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Sommario del 06/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Al Papa il Premio Carlo Magno: sogno un nuovo umanesimo europeo

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Sogno un’Europa madre di nuove vite, che non consideri “delitto” un migrante”, che non scarti poveri, anziani e malati, che non pensi ai suoi cittadini come a numeri ma guardi i loro “volti”. In definitiva, a un’Europa “famiglia di popoli”. Con un discorso ampio e incisivo, Papa Francesco è tornato a parlare del Vecchio Continente nel giorno in cui le sue massime autorità sono giunte in Vaticano per conferirgli il “Premio Carlo Magno”, onorificenza assegnata a chi si distingue per impegno in favore della pace e dell’integrazione in Europa. Prima di incontrare i suoi ospiti nella Sala Regia del Palazzo Apostolico, il Papa ha ricevuto assieme il presidente del Parlamento europeo, Martin Shultz, il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, e il presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker. Subito dopo si è intrattenuto anche con la cancelliera tedesca, Angela Merkel. Il servizio di Alessandro De Carolis

Ha citato i Padri fondatori dell’Europa, ma difficilmente l’Europa che è e verrà potrà fare a meno di considerare anche il Papa venuto dall’America Latina come un suo padre ri-fondatore. Perché sulla visione, ricordata e definita insuperata, che fu dei vari Schumann, De Gasperi e altri, Papa Francesco ha innestato un suo grande “sogno”, anzi un mosaico di otto sogni che dà per risultato il ritratto di un’Europa nobile e lungimirante, un motore di civiltà degno della sua storia, e non l’“Europa nonna”, ripiegata su politiche interessate e di corto respiro, che affiora spesso dalla cronaca.

Europa, che ti è successo?
Il Premio istituito nel 1949 da una Associazione di Aquisgrana ha voluto insignire Francesco perché – recita la motivazione – è una “voce della coscienza” che con la sua “altissima autorità morale” rimanda agli ideali dei Padri fondatori. Il Papa riprende quel “progetto”, lo confronta con l’attualità e si pone anzitutto delle domande:

“Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”.

Trasfusione della memoria
L’ammirazione per questi valori si scontra col presente. C’era nei Padri che immaginarono l’Europa unita “un’ardente desiderio” di novità, ma quegli ideali – considera Francesco – paiono “spenti”, adesso si “guarda al proprio utile”, si sta chiusi in “recinti particolari”. Invece, obietta, serve una rapida “trasfusione della memoria”:

“La trasfusione della memoria ci libera da quella tendenza attuale spesso più attraente di fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati che potrebbero produrre ‘una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana’. A tal fine ci farà bene evocare i Padri fondatori dell’Europa. Essi seppero cercare strade alternative, innovative in un contesto segnato dalle ferite della guerra. Essi ebbero l’audacia non solo di sognare l’idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione”.

Accogliere non è elemosina
La sfida lanciata quando le macerie dell’ultima guerra erano ancora calde è diventata, sostiene Francesco, “nel quadro multipolare dei nostri giorni, quella di “aggiornare l’idea di Europa”. Per riuscirvi servono tre capacità, “integrare”, “dialogare”, “generare”:

“Siamo invitati a promuovere un’integrazione che trova nella solidarietà il modo in cui fare le cose, il modo in cui costruire la storia. Una solidarietà che non può mai essere confusa con l’elemosina, ma come generazione di opportunità perché tutti gli abitanti delle nostre città – e di tante altre città – possano sviluppare la loro vita con dignità. Il tempo ci sta insegnando che non basta il solo inserimento geografico delle persone, ma la sfida è una forte integrazione culturale".

Ai figli le armi del dialogo
No, ripete Francesco, a visioni riduzionistiche, che invece di “grandezza, ricchezza e bellezza”, generano “viltà, ristrettezza e brutalità”. No alle “colonizzazioni ideologiche”, perché “l’ampiezza dell’anima europea” si distingue non “nel contrapporsi ad altri, ma nel portare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure”. E qui, afferma il Papa, deve spiccare la seconda capacità, quella basata su una parola da “ripetere – dice – fino a stancarci”, “dialogo”:

“La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione (...) Questa cultura del dialogo, che dovrebbe essere inserita in tutti i curriculi scolastici come asse trasversale delle discipline, aiuterà ad inculcare nelle giovani generazioni un modo di risolvere i conflitti diverso da quello a cui li stiamo abituando. Oggi ci urge poter realizzare “coalizioni” non più solamente militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose”.

Ai giovani, la dignità del lavoro
Quando passa a enunciare la “capacità di generare”, Francesco usa le consuete parole di affettuosa premura che ha per i giovani, categoria che lotta con i fantasmi della disoccupazione e quindi di una strutturale precarietà. “Se vogliamo pensare le nostre società in un modo diverso – scandisce – abbiamo bisogno di creare posti di lavoro dignitoso e ben remunerato, specialmente per i nostri giovani”:

“Ciò richiede la ricerca di nuovi modelli economici più inclusivi ed equi, non orientati al servizio di pochi, ma al beneficio della gente e della società. E questo ci chiede il passaggio da un’economia liquida a un’economia sociale. Penso ad esempio all’economia sociale di mercato, incoraggiata anche dai miei Predecessori. Passare da un’economia che punta al reddito e al profitto in base alla speculazione e al prestito a interesse ad un’economia sociale che investa sulle persone creando posti di lavoro e qualificazione”.

“Sogno un’Europa…”
“Alla rinascita di un’Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità, può e deve contribuire la Chiesa”, assicura il Papa. E lavorando così, prosegue, non solo si creeranno “nuove prospettive e opportunità concrete di integrazione e inclusione”, ma si “aprirà nuovamente la capacità di sognare quell’umanesimo di cui l’Europa è stata culla e sorgente”. E su questa parola, “umanesimo”, Francesco impernia le sue considerazioni finali, in un crescendo che impressiona soprattutto commisurato al prestigio politico e istituzionale di chi lo sta ascoltando:

“Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo (…) Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita”.

L’Europa delle famiglie e dei figli
“Sogno – insiste il Papa – un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto”:

“Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile”.

Diritti non finiscano in utopia
Sogno – conclude Francesco – un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni”:

“Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia”.

“Che il Santo Padre – conclude la menzione d’onore del Premio – ci dia il coraggio e la fiducia per fare nuovamente dell’Europa quel sogno che abbiamo osato sognare per oltre 60 anni”.

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Premio Carlo Magno: i discorsi dei leader europei

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Lanciare un segnale a favore dei fondamenti morali e dei valori umani dell’Europa, continente in cui fiducia rispetto e misericordia non devono andare persi. E’ per questo che siamo qui oggi. Così il sindaco di Aquisgrana, Marcel Philipp, aprendo la cerimonia di consegna del Premio Carlo Magno al Papa, il Pontefice della “speranza“ come lo ha salutato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Nelle sue parole, come in quelle dei leader del Parlamento e della Commissione, la consapevolezza della crisi in Europa ma anche la fiducia nella forza collaborativa tenendo presente il richiamo del Papa allo spirito umanistico europeo. Il servizio di Gabriella Ceraso

La situazione in Europa oggi è particolarmente difficile: preoccupano la spinta di ri-nazionalizzazione, l’erosione del fondamento culturale e morale, la mancanza di solidarietà e la strumentalizzazione delle religioni. Sembra che le conquiste del processo unitario siano difficili da conservare e difendere e si scopre che la globalizzazione ha il volto di migliaia di esseri umani che bussano alle porte dell’Unione. E’ il quadro che emerge a grandi linee dalle parole di tutti i leader europei che di fronte al Papa, si domandano, ce la faremo? Siamo sufficientemente forti, uniti, umani? A cosa guardare? Richiama al principio di umanità e all’attenzione alle persone, il sindaco di Aquisgrana Marcel Philipp, mentre Martin Schulz sottolinea la necessità di rafforzare ciò che ci unisce e non ciò che ci divide, rifiutando la paura, cattiva consigliera della politica. Il presidente del Parlamento europeo si rivolge al Papa, come fa il leader della Commissione Junker. Francesco, “argentino, figlio di immigrati, dall’atteggiamento umile e caloroso”, dicono, guarda “all’Europa dall’esterno”, in “maniera genuina” e ci dà motivo di sperare quando afferma che “le difficoltà possono diventare promotrici potenti di unità”. Andando a Lesbo ci ha mostrato “cosa sono solidarietà e umanità”, incontrando i giovani di Sarajevo ci ha esortati a ”non chiudere gli occhi alle difficoltà”, nella Laudato si’ ci ha ricordato che il futuro è “impensabile separato dalla cura dell’ambiente e dallo sguardo alle sofferenze degli ultimi” e che la vocazione dell’Europa è “l’opera di pacificazione” perché tutto il ”mondo sia più stabile”. Forti di questi moniti, all’unanimità, i leader ribadiscono il no ai muri e alla chiusure, il sì all’uomo. E’ il momento di lottare per l’Europa, dicono, “uniamo energie cuori e talenti per affrontare le molteplici crisi odierne” e facciamo vivere in Europa lo “spirito dell’amore e della libertà” perché non sia solo un’unione istituzionale. Infine, Juncker ha annunciato la nomina di Jan Figel, ex commissario responsabile per l'Istruzione, la formazione, la cultura e la gioventù, a primo  inviato speciale per la promozione della libertà di religione e di  credo al di fuori dell'Unione europea. "La libertà di religione e credo - ha affermato Juncker – è un diritto fondamentale alla base della costruzione dell'Unione Europea. Alla luce delle persecuzioni che continuano a colpire le minoranze etniche e religiose, è ancor più importante proteggere e promuovere questo diritto dentro e fuori l'Unione”.

