppo, in Siria. Francesca Sabatinelli hai intervistato padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli: 

R. – Quello che è accaduto è la conseguenza dell’escalation di violenza, di attacchi e di scarico di bombe su Aleppo a cui assistiamo negli ultimi giorni. Quindi in via precauzionale, siccome è rimasto ferito il figlio di uno degli operatori che lavorano al Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, per tutelare anche la popolazione che poi avrebbe accesso a questi servizi, sono state sospese le attività con il tentativo di rivalutare la situazione nei giorni successivi.

D. – Sospendere le attività del Jesuite Refugee Service in una città come Aleppo cosa significa? Quali sono le ricadute per la popolazione?

R. – Vuol dire mettere la popolazione ancora di più in una situazione di difficoltà, perché i servizi erano di tipo primario, quindi consegna degli alimenti, mense, e così via. Quindi, significa prostrare ulteriormente una popolazione già in ginocchio per questa situazione di guerra che va avanti ormai da cinque anni.

D. – Il Centro Astalli da mesi chiede all’Unione Europea di cambiare faccia alla sua politica nei confronti dei migranti. Siete stati critici verso l’accordo dell’Unione Europea con Ankara e continuate a sollecitare l’apertura di corridoi umanitari …

R. – Sì, noi insistiamo e  ribadiamo con forza che questa è l’unica soluzione, finché non si risolve il conflitto, per poter permettere alle persone che ormai da tanto tempo, troppo tempo, sono prostrate dalla guerra, di arrivare in sicurezza nei nostri Paesi. Non possiamo permetterci come Europa di condannare queste persone, oltre che alla guerra, anche a fare dei viaggi che mettono a rischio la loro vita.

D. – Eppure l’Europa sta andando in altra direzione, ciò che si ribadisce è il fatto che gli arrivi dalla Turchia verso la Grecia sono crollati. Questo non accade ora per il Mediterraneo, però …

R. – Esatto, non abbiamo risolto il problema, lo abbiamo soltanto spostato e credo che questo sia proprio il segno di una mancanza di assunzione di responsabilità da parte dell’Unione Europea che “sposta al confine che viene prima”. Lo abbiamo visto in molti Stati dell’Unione Europea e adesso lo facciamo con le frontiere esterne. Quindi, non è questa la via da percorrere, la via da percorrere è quella di aiutare la risoluzione della guerra con accordi internazionali ma, soprattutto, aiutare la popolazione attraverso i canali umanitari.

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Bambino Gesù. "Nascere malati": convegno tra scienza e fede

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Perché si nasce malati? A questa  domanda si è tentato di rispondere in un convegno organizzato presso l’Ospedale romano Bambino Gesù. Un dialogo tra scienza, filosofia e teologia, cui ha preso parte anche il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura. L’incontro, aperto dai saluti della presidente del Bambino Gesù, Mariella Enoc, ospita una serie di testimonianze sia scientifiche che sociali. C’era per noi Elvira Ragosta

Trasmettere un messaggio positivo e di fiducia  ai piccoli pazienti e ai loro genitori, grazie anche ai risultati raggiunti dalla ricerca e alle prospettive del progresso scientifico. Questo l’obiettivo del seminario in corso oggi all’Auditorium San Paolo dell’Ospedale “Bambino Gesù” di Roma. La riflessione sulle risposte che la scienza, la teologia e la filosofia danno al perché si nasce malati inizia con l’intervento del card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, che si  sofferma sul concetto del “dolore innocente” e che alla domanda sul perché si nasce malati ai nostri microfoni afferma:

R. - Per fortuna non dobbiamo dare una risposta a tutto. Ma dobbiamo anche essere di fronte a questa realtà, così sconcertante e sconvolgente, col silenzio, con l’umiltà di colui che non spiega tutto. Però, d’altra parte, alcune spiegazioni si possono trovare e una di queste è certamente quella che viene offerta dal cristianesimo, secondo il quale il limite creaturale è attraversato da Dio stesso, Dio stesso che sceglie di percorrere la nostra umanità. Ed è in questa luce, allora, che noi abbiamo una presenza di Dio.

