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Sommario del 07/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa ai medici del Cuamm: siete angeli nell'Africa della salute negata

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Siate espressioni della Chiesa che si china come una madre a curare i più deboli, specie in Africa dove la salute “è negata”. È stato questo l’augurio, accompagnato da ammirazione e benedizioni, che Papa Francesco ha rivolto ai “Medici con l’Africa – CUAMM”, l’ong che dal 1950 lavora con personale sanitario e volontari al miglioramento della salute nel continente africano. Il servizio di Alessandro De Carolis

Uganda e Tanzania, Mozambico e Angola, Etiopia e Sierra Leone, Sud Sudan. La carta geografica della precarietà, un novero di Paesi dove in troppi nascono senza sapere per quanto vivranno – sulle spalle l’ipoteca della miseria, delle condizioni ambientali avverse, di democrazie troppo fragili per dare risposte alle urgenze specie di tipo sanitario.

Salute negata, a parte i ricchi
A dare risposte in queste aree dimenticate da oltre 65 anni, volutamente senza protagonismi, è “Medici con l’Africa – CUAMM”, che dal 1950 ha portato oltre mille persone a dare aiuto ai più poveri del continente. E in novemila, tra medici, infermieri, volontari e sostenitori riempiono l’Aula Paolo VI, accolti dalla gratitudine senza limiti di Papa Francesco, che ascolta le toccanti testimonianze di due medici, raccontate dal direttore don Dante Carraro. Esperienze, sottolinea il Pontefice, in favore “del diritto umano fondamentale della salute per tutti”:

“La salute, soprattutto quella di base, è di fatto negata – negata! – in diverse parti del mondo e in molte regioni dell’Africa. Non è un diritto per tutti, ma piuttosto è ancora un privilegio per pochi, quelli che possono permettersela. L’accessibilità ai servizi sanitari, alle cure e ai farmaci rimane ancora un miraggio. I più poveri non riescono a pagare e sono esclusi dai servizi ospedalieri, anche dai più essenziali e primari”.

La “Porta santa” delle periferie
Voi, osserva Francesco, siete quelli dell’“ultimo miglio” dei sistemi sanitari e in queste “periferie geografiche” come buoni samaritani andate incontro ai “Lazzaro” in difficoltà passando “la porta che conduce dal primo al terzo mondo”, la vostra “porta santa”, per assicurare, ad esempio, un “parto sicuro e dignitoso” alle mamme e assistenza ai loro bambini, specie neonati:

“In Africa, troppe mamme muoiono durante il parto e troppi bambini non superano il primo mese di vita a causa della malnutrizione e delle grandi endemie. Vi incoraggio a rimanere in mezzo a questa umanità ferita e dolente: è Gesù. La vostra opera di misericordia è la cura del malato, secondo il motto evangelico ‘Guarite gli infermi’. Possiate essere espressione della Chiesa madre, che si china sui più deboli e se ne prende cura”.

Solidarietà gratis
L’Africa, dice con forza il Papa, “ha bisogno di accompagnamento paziente e continuativo, tenace e competente”, di “ricerca e innovazione”, del “dovere di trasparenza verso i donatori e l’opinione pubblica”:

“Siete medici ‘con’ l’Africa e non ‘per’ l’Africa, e questo è tanto importante.  Siete chiamati a coinvolgere la gente africana nel processo di crescita, camminando insieme, condividendo drammi e gioie, dolori ed entusiasmi. I popoli sono i primi artefici del loro sviluppo, i primi responsabili! So che affrontate le sfide quotidiane con gratuità e aiuto disinteressato, senza proselitismi e occupazione di spazi. Anzi, collaborando con le Chiese e i Governi locali, nella logica della partecipazione e della condivisione di impegni e responsabilità reciproche”.

Chiesa non è “super-clinica per vip”
Ricordando Francesco Canova, fondatore del Cuamm, e colui che diresse per 53 anni l’organizzazione, don Luigi Mazzuccato, il Papa conclude indicando ai volontari di oggi il modello rappresentato dalle due storiche figure, così simile all’ideale sognato da Francesco di una Chiesa povera per i poveri:

“Sulla scia di questi grandi testimoni di una missionarietà di prossimità ed evangelicamente feconda, voi portate avanti con coraggio la vostra opera, esprimendo una Chiesa che non è una 'super clinica per vip' ma piuttosto un ‘ospedale da campo’. Una Chiesa dal cuore grande, vicina ai tanti feriti e umiliati della storia, a servizio dei più poveri”.

A migliaia dunque le persone legate a vario titolo a "Medici con l’Africa – CUAMM", giunte da tutta Italia, che hanno partecipato all’udienza con Papa Francesco. Ma cosa spinge a lasciare tutto e andare in Africa per aiutare popolazioni a cui spesso sono negate anche cure mediche di base? Marina Tomarro ha raccolto le testimonianze di Giovanni Putoto, responsabile per la programmazione sanitaria per il Cuamm, di Chiara Scanagatta coordinatrice dei progetti per il Sud Sudan, di Camillo volontario di Roma, e del pediatra Cornelio Fanelli, raccolte da Marina Tomarro: 

(Giovanni Putoto)

R. – Spinge la riconoscenza per quello che si è ricevuto qui: tutti i doni. Io vedo la mia esperienza personale. E poi a me avevano colpito le figure dei missionari e questa straordinaria realtà laicale: “Medici con l’Africa Cuamm”.

D. – L’incontro con le popolazioni africane: cosa resta?

R. – Resta degli africani e dell’Africa la sensazione di aver vissuto una scuola: la scuola dell’essenzialità. Cioè, i problemi ci sono dappertutto, li abbiamo anche noi, ma i problemi che hanno gli africani sono molto più gravi. E loro li affrontano in maniera essenziale: questa è la lezione più grande.

D. – Il Papa vi ha invitato a essere sempre più cooperanti verso questi popoli. In che modo rispondere a questa sua esortazione?

R. – Bisogna lavorare, con le comunità, con la Chiesa, ma anche con gli Stati, perché non si può fare assistenzialismo. Il Cuamm è un organismo che si occupa di salute ed è fatto soprattutto di medici. Quindi, bisogna lavorare bene, dando il massimo, ma anche ponendo le basi perché le popolazioni e le istituzioni africane possano poi gestirsi. Quindi, è necessario investire molto sulla formazione, l’affiancamento, e non sulla sostituzione.

(Chiara Scanagatta)

R. – Io lavoro con il Cuamm dal 2008. Sono stata in Angola tre anni, in Sud Sudan quattro, sono rientrata da poco e adesso lavoro in sede, quindi il Cuamm è un po’ una sorta di famiglia. E per me oggi è importante stare qui, con la mia famiglia, ad ascoltare il Papa che ha sempre un messaggio molto in linea con quello che è l’approccio e il sentimento del Cuamm

D. – Cosa ti ha spinto ad andare in Africa?

R. – All’inizio la curiosità. E poi è stata una sorta di innamoramento, che continua tutt’oggi. È la gioia di fare un percorso assieme alla gente che è là.

D. – Qual è la situazione che ti trovi davanti quando vai in Africa?

R. – Un continuo mettersi in discussione, giorno dopo giorno… Tanti bisogni, tante necessità, ma anche tanta capacità di trovare delle soluzioni a cui forse noi prima non avremmo pensato. È proprio il lavorare insieme che ti porta a vedere le cose anche in modo diverso.

D. – Il Papa vi ha invitato a essere sempre più cooperanti con questi Paesi. Allora, in che modo rispondere a questa sua esortazione?

R. – Continuare a partire. Non fermarsi mai, anche quando ti scoraggi, perché sono tanti i momenti in cui ti mancano le forze, la volontà… Ma non scoraggiarsi, andare avanti, perché ne vale la pena!