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Leader Ue: incoraggiati dal Papa nel progetto dell'Europa

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Dal Papa abbiamo ricevuto un chiaro messaggio a salvaguardare l’integrità europea. Così la cancelliera tedesca, Angela Merkel, al termine dell’udienza privata avuta col Pontefice in occasione della consegna del Premio Carlo Magno. Una cerimonia che ha impressionato i tre leader dell’Ue presenti, che ai giornalisti in conferenza stampa hanno detto di essersi sentiti incoraggiati dal Papa e di voler diffondere in tutte le capitali del Vecchio continente il discorso di Francesco per questa occasione. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Venticinque minuti in un clima cordiale, al centro, integrazione e futuro dell'Europa. Questa l’udienza privata del Papa ad Angela Merkel, la quale sottolinea di aver sentito fortemente l’esortazione al mandato di salvaguardare l'integrità europea, che si tratti di moneta o di tutela dei confini esterni, e il dovere umanitario da non dimenticare. Dialogo, integrazione e una sorta di "creatività", i tre pilastri di una società europea dal volto umano, indicati dal Papa, hanno impressionato i presidenti del Parlamento, del Consiglio e della Commissione Ue. Così, dicono ai giornalisti in conferenza stampa, subito dopo la cerimonia. "Mi ha colpito in particolare la preoccupazione del Pontefice per la coesione europea e per la minaccia ad essa più grave, cioè la disoccupazione giovanile", dice Martin Schulz, che ai populisti dell' Ue rimanda la responsabilità di metter in forse il futuro dell’Unione e attribuisce "cinismo" ai governi che rifiutano i profughi scaricando il problema sulla Germania. "Sono proprio loro", dice Schulz, che, "più di tutti, dovrebbero leggere il discorso del Papa". Di tanti "europei a tempo parziale" parla invece Jean Claude Junker, che plaude al "migration compact" dell’Italia, pur senza entrare nel merito della questione finanziamenti, e sul cambio ai vertici del governo turco, saluta il premier Davutoglu come partner affidabile, ma non semplice, auspicando un futuro di altrettanta costruttiva collaborazione.

 

 

 

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Papa: dolore vissuto nella speranza cristiana apre alla gioia della vita

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Il cristiano non anestetizza il dolore, ma lo vive nella speranza che Dio ci donerà una gioia che nessuno ci potrà togliere: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino presieduta nella Cappellina di Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Dolore e gioia della donna che partorisce
Nel Vangelo del giorno, Gesù, prima della sua Passione, avverte i discepoli che saranno tristi ma che questa tristezza si cambierà in un grido di gioia. E usa l’immagine della donna quando partorisce: “E’ nel dolore perché è venuta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza”. Spera nel dolore ed esulta nella gioia. Commenta Papa Francesco:

“Questo è quello che fanno la gioia e la speranza insieme, nella nostra vita, quando siamo nelle tribolazioni, quando siamo nei problemi, quando soffriamo. Non è un’anestesia. Il dolore è dolore, ma vissuto con gioia e speranza ti apre la porta alla gioia di un frutto nuovo. Questa immagine del Signore ci deve aiutare tanto nelle difficoltà; difficoltà tante volte brutte, difficoltà cattive che anche ci fanno dubitare della nostra fede … Ma con la gioia e la speranza andiamo avanti, perché dopo questa tempesta arriva un uomo nuovo, come la donna quando partorisce. E questa gioia e questa speranza Gesù dice che è duratura, che non passa”.

Gioia e speranza, non semplice allegria o ottimismo
Gioia e speranza – sottolinea il Papa – “vanno insieme”:

“Una gioia senza speranza è un semplice divertimento, una passeggera allegria. Una speranza senza gioia non è speranza, non va oltre di un sano ottimismo. Ma gioia e speranza vanno insieme, e tutte e due fanno questa esplosione che la Chiesa nella sua liturgia quasi – mi permetto di dire la parola – senza pudore grida: ‘Esulti la tua Chiesa!’, esulti di gioia. Senza formalità. Perché quando c’è la gioia forte, non c’è formalità: è gioia”.

Uscire da se stessi
“Il Signore – afferma Papa Francesco - ci dice che ci saranno problemi” nella vita e che “questa gioia e speranza non sono un carnevale: sono un’altra cosa”:  

“La gioia fa forte la speranza e la speranza fiorisce nella gioia. E così andiamo avanti. Ma tutte e due, con questo atteggiamento che la Chiesa vuole dare loro, queste virtù cristiane, indicano un uscire da noi stessi. Il gioioso non si chiude in se stesso; la speranza ti porta là, è l’ancora proprio che è sulla spiaggia del cielo e ti porta fuori. Uscire da noi stessi, con la gioia e la speranza”.

Una gioia che non passa
“La gioia umana – spiega il Papa – può essere tolta da qualsiasi cosa, da qualche difficoltà”. Gesù, invece, ci vuole donare una gioia che nessuno ci potrà togliere: “E’ duratura. Anche nei momenti più bui”. Così accade per l’Ascensione del Signore: “I discepoli, quando il Signore se ne va e non lo vedono più, sono rimasti guardando il cielo, con un po’ di tristezza. Ma sono gli angeli a svegliarli”. E il Vangelo di Luca riferisce: “Tornarono felici, pieni di gioia”, “quella gioia di sapere – dice il Papa - che la nostra umanità è entrata in cielo, per la prima volta!”. “La speranza di vivere e di raggiungere il Signore” diventa una “gioia che pervade tutta la Chiesa”. “Che il Signore ci dia questa grazia - conclude il Papa - di una gioia grande che sia l’espressione della speranza, e una speranza forte, che divenga gioia nella nostra vita e custodisca, il Signore, questa gioia e questa speranza, così nessuno potrà toglierci questa gioia e questa speranza”.

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Papa: un oceano di lacrime nel mondo invoca la consolazione di Dio

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Tutti abbiamo bisogno della consolazione di Dio: l’amore del Signore permette di dire che, “quando si ama, niente e nessuno potrà mai strapparci dalle persone che abbiamo amato”. Così Papa Francesco presiedendo ieri pomeriggio in Basilica Vaticana, nella solennità dell’Ascensione del Signore, la veglia di preghiera per “asciugare le lacrime”. Per l’occasione, in San Pietro, è stato esposto il reliquiario della Madonna delle lacrime di Siracusa. Il servizio di Giada Aquilino

La preghiera è “la vera medicina per la nostra sofferenza”. Sono state parole per tutti coloro che hanno bisogno di consolazione, ma non solo, quelle del Papa in San Pietro. Accanto al reliquiario della Madonna delle lacrime di Siracusa, nel mese dedicato a Maria, Francesco ha ricordato come nel momento “dello smarrimento, della commozione e del pianto” emerga nel cuore di Cristo la preghiera al Padre. Così, ha spiegato, anche noi, pregando, “possiamo sentire la presenza di Dio, che “ci consola”, “ci sostiene” e infonde “speranza”. Perché anche oggi, ha aggiunto, ci capita di scorgere la tristezza “su tanti volti che incontriamo”:

“Quante lacrime vengono versate ad ogni istante nel mondo; una diversa dall’altra; e insieme formano come un oceano di desolazione, che invoca pietà, compassione, consolazione. Le più amare sono quelle provocate dalla malvagità umana: le lacrime di chi si è visto strappare violentemente una persona cara; lacrime di nonni, di mamme e papà, di bambini”.

Ci sono occhi, ha notato il Pontefice, che spesso rimangono “fissi sul tramonto” e stentano a vedere “l’alba di un giorno nuovo”:

“Abbiamo bisogno di misericordia, della consolazione che viene dal Signore. Tutti ne abbiamo bisogno; è la nostra povertà ma anche la nostra grandezza: invocare la consolazione di Dio che con la sua tenerezza viene ad asciugare le lacrime sul nostro volto”.

“Nei momenti di tristezza, nella sofferenza della malattia, nell’angoscia della persecuzione e nel dolore del lutto”, ha osservato, ognuno cerca una parola di consolazione, sentendo “forte” il bisogno di qualcuno che “ci stia vicino e provi compassione per noi”. Ci sentiamo “disorientati, confusi” e la “mente si riempie di domande”, ma le risposte - ha detto -  non arrivano:

“La ragione da sola non è capace di fare luce nell’intimo, di cogliere il dolore che proviamo e fornire la risposta che attendiamo. In questi momenti, abbiamo più bisogno delle ragioni del cuore, le uniche in grado di farci comprendere il mistero che circonda la nostra solitudine”.

E lo hanno provato le tante testimonianze risuonate in Basilica Vaticana, dolorose a assieme ricche di speranza. Quella della famiglia Pellegrino, toccata dal dramma del suicidio di un figlio: madre, padre e altri due figli testimoni - hanno detto con le parole della signora Giovanna - che l’amore di Dio ha asciugato le loro lacrime, con l’aiuto della comunità “Figli in cielo”:

“Tante persone che, partendo dalla stessa storia, dallo stesso dolore, si mettono in cammino ogni giorno perché la Risurrezione di Cristo possa diventare un’esperienza concreta anche nella devastante esperienza della perdita del bene umanamente più grande, il proprio figlio”.

Quella di Felix Qaiser, giornalista del Pakistan, appartenente alla locale minoranza cattolica, scappato in Italia per mettere al sicuro la propria famiglia da persecuzioni e violenze brutali, di cui sono vittime i cristiani nel Paese asiatico: ora, grazie ai padri gesuiti, lavora a Venezia. E quella di Maurizio Fratamico: da giovane aveva smarrito il senso della vita che, grazie alla fede, alle lacrime della madre, all’aiuto della comunità “Nuovi Orizzonti”, ha potuto ritrovare, assieme al fratello Enzo.

