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Sommario del 05/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Veglia per asciugare le lacrime. Papa: solo il Signore ci consola

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“Il Signore ci consola. Tutti siamo chiamati a consolare i nostri fratelli, testimoniando che solo Dio può eliminare le cause dei drammi”. E’ quanto scrive Papa Francesco in un tweet pubblicato stamani sull’account Twitter @Pontifex a poche ore dalla Veglia di preghiera “per asciugare le lacrime” che il Pontefice presiederà stasera nella Basilica petrina a partire dalle 18. Nell’occasione, sarà esposto in San Pietro il reliquario della Madonna delle Lacrime di Siracusa. Il servizio di Alessandro Gisotti

Asciugare le lacrime di chi soffre, affidarle come un dono al Signore, l’unico che può davvero trasformare il pianto in gioia. Con questo spirito, stasera, Francesco celebrerà in San Pietro una Veglia di preghiera che avrà come cuore la consolazione degli afflitti, una delle 7 opere di misericordia spirituale, che il Papa invita a compiere soprattutto in questo Giubileo straordinario.

In preghiera per chi soffre, dai bambini alle vittime della guerra
Durante la Veglia si pregherà per i “bambini abusati” e per i giovani “ai quali è tolta l’infanzia”, per le vittime di guerra e del terrorismo. Si pregherà per quelli che soffrono nel corpo, per coloro che sono incarcerati ingiustamente e per quanti sono abbandonati e dimenticati. Non mancheranno preghiere per le famiglie che hanno perso un figlio, per chi ha perso la casa o il lavoro. E ancora, si pregherà per quanti sono torturati, schiavizzati e perseguitati. Nell’occasione della Veglia, in Basilica, sarà esposto alla venerazione dei fedeli il reliquario della Madonna delle lacrime di Siracusa, legato al fenomeno prodigioso accaduto nel 1953 nella casa di una giovane coppia di sposi dove un quadretto di gesso raffigurante la Madonna versò lacrime umane.

Testimonianze di sofferenza durante la Veglia
Momento forte della Veglia, le testimonianze toccanti di sofferenza da parte di una famiglia sconvolta dal dramma del suicidio di un figlio, un rifugiato politico pakistano perseguitato per la sua fede cristiana e un uomo che da giovane aveva smarrito il senso della vita e l’ha ritrovato grazie alla fede della madre e del fratello gemello. Durante la celebrazione il Papa farà distribuire ai presenti, come simbolo di conforto e speranza, l’Agnus Dei, un oggetto antichissimo di devozione da lui benedetto, usato in particolare durante gli Anni giubilari. Si tratta di un oggetto realizzato con cera bianca in forma di un ovale che reca da una lato l’impronta dell’Agnello Pasquale e dall’altro il logo del Giubileo della Misericordia.

Il Papa donerà l’Agnus Dei a dieci persone, in rappresentanza di chi soffre
A ricevere l’Agnus Dei direttamente dalle mani del Papa saranno 10 persone in rappresentanza di tutti coloro che portano sulle spalle storie umane di grande sofferenza. Tra questi, la presidente dell’associazione “Figli nel Cielo” e dell’associazione “Vittime della Strada”, un giovane diacono rwandese che ha perso molti dei suoi familiari durante il genocidio del 1994. Ancora un uomo vittima del gioco d’azzardo e un ex senzatetto. Sono storie, sottolinea un comunicato del dicastero per la Nuova Evangelizzazione, di drammi “ma anche di rinascite, a partire proprio da quelle lacrime che, cadute nel terreno del dolore, si sono impastate con la fede e hanno trasformato deserti in giardini di speranza”.

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L'arcivescovo di Siracusa: il Papa presenta a Maria il dolore dell'umanità

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Tanti i fedeli di Siracusa presenti alla Veglia con il Papa in San Pietro. A guidarli è l’arcivescovo della città, mons. Salvatore Pappalardo. Sergio Centofanti gli ha chiesto il significato di questa iniziativa:  

R. – Se il Papa ha voluto una veglia, proprio per asciugare le lacrime, le tante lacrime degli uomini, allora la presenza del reliquiario può significare questa presenza della Madonna, vicina a ognuno di noi, che siamo i suoi figli; questa presenza della Madonna, soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà, di tribolazione, che possono esserci nella vita di ognuno  … insomma, ce la sentiamo più vicina, la Madonna, partecipe della nostra condizione umana. Lei, che dal cielo partecipa della gloria del suo Figlio, raccoglie le nostre lacrime e quindi diventa la Madre vicina ai suoi figli, che siamo sulla terra, e presenta queste lacrime al Figlio suo che è nel cielo.

D. – E’ Maria che ci consola e ci dà speranza …

R. – Sì, è motivo di fiducia, di serenità, di speranza … Una persona, prima di partire, sapendo che sarei venuto qui a Roma, mi ha detto: “Se incontra il Papa, gli dica che ho bisogno della sua preghiera perché le mie sofferenze sono tante”. Quindi, è il Papa che si fa portatore davanti alla Madonna delle sofferenze e delle speranze degli uomini.

D. – Qual è la storia della Madonna delle lacrime?

R. – Nel 1953, in una casa della città di Siracusa, in una famiglia, da un quadretto in gesso raffigurante il cuore immacolato di Maria incominciarono a sgorgare delle lacrime. Il fenomeno si è ripetuto più volte nel corso di quattro giorni. Una parte di questo liquido fu raccolto e sottoposto a esame clinico: il risultato è stato che si trattava di lacrime umane. A parte questo evento, ci furono anche delle grazie, delle guarigioni; in quei giorni, molti pellegrini affluirono a Siracusa. Tutto questo fu preso in considerazione dal vescovo del tempo, mons. Ettore Baranzini, il quale a sua volta ha relazionato sia ai vescovi di Sicilia sia alla Santa Sede, e il risultato è stato questo: che i vescovi si sono pronunciati unanimemente, dichiarando la straordinarietà di quell’evento, che si trattava di un evento soprannaturale, e hanno auspicato che fosse costruito anche un tempio, una chiesa, per ricordare questa lacrimazione della Madonna. Una chiesa che abbiamo avuto la gioia anche di averla consacrata da Papa San Giovanni Paolo II nella sua visita nell’anno 1994.

D. – Cosa è oggi il Santuario di Siracusa, dedicato alla Madonna delle Lacrime?

R. – Rimane sempre un luogo della preghiera e della preghiera fiduciosa alla Madonna; moltissime persone vengono, si fermano dinanzi al quadretto che viene conservato lì, nel Santuario, e certamente ognuno porta le proprie sofferenze dinanzi alla Madonna: veramente, la consolatrice degli afflitti. Si viene a Siracusa per deporre nel cuore della Madonna i propri desideri, le proprie speranze ma soprattutto le ragioni della sofferenza …

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Card. Parolin: sull'immigrazione, l'Europa sia solidale

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Di fronte all’Europa che si chiude sul fronte dell’immigrazione, il Papa continua a insistere che si costruiscano ponti. Lo ha detto il cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, a un convegno al Senato sulla libertà religiosa. Il ministro degli Esteri ha ribadito che la tutela di tutte le confessioni è un fondamento della politica italiana. C'era per noi Alessandro Guarasci: 

L’Europa che si chiude a riccio di fronte a chi fugge da fame, guerre, e persecuzioni religiose preoccupa la Santa Sede. Francesco chiede che il Vecchio continente costruisca ponti e non muri. Con lui il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin:

“Domani Papa Francesco riceverà il Premio Carlo Magno. Quindi quella sarà una nuova occasione per ricordare all’Europa la sua vocazione umanistica, che è vocazione all’apertura e alla solidarietà verso tutti”.

Dunque i leader religiosi devono impegnarsi per la tutela di tutti i credo religiosi. “Viene lo sgomento se si pensa quanto si è lavorato a livello internazionale per allontanare lo spettro della guerra - dice il porporato - e poi ci troviamo di fronte a nuove aberrazioni”, nuovi conflitti, dove vengono violate le più elementari regole di rispetto dell’altro. La religione così troppo spesso viene usata per dividere. In Europa invece c'è il ritorno di una mentalità laicista. Ancora il cardinale Parolin:

“Permangono questi aspetti del laicismo, che vuole emarginare la religione dalla sfera pubblica. Mi pare che questa sia una caratteristica che è sempre stata presente, che è presente anche oggi e contro la quale si deve reagire, proprio perché la religione, con i suoi valori, può portare un contributo anche sulla scena pubblica e nel dibattito civile e sociale”.

Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, aggiunge che la libertà religiosa è un cardine della politica italiana. In alcuni Paesi del Mediterraneo gli estremisti distorcono il concetto di religione. Il commento del capo della Farnesina:

“Addirittura l’uso della religione come una specie di ammortizzatore sociale in Stati falliti, in alcuni Paesi; che poi è la premessa in molti casi della radicalizzazione e dell’utilizzo in senso positivo di questa identità religiosa, che magari nasce come una sorta di welfare alternativo alla crisi degli Stati”.

Il presidente del Senato, Pietro Grasso, ricorda come “la storia della civiltà umana” sia “legata in modo inscindibile alla religione”.