(Camillo)

R. – Io sono nel gruppo volontario del Cuamm di Roma. Sono stato in Africa a febbraio un mese, a Wolisso in Etiopia, come studente di medicina. È un gruppo piccolino: per ora siamo 50. Però cerchiamo di farlo quotidianamente.

D. – Cosa ti ha lasciato questo viaggio in Etiopia?

R. – Ho visto cose che una persona sì, forse immagina, però vederle è diverso. Ho conosciuto tante persone sia etiopi che italiane del Cuamm... E poi, da studente di medicina, è un’esperienza sicuramente molto formativa sia da un punto di vista pratico che umano.

D. – Quale situazione hai trovato?

R. – Non così grave come me la aspettavo. Certo, la sala operatoria aveva la corrente che non funzionava molto, quindi a volte a metà intervento ci è successo di ritrovarci al buio... Anche l’acqua c’era e non c’era e per lavarsi bisognava andare a prenderla al pozzo…

D. – Come siete stati accolti?

R. – Le persone bianche sono pochissime. Perciò, i bambini, quando ti vedono per strada incominciano a correrti dietro, a chiamarti e dicono: “Farangi! Farangi!”, che vuol dire il bianco. E fanno una specie di corteo ovunque tu vada. Questo è molto piacevole e divertente.

(Cornelio Fanelli)

R. – Sinceramente, è una voglia che è partita da tanto lontano. Mi sono iscritto alla Facoltà di Medicina già con questo intento, in verità. E poi ho avuto modo di concretizzarlo prestando un servizio di tre anni con “Medici con l’Africa Cuamm” in Tanzania. Poi, ho fatto delle missioni brevi in Angola, Mozambico e Etiopia.

D. – Cosa vi hanno lasciato tutti questi viaggi? Cosa ricorda?

R. – Continuano a lasciarmi molto e penso che mi faranno conoscere ancora tante cose. Mi hanno lasciato una gran voglia di essere pronto e attento ai bisogni dell’altro in generale.

D. – Papa Francesco vi ha invitato a continuare a cooperare con l’Africa, ad aiutarli a svilupparsi sempre di più. In che modo rispondere a questa sua esortazione?

R. – Confermando le nostre intenzioni, la nostra voglia, la nostra operatività.

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Il Papa alle Guardie Svizzere: testimoniate gentilezza e accoglienza

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Atmosfera di festa e di gioia oggi nell’incontro di Papa Francesco in Sala Clementina con le Guardie Svizzere Pontificie e le loro famiglie. Ieri pomeriggio c’è stata la cerimonia di giuramento di 23 reclute, nel giorno – il 6 maggio - in cui si commemora la morte di 147 soldati elvetici caduti nel 1527 in difesa del Papa nel Sacco di Roma. Il servizio di Sergio Centofanti: 

Momenti suggestivi nella cerimonia del giuramento di ieri pomeriggio nel Cortile di San Damaso in Vaticano. Tra il rullare dei tamburi e il suono delle trombe e gli inni del Vaticano e della Svizzera, le reclute hanno gridato la loro fedeltà al Papa. Oggi Francesco ha espresso apprezzamento e gratitudine per il servizio svolto dalle Guardie Svizzere invitando a “crescere nella fede”:

“Siete chiamati a vivere il vostro lavoro come una missione che il Signore stesso vi affida (…) lavorando ogni giorno ‘acriter et fideliter’, con coraggio e fedeltà”.

Il Papa ha quindi esortato a “sperimentare l’universalità della Chiesa” in un luogo, la sede del Vescovo di Roma, che  è crocevia di pellegrini che provengono da tutto il mondo:

“Voi avete così la possibilità di toccare con mano la maternità della Chiesa che accoglie in sé, nella propria unità, la diversità di tanti popoli. Potete incontrare persone di diverse lingue, tradizioni e culture, ma che si sentono fratelli perché accomunati dalla fede in Gesù Cristo”.

Quindi, l’invito a offrire una serena e gioiosa testimonianza evangelica e “a fare esperienza di fraternità”, prestando attenzione a chi si trova in difficoltà anche con un semplice sorriso:

“Assumendo questo atteggiamento, sarete favoriti anche nell’affrontare con diligenza e perseveranza i piccoli e grandi compiti del servizio quotidiano, testimoniando gentilezza e spirito di accoglienza, altruismo e umanità verso tutti. Care Guardie, vi auguro di vivere intensamente le vostre giornate, saldi nella fede e generosi nella carità verso le persone che incontrate. Vi aiuti la nostra Madre Maria, che onoriamo in modo speciale nel mese di maggio, a sperimentare ogni giorno di più quella comunione profonda con Dio, che per noi credenti inizia sulla terra e sarà piena nel cielo”. 

Al solenne giuramento di ieri pomeriggio nel Cortile di San Damaso era presente il sostituto della Segreteria di Stato, l'arcivescovo Angelo Becciu. Già nella mattinata di ieri, durante una Messa in San Pietro, il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, aveva incoraggiato le nuove Guardie a non accontentarsi delle cose mediocri“. Sempre ieri, in una foto pubblicata sull'account "Franciscus" di Instagram, il Papa scrive: "Care Guardie Svizzere, non dimenticate che il Signore cammina con voi". Il servizio di Mario Galgano, nostro collega svizzero della sezione tedesca: 

Un venerdì pomeriggio contrassegnato da un tempo soleggiato, il suono dei tamburi e le trombe della banda musicale della Guardia Svizzera Pontificia: il cortile di San Damaso era pieno di ospiti venuti soprattutto dalla Svizzera. E con la presenza del presidente della Confederazione elvetica, il Consigliere federale Johann Schneider-Ammann, erano presenti tutte le alte rappresentanze d´Oltralpe. Anche quest'anno – ormai è una lunga tradizione – uno dei 26 cantoni svizzeri ha partecipato come ospite d´onore a questo evento annuale: è toccato al cantone svizzero-tedesco di Glarona inviare i suoi rappresentanti ed offrire dopo il giuramento le pietanze di quel luogo a tutti gli ospiti invitati.

Nel suo discorso nelle quattro lingue ufficiali svizzere, il comandante Christoph Graf ha presentato una nuova arma: "Al momento giusto, all'inizio dell'anno, un generoso donatore ci ha sorpresi con un regalo. Egli ha fatto pervenire alla Guardia Svizzera Pontificia l'arma più efficace che esista sul mercato: il 'combat Rosary', letteralmente, il Rosario per il combattimento. Subito è stato dato in dotazione a tutte le guardie. È importante che ritroviamo la via della preghiera, soprattutto la preghiera del Rosario. La nostra vita, le nostre opere e le nostre azioni sono nelle mani di Dio. Questo però non significa che possiamo rinunciare alle armi e alle esercitazioni. Dio ci usa come strumenti per scongiurare il male in alcune situazioni. Per questo servono una fede salda, fiducia in Dio e preghiera".

Il 6 maggio è per tradizione il giorno in cui si commemora la morte di 147 soldati elvetici caduti in difesa del Papa durante il Sacco di Roma nel 1527. Il cardinale Pietro Parolin ha celebrato ieri mattina la Messa commemorativa all'Altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro. Il benvenuto alle reclute ha preso corpo, nelle parole del segretario di Stato, con un incoraggiamento a non "accontentarsi delle cose mediocri, effimere" e a impegnarsi "con l'entusiasmo dei giovani per le cose grandi, vere, per il Signore che è sorgente e fondamento di tutto".

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Migranti e disoccupati nel colloquio tra il Papa e il presidente svizzero

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Hanno discusso di migranti, disoccupazione giovanile, Medio Oriente e Africa, Papa Francesco e il presidente della Confederazione elvetica, Johann Schneider-Ammann, giunto in Vaticano in occasione del giuramento delle nuove Guardie Svizzere e ricevuto in udienza in mattinata.

