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Sommario del 08/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: in ogni città possiamo vedere lo stesso cielo abitato da Gesù

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Decine di migliaia di persone hanno partecipato in Piazza San Pietro al Regina Caeli del Papa nella Solennità dell'Ascensione del Signore. Francesco ha affermato che da quell'evento per ogni cristiano è possibile vivere e testimoniare la fede dovunque perché da tutte le città del mondo si può alzare lo sguardo con speranza verso il cielo abitato dal Dio fatto uomo. Quindi, nel giorno dedicato a loro, il Papa ha fatto gli auguri a tutte le mamme. Il servizio di Sergio Centofanti

Nell’Ascensione di Gesù al cielo, avvenuta quaranta giorni dopo la Pasqua, si contempla “il mistero di Gesù che esce dal nostro spazio terreno per entrare nella pienezza della gloria di Dio, portando con sé la nostra umanità”. Il Papa nota che i discepoli non sono tristi per il fatto che Gesù non sia più fisicamente in mezzo a loro, ma tornano con gioia a Gerusalemme, la città che aveva rifiutato il Maestro:

“Da quel giorno per gli Apostoli e per ogni discepolo di Cristo è stato possibile abitare a Gerusalemme e in tutte le città del mondo, anche in quelle più travagliate dall’ingiustizia e dalla violenza, perché sopra ogni città c’è lo stesso cielo ed ogni abitante può alzare lo sguardo con speranza. Gesù, Dio, è uomo vero, col suo corpo di uomo è in cielo! E questa è la nostra speranza, è l’àncora nostra, che è là, e noi siamo saldi in questa speranza, se guardiamo il cielo. In questo cielo abita quel Dio che si è rivelato così vicino da prendere il volto di un uomo, Gesù di Nazaret. Egli rimane per sempre il Dio-con-noi – ricordiamo questo: Emmanuel, Dio con noi - e non ci lascia soli!".

Testimoniare Gesù risorto nella vita quotidiana
I discepoli possono ora annunciare a tutti la vita nuova che viene dal Crocifisso Risorto:

“Questa è la testimonianza – fatta non solo con le parole ma anche con la vita quotidiana – la testimonianza che ogni domenica dovrebbe uscire dalla nostre chiese per entrare durante la settimana nelle case, negli uffici, a scuola, nei luoghi di ritrovo e di divertimento, negli ospedali, nelle carceri, nelle case per gli anziani, nei luoghi affollati degli immigrati, nelle periferie della città…”.

Lo Spirito Santo è l'artefice della testimonianza dei cristiani
E’ una testimonianza resa possibile dalla Spirito Santo:

“Qui sta il segreto di questa missione: la presenza tra noi del Signore risorto, che con il dono dello Spirito continua ad aprire la nostra mente e il nostro cuore, per annunciare il suo amore e la sua misericordia anche negli ambienti più refrattari delle nostre città. È lo Spirito Santo il vero artefice della multiforme testimonianza che la Chiesa e ogni battezzato rendono nel mondo. Pertanto, non possiamo mai trascurare il raccoglimento nella preghiera per lodare Dio e invocare il dono dello Spirito”.

Comunicatori possano gettare ponti
Il Papa si unisce quindi spiritualmente ai fedeli radunati al Santuario di Pompei per la tradizionale Supplica alla Madonna del Rosario. Poi ricorda che oggi ricorre la 50ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, voluta dal Concilio Vaticano II nella consapevolezza dell’importanza cruciale delle comunicazioni, che «possono gettare ponti tra le persone, le famiglie, i gruppi sociali, i popoli. E questo sia nell’ambiente fisico sia in quello digitale» (Messaggio 2016):

“Rivolgo a tutti gli operatori della comunicazione un saluto cordiale, e auspico che il nostro modo di comunicare nella Chiesa abbia sempre un chiaro stile evangelico, uno stile che unisca la verità e la misericordia”.

Auguri alle mamme di tutto il mondo
Infine, il Papa ricorda che in tanti Paesi oggi si celebra la festa della mamma:

“Ricordiamo con gratitudine e affetto tutte le mamme, quelle che sono oggi in piazza, le nostre mamme, quelle che ancora sono fra noi e quelle che sono andate in cielo, affidandole a Maria, la mamma di Gesù. E insieme per tutte le mamme preghiamo l’Ave Maria…".

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Il Papa saluta i partecipanti alla Marcia per la vita a Roma

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Papa Francesco ha salutato al Regina Caeli i partecipanti alla sesta edizione della Marcia per la Vita che si è svolta a Roma questa domenica. I manifestanti erano partiti alle 9.00 da Piazza Bocca della Verità per arrivare poco prima di mezzogiorno in Piazza San Pietro. La portavoce Virginia Coda Nunziante illustra le finalità della marcia al microfono di Rosario Tronnolone

R. – Noi siamo per la vita, senza compromessi. E i compromessi quali sono? Sono quelli all’inizio e alla fine della vita. Noi cerchiamo di sollevare il problema in Italia sul dramma dell’aborto e dell’approvazione della Legge 194 che – non dimentichiamolo – ha ucciso in Italia 5 milioni e 700.000 bambini dal momento della sua approvazione sino ad oggi; e chiaramente anche sul problema del fine vita: siamo contro una legge sull’eutanasia che è già in discussione in Parlamento. Siamo quindi per la vita senza compromessi. E poi l’altro scopo, a nostro avviso molto importante, è quello di cercare di creare una vera cultura della vita, anche perché non c’è più nessun ricambio generazionale. Ormai in Italia abbiamo 1.3 figli per donna e ci prepariamo di qui al 2020 ad averne 0.8; per cui il nostro Paese non ha un ricambio, anche se questo avviene purtroppo anche negli altri Paesi d’Europa. E allora, di fronte a questo, quello che chiediamo al governo è che, invece di spendere intorno ai 200 milioni di euro l’anno per la Legge 194 negli ospedali, si cerchi invece di dare questi soldi alle famiglie per incentivare le nascite. E certamente, anche da un punto di vista economico - pur non essendo questo l’aspetto più importante, comunque lo è - l’economia riprenderebbe. Anche gli economisti infatti lo dicono e lo ha detto anche il direttore della Morgan Stanley: finché in Italia la demografia non si riprende, non si potrà mai uscire dalla crisi economica. Di conseguenza, la cultura della vita è alla base di tutto il resto.

