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Sommario del 11/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Dio ci tratta da figli e nessuno ci toglie questa dignità

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“Anche nella situazione più brutta della vita”, Dio mi perdona e “vuole abbracciarmi”. Papa Francesco ha ripetuto il pensiero centrale del Giubileo durante l’udienza generale in Piazza San Pietro, dedicata alla figura del Padre misericordioso così come descritta nella parabola del figlio prodigo. L’udienza è iniziata col saluto del Papa ai malati ospitati in Aula Paolo VI. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

La “logica della misericordia” di Dio sbaraglia ogni ragionamento dell’uomo. Smonta e rovescia la norma rigida degli onori attribuiti al giusto e della punizione inflitta al peccatore. Il cuore di Dio è invece una grande casa dove la legge è quella del perdono che redime, della fraternità che unisce.

La tenerezza di un padre
È un tema carissimo a Francesco quello del “Padre misericordioso” che dà titolo e sostanza a una catechesi modellata sulle varie fasi della parabola del Figlio prodigo. Ciò che interessa al Papa sono le due scene finali. La prima, il padre che non vuole nemmeno ascoltare l’atto di umiliazione del figlio che ha riconosciuto i suoi errori, anzi  gli restituisce – osserva Francesco – “i segni della sua dignità: il vestito bello, l’anello, i calzari:

“Gesù non descrive un padre offeso e risentito, un padre che, ad esempio, dice al figlio: ‘Me la pagherai, eh!’… No, il padre lo abbraccia, lo aspetta con amore. Al contrario, l’unica cosa che il padre ha a cuore è che questo figlio sia davanti a lui sano e salvo e questo lo fa felice e fa festa (...) Quanta tenerezza; lo vide da lontano: cosa significa questo? Che il padre saliva sul terrazzo continuamente per guardare la strada e vedere se il figlio tornava… Lo aspettava, quel figlio che aveva combinato di tutto, ma il padre lo aspettava. Che cosa bella la tenerezza del padre”.

Una dignità per sempre
Insomma, sottolinea Francesco, “La misericordia del padre è traboccante, incondizionata”. Dall’abbraccio e dal bacio che suo papà gli riserva il ragazzo capisce di essere stato, “nonostante tutto”, “sempre considerato figlio":

“E’ importante questo insegnamento di Gesù: la nostra condizione di figli di Dio è frutto dell’amore del cuore del Padre; non dipende dai nostri meriti o dalle nostre azioni, e quindi nessuno può togliercela, nessuno può togliercela, neppure il diavolo! Nessuno può toglierci questa dignità”.

Non si baratta con Dio
Dunque, ripete una volta ancora il Papa con forza, “anche nella situazione più brutta della vita” devo essere certo che “Dio mi attende, Dio vuole abbracciarmi, Dio mi aspetta”. Tuttavia, la parabola racconta anche di un figlio che non ne vuole sapere dei sentimenti di tenerezza del padre. Quelli che il figlio maggiore nutre per il fratello sono di “disprezzo”. “Povero padre!”, esclama Francesco, un figlio se n’era andato e l’altro lo aveva sì servito ma “senza aver mai vissuto con gioia questa vicinanza”:

“Il figlio maggiore, anche lui ha bisogno di misericordia. I giusti, questi che si credono giusti, hanno anche loro bisogno di misericordia. Questo figlio rappresenta noi quando ci domandiamo se valga la pena faticare tanto se poi non riceviamo nulla in cambio. Gesù ci ricorda che nella casa del Padre non si rimane per avere un compenso, ma perché si ha la dignità di figli corresponsabili. Non si tratta di “barattare” con Dio, ma di stare alla sequela di Gesù che ha donato sé stesso sulla croce - e questo - senza misura”.

Abbiamo bisogno della casa di Dio
Alla fine della parabola, il padre recupera il figlio perduto e lo restituisce, nota il Papa, all’altro sperimentando in cuore la “gioia più grande”, quella di rivederli “fratelli”. Ora, conclude Francesco…

“I figli possono decidere se unirsi alla gioia del padre o rifiutare. Devono interrogarsi sui propri desideri e sulla visione che hanno della vita. La parabola termina lasciando il finale sospeso: non sappiamo cosa abbia deciso di fare il figlio maggiore. E questo è uno stimolo per noi. Questo Vangelo ci insegna che tutti abbiamo bisogno di entrare nella casa del Padre e partecipare alla sua gioia, alla sua festa della misericordia e della fraternità”.

La Madonna di Fatima, un invito alla conversione
Nei saluti post-catechesi, Papa Francesco ha ricordato tra l'altro la memoria liturgica della Vergine di Fatima di venerdì prossimo, sottolineando come l’apparizione mariana inviti “ancora una volta alla preghiera, alla penitenza e alla conversione”, a “non oltraggiare più Dio”, e avverta “l’umanità intera della necessità di abbandonarsi a Dio, fonte d’amore e di misericordia”.

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Papa prega per il Brasile. Padre Chiera: crisi colpisce i più deboli

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Al termine dell’udienza generale il Papa ha rivolto un particolare saluto ai fedeli brasiliani auspicando che il Paese, in questo momento di difficoltà, possa procedere “sui sentieri dell’armonia e della pace, con l’aiuto della preghiera e del dialogo”. In Brasile, oggi il Senato dovrebbe votare l’impeachment della presidente Dilma Rousseff accusata di aver manipolato i bilanci: basterà la maggioranza semplice per sospenderla dalla carica per almeno di 180 giorni, mentre avrà inizio il processo vero e proprio. Una crisi istituzionale gravissima che colpisce soprattutto i più poveri come dice, al microfono di Alessandro Gisotti, padre Renato Chiera, fondatore della “Casa do Menor” in Brasile, presente oggi in Piazza San Pietro: 

R. – In Brasile c’è la crisi politica, ma c’è la crisi generalizzata a tutti i livelli, morale, religiosa … e questo è quello che ci fa più paura. La crisi politica è una conseguenza. Cosa sta succedendo? I poveri, che hanno incominciato a essere soggetti, anche con tutti i limiti – io non assolutizzo nessun governo – adesso hanno paura: paura di perdere anche le conquiste che ci sono state. E noi vediamo che già ci sono segni grandi di disoccupazione, di inflazione, di abbandono a livello educativo, di abbandono a livello sociale … E noi, che lavoriamo nella periferia della periferia con gli ultimi, lo sentiamo fortemente perché ci sentiamo abbandonati. C’è molta violenza, c’è molto narcotraffico, c’è molta droga e la gente è stanca e non sa cosa fare. Crede di poter risolvere questi problemi facendo altra violenza. In quattro anni, 230 mila persone assassinate, in maggior parte giovani …

D. – Prima dei Mondiali di calcio, “Casa do menor” aveva lanciato un forte allarme, che purtroppo poi si è verificato, e cioè che per mostrare la “vetrina”, si è poi però cancellata senza nessun rispetto la vita di molti poveri. Con le Olimpiadi si rischia questo un’altra volta?

R. – Noi stiamo continuando la stessa esperienza. Rio sta diventando bella: la stanno rifacendo tutta. Diventerà bella! Ma si cerca di nascondere, di togliere tutto quello che può fare brutto, che può sporcare. E chi sporca sono i poveri e chi sporca sono i negri, chi sporca sono i ragazzi, chi sporca è il popolo abbandonato. La “crackolandia” adesso è confinata: a livello di ragazzi, non ci sono più tanti ragazzi in strada, perché la polizia li scaccia. Vai a Copacabana: non ci sono più. Allora dicono: “Ma non ci sono più i ragazzi di strada!”: lo sai dove sono? Nel narcotraffico. Perché è l’unico spazio dove hanno protezione, visibilità e possibilità di vivere. Però, nel narcotraffico loro sono addestrati a uccidere e a essere uccisi. Anche se quantitativamente sembra che sia minore l’abbandono, ma è molto più grave perché sono ragazzi attinti dalla violenza e loro stessi molto violenti. Ragazzi che hanno ucciso e mi dicono: “Padre, tu non sai che se io non uccido, mi uccidono!”. E noi stiamo cercando di essere presenti in queste frange più povere e più ferite. Noi lavoriamo molto con i bimbi abbandonati: “bimbi”! Storie di violenza che noi adulti facciamo su di loro, cose che sono vergognose. Il Papa è indignato, io lo sono con lui. E noi crediamo che adesso le cose peggiorino. Lo Stato di Rio è in fallimento: lo Stato è in fallimento. I vescovi hanno lanciato questa voce molto forte, dicendo al governo che deve guardare ai poveri e adesso noi abbiamo molta paura che torniamo al passato. E questo mi fa soffrire molto.

