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Sommario del 10/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: missionario è uno che “brucia” la vita per Gesù

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La docilità alla voce dello Spirito, che spinge a “bruciare” la vita per l’annuncio del Vangelo anche nei posti più lontani. È questa la caratteristica di fondo di ogni donna e uomo che sceglie di servire la Chiesa andando in missione. Un aspetto sul quale Papa Francesco ha riflettuto durante l’omelia della Messa del mattino, celebrata in Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Una chiamata che “costringe”, una spinta irresistibile a prendere la propria vita e a donarla a Cristo, di più: a “bruciarla” per Lui. C’è questo nel cuore di ogni apostolo. Era il fuoco che bruciava il cuore di San Paolo, è lo stesso fuoco che, constata il Papa, arde in quei “tanti giovani, ragazze e ragazzi, che hanno lasciato la patria, la famiglia e sono andati lontano, in altri continenti, ad annunciare Gesù Cristo”.

“Costretti” dallo Spirito
La riflessione di Francesco è ispirata al brano degli Atti degli Apostoli che racconta il congedo di Paolo dalla comunità di Mileto. Una scena toccante: Paolo sa, e lo dice, che non vedrà più quella gente, i presbiteri di Efeso che ha mandato a chiamare e adesso gli sono attorno. È l’ora di andare a Gerusalemme, è lì che lo Spirito lo conduce, lo stesso Spirito del quale riconosce l’assoluta signoria sulla sua vita, che sempre lo ha spinto all’annuncio del Vangelo affrontando problemi e pene. “Credo – osserva il Papa – che questo brano ci evochi la vita dei nostri missionari” di tutte le epoche:

“Andavano costretti dallo Spirito Santo: una vocazione! E quando, in quei posti, andiamo nei cimiteri, vediamo le loro lapidi: tanti sono morti giovani, a meno di 40 anni. Perché le malattie del posto non erano preparati per sopportarle. Hanno dato la vita giovani: hanno ‘bruciato’ la vita. Io penso che loro, in quell’ultimo momento, lontani dalla loro patria, dalla loro famiglia, dai loro cari, abbiano detto: ‘Valeva la pena, quello che ho fatto!’”.

Missionari, gloria della Chiesa
“Il missionario va senza sapere cosa lo aspetta”, insiste il Papa, che cita il congedo dalla vita di S. Francesco Saverio narrato da José María Pemàn, scrittore e poeta spagnolo del ‘900. Una pagina che evoca quella di S. Paolo: “So soltanto – aveva detto l’Apostolo nel suo discorso di saluto – che lo Spirito Santo, di città in città, mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni”. “Il missionario sa che non sarà facile la vita, ma va avanti”, commenta Francesco, che si commuove al pensiero degli apostoli di oggi:

“I missionari nostri, questi eroi dell’evangelizzazioni dei nostri tempi. L’Europa che ha riempito di missionari altri continenti… E questi se ne andavano senza tornare… Credo sia giusto che noi ringraziamo il Signore per la loro testimonianza. E’ giusto che noi ci rallegriamo di avere questi missionari, che sono veri testimoni. Io penso a come sia stato l’ultimo momento di questi: come può essere stato il congedo? Come Saverio: “Ho lasciato tutto, ma valeva la pena!”. Anonimi, se ne sono andati. Altri martiri e cioè offrendo la vita per il Vangelo. Sono la nostra gloria questi missionari! La gloria della nostra Chiesa!”.

Ragazzi, “bruciate” la vita per cause nobili
Una qualità del missionario, dunque, è la “docilità”, dice Francesco. Che conclude con una preghiera: che più dell’“insoddisfazione” che cattura i “nostri giovani di oggi” la voce dello Spirito “li costringa ad andare oltre, a ‘bruciare’ la vita per la cause nobili”:

“Io vorrei dire ai ragazzi e alle ragazze di oggi che non si sentono a proprio agio – ‘ma, non sono tanto felice con questa cultura del consumismo, del narcisismo…’: ‘Ma guardate l’orizzonte! Guardate là, guardate a questi nostri missionari!’. Pregare lo Spirito Santo che li costringa a andare lontano, a ‘bruciare’ la vita. E’ una parola un po’ dura, ma la vita vale la pena viverla. Ma per viverla bene, ‘bruciarla’ nel servizio, nell’annunzio, e andare avanti. E questa è la gioia dell’annuncio del Vangelo”.

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Presto Santi il fondatore dei "frati operai" e un martire lasalliano

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La Chiesa avrà due nuovi Santi. Si tratta del Beato Ludovico Pavoni, fondatore della Congregazione dei Figli di Maria Immacolata, e del Beato Salomone Leclercq, dei Fratelli delle Scuole Cristiane, morto martire alla fine del Settecento. Nei Decreti approvati da Papa Francesco – nell’udienza concessa ieri al cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi – viene riconosciuto per entrambi un miracolo ottenuto grazie alla loro intercessione. Il servizio di Alessandro Gisotti

È un sacerdote particolarmente brillante quello che viene ordinato a Brescia nel 1807. Ludovico Pavoni è stimato dal suo vescovo, che gli affida vari incarichi, tra cui un istituto per adolescenti e giovani poveri o abbandonati.

Educatore all’avanguardia
In 30 anni, don Ludovico affina un metodo educativo e di istruzione all’avanguardia, che anticipa le moderne scuole professionali. Anche quando fonda la Congregazione religiosa dei Figli di Maria Immacolata, i cosiddetti “frati operai”, la sua immaginazione apostolica sorprende le autorità, che verificano a lungo l’opera dell’Istituto prima di dare la loro approvazione. Muore a 65 anni, nel 1849.

Martire della Rivoluzione francese
Diversa la storia del Beato Salomone Leclercq (al secolo Guglielmo-Nicola-Ludovico), vissuto nella seconda metà del ‘700. Quando la Rivoluzione francese stringe i suoi lacci attorno alla Chiesa, la persecuzione colpisce duramente anche i membri dell’Istituto delle Scuole Cristiane, meglio noti come Lasalliani. La legge considera illegali le strutture ecclesiali e chiede ai religiosi di venir meno ai loro voti pena la morte. Fratel Salomone è il primo Lasalliano a subire il martirio, il 2 settembre 1792, nel giardino del convento dei Carmelitani di Parigi, riorganizzato come prigione. Aveva 46 anni.

Nuovo Venerabile
I Decreti approvati dal Papa riconoscono anche le virtù eroiche del Servo di Dio Raffaele Emanuele Almansa Riaño, sacerdote diocesano, già professo dell’Ordine dei Frati Minori, nato il 2 agosto 1840 e morto il 28 giugno 1927.