Storie di vita, bagnate da lacrime e asciugate dalla fede, scandite dalla musica e dai cori della Cappella Sistina e del Teatro dell’Opera di Roma e dall’accensione di candele durante l’intensa veglia di preghiera per esprimere l’opera di misericordia spirituale di “consolare gli afflitti”. Nella preghiera universale, il Papa ha tra l’altro rivolto il pensiero ai cristiani perseguitati: il loro dolore, ha detto, è sacrificio “per la salvezza del mondo”; alle vittime di guerra, terrorismo e violenza, pregando Dio di fermare i conflitti, convertire i “cuori dei violenti” e concedere la pace al mondo; agli oppressi da diverse dipendenze, vittime di “nuove prigionie”; ai bambini abusati e ai giovani ai quali “è tolta l’infanzia”: “le lacrime degli innocenti”, ha proseguito, ottengano la carezza del Padre e “il pentimento sincero di quanti generano scandalo”.

Nel dolore, ha detto ancora Francesco nell’allocuzione, “non siamo soli”, perché Gesù “sa cosa significa piangere per la perdita di una persona amata”: il riferimento è al brano evangelico di Giovanni che racconta di quando Gesù si commosse vedendo piangere Maria per la morte del fratello Lazzaro: le Sue lacrime, ha spiegato, “hanno sconcertato tanti teologi” e al contempo “hanno lavato tante anime, hanno lenito tante ferite”. Se Dio ha pianto, ha invitato il Papa a riflettere, “anch’io posso piangere sapendo di essere compreso”:

“Il pianto di Gesù è l’antidoto contro l’indifferenza per la sofferenza dei miei fratelli. Quel pianto insegna a fare mio il dolore degli altri, a rendermi partecipe del disagio e della sofferenza di quanti vivono nelle situazioni più dolorose. Mi scuote per farmi percepire la tristezza e la disperazione di quanti si sono visti perfino sottrarre il corpo dei loro cari, e non hanno più neppure un luogo dove poter trovare consolazione. Il pianto di Gesù non può rimanere senza risposta da parte di chi crede in Lui”.

Come Gesù consola, “così noi siamo chiamati a consolare”, ha ribadito il Papa, perché “la forza dell’amore trasforma la sofferenza nella certezza della vittoria di Cristo e nostra con Lui”, attraverso Maria che, “con il suo manto lei asciuga le nostre lacrime” e “ci accompagna nel cammino della speranza”. Al termine, il Pontefice ha consegnato ai presenti l’immagine dell’Agnello pasquale, come espressione dell’immensa misericordia di Dio.

Asciugare le lacrime di chi soffre, di chi ha perso una persona cara, degli abbandonati. A loro è stata, dunque, dedicata la veglia celebrata da Papa Francesco nella Basilica di San Pietro. Ascoltiamo le voci di alcuni fedeli presenti, raccolte da Michele Raviart: 

R. – Asciugare le lacrime vuol dire anche avere una condivisione con chi soffre. Abbiamo avuto infatti delle persone care che hanno avuto questa grande sofferenza e hanno lavato veramente le loro vesti nel sangue.

D. – Quanto la fede dà sollievo in questi casi?

R. – Dà tanto sollievo, perché è una prova immane, veramente. E solo se si ha fede si riesce a superare questo muro invalicabile, che è la sofferenza.

R. – La fede è importante per asciugare le lacrime. Tutti noi abbiamo bisogno della consolazione. E’ importantissima, quindi, questa Messa, questa celebrazione.

R. – Ci sta dando tanto, come famiglia, come figli, come genitori. Anch’io dico che la fede ci aiuta molto. Noi dobbiamo stare più vicini al Signore e avere molta fede in Lui.

R. – E’ molto emozionante; è una cosa che tocca il cuore e l’anima.

R. – Io personalmente ne ho bisogno. Più che altro, però, queste cose si fanno soprattutto per gli altri. Si viene qui, quindi, con uno spirito non tanto rivolto a se stessi, ma con uno spirito attento agli altri.

R. – E’ una veglia di consolazione per persone che hanno vissuto gravi situazioni familiari. Il mio papà è morto 40 anni fa, vittima del terrorismo.

D. – Che esperienza porta lei per essere qui in questa giornata?

R. – E’ una storia lunga: non si vede dall’esterno, è una cosa interna. E’ molto importante, per me personalmente e per chi mi sta vicino.

D. – La fede può essere un balsamo in questo caso?

R. – Secondo me sì, per chi sta veramente nel dolore, nella disperazione, nell’angoscia - credo ci siano tante persone così - è tutto!

R. – Noi abbiamo il grande dono di conoscere, di sapere che Dio continuamente, insieme alla Madonna, insieme alla nostra Madre, asciuga le nostre lacrime. La possibilità di venire qui oggi: vengo veramente a nome mio, portando le mie lacrime, ma portando con me le lacrime di tutti i miei fratelli e sorelle che per motivi veramente validi piangono, per mancanza di vita, di dignità, di amore.

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Papa, tweet: Cristo ci è sempre accanto, non ci deluderà mai

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Cristo è la nostra gioia più grande, è sempre al nostro fianco e non ci deluderà mai”.

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Santa Sede: cristiani e buddisti promuovano educazione ecologica

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Buddisti e Cristiani promuovano insieme un’educazione ecologica: è l’invito del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso nel Messaggio augurale ai “cari amici buddisti” in occasione  della festa del Vesakh che commemora la nascita, l’illuminazione e la morte di Gautama Buddha.

Crisi ecologica impone un nuovo stile di vita
Ispirandosi all’Enciclica di Papa Francesco Laudato si’, sulla cura della casa comune, il Messaggio ricorda che “la crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore” che porti a un nuovo modo di vivere. Gli stessi buddisti - si sottolinea - affermano che “al centro della crisi ecologica vi sia, in effetti, una crisi dell’io, espressa dall’avidità, dall’ansia, dall’arroganza e dall’ignoranza dell’essere umano. I nostri stili di vita e le nostre aspettative devono dunque cambiare per vincere il deterioramento di ciò che ci circonda”.

Urgenza della cooperazione interreligiosa
“Poiché la crisi dei cambiamenti climatici è dovuta anche all’attività umana - afferma il Messaggio - noi, cristiani e buddisti, dobbiamo lavorare insieme per affrontare il tema di una spiritualità ecologica. L’accelerazione dei problemi ambientali globali ha accresciuto l’urgenza della cooperazione interreligiosa. L’educazione alla responsabilità verso l’ambiente e la creazione di una ‘cittadinanza ecologica’ richiedono un’etica ecologica virtuosa che abbia rispetto e cura per la natura. E’ una necessità impellente che i seguaci di tutte le religioni valichino i loro confini e si uniscano nel costruire un ordine sociale responsabilmente ecologico basato su valori condivisi. Nei Paesi dove buddisti e cristiani vivono e lavorano fianco a fianco, possiamo promuovere la salute e la sostenibilità del pianeta attraverso programmi educativi comuni intesi a sviluppare la coscienza ecologica con iniziative congiunte”.

Liberare umanità da sofferenze causate dai cambiamenti climatici
“Cari amici buddisti – conclude il testo - possiamo collaborare insieme per liberare l’umanità dalle sofferenze causate dai cambiamenti climatici, e contribuire alla cura per la nostra casa comune. In questo spirito, vi auguriamo ancora una volta una pacifica e gioiosa festa di Vesakh”. Il Messaggio è firmato dal cardinale presidente Jean-Louis Cardinal Tauran e dal segretario mons. Miguel Ángel Ayuso Guixot.

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Parolin alle nuove Guardie Svizzere: siate testimoni di Cristo

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In un clima di gioia per il solenne Giuramento di 23 nuove guardie svizzere pontificie, questo pomeriggio nel Cortile San Damaso del Palazzo Apostolico, è stata celebrata questa mattina dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, la Santa Messa animata dal Cäcilienchor di Netstal presso l'Altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro. A seguire, la cerimonia di commemorazione del caduti con conferimento delle onorificenze nel Cortile d’Onore del Quartiere Svizzero. In una foto pubblicata sull'account "Franciscus" di Instagram, il Papa scrive: "Care Guardie Svizzere, non dimenticate che il Signore cammina con voi". Il servizio di Roberta Barbi: 

La gioia dell’incontro con Gesù è una gioia profonda e duratura, una gioia che ci accompagna, ci dona la forza per affrontare le difficoltà e il coraggio di annunciare il Vangelo con la nostra vita. È la vocazione di ogni battezzato – sottolinea il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin nell’omelia di oggi – essere testimone di Cristo ogni giorno, nella concretezza della propria esistenza, un augurio che in questa giornata di festa è rivolto in particolare alle nuove guardie, affinché rafforzate dai doni dello Spirito e sostenute dalla fede, proseguano nel loro servizio al Papa:

“Siate testimoni di Cristo – qui a Roma, nella vostra patria Svizzera e dovunque andiate – e in un mondo che desidera la luce e la vita ma non ha spesso il coraggio di accoglierla, in mezzo ai giovani vostri coetanei, i quali sono affamati di senso e pienezza, perché possiate dire loro che vale la pena proporsi cose grandi e belle, pur comportando impegno e dedizione ed essendo accompagnate da qualche fatica”.