D. – La cura e le cure, per un bambino malato, non solo cure di tipo scientifico: lei ha sottolineato anche l’importanza della cura anche umana…

R. – La ricerca scientifica è fondamentale e quindi anche la terapia. Ma dall’altra parte, proprio perché la creatura umana è estremamente complessa e non è solo un grumo di cellule, è indispensabile che accanto all’anatomia ci sia la spiritualità.

D. – Il dolore di un bambino malato, il dolore dei genitore e a volte la disperazione dei genitori, come la pastorale può aiutare in questo?

R. – La pastorale deve prima di tutto cominciare a rispettare anche la disperazione dei genitori non volendo a tutti i costi riportarla brutalmente ad un senso o continuando ad aggiungere certe consolazioni, che sono forse soltanto delle formule. Deve cominciare magari a stare accanto alla persona disperata, al genitore disperato, che urla e che diventa magari anche non credente e che si ribella con Dio, prima di tutto con il silenzio e con l’ascolto e poi lentamente deve dimostrare che non è un caso quello che sta davanti a lui, ma sono delle persone che vivono una esperienza che è di verità autentica.

Il 3% dei bambini nasce con una patologia congenita. Questo il dato di partenza del prof. Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’ospedale “Bambino Gesù” e organizzatore dell’evento, per rispondere scientificamente al perché si nasce malati:

R. - I meccanismi che sono alla base del nascere malati sono diversi. Alcuni sono meccanismi insiti nella caratteristica genetica ricevuta dai genitori; un altro meccanismo è dovuto alla combinazione di due metà di genitori normali, che messi insieme possono invece determinare dei problemi e questo proprio perché ognuno di noi è geneticamente imperfetto e quindi si possono combinare delle differenze che messe insieme diventano patologiche. Poi ci sono i fattori ambientali che vanno dagli stili di vita della mamma, allo stato di nutrizione, alla protezione con vitamine, alle eventuali malattie infettive e all’uso di farmaci, di droghe e di quant’altro che possano determinare i cambiamenti.

D. – L’importanza della ricerca  per trovare la soluzione per alcune malattie e per altre per migliorare la vita di questa bambini..

R. – Questo è esattamente lo spirito di questo convegno: lanciare un messaggio pratico. Oggi la ricerca scientifica cambia la qualità della vita e riporta addirittura alla guarigione una serie di pazienti che nascono con un problema geneticamente determinato o con un problema congenito già presente alla nascita. Abbiamo una serie di testimonianze dalla talassemia alla correzione di malattie metabolitiche, in cui si riesce a supplementare ciò che manca; pensiamo alla fibrocistica, che è una malattia estremamente comune, in cui oggi – con farmaci mirati a singole mutazione dei paziente – si può cambiare completamente la storia attuale della malattia; ma pensiamo anche a tutta la chirurgia e ai successi dei trapianti, come pure alla chirurgica riparativa; e non dimentichiamo neanche come la psicomotricità, la logopedia stiano cambiando – anche per i disabili mentali – la qualità della vita.

E sul ruolo e l’importanza dei genitori nell’assistere i piccoli nel percorso di diagnosi e cura, la testimonianza di Renza, madre di due bambini malati, che sottolinea quanto necessario sia il percorso di accettazione della malattia da parte dei genitori. E sul sostegno esterno e di sistema aggiunge:

R. – Da una parte riuscire a comprendere quale sia il valore aggiunto che questa persona, che ha questa patologia, può dare nella società. Per fare questo bisogna educare a cercare di comprendere, di tirare fuori le capacità che uno ha e le abilità. Questo rimane ancora abbastanza sommerso nel mondo istituzionale, in cui si vede e si parla molto di  empowerment, di  empowerment del paziente, della famiglia, del cittadino e si capisce poco, invece, di come si possa fare per fare in modo che fuoriescano questi valori. Quindi un lavoro di formazione, un lavoro di informazione, un lavoro di accompagno, un lavoro di ascolto che porti al costruire un qualcosa attorno ad un tavolo dove tutti siamo alla pari e dove poi effettivamente possiamo creare quel qualcosa affinché il paziente, la persona e la famiglia riesca a tirare fuori la sua esperienza e renderla valore. 