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Schulz sul Premio Carlo Magno al Papa: Francesco apre gli occhi

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Sarà consegnato domani alle 12.00, in Vaticano, a Papa Francesco il Premio Carlo Magno. Saranno presenti il cancelliere tedesco Angela Merkel, il presidente del Parlamento Europeo Martin Schultz, il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk e il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker. Il riconoscimento, attribuito ogni anno dalla città di Aquisgrana a personalità che si siano contraddistinte per il loro ruolo in favore dei valori europei, è stato assegnato al Pontefice per il suo impegno a costruire un’Europa di pace, fondata su valori comuni e aperta ad altri popoli e continenti. Recentemente hanno suscitato vasta eco, in particolare, le parole fortemente critiche pronunciate dal Santo Padre sulla condizione dei profughi nel vecchio continente. Ascoltiamo, al microfono Gudrun Sailer, il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz: 

R. – Die Zahl der Kritiker …
Il numero dei critici dell’Europa è molto grande. Ma il Papa si distingue dalla maggior parte di loro per il fatto che non solo avanza delle critiche, ma ci ricorda che potremmo fare meglio se ci ricordassimo le nostre tradizionali forme di cooperazione e soprattutto i nostri valori. Per questo il Papa, che come figlio di immigrati italiani in Argentina e poi per tanti anni arcivescovo di Buenos Aires ha conosciuto un mondo diverso da quello privilegiato nel quale viviamo noi europei, ci apre gli occhi e ci fa riflettere su quanto dovremmo essere grati e riconoscenti per questo mondo meraviglioso che è l’Europa, nella quale ci è consentito vivere. E’ questo che fa di lui un grande europeo.

D. – Si dice che il 2016 sarà l’anno determinante per l’Europa: i britannici decideranno se uscire dall’Ue e la Grecia non è ancora “sicura”; la questione dei profughi sembra portare l’Ue sull’orlo del precipizio … Cosa si aspetta lei, in questa situazione, da Papa Francesco?

R. – Ich hoffe, dass der Satz von Jean Monnet, ein Gründervater der Europäischen Union, dass Europa …
Io spero tanto che la frase di Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Unione Europea, secondo la quale l’Europa avrebbe dovuto essere costruita sul principio della solidarietà dell’azione, si rispecchi esattamente in quello che il Papa ha fatto a Lesbo. Se in Europa ci sono capi di Stato che affermano di guidare un Paese cattolico e che quindi non possono accogliere musulmani, mentre il Papa va a Lesbo e riporta in Vaticano alcune famiglia di religione musulmana per garantire loro un rifugio, allora questa è una lezione di carattere straordinario per tutti coloro che la pensano come questo capo di governo che ho citato. E questa è la “solidarietà dell’azione”. Esattamente questo era il messaggio dei Padri fondatori dell’Unione Europea.

D. – Lei pensa davvero che questa lezione di solidarietà, con questo viaggio papale della solidarietà a Lesbo, sia “arrivata” in quei Paesi ai quali era destinata?

R. – Da bin ich ganz sicher. Die hohe moralische Autorität die das Oberhaupt der katholischen Kirche …
Ne sono assolutamente sicuro. L’altissima autorità morale di cui gode il capo della Chiesa cattolica proprio nei Paesi di tradizione cattolica, sicuramente induce moltissime persone alla riflessione.

D. – Perché tutti questi grandi leader europei vengono in Vaticano?

R. – Die europäische Union ist …
L’Unione Europea si trova di fronte a una sfida drammatica. Peraltro, il Comitato del Premio ha chiesto ai tre presidenti delle Istituzioni europee di porgere insieme, come rappresentanti uniti dell’Unione Europea, i nostri omaggi al Santo Padre. Mi sembra che se il cancelliere tedesco dice: “Il conferimento di questo Premio vale un viaggio a Roma per manifestare al Pontefice il mio personale rispetto”, non solo non c’è nulla da commentare da parte mia ma, al contrario, c’è da prenderne atto con grande gioia.

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El Hassan bin Talal: il dialogo si nutre di valori alti

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Dialogo interreligioso e questione dei rifugiati. Sono tati alcuni dei temi al centro ieri dell’incontro di Papa Francesco con i partecipanti al Colloquio, promosso dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, con il “Royal Institute for Interfaith Studies” di Amman. Sull’importanza del dialogo interreligioso Tracey McClure ha intervistato il principe giordano El Hassan bin Talal:

R. - I believe that rising to the higher values referred to by His Holiness Pope Francis on Wednesday …
Credo che l’innalzarsi verso quei valori più alti ai quali ha fatto riferimento Papa Francesco nel nostro incontro, è esattamente la mia aspettativa per quanto riguarda questo dialogo. Occorre innalzarsi a valori costruttivi. Si deve ricostruire – fisicamente e psicologicamente – la nostra “forma mentis” nei riguardi del problema che riguarda la territorialità, l’identità e la migrazione a livello mondiale. Questa è – secondo me – la sfida che dobbiamo affrontare: pensare alla dignità umana senza discriminazioni e senza isolamenti. Spogliare le persone della loro nazionalità non migliorerà la possibilità di perdere grandi numeri di giovani che si uniscono a gruppi radicali, solo perché hanno la sensazione di non avere altre scelte o perché si rendono conto che le opportunità sono limitate. Mi sembra che questo dialogo – e nel 2014, ad Amman, abbiamo annunciato un Decalogo – stia raggiungendo alcuni degli obiettivi che si era preposto. Tra questi, c’è il lavoro pratico svolto dal servizio di monitoraggio da parte degli accademici, che studiano la visione araba, cristiana e musulmana di fronte al mondo nel quale viviamo e, parallelamente, chiedono alle persone che hanno il compito di analizzare le preoccupazioni europee o occidentali: come possiamo incontrarci a metà strada, guardando alla libertà nel contesto di un buon vicinato da un lato, e la politica eurasiatica dall’altro?

D. – E’ interessante pensare che lei abbia la sensazione che iniziative di questo genere siano necessarie proprio in Giordania, dove pure – nell’insieme – c’è un buon senso della comune cittadinanza, in un Paese a maggioranza musulmana nel quale cristianesimo e alte religioni sono una minoranza. E’ stato fatto abbastanza, nella sua regione, per rafforzare il senso di cittadinanza?

R. – The question of citizenship is a question of pluralism, a question of recognizing the identity of …
La questione della cittadinanza è una questione di pluralismo, di riconoscimento dell’identità dell’altro sulla base del rispetto. La questione dell’identità è una questione di riconoscere l’altro, riconoscere che la popolazione cristiana sta diminuendo, nell’insieme della regione. E questo è allarmante. Penso che dovremo sviluppare un dialogo nel quale riconosciamo l’identità dell’altro sulla base del rispetto e allo stesso tempo riconosciamo quanto abbiamo in comune in questa regione, non ultimo nell’ambito dell’istruzione dei giovani.

D. – Avete parlato dell’enorme fenomeno migratorio che è in corso nella sua regione; con la guerra in corso in Siria, avete avuto un afflusso enorme di rifugiati. Ma la Giordania, può farcela da sola? La comunità internazionale sta facendo la sua parte?

R. – To be proactive, I think that the regional Bank for reconstruction and development should be …
Per essere propositivi, penso che dovrebbe essere istituita una Banca regionale per la ricostruzione e lo sviluppo. Non riesco a capire perché la nostra regione è l’unica del mondo in cui non esiste una Banca regionale, perché dobbiamo rispondere alle iniziative prese da altri al di fuori della nostra regione. Penso che si debbano abilitare i musulmani arabi a fare cose responsabili attraverso la creazione di un fondo internazionale. Il vertice umanitario di Istanbul ha affrontato questo aspetto nel dettaglio … Credo che arriverà il momento in cui riconosceremo i rifugiati per quello che sono realmente: vittime piuttosto che perpetratori di violenza. Credo che sarebbe troppo chiedere ai Paesi più poveri della regione, in particolare ai Paesi che non sono produttori di petrolio, pagare il conto maggiore delle follie di altri …

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Crisi in Brasile. Il Papa è preoccupato e prega per il Paese

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"Una vittima innocente". Si definisce così, in un'intervista alla Bbc, la presidente del Brasile, Dilma Rousseff, accusata di frode, falso e abuso di ufficio con l'obiettivo di nascondere il deficit di bilancio e per questo oggetto di un procedimento di impeachment. Il Senato si pronuncerà l'11 maggio: in caso affermativo, la presidente sarà sospesa per 180 giorni. Secondo la Roussef "il processo di impeachment in atto è illegittimo e illegale" perché "è basato su una menzogna”. La Chiesa in Brasile segue da vicino la vicenda. L’arcivescovo di Rio de Janeiro, il cardinale Orani João Tempesta, ne ha parlato ieri con il Papa al termine dell’udienza generale. Ascoltiamolo al microfono di Silvonei Protz

R. – Io ho parlato con il Santo Padre e gli ho chiesto di pregare per il nostro Paese, il Brasile, in questo momento delicato della sua vita. E il Santo Padre ha detto che è preoccupato e che prega per il nostro Paese.