Un compito non sempre facile, quello della testimonianza, che richiede fedeltà e va incontro alla fatica, a volte estrema come nel caso di San Paolo o delle persecuzioni contro i cristiani che si perpetuano ancora nel nostro tempo. Il pensiero va alle 147 guardie che durante il Sacco di Roma del 1527 donarono la propria vita in difesa del Successore di Pietro: eroi che rappresentano un esempio da seguire senza indugiare, come evidenzia ancora il porporato:

“Care guardie, non aspettate. Cominciate già oggi a testimoniare – con la vostra fedeltà nel servizio quotidiano per il Santo Padre, con la vostra fraternità e con i buoni rapporti tra voi, con il vostro esempio nella fede – che il Signore è vivo, ha compassione ed è misericordioso, che si avvicina agli uomini, che vuole donare pace, gioia e vera pienezza per guarire ogni ferita”.

Ogni persona è anche chiamata a riconoscere e amare Dio per essere con Lui per sempre: in una parola, è chiamata alla felicità e per raggiungere questa ognuno si fa partecipe del disegno, si fa strumento nelle Sue mani, come la piccola matita di cui parlava Madre Teresa o come i Santi Patroni delle guardie svizzere: San Martino, San Sebastiano e San Nicola della Flüe che come soldati o vescovi, guardie e martiri, padri di famiglia, eremiti o consiglieri di pace hanno seguito il Signore ovunque li abbia condotti, come ricorda il card. Parolin:

“Guardiamo, infine, ai vostri Santi Patroni che oggi, al momento del giuramento, con la mano destra alzata verso il Cielo, invocherete di assistervi sempre nell’adempiere ciò che promettete. I loro cuori erano colmi di quella gioia del Signore, che nessuno può togliere”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo "Sogno di un figlio".

Per un'educazione ecologica: messaggio ai buddisti nella festa di Vesakh.

Via maestra: il cardinale segretario di Stato sul dialogo tra le religioni come base di una prospettiva di pace.

Profughi bombardati: colpito un campo nel nord-ovest della Siria.

In gioco il futuro dell'Europa: sintonia tra Roma e Berlino sull'urgenza di non chiudere le frontiere ai migranti.

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Oggi in Primo Piano



Siria, strage di civili. Un sacerdote armeno: è genocidio

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Violenti scontri sono ancora in corso nel nord della Siria tra forze governative e ribelli anti-Assad nei pressi di Khan Touman, a sud di Aleppo, vicino l'autostrada per Damasco. Il villaggio nelle ultime ore sarebbe stato conquistato dai ribelli, secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, che parla di oltre 70 vittime nella battaglia. Ad Aleppo città sono ore di attesa, dopo l'entrata in vigore della tregua decisa da Stati Uniti e Russia. Intanto cresce lo sdegno per gli oltre trenta profughi, tra cui donne e bambini, rimasti uccisi in un raid aereo – attribuito ai governativi o a velivoli russi - che ha colpito il campo di accoglienza di Kammuna, nel nord-ovest del Paese, poco lontano dal confine turco. Per una testimonianza da Aleppo, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente il sacerdote armeno cattolico, padre Elias Janji

R. – Hanno buttato tante bombe su di noi. Si può parlare di “genocidi”, soprattutto per quanto riguarda gli ospedali colpiti, tanta gente è morta, tanta gente non ha più una casa. Una situazione veramente terribile. Soprattutto negli ultimi 5-6 giorni che abbiamo vissuto qui.

D. – Ma in queste ore in città la tregua regge?

R. – Adesso si può dire di sì. La scorsa notte abbiamo sentito delle voci, non so da dove venissero, ma adesso c’è calma.

D. – Invece i combattimenti si sono registrati a sud di Aleppo, nel villaggio di Khan Touman, riconquisto – pare – dai ribelli. Che rischi ci sono per la zona?

R. – La zona di Aleppo è stata sempre un centro in cui dialogare, soprattutto anche per noi cristiani. Prima i cristiani era presenti in gran numero ad Aleppo, adesso c’è soltanto il 20 per cento di loro. E questo è un grande rischio.

D. – Nelle scorse ore ancora un raid ha colpito un campo profughi. E’ successo al confine con la Turchia e ha ucciso anche dei bambini. C’è dietro una strategia?

R. – Il problema è che adesso noi viviamo una situazione che non è molto chiara per il resto del mondo: non c’è qualcuno che parla per noi, che dice a nome nostro quale sia realmente la nostra situazione. La realtà è che noi abbiamo il petrolio, il gas e questo è ciò che intessa alle maggiori forze del mondo.

D. – Più volte il Papa si è pronunciato su questo conflitto che miete vittime anche tra i più piccoli, tra i malati, tra i soccorritori. Allora qual è l’appello che parte da Aleppo?

R. – La prossima domenica faremo una preghiera internazionale, per la città ferita di Aleppo. Quello che hanno detto tutti i vescovi è: “Per favore, pregate per noi, pregate perché Aleppo è una città ferita”. Non abbiamo né l’elettricità né l’acqua, abbiamo veramente bisogno di vivere una situazione di pace e di fermare questi bombardamenti, perché tanti di noi – davvero tanti – sono già stati uccisi: tanti bambini e tanti giovani. Ripetiamo ciò che hanno detto i vescovi: “Basta guerra”! Dovremmo avere la nostra pace: quella pace che è la cosa più importante per noi adesso.

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Turchia, si dimette premier. Erdogan: urgente presidenzialismo

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Per la Turchia "una nuova Costituzione e un sistema presidenzialista sono un bisogno urgente, non una mia agenda personale": così il presidente turco Erdogan, all'indomani dell'annuncio delle dimissioni del premier e presidente del partito di maggioranza Ahmet Davutoglu. "Penso che la decisione del primo ministro – ha detto - sia stata per il bene della Turchia. Lo ringrazio per il suo prezioso lavoro negli ultimi 20 mesi". Ma per l'opposizione, le dimissioni del premier sono un "golpe di palazzo", non "una questione interna al partito" di maggioranza che, probabilmente, sceglierà il suo successore il 22 maggio in un congresso straordinario. Marco Guerra ne ha parlato con Marco Di Liddo analista del Cesi ed esperto dell’area:

R. – Erano diversi mesi che il primo ministro turco stava pensando a come abbandonare la scena. Davutoglu è sempre stata una figura politica che cercava ancora di percorrere la strada europeista, e di mediare tra le parti più intransigenti del partito al potere e quelle invece più moderate. I dissapori tra Davutoglu e Erdogan sono diventati insostenibili: Davutoglu ha capito di essere sostanzialmente isolato e di non poter controbattere il Presidente ed ha preferito, con grande maturità, farsi da parte.

D. – Quali conseguenze sta avendo questa svolta nell’assetto istituzionale della Turchia?

R. – Al momento, a livello istituzionale, il progetto politico di Erdogan ha avuto un impatto abbastanza limitato, perché l’Akp, per quanto disponga di una maggioranza larga, non ha i numeri parlamentari per poter avviare un referendum o una modifica della Costituzione in maniera unilaterale. Quindi, l’effetto è sino ad ora più politico che istituzionale, ma in futuro potrebbe anche assumere un’inquadratura burocratica e legale ben precisa.

D. – Si tornerà al voto o verrà scelto un premier proprio dall’Akp?

R. – Trattandosi di un conflitto politico interno ai confini dell’Akp, sarà probabilmente il partito ad indicare il successore di Davutoglu che apparterrà quasi sicuramente all’Akp, e sarà probabilmente uno stretto alleato di Erdogan. Quindi la possibilità di tornare al voto è abbastanza difficile ed escludibile in questo momento.

D. – L’Europa è preoccupata per questa crisi politica turca; ci possono essere delle ripercussioni sul piano internazionale?

R. – Non solo l’Europa, ma anche la Nato è preoccupata per la parabola politica imboccata dalla Turchia. Le ripercussioni internazionali possono essere tante e in diversi settori, non solo a livello dei rapporti con l’Europa: infatti Davutoglu era uno degli ultimi grandi sostenitori della partnership tra Bruxelles e Ankara. Quindi, probabilmente la Turchia adesso investirà la maggior parte delle sue risorse nella proiezione di influenza e potere nel suo vicinato orientale. Quindi il primo effetto probabilmente potrebbe essere un ulteriore inasprimento della posizione di Ankara sia verso il dossier curdo interno sia verso quello curdo in Siria. Perché non dimentichiamo che la priorità di Ankara rimane quella di far cadere Assad e, contemporaneamente, impedire la formazione di un’entità politica autonoma a curda nel nord della Siria.

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Corea del Nord, al via il congresso del Partito di Kim Jong-un

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Si aspetta un plebiscito per il giovane leader del regime. E' iniziato questa mattina a Pyongyang il settimo congresso del Partito dei Lavoratori nordcoreano. È il primo dal 1980, anno in cui al vertice dello Stato c’era il presidente, Kim Il Sung, nonno dell’attuale capo di Stato, Kim Jong-un. Atteso il discorso di apertura del primo segretario che spiegherà le linee guida del Paese sia a livello economico che militare. Sull’inizio dei lavori congressuali, Daniele Gargagliano ha chiesto un commento a Rossella Ideo, storica dell’Asia orientale all’Università di Trieste: 

R. – In questo Congresso, certamente, ci sarà la presentazione di quello che aveva già formulato nel 2012: una duplice politica che mira ad allentare la morsa della fame con delle riforme economiche, ed è ben ferma la posizione sul nucleare. Di fatto, la Corea del Nord, sia ben chiaro, è uno “Stato nucleare” anche se non è riconosciuto dalla comunità internazionale come tale. Quindi, queste sono le due linee: progetto nucleare, che continua e si rafforza, e una sorta di rifondazione economica.