I “cordiali colloqui”, riferisce una nota ufficiale, oltre che “occasione per constatare i buoni rapporti tra la Santa Sede e la Svizzera” e per porre in risalto “il positivo contributo che la Chiesa apporta alle differenti istanze del Paese, in un clima di serena collaborazione”, hanno portato il Papa e il capo di Stato elvetico a dare attenzione all’“educazione professionale dei giovani che svolge un ruolo efficace nell’accesso al mondo del lavoro” e, in un’ottica più ampia, “al tema della migrazione e delle politiche di accoglienza e integrazione, nel contesto attuale del Continente europeo. Si è discusso, pure – rileva la nota – dei conflitti in Medio Oriente e della situazione dei Paesi subsahariani, rilevando la necessità di rafforzare l’impegno in corso per favorire la sicurezza e la pace”.

Dopo il colloquio con il Papa, il presidente Schneider-Ammann si è intrattenuto successivamente con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

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Papa all'Unitalsi: la vostra solidarietà asciughi ogni lacrima

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Ottanta anni dell’Unitalsi al Santuario di Loreto, un anniversario “tondo” al quale Papa Francesco ha voluto dare risalto inviando un Messaggio alla Sezione Romana-Laziale dell’organismo che accompagna gli ammalati a Lourdes e ai Santuari internazionali.  “Iniziare il pellegrinaggio quest'anno con la celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, presieduta da Sua Eminenza Card. Angelo Comastri, sia per tutti voi l'occasione di volere rispondere sempre più generosamente ai bisogni dei piccoli, dei malati e di quante e quanti hanno il cuore infranto dalle malattie morali e fisiche", scrive il Papa, spronando l’Unitalsi a far sì che la testimonianza di fraternità offerta ai malati si rifletta sempre più “nel modello della Santa Famiglia di Nazaret, nella reciproca cura e tenerezza e misericordia".

"La Vergine Maria che nel santuario lauretano da sempre accoglie tutti ma soprattutto tante persone che vivono in difficoltà di ogni genere, vi aiuti – scrive ancora Francesco – affinché tutti possano trovare in voi dei compagni di strada pronti ad accompagnare, discernere e integrare ogni fragilità e a ridonare fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta e si trovano in mezzo alle tempeste. Somigli sempre più il vostro servizio, in questo nostro tempo, a quello di un ospedale da campo".

Il Papa ricorda il suo recente viaggio tra i migranti dell'isola greca di Lesbo e il particolare il dono ricevuto da un bambino, “un disegno nel quale – ricorda il Papa – lui ha colorato il sole... che piange guardando tutti questi profughi!” Tutti voi, volontarie e volontari unitalsiani, conclude il papa “possiate essere piccoli strumenti nelle mani di Dio, affinché attraverso il vostro servizio possiate asciugare ogni lacrima e far sorridere anche il sole”.

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Altre udienze, rinunce e nomine

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Papa Framcesco ha ricevuto nel corso della mattinata il cardinale Marc Oullet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia all'ufficio di Ausiliare dell'arcidiocesi di Southwark (Gran Bretagna), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor John Hine, in conformità ai canoni 411 e 401 §1 del Codice di Diritto Canonico.

“Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare di Koszalin-Kołobrzeg (Polonia), il Reverendo Mons. Krzysztof Stefan WŁODARCZYK, finora Direttore dell’Ufficio Pastorale Diocesano, assegnandogli la sede titolare di Surista”. Mons. Włodarczyk è nato il 25 febbraio 1961 a Sławno. Superati gli esami di maturità, nel 1981 fu ammesso al Seminario Maggiore di Koszalin. Il 21 giugno 1987 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale a Szczecinek per la diocesi di Koszalin-Kołobrzeg. Dopo l’ordinazione sacerdotale è stato un anno Vicario parrocchiale a Lipie e ha iniziato la sua esperienza pastorale nel movimento ecclesiale Luce-Vita. Dal 1989 al 1998 è stato Direttore del Centro Diocesano di Spiritualità. Ha fatto studi di Licenza in Teologia alla Facoltà Teologica di Poznań (1993-1995). Negli anni 1995-2005, ha svolto gli studi per ottenere il Dottorato in Teologia presso la medesima Facoltà di Poznań, difendendo la tesi presso la Facoltà di Teologia dell’Università Card. Stefan Wyszyński a Varsavia. È stato Direttore dell’Ufficio Diocesano per la Pastorale della Famiglia (1990-2005), Difensore del Vincolo e Giudice nel Tribunale Vescovile di Koszalin (1995-2001), Responsabile Diocesano della Chiesa Domestica (Movimento Luce-Vita) dal1998 al 2005, Responsabile della creazione del Centro diocesano di Educazione e Formazione nella diocesi (2000-2005), diventandone in seguito Direttore, Vice-Rettore del Seminario Maggiore a Koszalin (2006-2007). Attualmente è Direttore dell’Ufficio Pastorale Diocesano, Giudice nel Tribunale Vescovile e Membro del Consiglio Presbiterale.

In data 7 maggio corrente il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di Ausiliare dell’arcidiocesi di Częstochowa (Polonia), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Antoni Długosz, in conformità ai canoni 411 e 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Xuân Lộc, in Vietnam, presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Dominique Nguyên Chu Trinh, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Gli succede S.E. Mons. Joseph Đinh Đức Đạo, Coadiutore della medesima Diocesi.

Il Santo Padre ha nominato Vescovo di San José del Guaviare (Colombia) il Rev.do Nelson Jair Cardona Ramírez, del clero della diocesi di La Dorada - Guaduas, finora Parroco della Parrocchia “Santísima Trinidad” a Puerto Salgar e Delegato diocesano per i ministri ordinati. Mons. Nelson Jair Cardona Ramírez è nato a Norcasia, diocesi di La Dorada - Guaduas, il 18 gennaio 1969. Ha compiuto la formazione sacerdotale presso il Seminario Maggiore di Manizales. Ha ottenuto la Licenza in Teologia Spirituale presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma e il Dottorato in Teologia presso l’Istituto Teologico Pastorale per l’America Latina (ITEPAL). Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 12 dicembre 1992, incardinandosi nella diocesi di La Dorada - Guaduas. Ha svolto i seguenti incarichi: Delegato diocesano per la pastorale giovanile, Delegato diocesano per la pastorale vocazionale, Parroco della Parrocchia “San Antonio de Padua” in La Paz, Professore e Formatore del Seminario Maggiore diocesano “Cristo Buen Pastor”, Sacerdote in servizio presso la Cattedrale, Amministratore Parrocchiale della Parrocchia “Santísima  Trinidad” a Puerto Salgar, Parroco della Parrocchia “San Antonio de Padua” in Manzanares. Dal 2005 è Delegato diocesano per i ministri ordinati. Dal 2010 è Professore dell’Istituto Teologico Pastorale per l’America Latina (ITEPAL). Dal 2013 è Parroco della Parrocchia “Santísima Trinidad” a Puerto Salgar.

Il Santo Padre Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Eparchia “Saint Peter the Apostle of San Diego” dei Caldei (U.S.A.) presentata da S.E.R. Mons. Sarhad Yawsip Jammo, in conformità al can. 210 §1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Come Amministratore Apostolico sede vacante della medesima Eparchia il Pontefice ha nominato Mons. Shlemon Warduni, Vescovo ausiliare di Baghdad dei Caldei.

Il Santo Padre Francesco ha nominato Amministratore Apostolico sede vacante dell’Eparchia “Saints Cyril and Methodius of Toronto” degli Slovacchi di rito bizantino (Canada) S.E.R. Mons. John Stephen Pažak C.Ss.R., Vescovo dell’Eparchia “Holy Mary of Protection” di Phoenix dei Ruteni (U.S.A.).

Il Santo Padre Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Eparchia “Holy Mary of Protection” di Phoenix dei Ruteni (U.S.A.) presentata da S.E.R. Mons. Gerald Nicholas Dino, in conformità al can. 210 §1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Al suo posto, Francesco ha nominato Mons. John Stephen Pažak C.Ss.R., trasferendolo dall’Eparchia “Saints Cyril and Methodius of Toronto” degli Slovacchi di rito bizantino (Canada).