D. – Il Papa segue, dunque, la situazione in Brasile…

R. – Sì, ha detto che la segue e sa quello che succede.

D. – Qual è la situazione in Brasile e cosa sta facendo la Chiesa?

R. – È la seconda volta che in Brasile si verifica l’impeachment. La prima volta è stato con il presidente Collor de Mello, ma era un’altra epoca. Collor fu denunciato prima che la procedura di impeachment fosse portata a termine. Adesso siamo in un altro momento. La procedura di impeachment è cominciata nella Camera dei deputati, ora è passata al Senato federale e sembra che vada avanti. La Chiesa ripone fiducia nei poteri della Repubblica e confida nel fatto che le autorità svolgeranno il proprio lavoro in maniera responsabile; inoltre prega per il popolo, esortandolo a stare insieme, unito, in questo momento. Sappiamo che all’interno della Chiesa ci sono sia persone che sono sia a favore sia contro la presidente, così come persone a favore e contro l'ex presidente Lula. Ma la Chiesa deve rimanere unita e pregare perché possa arrivare un buon momento per il Brasile, perché ora ci troviamo in una situazione davvero brutta e difficile… E anche la denuncia di questi giorni contro Lula rappresenta per tutti noi un momento che ci spinge alla preghiera: vogliamo dire a Dio che desideriamo un Paese migliore, più tranquillo, dove ci siano possibilità di progresso. Credo che sia un momento difficile, ma che sia necessario mantenere la speranza.

D. – Lei è l’arcivescovo della città che sarà sede dei Giochi Olimpici: in questo momento la situazione politica, economica e sociale può anche intaccare in qualche modo questi Giochi?

R. – Sì, quello che succede nel Paese succede a Rio de Janeiro e anche nello Stato di Rio de Janeiro, che è uno Stato impoverito, con problemi che riguardano sia il petrolio ma che sono anche di natura finanziaria e hanno causato tanti imbrogli. Ma la preparazione delle Olimpiadi sta andando avanti. E credo che questo sia un momento importante per il Brasile e per la città di Rio de Janeiro che si sta preparando a ricevere tante persone. Speriamo che questo possa essere un bel momento, anche di unità: perché le Olimpiadi mostrano anche l’unità dei popoli, delle persone. Paesi che a volte sono avversari in politica, nei giochi invece si ritrovano insieme. Le Olimpiadi in questo momento possono quindi aiutare il Brasile. Secondo la tradizione dell’antica Grecia, durante le Olimpiadi non si poteva dichiarare guerra. E speriamo che in questo momento né a Rio né in Brasile avvengano "guerre", ma soltanto la pace.

D. – L’arcidiocesi di Rio è coinvolta anche per l'assistenza spirituale sia dei turisti ma anche degli atleti...

R. – Sì, abbiamo la responsabilità della cappella del villaggio olimpico: siamo responsabili di coordinare tutte le religioni nel villaggio olimpico. E seguiremo quanti vengono in Brasile per questa occasione e parlano in altre lingue.

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Nomina episcopale in Australia

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Papa Francesco ha nominato Vescovo di Parramatta (Australia) S.E. Mons. Vincent Long Van Nguyen, O.F.M. Conv., finora Vescovo titolare di Tala ed Ausiliare di Melbourne. Mons. Vincent Long Van Nguyen, O.F.M. Conv., è nato a Gia-Kiem, nella diocesi di Xuân Lôc (Vietnam), il 3 dicembre 1961. Ha lasciato il Vietnam l’11 agosto 1980 per rifugiarsi in Australia il 2 dicembre 1981. Entrato nell’Ordine dei Francescani Conventuali nel 1983, ha ottenuto il Baccellierato in Teologia nel 1989 al “Melbourne College of Divinity”. Successivamente ha conseguito la Licenza in Spiritualità e Cristologia presso il Seraphicum a Roma (1994). È stato ordinato sacerdote il 30 dicembre 1989 per l’Ordine dei Francescani Conventuali.

Dopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale a Springvale nell’arcidiocesi di Melbourne (1990-1992), Direttore dei Postulanti in Australia (1994-1998), “Custodial Vicar” (1995-2005), Parroco di Kellyville nella diocesi di Parramatta (1999-2002), Parroco a Springvale (2002-2008), Superiore Provinciale e Membro dell’“International Leadership Team OFM Conv.” (2005-2008), Consigliere Generale della Federazione dell’Ordine per Asia ed Australia (FAAMC) (2008-2011). Nominato Vescovo titolare di Tala ed Ausiliare di Melbourne il 20 maggio 2011, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 23 giugno successivo.

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Vaticano: partnership tra Segreteria Comunicazione e HD Forum Italia

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Il 12 maggio verrà annunciata in Vaticano la partnership tra la Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede e HD Forum Italia (HDFI), associazione no profit che si occupa della promozione dell’applicazione del nuove tecnologie audiovisive. Giovedì 12 maggio, dunque - alle ore 11 - presso la Filmoteca Vaticana, si terrà una conferenza stampa durante la quale verranno svelati i dettagli dell’intesa.

All’appuntamento, intitolato "Passaggi: tecnologie e comunicazione oltre le frontiere", interverranno: il prefetto del dicastero vaticano, mons. Dario Edoardo Viganò, il presidente di HDFI, Benito Manlio Mari, il direttore del Centro Televisivo Vaticano, Stefano D’Agostini, e il presidente della sezione italiana della Society of Motion Picture and Television Engineers (SMPTE), Alfredo Bartelletti. Nell’occasione verrà, inoltre, proiettato "Behind-the-scenes", innovativo reportage in Ultra HD/HDR sul backstage dell’apertura della Porta Santa. Parteciperanno anche l’amministratore delegato di Eutelsat Italia, Renato Farina e il consigliere delegato aggiunto di Tivù, Luca Balestrieri. (A.G.)

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Oggi in Primo Piano



La testimonianza di p. Ibrahim da Aleppo: la città è una prigione

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In Siria è entrata in vigore nella notte, dopo un accordo tra Usa e Russia, una fragile tregua ad Aleppo. La città è stata teatro, ieri e nei giorni scorsi, di intensi combattimenti tra ribelli e forze governative che hanno seminato morte, odio e paura. Su questi episodi di terrore Antonella Palermo ha raccolto la drammatica testimonianza di padre Ibrahim Alsabbagh, francescano, responsabile della Comunità cristiano-latina di Aleppo: 

R. – Siamo in una grande difficoltà. Abbiamo tanti bombardamenti. Di continuo cadono missili sugli edifici, sulle strade, sulle scuole, sugli ospedali. Dove noi viviamo, nella parte ovest della città, che è controllata dall’esercito regolare, vediamo tutto questo con grande tristezza.  Tutto è iniziato un po’ prima dei colloqui Ginevra e si è intensificato ancora di più dopo i negoziati di Ginevra. Sembra che non si sia arrivati ad un accordo, e allora si è scatenato l’inferno. Viviamo ogni giorno nel terrore. Sono tanti i morti, tanti i feriti, tante le persone mutilate, gli edifici crollati, e tanta la sofferenza.  Specialmente domenica scorsa, quando abbiamo aperto il mese mariano con la Messa vespertina, tantissimi sono stati i bombardamenti, anche attorno alla nostra zona. Erano tutti spaventati. E’ successo lo stesso a Ram, in un’altra zona, sempre ad ovest della città. Mentre stavano pregando, è caduto un missile proprio sul muro del convento e della Chiesa. Le persone, spaventate, si sono rifugiate nel sotterraneo e sono passate almeno due ore prima che tutti siano potuti scappare e tornare nelle case. Sono episodi che si ripetono in continuazione in questi giorni.

D. – Praticamente vivete come imprigionati…

R. – Viviamo come imprigionati. Non c’è tregua, non c’è pace: c’è soltanto il terrore.  La gente rimane nelle case, anche se non è al sicuro. La città è bloccata, non c’è più lavoro. La gente anche se continua ad avere il fiato nei polmoni, non riesce più a respirare in modo normale. Abbiamo avuto tanti collassi di origine nervosa, abbiamo avuto tanti casi con problemi psicologici derivati dalla paura. I bambini e le mamme piangono. Un missile ha abbattuto un ospedale pediatrico e per donne partorienti e all’istante sono morti 17 bambini, di cui il più grande aveva un anno, senza contare poi le donne e gli uomini. Regna il terrore. Non sappiamo il perché di questo terrore, di quello che ci sta succedendo. Come se non bastasse, Aleppo è senz’acqua, senza elettricità, senza lavoro e nella povertà. Dopo tutto quello che è successo in cinque anni di guerra, adesso si è aggiunto l’inferno. Io non sono ancora potuto uscire dal convento, nonostante tutta la mia buona volontà di uscire, per andare a visitare le case danneggiate, per pregare con le famiglie. Per telefono sentiamo tanta sofferenza, vediamo anche tante lacrime negli occhi delle famiglie cristiane. Noi rifiutiamo tutti i modi di uccidere i civili, di colpire sia ospedali, scuole ed anche edifici, per utilizzare una pressione su una parte o sull’altra. Ci sentiamo veramente solidali con ogni persona che viene colpita, quando è innocente e non porta armi.