D. – Infatti, si è parlato della doppia politica “del burro e del nucleare”…

R. – Il “burro” è perché, tra l’altro, c’è un Rapporto recente della Fao che testimonia il fatto che, al di là della capitale che è sempre stata la vetrina del Regime e adesso lo è ancora di più, c’è una grossa sofferenza della popolazione. Ci sono grossi problemi ancora di malnutrizione, soprattutto per quanto riguarda i bambini.

D. – Kim Jong-un si farà incoronare “segretario generale del partito”; finora si è limitato al grado di “primo segretario” e di “guida suprema”. Una formalità o un modo per legittimare ancora di più la leadership nel partito?

R. – Lei ha usato una parola molto giusta: “incoronazione”. Certamente, perché si tratta di una famiglia arrivata alla terza generazione, che è proprio – direi – una famiglia reale. Più che altro, si tratterà di legittimare, di fronte soprattutto all’opinione pubblica interna, la figura del nuovo leader che dovrebbe aprire questa nuova era. Si tratterà di presentare e rivedere le politiche passate – così si è fatto nei congressi precedenti – e di tracciare delle nuove linee per il futuro. Kim Jong-un si è ispirato molto, data la sua somiglianza sorprendente con il nonno, alla figura di quest’ultimo e ciò dà proprio l’idea di essere molto vicino al fondatore.

D. – Sul fronte asiatico, la Cina sembra osservare cosa accade nel regime di Kim Jong-un, anche se non in maniera passiva viste le ultime sanzioni comminate a Pyongyang…

R. – Anche la Russia e la Cina hanno preso le distanze in quest’ultimo periodo – cioè dopo le ultime sanzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu – dal regime e stanno attuando le sanzioni. Queste riguardano le esportazioni di carbone, che sono molto importanti, e di minerali dalla Corea del Nord, che sono sempre state molto, tra l’altro, appannaggio dell’élite dirigente. In questo momento, davvero, la Corea del Nord è sola. Nel 1980, in occasione dell’ultimo Congresso del partito, si erano presentate in pompa magna 177 delegazioni in Corea del Nord, rappresentanti 118 Paesi. C’è una bella differenza tra quello che era la Corea del Nord nell’ultimo congresso e il congresso di adesso: la Corea del Nord ora è veramente un Paese molto isolato.

D. – Qual è il rischio di questo isolamento?

R. – Questo è un Paese molto resiliente, è un Paese che ha uno Stato estremamente ben organizzato. E quindi, mettere in ginocchio la Corea del Nord, lo Stato nordcoreano, non è banale. Anche perché quello che interessa il regime è appunto mantenere il regime. Abbiamo visto, sotto il padre, la più grossa carestia che un Paese industrializzato abbia mai sopportato. Eravamo veramente al livello dei Paesi africani, con decine di migliaia di morti: si parla di un milione, se non di più. Se la pia illusione degli Stati Uniti e della Corea del Sud è quella di provocare con le sanzioni una caduta del regime, per il momento direi che è una cosa che nessun analista prevede.

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I "medici della Savana" dal Papa, domani in Vaticano il Cuamm

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Saranno a migliaia domani in udienza in Aula Paolo VI e tutti in nome dell’Africa. Da Papa Francesco arriveranno infatti volontari, cooperanti, sostenitori e amici di "Medici con l’Africa – Cuamm", la prima ong in campo sanitario riconosciuta in Italia e la più grande organizzazione italiana per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane. Nata nel 1950 per iniziativa del medico missionario, Francesco Canova, e dell’allora vescovo di Padova, mons. Girolamo Bortignon, oggi l’organismo, è presente in sette Paesi dell’Africa subsahariana, dove lavora per il diritto alla salute dei più poveri e bisognosi: mamme e bambini, malati di Hiv/Aids e turbercolosi, disabili. E sono loro, gli africani, a chiamarli 'I medici della Savana'. Ecco come don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa – Cuamm, racconta, al microfono di Francesca Sabatinelli, il significato dell’incontro con il Papa: 

R. – Significa una gioia, una gioia grande, e tanta riconoscenza, perché nelle parole di Papa Francesco sentiamo espressa fino in fondo la nostra missione. Fin dall’inizio ha detto che un cristiano in particolare deve andare nelle periferie esistenziali e geografiche di questo nostro pianeta. E il nostro cuore è proprio l’Africa, il continente più povero, "l’ultimo miglio del sistema sanitario", come noi diciamo. Quella è la nostra casa, la nostra terra. Sentire così questo Papa è ovvio che riempie il cuore, perché dice quello che siamo e quello che facciamo, la nostra vita di ogni giorno. Sentirlo vicino a noi, in questo, è una gioia grande. Tanta riconoscenza.

D. – Sarete tanti, domani?

R. – Saremo tantissimi, forse troppi, ma nel senso buono del termine: siamo 8 mila e abbiamo dovuto bloccare le adesioni. Questo dice come questo Papa attrae e trascina tanta gente, tante famiglie, volontari che partono e vanno in Africa per uno, due, tre, quattro anni... Ne abbiamo tanti sul campo, in Africa. Ma così come fanno anche tanti volontari in Italia, in parrocchia, nei gruppi, nelle associazioni: mobilitano questa Chiesa che è la Chiesa feriale, operaia accanto ai più poveri.

D. – Lei ha inviato una lettera al Papa ringraziandolo per avere accolto la vostra richiesta di incontrarlo. In questa lettera, lei spiega molto bene cosa significhi lavorare in Africa. Quali sono i punti fondamentali di ciò che lei ha scritto a Francesco?

R. – Quell’ultimo miglio del sistema sanitario di cui prima parlavo. Non c’è dubbio che le fasce più povere della popolazione vivono nelle periferie dei Paesi africani dell’Africa subsahariana. Parliamo di una parola che usa il Papa, che è lo “scarto”, di una società che si sta abituando allo scarto. Io penso alle mamme e ai bambini in Africa, il cuore del nostro intervento sanitario, per garantire almeno un parto sicuro senza la paura terribile di morire dando alla luce un bambino. Per curare il neonato che nel primo mese di vita, nel 50% dei casi, la perde. E’ il “con” che caratterizza anche il nostro nome: noi siamo medici “con” l’Africa e non vogliamo essere medici “per” l’Africa, perché io ho le mie responsabilità e i nostri fratelli africani hanno la loro responsabilità. Insieme costruiamo un futuro e gestiamo un ospedale, un centro sanitario. Un’altra parola ancora che è affascinante per noi, anche se il Papa l’ha citata in un contesto diverso, è questa espressione che la Chiesa deve assomigliare a un ospedale da campo, non a una clinica per “vip”. Tante volte in Africa, specie nelle capitali, trovi le super-cliniche per gente che se lo può permettere, ma quanta gente che incontriamo ogni giorno non può pagarlo, quel servizio? Questi sono i temi forti del nostro chiedere a Papa Francesco questo incontro. Non ultimo ricordando don Luigi Mazzucato, il nostro direttore. Lui ci ha guidati per 53 anni come direttore del Cuamm, è mancato l’anno scorso e davanti al Papa vogliamo riconoscere questo testimone autentico del Vangelo.

D. – Sempre nella lettera inviata a Papa Francesco, lei sottolinea il fatto del “non possedere nulla di vostro” o “nulla che porti il vostro nome”. Avete gestito oltre 200 ospedali, nessuno è ospedale Cuamm. Avete sostenuto università e centri sanitari, ma nessuno porta il vostro nome. Lei, questo, lo definisce un orgoglio. Perché?

R. – Perché credo che questo debba essere l’atteggiamento evangelico del lievito che scompare dentro la pasta. La missione prima è quella di far crescere la pasta, scomparendo: è la logica evangelica. Tante volte non succede così, invece crediamo fortemente che l’Africa abbia bisogno di questa modalità di lavoro. Questo anche per garantire una maggiore sostenibilità, un’autonomia. Cioè: fai crescere le realtà locali perché nel giro di 10-20 anni queste realtà possano camminare da sole. Occorre far crescere la dignità e l’autonomia della popolazione africana. E’ in questo senso che diciamo con "orgoglio": profondamente umili, ma orgogliosi.

D. – Domani sarete molti in Vaticano: sarà un messaggio di vicinanza a questo continente e alle sue genti…

R. – Sì, sì. In quel continente, ci sono Paesi poverissimi. Penso al Sud Sudan che ha un’ostetrica ogni 20 mila mamme che partoriscono. Alla Sierra Leone che ha un pediatra in tutto il Paese. Una nota di vicinanza alla gente, a queste vite: questo è il primo messaggio. E il secondo, chiamiamolo così, è di garantire l’accesso alle cure per tutti. Tante, tante volte in tante situazioni questo accesso non è garantito a tante persone, specie a quelle più deboli. Ci piacerebbe poter trasformare la giornata del malato, il 13 febbraio, nella giornata per l’accesso universale alle cure. Per tutti, specie per i più poveri.

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Mattarella, omaggio alle vittime del sisma del '76 in Friuli

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Molto intensa la visita del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, oggi in Friuli in occasione del 40.mo anniversario del sisma che colpì 77 Comuni, causando la morte di 989 persone. La prima tappa del presidente è stata Gemona, cittadina simbolo del sisma, poi Venzone. Ad accompagnare Mattarella, i sindaci Paolo Urbani e Fabio Di Bernardo, la presidente della Regione, Debora Serracchiani, e l’allora commissario straordinario per il terremoto, Giuseppe Zamberletti. Il presidente ha ricordato il “miracolo della ricostruzione” sottolineando il protagonismo dei friulani, "come cittadini, come Comuni, come Regione". Il servizio di Anna Piuzzi

Nel Friuli terremotato, “ci sono stati tanti contributi, ma quello realmente protagonista è stato quello dei friulani, come cittadini, come Comuni, come Regione”. A dirlo il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a Venzone, seconda tappa della sua visita friulana dopo Gemona, nel quarantennale del terremoto che colpì il Friuli, il 6 maggio del 1976.