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Papa a capo Bektashi: non ci sono alternative alla via del dialogo

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Papa Francesco ha incontrato oggi in Vaticano il capo mondiale della Comunità dei Bektashi, Baba Edmond Brahimaj. Si tratta di una confraternita musulmana di derivazione sufi, fondata nel XIII secolo in Turchia e diffusasi soprattutto in Albania. Come tutte le comunità religiose albanesi anche i Bektashi hanno sofferto persecuzioni sotto il regime comunista. In diverse occasioni hanno partecipato ad eventi promossi dalla Santa Sede, come alcune Giornate di Preghiera per la Pace ad Assisi e la Beatificazione di Madre Teresa di Calcutta nel 2003. Avevano già incontrato Papa Francesco nel settembre del 2014 in occasione del suo viaggio in Albania. Sull’udienza con il Papa, ascoltiamo il capo dei Bektashi Baba Edmond Brahimaj al microfono di Sergio Centofanti

R. – È stato un incontro meraviglioso. Il Papa, lasciando da parte il protocollo, si è avvicinato da fratello a fratello, con una grande cordialità. È stato un messaggio di fraternità; abbiamo riaffermato il valore del dialogo, dell’incontro fraterno e dell’importanza che le comunità religiose hanno per la società odierna.

D. – Che cosa l’ha colpita di quello che ha detto il Papa?

R. – Innanzitutto, il suo ricordo indelebile della visita apostolica che ha compiuto in Albania e le immagini che, come ha raccontato il Santo Padre, conserva nel cuore e nella mente: la gioventù - un popolo molto giovane - e la forza di questo popolo e di questo Paese. Poi ha ricordato i cimiteri, con le tante tombe delle persone che hanno sacrificato la loro vita, sono state perseguitate e hanno offerto la vita per la fede nel Signore e per la fraternità. Inoltre, ha ricordato il lavoro svolto dal Consiglio delle comunità religiose in Albania che si incontra regolarmente proprio per conservare la convivenza pacifica e costruttiva per il Paese. E l’incontro che lui ha avuto con tutte le comunità religiose in Albania, dove ha visto una ferma volontà dell’incontro, del dialogo fraterno, sincero, franco, per trasmettere a tutti i credenti la via dell’amore, dell’incontro e della pace che il Signore ci ha lasciato, perché non ci sono alternative alla via della pace e dell’incontro.

D. – Ci può dire qualcosa sulla comunità Bektashi?

R. – È una corrente del misticismo islamico, che trasmette la pace, la fraternità e la fede nel Signore. È un ponte di collegamento tra l’Occidente e l’Oriente. E la via che ha percorso e che percorre il Bektashismo è quella della pace e della fraternità, come unica via che conduce al Signore, che fa incontrare gli uomini come fratelli al cospetto di Dio. È incontro e accoglienza delle persone al di là di ogni appartenenza o di visione religiosa, etnica, di colore o quant’altro. Il Bektashismo lotta per la famiglia e la difende come fondamento della società: la famiglia, quella tra l’uomo e la donna, come punto fermo per oggi e domani. L’uomo e la donna sono alla pari, godono della stessa dignità e hanno la stessa valenza nel momento della preghiera nel Tempio. Sono accolti alla stessa maniera, senza discriminazioni né distinzioni. Per cui è un’unità, secondo il progetto di Dio. I Bektashi non coprono le donne con il burka o con altri tipi di copertura, perché secondo loro l’uomo è l’immagine di Dio e la dignità dell’uomo non deve essere coperta, bensì manifesta, quindi pubblica: l’immagine di Dio non deve essere coperta. Poi sono anche contro ogni forma di violenza e terrorismo di qualsiasi matrice. Sosteniamo e seguiamo il Santo Padre, Papa Francesco: una guida che porta la bandiera della pace, della convivenza pacifica tra le religioni, tra i popoli e le nazioni. Sosteniamo fortemente questo suo percorso e il cammino intrapreso nel nome di Dio e della fraternità tra i popoli. E siamo altrettanto fieri e orgogliosi di avere anche Madre Teresa come un esempio concreto di come si possa incarnare e vivere l’amore di Dio nei gesti concreti verso il prossimo. Colgo l’occasione per augurare pace e bene a tutti!

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Lettera del Papa per i 75 anni del Pontificio Istituto Ecclesiastico Ungherese

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“Il Pontificio Istituto Ecclesiastico Ungherese sostenga anche nel futuro, nel miglior modo possibile, tanto il progresso intellettuale e spirituale di tutti i sacerdoti ungheresi e degli allievi che vi risiedono quanto la loro quanto più stretta comunione con la Chiesa Cattolica e il Romano Pontefice”: è quanto auspica il Papa in una lettera per i 75 anni dell'Istituto indirizzata al cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest e primate d’Ungheria.

Il Papa ricorda che “a causa delle varie difficoltà provocate in Ungheria dal regime comunista, non soltanto i pastori e i fedeli della Chiesa Cattolica che vivevano in quella nobile nazione subirono ingiurie e si trovarono esposti al pericolo, ma anche questo istituto. Per tale ragione esso all’epoca chiese e ricevette aiuto dalla Santa Sede”. Il Pontificio Istituto Ecclesiastico Ungherese è stato fondato da Pio XII, il 16 luglio 1940.

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Nomina episcopale in Brasile

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In Brasile, Papa Francesco ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Goiânia il sacerdote Moacir Silva Arantes, del clero della diocesi di Divinópolis, finora amministratore parrocchiale della parrocchia “Nossa Senhora da Piedade”, a Pará de Minas. Il presule è nato il 3 giugno 1969 a Itapecirica, diocesi di Divinópolis, nello Stato di Minas Gerais.  Ha compiuto gli studi di Filosofia e quelli di Teologia presso la Pontificia Università Cattolica di Minas Gerais, a Belo Horizonte. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 14 agosto 1999 ed è stato incardinato nella diocesi di Divinópolis, dove ha ricoperto gli incarichi di: Vicario Parrocchiale e Parroco in diverse parrocchie, Rettore del Seminario di Teologia, Coordinatore diocesano della Pastorale vocazionale e della Pastorale familiare. Attualmente è Rettore del Seminario Propedeutico ed Amministratore Parrocchiale della parrocchia “Nossa Senhora da Piedade”, a Pará de Minas.

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Papa, tweet: ogni nostro gesto esprima la compassione di Dio

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Papa Francesco la lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Ciò che diciamo e come lo diciamo, ogni parola e ogni gesto dovrebbe poter esprimere la compassione, la tenerezza e il perdono di Dio”.

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Parolin a giugno in Ucraina per portare solidarietà del Papa

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Il mese prossimo, il card. Pietro Parolin si recherà in Ucraina per esprimere la solidarietà del Papa alla popolazione sofferente: ad annunciarlo, è stato lo stesso segretario di Stato, in visita in Estonia. Stamani, all’Università di Tartu, il porporato ha tenuto un discorso incentrato sulle relazioni internazionali della Santa Sede. Al centro del suo intervento, anche la questione migratoria e la crisi di valori in Europa. Il servizio di Isabella Piro

Santa Sede preoccupata per situazione umanitaria in Ucraina
“Data la gravità della situazione attuale, io stesso mi recherò in Ucraina il mese prossimo, per esprimere la solidarietà del Santo Padre a coloro che soffrono”: così il card. Parolin annuncia il suo viaggio in Ucraina. Ricordando la colletta per il Paese indetta dal Papa per lo scorso 24 aprile, il porporato sottolinea che “la Santa Sede è particolarmente preoccupata per la questione umanitaria in peggioramento, a causa del conflitto in corso” e dell’inflazione che ha lasciato “più di mezzo milione di persone” senza cibo, provocando “un milione e mezzo di sfollati”. Drammatiche anche l’emergenza sanitaria – aggiunge il segretario di Stato – e le condizioni dei bambini che non possono frequentare le scuole e sperimentano quotidianamente la violenza, rimanendone traumatizzati.

Rispettare il diritto internazionale e promuovere il dialogo
Di fronte a tutto questo – sottolinea il segretario di Stato – la Chiesa cattolica, sebbene sia una minoranza in Ucraina, “sta rispondendo ai bisogni della popolazione”, mentre la Santa Sede sta preparando “interventi specifici a beneficio di tutti, senza discriminazioni religiose”. Al contempo, ribadisce il card. Parolin, è importante rispettare il diritto internazionale ed umanitario, incoraggiando le parti in causa “ad intraprendere il dialogo per superare le difficoltà attuali ed alleviare le sofferenze della popolazione”.