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Dal Padiglione della Santa Sede all'Expo raccolti fondi per i rifugiati in Giordania

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Secondo i desideri di Papa Francesco, i fondi raccolti all’interno del padiglione della Santa Sede a Expo Milano 2015 sono stati destinati al progetto per la creazione di posti di lavoro per i rifugiati siriani ed iracheni in Giordania. Il progetto sarà realizzato dalla Caritas Giordania presso il Centro di Santa Maria della Pace di Amman. La cifra destinata all’iniziativa è di 150mila dollari, offerti liberamente dai numerosi visitatori del padiglione della Santa Sede a Expo Milano 2015. ​Il progetto sarà inaugurato giovedì prossimo alla presenza del Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, mons. Tejado Muñoz, che si recherà in missione ad Amman da domani al 13 maggio. Il servizio di Roberto Piermarini

I fondi raccolti per i rifugiati siriani ed iracheni in Giordania
Il progetto, presentato al Pontificio Consiglio “Cor Unum”, che lo ha valutato in collaborazione con il Pontificio Consiglio della Cultura, intende venire incontro al desiderio di Papa Francesco di impiegare quanto raccolto all’interno del padiglione in favore delle fasce più deboli che stanno soffrendo gli esiti della guerra in Siria e Iraq: ovvero i rifugiati, le loro famiglie e i loro figli, che in un gran numero si trovano oggi in Giordania.

Le difficoltà per i rifugiati di trovare lavoro in Giordania
La Giordania infatti è uno dei principali Paesi di accoglienza: 130mila sono al momento gli iracheni (quasi 1,3% della popolazione), oltre a 1 milione e 300 mila siriani. Le cifre aumentano se si considerano anche coloro che non si sono ancora registrati attraverso le Nazioni Unite. Il direttore di Caritas Giordania, Wael Suleiman, ha detto che, nonostante l’impegno della Chiesa locale e delle autorità governative, rimane estremamente difficile per i rifugiati trovare lavoro: “Molti lo cercano per vivere più dignitosamente, spesso senza avere contratti. Ma il mercato non offre molte opportunità”.

Saranno aiutati circa 500 iracheni all’anno
In tal senso, il progetto servirà ad assicurare un lavoro regolarmente retribuito a 15 rifugiati iracheni, impiegandoli nella produzione di conserve e nella coltivazione e vendita di olio e ortaggi. Oltre ai 15 impiegati, beneficeranno dei proventi anche i relativi nuclei familiari, i quali diventeranno così in grado di auto-sostenersi. Il progetto fornirà anche un percorso di formazione professionale di falegnameria, agricoltura e industria alimentare per circa 200 iracheni, e grazie all’impiego di lavoratori occasionali saranno aiutati circa 500 iracheni all’anno. La cifra stanziata coprirà le spese per i primi sei mesi, mentre la fase di auto-sostentamento dovrebbe iniziare subito dopo grazie al ricavato delle vendite dei prodotti.

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Giornata amicizia copto-cattolica, Papa scrive a Tawadros II

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“Cattolici e copti possono testimoniare insieme valori importanti come la santità e la dignità di ogni vita umana, la santità del matrimonio e della vita familiare e il rispetto per la creazione affidataci da Dio”. Così scrive Papa Francesco per l’odierna Giornata dell’amicizia copto-cattolica, nella Lettera inviata al Patriarca della Chiesa copta ortodossa, Tawadros II. Il servizio di Roberta Gisotti

Sottolinea Francesco i passi intrapresi insieme, cattolici e copti, “lungo il cammino di riconciliazione e amicizia”, “dopo secoli di silenzio, incomprensione persino ostilità”, sempre più dialogando e cooperando “nel proclamare il Vangelo e servire l’umanità”. Ricorda con piacere l’ultimo incontro avuto con Tawadros a Roma nel maggio 2013 e la generosa ospitalità offerta del Patriarcato della Sede di San Marco, durante la 13.ma riunione della Commissione internazionale per il dialogo teologico tra Chiesa cattolica e Chiese orientali ortodosse, svoltasi al Cario nel gennaio-febbraio scorso.

“In questo rinnovato spirito di amicizia – scrive il Papa – il Signore ci aiuti a vedere che il legame che ci unisce è nato dalla stessa chiamata e missione che abbiamo ricevuto dal Padre nel giorno del nostro Battesimo". Anche se – osserva Francesco – aspettiamo ancora il giorno in cui ci riuniremo allo stesso tavolo eucaristico, siamo già capaci ora di mostrare la comunione che ci unisce. “Di fronte alle molte sfide contemporanee, copti e cattolici – sottolinea Francesco – sono chiamati a offrire risposte comuni fondate sul Vangelo”, consapevoli che “ciò che ci unisce è più grande di ciò che ci divide”. Il pensiero del Papa corre poi alla comunità cristiane in Egitto e Medio Oriente, dove “molti stanno sperimentando gravi disagi e situazione tragiche” e specialmente in Iraq e Siria, i fratelli e le sorelle cristiani e le comunità di altre religioni si trovano ad affrontare prove quotidiane. Auspica Francesco che la comunità internazionale possa rispondere “saggiamente e giustamente a tale violenza senza precedenti”.

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Papa, tweet: difficoltà stimolino unità per il futuro europeo

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Le difficoltà siano stimolo di unità, per vincere le paure e costruire insieme il futuro dell’Europa e del mondo”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Vittime di una violenza inaudita: in una lettera al patriarca ortodosso Tawadros II il Papa torna a denunciare le persecuzioni contro i cristiani e le minoranze religiose.

Sull'assemblea dell'Unione internazionale delle superiore generali, in prima pagina un editoriale di Lucetta Scaraffia dal titolo "Ottocento suore".

Grecia sotto la lente: dall'inviata a Strasburgo Fausta Speranza in occasione della plenaria dell'Europarlamento.

Democrazia monastica: Giovanni Cerro su interpretazioni della Regola benedettina.

Un articolo di Cristian Martini Grimaldi dal titolo "Poco preparati e poco interessati": gli universitari giapponesi di fronte ai grandi temi dell'attualità.

Il mantello della carità: Alberto Fabio Ambrosio su san Martino viandante europeo.

Poesia ariosa: Francesca Romana de' Angelis su Matteo Maria Boiardo e la lotta politica. 

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Oggi in Primo Piano



Elezioni Filippine, Affatato: con Duterte governo più accentratore

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Un uomo forte contro il crimine e la corruzione. Così è definito in patria il nuovo presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte. Prima procuratore e poi ex sindaco di Davao, comune a sud del Paese, si è affermato con più del 36%, superando gli altri candidati tra i quali Leni Lobredo – seconda nella tornata elettorale – che potrebbe diventare vicepresidente di Duterte in seguito al termine delle operazione di scrutinio. Intanto, sulla figura del fresco vincitore si addensano i dubbi e i timori di una parte dell’opinione pubblica del Paese, che vedrebbe nella sua elezione un potenziale rischio per la democrazia nazionale in caso di riforma costituzionale - da lui promessa - per rinforzare il ruolo del governo a scapito del parlamento. Su questi temi, Daniele Gargagliano ha chiesto il commento dell’esperto di Sudest asiatico, Paolo Affatato: 

R. – Non credo ci sia il rischio per una svolta autoritaria: la democrazia nelle Filippine è in qualche modo solida, dopo l’era del dittatore Marcos. Sono ormai 30 anni che il sistema democratico si è ben radicato. Quella della svolta autoritaria è stata una indicazione che è circolata anche nella campagna elettorale, specialmente tra gli avversari di Duterte: hanno cercato in qualche modo di delegittimarlo di fronte all’opinione pubblica, mettendo in luce la sua personalità e la sua azione politica che ha sperimentato per 22 anni come sindaco di Davao. Anche alcune organizzazioni – come "Human Rights Watch" – hanno segnalato la sua presunta complicità nell’azione dei cosiddetti “squadroni della morte”, bande di militanti e di vigilantes che sono sospettati di aver ucciso oltre mille persone. Però, proprio in questi giorni, il governo stesso ha detto ufficialmente che non ci sono prove del collegamento tra Duterte e queste milizie. Io direi che si può parlare di una gestione del governo che potrebbe essere un po’ più accentratrice, piuttosto che ad un reale pericolo di una nuova dittatura nelle Filippine.