“Oggi  – ha detto Mattarella – è un giorno di commozione in cui ricordiamo le vittime, il grande dolore. Non si può cancellare il ricordo delle distruzioni e devastazioni del terremoto. È un giorno in cui si esprime riconoscenza ai soccorritori. Qui ve ne sono alcuni. E vi sono quelli che oggi continuano il loro lavoro nell’esercito, nei Vigili del fuoco, tra i volontari. Vanno ringraziati e vanno ringraziati tutti i friulani che si sono impegnati con determinazione, coraggio, con grande dignità nella ricostruzione͙. "In quei giorni e nei successivi mesi a tutta Italia – ha proseguito Mattarella – è stato chiaro che la determinazione, la capacità di affrontare in maniera concreta e seria i gravi problemi della ricostruzione, messi anche a rischio dal secondo terremoto, è stata frutto della cultura e della mentalità dei friulani. E’ stata una grande testimonianza. Certo, intorno a loro si sono stretti tutti gli italiani, tanti da tanti Paesi stranieri, anche perché in tanti Paesi vi è una presenza di friulani, nei "Fogolars furlans". Vi è stata una presenza dello Stato, qui testimoniata da Giuseppe Zamberletti. Vi sono stati tanti contributi, ma quello realmente protagonista è stato quello dei friulani, come cittadini, come Comuni, come Regione. Un impegno che ha consentito di riportare poi Venzone come Gemona, dove sono stato poc’anzi, come tutti i Comuni colpiti, nelle condizioni in cui si trovavano prima. E’ stata una grande opera di ricostruzione. La mia presenza qui si ricollega alla vicinanza che allora lo Stato ha assicurato ai governi. Ma vuole esprimere soprattutto l’apprezzamento, l’ammirazione e la riconoscenza a tutto il Paese per quello che è stata fatto qui”. Infine, l’augurio “molto grande” e il saluto finale che Mattarella ha voluto fare ricorrendo alla lingua friulana,’ l’“Ariviòdisi”.

A Gemona, il capo dello Stato, accompagnato dal sindaco Urbani, ha reso omaggio alle 400 vittime della cittadina nel cimitero di Gemona. Ricordiamo che sono stati 989 complessivamente i morti nei 77 Comuni colpiti dal sisma. Quindi, è salito in municipio, dalla loggia ha salutato i numerosi friulani e ha passeggiato lungo Via Bini, completamente distrutta la sera del 6 maggio 1976, per poi entrare in Duomo, anch'esso ricostruito, dove è stato accolto dall'arcivescovo di Udine, mons. Andrea Bruno Mazzocato.

“Un bel segno da parte del presidente della Repubblica è stato il voler iniziare la sua giornata qui da Gemona, partendo dal cimitero con questo gesto non solo di omaggio, ma anche di pietà cristiana e umana verso le vittime. Poi è venuto a vedere una delle più belle ricostruzioni: il duomo”. Così l’arcivescovo di Udine, mons. Andrea Bruno Mazzocato, dopo l’incontro con il presidente Mattarella avvenuto nel Duomo di Gemona.

E proprio ieri, nel Duomo di Gemona una Santa Messa concelebrata dai vescovi delle Diocesi gemellate con le parrocchie terremotate, oltre 80 all’indomani del sisma, aveva aperto le celebrazioni per questo 40.mo anniversario.

Nel pomeriggio, Mattarella sarà a Udine nel Palazzo della Regione, dove si terrà un Consiglio regionale straordinario e dove intitolerà l’Auditorium ad Antonio Comelli, indimenticato presidente della Regione Friuli Venezia Giulia che guidò con coraggio la ricostruzione nel post-terremoto.

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Tito Boeri: vitalizi dei parlamentari sono insostenibili

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Riesplode in Italia il dibattito sui vitalizi dei parlamentari. A riaccenderlo è stato ieri, durante un’audizione alla Camera, il presidente dell’Inps Tito Boeri. Il sistema – ha detto - è insostenibile. La spesa - ha spiegato Boeri - negli ultimi 40 anni, è stata “sempre più alta dei contributi versati”. In una nota, l’ufficio stampa di Montecitorio precisa che gli oneri dei vitalizi non sono a carico dell’Inps. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Attualmente i vitalizi degli ex parlamentari sono 2.600. Nel 2016 hanno determinato un costo di 193 milioni di euro che supera di 150 milioni i contributi versati. Il presidente dell’Inps Tito Boeri ha spiegato che se a tutti i vitalizi fosse applicato il calcolo contributivo, sistema adottato per gli altri lavoratori, il risparmio sarebbe di circa 76 milioni l’anno. La spesa si ridurrebbe così del 40% ma sono possibili anche ulteriori tagli. Il risparmio salirebbe, infatti, a quasi 150 milioni di euro all’anno se il sistema contributivo fosse esteso anche ai consiglieri regionali. Per il presidente dell’Inps “si tratta di misure non solo simboliche”, ma in grado di contribuire “alla riduzione della spesa pubblica”.

Boeri: sistema dei vitalizi non sostenibile
Il sistema dei vitalizi parlamentari – ha detto Tito Boeri  a margine dell'audizione alla Camera – non è sostenibile:

“Non è sostenibile e non lo è stato storicamente, anche quando c’era un numero molto basso di contribuenti, attorno ai 500. Gli interventi, che sono stati apportati negli ultimi anni, hanno in qualche modo bloccato la crescita ma non hanno ancora risolto il problema. Rimangono ancora disavanzi molto consistenti”.

Montecitorio: oneri non a carico dell’Inps
In una nota di Montecitorio si precisa che “gli oneri derivanti sia dal nuovo sistema contributivo, che dal sistema dei vitalizi in vigore in precedenza, gravano interamente ed esclusivamente sui bilanci interni di Camera e Senato, e non dell'Inps”. Nel documento si ricorda anche che nel 2012 è stato introdotto “un trattamento pensionistico dei parlamentari basato su un sistema di calcolo contributivo analogo a quello vigente per i pubblici dipendenti”. “Per avere diritto alla pensione, un parlamentare deve aver svolto la funzione per almeno 5 anni e aver compiuto 65 anni di età”.

Sono diversi i profili di insostenibilità legati ai vitalizi. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, l’economista Alberto Quadrio Curzio

R. – Una questione è l’insostenibilità finanziaria, un conto è l’insostenibilità civile, un altro è quella politica. Son tre diverse declinazioni qualificanti che vanno considerate. Dal punto di vista dell’insostenibilità finanziaria, sono cifre importanti ma non tali da modificare gli equilibri di finanza pubblica. Dal punto di vista, invece, dell’insostenibilità civile e politica, certamente, si tratta di forme di privilegio che non sono accettabili oggi come probabilmente non erano accettabili prima. L'unica eccezione, forse, è legata a momenti particolari successivamente alla fine delle Seconda Guerra Mondiale, quando l’impegno - anche di costituzione di una nuova Repubblica - richiedeva uno sforzo significativo da chi sedeva in Parlamento.

D. – Il sistema contributivo applicato a tutti i vitalizi  - ha detto Boeri - porterebbe ad un consistente risparmio. Montecitorio ha precisato che tale sistema è già stato introdotto nel 2012 …

R. – Dal punto di vista economico, un sistema contributivo è un sistema del tutto razionale e non c’è nulla da obiettare. Dal punto di vista giuridico, c’è il problema dei cosiddetti diritti acquisiti per quelli che hanno fruito di quel trattamento vitalizio prima del 2012 e, quindi, bisogna vedere se dal punto di vista giuridico si possano modificare i precedenti trattamenti.

D. – Il governo si appresta a varare la riforma delle pensioni. Rivedere anche i vitalizi sarebbe un passo importante?

R. - Sarebbe importante e significherebbe poter erogare quei fondi ad altre destinazioni che potrebbero certamente svolgere una funzione importante per lo sviluppo economico sociale importante per il Paese.

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Raccolta alimentare Caritas: povertà sempre più visibile

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Un'intera giornata dedicata all'aiuto degli altri, attraverso beni di prima necessità. In 54 supermercati domani, sabato 7 maggio, sarà possibile devolvere parte della spesa alle famiglie in difficoltà. "La povertà è sempre più visibile nei nostri quartieri" ha ribadito Gianni Pizzuti, responsabile dell'area educazione al volontariato della Caritas Diocesana di Roma, aggiungendo che il lavoro che viene fatto negli Empori della solidarietà non è solo materiale ma anche di ascolto per chi vive disagi e problematiche. Valentina Onori lo ha intervistato. 

R. – Questa è un’iniziativa che coinvolgerà circa 500 volontari in 54 supermercati della catena Simply – Ipersimply ed è a favore degli Empori della solidarietà. Questa grande raccolta permetterà a circa 1.600 famiglie di poter usufruire di questo tipo di servizio. Inizierà la mattina alle 8:30, terminerà alle 20:00.

D. - Chi coinvolgerà la raccolta alimentare?

R. - Volontari che provengono da diverse zone della città, della zona della periferia, ma anche del centro, giovani, adulti e anziani. Il tentativo è quello di far partecipare più persone possibili per sensibilizzare al disagio e a forme di povertà che in questo momento incidono negativamente nel nostro tessuto sociale.

D. - Chi beneficerà di questi aiuti?

R. - Tutte le famiglie dei nostri quartieri popolari che non riescono ad arrivare a fine mese e che hanno la possibilità di essere sostenuti anche attraverso questo tipo di aiuto.