Una risposta umanitaria alla crisi migratoria
Poi, lo sguardo del porporato si allarga a tutta l’attività diplomatica della Santa Sede, che è lontana – spiega – da approcci “puramente politici o commerciali”, ma è basata, piuttosto, su quattro principi fondamentali: dignità della persona umana, promozione del bene comune, solidarietà e sussidiarietà. Di qui, il richiamo a fare attenzione a due crisi attuali dell’Europa: la crisi migratoria e quella di valori. Riguardo alla prima, il porporato si appella ad “una risposta umanitaria” che sappia bilanciare “la tutela dei diritti dei cittadini europei e l’accoglienza dei migranti”, attraverso “un dialogo franco e rispettoso tra i Paesi di origine, transito e destinazione” dei profughi.

19 maggio, nuovo ambasciatore dell’Estonia in udienza dal Papa
Quanto alla crisi di valori, invece, il segretario di Stato richiama l’importanza della tutela dei diritti umani, da non ridurre a mero individualismo, ma da intendere come universali, in quanto essenziali per la persona e la sua dignità. Infine, il card. Parolin rende noto che giovedì 19 maggio Papa Francesco riceverà in udienza il nuovo ambasciatore dell’Estonia presso la Santa Sede, Väino Reinert, che presenterà le Lettere credenziali.

Il saluto del Pontefice ai fedeli estoni
Prima di recarsi presso l’Università di Tartu, stamani il segretario di Stato ha presieduto la Messa nella Chiesa cittadina dell’Immacolata Concezione, portando ai fedeli presenti il saluto e la benedizione del Pontefice. Nella sua omelia, il porporato ha ricordato “gli aspetti essenziali” della vita dei vescovi e dei sacerdoti, ovvero la fedeltà a Cristo, la vigilanza, l’attenzione alla Parola di Dio e la preghiera. Centrale anche il richiamo ai pastori, affinché si pongano al servizio del gregge che è stato loro affidato, senza pensare di “trarre profitto” dai fedeli, ma vedendo invece come “spendersi” per essi.

Portare avanti con coraggio la nuova evangelizzazione
Ieri pomeriggio, inoltre, il card. Parolin ha presieduto la Santa Messa nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a Tallin: ricordando “la testimonianza di sacerdoti, religiosi e laici di fronte a persecuzioni, deportazioni ed ostacoli di ogni genere” vissuti dalla Chiesa estone nel periodo “dell’occupazione e della dittatura”, il porporato ha esortato i fedeli a continuare nella “coraggiosa” missione della nuova evangelizzazione anche oggi, soprattutto di fronte a sfide non meno rilevanti, come la secolarizzazione, l’indifferenza religiosa e l’ostilità alla fede.

L’importanza del dialogo ecumenico
In quest’ottica, il segretario di Stato ha insistito sull’importanza della dimensione ecumenica, soprattutto in un Paese, come l’Estonia, con “una forte tradizione ortodossa e luterana”. “Vi incoraggio – ha detto ai fedeli – a continuare a pregare insieme, a promuovere il dialogo ed a cooperare a varie iniziative per diffondere la fede e promuovere il bene comune, nello spirito del Vangelo”, perché “la divisione tra cristiani è contraria alla volontà di Cristo”.

In serata, il card. Parolin si sposta in Lettonia
Da ricordare che l’Estonia è la seconda tappa del viaggio che il card. Parolin sta compiendo nell’area baltica: dal 7 al 9 maggio, infatti, il porporato è stato in Lituania, mentre nella serata di oggi si sposterà in Lettonia. Il ritorno in Italia è previsto per il 13 maggio.

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Un'opera d'arte per la carità di Francesco in Africa

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L’arte dal volto misericordioso. Si potrebbe riassumere così l’iniziativa a scopo benefico presentata stamani nel Salone Raffaello dei Musei Vaticani e promossa dalla Segreteria per la Comunicazione e dai Musei Vaticani in collaborazione con il Centro Televisivo Vaticano e l’Officina della Comunicazione. “Christo’s box. Tra arte e misericordia. Un dono per Bangui”, il titolo dell’iniziativa. Il servizio di Debora Donnini

Il cofanetto con la serie in dvd “Alla scoperta dei Musei Vaticani” – prodotta dal Ctv e da Officina della Comunicazione – “impacchettato” dall’artista pop Christo, secondo la sua celebre tecnica. Sulla copertina del cofanetto, il volto di un personaggio dell’affresco di Raffaello “La Scuola di Atene”. Si tratta di un giovane, il cugino di Papa Giulio II dipinto accanto ad Aristotele, che ha colpito l’artista bulgaro-americano per la sua bella espressione .

Mons. Viganò: il Papa torna idealmente a Bangui
L’originale sarà custodito dalla Segreteria per la Comunicazione mentre 300 cofanetti, numerati e  firmati dall’artista, saranno venduti a mille euro ciascuno dalla casa d’aste Chistie’s. Per volontà del Papa, il ricavato sarà devoluto al poverissimo ospedale pediatrico di Bangui, nella Repubblica Centrafricana, visitato dallo stesso Francesco durante il suo viaggio. Un messaggio di unione fra arte, misericordia e dono? Ci risponde mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione:

R. – Assolutamente sì. Bisogna sottolineare come questa sia un’esperienza che mostra come premi il metodo del mettersi in rete: c’è il Centro Televisivo Vaticano, che ha prodotto questi documentari, c’è la generosità del maestro Christo, c’è una società – la Fai – che ha permesso queste opere d’arte, c’è una produzione esecutiva bergamasca. Tutto questo è confluito nel rendere possibile un atto di misericordia laddove il Papa ha aperto la prima Porta della Misericordia durante l’Anno Santo. Questa diventa un’opera molto importante e permetterà al Papa di tornare idealmente dove ha aperto la Porta della Misericordia e fare un gesto concreto di misericordia.

D. – Tramite l’arte, tramite Raffaello rivisitato da un artista contemporaneo, si evidenzia anche l’attenzione della Comunicazione della Santa Sede per la contemporaneità?

R. – Assolutamente. D’altra parte, noi viviamo nella contemporaneità e quindi non possiamo fare altro – e la forma voluta da Papa Francesco va in questa direzione – che trovare i modi per dire la forza del Vangelo del Signore Gesù, che può abbracciare tutto l’umano, in questa che è l’epoca della contemporaneità.

Paolucci: Francesco usa l’arte per aiutare gli ultimi
A dicembre, il ricavato sarà dunque consegnato al nosocomio. A intervenire alla conferenza stampa, lo stesso artista Christo, attualmente impegnato in un'installazione sul Lago di Iseo, e il direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci:

“Un Papa, Giulio II Della Rovere, ha chiamato Raffaello perché nel suo appartamento privato, quello che oggi tutti conoscono come “Le Stanze”, celebrasse in affresco la sua persona e la sua Chiesa. Una Chiesa che Papa Giulio a suo modo amava, anche se riteneva che per difenderla fosse giusto usare gli strumenti della politica, della diplomazia e anche della guerra, oltre che la gloria delle arti. Sono passati appena cinque secoli e un altro Papa – Francesco – usa Raffaello per un atto di misericordia, per sovvenire un ospedale pediatrico nel cuore più marginale, più dimenticato dell’Africa. Ci fa capire quante cose sono cambiate in appena cinque secoli!”

Nel suo viaggio nella Repubblica Centrafricana, Papa Francesco rimase molto colpito dal fatto che all’ospedale dedicato ai bambini mancasse la struttura per l’ossigeno e la rianimazione. E il Papa ha reso evidente come anche l’arte possa essere una via di misericordia.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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La logica dell'abbraccio: all'udienza generale il Papa parla della parabola del padre misericordioso.

Quando la legge aiuta il trafficante: da Strasburgo, l'inviata Fausta Speranza sulla tratta di esseri umani.

Un articolo di Marcello Filotei dal titolo "Plastica d'autore": l'artista statunitense Christo "impacchetta" un volto della Scuola d'Atene di Raffaello.

La sublimazione di ciò che è nascosto: Emilio Ranzato sul film "Zeta".

Mai distogliere lo sguardo dall'oggi: il presidente Domingo Sugranyes Bickel sul convegno della Fondazione Centesimus Annus dedicato alle sfide dell'epoca attuale.