D. – Io volevo sottolineare ed entrare un po’ più nello specifico proprio di questo discorso della “cultura della vita”, perché il momento della nascita e della fine della vita sono i momenti in cui la vita è più fragile in assoluto... Però io credo che la marcia della vita, e la cultura della vita, non voglia tanto porsi soltanto come difesa dei più deboli, che pure è una cosa assolutamente da appoggiare; ma, in maniera particolare, voglia promuovere un modo di affrontare un’obiettiva difficoltà, come può essere il fatto di aspettare un figlio, che può cambiare la vita e spaventare anche, così come il momento della malattia e il dover affrontare il momento finale della vita… È possibile affrontare questi momenti di difficoltà non eliminando il problema, ma aiutando queste persone in difficoltà?

R. – Assolutamente, questo è un punto molto importante. Studiando quello che è successo negli altri Paesi, dove queste marce avvengono da più tempo, si vede che tutta l’attività intorno alla marcia fa sì che si sviluppino tante realtà diverse, di associazionismo volontario molto spesso, che si occupano proprio di questi problemi. Per esempio, se si vede l’America, lì è nato un numero di associazioni veramente molto, molto numeroso a favore dell’aiuto alla vita terminale, ma in maniera positiva, e a favore dell’aiuto alla vita nascente. Ci sono associazioni che aiutano le donne e le sostengono da un punto di vista psicologico e pratico. La marcia vuole essere anche questo: cercare veramente di sensibilizzare a 360° su un tema che nella nostra società è particolarmente importante.

D. – E poi dovrebbe sensibilizzare credo anche ad un ascolto che sia un ascolto – realmente – umano, di quella che spesso è una richiesta di aiuto…

R. – Esatto, proprio questo. Molto spesso queste persone chiedono l’eutanasia perché sono sole, abbandonate, e non hanno persone a cui rivolgersi. E in questo senso, dovremmo sviluppare una sensibilità e un’attenzione maggiore ai più deboli e ai più indifesi.

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Papa posta su Instagram e Twitter un biglietto scritto a mano

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Nella giornata che celebra le Comunicazioni Sociali, Papa Francesco ha pubblicato sul suo profilo ufficiale di Instagram e Twitter un chirografo, un biglietto scritto a mano: "A te, che dalla grande comunità digitale, mi chiedi benedizione e preghiera voglio dire: tu sarai il dono prezioso nella mia preghiera al Padre. E tu, non dimenticarti di pregare per me e per il mio essere servo del Vangelo della misericordia. Franciscus". Luca Collodi ne ha parlato con mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione: 

R. – Sì, stamani il Papa ha postato sul suo profilo ufficiale di Instagram, “Franciscus”, un chirografo: cioè un bigliettino scritto di suo pugno. Perché? Perché in queste settimane lui ha potuto leggere alcune richieste e alcuni commenti alle foto postate e molti di questi richiedono vicinanza, preghiera… Le persone esprimono il sentirsi familiari con Papa Francesco, il sentirsi molto vicini: domandano e raccontano dei problemi personali, dell’esigenza, ad esempio, di una preghiera di vicinanza per la malattia di un figlio o per un amore ferito. E il Papa allora ha voluto rispondere personalmente, con questo scritto, agli “abitanti della comunità digitale” – così li ha chiamati – dicendo che loro diventano il cuore della sua preghiera in questa Giornata.

D. – C’è una fotografia postata su Instagram…

R. – Sì, è su Instagram e anche su Twitter: non dimentichiamo i due canali ufficiali del Papa. Devo anche ricordare come questo messaggio, grazie appunto alla componente linguistica della Radio Vaticana, è tradotto in 40 lingue. Quindi cerchiamo di raggiungere, con queste parole di accoglienza, di misericordia e di vicinanza del Papa, tutto il mondo.

D. – Vogliamo provare a descrivere, via radio, lo scatto che troviamo su Instagram?

R. – Certo: è un bigliettino come quelli che in genere si utilizzano per dei piccoli messaggi. C’è lo stemma papale. E poi il Papa, con la sua scrittura molto piccola, con inchiostro nero, scrive queste parole a tutti gli abitanti della comunità digitale, dicendo: “Voi siete per me il cuore della mia preghiera”. E - come sempre - dice: “Vi prego di non dimenticarvi di pregare per me”. Poi firma: “Franciscus”.

D. – Mons. Viganò, si può parlare di “radio misericordiosa” nel panorama mediatico di oggi?

R. – Sì, quando la parola alla radio è detta appunto nella forma di un invito a parlare perché io possa ascoltare. Quindi, una parola che non rivendica; una parola che non contrappone; una parola che sollecita sempre la possibilità della speranza e del potersi mettere nuovamente in piedi. Questo credo che, per esempio, sia quello che questa radio fa: non stigmatizzare mai nessuna situazione, nessuna persona, ma, anche in situazioni molto difficili, puntare il dito su un orizzonte che si apre e far scoprire che dietro le nuvole c’è sempre il sole.

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Bregantini: per Francesco la comunicazione deve creare ponti

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Si è tenuto ieri a Campobasso un "Giubileo dei Giornalisti", voluto dall'arcivescovo Giancarlo Maria Bregantini. Dopo il passaggio della Porta santa della Cattedrale e un momento di preghiera, i giornalisti hanno partecipato ad un convegno incentrato sul messaggio di Papa Francesco per l'odierna 50.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali incentrato sul tema "Comunicazione e Misericordia, un incontro fecondo". Proprio su questo binomio, Alessandro Gisotti ha intervistato mons. Bregantini che, oltre ad essere pastore della arcidiocesi di Campobasso-Bojano, è anche giornalista iscritto all'Ordine: 

R. – Innanzitutto, è un messaggio ben indovinato, inquadrato molto bene, che raccoglie soprattutto tre punti grandi, che mi sembrano molto importanti. Primo, la capacità di mediazione di ogni parola - la parola è già una mediazione tra me e te, tra il mio cuore e il tuo cuore - e quindi anche la capacità, come dice il Papa, di far sì che questa parola esca dal cuore, perché possa entrare nel cuore. Ed è molto bella l’immagine che usava il nostro San Francesco di Sales, ripetuta da Newman, Cor ad cor loquitur, cioè ciò che esce dal cuore entra nel cuore. La seconda cosa su cui il Papa batte molto è il fatto che debba essere una parola capace di scuotere le coscienze, senza farle svergognare e senza farle scappare, ma costruendo invece ponti. La comunicazione è un ponte naturale, non un muro. E’ un muro se io mi rifugio, se attacco, se offendo, se dimentico; è un ponte, se costruisco, se lodo, se capisco, se ascolto. Ed il terzo punto è importante: la pienezza della comunicazione è l’ascolto, perché senza l’ascolto non c’è la reciprocità. Ascolto vuol dire pazienza, vuol dire mitezza, vuol dire scavare nel cuore dell’altro fino in fondo. Questo è ciò che rende bello il cuore. Ecco, perché la comunicazione ricca, rivestita di misericordia, si fa veramente vertice del comunicare.