D. – Chi vuole mettere mano sulla Siria?

R. – Il problema essenziale è l’avidità. L’avidità per le risorse, per il potere.

D. – Una ipotesi di soluzione, dove si potrebbe trovare?

R. – Secondo me, da cristiano, soltanto nel Signore. Abbiamo quasi perso la speranza di riporre la nostra fiducia negli uomini. Noi speriamo soltanto nella forza del Signore, che opera, però, nelle persone che pregano per noi e nelle persone di buona volontà. Bisogna muoverci subito, perché se la situazione continua così, ci troveremo davanti ad una catastrofe umanitaria. Non si può più vivere, non si può più continuare così.

D. – Chi è rimasto?

R. – Non sappiamo perché non abbiamo le cifre esatte. Sicuramente rimane l’anziano, il malato. Rimangono le famiglie numerose che non hanno risparmi, rimangono i bambini, rimane la gente povera.

D. – Ci sono anche mafie locali che approfittano di questa situazione?

R. – Purtroppo, ci sono quelli che sfruttano e che pescano nella palude, come diciamo in arabo. Questo aumenta anche di più la nostra sofferenza.

D. – Un appello?

R. – Io dico basta! Basta veramente con questa avidità. Basta fare guerre. Basta cercare la vanagloria, il potere, il possesso! Vogliamo vivere in pace, come abbiamo vissuto una volta tutti insieme, con le nostre diversità, come popolo.

D. – Grazie per questa testimonianza…

R. – Grazie a tutti voi, che pregate per noi. Chiediamo un’intensa preghiera pure in questi giorni, specialmente la domenica, durante le Sante Messe domenicali. Grazie per tutto quello che fate per noi, per la compassione, per l’interesse che avete per noi, per la nostra vita, per la nostra pace.

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Cir: estensione dei controlli a frontiere Ue è incomprensibile

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Continuano le discussioni sulla doppia decisione presa in tema di frontiere e di rifugiati dalla Commssione Europea. Da una parte, col via libera all’estensione dei controlli temporanei alle frontiere per i cinque Paesi europei che ne hanno fatto richiesta: Austria, Germania, Danimarca, Svezia e Norvegia. Una misura che porta di fatto a una nuova sospensione del Trattato di Schengen fino a un massimo di sei mesi. Dall’altra parte, con la proposta di riforma del sistema di Dublino, che introdurrebbe nuovi meccanismi di ridistribuzione dei richiedenti asilo tra gli altri Stati membri dell’Ue, in caso di superamento della capacità di accoglienza del singolo Paese d’ingresso. Su questi temi si è espresso al microfono di Daniele Gargagliano il portavoce del Consiglio italiano per i rifugiati Christopher Hein: 

R. – E’ una decisione praticamente incomprensibile, perché si sa che questo non ha alcun effetto sul movimento dei rifugiati e dei migranti che dopo aver percorso – molti di loro – 3.000 km, attraversando il deserto del Sahara e rischiando la vita nel Mediterraneo, non si lasciano certamente scoraggiare da qualche poliziotto di frontiera ai confini interni dell’Unione! Quindi, alimenterà ancora di più il fenomeno del traffico di persone anche all’interno del nostro continente, rendendo i viaggi più costosi e più rischiosi. Ma l’altro effetto che ci preoccupa molto è un segnale proprio “contro” l’Europa: perché Schengen, proprio con l’apertura delle frontiere, la libertà di movimento e di viaggio, è stato per la gioventù in Europa il simbolo più tangibile di questa Unione.

D. – In previsione, concedere la sospensione può delegittimare il ruolo delle istituzioni europee, ma soprattutto il rispetto del Trattato di Schengen?

R. – Sì, se si incomincia come adesso con la sospensione addirittura a tutto campo per sei mesi, quindi proprio durante il periodo estivo, e mentre il Parlamento europeo da anni insiste sulla libertà di circolazione, su “più Europa”, è proprio uno schiaffo all’idea di una maggiore coerenza e di una maggiore solidarietà anche all’interno dell’Europa e dà invece il segnale di un ritiro a un piccolo Stato nazionale.

D. – In quale direzione va la proposta di riforma del Trattato di Dublino, presentata ieri dalla Commissione europea?

R. – Purtroppo, questa proposta non cambia sostanzialmente niente; quindi continua a essere penalizzato un Paese in prima linea come l’Italia o anche la Grecia.

D. – Non porterà effetti significativi nella risoluzione della crisi umanitaria?

R. – No, anzi: cementa una situazione che da anni era già evidentemente fallita, cioè questo approccio secondo il quale la persona deve arrivare nel primo Paese di approdo in Europa dove molto spesso è arrivato unicamente a causa della situazione geografica.

D. – Il cosiddetto “muro del Brennero” rischia di aprire un altro fronte di emergenza nella gestione dei flussi migratori in Italia?

R. – L’abbiamo visto già negli anni Novanta, quando i profughi dei Balcani, della ex-Jugoslavia, che volevano andare più a Nord, in Europa, dove c’era la barriera del Brennero sono passati lo stesso. Non penso che aumenterà di per sé la pressione sull’Italia, ma aumenterà sicuramente il rischio per le persone. E poi, il Brennero è un simbolo di tutto il coordinamento tra il Nord e il Sud d’Europa e dell’Unione stessa.

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Aiuti internazionali per il Venezuela in difficoltà

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La crisi economico-istituzionale che sta colpendo il Venezuela. Le autorità elettorali hanno iniziato la verifica di quasi 2 milioni di firme presentate dall'opposizione per il referendum sulla revoca del mandato presidenziale al Capo dello Stato, Maduro, il quale ha comunque promesso di rispettare la volontà popolare. Intanto crescono le difficoltà per la popolazione per la mancanza di beni di prima necessità e medicinali. Tutto questo nonostante il Venezuela sia tra i maggiori produttori di petrolio, ma corruzione e dalla criminalità organizzata sono ai massimi livelli. Luca Collodi ne ha parlato con Alessandro Politi, esperto di America Latina: 

R. – Mentre il regime chavista era partito con un’agenda sociale molto chiara di ridistribuzione della ricchezza – il Venezuela non è povero – il problema è che poi questo è risultato non essere sostenibile. La gestione del petrolio è un problema che riguarda moltissime élite del pianeta, non è solo un problema venezuelano, e molto spesso la gestione dell’energia è associata anche a storie di corruzione importanti. Purtroppo, questa combinazione ha creato questa debolezza, aggravata in modo molto serio dal crollo dei prezzi, che non è soltanto una manovra di mercato, ma è una manovra chiaramente politica ed è una battaglia intorno a chi sia il vero “swing State” del mercato petrolifero globale: se l’Arabia Saudita o gli Stati Uniti.

D. – Non è solo, comunque, il petrolio alla base della rovina del Venezuela, vi sono poi anche dinamiche interne, aggravate dalla corruzione…

R. – Beh, aggravate dalla corruzione e anche dal crimine organizzato. Ci sono una serie di cartelli che operano in Venezuela. Chi dice Venezuela, dice confine con la Colombia; e chi dice questo, dice cocaina. Quindi si capisce che tra contrabbando, borsa nera, corruzione e crimine organizzato, la situazione non sia assolutamente facile.

Per il Venezuela in difficoltà sono partite diverse iniziative umanitarie. Dopo la recente lettera riservata del Papa al Presidente Maduro, il segretario di Stato vaticano, card. Piero Parolin, ha offerto la disponibilità della Chiesa a collaborare per superare la crisi. Aiuti cominciano a giungere a Caracas da diverse parti del mondo, in particolare dall’Italia. Luca Collodi ha intervistato Luisa Ceccarelli, coordinatrice del Programma Umanitario per il Venezuela, sezione di Roma: 

R. – In Italia, in tutto il territorio nazionale, ci sono 30 punti di raccolta. Questa emergenza ha fatto partire una grande catena umana di solidarietà, e io voglio ringraziare il meraviglioso popolo italiano, che ci sta aiutando moltissimo, attraverso le Chiese e la Caritas: noi siamo onorati – davvero – di avere una collaborazione con Caritas Venezuela. E dietro tutto questo si è aperto un mondo, di volontariato e di solidarietà – sia chiaro – non collegato con tutto ciò che riguarda la politica. Perché le nostre medicine devono arrivare a tutti, senza nessun colore o bandiera: la salute è un diritto di cui devono godere tutti.

D. – Voi avete lanciato anche un’altra iniziativa umanitaria: quella degli “Angeli tricolori”...

R. – Sì, perché ci sono dei farmaci che per legge non possono entrare negli Stati Uniti dove c'è la sede centrale dell'organizzazione, ma che sono di estrema urgenza in Venezuela; quindi questi “angeli” sarebbero le persone che viaggiano, che offrono un posto in valigia, per fare poi arrivare questi medicamenti a una fondazione. Tutto ciò che parte dall’Europa e dagli Stati Uniti non va ai privati, per non alimentare il mercato nero; perché una persona che è disperata è disposta a pagare delle cifre astronomiche pur di trovare queste medicine. Dobbiamo evitare tutto questo.