Quotidianità dell'amore: il cardinale arcivescovo di Barcellona, Lluis Martinez Sistach, sull'"Amoris laetitia".

Europa, migrazioni e crisi ucraina nella conferenza stampa del cardinale segretario di Stato nell'università estone di Tartu.

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Oggi in Primo Piano



Baghdad, attacco Is: oltre 60 vittime. Appello del patriarca Sako

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Non si ferma la furia terrorista in Iraq. È di oltre 60 vittime il bilancio di un attentato dinamitardo avvenuto questa mattina in un mercato di Baghdad, nel distretto sciita di Sadr City. Più di 80 i feriti nell’esplosione provocata da un’autobomba. L’attacco è stato rivendicato dal sedicente Stato Islamico. Anche alla luce dell’ultimo appello del Papa per la pace in Medioriente, contenuto nella lettera a Tawadros II, Daniele Gargagliano ha raggiunto telefonicamente a Baghdad il patriarca della Chiesa cattolica caldea irachena, Louis Raphaël Sako

R. – La morte diventa un fenomeno quotidiano. Le esplosioni avvengono non solo qui a Baghdad, ma anche altrove. C’è un vuoto di potere: il governo non è ancora formato e il Parlamento ha fallito. C’è poi tanta corruzione… Il futuro quindi è veramente ignoto. È già un miracolo che tutto funzioni nonostante queste esplosioni e la confusione, ma la gente è stanca e perde la pazienza. È per questo che noi abbiamo bisogno di azioni concrete per mettere fine a questa tragedia, a questa fuga dei cristiani, ma anche degli altri.

D. – Papa Francesco ha rivolto un nuovo appello alla comunità internazionale per la Siria e l’Iraq nella lettera inviata al patriarca della chiesa copta-ortodossa. Il Santo Padre ha anche rivolto un pensiero alle comunità cristiane impegnate in Iraq e in Siria nell’affrontare le prove quotidiane in un contesto definito “tragico”. Sentite il sostegno del Pontefice nella vostra missione sul campo?

R. – Sì, certo. Il Santo Padre si comporta come un pastore con noi, come un padre, e ci sta molto vicino.

D. – Ma c'è un piano più generale, una visione, da parte della comunità internazionale?

R. – Non c’è una visione, perché i Paesi perseguono i propri interessi, ma non prendono in considerazione anche quelli di questi popoli. E chi sa meglio di noi la nostra situazione! Devono quindi ascoltarci, per vedere come fare. Queste guerre durano da anni; dopo l’Is verrà un altro il problema. Ed è grave quando questa gente ritorna nelle loro case, nei villaggi, e trova tutto in rovina. Non ci sono i soldi per ricostruire le case; mancano i servizi e il lavoro… Questa gente va via, lascia il Paese. Ci possono essere anche gruppi criminali. Non c’è una soluzione autentica e giusta.

D. – In Siria la tregua non regge, i negoziati di Ginevra per la pace stentano a produrre risultati, mentre intanto si consuma la crisi umanitaria: qual è il suo auspicio?

R. – Questa tregua è fragile! La gente vuole la pace, vuole stabilità. Bisogna aiutare le persone a dialogare in modo civile e a prendersi le loro responsabilità. Ci vuole sì la forza per mantenere la pace e la stabilità, ma serve anche un dialogo vero e responsabile.

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World Economic Forum Africa al via in Rwanda: focus sul digitale

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Si apre oggi a Kigali, capitale del Rwanda, il World Economic Forum sull’Africa. Più di 1.500 i partecipanti e decine i panel previsti ogni giorno fino al 13 maggio, con un focus speciale sull’applicazione delle tecnologie digitali. Coinvolti i settori più diversi, dalla scuola alla sanità, all’ambiente, per un confronto tra politica e aziende leader a livello internazionale .Quali i temi principali e con quali prospettive per il continente? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Michele Vollaro di Affari e Africa che segue i lavori del Forum: 

R. – A questo Forum è attesa la partecipazione di circa 1.500 persone e i seminari, i panel sono diverse decine al giorno. Credo che i temi principali e più interessanti siano quelli che riguardano come garantire l’accesso all’elettricità alla popolazione e in questo senso vediamo un cambiamento, in qualche modo, nell’approccio da parte degli stessi governanti. Si insiste molto di più sugli impianti di piccola scala e diventa molto più rapido garantire l’accesso universale alla popolazione africana.

D. – Quindi, sicuramente energie, ma l’altro focus è l’applicazione delle tecnologie digitali a tutta la produzione economica. Quali ambiti sono maggiormente coinvolti?

R. – Andiamo da Internet, alle applicazioni software, agli stessi droni. Il Rwanda sarà il primo Paese ad avere degli aeroporti per i droni per trasportare i medicinali nelle zone rurali.

D. – Questo presuppone che il continente sia visto come un continente in crescita ?

R. – L’Africa è sicuramente il continente del futuro sotto diversi punti di vista. È indubbio che nell’ultimo anno ci sia stato un forte rallentamento legato anche al calo dei prezzi delle materie prime a livello internazionale, ma è anche importante sottolineare come gli stessi governi africani negli ultimi tempi stiano insistendo sempre di più sulla necessità di diversificare le proprie economie nazionali, per non essere più legati esclusivamente all’esportazione delle materie prime, cercando di insistere sulla trasformazione dei prodotti così da avere una base più ampia da cui attingere per le loro economie.

D. – Al tavolo in questi giorni, di fronte al "gotha" della finanza e della tecnologia internazionale, ci sono molti presidenti di Stati africani. Il rischio corruzione esiste?

R. – Diciamo che la necessità di mettersi sul mercato, la necessità di acquisire competenze e conoscenze per lo sviluppo locale nazionale, implica l’obbligo di non assegnare contratti a chi paga la "mazzetta", ma di fare gare aperte, internazionali, con procedure anche standardizzate a livello internazionale.

D. – Quindi, dovrebbe essere una garanzia sotto questo punto di vista?

R. – Esattamente, dovrebbe essere una garanzia.

D. – Anche la scelta del Rwanda come sede del Forum economico mondiale non è una scelta casuale, viste le tematiche dei lavori?

R. – Il Rwanda è la sede di questo importante incontro internazionale sia per la sua crescita estremamente sostenuta sia per il ruolo che ha nella diffusione delle tecnologie digitali, come accade anche in altri Paesi. Tutta l' Africa orientale, in questo senso, è probabilmente uno dei luoghi più importanti al mondo dove si stanno sperimentando nuove forme di utilizzo delle tecnologie digitali. Mi vengono in mente le piattaforme di trasferimento del denaro tramite telefono cellulare: in Africa si può, ad esempio, comprare un mango semplicemente inviando un sms al venditore per strada, una forma di pagamento che noi in Europa ancora non abbiamo e stiamo invece discutendo su quale possa essere la tecnologia più sicura, o sulla privacy, mentre in Africa queste forme di tecnologie sono operative da diverse anni.

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Forti piogge nell'Etiopia devastata da siccità e carestia

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Le piogge sono arrivate devastanti nel sud e nell’est dell’Etiopia, nella zona della Rift Valley, nelle regioni di Wolayta ed Oromia: forti precipitazioni, smottamenti e frane hanno già provocato almeno 50 vittime, in un Paese invece afflitto da decenni di siccità e carestia. Secondo l’Onu, nell’ultimo anno oltre 10 milioni di etiopi sono stati interessati dall’emergenza alimentare e se ne stimano 15 milioni per aiuti urgenti. Inoltre, la malnutrizione è in forte crescita: più di 350 mila bambini con meno di 5 anni sono stati assistiti e – avverte l’Unicef – nel 2016 diventeranno 450 mila. Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente ad Addis Abeba Pierre Vauthier, responsabile della risposta di emergenza in Etiopia per la Fao: 

R. – Se ci riferiamo all’ultima valutazione, all’ultima indagine che abbiamo fatto con il governo nel mese di ottobre 2015, abbiamo 10,2 milioni di persone che richiedono assistenza alimentare. Però, la siccità è durata fino ad aprile e quindi le cifre sono più alte. A giugno-luglio faremo una seconda indagine per verificare la situazione. Forse, in questo momento la situazione è un po’ migliorata, perché le piogge sono arrivate tre-quattro settimane fa.

D. – Eppure, queste piogge sono state tanto devastanti: perché?

R. – Ci sono delle zone del Paese molto sensibili alle inondazioni. Nel sudovest dell’Etiopia con le grandi piogge la gente ha perso le case e circa un migliaio di ettari di produzione. La pioggia è arrivata molto forte.