Il Santo Padre Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Eparchia di Parma dei Ruteni (U.S.A.) presentata da S.E.R. Mons. John Kudrick, in conformità al can. 210 §1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Come Amministratore Apostolico sede vacante della medesima il Papa ha nominato Mons. William Charles Skurla, Arcivescovo Metropolita di Pittsburgh dei Bizantini.

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Card. Schönborn inviato del Papa a celebrazione in Bielorussia

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Papa Francesco ha nominato il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, come suo inviato speciale alla celebrazione del 25.mo anniversario della creazione dell’arcidiocesi di Minsk-Mohilev, in Bielorussia, in programma a Budslau l'1 e 2 luglio prossimi.

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Papa, tweet: l’amore è comunicazione, porta ad aprirsi

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal cuo account @Pontifex: “L’amore, per sua natura, è comunicazione, conduce ad aprirsi e a non isolarsi. #ComMisericordia50”.

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Viganò: Papa chiede a comunicatori di usare linguaggio misericordia

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Ricorre questa domenica la 50.ma Giornata mondiale per le comunicazioni sociali. Per l’occasione, lo scorso 24 gennaio, Papa Francesco ha diffuso un messaggio sul tema “Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo”. Proprio sul contributo che il Giubileo della Misericordia sta offrendo ai comunicatori e al mondo della comunicazione, Alessandro Gisotti ha intervistato mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione: 

R. – Credo di riflettere, anzitutto, su un elemento che Papa Francesco richiama nel suo messaggio “Comunicazione e misericordia”, quando dice che la misericordia ha il potere di sanare le relazioni lacerate, di riportare la pace, l’armonia nelle famiglie e nella comunità. E questo credo, dunque, sia un compito per noi. Quando, cioè, il Papa ribadisce che la comunicazione – lo ha detto anche ai vescovi degli Stati Uniti d’America, durante la sua visita – è un linguaggio che non può assumere il tono arrogante della rivendicazione, della conquista, piuttosto quella levità di chi sa accogliere, quella parola capace di includere. Questo credo sia uno dei rapporti più interessanti e fecondi tra il Giubileo della Misericordia e la Giornata Mondiale delle Comunicazioni.

D. – Nei suoi tre messaggi per le Comunicazioni Sociali, in particolare nel primo e in quello di quest’anno, Francesco parla del potere della comunicazione come “potere della prossimità”…

R. – Mi pare che sia un riverbero molto puntuale a quello che possiamo considerare il 50.mo del Concilio Ecumenico Vaticano II. Questa è la 50.ma Giornata delle Comunicazioni che celebriamo, l’unica giornata voluta dal Concilio. Il Concilio si è occupato anche di che cosa? Delle modalità, delle prassi, dei modi concreti di essere Chiesa in un mondo che stava cambiando, quindi in una contemporaneità. Proprio questa relazione Chiesa-mondo interpella una capacità di comunicazione che è anzitutto di prossimità, cioè di relazione: una comunicazione che è lo spazio appunto che sa costruire una casa comune, dove le differenze non si annullano, si mantengono, ma si illuminano reciprocamente.  

D. – Nel messaggio di quest’anno sul tema “Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo”, Francesco mette l’accento sull’importanza dell’ascolto come presupposto per l’avvio di una vera comunicazione. Ecco, il Papa ci dice che forse si è un po’ perso il valore dell’ascolto e anche del silenzio come componente essenziale di una comunicazione volta proprio all’incontro…

R. – Questo è evidente soprattutto nei suoi continui interventi a proposito delle chiacchiere. Il contrario di un atteggiamento di ascolto è il gusto di una parola vuota che si arrovella su se stessa e che può giungere anche, addirittura, a dei reati, quando la chiacchiera, il pettegolezzo, il rumore diventano delazione, calunnia. Quindi, certamente questo è un aspetto, credo, centrale nel messaggio del Papa. Non è un caso che quando il Papa parla di comunicazione dice che comunicare significa condividere e la condivisione richiede l’ascolto, un ascolto che lui considera una sorta di martirio. Per ascoltare, cioè, è necessario uscire da sé. Ecco perché è molto interessante quanto viene detto nel libro dell’Esodo: “Togliti i sandali, perché la terra in cui tu sei, è una terra dove è presente l’Altro”, appunto Dio. C’è un’interazione, che richiede anche quasi una sospensione, un entrare in punta di piedi, appunto un’accoglienza, un luogo della relazione.

D. – Come già Benedetto XVI, anche Francesco dedica sempre una parte importante dei suoi messaggi ad Internet e, in particolare, alle Reti Sociali, ai nuovi ambienti comunicativi. Ora il Papa è presente anche su Instagram. Qual è, secondo lei, il contributo più significativo, se vogliamo anche più fecondo, riprendendo il tema del messaggio che Francesco sta dando nel contesto digitale?

R. – Credo, appunto, quello di richiamarci al fatto che essere connessi è una cosa importante, utile, ma che deve essere accompagnata dall’incontro vero. Oggi, soprattutto coloro che sono giovani, vivono un’interazione molto naturale tra la vita online e offline, ma è anche vero che noi adulti siamo chiamati a guidare non ad una percezione di contrapposizione o ad un giudizio di questi mondi, che sono semplicemente mondi e modalità differenti per avere rapporti, piuttosto a far sì che le connessioni conducano ad una relazione concreta, ad una relazione con l’altro, con una sua fisicità, una sua corporeità, una sua spazialità, una sua storia, una sua coscienza. Questo credo che sia uno degli aspetti importanti. In fondo, la tecnologia è qualcosa che richiede un cuore umano: abbiamo bisogno di dare alla tecnologia un di più di umanità!

D. – C’è un gesto, un’immagine tra le tantissime, che sicuramente avrà visto anche personalmente, di Francesco che, secondo lei, sintetizza questo connubio tra comunicazione e misericordia invocato dal Papa, in particolare proprio per questa Giornata Mondiale delle Comunicazioni?

R. – Sono molte le immagini, quando ci sono i viaggi oppure quando incontra le persone. E’ un Papa che si lascia coinvolgere molto. Penso ad esempio a quell’incontro straziante – direi – a Lesbo, con un uomo inginocchiato che lo afferra, si aggrappa, quasi a dire che lì trova una speranza concreta, un cammino positivo che non è semplicemente detto, proferito a parole, ma si dà nella vicenda concreta della storia. Quindi sono veramente tante le immagini. Per chiunque di noi, guardare il Papa, ascoltare le sue parole, è sempre commovente, perché è un uomo che ci rimanda sempre ad un altro. E’ un uomo che è in mezzo alle questioni della gente: alla povertà, al lavoro, al problema delicato… E’ in mezzo, non è mai ai margini dei problemi, ma lui non è mai al centro. Questo essere in mezzo, quindi, decentrandosi sempre, però, perché al centro di ogni vicenda per lui c’è Gesù, che è il Salvatore, credo sia davvero commovente.

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Parolin sulla Collina delle Croci in Lituania: luogo di speranza e resistenza

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Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha iniziato un viaggio nei Paesi baltici, Lituania, Estonia e Lettonia (7-13 maggio). Prima tappa, la capitale lituana Vilnius, dove ha incontrato il premier Algirdas Butkevicius. Quindi si è trasferito a Siauliai: qui ha celebrato la Messa presso la celebre Collina delle Croci, dove ci sono migliaia di croci, piantate per devozione dai pellegrini secondo un’antica tradizione rilanciata durante l’epoca sovietica come simbolo dell'identità nazionale lituana. Durante il regime comunista, le croci della collina furono abbattute più volte con le ruspe, ma ogni volta ricomparivano più numerose. Oggi si contano più di 400.000 croci di ogni dimensione e fattura. La Collina è stata visitata il 7 settembre 1993 da San Giovanni Paolo II.