D. – Il potere della comunicazione è il potere della prossimità, diceva Francesco già nel suo primo messaggio delle Comunicazioni Sociali, e lo ripete alla fine di questo messaggio…

R. – Direi che averlo ripetuto qui aiuta a capire molte cose, soprattutto aiuta a capire che “prossimità” non è solo un gesto, potremmo dire, fisico di dare un bicchier d’acqua, ma è il modo, è lo sguardo, che poi è anche la sintesi dell’Amoris laetitia. Con la prossimità di una Chiesa scopri la tua fragilità, il tuo peccato. Ed ora tu sei illuminato, non perché ti metto un divieto, ma perché io ti creo un ponte tra te, la tua storia, Dio, la tua famiglia, il tuo passato.

D. – Diceva don Tonino Bello che a chi non ha casa non basta dare un letto, bisogna anche saper dire buonanotte e il linguaggio della misericordia è qualcosa cui tiene moltissimo Francesco…

R. – Se chi scrive si pone dalla parte di chi legge, deve capire che non è bravo chi scrive, ma è bravo chi si fa capire da chi legge. Quindi, giocare sugli aggettivi, sulle frasi brevi, su aggettivi ben curati… Innanzitutto, sugli aggettivi, perché gli aggettivi sono i fiori del prato: un prato senza fiori è senza sapore, come un cielo senza stelle. Questo è il punto: è molto importante la dinamica di porsi in relazione a chi mi legge.

D. – Lei è un pastore, ma è anche un giornalista, un giornalista con tanto di tesserino, quindi a tutti gli effetti. Quanto lo aiuta anche nel suo ministero di vescovo, di pastore, il fatto di essere anche un giornalista e di aver avuto e continuare ad avere anche un’esperienza pratica di comunicazione…

R. – Io guardo poco la televisione, ma ascolto molto la radio, mentre mi preparo…  Questo, quindi, mi dà la realtà delle cose. Un altro elemento che mi aiuta è la lettura degli articoli di fondo. E’ essenziale, perché è impossibile seguire tutto. Terzo: do molta importanza al diario. Io coltivo il mio diario personale da sempre, da ragazzo delle medie. Anche stamattina ho scritto due pagine, non tutti i giorni allo stesso modo: qualche giorno scrivo tre righe, qualche giorno trenta. Il diario, però, modella gli eventi, mi libera dalle emozioni pungenti … Perché quello che io scrivo non è frutto di un’immediatezza e nemmeno di un pessimismo consueto per far piacere, ma nasce da una profonda lettura del mio cuore a contatto del cuore degli eventi. Allora, questa sincronia cor ad cor, il diario la registra e ne diventa la sinfonia.

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Giovagnoli: grande vicinanza e passione del Papa per l'Europa

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Ha suscitato reazioni molto positive da parte dei leader europei che l’hanno ascoltato in Vaticano, il denso discorso di Papa Francesco sull’Europa in occasione della consegna al Pontefice del Premio Carlo Magno. Impressionati dalle sue parole e incoraggiati a continuare nell’impegno dell’edificazione del Continente e della sua coesione, si sono detti Schulz, Juncker, Tusk e la cancelliera tedesca Merkel. Francesco ha esordito costatando una crisi ormai evidente: “Che cosa ti è successo Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà?”, si è domandato. Sentiamo al microfono di Adriana Masotti il commento del politologo Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore: 

R. – Questa domanda “Che cosa ti è successo Europa?” a me sembra efficacissima, perché – da una parte – mette apertamente il dito su una realtà problematica, ma - dall’altra parte - quel dire “Tu, Europa…” dà anche il senso della vicinanza, direi della passione con cui Papa Francesco si sta assumendo il problema dell’Europa, che tanti europei non sembrano oggi in grado di sostenere da soli. Mi sembra una mano tesa molto importante nei confronti dell’Europa.

D. – Poi, il Papa ha delineato l’idea dell’Europa di oggi, quella che lui si augura. Ha parlato di “aggiornare l’idea dell’Europa” e ha detto che per fare questo ci vogliono tre capacità: integrare, dialogare e generare...

R. – Credo che si possa dire che Papa Francesco viva pienamente la realtà del mondo globalizzato e, nel mondo globalizzato, la vitalità delle civiltà, delle culture, dei sistemi e dei Paesi è legata alla capacità di incontro. Nessuno si rigenera da solo, ma solo nella capacità di accogliere elementi, spinte, sollecitazioni che vengono da altri mondi. E oggi questo è il problema cruciale dell’Europa, un’Europa che ha esaurito un ciclo della sua storia. Papa Francesco lo dice apertamente che non è una realtà facile con cui fare i conti, tuttavia è la premessa proprio per capire che è possibile un’altra storia. Ma un’altra storia comincia adesso solo se l’Europa, gli europei accettano di incontrare altri: quei tanti, per esempio, che oggi bussano alla sua porta.

D. – E parla non solo di accoglienza, ma proprio di integrazione culturale. Per questo anche la necessità del dialogo…

R. – Assolutamente sì, tanto che non rimpiange nostalgicamente un’Europa che non c’è più, difendendo le sue radici cristiane; al contrario, vede possibile una vera presenza, una forza del Vangelo, del cristianesimo in Europa solo nella misura in cui questo incontro si sviluppa, solo nella misura in cui c’è l’integrazione piena delle culture.

D. – Papa Francesco descrive poi la terza capacità - “generare” – e qui parla di difesa della vita, della promozione della vita, della famiglia e torna su un suo tema molto caro: il lavoro e soprattutto il lavoro per i giovani…

R. – Sì, questa è giustamente una preoccupazione che si lega molto al futuro dell’Europa. I giovani sono il futuro dell’Europa, ma come fare? Io sono rimasto molto colpito dal fatto che autorità europee di massimo livello - la presenza anche di Angela Merkel - abbiano dato a questo avvenimento un significato davvero interessante. E’ come se i responsabili della politica europea venissero a bussare alla porta di Francesco e gli chiedessero aiuto; come se l’Europa oggi potesse salvarsi solo se Francesco le dà una mano e indica una strada che gli europei siano in grado di accogliere. E’ qualcosa di sorprendente - non mi pare sia mai accaduto in tempi recenti – e che sta ad indicare come il rigenerarsi dell’Europa sia al centro appunto di una preoccupazione ineludibile, anche dal punto di vista politico, oggi, per gli europei.  