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Settimana della mamma: occorrono più servizi e diritti

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La carenza di una rete sociale di supporto alla famiglia, città con tempi e spazi urbani poco adeguati alla vita familiare. Sono alcune delle tematiche affrontate durante la seconda edizione della “Settimana della mamma” che è in corso a Roma fino a domenica. L’iniziativa, che prevede incontri, workshop, ma anche biglietti omaggio e riduzioni per musei e spettacoli teatrali aderenti all’iniziativa, è stata promossa dall’Istituto di Studi Superiori sulla Donna dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in occasione della prossima festa della mamma. Ascoltiamo il servizio di Marina Tomarro: 

Una settimana dedicata alla mamma per mettere in risalto la fatica e la gioia dell’essere madre oggi, ma anche per sottolineare il forte valore sociale della maternità. Ma in che modo le mamme possono essere aiutate maggiormente oggi?  Il commento di Adele Ercolano tra le promotrici dell’evento.

R. – Sicuramente le mamme hanno bisogno di molti servizi, perché uno dei temi centrali, critici ancora. è la possibilità di armonizzare i tempi di vita, quindi di conciliare i vari impegni familiari e lavorativi e la mancanza di servizi sicuramente non facilita questo compito. La “Settimana della mamma” è un’occasione per festeggiare le mamme perché fanno molto e anche per ribadire l’importanza del ruolo della maternità all’interno della nostra società.

D. – Ma qual è il ruolo della maternità nella società attuale?

R. – La maternità è sempre stata un valore; il vero problema, per l’Italia in particolare, è che ci sono molti bisogni delle mamme che non sono soddisfatti. Quindi l’impegno che noi come Istituto di Studi superiori sulla donna, che promuove questo progetto all’interno dell’ateneo, è quello di ribadire l’importanza della maternità e il valore dell’apporto delle donne in tutti gli ambiti della società e quindi da questo punto di vista la maternità ha un valore che tutti noi dobbiamo sostenere.

D. – Lo Stato, secondo lei, quanto potrebbe essere più vicino alle mamme?

R. – Un impegno per politiche familiari, un impegno per politiche di conciliazione più concrete ma soprattutto creare un ambiente, una città, un Paese più a dimensione di mamma, quindi con servizi e con tutte le tutele che sono necessarie.

E tanti i temi affrontati nella settimana, dai consigli pratici della vita quotidiana di una mamma , alla conciliazione tra lavoro e famiglia, fino ai diritti di tutela della maternità in Italia. Ascoltiamo a questo proposito Maria Pia Baccari Vari docente di diritto alla Libera Università Maria Santissima Assunta:

R. – Nell’antica Roma, la donna aveva un ruolo importante proprio messo sullo stesso piano del “pater familias”. Quindi, il diritto romano – a mio avviso – protegge la donna molto più che non quanto accade oggi, dove la gravidanza viene presa in considerazione sia dal potere legislativo, sia dal potere giudiziario in un’ottica di aggressione piuttosto che di difesa. Per esempio, se si prende una qualsiasi enciclopedia e si cerca il termine “gravidanza”, si trova tra parentesi “interruzione della”: quindi si guarda all’interruzione della gravidanza, non a tutelare la donna gravida, a tutelare la gravidanza. Questa è un po’ la differenza. I giuristi si basavano sui principi e quindi anche quelli dello “ius naturale” e contro l’ideologia odierna che si definisce “nuovi diritti”, senza limiti e che portano a un uso commerciale del corpo umano. E si passa, appunto, alla maternità surrogata, all’utero in affitto … Quindi, soprattutto nella realtà odierna, con questa diffusione delle tecniche di procreazione assistita, si vorrebbe mettere in discussione finanche l’antico principio naturale “mater semper certa”.