Nella sua omelia, il cardinale Parolin ha definito la Collina “una testimonianza della speranza e della resistenza in tempi difficili” e - come disse Papa Wojtyla - luogo di pace, di amore e di sacrificio. “In questo luogo santo, dove decine di migliaia di croci dominano l'orizzonte e testimoniano in silenzio la fede del popolo lituano e la sua fiducia nell'amore di Dio – ha detto il segretario di Stato - rinnoviamo il nostro impegno per un rapporto più profondo con Cristo, in modo da essere in grado di seguirlo più da vicino e condurre altri a Lui”.

Il porporato arriverà in Estonia lunedì 9 maggio e in Lettonia mercoledì 11 maggio. Il rientro a Roma è previsto per il 13 maggio.

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Vatileaks 2. Mieli: avrei pubblicato i documenti contenuti nei libri

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“Non avrei avuto esitazioni nel pubblicare” i documenti presenti nei libri “Avarizia” e "Via Crucis”. Così Paolo Mieli, presidente di RCS Libri e già direttore della Stampa e del Corriere della Sera, ascoltato nella dodicesima udienza del processo in Vaticano per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Chiamati a deporre anche due librai. Presenti in aula tutti gli imputati anche se il giornalista Emiliano Fittipaldi è arrivato ad udienza aperta. Massimiliano Menichetti

La dodicesima udienza è stata dedicata all’interrogatorio dei testimoni voluti dalla difesa del giornalista Gianluigi Nuzzi. Il Tribunale ha ascoltato per primo Paolo Mieli, attuale presidente di RCS Libri, il quale ha detto di conoscere Nuzzi da circa venti anni. Ha spiegato che i rapporti con l’autore di “Via Crucis” proseguirono nel tempo anche dopo la fine delle collaborazioni con il Corriere della Sera, che Mieli dirigeva. Contatti sia "per l’attività giornalistica sia per quella di promozione culturale” svolte da Nuzzi.

Incontro a Ponza
In questo contesto ha ricostruito un loro incontro a Ponza nel luglio 2015 in cui il giornalista gli confermò che la stesura del libro “era in stato avanzato”. “Come editore sono sempre interessato a pubblicazioni di successo - ha detto - anche se di Case editrici concorrenti”. In quell’occasione Nuzzi fece riferimento al libro di Fittipaldi, ma gli diede l’impressione “di non saperne molto”, anche se domandò a Mieli “se era il caso di anticipare la data di pubblicazione del suo testo”. “Gli consigliai - ha precisato il teste - di tenere i tempi” previsti, “perché si inseriva in una serie di pubblicazioni sul tema”. Sollecitato dalle domande, ha confermato che dopo Ponza si rividero più volte, in cui l’ex direttore si informava “sullo stato di avanzamento dello scritto”. In quelle occasioni Nuzzi gli “fece presente che non sapeva nulla dell’altro testo”.

Nessun limite per la pubblicazione
“Nessun limite" alla pubblicazione di documenti rilevanti "a meno che non minaccino valori come la pace o la sicurezza”. Ha detto Mieli rispondendo ad una domanda degli avvocati di parte. “E' doveroso pubblicare” – ha aggiunto – e questo “per due ragioni: è una norma deontologica che ci siamo dati sul modello del giornalismo anglosassone” e perché documenti d’interesse non pubblicati “potrebbero diventare arma di ricatto” da parte di tutti coloro che “ne sono venuti a conoscenza”. Il testimone ha fatto l'esempio "di un politico finito in stato di accusa: se non si pubblicano i documenti che lo riguardano, il giornalista o altri può andare dal politico per ricattarlo". “Si sono verificati dei fatti di questo tipo - ha proseguito - quindi si è deciso che è più saggio, oltre che onesto, pubblicare i documenti".

I documenti in "Via Crucis" e "Avarizia"
Ha confermato “di aver letto con attenzione”, dopo aver saputo del processo in Vaticano, i libri “Via Crucis” e “Avarizia” e che non avrebbe “avuto esitazioni” nel pubblicare perché “non ha riscontrato, pur leggendo "con la chiave della pace e sicurezza", minacce. Il Tribunale lo ha incalzato chiedendo come comportarsi in presenza di un esplicito divieto di "pubblicazione o divulgazione" e lui ha replicato che “i criteri sono sempre gli stessi, anche se questo comporta un rischio, per il giornalista e per l'editore. Il nostro impegno - ha puntualizzato - è sfidare questo rischio e divieto”. “Li pubblichiamo ugualmente, il fatto che siano vietati non impedisce la pubblicazione".

Fittipaldi non conosceva Nuzzi
Sollecitato ancora dalle domande, ha detto di "aver conosciuto Fittipaldi in una trasmissione televisiva sul suo libro”, che lo reputa “un professionista serio, perbene e competente” e che per quello che gli “risulta tra lui e Nuzzi non vi erano rapporti”. Cosa confermata dallo stesso Fittipaldi - ha aggiunto - in quell’incontro "presso lo studio televisivo", "che si tenne prima dalla notizia del processo in Vaticano".

I librai
Poi sono stati ascoltati due librai veneti, Marco Bernardi e Paola Brazzale, che avevano conosciuto Nuzzi ai tempi della sua prima pubblicazione e che nel luglio/agosto 2015 vennero ricontattati dall'imputato, il quale chiedeva informazioni sul testo di Fittipaldi a conferma, secondo la tesi della difesa, che i due non si conoscevano. La prossima udienza come conferma anche la nota della Sala Stampa si terrà il prossimo 14 maggio.

Nuzzi con i giornalisti
Fuori dall’aula Gianluigi Nuzzi si è intrattenuto con i giornalisti del pool internazionale che seguono il processo, ribadendo che era "importante che i due librai venissero per testimoniare che né io né Fittipaldi sapevamo l'uno del lavoro dell'altro". Questo secondo Nuzzi farebbe cadere la tesi dell’accusa “di disegno comune o di azione in concorso”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Salute negata: il Papa denuncia l'esclusione dei poveri dell'Africa dai servizi sanitari essenziali.

Incontro fecondo: in prima pagina, un editoriale di Dario Edoardo Viganò nella giornata mondiale delle comunicazioni sociali.

Un articolo di Fausta Speranza dal titolo "Il business della tratta a spese dell'Africa": cresce anche il numero degli sfollati. 

Guardare le ombre: Guy Consolmagno sul transito di Mercurio.

In difesa della relazione materna: Silvia Gusmano su "L'anima del corpo. Contro l'utero in affitto" di Luisa Muraro.

La trasparenza è antagonista della trascendenza: Sergio Massirono su un saggio del filosofo sudcoreano Byung-Chul Han.

Quotidianità dell'amore: il cardinale arcivescovo emerito di Barcellona, Lluis Martinez Sistach sull'"Amoris laetitia".

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Oggi in Primo Piano



Il laburista Sadiq Khan primo sindaco musulmano di Londra

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I pronostici della vigilia sono stati confermati. Il laburista Sadiq Khan è il nuovo sindaco di Londra. Figlio di immigrati, convinto europeista, schieratosi apertamente contro la Brexit (l'uscita del Regno Unito dall'Ue), ha sconfitto il conservatore Zac Goldsmith. Ma i progressisti perdono posizioni in Scozia. Alessandro Guarasci: 

Grazie "per avere reso possibile ciò che era impossibile". Sadiq Khan, musulmano, figlio di un guidatore di autobus pakistano, ha così annunciato la sua vittoria a Londra, nei confronti del conservatore Zac Goldsmith. Una vittoria netta, quasi il 57% contro il 43% di Goldsmith.