D. – E poi, in conclusione, il Papa ha espresso il suo sogno di un nuovo umanesimo europeo, ripetendo più volte: “Sogno un’Europa in cui essere migrante non è un delitto; sogno un’Europa, in cui i giovani possano respirare onestà, in cui avere figli sia una responsabilità e una gioia e non un problema…” Ecco, molto bello questo suo sognare un’Europa diversa…

R. – Molto bello, perché scaccia gli incubi che oggi popolano i pensieri degli europei; molto bello perché evoca “I have a dream…” di Martin Luther King, che apre uno scenario di speranza, di grande speranza per l’Europa; e poi anche perché conferma ancora una volta che l’Europa c’è, esiste, ha un futuro ed è qualcosa su cui oggi noi europei non siamo più così certi. Questo sogno, dunque, spalanca degli orizzonti che non credevamo più praticabili. Invece Francesco ci dice che l’Europa esiste, direi quasi a dispetto degli europei, prima di loro e anche davanti a loro. Questo, appunto, è il suo messaggio.

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Parolin in Lituania: sperimentare misericordia nella vita quotidiana

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La misericordia di Dio è riconoscibile nell’Ascensione al cielo di suo Figlio. Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, da Vilnius in Lituania, lancia un forte messaggio di speranza e di riconciliazione a conclusione del Congresso Nazionale della Misericordia. In mattinata, al termine di una solenne processione per le strade della capitale lituana, il porporato in veste di Legato pontificio ha celebrato la Messa conclusiva del Congresso nella Cattedrale della capitale lituana. Il servizio di Stefano Leszczynski

E’ la Lituania la prima tappa del viaggio che il cardinale Pietro Parolin sta compiendo nei Paesi baltici e che lo porterà anche in Estonia e in Lettonia. Ieri, ha potuto visitare a Siauliai la suggestiva Collina delle Croci, luogo simbolo di speranza e resistenza, durante i lunghi anni bui del regime comunista. Nella tarda mattinata di oggi, invece, un’intensa celebrazione eucaristica, presieduta dal segretario di Stato nella Cattedrale di Vilnius, dedicata ai Santi Stanislao e Ladislao, ha concluso il Congresso Nazionale della Misericordia apertosi due giorni fa. Nell’omelia incentrata sulla Solennità dell’Ascensione e il suo messaggio di Misericordia, il cardinale Parolin si è soffermato sul particolare legame che la città di Vilnius ha con la forza rigeneratrice della Divina Misericordia. Non a caso, ha rammentato, è in questa città che fu dipinta dall’artista Eugeniusz Kazimirowski la prima immagine della Divina Misericordia nel 1934 su commissione di Santa Faustina Kowalska e del suo padre spirituale Michal Sopocko. Sperimentare la misericordia di Dio nella vita quotidiana è l’invito rivolto a ciascuno di noi, anche se peccatori. E’ questo il messaggio centrale che Papa Francesco lancia alla Chiesa nell’anno del Giubileo. Un messaggio ha ricordato il porporato che anche San Giovanni Paolo II aveva portato il Lituania nel 1993, quando aveva invitato ciascun membro del clero lituano a farsi buon samaritano nei confronti dei fratelli e delle sorelle per completare il processo di riconciliazione dopo i lunghi anni dominati dal sospetto e dalla delazione. Ed è con l’invito a prendersi cura dei bisogni spirituali e corporali del prossimo che il cardinale Parolin ha affidato Vilnius e l’intera Lituania alla Madre della Misericordia, particolarmente venerata dal popolo lituano.

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Santa Sede all'Onu: sei princìpi per sradicare il terrorismo

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Una ferma condanna per ogni forma di “estremismo violento, terrorismo, intolleranza, odio religioso” ed un forte appello al dialogo: questo, in sintesi, il contenuto del discorso di mons. Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, intervenuto il 6 maggio, a New York, ad un incontro delle Nazioni Unite sul tema “Armonia tra le fedi: promuovere il dialogo interreligioso, la tolleranza e la cultura della pace”. Nel suo discorso, in particolare, mons. Auza ha elencato sei principi fondamentali dai quali partire per raggiungere la riconciliazione.

Allarme per influenza negativa dei media nel diffondere stereotipi
In primo luogo, il presule ha ribadito l’importanza di “rifiutare totalmente ed incondizionatamente la violenza perpetrata in nome della religione”, perché “nessuno può ritenersi un vero credente se pianifica e mette in atto atti di violenza”. Il secondo principio ricordato dall’osservatore permanente è che “la violenza ed il terrorismo non devono essere identificati con una religione, una razza, una nazionalità o una cultura specifica”. Al riguardo, mons. Auza ha puntato il dito contro “il ruolo negativo dei mass-media nel diffondere, anche implicitamente, certi stereotipi che associano la violenza a determinate religioni o culture”.

Soluzione militare non è efficace. Servono dialogo ed incontro
In terzo luogo, l’osservatore permanente ha richiamato la necessità di “perseguire, in modo incessante, il dialogo interreligioso ed interculturale, anche in mezzo a persecuzioni ed intolleranze religiose, anche tra i conflitti sociali”, perché la soluzione militare “non sarà mai una risposta efficace e duratura” a tutto questo. Ciò di cui si ha bisogno, invece, è di “una cultura dell’incontro e del dialogo che favorisca l’accettazione reciproca e promuova società inclusive, contribuendo alla pace ed alla sicurezza a lungo termine”. Di qui, il richiamo del presule all’intera società, perché un dialogo interreligioso efficace “non dovrebbe limitarsi ai leader religiosi, ma deve estendersi il più possibile a tutti i fedeli”, “portando all’incontro di cuori e menti”.

Sradicare povertà ed esclusione. La pace sia norma, non un’eccezione
Il quinto principio ribadito da mons. Auza, poi, ha riguardato “lo sradicamento delle cause dell’estremismo violento”, tra cui la povertà, la disoccupazione cronica, l’esclusione sociale, la mancanza di valori e di integrazione all’interno di una comunità. Per questo, il presule ha chiesto ai governi di “impegnarsi nell’affrontare i problemi delle comunità più a rischio di estremismo e di reclutamento dei giovani” da parte di “gruppi terroristici”. Infine, come sesto ed ultimo principio, l’Osservatore permanente ha affermato che “una società armoniosa non è mai il risultato di uno sforzo compiuto una volta per tutti, bensì piuttosto del consolidamento di migliaia di gesti quotidiani”. Di qui, l’appello conclusivo del presule a far sì che “la cultura della pace diventi uno stile di vita concreto, una norma e non un’eccezione”. (I.P.)