D. – In che modo la società potrebbe difendere maggiormente le madri, secondo lei?

R. – Dando ampia protezione alla donna. A guardare la Costituzione, c’è l’articolo 31 che impone la protezione della maternità; sotto il profilo giuridico, valorizzare il lavoro della donna attuando la parità nella tutela previdenziale assicurativa, che oggi è del tutto carente; una incisività del regime di comunione legale degli utili e degli acquisti, attraverso un’esclusione o una limitazione della possibilità di scelta del regime di separazione dei beni.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: capi delle Chiese di Aleppo chiedono Messe per la pace

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I capi delle comunità cattoliche di Aleppo lanciano un appello a vescovi, sacerdoti, fedeli di tutto il mondo, chiedendo loro di “offrire le messe di domenica prossima, 8 maggio, per la pace in Siria e in special modo ad Aleppo”. È quanto racconta all'agenzia AsiaNews padre Ibrahim Alsabagh, 44enne francescano, guardiano e parroco della parrocchia latina di Aleppo, la “capitale del Nord” della Siria da giorni teatro di violenti combattimenti. “Chiediamo preghiere da tutto il mondo - sottolinea il sacerdote - perché la situazione è drammatica; tanti innocenti hanno subito violenze, servono compassione e misericordia”. 

Aleppo ha vissuto ieri una delle peggiori giornate del conflitto
“Nella nostra zona (i quartieri cristiani a ovest di Aleppo, sotto il controllo governativo) questa mattina c’è un silenzio di tomba, poche le persone per strada e non si sente alcun rumore” prosegue padre Ibrahim, “ma in altre aree si continua a combattere. Ieri abbiamo vissuto la giornata peggiore della settimana, con bombardamenti pesantissimi” prosegue il parroco di Aleppo. Missili e razzi lanciati dalla zona sotto il controllo dei ribelli hanno colpito l’ospedale di Dabbi’t, centrando il reparto di ostetricia e uccidendo 17 bambini, oltre che donne e uomini. In precedenza avevano lanciato missili sulle università, in particolare l’università statale “costringendo migliaia di studenti a ripararsi per ore nei sotterranei per sfuggire alle violenze. Da qui il provvedimento del ministero dell’Istruzione di chiudere per tre giorni tutte le scuole della città”.

Sotto gli edifici bombardati potrebbero esserci decine di vittime
“Nella strada che porta all’università” prosegue il sacerdote, “è stato abbattuto completamente un edificio e al momento non si conosce il numero di vittime o feriti. Questo senza contare i bombardamenti sporadici o intensi in altre zone”. Fra gli edifici colpiti anche la moschea di Aisha, nel quartiere di Zahraa che, precisa il parroco, “era considerata un rifugio per le famiglie musulmane emigrate da altre zone e in cerca di riparo”. 

L'appello del Papa al Regina Coeli e l'affidamento al Cuore Immacolato di Maria dei vescovi
L’escalation dei combattimenti e l’inerzia della comunità internazionale preoccupano anche papa Francesco il quale, domenica primo maggio al termine del Regina Coeli, ha rinnovato il proprio appello alla pace nel Paese. Il pontefice ha esortato “tutte le parti coinvolte nel conflitto a rispettare la cessazione delle ostilità e a rafforzare il dialogo in corso, unica strada che conduce alla pace”. Le parole del Papa seguono la dichiarazione dei vescovi cattolici di Aleppo, che in una nota congiunta hanno denunciato “la violenza che la nostra amata città subisce”, affidandola al Cuore Immacolato di Maria perché porti la pace. 

Quanto accade ad Aleppo è un vero e proprio crimine contro l'umanità
​“Quanto stiamo vivendo - sottolinea il parroco di Aleppo - è un vero e proprio crimine contro l’umanità: perché colpire i bambini, i neonati, le donne partorienti, gli studenti universitari… chiamiamoli vendette o terrorismo, in realtà questi sono atti terribili. Chiediamo compassione e misericordia per queste vittime innocenti”. Ad Aleppo non esiste un ovest o un est, conclude il sacerdote, ma “tutti dobbiamo essere vicini a quanti hanno un motivo per soffrire, per chi ha subito violenze… per i neonati, gli anziani, i disperati. Come Chiesa siamo vicini non solo ai cristiani, ma a chiunque sia stato colpito nella sua dignità per queste violenze. E per questo rinnovo l’appello a tutti voi per la preghiera e vi ringrazio per la solidarietà, la vicinanza, la buona volontà!”. (D.S.)