D. - Nella pratica, una volta raccolti i beni alimentari e non, come li smisterete?

R. - Arriveranno nei nostri tre magazzini e i volontari li sistemeranno negli scaffali degli Empori. 

D. - Quante iniziative di questo tipo fate durante l’anno?

R. - Quattro: due con la catena Simply –Ipersimply, una con il Banco alimentare e l’altra con la catena  di supermercati Emmepiù. Copre circa il 70-75% del bisogno che c’è all’interno dei nostri empori. Nell’ultima raccolta che abbiamo fatto in questi 54 supermercati siamo riusciti a raccogliere tremila scatoloni di pasta, pomodoro, tonno, latte e beni a lunga conservazione.

D. - Quanto bisogno c’è di questi aiuti? La vostra percezione sul territorio di Roma …

R. - Aumenta sempre di più. Quando siamo partiti l’Emporio riusciva ad aiutare circa 400 famiglie; ora siamo arrivati a 1.500. Questo è già un dato che permette di capire come la crisi economica incide sulla vita delle nostre famiglie. È un dato allarmante; c’è una forma di povertà che è sempre più visibile all’interno dei nostri quartieri.

D. - La raccolta coinvolge sia generi alimentari che prodotti per l’infanzia. Quanto bisogno c’è di pannolini, omogeneizzati, …?

R. - Anche questo è un dato in aumento. Le famiglie che utilizzano l’Emporio molto spesso hanno più di un bambino. Noi cerchiamo, oltre alle raccolte alimentari, di essere aiutati anche dalle grandi aziende che permettono, attraverso le loro offerte, di sostenere gli Empori.

D. - La risposta è buona da parte di queste famiglie che hanno necessità?

R. - Sì, perché comunque le famiglie che vengono negli Empori a fare la spesa sono seguite dai centri di ascolto. Questa è una parte dell’intervento che viene fatto a loro favore. La famiglia per sei nove mesi, viene sostenuta dal centro di ascolto nelle diverse problematiche che vive.

D. - Nei centri di ascolto come vengono aiutate queste persone?

R. - Attraverso lo sviluppo di alcuni percorsi o di inserimento lavorativo, di integrazione sociale, … Gli aiuti che vengono sviluppati dai centri di ascolto hanno diverse direzioni.

D. - Quali sono le difficoltà più gravi che rilevate?

R. - La difficoltà maggiore è quella del lavoro. Molte di queste famiglie sono entrate in crisi perché hanno perso il lavoro. Quello che si cerca di fare è trovare tutte quelle possibilità che permettono ad una persona della famiglia di trovare lavoro attraverso il contatto con le risorse di un territorio.

D. - Perché è importante questa raccolta alimentare?

R. – Permettere di dare continuità al lavoro che viene svolto all’interno degli empori, permette di continuare in questa forma di aiuto a favore delle famiglie; permette anche di avvicinare molte persone a delle esperienze di volontariato.

D. - Cosa rappresenta il volontariato?

R. - È una grande risorsa che abbiamo per essere attenti agli altri, per sviluppare un lavoro di prossimità e anche dare valore alla dimensione della gratuità.

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Nella Chiesa e nel mondo



Scolarizzazione per 75 milioni di bambini nei Paesi in crisi umanitaria

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Circa 75 milioni di bambini e adolescenti in età scolastica, che vivono in Paesi colpiti da crisi, hanno bisogno di programmi di scolarizzazione. Lo ha dichiarato di recente l’organizzazione inglese Overseas Development Institute (Odi) in uno studio sollecitato dall’Unicef e dai governi di Gran Bretagna, Stati Uniti e Norvegia. 

Nel mondo 37 milioni di bambini non vanno a scuola
In tutto il mondo - riporta l'agenzia Fides - 37 milioni di bambini nella fascia di età delle scuole primaria e secondaria non vanno a scuola a causa della guerra o per emergenze di altra natura. Nella sola Siria sono chiuse 6 mila scuole, in Nigeria e Camerun non sono operativi 1800 collegi, mentre nella Repubblica Centroafricana un quarto delle strutture esistenti non presta il suo servizio educativo. Il documento è stato diffuso a meno di tre settimane dal primo Foro Globale Umanitario che si terrà a Istanbul, nel corso del quale è previsto un chiaro riferimento al problema della scolarizzazione. 

Raccolta fondi per la scolarizzazione di 13 milioni di bambini che vivono in zone di guerra
​L’obiettivo è quello di creare un fondo per finanziare programmi scolastici nei Paesi in crisi. Quello immediato è raccogliere circa 4 mila milioni di dollari per poter offrire, nei prossimi 5 anni, scolarizzazione a 13 milioni e mezzo di bambini che vivono in zone di conflitto. (A.P.)

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Siria: progetto di Acs per dare l'elettricità ad Aleppo

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In questi giorni drammatici, Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) è vicina al popolo siriano e in particolar modo agli abitanti di Aleppo, ridotta in macerie dopo quattro anni di incessanti combattimenti. Prima dell’inizio della guerra nel 2011, in città vivevano oltre 150mila cristiani, mentre ora ne sono rimasti circa 40mila. «Oggi – ha affermato mons. Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo – abbiamo paura che Aleppo diventi una nuova Mosul».

Raccolta fondi per donare elettricità ad Aleppo
Per sostenere i cristiani e permettere loro di continuare a vivere nel proprio Paese, Acs sta promuovendo il progetto “Accendi una luce ad Aleppo”, una raccolta fondi per donare l’elettricità necessaria a sopravvivere. Due ampere sono il quantitativo minimo per accendere appena due o tre lampadine ed una radio o un televisore. La Fondazione si è impegnata a garantire tale quantitativo per almeno un anno a 624 famiglie cattoliche della città, per un totale di 140mila euro.

La maggior parte delle famiglie cattoliche vive al di sotto della soglia di povertà
A chiedere l’aiuto ad Acs è stato padre Ibrahim Alsabagh, frate francescano della Custodia di Terra Santa e parroco dal 2014 della chiesa di San Francesco d’Assisi ad Aleppo. «La maggior parte delle nostre famiglie vive al di sotto della soglia di povertà – ha scritto il religioso siriano – almeno così potremmo garantire una vita dignitosa ai cristiani che non hanno voluto abbandonare la Siria o non ne hanno avuto la possibilità per motivi economici».

Un aiuto per alleviare la tragedia quotidiana dei cristiani di Aleppo
Aiuto alla Chiesa che Soffre, che dall’inizio della crisi in Siria ha realizzato progetti a sostegno della popolazione locale per oltre 10milioni e 400mila euro, ha quindi deciso di offrire questo semplice ma fondamentale aiuto per alleviare il tragico quotidiano dei cristiani aleppini. Così le donne, che trascorrono molte ore in quello che rimane delle loro case, potranno avere il minimo conforto per le necessità domestiche ed i loro figli potranno continuare a studiare anche al calar del sole. «Una vita al buio è impossibile da immaginare, ma ad Aleppo è diventata realtà – afferma il direttore di Acs-Italia Alessandro Monteduro – ecco perché vi chiediamo di sostenere questo progetto. Perché, appunto, Aleppo non diventi una nuova Mosul». (M.P.)

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Vescovi maroniti: il Libano sembra una nave senza timone

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Il mondo arabo è minacciato nella sua stessa esistenza da "identità assassine", e le crisi e le guerre che sconvolgono l'intera regione hanno le loro radici profonde nelle “contrapposizioni regionali” e nelle “politiche internazionali". Così i vescovi maroniti, riuniti nella sede patriarcale di Bkerkè per la loro assemblea mensile, hanno per l'ennesima volta richiamato nel loro incontro la dimensione globale e i fattori esterni che continuano ad alimentare le guerre e le tragedie umanitarie in tutto il Medio Oriente.

Il pericolo della frammentazione su base settaria
Nella riunione, svoltasi mercoledì scorso sotto la presidenza del Patriarca Boutros Bechara Rai - riferisce l'agenzia Fides - i vescovi maroniti hanno riaffermato che l'elezione del Presidente della Repubblica – carica vacante da quasi due anni, a causa dei veti incrociati delle forze politiche – è “indispensabile per preservare l'identità costituzionale libanese”, e hanno anche messo in guardia dal pericolo della frammentazione su base settaria che inevitabilmente stravolgerà l'attuale fisionomia delle nazioni arabe, se si continua a privilegiare la strategia del " ferro e fuoco” piuttosto che la scelta del dialogo.

Portare a termine le indagini sui casi di corruzione
​Nel loro incontro – si legge nel comunicato finale ripreso dalla Fides - i vescovi maroniti hanno anche commentato positivamente i recenti provvedimenti che prefigurano la chiusura delle “case di prostituzione”, e hanno chiesto che le indagini aperte negli ultimi tempi su casi di corruzione siano portate a termine, visto che anche gli scandali contribuiscono a far apparire il Libano come “una nave senza timone". (G.V.)

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Vescovi Colombia: aiuti per la popolazione alluvionata

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Il territorio del dipartimento del Chocó, regione della Colombia occidentale bagnata dall’Oceano Pacifico, è stato flagellato in questi giorni dal fenomeno del Niño, che sta causando alluvioni e allagamenti in molti Paesi del Sudamerica. Il sito internet della Conferenza episcopale colombiana rilancia l’appello di mons. Julio Hernando García Peláez, vescovo di Istmina-Tadó, che segnala le drammatiche situazioni in cui stanno vivendo numerose famiglie.