D. – A conferma dei timori su un possibile ritorno ad un regime più autoritario, si parla anche del figlio dell’ex dittatore Marcos per la vice presidenza della Repubblica…

R. – Il figlio di Marcos è al secondo posto e sembra che la candidata Robredo possa essere la vicepresidente. Sappiamo che nelle Filippine anche il vice non è scelto dal presidente, ma viene eletto dal popolo. In ogni caso, qui si apre un’altra questione molto importante nella politica filippina: quella cioè dei clan familiari, del familismo, del fenomeno del cosiddetto “crony capitalism”, che significa un capitalismo clientelare, parentale, che è una locuzione venuta fuori e inventata proprio nell’era del dittatore Ferdinando Marcos. Oggi, è suo figlio quello che si candidata alla vicepresidenza… Nelle Filippine, la scena politica è stata dominata da pochi clan familiari che hanno gestito il potere politico, ma anche quello economico. Duterte, a sua volta, invece, è un outsider: non fa parte di quei clan che hanno sempre mantenuto il potere e quindi anche la presenza – come potrebbe essere probabile, se non certa – del figlio di Marcos come vicepresidente non credo che dia adito a un ragionamento sul tema della possibile svolta dittatoriale.

D. – La condanna netta verso la corruzione, il pugno duro contro la criminalità sono stati i punti forti – in campagna elettorale – che l’hanno premiato dagli elettori. C’era già, quindi, un forte malcontento nella popolazione verso la classe politica?

R. – C’è stato un desiderio di cambiamento, cui Duterte si è fatto interprete. E’ vero che le Filippine sono una nazione che negli ultimi anni ha registrato una crescita economica con la media del 6%, quindi piuttosto alta anche rispetto alle altre nazioni dell’area. Però è anche vero che questa crescita ha avuto poco effetto sul miglioramento della vita delle fasce più povere. Ci sono ancora situazioni veramente di grande povertà… Il fenomeno della corruzione ha attraversato anche l’ultimo sessennio del presidente Aquino, che è stato vicino, anche lui, all’accusa di impeachment.

D. – Fra i punti toccati dall’ex sindaco di Davao anche un progetto di riforma dello Stato, per dare più potere al governo a scapito del parlamento…

R. – Questo è uno dei pochi punti politici su cui Duterte si è espresso in campagna elettorale, anche se in modo molto generico. Sappiamo che nelle Filippine una riforma costituzionale è allo studio da molti anni, se ne parla almeno da 15 anni. Però, poi, non si è mai potuta effettivamente realizzare. Bisognerà vedere poi quale sarà la composizione del Congresso e del parlamento. Ma non credo che sarà un disegno molto facile da realizzare.

D. – Al di là degli slogan, non c’è comunque un rischio di un pugno troppo autoritario e quindi di una reazione sociale all’interno della popolazione?

R. – Una cosa è governare una città come Davao, altro è invece governare la nazione, con tutte le sue regioni, con tutta la sua complessità. Quindi, non sarà neanche facile per Duterte mettere in pratica questo suo desiderio di “ripulire” dalla criminalità l’intera nazione. E non sarà facile farlo pensando alle Filippine e pensando a un territorio ristretto come può essere quello di un comune. Effettivamente, ci siamo un po’ fermati a slogan, che avranno però bisogno di politiche concrete per essere messi in atto.

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Brasile, scontro Camera-Senato su impeachment Roussef

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In Brasile, è scontro istituzionale per la revoca dell’annullamento al voto di avvio dell’impeachment della presidente, Dilma Rousseff. Il Senato ha dato il via libera al processo di destituzione ignorando la decisione della Camera di sospenderlo. Maranhao, il presidente ad interim della Camera, aveva inizialmente annunciato che il voto del 17 aprile, con cui si dava il via libera alla procedura di impeachment, era stato annullato. Poi la smentita. Sui possibili scenari della situazione politica brasiliana, l'opinione di Gilberto Bonalumi, il consigliere scientifico dell’Ispi per l’America Latina, al microfono di Valentina Onori: 

R. – Il conflitto istituzionale è già iniziato da tempo. Questa sorta di caos istituzionale è in campo ormai da alcuni mesi, nel senso che anche la motivazione dell’impeachment è ancora tutta da costruire in maniera credibile.

D. – Ieri, l’annuncio che il voto del 17 aprile veniva annullato, poi è stato revocato. Come mai queste indecisioni?

R. – Come sempre, anche in situazioni come questa, si dà una spiegazione sul piano della debolezza politica, perché Dilma non è Lula.

D. – Quindi, è un fatto di debolezza politica del governo?

R. – Questa debolezza politica è nata fin dal risultato elettorale, è una debolezza nella gestione di questa seconda presidenza di Dilma, nata già nella lettura delle ultime elezioni presidenziali. In questi ultimi anni i cinesi ha smesso di camminare per quelle terre. Quindi, una Cina per una serie di ragioni meno presente, la diminuzione delle materie prime e così via, ha ridotto le entrate. Questo, allora, si è riversato sull’economia brasiliana e si è riversato su tutte quelle politiche sociali che indubbiamente Lula aveva fatto. Prendere 40 milioni di persone, infatti, e tirarle fuori dalla povertà più assoluta, determinare qualcosa come 30 milioni di persone appartenenti alla classe media, cioè gente che potenzialmente, finalmente, poteva acquistare un televisore, un frigorifero, magari iniziare ad avere qualche soldo per mandare i figli alle scuole superiori, tutto questo è stato in un certo senso frenato. Aggiungi poi un quadro di corruzione, su cui tutti si sono soffermati, sulla stampa e così via, in più, un Paese grande come il Brasile, in cui si sono formati qualcosa come 28 partiti, che sono spesso partiti dei singoli Stati... Ma quando si fa un partito dello Stato di Bahia, in qualche misura diventa un tuo interlocutore con cui devi mediare, devi accettare dei compromessi. Tutte queste cose messe insieme, quindi, creano una crisi economica e politica incredibile.

D. – E se intervenisse il Tribunale supremo federale?

R. – La scelta finale è del Senato, che però per dare una garanzia di trasparenza è presieduto non dal presidente del Senato, ma dal Tribunale federale. L’ultima fase, cioè, che mette fuori gioco la Dilma, che per otto anni non può far più niente politicamente e istituzionalmente, è quella del Senato, che però è presieduto dal presidente del Supremo tribunale federale.