D. – Proprio in questi giorni, parlando di Africa, il Papa ha ricordato che “troppi bambini non superano il primo mese di vita a causa della malnutrizione”: E uno dei dati più preoccupanti per l’Etiopia è che la malnutrizione è in crescita tra i più piccoli. Come la Fao sta affrontando l’emergenza?

R. – E’ vero, il problema in crescita è quello della malnutrizione, in particolare dei bambini. La soluzione è di aumentare la disponibilità alimentare per tutta la popolazione. In Etiopia, l’80% della popolazione dipende dalla produzione agricola o dall’allevamento: è dunque molto importante offrire a questa gente l’opportunità di tornare all’autonomia della produzione alimentare e quindi anche vendere i prodotti alimentarI ad altre parti della popolazione ed esportare. Per noi, la cosa vitale adesso è offrire alla popolazione la capacità di produrre per la prossima stagione, che arriverà tra un mese e nella quale si produrrà cibo per la fine dell’anno. Dobbiamo usare questa “finestra” che si è aperta adesso per distribuire il maggior numero possibile di semi alla gente.

D. – Perché finora non è stato possibile debellare la carestia?

R. – Le piogge erano molto, molto in ritardo. Finora, non c’è stata quindi la possibilità di produrre a causa della mancanza di acqua.

D. – Il fenomeno del “Niño” ha inciso?

R. – Certo. Questa siccità è dovuta direttamente al fenomeno del “Niño”, che per un anno e mezzo ha impedito alla pioggia di arrivare in Etiopia.

D. – Come ripartire dalla siccità e dalla carestia?

R. – Dobbiamo sfruttare al massimo le piogge che stanno arrivando adesso. Con esse, gli etiopi saranno in grado di produrre per il futuro e questo raccolto – magari con cicli corti, come l’ortofrutta – permetterà alla gente di vendere, in ottobre, la propria produzione e pure di consumarla.

Proprio sul fenomeno del “Niño” in Etiopia, Giada Aquilino ha intervistato l’africanista Vincenzo Giardina: 

R. – La siccità in Etiopia è stata causata anche dal surriscaldamento delle acque superficiali del Pacifico, un fenomeno climatico che nasce a migliaia di chilometri di distanza, in un altro quadrante del mondo, ma che ciclicamente ogni sette anni fa sentire la propria influenza alterando i regimi climatici e colpendo, con una maggiore imprevedibilità dei cicli delle precipitazioni, Paesi già particolarmente esposti. L’Etiopia è un caso molto significativo, molto grave, ma parte in realtà di una fascia ampia che da nord a sud taglia per intero il continente africano. E in Sudafrica già alcuni mesi fa è stato accertato che si è di fronte alla siccità più grave dal 1982. Pochi giorni fa, mi è capitato di parlare con dei missionari monfortani, da decenni in Malawi: mi hanno raccontato di una situazione che hanno difficoltà a paragonare con quanto accaduto in passato. Le conseguenze del “Niño”, quindi, non si avvertono solo nel sud dell’Etiopia, ma in una regione che è molto più grande e che raggiunge praticamente Città del Capo.

D. – In particolare per l’Etiopia, quali sono le conseguenze per la popolazione?

R. – Le conseguenze per la popolazione sono molto gravi, perché è un Paese che vive di agricoltura. Testimonianze rilanciate anche da fonti di stampa cattoliche sottolineano come la morìa del bestiame abbia messo in ginocchio tantissime famiglie. Una stima citata è quella secondo la quale tra la fine del 2015 e lo scorso mese siano morti 450 mila animali, compromettendo quindi anche l’approvvigionamento di latte e generi alimentari di prima necessità. E’ chiaro, dunque, che in un Paese che dipende, nella sua stragrande maggioranza, dal settore primario le conseguenze siano particolarmente forti.

D. – I programmi dell’Onu per l’Etiopia fanno ben sperare. Con l’ondata delle ultime piogge, seppure molto devastanti, si spera che l’agricoltura possa ripartire…

R. – Quello che sta accadendo in questi mesi ci ha fatto un po’ ricordare anni lontani. A me personalmente ricorda “Live Aid”, i grandi concerti solidali – uno degli ideatori era Bob Geldof – che nel 1985, attraversando l’Europa, raccontavano della grave siccità in Etiopia. Ecco, quello che è accaduto in questi mesi ci ha rimandato indietro di molti anni, in qualche misura oscurando quel racconto dell’Etiopia come “tigre africana”, come Paese che cresce da un punto di vista del prodotto interno lordo in modo sostenuto, che si propone, anche con efficacia, come Paese di “outsourcing”, dove magari aziende cinesi e asiatiche esportano le loro produzioni approfittando del basso costo della manodopera.

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Unioni civili, Flavio Felice: voto fiducia non è da Stato liberale

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Potrebbe arrivare in serata, attorno alle 19, il via libera definitivo al ddl sulle unioni civili. Oggi alle 14.10 il voto di fiducia alla Camera. Renzi ha parlato di un "giorno di festa per tutti" e detto che la fiducia è stata necessaria "perche' non erano possibili ulteriori ritardi dopo anni di tentativi falliti". Alessandro Guarasci ha sentito Flavio Felice, componente del comitato organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani: 

R. – Su un tema del genere, così divisivo e sul quale l’opinione pubblica si è anche espressa in modo abbastanza massiccio con il Family Day, e che comunque ha diviso e divide i partiti al loro interno e che quindi riguarda una questione pienamente di coscienza, il voto di fiducia è del tutto irrituale e lo ritengo anche grave per una repubblica parlamentare. Non in quanto voto di fiducia, ma perché il contenuto è una questione di coscienza e non si può votare secondo l’ordine di partito. Mi sembra una cosa palese, evidente. Lo ritengo veramente uno scivolone non da Stato liberale.

D. – Molti parlamentari della maggioranza hanno detto: abbiamo dovuto raggiungere un compromesso. Ma comunque, il concetto di famiglia come lo intende la maggioranza degli italiani, viene sminuito in questo modo?

R. – Il concetto di famiglia, come lo intende la maggior parte degli italiani, è quello previsto dalla Costituzione; e questa legge sminuisce nella misura in cui si identificano i diritti civili individuali con una nuova nozione di famiglia. Questo è il punto. Il punto non è il riconoscimento di diritti civili individuali, ma il voler trasporre il diritto civile individuale in una nuova nozione di famiglia. Questo è intollerabile dal punto di vista costituzionale: poi, ognuno è libero di pensare, ovviamente, come meglio crede e di costruirsi la propria idea di famiglia. Ma la Costituzione parla di un’altra cosa. Quindi, se si volesse far passare il riconoscimento dei diritti civili individuali come una nuova forma di famiglia, saremmo di fronte a una violazione del dettato costituzionale, e quindi anche a un impoverimento, dal mio punto di vista, della nozione di famiglia, certo.

D. – A questo punto, però, servono politiche familiari più stringenti dal punto di vista fiscale e per conciliare meglio il tempo dedicato al lavoro e alla famiglia...

R. – Questo è evidente e sarà sempre più il tema che dovremmo mettere in cantiere. La conciliazione o, se vogliamo dirlo in modo diverso, il coordinamento, la compatibilità tra il tempo del lavoro e il tempo della famiglia diventa sempre più un tema importante. Dare voce e dare peso alla famiglia significa andare in questa direzione. Altrimenti rischiamo di fare soltanto retorica. Mi auguro che quelle parti politiche che, almeno a parole, hanno maggiormente a cuore la questione familiare, si decidano a mettere al primo posto la questione familiare e la questione della scuola e dell’istruzione, che poi sono estremamente collegate tra loro.

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Fiducia sulle unioni civili. Mons. Galantino: "Sconfitta per tutti"

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Sul voto di fiducia sulle unioni civili, si è espresso anche mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, a margine di un convegno a Roma sulle tossicodipendenze promosso dalla Fict, la Federazione italiana comunità terapeutiche. Ascoltiamo il suo commento al microfono di Marina Tomarro: 

R. - Penso stia emergendo da tutte le parti una richiesta di maggiore partecipazione e attenzione, di maggiore rispetto per coloro i quali sono stati eletti. Poi evidentemente il Governo avrà anche le sue logiche, ha le sue esigenze, probabilmente avrà anche le sue ragioni, ma il voto di fiducia può rappresentare spesso anche una sconfitta, per tutti.