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Oggi in Primo Piano



Cresce protesta in Europa contro il Ttip, accordo Ue-Usa sugli scambi

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Crescono le proteste in Europa contro il Ttip, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti. In corso di negoziazione da tre anni, il trattato si pone l’obiettivo di creare una zona di libero scambio tra Stati Uniti ed Unione Europea. Per i sostenitori è un’occasione di sviluppo economico, mentre i contrari temono un indebolimento degli standard commerciali europei. Ieri in 40mila hanno manifestato a Roma contro il Ttip. Il servizio di Michele Raviart: 

Liberalizzare le merci, i servizi, gli investimenti e gli appalti pubblici e uniformare e semplificare le norme commerciali tra Europa e Stati Uniti. Un obiettivo che per i sindacati e le associazioni civili, che hanno manifestato ieri a Roma, potrebbe mettere a rischio interi settori produttivi come quello agricolo. Si teme infatti che in questo come in altri comparti economici gli alti standard di sicurezza europei siano sacrificati in nome di un libero mercato che non tutelerà a sufficienza cittadini e posti di lavoro. E che più che un’armonizzazione delle regole tra le due aree ci sia un’accettazione delle regole americane, molto diverse in campi come la sicurezza alimentare, la proprietà intellettuale e gli investimenti esteri. Tra i Paesi scettici sul trattato c’è la Francia, mentre la Germania spinge per un’accelerazione dei negoziati. Il Ttip, secondo i suoi sostenitori, favorirebbe infatti le esportazioni, le opportunità economiche e l’occupazione. I contenuti dei tredici incontri tra le parti che si sono svolti finora, il primo dei quali nel 2013 tra il presidente americano Barack Obama e dall’allora presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso, sono segreti ma, da quanto trapelato finora, saranno ancora lunghi. L’obiettivo è quello un accordo ambizioso sulla falsariga di quello in vigore tra Stati Uniti e Paesi del Pacifico come Australia e Giappone. Per entrare in vigore il trattato dovrà essere approvato dal Congresso americano e dal Parlamento Europeo.

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Filippine, elezioni: favorito Duterte e la sua lotta alla criminalità

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Domani, lunedì 9 maggio, si svolgeranno le elezioni presidenziali nelle Filippine. In 56 milioni sono chiamati ad eleggere, oltre al presidente, più di 18.000 esponenti istituzionali locali e nazionali. La scena politica si presenta nebulosa, in una situazione vivace dal punto di vista economico ma difficile sul fronte sociale. Rodrigo Duterte, definito il ‘Donald Trump d’Asia’, è favorito alle elezioni presidenziali. Il card. Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, ha invitato gli elettori a “non sprecare l’occasione” di andare al voto, perché la democrazia permette a tutti di “partecipare alla costruzione del destino del Paese”. Valentina Onori ha sentito Francesco Montessoro, docente di storia dell’Asia all’Università di Milano: 

R. – Le elezioni in questo Paese si contraddistinguono per la forte presenza di relazioni di tipo clientelare. Non esistono, ad esempio, partiti di programma né schieramenti politici che siano visti in termini di contrapposizione e di alternativa e neppure esistono partiti che abbiano veramente un carattere ideologico. Potremmo pensare alle Filippine divise tra due schieramenti tradizionali, che sono comunque presenti: i liberali e i nazionalisti. In realtà, i candidati sono spesso intercambiabili: vi sono alleanze che sono alleanze familiari e vi sono alleanze dettate dalla popolarità, dalla capacità di raccogliere consensi in determinati contesti.

D. – Noi occidentali dobbiamo vedere la campagna elettorale e le elezioni presidenziali in quale ottica?

R. – In termini sostanziali, non vi sarà un cambiamento significativo e radicale: si alterneranno presidenti in grado di influenzare la politica nazionale, ma sempre mantenendo quelle caratteristiche personalistiche familiste della politica nazionale e sostanzialmente senza una vera capacità di incidere in termini, ad esempio, di riforma.

D. – Rodrigo Duterte, uno dei candidati alle elezioni presidenziali, che vorrebbe trasformare le Filippine in Paese federale, si dice sia il Trump delle Filippine…

R. – Duterte, sindaco di Davao City, nel Sud delle Filippine, si candida alle elezioni presidenziali, ma ha messo in chiaro che a sostituirlo come sindaco sarà la figlia Sara. Per cui il contesto è pur sempre un contesto estremamente filippino ed estremamente familista. Dai sondaggi preelettorali è considerato un possibile presidente. E’ un politico un po’ sopra le righe. Sì, è vero, è stato definito il Trump delle Filippine, anche se è curiosa questa definizione, da un certo punto di vista. E’ leader, infatti, di un partito che si presenterebbe come un partito di centro-sinistra. E’ un esponente politico che, non solo parla chiaro, come tutti i populisti, ma è un esponente che dice: “La criminalità la risolveremo con le squadre della morte”. E dice: “La mia presidenza sarà sanguinaria: 100 mila criminali saranno giustiziati nelle strade e gettati nella baia di Manila”. E’ un politico con questo linguaggio inquietante e per certi aspetti un outsider, perché in realtà noi abbiamo altri candidati che rimangono più legati ad una visione per certi aspetti immobilista, ma rassicurante del clima politico. Il numero due è una donna, Grace Poe, figlia di colui che è stato un importante candidato alle elezioni presidenziali del 2004. Succede frequentemente, non solo nelle Filippine, ma in Asia, quando le donne sono in primo piano in ambito politico, lo sono in quanto esponenti di una cordata familiare importante. Vale, ad esempio, per un candidato alla vice-presidenza, che ha il nome imbarazzante di Marcos, il figlio del dittatore Ferdinand Marcos, che era stato deposto dalla rivolta di Corazón Aquino, nel 1986. Tutti hanno a che fare con una famiglia importante. La politica filippina conserva un po’ tutti, anche i personaggi più stravaganti e più imbarazzanti.

D. – In questo quadro non emergerebbe, ad eccezione di Duterte, nessuno che potrebbe portare avanti la lotta contro la corruzione…

R. – La battaglia contro la corruzione è un po’ una formula, una soluzione che poi non corrisponde veramente ad una capacità di trasformare effettivamente il sistema politico e istituzionale del Paese. I difetti, diciamo, resteranno in ogni caso. Il quadro rimane, per la verità, abbastanza incerto e il risultato definitivo si saprà nelle settimane successive.