 

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Per la prima embrioni coltivati in vitro nei primi 13 giorni

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Ha acceso il dibattito scientifico una ricerca condotta negli Stati Uniti e in Gran Bretagna che per la prima volta ha consentito la coltivazione "in vitro" dell’embrione nei primi 13 giorni di vita. Oltre a rappresentare un record, visto che finora non ci si era spinti oltre i 9 giorni, l’esperimento pone importanti interrogativi etici sul fronte della ricerca, del rapporto con il corpo materno e del riconoscimento giuridico dell’embrione. Paolo Ondarza

Non era mai accaduto. I primi 13 giorni di vita umana prodotti in laboratorio, al di fuori cioè del corpo materno. E’ il risultato degli studi realizzati dalle Università Rockfeller di New York e di Cambridge. Si può parlare di rivoluzione in campo scientifico? Risponde Domenico Coviello, direttore del Laboratorio di genetica umana all’Ospedale Galliera di Genova:

 R. – Concordo sul fatto che sia una ricerca rivoluzionaria, per il fatto che non era mai stato possibile arrivare alla coltivazione fino al 13.mo giorno. Quello che viene riportato è la possibilità tecnica dell’embrione di riprodursi in queste giornate, senza usufruire dell’ambiente, quindi dell’annidamento nell’utero materno, ma completamente in un ambiente esterno.

D. – La stampa si è affrettata a concludere ciò che la ricerca non ha invece ancora dimostrato e cioè che nei primi giorni di vita non c’è dialogo con il corpo materno. Ma è così professore?

R. – Direi che questa, invece, sia una libera interpretazione della stampa, ma non uno dei dati che viene riportato. Un conto, quindi, è capire che lo sviluppo fisico delle cellule va avanti fino alla 13.ma giornata, ma questi dati non dimostrano che sia inutile il dialogo con la mamma, che invece avverrebbe nell’ambiente uterino. Noi non abbiamo nessuna dimostrazione delle conseguenze di questo mancato dialogo. Siamo assolutamente sicuri che ci sia un continuo scambio di informazioni genetiche fra l’ambiente materno e il feto e questo è dimostrato anche dalla presenza del dna fetale nel sangue materno circolante. Quindi ci sono tantissimi messaggi, molto piccoli, che sono in grado di passare le barriere della placenta o del tessuto, dove c’è lo scambio di nutrimento fra il feto che si sviluppa e la mamma, e tutti questi messaggi ci sono normalmente. Sicuramente, in questi 13 giorni l’assenza di un ambiente materno non ha impedito che le cellule si riproducessero, ma non sappiamo ancora – perché non abbiamo la visione della continuazione dello sviluppo – quali siano le mancanze che subirà il feto, senza il dialogo con la madre.

D. – Da un punto di vista etico, quali conseguenze ha questo esperimento? L’obiettivo ambizioso di creare artificialmente la vita umana è più alla portata?

R. – Dal punto di vista etico, sicuramente bisognerebbe dare un giudizio su questa volontà: provare a riprodurre l’organismo umano completamente al di fuori del corpo umano. Il fatto, però, che la maggior parte delle legislazioni non permettano di far andare avanti questo tipo di sperimentazione è perché non ci sono assolutamente garanzie sugli effetti dello sviluppo umano "in vitro", sul fatto che non ci siano danni.

D. – Qualora venissero a cadere i vincoli giuridici che a livello internazionale vietano la ricerca, la clonazione umana potrebbe andare avanti?

R. – Potrebbe andare avanti come è successo per Dolly, ma programmare degli individui che poi si ammalano, o presentano dei grossi difetti, è una sperimentazione talmente brutale che, a oggi, gli Stati non lo permettono.

Quali le considerazioni giuridiche da questa duplice ricerca scientifica? Carlo Casini, presidente onorario della Federazione Europea dei Movimenti per la Vita “Uno di noi”:

R. – Prima di tutto, affermo che è una buona notizia, perché dimostra che l’embrione fin dall’inizio del concepimento non è una parte del corpo materno, ma è una realtà, una entità che si sviluppa in modo autonomo. All’epoca del dibattito sull’aborto, uno degli argomenti a favore dell’aborto legale era appunto la mancanza di autonomia del concepito. Non è così, come dimostrano questi studi. Dal punto di vista giuridico, bisogna dire che la Corte costituzionale italiana ha stabilito il principio che l’embrione umano, fin dal concepimento – il concepito cioè – non è una cosa, non è un grumo di cellule, ma è dotato di una soggettività. Se è un essere umano è un essere umano sempre: se è così, va trattato come qualsiasi altro essere umano. Non può essere, quindi, sottoposto a sperimentazione, se non quando questa sia utile per lui stesso, non per gli altri. Le nuove ricerche quindi non cambiano nulla, quindi, ma anzi rafforzano, secondo me, questa visione giuridica: che l’embrione non è una cosa, non è un oggetto, ma – dice la Corte Costituzionale – è dotato di soggettività, cioè è un soggetto.

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Save the Children rilancia la campagna "Illuminiamo il futuro"

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Ancora una volta l’Italia dimostra di essere anni luce lontana dai target europei e ancora una volta è il sud della Penisola a dare conto del divario che riguarda la povertà educativa di bambini e adolescenti. E’ Save the Children, nel suo ultimo Rapporto, a dare conto delle scarsità di servizi per l’infanzia e dell’insufficienza della qualità dell’offerta educativa. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Sicilia e Campania al primo posto, seguite da Calabria, Puglia e Molise: il Mezzogiorno di Italia ha il primato di maggiore povertà educativa, laddove cioè i minori hanno meno possibilità di apprendere. Lombardia, Emilia Romagna e Friuli, le regioni più virtuose. Con il Rapporto “Liberare i bambini dalla povertà educativa: a che punto siamo?”, Save the Children, che ha lanciato ieri per sette giorni una campagna ad hoc, ci dice i bambini che vivono in condizioni di forte deprivazione economica sono i più esposti alla povertà educativa. E in Italia oltre un milione di bambini vive in povertà assoluta. Raffaela Milano è il direttore del programma Italia-Europa dell’Organizzazione:

R. – Noi abbiamo voluto provare a misurare la povertà educativa attraverso alcuni indicatori che riguardano l’offerta dei servizi educativi. Ad esempio: il numero di bambini che hanno la possibilità di accedere ad un asilo nido; quanti riescono ad avere un servizio di mensa; quanti hanno la scuola a tempo pieno e così via, e poi altri indicatori che, invece, riguardano gli effetti e gli esiti del percorso formativo. Di conseguenza, ad esempio, un dato molto critico è quello che riguarda i ragazzi di 15 anni che non raggiungono i livelli minimi di competenze in matematica o in italiano, oppure quello del tasso di dispersione scolastica. Tutti gli effetti, quindi, della povertà educativa nella vita e nella biografia dei bambini.

D. – Guardando la classifica delle regioni, appare evidente la stretta correlazione tra povertà in termini economici e povertà educativa…

R. – Sì ed è ancora più grave se consideriamo che è proprio nei luoghi del Paese in cui la povertà minorile è più forte. Quindi, servirebbe una rete di servizi educativi, ma questa rete educativa invece è un po’ lo specchio della povertà economica. Quindi, è una rete più debole. In Calabria, per esempio, solo 2 bambini su 100 hanno accesso all’asilo nido e noi sappiamo che un solo anno di un asilo nido di qualità ha una funzione importantissima per ridurre i rischi di dispersione scolastica. Questo indice ci racconta anche questo paradosso: servizi più poveri proprio laddove ci sarebbe bisogno di un sistema di protezione forte rispetto ai rischi di povertà.