D. - E invece come dovrebbe essere una politica per la famiglia, secondo lei?

R. - C'è la necessità che ci sia una politica familiare molto più attenta, che davvero metta in conto l'importanza della famiglia costituita da padre, madre e figli. Il ruolo della famiglia non è sussidiario o marginale: la società deve capirlo. Non è un tema che deve stare a cuore solo alla Chiesa, ma a tutti, alla società.

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Camorra, padre Valletti: la magistratura è l'unica trincea

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Solidarietà dal mondo politico, ma soprattutto dal mondo della magistratura, sta giungendo a Giovanni Colangelo, il procuratore di Napoli che, secondo le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, avrebbe dovuto essere vittima di un agguato camorristico. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Oltre mezzo chilo, tanto sarebbe stato il tritolo sequestrato il 29 aprile scorso in provincia di Bari, a Gioia del Colle e che, secondo le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia della Sacra Corona Unita, vicino alla camorra, avrebbe dovuto essere usato contro il procuratore capo di Napoli, Giovanni Colangelo, che nella cittadina pugliese, dove l’attentato sarebbe dovuto avvenire, ha la residenza. Cinque le persone fermate a Bari dalla Direzione distrettuale antimafia, nell’ambito dell’indagine partita dal tentato omicidio di un pregiudicato in una faida tra clan. Colangelo, 69 anni, è a Napoli dal 2012. Sotto la sua guida sono stati molti i colpi inferti alle cosche, ma il magistrato negli anni ha soprattutto ribadito che la repressione contro la camorra non basta, se non è supportata da “un profondo cambiamento culturale”. Ciò di cui è da sempre convinto padre Fabrizio Valletti, superiore della comunità dei Gesuiti nel rione napoletano di Scampia:

R. – Ecco, sì. Purtroppo, le condizioni oggettive non sono ancora favorevoli, perché la dominanza della camorra è forte. Però, non è solo la camorra. La città risente di forme sotterranee di alleanza tra potere economico, potere politico e la camorra che è difficile da individuare, ma che comunque sottintende. Purtroppo, non c’è un cambiamento evidente in questo tempo.

D. – Questo, purtroppo, la cronaca ce lo racconta ogni giorno. Addirittura, sembra che ci sia un peggioramento della situazione…

R. – Sì, c’è un peggioramento nel senso che essendo stati arrestati praticamente i capi storici della camorra napoletana, attualmente ci sono dei giovani spregiudicati che, con attività molto violenta, entrano in rapporto con tutte le realtà, senza attenzione, senza discriminazione. Io visito le carceri e quello che mi fa preoccupare è che trovo detenuti sempre più giovani che sono arrestati, molti però sono liberi e continuano ad avere atteggiamenti proprio spregiudicati, senza controllo.

D. – Lei da sempre è impegnato a Scampia, dove è superiore della comunità dei Gesuiti e dove la Compagnia ha deciso di rafforzare la presenza. Perché?

R. – Perché la nostra esperienza di inserzione vuol dire che sia sul piano sociale-culturale, sia sul piano religioso, sia sul piano della pastorale giovanile, merita attenzione. E la Compagnia ha destinato, in questi anni, tre giovani: Sergio Sala per la cura del Centro Hurtado e del progetto culturale; Walter Bottaccio, nella chiesa; Marco Colò, che è l’ultimo arrivato, un giovane molto bravo, che si occupa dei giovani… Questo nel tentativo di poter sviluppare, all’interno di una situazione periferica di grande disagio, un’azione pastorale che noi diciamo “integrata”, che va da una cura religiosa a un’attenzione culturale e a un impegno sociale.

D. – Quindi, voi avete il polso della situazione, del percorso che questi giovani compiono, quegli stessi giovani che poi lei ci dice di incontrare di nuovo nelle carceri…

R. – E difatti, uno dei punti di maggiore delicatezza, per esempio, è la mancanza di scuole aperte. Noi, nel quartiere, abbiamo cinque scuole medie e nessun Istituto comprensivo ha il tempo pieno. Questo viene sottolineato da tutti i parroci più sensibili. La scuola non offre una continuità di pedagogia e di didattica e noi abbiamo dei ragazzi che lasciano la scuola durante il percorso delle medie, li ritroviamo analfabeti e sono esca facilissima da parte della camorra. Oltre al grande problema del lavoro, per uno che oggi non ha una qualifica è difficile lavorare. A Napoli, poi, c’è il grande problema che la ricca borghesia napoletana difficilmente investe in attività produttive. Napoli, da un punto di vista di occupazione e di possibilità, si è spenta.

D. – Non ultimo, il forte problema legato alle ombre sulla politica in Campania…

R. – E’ tutto collegato, perché non essendoci una base sensibile e formata a una partecipazione politica, emergono personaggi che, a titolo personale, cercano di affermarsi e molte volte la loro affermazione è collegata ad ambienti che non sono onesti, che non sono legali. Il quadro politico amministrativo della Campania è molto sofferente. Per esempio, ora, per le scadenze elettorali prossime noi verifichiamo questa frammentazione e la difficoltà anche nella popolazione di riconoscersi in progetti politici significativi.

D. – Secondo lei, questo presunto tentativo di assassinare il procuratore capo di Napoli che segnale è?

R. – Io credo che la Magistratura del meridione, di Napoli in particolare, sia l’unica trincea per una difesa dell’onestà e del bene comune. Per cui è un segnale: se aggrediscono i magistrati è segno che i magistrati fanno il loro dovere di rilevare l’illegalità, la corruzione e quindi sono bersaglio facile della criminalità. Io sottolineerei che c’è una base di cittadini e di associazioni che stanno contrastando questo clima di illegalità, di qualunquismo, di populismo. Ci sono molti gruppi, per esempio, anche a Scampia, che sono veramente impegnati. L’associazionismo, sia di ispirazione religiosa sia laica, sta facendo un grande servizio. Poter fare una rete su questo associazionismo può essere un compito importante, sia della politica, sia della Chiesa.

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Studio Fict: cannabis e alcool i più diffusi tra i giovani

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Essere sempre più presenti e attenti ai mutamenti della società attuale, per poter aiutare in maniera efficace e tempestiva le persone cadute nel tunnel di dipendenze come droga e alcool, ma anche comportamentali come il gioco d’azzardo o un uso smodato di Internet. Con questo obiettivo si è concluso a Roma l’incontro “Per costruire insieme il futuro”, promosso dalla Federazione Italiana Comunità terapeutiche (Fict). Il servizio di Marina Tomarro

E’ la cannabis insieme al consumo di alcool, la dipendenza più forte che circola soprattutto tra i giovani. Infatti, secondo l’Osservatorio Europeo di Lisbona, nell’ultimo anno nel Vecchio continente sono oltre 14 milioni le persone in età compresa tra 14 e 34 anni che hanno consumato abitualmente questa droga. Questo è il primo dato che emerge dall’incontro della Fict, la Federazione italiana comunità terapeutiche. Il presidente, Luciano Squillaci.

R. – Oggi, noi ci troviamo in modo particolare a dover fare i conti con le dipendenze e gli stili di vita del mondo giovanile. E’ chiaro che il mondo delle dipendenze è estremamente variegato e purtroppo ci troviamo con situazioni di giovani, e anche giovanissimi, che oggi si trovano a fare i conti con droghe intelligenti, con sostanze particolari sconosciute ai più, con cocktail, con tantissimo alcol in tutte le sue forme e anche con quelle droghe che noi chiamiamo "droghe comportamentali", cioè quelle droghe senza sostanza che sono Internet e il gioco d’azzardo. Oggi come oggi, la vera emergenza è sotto il profilo educativo e sotto il profilo giovanile. Noi non siamo più in grado di testimoniare ai nostri giovani stili di vita che abbiano veramente significato.

D. – In che modo si aiutano queste persone a superare queste dipendenze?

R. – Noi diciamo sempre che quando si arriva al momento in cui dobbiamo aiutarli a superarle, abbiamo fallito qualcosa prima. Infatti, il lavoro vero è quello educativo e preventivo. E’ chiaro che nel momento in cui però, purtroppo – e sono tantissimi e sempre di più – si cade nel vortice delle dipendenze, a quel punto c’è un sistema di servizi che ormai vanta professionisti sicuramente di livello. Non è più il vecchio, pionieristico volontariato che facevamo sui territori, ma che al di là delle professioni si sforza comunque di prendersi carico integralmente della persona, contrariamente a quanto purtroppo spesso siamo costretti ad assistere, cioè quegli interventi – soprattutto in ambito sanitario e sociale – cosiddetti “prestazionali”, cioè che si occupano di pezzetti della persona. Ecco: noi proviamo a prenderci carico della persona nella sua totalità.