"Ha vinto la speranza contro la paura, l'unità contro la divisione" ha detto Khan, a margine della sua proclamazione ufficiale di stanotte, seguita fra l'altro dalle congratulazioni e dagli auguri del sindaco uscente conservatore Boris Johnson. "La paura non ci rende più sicuri, ci rende più deboli - ha insistito l'esponente laburista - e la politica della paura semplicemente non è benvenuta nella nostra città". Kahn aveva impostato la sua campagna elettorale sulla necessità di rendere più vivibile Londra. Dunque, trasporti migliori e costi delle case più bassi.

I laburisti hanno tenuto nel resto d’Inghilterra, sono ancora il primo partito, ma hanno perso pesantemente in Scozia, finendo addirittura terzi dopo gli autonomisti dello Scottish National Party e i conservatori. I Tories di Cameron comunque hanno esultato per il risultato nel nord del Regno Unito. Nelle elezioni per l'Assemblea dell'Irlanda del Nord invece si sono confermati i due principali partiti, gli unionisti del Dup e i repubblicani del Sinn Fein, che già condividevano i vertici del governo locale emerso dopo gli accordi di pace al termine del conflitto in Ulster.

Sul significato dell’elezione di Khan a sindaco di Londra, Giancarlo La Vella ha intervistato Riccardo Alcaro, dell’Istituto Affari Internazionali: 

R. – Non c’è dubbio che si tratti di un evento molto, molto significativo; è il primo funzionario eletto di una grande capitale europea di fede musulmana in un periodo in cui l’islam viene spesso associato con un flusso di migranti difficilissimo da integrare nonché, ovviamente, anche con i pochi, ma chiaramente molto visibili radicali estremisti che usano la violenza.

D. - Quindi, una sorta di apertura a quello che può essere un dialogo all’interno dell’Europa che in questo momento sembra mancare …

R. - Questo dipenderà molto dalla capacità dell’individuo di avviare un’agenda di dialogo che poi possa addirittura avere una risonanza europea. Credo che in questo caso, più che le iniziative specifiche che potranno essere messe in atto dal prossimo sindaco di Londra, è proprio il valore simbolico quello che conta.  L’idea  è che le società occidentali, in questo caso quella britannica, siano in effetti società plurali nelle quali la discriminazione religiosa è esclusa. Sadiq Kahn è di una religione che appartiene comunque ad una minoranza della società ed una minoranza piuttosto recente; viene da una famiglia molto, molto povera e può ascendere alle più alte cariche elettive attraverso un percorso politico abbastanza tradizionale all’interno di un partito.

D. - La vittoria di Sadiq Kahn va anche letta come una prima scelta di campo dei londinesi su quello che sarà poi il referendum sull’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea …

R. - Direi di sì, però la fotografia politica che mi interessa di più non è tanto quella su Londra quanto sull’intero Regno Unito che mostra in parte quali saranno i blocchi elettorali che si esprimeranno in un senso o nell’altro in questo referendum di importanza capitale del 23 giugno. Londra è senz’altro più europeista. Non credo che con l’elezione di Kahn dia un segnale particolare - perché questo già si sapeva - non credo che ci siano residui di Boris Johnson che era comunque un sindaco molto popolare, ma che ha preso la decisione di sostener Brexit per motivi di competizione interna al partito conservatore – Jhonson probabilmente non vuole sfidare la leadership di Cameron –; quindi noi vediamo che c’è un blocco pro-europeista sicuramente concentrato a Londra, però treniamo presente che il successo degli anti europeisti o dei fautori della Brexit è dovuto soprattutto all’Inghilterra che non fa parte di Londra, proprio a quell’Inghilterra che vede Londra sempre più come un corpo estraneo, come un cuore che non sembra più corrispondere al resto del corpo. Londra è una città globalizzata; i fautori del Brexit, non tutti però moltissimi, hanno un’idea più sovranista, più isolazionista di quello che deve essere il futuro della loro nazione.

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Turchia, crescono i dubbi in Ue sul rispetto dell'accordo sui migranti

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Aumentano le nubi sopra l’accordo sui migranti raggiunto da Unione Europea e Turchia. In particolar modo, da Berlino è emersa qualche preoccupazione su un’eventuale ridefinizione dell’intesa, dopo le dimissioni del primo ministro turco, Davutoglu. Il primo ostacolo è la richiesta fatta dalla Commissione Europea ad Ankara di riformare la legge antiterrorismo, come condizione necessaria per la liberalizzazione dei visti. Daniele Gargagliano ha chiesto a Nathalie Tocci, vicedirettore dell'Istituto Affari Internazionali, quale sia stato il ruolo di Davutoglu nella definizione dell’accordo sui migranti e quali siano ancora le criticità che pendono sulla buona riuscita dell'accordo: 

R. – Il Trattato è stato siglato da Davutoglu e Angela Merkel. È stato il primo a proporre l’accordo e la Germania ad accoglierlo, il presidente Erdogan non è mai stato particolarmente convinto. L’idea della liberalizzazione dei visti per Erdogan è un di più, ma non è un “sine qua non”. Sicuramente Erdogan, a differenza di Davutoglu, non è disposto a pagare “il prezzo che c’è da pagare”, ossia la riforma della legge antiterrorismo. O meglio, Erdogan in realtà vuole cambiare la legge, aumentando la definizione dei crimini e quindi allargandola sostanzialmente ad accademici, giornalisti, attori della società civile.

D. – Quindi, insomma, rimangono dei dubbi sul Trattato?

R. – A questo punto, diventa estremamente improbabile che si arrivi comunque a un accordo entro giugno. È paradossale perché in realtà tutto questo arriva esattamente due giorni dopo che la Commissione aveva dato luce verde sull’accordo.

D. – C’è il rischio che si arrivi a rinegoziare le condizioni?

R. – No, non penso. È una condizione troppo importante, tocca troppo le corde profonde dell’Europa.

D. – Sul fronte interno è prossima la chiusura del quotidiano di opposizione Zaman. È arrivata la condanna di due giornalisti per aver diffuso segreti di Stato. Sono elementi che vanno in una direzione?

R. – Vanno nella direzione di una Turchia con tendenze sempre più autoritarie da parte del suo presidente. Se a questo aggiungiamo una ridefinizione dei crimini di terrorismo, crediamo che questo sia – ahimè – un trend in ascesa.

D. – Il 22 maggio si riunirà il congresso del Partito per la giustizia e lo sviluppo per la successione di Davutoglu. Si parla di un esponente vicino ad Erdogan, come il genero, l’attuale ministro dell’Energia…

R. – Che sia l’attuale ministro dell’Energia o l’attuale ministro dei Trasporti, stiamo sostanzialmente parlando di persone estremamente vicine a Erdogan. Per carità, anche Davutoglu, come Gul, erano vicino ad Erdogan, però erano entrambe persone con una loro personalità e con un loro seguito politico. Qui stiamo parlando di persone che non faranno che legittimare quello che di fatto è una presidenza esecutiva da parte di Erdogan.

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Raid a Gaza. Sr. Nadila: viviamo come in una grande prigione

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Quarto giorno consecutivo di bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza, in risposta al lancio di colpi di mortaio. Tel Aviv ha fatto sapere che l’aviazione avrebbe colpito infrastrutture terroristiche nel sud. Finora, non ci sono notizie di vittime, ma si teme una nuova escalation di violenza nell’area. Per una testimonianza diretta della situazione, Roberta Barbi ha raggiunto telefonicamente suor Nadila, della Congregazione del Rosario, che si occupa dei bambini di una scuola a Gaza City: 

R. – Sino adesso, noi a Gaza City, dove viviamo, abbiamo sentito i bombardamenti. Adesso la gente, quando vengono i parenti nella nostra scuola, sente che c’è un’altra guerra. La gente ha tanta paura e non sopporta che ci possa essere una nuova guerra. A Gaza, infatti, dalla guerra dell’anno scorso non è stato ricostruito ancora nulla.

D. – C’è dunque il rischio concreto che si torni a una situazione simile a quella del 2014, con 54 giorni di violenze ininterrotte e migliaia di morti?