D. – Sono due anni che stilate questo Rapporto: si è notato un peggioramento?

R. – In realtà, abbiamo notato dei miglioramenti, penso alla Campania, che ha ridotto il tasso di dispersione scolastica e dove le aule con la connessione Internet sono aumentate sensibilmente. Però, è un miglioramento che va troppo lento... Questo divario enorme, che vediamo in Italia, non viene affrontato in modo abbastanza forte e determinato.

D. – Il che rende abbastanza oscuro il futuro di queste generazioni e il futuro del Paese...

R. – Certamente sì. Purtroppo, quando si arriva a 15 anni senza aver maturato delle competenze minime di apprendimento, senza aver avuto modo di capire quale siano le proprie capacità e i propri talenti, spesso si arriva già rassegnati e con l’idea, ad esempio, di lasciare la scuola e poi è molto difficile recuperare. Si sta davvero producendo un danno che non riguarda solo l’oggi dei bambini, ma anche il domani degli adulti che saranno.

D. – Voi avete ulteriormente rilevato la connessione tra la povertà educativa e quei ragazzi, tra i 15 e i 29 anni, che non lavorano e non frequentano percorsi di istruzione e formazione…

R. – Sì. Sono i cosiddetti “neet” (Not in Education, Employment or Training ndr), ragazzi che non sono né in formazione né impegnati in una occupazione. Sono ragazzi, di fatto, disconnessi rispetto alla realtà e al mondo che li circonda. E’ un fenomeno gravissimo! E le radici vengono anche dall’infanzia.

D. – In politica si parla dei giovani. Ritenete che, forse, di questo si parli troppo poco invece, della povertà educativa?

R. – Si parla sicuramente poco. Devo dire che un segnale importante quest’anno lo abbiamo avuto: per la prima volta, governo e parlamento, nella Legge di stabilità, hanno stanziato un fondo per un piano innovativo di tre anni, dedicato proprio al contrasto della povertà educativa minorile. Se ben speso e se ben orientato, può dare un segnale almeno sul fatto che il tema è stato messo nell’agenda della politica. Tuttavia, quello che noi vediamo è che non c’è abbastanza attenzione ai territori che sono davvero più deprivati. Qui non c’è bisogno tanto di progetti, qui c’è bisogno proprio di cambiare completamente alcuni territori che sono i più deprivati. Bisognerebbe veramente fare un intervento integrato, che preveda la scuola aperta tutto il giorno, degli spazi riqualificati in cui poter giocare, in cui poter fare sport, servizi per la prima infanzia e servizi per i genitori. Solo così si può riuscire a determinare un cambiamento.

Per sette giorni, Save The Children riaprirà la Campagna “Illuminiamo il futuro”. Lanciata nel 2014, da allora ha attivato 16 punti luce in nove regioni italiane, ossia spazi ad alta densità educativa che sorgono in quartieri svantaggiati delle città e che, finora, hanno accolto complessivamente circa 5.500 minori.

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Sindone, Marinelli: molti dati a favore dell'autenticità del Telo

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All’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede a Roma, si terrà questa sera, alle ore 18, una Conferenza della prof.ssa Emanuela Marinelli, sul tema “La Sindone: indagine su un mistero”. All’evento sarà presente il card. Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi. Come è noto il lungo Telo di lino che certamente ha avvolto il corpo di un uomo crocifisso e che, secondo la tradizione, porta l’impronta di Cristo stesso, non cessa di suscitare interesse nella comunità scientifica. Molti ancora gli studi da fare e molto ciò che già si è scoperto. Adriana Masotti ha sentito la stessa Marinelli, sinologa di fama mondiale: 

R. – Il grande interesse della Sindone risiede soprattutto nel fatto che essa riporta non solo il sangue del cadavere che è stato avvolto nel lenzuolo, ma anche la sua immagine. Il fatto poi che questo lenzuolo sia attribuito alla sepoltura di Cristo rende l’argomento ancora più affascinante e anche più discusso. Infatti, un grande dibattito è nato dopo la datazione al Carbonio-14 del 1988, che collocò l’origine della Sindone nel Medioevo. Quella datazione fu condotta su un angolo della stoffa, però nella zona circostante si è scoperto che esistevano degli inquinamenti dovuti a funghi e a batteri, i quali possono alterare la datazione anche di 1000 anni. Ciò si è visto sulle mummie egizie, per esempio. E quindi, in realtà, quella datazione non è stata la parola definitiva, anche perché sono state poi fatte, presso l’Università di Padova, tre nuove datazioni con tre diversi metodi. Insomma, il risultato di queste tre nuove datazioni è che la Sindone risale invece all’epoca di Cristo. Rimane il mistero dell’immagine, perché i fisici dell’Enea di Frascati l’hanno assimilata a un effetto di luce, e un cadavere normalmente, certo non può emettere luce. Questo potrebbe anche essere avvenuto al momento della Resurrezione. Non lo sappiamo, ma la Sindone ha questo fascino: è come un negativo fotografico che ci riporta al positivo questo corpo, solennemente composto nella morte, ma con un volto che ci dà veramente una luce di speranza.

D. – È possibile ancora fare ulteriori studi, scoperte, sia per quanto riguarda la datazione sia per capire di più questo mistero della luce?

R. – Sì, molti scienziati vorrebbero fare una nuova datazione anche con il metodo del radiocarbonio, che nel frattempo ha fatto chiaramente grandi progressi, con prelievi in altri punti. Poi, approfondire anche il discorso delle datazioni alternative. Al tempo stesso, l’immagine sfida la scienza. E poi c’è il sangue: certamente con i metodi più moderni di studio del sangue si potrebbe dire qualcosa di più di quello che sappiamo. E poi c’è tutto l’altro filone di indagine storica, che abbraccia anche la storia dell’arte, perché si cercano documenti dei primi secoli: i volti di Cristo che abbiamo a partire dalle antiche icone, dal IV secolo, sono praticamente copiati dal volto della Sindone. Quindi, la datazione della Sindone è stata fatta meglio dalla storia dell’arte in questo momento che non dalla fisica. Quello che invece è stato già appurato è il confronto con quello che sappiamo non solo dai Vangeli, ma anche dalla archeologia. Tutto coincide e tutto ci porta lì, in quel sepolcro di Gerusalemme, trovato poi vuoto.

D. – La conferenza di stasera, le tante conferenze che lei tiene in giro per l’Italia e nel mondo: per dire che cosa, soprattutto? Che cosa le sta a cuore di comunicare ai suoi uditori?