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Iraq: Peshmerga e raid respingono l'Is da villaggio cristiano

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E’ durata poche ore l'offensiva dei circa 150 jihadisti dell'autoproclamato Stato Islamico (Daesh) che nella giornata di ieri, avevano attaccato Telskuf, cittadina della Piana di Ninive dove prima dell'agosto 2014 vivevano circa 12mila cristiani. Le milizie curde Peshmerga, supportate dai raid aerei della coalizione internazionale anti-Daesh che fa capo agli Usa, hanno ripreso già nella stessa giornata di ieri il controllo di quella che attualmente si presenta come una città disabitata. Gli scontri tra le milizie curde e gli affiliati del Daesh hanno provocato diverse vittime da ambo le parti. I soldati Peshmerga caduti sono almeno tre. Un comunicato della coalizione a guida Usa, rilanciato da fonti curde consultate dall'agenzia Fides, riferisce che anche un soldato statunitense è morto negli scontri col Daesh avvenuti nel distretto di Telskuf.

Fallita l'offensiva dell'Is
L'attacco jihadista a Telskuf rientrava nella più ampia offensiva tentata dai miliziani del Daesh per aprire dei varchi nelle aree nord-irachene presidiate dai Peshmerga, dopo che proprio le forze armate curde avevano ottenuto importanti successi negli scontri con i jihadisti, riconquistando importanti villaggi nella zona di Kirkuk.

Telskuf attualmente si presenta come una città fantasma
I suoi abitanti l'hanno abbandonata in massa nella notte tra il 6 e il 7 agosto 2014, quando decine di migliaia di cristiani dei villaggi della Piana di Ninive fuggirono davanti all'amanzata delle milizie dello Stato Islamico. I jihadisti si ritirarono da Telskuf nei mesi successivi, ma la città è rimasta deserta, e le famiglie cristiane vi ritornano solo per celebrare i funerali e seppellire i propri morti nel cimitero. Una parte dei cittadini fuggiti da Telskuf hanno trovato rifugio nella vicina città di Alqosh. (G.V.)

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Egitto: si discute nuova legge su costruzione luoghi di culto

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Il nuovo testo di legge sulla costruzione dei luoghi di culto, allo studio da anni, è stato predisposto nella sua versione pre-definitiva, e sarà discusso dal Parlamento egiziano nelle prossime settimane, probabilmente entro il mese corrente. La bozza del testo legislativo, secondo fonti citate dalla stampa egiziana riprese dall'agenzia Fides, è stata consegnata ai vertici della Chiesa copta ortodossa nei giorni scorsi, in modo da poter ascoltare valutazioni e eventuali obiezioni sul testo provenienti dai responsabili del Patriarcato copto ortodosso. Nell'autunno 2014, erano stati i rappresentanti delle principali Chiese e comunità cristiane presenti in Egitto a inviare ai responsabili del governo egiziano un memorandum con suggerimenti e proposte, in vista di una nuova legislazione sulla costruzione di edifici per il culto cristiano sul territorio egiziano. 

Chiesa vuole che i permessi siano rilasciati dalle autorità locali
L'intenzione di fondo che ispirava le proposte dei responsabili cristiani – riferì in quell'occasione a Fides mons. Anba Antonios Aziz Mina, vescovo copto cattolico di Guizeh – era quella di “facilitare l'applicazione di procedure snelle e chiare che dipendano solo dalla legge, e siano sottratte a ogni tipo di arbitrio”. Secondo le proposte presentate allora dalle Chiese presenti in Egitto, la concessione dei permessi per la costruzione dei luoghi di culto cristiano dovrebbe essere esercitata dalle autorità municipali locali, come accade per la costruzione di edifici privati, senza coinvolgere i livelli provinciali o nazionali dell'apparato amministrativo.

I vincoli dell'Impero ottomano hanno impedito la costruzione di molte chiese
​I vincoli burocratici che complicano la costruzione di nuove chiese risalgono in parte al periodo ottomano. Nel 1934, il Ministero dell'interno aggiunse le cosiddette “dieci regole”, che vietano tra l'altro di costruire nuove chiese vicino alle scuole, ai canali, agli edifici governativi, alle ferrovie e alle aree residenziali. In molti casi, l'applicazione rigida di quelle regole ha impedito di costruire chiese in città e paesi abitati dai cristiani, soprattutto nelle aree rurali dell'Alto Egitto. (G.V.)