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Arriva alla Camera il Ddl sulle unioni civili: giovedì il voto finale

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Approda domani in aula alla Camera il disegno di legge che regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina le convivenze per le persone eterosessuali. Nei giorni scorsi il via libera della Commissione giustizia che ha confermato il testo approvato a febbraio dal Senato. Il voto finale è previsto giovedì prossimo. Possibile anche il ricorso al voto di fiducia. Servizio di Giampiero Guadagni

Un provvedimento controverso quello che arriva domani in aula alla Camera. Sotto i riflettori soprattutto l’unione civile, istituita quale “'specifica formazione sociale” tra due persone maggiorenni dello stesso sesso mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni. Le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri, con l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Scatta la pensione di reversibilità e il diritto all'eredità. Non c’è più il riferimento all'obbligo di fedeltà previsto nel matrimonio. E neanche quello alla stepchild adoption, la possibilità di adottare il figlio del partner: a decidere saranno sempre i giudici. Il tema aveva provocato in Senato divisioni nella maggioranza, all’interno del Pd e con il Nuovo Centrodestra, nettamente contrario all’ipotesi. Tensioni stemperate nei giorni scorsi a Montecitorio quando sono state approvate le mozioni sull’utero in affitto: una dell’Ncd mette paletti contro una pratica contraria alla dignità della donna e impegna l’esecutivo ad attivarsi per la promozione del diritto del bambino.  

Ma la battaglia parlamentare sulle unioni civili non è finita, anche perché il governo intende porre la fiducia alla Camera. Obiettivo: approvare le unioni civili prima delle amministrative di giugno. Metodo e merito sono contestati dal Comitato “Difendiamo i nostri figli”, promotore del Family Day. Il presidente Gandolfini invita il premier Renzi ad un confronto pubblico e intanto scrive al capo dello Stato sottolineando i profili di incostituzionalità del provvedimento . E nei giorni scorsi, proprio in vista del voto del parlamento, il presidente della Cei cardinale Angelo Bagnasco aveva riaffermato la posizione della Chiesa: indebolire la famiglia e metterla sullo stesso piano di altre forme di unione va contro l’identità e l’esperienza umana. D’altra parte, sottolinea il cardinal Bagnasco, i diritti individuali che vengono legittimamente rivendicati sono già ampiamente assicurati dall’attuale ordinamento giuridico.

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Acli: il bresciano Roberto Rossini è il nuovo presidente

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Il bresciano Roberto Rossini è stato eletto nuovo presidente nazionale della Acli, le Associazioni cristiani lavoratori italiane, con l’85% dei consensi al Congresso nazionale svoltosi a San Vincenzo, in provincia di Livorno. Roberto Rossini è nato nel 1964, è sposato e ha due figlie. Vive a Brescia. Laureato in scienze politiche, è docente di diritto e metodologia della ricerca sociale presso l'istituto bresciano Maddalena di Canossa. Dal 1994 è socio Acli. Dal 2000 al 2016 è stato membro della Presidenza Provinciale delle Acli di Brescia, con delega alla Formazione e in seguito alla Comunicazione, ricoprendo il ruolo di Presidente dal 2008 al 2016. Dall'estate 2010 il Consiglio Nazionale Acli gli ha conferito la delega per la Comunicazione e successivamente è stato dal 2013 responsabile dell’Ufficio studi nazionale. “Il pensiero collettivo è la forza delle Acli” - ha detto subito dopo l’elezione - “un pensiero che nasce dalla nostra capacità di stare nella quotidianità della vita”. Ascoltiamolo al microfono di Michele Raviart: 

R. – E’ stata una cosa abbastanza inaspettata, nel senso che il Congresso ha previsto dei momenti di riflessione su più candidati, in particolare due. Nessuno dei due candidati, però, poi, ha raggiunto il quorum, previsto dal regolamento e, anziché procedere col ballottaggio, i due candidati hanno fatto una valutazione politica insieme ai rispettivi gruppi che li sostenevano, aprendo ad una possibilità di trovare una candidatura aperta. Alla fine, dunque, è diventato un Congresso unitario, direi, decisamente molto unito: il voto finale assegna alla mia candidatura l’85 per cento delle preferenze. Un risultato, direi, quindi, buono.

D. – Qual è questa linea unitaria e che impulso vuol dare lei alle Acli?

R. – Certamente c’è un “dentro” e un “fuori”, c’è un interno e un esterno. C’è un interno, che è fatto di riorganizzazione, alleggerimento della struttura, dell’organizzazione, anche di una certa razionalizzazione e di una maggiore attenzione ai territori, tenuto conto che la nostra è un’organizzazione molto strutturata. Certamente, quindi, c’è l’idea di una maggiore orizzontalità e anche di un modo molto collegiale e condiviso di decidere su alcuni aspetti. Sull’esterno, invece, la linea che è prevalsa è quella di una forte dichiarazione di attenzione al tema della povertà, al tema dell’accoglienza, della costruzione di una società inclusiva, dove possano trovare cittadinanza gli ultimi e i penultimi, rilanciando il tema che ci ha affidato Papa Francesco. Noi abbiamo tre fedeltà storiche, ma lui diceva che le nostre tre fedeltà storiche si possono riassumere in una quarta fedeltà, che è la fedeltà ai poveri.

D. – Qual è il ruolo delle Acli, appunto, al tempo di Papa Francesco?

R. – Il ruolo delle Acli al tempo di Papa Francesco è quello di sostenere anzitutto il suo magistero. Noi troviamo che il magistero di Papa Francesco sia molto sulle corde della nostra associazione - è addirittura sorprendente! - con questa grande attenzione alla dimensione della fede, dell’evangelizzazione, con l’attenzione alle situazioni di fragilità dei più poveri, che ci trova evidentemente molto in sintonia.

D. – Mettendo sempre il lavoro al centro…

R. – Noi siamo un’associazione di lavoratori che produce lavoro, che ha sempre riflettuto e fatto analisi sul tema del lavoro, che ha un ente di formazione professionale al lavoro. Il lavoro evidentemente è nel nostro dna, è quello che ci caratterizza.