R. – Stamattina, ho parlato con un giornalista che porta i bambini nella nostra scuola e gli ho chiesto come sia la situazione perché lui si reca per lavoro in quei posti dove avvengono i bombardamenti. Ha detto che Israele non vuole una nuova guerra, ma se la situazione continua così ci potrebbe essere un’altra guerra. Noi speriamo di no, perché i bambini non sono ancora “guariti” dalla guerra precedente.

D. – Dell’esistenza che si conduce a Gaza si parla molto poco. Ormai, la comunità cristiana è ridotta a poco più di un migliaio di fedeli. Come vivono i bambini, i giovani, gli anziani, i malati?

R. – A livello economico, a Gaza quest’anno le cose non vanno troppo bene. Noi vediamo, quando le famiglie vengono a pagare per gli studenti, che la situazione economica non è buona. Il valico con l’Egitto è chiuso, il valico di Erez è chiuso, tutti siamo – come si sente spesso dire – rinchiusi in una grande prigione a cielo aperto. Per quanto riguarda i malati, ci sono quelli che ottengono i permessi per andare in Israele o a Nablus, nell’ospedale di governo. Altri, che non hanno queste possibilità, rimangono negli ospedali di Gaza. Non va tanto bene, ci sono tante persone che vivono al di sotto della soglia di povertà. Il mese scorso, a scuola, abbiamo organizzato un’attività per aiutare i poveri e siamo andati nei paesi, nei villaggi più piccoli. Non immaginavo ci fossero persone che vivessero così – senza casa, senza cibo, senza lavoro, senza aiuto – in una situazione miserabile.

D. – A luglio ci sarà la Gmg in Polonia e dalla Striscia dovrebbero partire cinque giovani, ma ancora non si sa se avranno il permesso delle autorità. Sarebbe la prima volta per i giovani di Gaza. È un sogno che si realizza?

R. – Noi speriamo riescano ad andare tutti e cinque, perché sarebbe la prima volta che da Gaza escono cinque giovani... È il loro sogno! Speriamo si realizzi, il permesso. Quest’anno, Israele ha dato permessi a tanti cristiani e la maggioranza dei cristiani è uscita: hanno preso 45 giorni per andare a Gerusalemme e poi tornare a Gaza. Speriamo che li diano anche ai giovani.

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No al gioco d'azzardo. Card. Vallini: colpisce i più deboli

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In 50 città d’Italia si sono svolte questa mattina manifestazioni per dire no alla diffusione del gioco d’azzardo. Nella capitale, circa un migliaio di persone si sono radunate a piazza Re di Roma, a pochi metri dalla sala più grande d’Europa. Alessandro Guarasci

Ogni anno in Italia vengono giocati circa 90 miliardi. Soldi che vanno prima di tutto ai concessionari, visto che lo Stato incassa in tasse poco più di 8 miliardi. Tra l’introduzione di slot e videolottory, nuove modalità per scommettere, cambio delle norme, l’offerta di gioco è aumentata di ben 48 volte dal 1994 ad oggi. Ci sono leggi e regolamenti regionali per limitare l’affollamento di sale e punti gioco, ma non basta, dice il cardinale vicario di Roma Agostino Vallini:

“La maggioranza di questi luoghi, di queste operazioni commerciali, sono proprio nelle periferie, dove cioè c’è la gente più in difficoltà. Allora è qui che bisogna riflettere seriamente: lo vogliamo fare o no? Chiediamo che cosa si faccia per prendere coscienza su questo fenomeno così grave oggi e per frenarlo”.

La pubblicità in tutto questo, purtroppo, ha un ruolo fondamentale. Nel 2013 tra sponsorizzazioni e pubblicità diretta sono stati spesi quasi 200 miliardi. E lo Stato è costretto a investire non meno di sei miliardi per curare i 20 mila malati di ludopatie. Maurizio Fiasco, presidente dell’Associazione per lo studio del gioco d'azzardo:

“L’offerta di terapia è un’offerta puramente simbolica. L’offerta di terapia per le dipendenze da gioco d’azzardo in Italia è la foglia di fico. Le neuroscienze ci dicono che questo è un sistema additivo, che crea cioè dipendenza e che quindi fa male alla salute mentale. E’ stata presentata una bozza di decreto ministeriale per ripartire quei 50 milioni per le terapie e già nell’architettura di questa bozza c’è una dispersione per cose futili, per cose che non hanno alcun rilievo rispetto alla priorità delle priorità, che è aprire finalmente dei luoghi di cura”.  

A rischio non solo chi gioca con frequenza, ma anche chi lo fa in modo occasionale.

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Il commento di don Gianvito Sanfilippo al Vangelo della Domenica

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Nella solennità dell’Ascensione del Signore, la liturgia ci propone  il Vangelo in cui Gesù risorto annuncia ai discepoli che saranno suoi testimoni in tutto il mondo:

“Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”.

Sulla solennità dell'Ascensione, ascoltiamo il commento di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della Diocesi di Roma: 

Nel nome di Cristo saranno annunciate a tutte le nazioni la conversione e il perdono dei peccatiIo sto per inviare su di voi la promessa del Padre, rimanete in città, però, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto”. Dopo queste parole il Signore viene assunto in cielo mentre benedice i suoi discepoli; sono parole di speranza che rallegrano il cuore degli apostoli, e li rendono capaci di quell’attesa fiduciosa che fu preludio di una missione di salvezza senza precedenti in ogni angolo della terra. Con l’Ascensione di Gesù al cielo la natura umana viene sommamente onorata, posta più in alto degli angeli e delle potenze celesti, segno inequivocabile della nostra dignità e della grandezza del nostro destino. Dio ha trovato dimora nell’uomo e l’uomo trova dimora in Dio. Perché ciò accada bisogna tornare a Gerusalemme, immagine della Chiesa, dove attraverso la Parola e i Sacramenti ogni persona ritrova la propria identità e dove la virtù della speranza corrobora la certezza nel compimento della promessa: l’effusione prossima dello Spirito Santo. Con Lui e grazie ai suoi doni possiamo gustare il perdono, Egli ci concede mitezza, amore al prossimo e al nemico, e chi vedrà la nostra vita pacificata e gioiosa crederà al Vangelo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Filippine. Card. Tagle su elezioni: occasione da non sprecare

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Ultime ore di campagna elettorale, nelle Filippine, dove lunedì 9 maggio si svolgeranno le votazioni generali e presidenziali. Numerosi sono stati, nel corso degli ultimi mesi, gli appelli della Chiesa locale che – senza schierarsi a favore di nessun candidato – ha esortato più volte i fedeli a votare in modo responsabile.

Partecipare tutti alla costruzione del Paese
Anche il card. Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, ha fatto sentire la sua voce e in una recente dichiarazione ha invitato gli elettori a “non sprecare l’occasione” di andare al voto, perché la democrazia permette a tutti di “partecipare alla costruzione del destino del Paese”. Ribadendo, poi, che la Chiesa non appoggia alcun candidato, il porporato ha sottolineato la necessità della libertà di coscienza nell’esercizio del diritto-dovere del voto.

Votare è una benedizione, ma anche una responsabilità
“Quando si vota – ha spiegato il cardinale Tagle – si scelgono persone che rappresentano i nostri sogni, i nostri desideri, il nostro destino, il nostro Paese”. “Questa – ha concluso l’arcivescovo di Manila – è una benedizione, ma è anche una responsabilità”. (I.P.)

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Appello vescovi Ecuador: dopo terremoto, non dimenticateci

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“Rompendo un lungo silenzio, dovuto all’isolamento nel quale è rimasto Portoviejo e tutto il Manabí dopo il terremoto del 16 aprile, vengo a raccontarvi qualcosa di quello che è accaduto”. Inizia così la lettera che il Sir ha ricevuto da mons. Lorenzo Voltolini, bresciano d’origine, arcivescovo di Portoviejo, una delle città più colpite dal sisma in Ecuador. Mons. Voltolini ripercorre quei drammatici momenti, racconta come il terremoto abbia colpito anche chiese e conventi e descrive l’attuale situazione.