R. – Vede, io mi sono interessata alla Sindone nel 1977, quando furono scoperti su di essa pollini di piante che non crescono in Europa, ma in Medio Oriente. Questa scoperta dei pollini mi ha aperto uno scenario nuovo, perché se i pollini sono di piante del Medio Oriente – mi sono detta – la Sindone da lì viene! Io sono laureata in Scienze naturali e quindi questo era un linguaggio che parlava alle mie orecchie... Da lì ho raccolto poi tutta una serie di elementi, di motivi sia storici sia scientifici, per ritenere che questo lenzuolo sia proprio il lenzuolo funebre di Gesù. E, a questo punto, tenere per me queste scoperte sarebbe egoismo: io voglio far sapere alla gente che abbiamo tutti i motivi per ritenere autentica la Sindone. E soprattutto il mio impegno è aumentato proprio dopo la datazione che aveva bollato la Sindone come un falso medioevale. Io mi sono detta allora: “Devo testimoniare la verità, e la verità non è quella”. Poi, certo, ognuno può concludere liberamente, ma è importante un’informazione storico-scientifica doverosa, perché si decida se credere o meno all’autenticità di questo lenzuolo in base a elementi concreti.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovo dell'Ecuador colpito dal terremoto: non ci dimenticate

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“L'esperienza del terremoto é stata realmente un trauma grande per tutti, ma soprattutto per le numerose famiglie che hanno perso i loro congiunti. Penso a quel papá di Manta che ha perso la moglie, i due figli, la suocera ed un nipote o a quella famiglia che é stata distrutta mentre il papá cercava di mettere tutti in salvo in macchina: la casa davanti alla quale si era fermato é crollata e ha sepolto tutti. Tragedia, dolore, morte ci hanno raggiunto tutti impreparati. Siamo rimasti per giorni e giorni attoniti, increduli, sempre in attesa di qualche tragica notizia in piú”. Così riferisce all’agenzia Fides l’arcivescovo di Portoviejo, mons. Lorenzo Voltolini, descrivendo gli avvenimenti seguenti al terremoto di 7.8 gradi della scala Richter che alle ore 19 di sabato 16 aprile, ha devastato l’Ecuador.

Portoviejo: una città semidistrutta
“L’immensa forza sismica ha distrutto case, alberghi, chiese, case parrocchiali, scuole, universitá, edifici pubblici, sociali e commerciali. Tutto nel giro di 50 lunghi secondi. E poi un silenzio di morte” racconta mons. Voltolini. “La tragedia avrebbe potuto essere sicuramente molto piú grande se il cataclisma fosse stato in un altro giorno e in un’altra ora. Molte persone il sabato vanno alla Messa che inizia, in generale, alle 19 o alle 19,30. Io mi trovavo nella cappella di un rione periferico della cittá di Portoviejo. Avevo appena finito di celebrare la Messa. Ero in sacrestia, la forza del movimento é stata tanto grande che, per non cadere, ho dovuto aggrapparmi agli stipiti della porta. I fedeli che ancora stavano in chiesa sono caduti a terra, l’energia elettrica é mancata alla prima scossa”.

La Chiesa accoglie i senzatetto e distribuisce acqua e viveri ai piú bisognosi
L’arcivescovo racconta che “molte chiese sono state severamente danneggiate. Alcune senza possibilitá di recupero dovranno essere distrutte completamente. Altre ancora dovranno essere messe in sicurezza, ma con forti spese. Molte scuole e cliniche sono state devastate, alcune rase al suolo”.
La Chiesa, fin dall'inizio, si è prodigata per accogliere i senzatetto, distribuire acqua e viveri ai piú bisognosi. La stessa casa del vescovo, avendo resistito al sisma, si è trasformata in ospedale. “Il ‘Banco de Alimentos’ ci ha mandato immediatamente un contenitore immenso di acqua e cibo – prosegue mons. Voltolini -. 

I primi soccorritori sono stati i sacerdoti e i parroci della cittá di Portoviejo
L'esempio di molti sacerdoti é stato veramente bello e coraggioso. Nelle cittadine piú piccole, i parroci sono stati, e lo sono ancora, i veri organizzatori dei soccorsi, prima ancora che arrivasse lo Stato. La rete dei catechisti e dei messaggeri conosce molto bene le necessitá e sa chi é nell'indigenza, per questo i nostri aiuti, come Chiesa, sono arrivati senza ripetizioni e senza accaparramenti. I volontari sono stati veramente bravi ed efficaci”.

La Chiesa distruisce generi di prima necessità mediante parrocchie e piccole comunità
L’arcivescovo rileva che anche l'organizzazione statale ha fatto la sua parte, fornendo luce, mezzi per lo sgombero delle macerie, valutazioni sulla stabilitá degli edifici, tuttavia in alcune occasioni, ha detto alle autoritá che la Chiesa vorrebbe godere di piú libertá “nel fare il bene”, nel distribuire i generi di prima necessitá mediante le parrocchie e le piccole comunitá.

Il motto del piano pastorale è: Accoglienza e Misericordia contro lo scoraggiamento
“Non dimenticateci - chiede l’arcivescovo di Portoviejo - avremo bisogno di voi quando inizieremo la ricostruzione, che non sará solo di colonne, mattoni, cemento, ma di famiglie, comunitá, parrocchie, relazioni umane nuove, nate sullo stile e le esigenze del Vangelo”. E sottolinea che il motto del loro piano pastorale è “Accoglienza e Misericordia”. “Non lo abbiamo cambiato – spiega -, perchè ci é sembrato il piú appropriato per vivere e vincere la tentazione dello scoraggiamento”. (S.L.)

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Elezione Duterte. Vescovi Filippine: politica sia al servizio dei più deboli

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“Alzatevi, andiamo!”: si apre con questo versetto tratto dal Vangelo di Matteo la dichiarazione che la Conferenza episcopale delle Filippine ha rilasciato dopo le elezioni presidenziali che hanno visto la vittoria di Rodrigo Duterte, sindaco di Davao e noto per il pugno duro contro criminalità e corruzione. Ribadendo che non intendono “interferire in politica”, né “aspirare” ad alcun incarico, i presuli sottolineano tuttavia che, in quanto discepoli di Cristo, non possono non ricordare ai cattolici “quale tipo di fedeltà, in tutte le cose, inclusa la vita politica, Egli richieda”.

Dio chiama al servizio dei deboli e disagiati
A coloro che sono stati votati, i vescovi filippini assicurano quindi la loro preghiera “principalmente per la saggezza, affinché possano discernere la volontà di Dio per il popolo ed abbiano il coraggio di fare ciò che Egli indica”. “Il merito della vostra vittoria elettorale – continuano i presuli – non va né alla fama, né alla popolarità, bensì a Dio che vi ha chiamati al servizio ed alla cura dei più deboli e più disagiati” nella società.

Allarme per sfruttamento donne e bambini. Non dimenticare poveri e indigeni
In particolare, la Chiesa di Manila richiama l’attenzione su donne e bambini, la cui cura “non può essere rinviata”, perché si trovano “in situazioni di sfruttamento”. Centrale anche il focus sui popoli indigeni “emarginati” e su una crescita economica che non ha ancora raggiunto valori significativi “per i filippini che vivono al di fuori delle aree urbane”. Agli sconfitti dal voto, invece, i vescovi ricordano che, “in quanto persone e figli di Dio”, essi sono “molto di più dell’incarico” al quale aspiravano. Invece di scoraggiarsi, allora, essi dovrebbero sfidare se stessi per comprendere “i tanti altri modi” esistenti “per contribuire alla costruzione del Regno di Dio”.

Collaborazione vigile della Chiesa
Dal suo canto, la Chiesa promette “una collaborazione vigile” con il governo. Solleticando quindi i fedeli “a lavorare con l’esecutivo per il bene di tutti”, la Conferenza episcopale filippina promette di continuare ad “essere vigilante” in modo da “insegnare, profetizzare, ammonire e correggere”, perché questa – concludono i vescovi – è “la nostra vocazione”. (A cura di Isabella Piro)

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Egitto: Al-Azhar e copti insieme contro violenze sui minori

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L'Università islamica di al Azhar – considerata la più autorevole istituzione teologico-accademica dell'islam sunnita - e il Patriarcato copto ortodosso hanno sottoscritto un documento programmatico in cui è delineato il loro impegno comune a combattere inseme ogni forma di violenza e di abuso sui minori. La dichiarazione comune, predisposta sotto il patrocinio dell'Unicef, è stata sottoscritta ieri dal Patriarca copto ortodosso Tawadros II e dallo Sheikh Ahmed al Tayyeb, Grande Imam di al Azhar. 