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Ravasi a Pompei per la Supplica alla Vergine del Rosario

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Come ogni 8 maggio, questa domenica, migliaia di fedeli si sono recati al Santuario della Madonna di Pompei per la supplica alla Vergine del Rosario. Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ha presieduto per l'occasione la Santa Messa. Questa preghiera è stata composta nel 1883 del Beato Bartolo Longo, fondatore del Santuario campano, che fu grande propagatore del Rosario. Riguardo all’importanza di questa preghiera e del suo significato nell’Anno della Misericordia, Marco Guerra ha intervistato il preside della Pontificia Facoltà Teologica Marianum, padre Salvatore Perrella: 

R. – La festa nasce dalla devozione filiale del grande apostolo della carità di Pompei che è stato Bartolo Longo. Lui ha affidato tutta la sua opera, oltre che tutto se stesso, alla materna protezione di Maria. Egli ha voluto riscattare, rivitalizzare un luogo, che è Pompei; ha voluto riscattare una terra, una parte di umanità che viveva nella povertà più estrema: materiale, povertà sociale e povertà spirituale. Ecco, quindi, che Pompei, con il suo Santuario e le sue opere, diventa un centro di irradiazione della carità di Maria. Questo è molto importante, altrimenti non si capisce né la supplica alla Madonna di Pompei né il significato che Bartolo Longo ha dato a Maria, Madre dell’umanità.

D. –  Perché è importante questo rito e come si inserisce nell’Anno della Misericordia?

R. – Questo rito, che è un rito di riconoscimento della maternità di Maria ed è un affidare a Maria i bisogni, le speranze, le opere buone verso chi è nel bisogno, in quest’Anno della Misericordia ha veramente un grande significato. Maria è la “Mater misericordiae”, ma non è la misericordia. La misericordia, come dice Papa Francesco, si esprime in modo particolarissimo nel volto, nella persona, nell’opera e nel Vangelo di Cristo. Questa misericordia vuole dirci la inaudita prossimità di Dio Padre, di Dio giudice, di Dio infinito Amore per tutte le generazioni. Come Maria ha cantato, Dio estende la sua misericordia in generazione e in generazione, non solo per quelli che lo amano, ma per tutti quelli che hanno bisogno di misericordia. Quindi c’è questa universalità della misericordia. E qui vorrei ricordare anche l’antifona mariana “Alma Redemptoris Mater, succurre cadenti”: sì, Maria, Madre di misericordia perché l’ha sperimentata, perché creatura della misericordia in quanto prima redenta, viene in soccorso con la sua maternità, con la sua sororità – perché è Sorella nostra oltre che Madre nostra – perché sappiamo camminare nei sentieri del Vangelo della carità e della vita.

D. – Quindi, il Rosario come grandissimo strumento di misericordia...

R. – Vorrei utilizzare una parola di Bartolo Longo che è proprio nella Supplica: “Il Rosario possiamo considerarlo, perché è – come diceva Pio XII – compendio di tutto il Vangelo, allo stesso momento, proprio per questo è catena dolce che ci rannoda a Dio”. Quindi nella Supplica alla Madonna, alla Vergine Santa, noi vediamo certamente una pietà tradizionale, ma nello stesso tempo una pietà mariana attuale, perché affonda le radici nel Vangelo della misericordia e nel Vangelo della vicinanza della Madre di Gesù non solo a tutti coloro che sono nel bisogno, ma anche a tutti coloro che sono nella gioia e che, tutti, vivono la speranza del Vangelo di Cristo.

D. – Quali sono i punti cardine della spiritualità e della preghiera creata dal Beato Bartolo Longo, questa “Supplica”?

R. – L’affidamento a Maria: un affidarsi attivo, non passivo, sapendo bene che la Vergine può essere presa e considerata e accolta come segno della misericordia, come sacramento umano della vicinanza di Dio. Lei che è la Madre di Colui che è il Figlio di Dio, può essere nella coscienza dei credenti, nella coscienza che si esprime anche nella “Supplica”, Colei che può veramente dare senso, Colei che può dare provvidenza a tutti noi che abbiamo sempre bisogno di vivere sotto l’aura di questa grande Madre, di questa grande donna di fede e di questa grande Sorella che è Maria di Nazareth. Quindi le preghiere mariane – in primis il Rosario, l’Angelus, gli inni, ma anche la stessa preghiera del cuore, quella che sgorga naturalmente verso una persona che amiamo e che ci ama – sono uno spazio assai utile sia dal punto di vista dell’igiene del pensiero e della preghiera sia dal punto di vista della comunione. La preghiera è incontro, la preghiera è comunione, la preghiera è affidamento: è un affidarsi a Cristo che ci accoglie e ci accoglie come sua Madre.

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Nella Chiesa e nel mondo



Turchia bombarda l'Is in Siria. Attentato jihadista al Cairo

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In Siria l’artiglieria turca ha bombardato alcune postazioni del sedicente Stato Islamico nel nord del Paese. Uccisi 55 miliziani in un’area a 12 chilometri dalla città turca di Kilis, ripetutamente attaccata oltreconfine dai razzi dell’Is. Intanto in Egitto, il gruppo affiliato allo Stato Islamico che opera nel Sinai ha rivendicato un attacco contro la polizia egiziana ad Helwan, alle porte meridionali del Cairo, in cui sono morti 8 agenti. I quattro aggressori, vestiti con abiti civili, sono scesi da un pick-up, hanno fermato un veicolo della polizia e si sono dati alla fuga dopo aver sparato. (M.R)

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Messico, elezioni a Oaxaca. Vescovi: proposte, non promesse

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“Di fronte alla realtà occorrono proposte, non promesse”: scrive così mons. Oscar Campos Contreras, vescovo della diocesi messicana di Tehuantepec, in un messaggio diffuso in vista delle elezioni federali che si terranno nello Stato di Oaxaca, il 5 giugno. Nel sottolineare “le gravi situazioni sociali che rabbuiano la vita e la speranza della comunità” locale, il presule auspica che il processo elettorale non sia “un momento per offrire promesse in cambio di voti”, bensì “un’opportunità per crescere nella responsabilità civica di partecipare, con sempre maggiore consapevolezza, alla costruzione di una società capace di vivere in armonia, rispetto e giustizia”.

Non rassegnarsi al male, ma ricostruire la società con i valori umani
In tale contesto, mons. Campos segnala le principali urgenze da affrontare: il clima di crescente insicurezza e violenza, alimentato da “sequestri di persona, estorsioni, omicidi” che “spaventano la popolazione e la rendono diffidente nei confronti delle istituzioni”, incoraggiando “una cultura del disprezzo della vita in tutte le sue fasi”, per di più imposta “come se fosse una cosa naturale”. Per questo, senza “rassegnarsi a vivere in ginocchio di fronte al male”, il presule ribadisce che “oggi più che mai è essenziale rafforzare i valori umani e ricostruire il tessuto sociale danneggiato dal crimine organizzato, diffuso in tutti gli ambiti” della società.