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Atlante Geopolitico Mediterraneo 2016: centrale ruolo Europa

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Il bacino del Mediterraneo è e sarà nei prossimi anni centro di tensioni e soluzioni. E’ la fotografia scattata dall’Atlante Geopolitico del Mediterraneo 2016 realizzato dal Centro Studi Internazionali in collaborazione con l’Istituto San Pio V. Il documento, che si focalizza anche sulla genesi del sedicente Stato Islamico, mette in discussione il ruolo stesso dell'Europa. Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Andrea Ungari uno dei curatori dello studio: 

R. – L’idea è stata quella di realizzare uno strumento per comprendere, stimolare un dibattito, far capire l’origine storica di alcuni fenomeni che si sono realizzati oggi, e anche per dare una fotografia di quello che sta avvenendo, dell’evoluzione di questi Stati e di questi fenomeni che si stanno sviluppando, riguardanti i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. E quest’anno l’obiettivo si è incentrato sulla questione del sedicente Stato Islamico.

D. – Che relazione c’è tra le "Primavere arabe", che anche voi citate nel Rapporto, e il sedicente Stato Islamico?

R. – Durante l’epoca "Primavere arabe" ovviamente non c’era ancora un fenomeno terroristico soprattutto all’interno dell’Africa. Tuttavia, è pur vero che prima del Califfato c’era un fenomeno, che era l’azione di Al Qaeda, che esercitava già il terrorismo. Si assiste quindi ad un’evoluzione del Califfato di alcuni spunti già presenti in Al Qaeda, ossia quelli relativi alla territorializzazione. Possiamo vedere ad esempio il Mali, che rappresenta uno dei primi esempi in cui si cercò di creare uno Stato islamico, e venne poi sconfitto dall’azione strategico-militare francese. Il Califfato ha portato avanti questo progetto: la costruzione di uno Stato oppure di una entità di Stati. Stati che erano sostanzialmente falliti. Ecco, questo è il problema che non interessa solamente adesso il Medio Oriente, ma sarà un problema anche nei prossimi anni: ossia la capacità e la volontà da parte di questi settori del mondo islamico di realizzare degli Stati ad impronta islamica; quindi non si tratta più di fare attacchi terroristici o di incutere timore all’Occidente, ma di creare delle realtà statuali permanenti.

D. – Quindi, le realtà che si creano dopo le "Primavere arabe" offrono degli spazi per l’affermazione dell’Is?

R. – Non tutte, perché sappiamo bene che in alcuni Paesi c’è stata una successiva normalizzazione. In altri, come per esempio l’Egitto, la fase della "Primavera araba" si è conclusa con la restaurazione di una dittatura di stampo militare. Un caso a parte rappresenta la Tunisia: un Paese in cui c’è già una maggiore secolarizzazione; e il Marocco si sta avviando in questa stessa direzione. Mentre per esempio la "Primavera araba" in Libia in realtà ha portato a uno Stato, come ormai viene definito da tutti gli analisti, “fallito”.

D. – Potremmo dire che l’Atlante, fotografando la situazione attuale, e mettendo in evidenza la questione dell’Is, richiama però ad una forte attenzione nei confronti del Mediterraneo, un po’ come centro di quello che sta succedendo…

R. – Il bacino del Mediterraneo, nonostante sia solamente il 2 per cento della superficie di acqua di tutto il globo, rappresenterà una sfida cruciale per i prossimi anni. Per l’Europa e non solo per essa, perché sul Mediterraneo si stanno affacciando gli appetiti di tantissimi Stati. Basti ricordare l’acquisizione di porti - non solo di terre ma di porti - che sta facendo la Cina proprio all’interno del bacino. È un luogo nei confronti del quale l’Europa e l’Italia devono prestare particolare attenzione, per tanti motivi: riguarda la vicina Europa per il rifornimento di risorse energetiche; riguarda l’Europa per il problema delle migrazioni e riguarda l’Europa per il fenomeno del terrorismo. C’è la necessità da parte dell’Europa, cosa che ancora purtroppo non c’è, di una strategia comune per stabilizzare alcuni territori e quindi evitare che da questi arrivino non solo ondate, masse enormi di profughi, ma che da lì possano partire cellule terroristiche responsabili degli attentati che abbiamo visto in questi ultimi mesi.

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Pedofilia, Mattarella: contro indifferenza mobilitare scuola e media

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Oggi, Giornata nazionale contro la pedofilia, dramma sottaciuto di cui sono vittime decine di milioni di bambini nel mondo, in massima parte non identificati, i cui carnefici restano quasi sempre impuniti. Secondo dati diffusi dell’associazione Meter ci sono 223 milioni di bambini abusati sessualmente, 10 milioni sono sfruttati per la produzione di materiale pedopornografico, diffuso su decine di migliaia di siti on line, dove perfino si inneggia all’orgoglio pedofilo. Contro l’indifferenza bisogna mobilitare la scuola, i media, i social network: l’appello del capo di Stato, Sergio Mattarella. Roberta Gisotti ha intervistato Barbara Forresi, psicologa e psicoterapeuta, responsabile del Centro Studi di Telefono Azzurro, che ogni anno pubblica un Dossier sulla pedofilia.  

R. – Dalla nostra ricerca emerge come i casi di pedofilia siano molto diffusi in Italia e come quest’anno 241 segnalazioni riguardino casi di abuso sessuale e pedofilia, con un aumento rispetto allo scorso anno. Purtroppo, l’impegno di Telefono Azzurro, che va avanti da 30 anni su queste tematiche della pedofilia, non può in nessun modo allentarsi. Le conseguenze sui bambini, infatti, degli abusi sessuali, come anche i casi di cronaca testimoniano, sono molto gravi.

D. – Come si spiega che questo delitto così odioso sia coperto da omertà, se non connivenze?

R. – Il silenzio, e per certi versi il segreto, sono tipici della pedofilia. Quello che noi vediamo dal nostro Osservatorio è che, comunque, per ogni bambino che segnala, c’è qualcuno che sa e che non parla. Il segreto è un tema che caratterizza ogni caso di pedofilia che noi gestiamo. I bambini, quando segnalano, lo fanno sapendo di tradire quel segreto che molto spesso il pedofilo chiede. Ed è proprio per questo che noi abbiamo istituito una linea per bambini e adolescenti, perché siamo consapevoli che i bambini hanno la necessità di parlare senza la mediazione degli adulti e possono farlo anche in forma anonima alla nostra linea. Questo li aiuta a far emergere delle situazioni che altrimenti resterebbero nascoste.

D. – Forse ci vorrebbe anche più informazione da parte degli educatori, da parte delle scuole, su questa realtà, certo con le dovute precauzioni nella presentazione del problema. Quindi informare anche i bambini e i ragazzi che possono rivolgersi a qualcuno…

R. – Sì, per noi ogni attività di sensibilizzazione, di comunicazione spetta alla nostra linea e più recentemente anche alla nostra chat. Infatti, Telefono Azzurro ha dovuto evolversi nel tempo e mettere a disposizione dei ragazzi nuovi strumenti tecnologici, per permettere di fare le loro segnalazioni e richiederci aiuto.

D. – Che fine ha fatto il vostro appello dello scorso anno al parlamento e al governo, perché venga varato un Piano di azione contro gli abusi sessuali sui minori?

R. – E’ rimasto inascoltato! Noi riteniamo che si debba partire dai dati per conoscere meglio il fenomeno della pedofilia, perché non c’è un caso uguale all’altro. E’ questo che rende difficile l’agire sulle situazioni di violenza sessuale sui bambini. Uno dei punti del nostro appello riguarda proprio l’istituzione di un registro nazionale, perché noi abbiamo i nostri dati, il Ministero della Giustizia altri, l’Istat altri ancora, ed è difficile metterli insieme ed avere una comprensione reale di questo fenomeno. Gli altri punti, che per noi sono fondamentali, sono sicuramente impedire ai pedofili di proseguire e di commettere nuovi abusi su altri bambini. Consapevoli del fatto che questi reati hanno una grande recidiva, riteniamo indispensabile trovare delle soluzioni di cura e sperimentarle, che queste siano cure legate alla castrazione chimica o cure legate a percorsi terapeutici. Purtroppo mancano in Italia – se non rarissime eccezioni – delle sperimentazioni serie nell’ambito della cura. Dovremo quindi riprendere esperienze internazionali, portarle anche in Italia, ed iniziare una sperimentazione seria. L’altro aspetto riguarda invece la possibilità, non solo di potenziare quei servizi e tutte quelle associazioni del terzo settore che hanno mille progetti di prevenzione, inclusa la nostra associazione, ma anche potenziare i servizi di cura sul territorio. Le vittime, infatti, hanno delle conseguenze molto spesso drammatiche, perché le storie traumatiche che hanno vissuto lasciano delle tracce molto profonde nel loro sviluppo. Vanno aiutate, quindi, e questo vuol dire anche qui in Italia poter sperimentare dei nuovi modelli di trattamento o integrare quelli esistenti, aiutando queste vittime a recuperare più sereni percorsi di crescita.