Tutela dei minori come priorità comune
Nel testo, studiosi legati all'Università islamica e alla comunità copta hanno contribuito a delineare la tutela dei minori come priorità comune, condivisa sia dalla sensibilità islamica che da quella cristiana. Nel mirino della campagna a favore dei bambini e delle bambine – riferiscono fonti egiziane riprese dall'agenzia Fides - rientrano anche le mutilazioni genitali e il fenomeno dei matrimoni precoci, oltre, ovviamente, ai rapimenti e agli abusi sessuali. 

In Egitto più del 70% dei minori subisce forme di abusi e violenza in famiglia
​Oltre alle dichiarazioni d’intenti, il programma a cui aderiscono congiuntamente al Azhar e la Chiesa copta ortodossa prevede anche il coinvolgimento fattivo di almeno 850 responsabili di chiese e moschee – imam, sacerdoti, monaci, operatori pastorali – che nell'anno corrente seguiranno corsi di preparazione ad hoc, per poi impegnarsi in prima persona in campagne d'informazione miranti a sensibilizzare l'intera popolazione su una piaga che colpisce in diverse forme l'intera società egiziana. Secondo i dati statistici più allarmanti, più del 70% dei minori egiziani subisce qualche forma di abuso e violenza anche in seno al proprio anbiente familiare e comunitario. (G.V.)

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Forum Kaiciid su ruolo dei leader religiosi e violenza politica

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“Il ruolo degli attori religiosi in Africa nella prevenzione dell’incitazione alla violenza che può portare a crimini atroci”. Se ne discute in questi tre giorni a un Forum che vede riuniti da ieri ad Addis Abeba, in Etiopia, leader di diverse confessioni del religiose del Continente. La sessione è promossa congiuntamente dall’Ufficio del consigliere speciale dell’Onu per la prevenzione del genocidio, dal Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc-Coe) e dal Kaiciid, il Centro internazionale per il dialogo interreligioso e culturale “Re Abdullah Bin Abdulaziz”,  fondato nel 2012 a Vienna con il contributo della Santa Sede. Partecipano, inoltre, l’organizzazione cattolica Pax Christi International, Swisspeace, il Centro per gli studi sulla sicurezza (Css) e il Politecnico Federale di Zurigo (Epfz).

Contrastare i discorsi che incitano all’odio e alla violenza
Gli ultimi anni hanno visto, anche in Africa, una drammatica escalation di atrocità perpetrate da Stati e gruppi armati non statuali scatenate da discorsi di odio che istigano alla violenza. Il Forum - spiega in un comunicato del Kaiciid citato dall’agenzia Apic - nasce dalla convinzione che con la loro autorità e influenza sulla società i leader religiosi possono svolgere un ruolo chiave nelle rispettive comunità per prevenire questa violenza.

Prevenire la radicalizzazione dei giovani
​Durante i dibattiti i partecipanti cercheranno quindi di capire come potere riconoscere i segni dell’istigazione alla violenza, di individuare le pratiche migliori per prevenirla contrastando tempestivamente i discorsi di odio, partendo dalle esperienze di alcuni leader religiosi e di altri attori in questo ambito. Il tutto con l’obiettivo di elaborare una strategia mirante a combattere in maniera più incisiva l’istigazione alla discriminazione, all’ostilità e alla violenza in Africa. In questo senso, particolare attenzione sarà data al ruolo degli attori religiosi nella lotta contro la radicalizzazione dei giovani, un tema di particolare attualità anche in Europa e in Medio Oriente. (A cura di Lisa Zengarini)

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Vescovi indiani condannano stupro e omicidio di una ragazza dalit

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È una condanna ferma e risoluta quella che la Conferenza episcopale dell’India (Cbci) fa dello stupro e l’omicidio di una ragazza dalit: Jisha - questo il suo nome - aveva 28 anni e studiava giurisprudenza. Il 28 aprile, è stata violentata, ferita 38 volte e poi uccisa nel distretto di Enakulam, in Kerala. “Condanniamo con durezza – si legge in una nota dell’Ufficio per le donne della Cbci, citata dall’agenzia AsiaNews – l’atto barbaro ed orribile contro una donna ed esprimiamo profonda preoccupazione per la vita e la dignità delle donne nel nostro Paese”.

Un omicidio assurdo
“È assurdo – prosegue la nota - che una donna venga schernita, molestata e abusata a qualunque età, e che essa non sia al sicuro nemmeno in casa propria. Questo pone questioni sulla sicurezza delle donne oggi in India”. La condanna dei vescovi si unisce a quella della società civile, che da giorni protesta contro il drammatico episodio.

Preoccupazione per la sicurezza delle donne
“Questo orribile e brutale attacco contro una giovane donna – afferma Pascoal Carvalho, membro della Pontificia accademia per la vita (Pav) e della Commissione diocesana per la vita - è una vergogna per la sicurezza delle nostre donne e una macchia per il modo in cui le trattiamo”. “La violenza contro le donne – aggiunge - è l’esempio più diffuso delle violazioni dei diritti umani, perché i pregiudizi di genere sono prevalenti in India e causano gravi preoccupazioni per la sicurezza delle donne”.

Industria dell’utero in affitto rafforza stereotipi contro genere femminile
​Secondo Carvalho, “questo è il risultato di una cultura che considera l’uomo al di sopra della donna”. Una cultura rafforzata anche da forme di sfruttamento come l’utero in affitto, una pratica che “in India fattura ogni anno oltre due miliardi di dollari”, spiega l’esponente della Pav. Tale “industria – conclude - rafforza gli stereotipi di genere secondo cui la donna è solo una merce e porta allo sfruttamento delle madri surrogate”. (I.P.)

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Colombia: campagna dei vescovi contro la violenza

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“Stop all’intolleranza! Sii paziente con l’altro e ferma l’aggressività, la violenza, l’abuso e l’incomprensione”. Questo lo slogan della campagna lanciata nel mese di maggio dall’arcidiocesi di Barranquilla, in Colombia, e rivolta a tutta la cittadinanza per porre fine al clima di violenza che si respira sul territorio e costruire una società migliore.

Famiglia, prima scuola di tolleranza e pazienza
“La sana convivenza – spiega l’arcivescovo di Barranquilla, mons. Jairo Jaramillo Monsalve – è responsabilità non solo delle autorità, che devono compiere uno sforzo umano ed istituzionale, ma anche delle famiglie, all’interno delle quali si impara la pratica della tolleranza e della pazienza con i propri familiari”. Naturalmente, sottolinea il vescovo, ciò non significa “essere masochisti, bensì promuovere il rispetto e l’amore nei confronti degli altri”, un atteggiamento dal quale deriva, poi, “una società più pacifica”. “La sana convivenza nasce in casa”, aggiunge il presule.