D. – In che modo anche lo Stato potrebbe aiutare maggiormente in questo campo?

R. – Innanzitutto, dovrebbe interessarsene. Non si ragiona sui bisogni, ma si ragiona sulle risorse che sono sempre meno. Per esempio, se è vero come è vero che l’ambito educativo è l’elemento centrale nel contrasto alle dipendenze, ebbene sulla prevenzione ormai da diversi anni non c’è più un euro di investimento.

E nel territorio italiano sono 600 i servizi offerti dalla Fict che tentano di dare una mano a coloro che sono entrati nel tunnel di queste dipendenze e cercano di uscirne. Ma non sempre basta. Ascoltiamo il commento di mons. Nunzio Galantino, segretario della Conferenza episcopale italiana, intervenuto all’incontro:

R. – Mi sembra un tema un po’ sottovalutato, oggi. Veramente, un po’ troppo sottovalutato. A sentire il silenzio – sembra una contraddizione – intorno a questa realtà, sembra che il tema della tossicodipendenza non esista o si sia ridotto. Invece, i numeri e gli operatori ci dicono che purtroppo questo non c’è. C’è invece una sorta di “sonno della ragione” rispetto a questa realtà. C’è una sorta di assopimento, c’è una sorta di resa rispetto a questo tema. E di questa resa pagano le conseguenze non soltanto i tossicodipendenti, ma quelli che noi spesso dimentichiamo, cioè tutti coloro i quali stanno intorno a loro, e quindi le loro famiglie.

D. – Cosa si potrebbe fare di più, secondo lei, per loro e anche per le loro famiglie?

R. – Secondo me, bisogna porre le premesse perché non si arrivi a questa realtà, perché il mondo della tossicodipendenza è anche un mondo che crea tanti impedimenti a essere accostato, tanto per incominciare. Per cui, io penso che una società non debba interessarsi e preoccuparsi soltanto di come trattare i tossicodipendenti, ma debba impegnarsi di più per vedere cosa possa fare per non fare arrivare i ragazzi, i giovani, in queste condizioni. E da questo punto di vista mi sembra che da fare ci sia veramente tanto: tanto a livello di scelte, a livello di valori, di proposte, che abbiano un loro senso oggi.

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In Paradisum: Ramin Bahrami al Concerto della Misericordia

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Concerto straordinario per l’Anno santo della Misericordia, questa sera l’Auditorium Parco della musica di Roma. Lo propone l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Protagonisti saranno il pianista iraniano, Ramin Bahrami, specialista di Bach, e il Coro dell’Accademia, in una selezioni brani di musica sacra. Dal ‘600 al ‘900, fino al delicato richiamo alla grazia di Dio nel brano che dà nome al concerto, "In Paradisum", di Maurice Duruflé. “Suoni misericordiosi per il pubblico di oggi”, spiega al microfono di Gabriella Ceraso, il maestro Ramin Bahrami: 

R. – Sicuramente, è un concerto pensato per l’Anno Santo, pieno di elementi che rimandano alla bellezza, al Paradiso e alla pace, della quale il nostro mondo ha tanto bisogno. Per cui, è un concerto – oserei dire – fatto di bellezza, unione, apertura. Come il Santo Padre spesso sottolinea, bisogna aprirsi e non chiudersi. E la musica di questi giganti, da Bach a Duruflé, ce lo dimostra, perché hanno sempre saputo trovare i suoni giusti per una umanità giusta. E la nostra umanità oggi fa troppo rumore inutile: c’è troppa frenesia, c’è una mancanza totale del ritmo interiore equilibrato. Abbiamo il dovere di ascoltare e far ascoltare suoni ben temperati.

D. – A proposito di suoni temperati, di bellezza e di sacralità, il concerto si apre con i "Mottetti" di Bach, forse una pagina meno conosciuta di questo colosso che lei tanto ama. Si tratta di un affresco sacro o di una meditazione intima?

R. – Riflessioni assolutamente intime, combinate al genio di un giocoliere divino, che aveva un canale privilegiato con il Padre Eterno. Perché la musica di Bach, l’ho detto in diverse occasioni, è sicuramente la migliore colonna sonora che il Padre Eterno abbia mai avuto per creare le sue meraviglie. Il bello della vera fede è anche il suo essere gioco, gioia: gioia e amore. E Bach in questo riesce perfettamente. Sono piccole miniature, fatte di grande sapienza, e in alcuni momenti non sono neanche inserite le parti della tastiera, ma io ho voluto fortemente che ci fosse un accompagnamento. Si tratta infatti di un concerto di voci, voci pianistiche e voci vocali, che si incontrano e si abbracciano e che vogliono – simbolicamente – dare una visione un pochino più consapevole e umana a questa società che non è una società misericordiosa. È una società egoista e questo non esiste nella musica di Johann Sebastian Bach. Nella sua musica esiste l’approccio più totale: una voce verso l’altra, senza nessuna supremazia o inferiorità.

D. – Maestro, intima devozione anche nei brani di Haydn in programma, mentre nel Salmo 150 di Bruckner che eseguirete c’è una vera e propria esplosione di lode e di adorazione pura a Dio, giusto?

R. – Sì, sicuramente nel caso di Bruckner che lei ha citato c’è un’esplosione di colori, di luce, mentre nel “Mondnacht” di Brahms, che è anche in programma, c’è un’intimità notturna fatta di penombra, di intimità più assoluta verso qualcosa di assolutamente eccelso.

D. – È invece un dolcissimo canto di domanda di grazia a Dio "In Paradisum”, il brano tratto dal Requiem n.9 di Duruflé che chiude il concerto. Lei come lo legge questo brano? Come ce lo spiegherebbe?

R. – Assolutamente, questo è un omaggio alla vita migliore, che non è sulla terra. Una voglia di Paradiso che dovremmo avere tutti. E allora, tanto vale fare il passaggio più pieno di luce, di buone azioni e di solidarietà, con meno egoisti. Questa è la lezione più grande di questi giganti della musica. Ma in particolare nel “In paradisum” è proprio presente quest’aspetto onirico-spirituale, di cui forse abbiamo bisogno.

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Nella Chiesa e nel mondo



Libano: Patriarchi siro-antiocheni chiedono seggio in Parlamento

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Un seggio nel Parlamento libanese riservato a un rappresentante politico appartenente alla Chiesa siro-ortodossa, e un altro garantito per regolamento ad un rappresentante della comunità siro-cattolica: è questa la richiesta concreta espressa nel documento comune che i Primati delle due Chiese siro-antiochene – il Patriarca siro ortodosso Ignatius Aphrem II e il Patriarca siro cattolico Ignatius Youssif III – hanno sottoscritto ieri, nella sede patriarcale siro cattolica, alla presenza di rappresentanti politici ed ecclesiali. Nel documento comune – riferiscono fonti locali riprese dall'agenzia Fides – si chiede anche di garantire ai membri delle due comunità cristiane una maggiore presenza negli uffici e negli incarichi pubblici, evitando discriminazioni conclamate o occulte di ogni sorta.

Sistemi delle 'quote' parlamentari alle minoranze in vigore in altri Paesi arabi
La richiesta contenuta nel documento congiunto sottoscritto ieri, era stata già presentata ai leader dei partiti politici libanesi che i due Patriarchi delle Chiese siro-antiochene avevano voluto incontrare in un rapido giro di consultazioni da loro realizzato insieme lo scorso gennaio. Il Sistema delle “quote” parlamentari garantite alle minoranze cristiane è in vigore in diversi Paesi arabi a maggioranza musulmana, come l'Egitto e l'Iraq. In Libano, il delicato sistema istituzionale libanese riserva la carica di Presidente della Repubblica a un cristiano maronita, ma dal maggio 2014 tale carica è rimasta vacante e non si riesce a trovare il consenso necessario per l'elezione di un nuovo Presidente, anche a causa delle divisioni tra le diverse sigle politiche guidate da leader cristiani. (G.V.)

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Abu Dhabi: Catholicos Aram inaugura Centro culturale armeno

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Centinaia di immigrati armeni che lavorano negli Emirati Arabi Uniti hanno preso parte, sabato scorso, all'inauguraizone ufficiale del nuovo Centro culturale armeno, situato nell'area di Musaffah, a Abu Dhabi, e annesso alla prima chiesa armena apostolica inaugurata nella capitale degli Emirati nel dicembre del 2014. 