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Lorenzin: 194 non è diritto all'aborto. Plaude "Scienza e Vita"

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La legge 194 non ha sancito il diritto all’aborto, ma è finalizzata a riconoscere il valore sociale della maternità, la tutela della vita e disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza come estrema possibilità. Così ieri il ministro Lorenzin che nella sua informativa alla Camera ha chiarito: il numero dei medici obiettori  in Italia è congruo e il richiamo europeo a Roma, contrariamente a quanto riportato dalla stampa, non è definitivo. Soddisfatta la presidente dell’Associazione Scienza e Vita Paola Ricci Sindoni. Paolo Ondarza l’ha intervistata: 

R. – Il modello culturale imperante è stato quello di considerare la 194, in maniera del tutto privatistica e soggettiva, come una legge sul diritto ad abortire invece, essa ha una forte declinazione sociale. La maternità non è soltanto un fatto individuale, ma ha una forte ricaduta anche sul piano della società civile.

D. – Perché, secondo lei, la si intende spesso come una legge sul diritto ad abortire piuttosto che una legge che riconosce il valore della maternità e della vita?

R. – Perché è stata subito etichettata come espressione dei cattolici per la battaglia referendaria che è stata fatta, ma soprattutto perché veniva colta nei suoi elementi, anche valoriali, come una battaglia di retroguardia. Si avvertiva, dunque, la necessità di porre in luce quelli che venivano considerati i diritti inalienabili della donna.

D. – E ieri dal ministro Lorenzin è arrivato un dato significativo: il numero di medici non obiettori in Italia risulta congruo. In nessun modo, dunque, l’obiezione di coscienza va a penalizzare i medici non obiettori e le donne che vogliono accedere all’interruzione volontaria di gravidanza…

R. – Siamo contenti. Il ministro ha fatto bene a riportare i dati, perché i dati sono oggettivi: con i dati non si può fare nessuna interpretazione ideologica. Ancora una volta ripropongono la verità su questa battaglia che, troppo spesso, è stata combattuta con le armi ideologiche e non con la serietà dei dati obiettivi. Credo che sia giusto continuare ad enfatizzare queste dichiarazioni del ministro, perché riportano le questioni che non sono soltanto questioni astratte o semplicemente in mano a gruppi cosiddetti cattolici conservatori, ma esprimono un esame che noi condividiamo, perché favorisce un dibattito che deve continuare ad essere aperto senza pregiudizi di sorta, né da una parte né dall’altra.

D. – Il rischio ideologico è tuttora molto vivo all’interno del dibattito politico?

R. – Certo, perché si pongono in opera anche delle motivazioni che disorientano l’opinione pubblica. Faccio un esempio: la questione delle possibili malattie del feto oppure del tanto discusso paradigma della salute della donna, non soltanto fisica ma psicologica. E così via... queste motivazioni sembrano non tener conto della complessità della questione, ma fanno leva sulla sensibilità dell’opinione pubblica, privando la realtà della verità.  

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40 anni fa il terremoto in Friuli: la testimonianza di mons. Corgnali

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Quarant'anni fa, alle 21,06 del 6 maggio 1976, un terremoto di 6,4 gradi Richter sconvolgeva le province di Udine e Pordenone. Quasi mille le vittime, 3 mila i feriti e decine di migliaia i senza tetto. Interi paesi vengono quasi completamente rasi al suolo. La scossa viene avvertita in un’area vastissima e provoca danni anche in Austria e in Slovenia. Innumerevoli le scosse nei mesi successivi: le più forti, l'11 e il 15 settembre. Dieci anni dopo la ricostruzione è quasi completa. Determinante il ruolo della Chiesa friulana: in prima linea, accanto alla gente nelle tendopoli, tanti sacerdoti guidano le comunità nel rapporto, non sempre facile, con lo Stato e con gli enti locali. In occasione di questo anniversario, la Regione e la Diocesi di Udine hanno promosso diverse iniziative. Centrale la solenne concelebrazione eucaristica oggi alle 17.00 nel Duomo ricostruito di Gemona, con la partecipazione di decine di vescovi e altri rappresentanti di 80 Diocesi italiane, mentre domani è prevista la presenza in Friuli del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Ma a 40 anni di distanza perché è importante fare memoria di quell'evento? Adriana Masotti lo ha chiesto a mons. Duilio Corgnali, tra i protagonisti del post-terremoto, già direttore del settimanale diocesano “La Vita Cattolica” e oggi arciprete della località di Tarcento in provincia di Udine: 

R. – Perché è stata una esperienza fondamentale per il popolo friulano e direi anche significativa per l’intera comunità nazionale, ma direi anche a livello europeo. Tant’è che si parla di “Modello Friuli”.

D. – Accanto al dolore, naturalmente, per le vittime del terremoto, pensare a quei giorni fa venire in mente anche ricordi positivi: ad esempio la solidarietà che il Friuli ha visto…

R. – C’era uno slogan a quei tempi, che affiorava sulle labbra dei friulani, che era “Fasìn di bessoi” – “Facciamo da soli”, tradotto in italiano – e che non voleva dire non vogliamo nessuno qui, ma voleva dire: “Ci assumiamo la responsabilità in proprio della ricostruzione”. Ma, naturalmente, con tutta la solidarietà che proveniva da tante altre parti. In particolare, a livello ecclesiale, va segnalato questo inedito fatto dei gemellaggi di 80 diocesi con altrettanti paesi distrutti dal terremoto: un gemellaggio che voleva dire non soltanto soccorso nel momento dell’emergenza, ma anche accompagnamento. Queste Diocesi per anni hanno accompagnato le comunità in tutti i momenti difficili, nell’inseguimento di questa speranza di ricostruzione.

D. – Quale fu, invece, il ruolo della Chiesa locale, dei sacerdoti friulani?

R. – Bisogna sapere che la Chiesa in Friuli è una Chiesa di popolo, soprattutto nel 1976 era questo. I preti erano preti fortemente radicati nella cultura del loro popolo: il prete aveva un ruolo fondamentale ed è stato importantissimo nel tenere alto il morale della gente. E’ stata una pagina straordinaria di vita ecclesiale, quella che abbiamo vissuto. Le Messe più belle – tutti le ricordano, quelli che ci sono ancora e sono superstiti di quel terremoto – sono state quelle a cielo aperto, in un campo sportivo, in mezzo alle macerie, in mezzo alle tende o nelle baracche in cui la gente portava il proprio vissuto e lo trasfondeva poi nella comunione con Dio e con i fratelli.

D. – Quel soffrire insieme portò anche ad una definizione maggiore della propria identità…

R. – Certo! Il terremoto è stato per il Friuli una riscoperta o quantomeno un far emergere quello che era nel profondo della coscienza del popolo friulano: la sua identità culturale, le sue tradizioni, la sua lingua. Non c’erano le case, non c’erano le chiese, non c’erano i campanili, ma restavano le radici profonde con le caratteristiche di questo popolo, che ha da sempre avuto un grande senso di responsabilità, una grande concretezza, ma anche una grande fede in un Dio che non abbandona, ma che accompagna anche nei momenti più difficili della vita.

D. – A chi non ha vissuto direttamente il terremoto, che cosa può arrivare ricordandolo oggi, a 40 anni di distanza…

R. – Noi come Chiesa ci siamo preoccupati, in vista del 40.mo, di far riemergere i tratti caratteristici che hanno consentito al popolo friulano di poter affrontare un disastro assoluto. Noi condensavamo, allora, in un solo termine questa identità: la “cjase” - la casa - che voleva dire il focolare, che voleva dire la famiglia, la solidarietà, la condivisione; che voleva dire anche l’orgoglio dell’essere responsabili della propria vita e quindi il gusto di essere protagonisti. Per cui abbiamo ricostruito, secondo quei principi che allora si dicevano, come “prima le fabbriche e dopo le case; prima le case e dopo le Chiese”. Perché senza le fabbriche non c’è lavoro; se non c’è lavoro, bisogna andare in emigrazione e le case distrutte erano frutto di anni di emigrazione della gente, di fatica… “Prima le case e dopo le Chiese”, perché le Chiese hanno ragione di essere se sono in mezzo alle case. E così è stato! E questo è uno dei messaggi più belli che possano essere trasmessi oggi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: i gesuiti sospendono il servizio per i rifugiati ad Aleppo

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Un comunicato diffuso ieri sul sito del Centro Astalli rende noto che il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati (Jrs) della regione Medio Oriente e Nordafrica (Mena) a seguito di “un’eccezionale ondata di violenza, come misura precauzionale in Siria ha sospeso, con grandissimo rammarico, con effetto immediato tutte le attività (centri di distribuzione aiuti, ambulatorio, mensa) ad Aleppo fino a nuovo ordine”. 