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Vescovi Nigeria con il Presidente su lotta a corruzione e Boko Haram

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“Lodiamo i suoi sforzi per combattere Boko Haram e la corruzione. Auspichiamo che giustizia sia fatta secondo la legge, senza che ci siano isole d’impunità” ha affermato mons. Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, nel suo discorso in occasione della visita dei vescovi al Presidente nigeriano Muhammud Buhari, effettuata lunedì scorso.

Boko Haram e corruzione: due mostri che destabilizzano la Nigeria
Riferendosi a Boko Haram e alla corruzione, mons. Kaigama li ha definiti “due mostri che minacciano di destabilizzare la Nigeria e di distruggere la crescita e lo sviluppo della nazione”. Nel suo discorso, il cui testo è stato ripreso dall’agenzia Fides, l’arcivescovo di Jos sottolinea gli sforzi della Chiesa cattolica per portare aiuto alle popolazioni costrette alla fuga dalle violenze della setta islamista. “In particolare - ha ricordato - i vescovi di Maiduguri e di Yola, come quelli di altre parti del Paese, hanno ospitato un gran numero di sfollati interni. La Caritas nigeriana ha inviato una delegazione in Camerun con una significativa quantità di aiuti per soccorrere migliaia di nigeriani che si sono rifugiati in quel Paese”

Attacchi armati e massacri sono diventati una minaccia nazionale
Il presidente della Conferenza episcopale ha poi citato i recenti massacri negli Stati del sud, come quelli avvenuti ad Agatu e Nimbo, attribuiti ai pastori Fulani, che sarebbero responsabili anche del fallito agguato all’automobile su cui viaggiava il card. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja. Secondo mons. Kaigama occorre fornire aiuto sia ai pastori in difficoltà per i cambiamenti climatici che agli agricoltori, anche per creare un’economia meno dipendente dal petrolio, ma allo stesso tempo afferma che “gli attacchi armati e i massacri sono diventati una minaccia nazionale, al punto che si dovrebbe considerarli come un’insorgenza e trattarli come tale”.

I vescovi hanno chiesto il rispetto della libertà religiosa
​Mons. Kaigama ha infine lamentato la mancanza di supporto dello Stato alle scuole cattoliche, definite “scuole missionarie”, perché forniscono un’educazione di qualità a tutti coloro che la chiedono, senza discriminazioni, e le enormi difficoltà per costruire luoghi di culto cristiani nelle università federali negli Stati del Nord, a maggioranza musulmana, così come nuove chiese nelle stesse aree. “Le chiediamo di spingere i governi di quegli Stati a far rispettare la libertà di religione inscritta nella nostra Costituzione” ha chiesto mons. Kaigama al Capo dello Stato. (L.M.)

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Vescovi spagnoli: appello contro la pirateria nel cinema

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“La pirateria nel cinema. Uno sguardo dalla Dottrina sociale della Chiesa”: si intitola così il documento diffuso dalla Commissione episcopale i mezzi di comunicazione sociale (Cemcs) in Spagna, in vista della 50.ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che ricorre domenica 8 maggio. In primo luogo, i presuli iberici ricordano come la Chiesa abbia sempre inteso i film come “un supporto di grande valore per la diffusione della cultura ed un prezioso strumento per l’evangelizzazione” anche perché, grazie alle nuove tecnologie, oggi il cinema raggiunge sempre più persone in modo semplice ed economico.

Senza educazione morale, pirateria aumenta
Al contempo, la Cemcs, guidata da mons. Ginés Ramón García Beltrán, sottolinea che “senza un’educazione morale rilevante, la rapida diffusione dei film può danneggiare i legittimi diritti e gli interessi di un vasto numero di professionisti che operano nel settore cinematografico”, tanto che “le opere audiovisive vengono rese disponibili tramite Internet” o vendute per strada in modo illegale. Di qui, l’allarme sulla diffusione della pirateria che “mette in pericolo la continuità di questa espressione culturale preziosa per la diffusione di idee a beneficio del popolo”.