Portare solidarietà
“Una volta per tutte va migliorata la condizione delle abitazioni e della loro qualità di vita – segnala il presule, citato dall’agenzia Sir - soprattutto pensando alle madri che hanno diversi figli”. L’esigenza è quella di avere una casa “che sia degna, non facilmente inondabile, per dare una soluzione al problema”. Il vescovo rivolge un appello agli organismi nazionali e internazionali e a tutte le persone di buona volontà, perché portino solidarietà alla gente colpita, segnalando che le popolazioni afro e indigene sono quelle maggiormente provate perché “subiscono un colpo mortale alle loro attività economiche”.

Gli aiuti dei volontari
Si tratta di popolazioni tra le più povere della Colombia, che vivono di un’economia di mera sussistenza. I volontari della pastorale sociale nazionale e diocesana stanno prestando assistenza alle persone, che vengono ospitate in alberghi o in sale parrocchiali. Si provvede loro attraverso dei kit di generi alimentari, vestiario, coperte, materassi, medicinali e generi per l’igiene personale. (I.P.)

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Vescovi Paraguay: dialogare con gli studenti che protestano

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I vescovi del Paraguay, riuniti in questi giorni nella propria Assemblea plenaria, hanno emesso un comunicato a proposito delle proteste degli studenti che in questi giorni si stanno svolgendo nel Paese. Alle manifestazioni hanno aderito anche alcuni istituti cattolici, come i collegi salesiani.

Dare soluzioni alle richieste della popolazione
“Le manifestazioni studentesche, che godono dell’appoggio di alcuni docenti, così come le recenti manifestazioni di ‘campesinos’ e altri settori economici - si legge nel documento della Conferenza episcopale - ci mettono in guardia sulla necessità di dare soluzioni alle richieste di un miglior sistema educativo, di maggiori opportunità economiche, di servizi sociali e sanitari. Si tratta di una sfida permanente che richiede l’impegno di tutti”.

La pace sociale richiede l'ascolto e il dialogo
La pace sociale, proseguono i vescovi, “richiede il dialogo che si esercita mediante l’incontro e l’ascolto attento dei nostri giovani, che mostrano il loro idealismo e la loro radicalità per farci conoscere la loro situazione e i loro sogni di un Paese migliore per tutti. Al tempo stesso è richiesta obiettività di riconoscere il ruolo di chi esercita la responsabilità, ponderando le scelte, completando i progetti e correggendo le carenze”.

Promuovere un'effettiva educazione dei giovani
I vescovi si dicono coscienti della complessità dei problemi e della necessità di un miglior sistema educativo, “però comprendiamo che c’è un lungo cammino da percorrere. Un progetto di Paese chiede una conversione che punti in modo prioritario ed effettivo all’educazione dei giovani, così come sulla promozione della popolazione contadina e della famiglia”. (R.P.)

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Spagna: impatto socioeconomico del patrimonio della Chiesa

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“In termini economici, il contributo della Chiesa alla società nella sua complessa e diversificata attività, presuppone un risparmio di migliaia di decine di euro per le casse pubbliche”. Questa affermazione è la premessa iniziale del rapporto presentato, ieri, dalla Conferenza episcopale spagnola sull’impatto socioeconomico dell’attività culturale della Chiesa cattolica in Spagna. Lo studio è stato realizzato nell’ambito della Relazione annuale delle attività della Chiesa, che raccoglie i dati statistici delle 69 diocesi del Paese e dell’ordinariato militare.

Il patrimonio della Chiesa è ricchezza e valori per la società
Lo studio è stato presentato in conferenza stampa insieme ad un video che illustra il grande lavoro che svolge la Chiesa nell’ambito culturale e come le risorse ottenute dalle donazioni dei contribuenti sono utilizzate per contribuire al mantenimento, alla riabilitazione, alla conservazione e alla valorizzazione di questo patrimonio in termini nettamente economici. I beni immobili d’interesse culturale che appartengono alla Chiesa sono 3.168. Di questi 78 sono cattedrali e 3.072 sono altri beni d’interesse culturale. Tra questi 18 sono stati dichiarati Patrimonio storico dell’umanità dall’Unesco.

Pil, lavoro e turismo
In concreto il rapporto rivela che l’impatto totale nel Pil (Prodotto interno lordo) del turismo associato a ogni tipo immobile d’interesse culturale della Chiesa ha generato, nel 2014, 22.620 milioni di euro, pari al 2,17% del Pil della Spagna. Nell’ambito dell’occupazione, lo studio ha stimato che l’interesse turistico derivato da questo patrimonio sostiene 225.300 posti di lavoro, dei quali il 71% sono posti di lavoro diretto.

Feste e celebrazioni religiose e il turismo internazionale
Il patrimonio culturale immobiliare della Chiesa è collegato a circa 40 celebrazioni d’interesse turistico internazionale e a 85 feste religiose dichiarate d’interesse turistico nazionale. Queste feste e celebrazioni, secondo il rapporto, hanno un impatto totale stimato di 9.800.000 di euro sul Pil e di 97mila posti di lavoro diretto sui 134mila posti di lavoro generati da questa attività.

Trasparenza per la fiducia dei contribuenti
​Ogni anno, la Chiesa cattolica spagnola si impegna a far conoscere il suo contributo alla società. La presentazione della Relazione annuale delle sue attività cerca di mostrare in forma chiara ed esaustiva come e in quale ambito viene utilizzato il denaro che essa riceve ogni anno dai contribuenti che – si legge nella Relazione – “hanno spuntato la casella della Chiesa nella loro Dichiarazione dei redditi”. “Questo è l’impegno della Chiesa a favore della trasparenza – conclude il testo - e anche una dimostrazione di gratitudine per coloro che dimostrano in questo modo la propria fiducia nella Chiesa”. (A cura di Alina Tufani)

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Brexit. Card. Murphy-O’Connor: restare in Europa per rinnovarla

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“La necessità di una riforma e di un rinnovamento in Europa è evidente. Non è ancora chiaro se l’Ue sia in grado di fare un tale processo, ma credo che un ritiro del Regno Unito renderebbe questo rinnovamento ancora più difficile. Questo è il motivo principale per cui vorrei che la Gran Bretagna rimanesse parte della Comunità Europea e cooperasse con i suoi partner a dare un contributo fondamentale a questo rinnovamento con la sua particolare creatività e il suo desiderio di costruire una unione che è più grande della somma delle sue parti”.

L’Ue ha perso eredità dei padri fondatori      
Si schiera dalla parte di chi vuole restare in Ue, il card. Cormac Murphy-O’Connor, arcivescovo emerito di Westminster, in un ampio articolo pubblicato ieri dal quotidiano inglese “Spectator”, dedicato appunto al Brexit, il referendum a cui saranno chiamati in giugno gli inglesi per decidere se rimanere o lasciare l’Ue. Nella sua analisi il card. Murphy-O’Connor passa in rassegna le criticità che sta vivendo oggi l’Europa, a partire dal fatto che l’Unione europea sembra aver perso l’eredità dei suoi padri fondatori per dirigersi esclusivamente verso un’ottimizzazione dei mercati.

Un referendum che pone molti interrogativi
​Nel suo intervento, ripreso dall’agenzia Sir, il cardinale pone quindi una serie d’interrogativi: “L’Europa è solo un matrimonio di convenienza o ha un insieme di valori comuni?”. “C’è il rischio di un’ondata di nazionalismo inglese? Può il voto a lasciare l’Unione Europea, condurre alla secessione scozzese?”. “Mi sembra – aggiunge il porporato – che quanto detto prima non è solo un problema britannico, ma condiviso da tutta l’Europa. Il nostro continente ha raggiunto un bivio. Sono molte le crisi che l’Europa deve affrontare”. “Il referendum nel Regno Unito sta chiedendo molto più se rimanere o meno nell’Ue – conclude -  Ci sta chiedendo, come i nostri amici al di là dei confini europei ci hanno ricordato in queste settimane, questioni fondamentali sul posto che la Gran Bretagna vuole avere nel mondo”. (I.P.)

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Danimarca: al via "Giorni celesti", iniziativa ecumenica

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Per Copenaghen sono arrivati gli “himmelske dage”, giorni celestiali o divini, “una festa per tutte le anime curiose”. Da ieri e fino all’8 maggio – riferisce l’agenzia Sir - la capitale danese è teatro di “una festa per tutti coloro che sono interessati alle Chiese, alla cultura e alla società”. È il più grande evento ecumenico in Danimarca, che dal 1968 si tiene ogni 3 anni nei giorni dell’Ascensione: l’apertura, ieri alle 14.00, con celebrazioni ecumeniche in tre chiese della capitale e poi fino a domenica ci saranno dibattiti, tavole rotonde, eventi culturali, concerti, laboratori, proposti dalle oltre 300 tra Chiese e associazioni che hanno cucito insieme il programma.

Presente padre Cantalamessa
“Non siamo riusciti a far venire Papa Francesco quassù, ma siamo riusciti a coinvolgere il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa”, spiegano gli organizzatori cattolici: oggi padre Cantalamessa interverrà  su “Misericordia io voglio e non sacrificio”, mentre domani parteciperà a una tavola rotonda con il vescovo luterano Peter Skov-Jakobsen su “Come le sfide comuni della nostra società e del mondo intorno a noi possono diventare un nuovo luogo di incontro per le religioni?”.

Iniziative di aiuto per tossicodipendenti
Tra le iniziative promosse dalla Chiesa cattolica ci sono i vespri Gregoriani, un concerto dell’Hildegard Ensemble, un evento per l’aiuto ai tossicodipendenti e alle loro famiglie, una serata di preghiera nella cattedrale per i cristiani perseguitati. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 127

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.