Politica sia vocazione al servizio della comunità
Il vescovo di Tehuantepec punta poi il dito contro “la corruzione e l’impunità che vanno di pari passo con quanto appena detto, perché la mancanza di uno Stato di diritto permette che la legge del più forte o del più furbo prevalga sul bene comune di tutti”. In tal modo, la politica cessa di essere “l’espressione di una vera vocazione al servizio della comunità”, mentre spesso si riscontra “una cattiva gestione delle risorse pubbliche”. Per questo il presule invoca “una reale trasparenza” nel settore politico ed amministrativo.

Allarme povertà e disoccupazione. Giovani vittime del narcotraffico
Altro punto dolente evidenziato da mons. Campos riguarda la povertà e la disoccupazione che – spiega – “sono un terreno fertile per la violenza, il deterioramento della vita familiare e la frustrazione dei giovani”. Nel ricordare che il 67 per cento della popolazione locale patisce alti livelli di indigenza, il vescovo raccomanda alle istituzioni di creare posti di lavoro a salario adeguato, anche per arginare il fenomeno della migrazione a scopo occupazionale che “disintegra le famiglie ed altera i valori culturali della popolazione, soprattutto fra i giovani, i quali finiscono per vedere nella droga e nel narcotraffico un modo facile per guadagnare”.

Ripartire da un’istruzione di qualità per garantire sviluppo umano
Essenziale inoltre, scrive ancora mons. Campos, è puntare su un’istruzione di qualità che garantisca uno sviluppo umano adeguato, basato su valori fondamentali. Offrire ai giovani di oggi un futuro da ignoranti, afferma il presule, “è un atto criminale”, perché “con l’ignoranza non si ottiene alcun profitto politico, economico o sociale”.

Educare alla pace e alla convivenza
Infine, mons. Campos, suggerisce alcune proposte per ottenere “un reale miglioramento nella vita delle persone e dei popoli” e “superare il crescente malcontento sociale”: affrontare i conflitti sociali impegnandosi per la pace e tutelando la vita, la dignità ed i diritti fondamentali dell’essere umano; promuovere la cultura del dialogo come “via privilegiata” per contribuire al bene comune; sostenere la comunità nella gestione e partecipazione alla vita pubblica; prevenire la violenza, “malattia endemica” che richiede “misure preventive”, come una maggiore attenzione per famiglia, la scuola ed i giovani, e l’educazione alla pace ed alla convivenza. “Non abbiate paura di servire con onestà, generosità ed efficacia – conclude mons. Campos, rivolgendosi ai candidati delle prossime elezioni – Questo è quello che la gente chiede e di cui ha bisogno”. (I.P.)

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Zambia: entro il 2016 trasmissioni della prima tv cattolica

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Il nome esiste già: “Lumen TV Zambia”, le trasmissioni invece dovrebbero partire entro la fine del 2016. Si tratta della prima televisione cattolica capace di trasmettere su tutto il territorio nazionale del Paese, progetto che da anni la Chiesa locale sperava di poter realizzare. È infatti dal 1994 che i vescovi zambiani hanno iniziato una riflessione sull’uso dei mezzi di comunicazione di massa per l’evangelizzazione, puntando inizialmente soprattutto sulle radio. Il risultato è stata la creazione di una serie di stazioni diocesane, che fino a questo momento hanno rappresentato il mezzo più efficace per la comunicazione del messaggio del Vangelo e la formazione dei fedeli laici.

Nuove chiese e media
In un contesto che cambia rapidamente, però, questo non può più bastare: secondo i dati del governo di Lusaka, ormai il 94% delle famiglie zambiane possiede un televisore e il video è diventato il primo mezzo di diffusione anche per i contenuti religiosi. A fornirli sono oggi soprattutto una serie di canali legati a denominazioni protestanti, o addirittura di proprietà di gruppi fondamentalisti e ostili alla Chiesa cattolica. Per questo, spiega padre Cleophas Lungu, segretario generale della Conferenza episcopale, “i vescovi hanno deciso di far partire il progetto di una televisione cattolica su base nazionale”.

Fame di spiritualità
L’impatto dei media religiosi sulla vita quotidiana degli zambiani non può essere sottovalutato: il Paese, come molti altri in Africa, assiste da anni a una crescita forte delle nuove Chiese d’ispirazione evangelica e pentecostale, spesso fondate da predicatori locali e in alcuni casi, strumento delle loro fortune è stata proprio la tv. Altrettanto importanti sono gli effetti di questo fenomeno a livello di pratica religiosa. Pur raccogliendo ancora circa la metà dei cristiani zambiani (che complessivamente sono l’87% della popolazione), la Chiesa cattolica vede sempre più fedeli avvicinarsi alle nuove confessioni e alle loro celebrazioni mediatiche. “Questo avviene soprattutto per il tipo di messaggio che trasmettono, una predicazione che enfatizza la possibilità di diventare ricchi attraverso l’appartenenza a una determinata Chiesa; – nota ancora padre Lungu - allo stesso tempo -  ammette però il religioso - è chiaro che esiste “una fame di spiritualità, che viene soddisfatta anche da questi canali: la presenza di una TV cattolica ci permetterà di colmare questo vuoto”.

Nel palinsesto anche programmi d’informazione ed educazione
I programmi strettamente religiosi, però, saranno solo una parte dell’offerta di “Lumen TV”, che punterà anche sull’informazione e sull’educazione a buone pratiche di sviluppo sociale, ad esempio in ambito sanitario: un prolungamento, quindi, dell’azione che la Chiesa già svolge da anni sul territorio nazionale.  “Si tratta di comunicare uno stesso messaggio in maniera più efficace – sintetizza il segretario generale della conferenza episcopale -. In passato la catechesi tradizionale bastava, ma oggi, soprattutto nei confronti dei giovani, continuamente connessi, attraverso i telefoni, a reti sociali come Facebook e Twitter, dobbiamo adattare i nostri metodi di evangelizzazione e di annuncio della Parola di Dio”. In questo senso, conclude il sacerdote, “il lancio di una televisione cattolica su base nazionale sarà il primo passo nell’esplorare nuove piattaforme e nuovi modi di portare avanti la missione della Chiesa: predicare il Vangelo in tutto il Creato”. (A cura di Davide Maggiore per il Sir)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 129

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.