Il cinema ha dimensione sociale importante
Quindi, la Cemcs difende il legittimo diritto di proprietà che si estende anche alla proprietà intellettuale e culturale. Il cinema, inoltre, ha una dimensione sociale importante, in quanto “rinnova la società, facendola progredire, piuttosto che limitarsi ad una mera attività produttiva”. Per questo, la pirateria – nell’ottica della Dottrina sociale della Chiesa – rientra in quelle attività che “violano il diritto di ricevere un giusto compenso per il lavoro svolto e quindi sono contrarie non solo al diritto delle nazioni, ma anche alla legge di Dio”.

Pirateria contraria a 7.mo e 10.mo comandamento
Incoraggiando, poi, l’industria cinematografica ad adattarsi meglio alle nuove tecnologie, come ha fatto da tempo l’industria musicale, i vescovi spagnoli sottolineano che la pirateria è contraria al settimo ed al decimo comandamento, ovvero “Non rubare” e “Non desiderare la roba d’altri”. Di qui, l’incoraggiamento ai cattolici ed a tutte le persone di buona volontà, in particolare ai giovani, a “vivere secondo i principi che regolano il bene comune e lo sviluppo delle persone e della dignità umana”.

Guardare al bene comune della società
​“Ci auguriamo – concludono i vescovi iberici – che il fenomeno della pirateria nel mondo del cinema diminuisca fino a scomparire, come frutto di una riflessione matura sul valore autentico del cinema e sul bene comune di tutte le persone e della società”. (I.P.)

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Terra Santa: in aumento i pellegrinaggi dall'Estremo Oriente

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Indonesiani, indiani, filippini: tra gli asiatici sono loro i maggiori frequentatori della Terra Santa. A guardare le statistiche del Franciscan Pilgrims Office (Fpo) - citate dall'agenzia Sir - relative al trimestre ottobre-dicembre del 2014 (le prime dopo l’introduzione del nuovo sistema digitale) emerge che tra i primi venti Paesi con più pellegrini ben sei sono asiatici. 

Dopo l'Europa è l'Asia il continente con più pellegrini
Nell’anno delle violenze di Gaza, l’Indonesia risulta la quarta nazione in assoluto con 6.519 presenze ripartite in 188 gruppi, l’India l’ottava con 3.363 presenze in 59 gruppi, dodicesime le Filippine con 1.683 presenze in 35 gruppi; seguono Malaysia (quattordicesima), Singapore (sedicesima), Cina (ventesima), e poi Hong Kong, Sri Lanka, Corea del Sud, Taiwan, Giappone, Vietnam, Corea del Nord. Al computo totale dell’ultimo trimestre del 2014 è l’Asia, dopo l’Europa, il continente di maggior provenienza dei pellegrini con 16.297 presenze in 423 gruppi, staccando di poco il Nord America (16.256) e l’America Latina (12.866).

Tra i Paesi asiatici l'Indonesia è al quarto posto
Nel 2015 le cose sono andate ancora meglio. L’Asia si è confermata secondo continente, sempre dietro all’Europa, con 59.668 pellegrini in 1.729 gruppi, staccando nettamente il Nord America (53.110). Sono saliti a sette, tra i primi venti, i Paesi asiatici con più pellegrini: Indonesia sempre al quarto posto con 19.922 presenze in 631 gruppi, mentre è salita l’India; stabili le Filippine e balzo in avanti della Corea del Sud che dal trentottesimo posto si è attestata al tredicesimo. 

I francescani auspicano una ripresa dei pellegrinaggi
Per quanto riguarda il primo trimestre del 2016, se messo a confronto con quello del 2015, questo mostra segnali di una ripresa, anche se per ora piuttosto timida. Spiega padre Agustin Pelayo Fregoso, direttore del Christian Information Center, all’interno del quale opera il Fpo: «Sono mesi tradizionalmente scarsi di affluenza di pellegrini, gennaio e febbraio in particolare, ma che hanno fatto registrare un aumento di presenze. Quest’anno poi la Pasqua, celebrata alla fine di marzo, ha portato altri pellegrini e adesso speriamo che il trend di crescita si consolidi». (T.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 125

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.