A rischio poveri, giovani e donne
Inserita già in passato nella classifica delle 50 città più pericolose al mondo, Barranquilla ha visto, nel 2015, 419 omicidi, vale a dire 76 in più (pari ad un incremento del 22%) rispetto al 2014. Secondo la polizia metropolitana locale, l’anno scorso è stato il più violento di tutta la storia della città. Tra le persone più a rischio, ci sono  i poveri, i giovani e le adolescenti che, escluse dalla società, vivono ai margini della metropoli. Molte di loro sono costrette ad abbandonare presto gli studi e finiscono per cadere vittime del racket della prostituzione o del narcotraffico.

26 maggio, fulcro dell’iniziativa
​Di qui, la proposta della Chiesa cattolica per cercare di costruire una società più sana ed armoniosa. Per tutto il mese di maggio, verranno promosse iniziative particolari e comunitarie legate alla campagna. Il fulcro centrale dell’iniziativa sarà il 26 maggio, giorno in cui l’evento verrà promosso nelle strade, nelle scuole, nelle università, nelle imprese, tramite i mezzi di comunicazione ed i social network. Per l’occasione, verrà utilizzato l’hashtag #PareLaIntolerancia (Stop all’intolleranza) per Twitter, Instagram e Facebook. (I.P.)

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Cile: senza risposta la protesta dei pescatori dopo disastro di Ancud

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Il vescovo della diocesi cilena di San Carlos de Ancud, mons. Juan Maria Florindo Agurto Muñoz, è riuscito a far passare alcuni camion con carburante e generi alimentari per rifornire la zona di Chiloé, bloccata dalle manifestazioni. Sono ormai 9 giorni che la protesta organizzata dai pescatori ha coinvolto altri gruppi della popolazione - riferisce l'agenzia Fides - bloccando l’ingresso alla città di Ancud e all'intera zona.

Disastro ambientale ha causato la paralisi di tutta l'attività di pesca
Una disposizione del governo che vieta la pesca e la raccolta di qualsiasi tipo di pesce o mollusco (ostriche, cozze, vongole) in tutta la zona a causa della "marea rossa", una macchia nel mare che sembra aver contaminato tutti i pesci, ha causato la paralisi di tutte le attività economiche e commerciali della zona, che vive della pesca e del commercio dei prodotti del mare. Il governo ha emesso questa disposizione in seguito a due casi gravi di malattia riscontrati.

i pescatori rifiutano il sussidio governativo non arriverà a tutti
"Quello che succede qui è davvero una catastrofe ambientale, è come un terremoto, o quello che è successo l'anno scorso con l'alluvione a Copiapo. Si tratta del nostro mare, che è la nostra fonte di lavoro e di cibo. E questa situazione, dicono gli esperti, sembra che durerà per molto tempo" ha detto mons. Agurto parlando ad una radio locale. Il governo ha offerto un contributo di circa 1.126 dollari ai lavoratori per il periodo di fermo, che tuttavia è stato rifiutato, scatenando la protesta nella zona, in quanto i pescatori affermano che il sussidio non arriverà a tutti e non sarà certo sufficiente a coprire le spese di ogni famiglia.

L'iniziativa del vescovo di Ancud
​Il vescovo di Ancud, che è diventato il portavoce di un gruppo di manifestanti, ha segnalato che lungo il litorale ci si sta organizzando anche in altri luoghi per chiedere al governo un sussidio in seguito a questo disastro ambientale che si presenta molto grave. Ancud (circa 40 mila abitanti) è uno dei 10 comuni della zona che si trova a circa 1.100 km da Santiago. (C.E.)

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Polonia: a Varsavia liturgia ecumenica per i martiri cristiani

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“Vorremmo abbracciare con la misericordia tutti i problemi e luoghi dove non riusciamo a giungere con le nostre azioni”: questo l’obiettivo dei promotori della Liturgia ecumenica per i martiri cristiani che questa sera, si terrà a Varsavia, in Polonia. Attesa la partecipazione di numerosi rappresentanti delle varie comunità religiose. L’incontro – riferisce l’agenzia Sir – è dedicato alla memoria di coloro che in Medio Oriente, Africa, Asia e America Latina “negli ultimi anni hanno perso la vita per la fedeltà al proprio credo religioso”. L’iniziativa è promossa dalla Comunità di Sant’Egidio e sarà presieduta dall’arcivescovo della capitale polacca, il card. Kazimierz Nycz.

“Testimoni della misericordia”, tema dell’evento
L’evento, giunto alla terza edizione, avrà per tema “Testimoni della misericordia” perché – spiegano i promotori - “nel mondo contemporaneo i martiri, con tutta la loro vita, annunciano la Buona  Novella e la misericordia di Dio”. “Soprattutto nell’Anno Santo della Misericordia - affermano i membri della Sant’Egidio - siamo convinti del fatto che abbiamo il dovere di annunziare il Risorto che con la sua morte abbatté i muri di inimicizia tra gli uomini”, affinché “Cristo sia oggi particolarmente presente proprio tra i perseguitati, tra coloro che vengono cacciati dalle proprie case e tra quelli che fuggono dalla guerra e dalla miseria”. Da ricordare che, in base stime recenti, sono 200milioni i cristiani perseguitati in tutto il mondo. (I.P.)

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Portogallo. Settimana per la vita. Appello vescovi a ecologia integrale

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“Prendersi cura della vita. La Terra è la nostra casa”: con questo motto, la Chiesa cattolica del Portogallo si prepara a celebrare, dal 15 al 22 maggio, la “Settimana per la vita”. Punto di partenza dell’iniziativa – spiega in una nota la Commissione episcopale per i laici e la famiglia, che organizza l’evento – sarà l’Enciclica “Laudato si’ sulla cura della casa comune” scritta da Papa Francesco.

Vita ed ecologia: tutto è connesso
“Sorprende il fatto che la questione ecologica sia al centro della Settimana della vita?”, chiedono i presuli portoghesi. No – spiegano - se si legge quanto scritto dal Pontefice nell’Enciclica: “Quando non si riconosce nella realtà stessa l’importanza di un povero, di un embrione umano, di una persona con disabilità difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura stessa. Tutto è connesso”. Pertanto, ribadiscono i vescovi portoghesi, ciò a cui bisogna puntare è “un’ecologia integrale” che guardi alla dignità di ciascuno.

Importanza della famiglia
In vista della Settimana, la Commissione episcopale ha diffuso anche un apposito sussidio che offre, per ogni giorno dell’evento, spunti di riflessione. Per il 15 maggio, ad esempio, che coincide con la Giornata internazionale delle famiglie indetta dall’Onu e incentrata sul tema “Famiglie, vita sana e futuro sostenibile”, i presuli portoghesi invitano a riflettere sul paragrafo 213 della “Laudato si’” in cui si legge: “Nella famiglia si coltivano le prime abitudini di amore e cura per la vita, come per esempio l’uso corretto delle cose, l’ordine e la pulizia, il rispetto per l’ecosistema locale e la protezione di tutte le creature”.

Accogliere la vita con gioia
​“Che questa Settimana della vita – conclude la Chiesa portoghese – favorendo un incontro con l’ecologia integrale, risulti essere per tutti una celebrazione gioiosa della vita accolta, gradita e condivisa”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 131

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.