Il Jsr denuncia l’escalation di violenza di questi ultimi giorni
“Si sono registrati attacchi massicci causati da granate ad Aleppo e dintorni che hanno causato diversi feriti gravi tra i civili”, “bombe da mortaio sono cadute proprio accanto al Centro di distribuzione e vicino all’ambulatorio gestiti dal Jrs”. Inoltre, “fin dalle prime ore del mattino, diverse bombe da mortaio sono cadute sulla moschea Al-Rahman Mosque accanto alla mensa del Jrs. Zone in cui abbiamo Centri di distribuzione e dove effettuiamo visite a domicilio alle famiglie più vulnerabili sono soggette a pesanti e continui bombardamenti”. 

Centro Astalli chiede la sospensione delle ostilità
Il Centro Astalli (sede del Jrs in Italia) si unisce all’appello dei colleghi in Siria: “Nell’interesse e per l’incolumità della popolazione civile di Aleppo chiediamo a tutte le fazioni belligeranti di sospendere immediatamente ogni ostilità. Vogliamo esprimere la nostra solidarietà con tutte le vittime e preghiamo che la pace ritorni ad Aleppo e in tutta la Siria al più presto”. 

Jrs chiede una tregua ad Aleppo e in tutta la Siria
​Padre Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli aggiunge: “oggi è un giorno molto difficile per tutto il Jrs. Ci appelliamo alle istituzioni nazionali e sovranazionali, alle organizzazioni internazionali, alle diplomazie attive nell’area perché sia fatto quanto necessario per stabilire una tregua ad Aleppo e in tutta la Siria. La popolazione civile è allo stremo. Bisogna immediatamente aprire una via di pace. Chiediamo inoltre che l’Europa apra immediatamente canali umanitari per far giungere la popolazione siriana a chiedere asilo in sicurezza. Servono visti temporanei e misure di accoglienza e protezione per uomini e donne vittime incolpevoli di un conflitto che deve cessare immediatamente”. (R.P.)

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Salesiani su rapimento padre Tom in Yemen: è ancora vivo

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Sulla vicenda di padre Tom Uzhunnalil, il salesiano sequestrato da un commando estremista ai primi di marzo, è importante “tenere viva l’attenzione” e “mantenere aperto il canale comunicativo”, senza per questo esercitare “pressioni” o alimentare “false speranze”. È quanto sottolinea all'agenzia AsiaNews padre Francesco Cereda, vicario del Rettor maggiore dei Salesiani, interpellato a due mesi di distanza dall’assalto di un commando del sedicente Stato Islamico (Is) al compound delle Missionarie della Carità di Aden, nel sud dello Yemen. È importante, prosegue il sacerdote, “coltivare la speranza attraverso la preghiera” perché “sappiamo che è ancora vivo” come ha dichiarato nei giorni scorsi mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale. 

Finora non vi sono state notizie certe sulla sua sorte
Dal 4 marzo scorso padre Tom Uzhunnalil è nelle mani del gruppo jihadista, con tutta probabilità legato all'Is, che ha assaltato una Casa di riposo per malati e anziani delle missionarie della Carità ad Aden. Nell’attacco sono state massacrate quattro suore di Madre Teresa e altre 12 persone, presenti all’interno della struttura. Finora non vi sono state notizie certe sulla sorte del 56enne sacerdote nato a Ramapuram, vicino a Pala (Kottayam, Kerala), da una famiglia di grande fede cattolica. Suo zio Matteo, morto lo scorso anno e anch’egli salesiano, è stato il fondatore della missione in Yemen. Padre Tom si trovava nel Paese arabo da quattro anni.

Non far cadere la sua morte nel dimenticatoio
Nei giorni scorsi mons. Hinder ha affermato che padre Tom “è ancora vivo” e ha ipotizzato un ritorno “imminente” alla libertà, anche se l’ottimismo iniziale si è stemperato con il trascorrere delle ore e la mancanza di ulteriori sviluppi positivi. Pur a fronte di una generale incertezza, padre Cereda sottolinea l’importanza della preghiera e del “mantenere viva” la sua vicenda. “Le ultime notizie sono quelle fornite dal vicario apostolico, secondo cui padre Tom è ancora in vita” sottolinea il vicario del Rettor maggiore dei Salesiani, per questo è ancor più importante “non far cadere questa storia nel dimenticatoio, ma tenere alta l’attenzione nell’opinione pubblica”. 

Messe e celebrazioni per la sua liberazione
Al momento non sono previste altre giornate di preghiera, ma la famiglia salesiana continua a ricordare il sacerdote indiano rapito in Yemen in molte funzioni, Veglie, Messe. “Ogni giovedì sera - racconta padre Cereda - alla Casa generalizia qui a Roma celebriamo l’adorazione eucaristica con questa particolare intenzione. Durante un recente incontro a Malta abbiamo celebrato una Messa per la sua liberazione”. 

Fino a quando non vi saranno notizie negative bisogna sperare e pregare
Il lavoro diplomatico, conclude il vicario del Rettor maggiore dei Salesiani, “è affidato a mons. Hinder. Noi contribuiamo con la preghiera e il ricordo. In questi giorni, in concomitanza con i due mesi dal sequestro, abbiamo inviato una lettera al fratello di padre Tom, come segno di vicinanza alla famiglia e di speranza per un suo imminente rilascio. Fino a quando non vi saranno notizie negative bisogna sperare e pregare”. (R.P.)

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Chiese cristiane per Festa dell'Europa: costruire insieme pace e unità

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Alle prese con conflitti nascenti anche al suo interno e con un flusso migratorio senza precedenti, “l’Europa deve continuamente riscoprire la sua identità come progetto per la pace, la democrazia e i diritti umani”. È il messaggio che la Conferenza delle Chiese europee (Kek) lancia per la Giornata dell’Europa che si celebra il 9 maggio. “Celebrare i valori che ci uniscono tutti”, è il titolo del messaggio - riporta l'agenzia Sir - che le Chiese cristiane del Continente lanciano quest’anno.

Paesi europei stanno fallendo al loro obbligo morale e legale di proteggere chi è nel bisogno
“Molteplici sfide intersecano e sfidano il progetto europeo e il suo rapporto con la comunità globale”, scrive la Kek. “Violenza e conflitti sorgono dentro e al di là dell’Europa. La crisi dell’accoglienza dei rifugiati continua, senza trovare una soluzione e i Paesi stanno fallendo al loro obbligo morale e legale di proteggere coloro che sono nel bisogno”. “Anche la vita economica e politica europea sono in crisi. Gli effetti del perdurare della crisi economica mondiale e la crescente competizione tra gli interessi nazionali stanno creando instabilità all’interno dell’Eurozona. 

Compito della Chiesa è dare voce alla speranza profetica
Il prossimo referendum nel Regno Unito può rimodellare l’Ue e il modo con cui i Paesi al suo interno si relazionano tra di loro. L’euroscetticismo è in aumento e, con esso, le nuove forme di nazionalismo. In mezzo a queste situazioni critiche, il compito della Chiesa è dare voce alla speranza profetica”, aiutando l’Europa a riscoprire il suo progetto e la sua identità. “La prosperità e il progresso dell’Europa sono possibili solo insieme a uno sviluppo del processo di pace nei suoi Paesi più prossimi come Africa e Medio Oriente”, sottolinea padre Heikki Huttunen, segretario generale della Conferenza delle Chiese europee.

Difendere i valori comuni che hanno contribuito a fondare le istituzioni politiche europee
“L’Unione europea – conclude la Kek – è stata fondata sul rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e dei diritti umani. Insieme siamo chiamati a difendere questi valori comuni che hanno contribuito a fondare le istituzioni politiche europee. La Conferenza delle Chiese europee afferma che le Chiese, la società civile e le istituzioni politiche possono contribuire alla costruzione della pace e dell’unità per il bene dell’Europa e del genere umano”. (R.P.)

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Vescovi Madagascar: allarme per violenze e povertà nel Paese

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È un forte allarme quello lanciato dai vescovi del Madagascar, riuniti in Assemblea nei giorni scorsi ad Antanimena, nel comunicato diffuso al termine dei lavori. “Le menzogne ed i furti sono arrivati fino ai vertici dello Stato – scrivono i presuli – Anche la sovranità nazionale è stata messa in vendita”. Di qui, la denuncia del “clima di violenza e povertà in cui è precipitata la società”, mentre “la popolazione viene lasciata abbandonata a se stessa e la violenza, le rapine e le esecuzioni sono ormai quotidiane tra i malgasci”.
 
Ricchezze naturali sfruttate illegalmente

​Mettendo, quindi, in evidenza l’incapacità dei dirigenti di risolvere i problemi che attanagliano sempre più il Paese, la Chiesa del Madagascar punta il dito contro la corruzione che si riscontra nella gestione degli affari nazionali: “Le ricchezza naturali – si legge nella nota – vengono sfruttate in modo abusivo, basti citare l’utilizzo illegale del legno di rosa, dell’oro e delle pietre preziose”. Il tutto grazie al fatto che “alcune leggi specifiche non sono state ancora attuate, creando così confusione nella gestione delle risorse naturali”. Non solo: anche “il diritto ed i valori della società malgascia vengono abusati e svenduti” in cambio di denaro, concludono i vescovi, mentre “la popolazione viene nutrita di menzogne”.