La ricostruzione riparte dalle famiglie e dalle comunità
“Incominciano ad arrivare i primi soccorsi – spiega - acqua, viveri, casse di banane e di mele, materassi, vestiti, casse da morto. Portiamo tutto ad un centro di raccolta e smistamento, perché i primi volontari sono i sacerdoti della città”. “Gli aiuti e le manifestazioni di solidarietà arrivano dal mondo intero – prosegue il presule - ma ci rendiamo conto che le difficoltà sorgeranno più tardi. Per questo a quanti ci chiedono: ‘Che possiamo fare per voi?’ rispondiamo: ‘Non dimenticateci, avremo bisogno di voi quando inizieremo la ricostruzione’, perché essa non sarà solo di colonne, mattoni, cemento, ma di famiglie, comunità, parrocchie, relazioni umane nuove, nate sullo stile e sulle esigenze del Vangelo”.

Oltre 600 vittime e 30mila sfollati. Provviste in esaurimento
“Ciò che più chiediamo – aggiunge mons. Voltolini - è la preghiera, perché il mondo nuovo nasce dalla nostra predisposizione ed apertura alla Parola che salva”. Fortunatamente, la “macchina della solidarietà” lavora senza sosta: proprio a Portoviejo, i missionari cappuccini hanno organizzato un gruppo di fedeli volontari che ogni giorno distribuiscono oltre 3mila pasti alle famiglie sfollate, ai soccorritori ed ai vigili del fuoco. Ma l’emergenza è alta: “Ormai stiamo finendo le provviste - dice all’agenzia Fides fra’ Felipe Intriago, membro del Movimento Juan XXIII dell’arcidiocesi di Guayaquil - Vogliamo continuare ad aiutare, ma non abbiamo i mezzi". Intanto, Caritas Ecuador ha tracciato un nuovo bilancio della situazione: al momento, si contano 660 vittime, 31 dispersi, 30.223 senzatetto, 1.125 abitazioni distrutte e 560 scuole danneggiate. (I.P.)

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Indonesia, parte la campagna di preghiera per l’unità nazionale

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Una speciale campagna di preghiera per rafforzare l’unità nazionale: questa l’iniziativa lanciata, in questi giorni, da mons. Ignatius Suharyo, arcivescovo di Jakarta, in Indonesia. L’evento – riferisce l’agenzia AsiaNews - è stato inaugurato nelle 65 parrocchie dell’arcidiocesi, affollate da migliaia di fedeli. Per l’occasione, nella cattedrale di Jakarta sono stati distribuiti più di duemila rosari rossi e bianchi, i colori della bandiera indonesiana.

Cinque intenzioni di preghiera speciali
“Il Rosario è parte dell’impegno dell’arcidiocesi per rafforzare tra i cattolici l’amore verso la nazione – spiega padre Hieronymus Sridanto Aribowo, presidente della Commissione liturgica diocesana - il rosso simboleggia la volontà di difendere la verità basata sulla fede nella Trinità, mentre il bianco si riferisce alla santità”. Per aiutare i fedeli nella recita del Rosario, la Chiesa di Jakarta ha diffuso cinque speciali intenzioni di preghiera: per gli eroi della patria, per la salvaguardia del Creato, per l’unità nazionale, per la saggezza dei politici e per la realizzazione del bene comune nella società.

Forte la devozione mariana nel Paese
Da ricordare che in Indonesia la devozione mariana è molto forte, sono numerose, infatti, le riproduzioni della  Grotta di Lourdes, sparse in tutto il Paese, in cui migliaia di fedeli si recano ogni anno a pregare, soprattutto nei mesi mariani di maggio e ottobre. Inoltre, lo scorso agosto, ad Ambarawa, nel Java Centrale, è stata inaugurata una  statua della Madonna che, con i suoi 42 metri, al momento è la più alta del mondo. (I.P.)

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La Ces in Turchia incontra varie fedi per rafforzare il dialogo

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Il Gruppo di lavoro "Islam" della Conferenza episcopale svizzera (Ces) è, da oggi al 14 maggio, in Turchia, su invito della Conferenza episcopale turca. Scopo della visita è di rafforzare il dialogo tra musulmani e cristiani nel contesto delle attuali vicissitudini in Medio Oriente ed in Turchia, nonché di  esprimere la solidarietà della Chiesa elvetica alla minoranza cristiana nel Paese. 

Al centro degli incontri il tema della libertà religiosa
La delegazione è composta da 7 membri guidati da mons. Alain de Raemy, vescovo ausiliare di Losanna, Ginevra e Friburgo, che incontrerà rappresentanti delle comunità musulmane, cristiane ed ebraiche locali per meglio conoscere la situazione in Turchia e mostrare il legame che unisce i fedeli delle varie confessioni cristiane.   Al centro dei colloqui ed incontri, ad Istanbul ed Ankara, ci sarà il tema della libertà religiosa e, in particolare, le minoranze religiose, i rapporti Stato-religioni e la convivenza tra musulmani e cristiani.  La delegazione incontrerà la Presidenza degli Affari religiosi ed il Gran Mufti, come pure il presidente della Conferenza episcopale e di Caritas Turchia.

Per la prima volta in Turchia
Il Gruppo di lavoro "Islam" della CES è stato istituito nel 2001 allo scopo di promuovere il dialogo e la convivenza tra cristiani e musulmani. In questi anni ha visitato in più occasioni l’Iran. E’ la prima volta che si reca in Turchia. (L.Z.)

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Festa dell'Europa, cristiani uniti contro l'euroscetticismo

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Kathia dal Belgio, Francesco dall’Italia, Marianne dalla Francia, Henryk dalla Polonia, Cédric e Elina dal Belgio e dalla Finlandia: sei testimonianze per ricordare le ragioni di un'Europa unita contro l’euroscetticismo e i muri dei nazionalismi riemergenti nei Paesi del Continente. Accanto a queste: una citazione dal discorso del 6 maggio di Papa Francesco in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno. E’ la nuova iniziativa promossa, in occasione della Festa dell’Europa del 9 maggio prossimo, sul sito www.theeuropeexperience.eu, la piattaforma interattiva lanciata nel 2014 dall'Iniziativa dei cristiani per l’Europa (Ixe) per coinvolgere e dare voce ai cattolici impegnati nel dibattito politico sulla costruzione europea.

Uno spazio di confronto per i cristiani sul processo di unificazione europea
Proprio questo è infatti uno degli obiettivi per cui, nel 2006,  le Settimane Sociali di Francia e il Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi (Zdk), hanno dato vita all’Iniziativa, che vuole essere uno spazio di confronto e riflessione dei cristiani interessati al processo di unificazione europea che si propone di essere anche un contributo e un’istanza di dialogo con le istituzioni europee sulle politiche dell’Unione, in particolare in cinque ambiti: giovani e famiglia; sviluppo sostenibile; economia; ruolo della Ue nel mondo; accoglienza di immigrati e rifugiati.

Tornare ai valori fondativi dell’Europa unita
In occasione del 66° anniversario della storica dichiarazione di Robert Schuman a Parigi il 9 maggio 1950, l’Ixe lancia dunque la nuova sezione “Perché l’Unione europea?” con cinque riflessioni  arricchite delle parole di Papa Francesco del 6 maggio, per sottolineare la lungimiranza e l’attualità della visione dell’allora Ministro degli Esteri francese, padre  fondatore dell’Europa unita. Un invito a un continente in crisi a tornare ai suoi valori fondativi, ispirati agli insegnamenti sociali della Chiesa, per contrastare i populismi e gli egoismi nazionali che oggi vogliono rimettere in discussione questo ambizioso progetto. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 128

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.