No alla cultura della corruzione
Da ricordare che le difficoltà del Paese e soprattutto la piaga della corruzione erano già state denunciate dai vescovi malgasci in un messaggio diffuso esattamente un anno fa: in esso, i presuli parlavano di “una vera cultura della corruzione” e puntavano il dito contro i brogli elettorali e l’uso, in politica, di dossier illegali, basati spesso su menzogne, per mettere agli arresti “coloro che cercano di resistere, fieri della loro libertà”, rendendo così “invisibile” “l’autorità dello Stato”. (I.P.)

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Sud Sudan: appello dei religiosi per la salvaguardia del Creato

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“Prendiamoci cura della nostra casa comune”: è questa l’esortazione dei religiosi del Sud Sudan che, in questi giorni, si sono riuniti a Juba per tenere un seminario incentrato sull’Enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco e sulle sue implicazioni nel mondo di oggi. Oltre cinquecento i partecipanti al convegno che, al termine dei lavori, hanno diffuso un comunicato.

Segnali preoccupanti per l’ecologia del Sud Sudan
“Mentre il Paese sta cercando di uscire dalla violenza, dalla morte e dalla distruzione della guerra civile implementando la pace – si legge nella nota – siamo chiamati a superare le nostre paure e a non perdere la speranza”, “leggendo i segni dei tempi” e “interagendo con tutti gli uomini di buona volontà per vivere la chiamata universale ad essere co-creatori del mondo in cui abitiamo”. Poi, i religiosi fanno una disamina puntuale dei “segnali preoccupanti” che si riscontrano in Sud Sudan: l’inquinamento delle acque, delle terre e dell’aria; la deforestazione selvaggia; il pascolo intensivo; la desertificazione; lo sfruttamento del petrolio che comporta un ulteriore inquinamento.

Agire con giustizia nei confronti del pianeta e dell’umanità
Non solo: i religiosi notano “una rottura nei rapporti fondamentali che ci rendono uomini e donne creati ad immagine e somiglianza di Dio”, perché “nei lunghi anni di guerra siamo diventati come Caino che ha ucciso suo fratello”. Inoltre – evidenziano i religiosi – è andata perduta “la relazione tra gli uomini e Dio, Colui che ha affidato loro il suo Creato affinché lo amministrassero”. Ma così, trasformandosi in “padrona del Creato”, l’umanità “ha messo in pericolo la sua casa ed ha perso di vista il bene comune, a causa di avidità e sete di potere”. Di qui, l’invito dei partecipanti al convegno ad “agire con giustizia, amare con tenerezza e camminare umilmente con Dio”, dando priorità “nelle parrocchie e nelle scuole”, alla “educazione dei giovani ed alla formazione di leader”.

La radio, strumento privilegiato per diffondere il messaggio della Laudato si’
“Come Chiesa – sottolineano i religiosi – sentiamo il bisogno di essere una voce profetica nei confronti di coloro che sono responsabili delle decisioni in campo politico attraverso il nostro impegno per la giustizia, la pace, la salvaguardia del Creato e la riconciliazione”. Poi, i firmatari informano che “usando i mass-media, in particolare la radio”, verrà diffuso il messaggio della “Laudato si’” in tutte le comunità religiose, così da “sensibilizzare le persone sull’importanza di piantare alberi, mantenere l’ambiente pulito, migliorare le pratiche agricole”.

Cambiare stile di vita
Infine, i religiosi lanciano un appello a tutte le persone di buona volontà, affinché facciano “una riflessione personale sul proprio stile di vita, in spirito di auto-critica e con disponibilità al cambiamento, consapevoli del fatto che le risorse a disposizione sono limitate” e che “la spiritualità deve essere tradotta in azioni concrete”. “La preoccupazione per questo pianeta – conclude la nota – non ci tolga mai la gioia della speranza”. (A cura di Isabella Piro)

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Vescovi Francia: Giornata delle comunicazioni sulla misericordia

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“Tessiamo la trama della misericordia!”: con questo motto, il Consiglio per le comunicazioni della Conferenza episcopale francese (Cef) invita i fedeli a celebrare la 50.ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali che ricorre domenica 8 maggio. Il motto scelto dai vescovi d’Oltralpe è legato al lancio della campagna #eMisericordia incentrata sull’uso dei social network e sulla necessità di recuperare, nel rete del web, uno sguardo misericordioso, in vista di una comunicazione migliore, più rispettosa dell’altro.

Bene, vero e utile: i criteri della condivisione sui social network
Fino a domenica prossima, dunque, sul sito dei vescovi francesi (www.eglise.catholique.fr) e sulle reti sociali ad esso collegate, verranno ricordati i “Dieci comandamenti dei cristiani sui social network”, redatti dal Movimento giovanile eucaristico di Rennes. In essi, si invita soprattutto a “condividere guardare al bene, al vero ed all’utile”; a rispettare le differenze, evitando le polemiche; a “portare uno sguardo positivo sul mondo, perché la gioia del Vangelo va condivisa”.

No ad anatemi ed insulti
“Ascoltare, parlare, avvicinarsi gli uni agli altri, condividere le proprie convinzioni senza anatemi ed insulti – spiega mons. Norbert Turini, presidente del Consiglio per le comunicazioni della Cef - sono atteggiamenti necessari per vivere come un cristiano nel mondo dei media. E questo soprattutto su Internet, dove le invettive sono numerose”.

Tecnologia è umana se parte dal cuore dell’uomo
Quindi, citando quanto scritto da Papa Francesco nel messaggio per la Giornata, intitolato “Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo”, il presule ricorda che “e-mail, sms, reti sociali, chat possono essere forme di comunicazione pienamente umane. Non è la tecnologia che determina se la comunicazione è autentica o meno, ma il cuore dell’uomo e la sua capacità di usare bene i mezzi a sua disposizione. Le reti sociali sono capaci di favorire le relazioni e di promuovere il bene della società ma possono anche condurre ad un’ulteriore polarizzazione e divisione tra le persone e i gruppi”.

Vivere la misericordia su web e nella vita quotidiana
“L’ambiente digitale – afferma il Pontefice - è una piazza, un luogo di incontro, dove si può accarezzare o ferire, avere una discussione proficua o un linciaggio morale”. Di qui, l’invito di mons. Turini ad agire sui social network e nella vita quotidiana in modo tale da “tessere una vera e propria tela della misericordia!”. (I.P.)

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Run4unity: staffetta per la pace promossa dai Focolari

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Una staffetta mondiale in nome della pace e dell’unità tra i popoli lungo le frontiere più calde del pianeta, dal confine tra il Messico e gli Stati Uniti a quello tra l’Ungheria e l’Austria. Si chiama “Run4unity” e ad animarla, domenica 8 maggio – spiega L’Osservatore Romano - saranno centinaia di migliaia di ragazzi legati al movimento dei Focolari in molte parti del mondo: ad ogni latitudine, dalle ore 11 alle 12, si fa un percorso correndo a piedi, in bicicletta, con i roller o in barca. A conclusione un “time-out”, un minuto di silenzio o di preghiera per la pace nel mondo.

Scelti luoghi-simbolo
Alcuni dei luoghi simbolo: a Mexicali, in Messico, località di frontiera con gli Stati Uniti, il “Run4unity” si correrà, in segno di unità e pace, lungo la recinzione che divide i due Paesi; a Bari, in Italia, si svolgerà nell’istituto penale minorile Fornelli; a Sopron, in Ungheria, “Run4unity” è inserito in una corsa ufficiale che attraversa il confine con l’Austria, da dove arriveranno, per partecipare all’iniziativa, alcuni giovani ospiti in un campo profughi.

Solidarietà nei confronti di poveri ed emarginati
Nelle edizioni precedenti, all’evento hanno partecipato oltre centomila adolescenti. Il testimone della staffetta passa di fuso orario in fuso orario e in varie località alle diverse latitudini prendono il via numerosi eventi sportivi, azioni di solidarietà ed esperienze di cittadinanza attiva in luoghi nei quali prevalgono la solitudine, la povertà e l’emarginazione. In varie parti sono anche coinvolte personalità del mondo dello sport e della cultura, ma anche autorità civili e religiose. Sarà possibile seguire l’iniziativa dei Focolari in tempo reale nonché i preparativi sul sito web: www.run4unity.net.

Dare voce alla cultura della fraternità
“Run4unity” è un appuntamento che fa parte della “Settimana mondo unito” (una galassia di attività e azioni dei giovani per un mondo unito nei cinque continenti, incentrate sulla reciproca condivisione) che dal 1995 viene promossa ogni anno dal 1° al 10 maggio dal movimento dei Focolari per «dare voce alla cultura della fraternità presente nel mondo, capace di attivare il meglio in ciascuno».

Videomessaggio dalla Siria all’Argentina
Nell’edizione di quest’anno, la Settimana prevede una serie di iniziative e di progetti in vari posti del mondo: dall’Ecuador (alle prese con l’emergenza umanitaria del terremoto) al concerto per la pace a Medan (Indonesia) al festival Amani di Goma nella Repubblica Democratica del Congo. Significativo, infine, il saluto video inviato dai ragazzi di Aleppo, Siria, ai coetanei dell’Argentina. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 126

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.