Il Centro armeno segno del rispetto degli Emirati Arabi per le altre fedi 
All'inauguarazione del Centro, cha rappresenterà d'ora in poi un importante punto di riferimento per la vita culturale e sociale dei cristiani armeni presenti nel Paese, ha preso parte anche lo Sheikh Nahyan Bin Mubarak Al Nahyan, Ministro della cultura, insieme al Catholicos armeno della Grande Casa di Cilicia Aram I. Rivolgendosi ai presenti, il Ministro Nahyan ha voluto sottolineare che il luogo di culto, e ora il Centro culturale ad esso collegato, rappresentano una conferma che “la tolleranza e il rispetto delle altre fedi sono pilastri fondamentali del nostro Paese, possono convivere in pace e sicurezza”. 

Gli armeni negli Emirati sono circa 10mila
​In occasione dell'inaugurazione, fonti locali hanno rilanciato le affermazioni di padre Mesrob Sarkissian, responsabile delle comunità armene apostoliche locali, secondo il quale gli armeni negli Emirati Arabi sono almeno 10mila. (G.V.)

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Sud Sudan: plauso per nuovo governo di unità nazionale

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La Commissione nazionale per la guarigione, la riconciliazione e la pace in Sud Sudan (Cnhpr) saluta con soddisfazione la formazione del nuovo Governo di unità nazionale (Tgonu), guidato dal presidente Salva Kiir e dal capo ribelle Riek Machar,  che dovrebbe porre fine a due anni e mezzo di guerra civile. La nuova coalizione è stata costituita alla fine di aprile con il compito di portare il Paese ad elezioni entro 30 mesi.

Primo segnale importante per l’attuazione degli accordi di pace del 2015
In una nota diffusa nei giorni scorsi, la Commissione, presieduta dal Primate anglicano Daniel Deng, esprime le sue congratulazioni ai due leader rivali e agli altri membri del nuovo Esecutivo, la cui formazione, dopo innumerevoli ritardi, accuse incrociate e opportunità mancate, sembra essere un primo segnale concreto della loro volontà di impegnarsi seriamente per l’attuazione degli accordi di pace (Arciss) siglati nell’agosto 2015.

La pace una responsabilità collettiva di tutti i sud-sudanesi
“Il Tgonu – afferma l’arcivescovo - sarà il primo test per i nostri politici e per tutti i sud-sudanesi che dimostrerà se possiamo convivere insieme e collaborare per il bene comune del nostro Paese” e “un’opportunità  per rinnovare la nostra immagine agli occhi di Dio e della Comunità internazionale”.  Nella, nota il rev.do Deng esorta il nuovo Esecutivo ad occuparsi innanzitutto del rimpatrio e del rientro in sicurezza degli sfollati nelle loro case. Quindi rivolge un appello a tutti i cittadini sud-sudanesi a sostenere il nuovo Governo “affinché possa portare un cambiamento dopo anni di sofferenze” e a “rinunciare a tutti i discorsi che incitano alla violenza”: “Abbiamo una responsabilità collettiva di difendere questa pace così che questo Paese possa vivere nell’armonia”.

Urgente l’istituzione di una Commissione nazionale di verità  e riconciliazione
Sta soprattutto ai leader politici dare l’esempio: il Paese resta infatti ancora diviso. Di qui l’invito alla coalizione di governo a porre tra le sue priorità il processo di guarigione, pace e riconciliazione nazionale, avvalendosi dell’aiuto delle Chiese e di altri organismi impegnati nel processo di pacificazione. Il primo passo da fare in questo senso – sottolinea - è di accelerare l’entrata in funzione di una Commissione nazionale di verità, guarigione e riconciliazione (Ctrh) alla quale la  Cnhpr è pronta a passare il testimone. Infine, l’appello a tutti i sudanesi ad aprirsi al “dialogo per risolvere i i loro contenziosi, sia a livello locale che politico ed a rinunciare alla violenza che porta solo distruzione e instilla l’odio nei cuori”.

Un nuovo capitolo nella breve storia del più giovane Stato africano
La formazione del Governo di unità nazionale in Sud Sudan segna l’apertura di un nuovo capitolo nella breve storia del più giovane Stato africano, martoriato da una guerra scoppiata nel dicembre 2013 che ha causato migliaia di morti, due milioni di sfollati e le accuse di crimini contro l’umanità mosse contro i due principali schieramenti in lotta - i miliziani di etnia dinka, fedeli al Presidente Salva Kiir, e l’esercito regolare di etnia nuer, guidato da Riek Machar - : dall’arruolamento dei bambini soldato allo stupro sistematico come strumento di guerra, ai massacri di civili inermi. (A cura di Lisa Zengarini)

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Cuba ha celebrato il 100.mo della Vergine della Carità del Cobre

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Ieri, tutto il popolo cubano ha celebrato il centenario della proclamazione della Vergine della Carità del Cobre come Patrona di Cuba. L'agenzia Fides ha ricevuto diverse testimonianze dai missionari che lavorano sull'isola. La festa principale è stata celebrata a Santiago, dove sorge il santuario di Nostra Signora de la Caridad del Cobre. L'arcivescovo mons. Dionisio Guillermo García Ibáñez ha presieduto la celebrazione, durante la quale ha ricordato che la presenza della Vergine della Carità in tutta la storia di Cuba è stata significativa e permanente. "Dinanzi alla Vergine, uno prega per Cuba, per sé stesso e per il popolo che la venera dal tempo delle guerre d'indipendenza nel XIX secolo" ha detto l'arcivescovo.

La Vergine è Patrona di Cuba
La solenne proclamazione a Patrona di Cuba è stata fatta da Papa Benedetto XV nel 1916. Nel suo viaggio a Cuba nel 1998, San Giovanni Paolo II la incoronò come la Vergine Patrona di Cuba.

Ricordate le parole di Papa Francesco a Cuba nel settembre scorso
La nota inviata a Fides da una fonte locale, segnala che la popolazione ha vissuta questa festa con un grande entusiasmo. Molti hanno ricordato le parole pronunciate da Papa Francesco il 22 settembre 2015, quando celebrò la Messa in questo santuario: "La patria cubana è nata e cresciuta nel calore della devozione alla Vergine della Carità. Ella ha dato una forma propria e speciale all’anima cubana – come hanno scritto i vescovi di questa terra – suscitando nel cuore dei cubani i migliori ideali di amore per Dio, per la famiglia e per la Patria”. (C.E.)

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Jàn Figel: se non c'è libertà religiosa mancano anche le altre libertà

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“La libertà religiosa è una cartina di tornasole dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Dove non c’è libertà religiosa, di solito manca anche la libertà civile e politica”. Ne è convinto Jàn Figel, politico slovacco, appena nominato dalla Commissione europea “rappresentante speciale per la promozione della libertà di religione o di credo al di fuori dell’Unione europea”. 

Libertà di religione o di credo per un mondo più umano
Nell’intervista rilasciata all'agenzia Sir appena insediato a Bruxelles, Figel spiega: “La comprensione, il rispetto e il sostegno nei confronti della libertà di religione o di credo rappresentano una condizione preliminare per un mondo più umano nel XXI secolo”. Figel è stato commissario Ue per istruzione, formazione, cultura e gioventù nel quinquennio 2004-2009; ora entra in carica per un periodo iniziale di un anno. 

Fede e religione abitano all’interno dell’uomo
Quale contributo possono portare le religioni al dialogo tra le nazioni e alla questione della pace? “La fede e la religione - risponde Figel - abitano all’interno dell’uomo. E lo stesso si può dire della libertà di dubitare o di non credere. Nel dialogo, cerchiamo risposte e le troviamo. Perché il dialogo è più di due monologhi. Mentre il monologo si limita a confermare e avanzare richieste, soltanto il dialogo sviluppa e costruisce rapporti reciproci – tra le persone, le comunità, le religioni, le nazioni”. (R.P.)

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Elezioni Nicaragua: card. Brenes invoca la presenza di osservatori

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“Tutti i nicaraguensi devono essere osservatori perché queste elezioni siano un vero segno di fratellanza e rispetto tra di noi”. Queste le parole del card.Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, in Nicaragua, a pochi giorni dall’indizione delle elezioni generali annunciata dal Consiglio Supremo Elettorale per il prossimo  6 novembre. A conclusione della celebrazione per il 36° anniversario delle apparizioni della Madonna nel Santuario di Cuapa, il porporato ha risposto alle domande dei giornalisti su diversi temi di attualità nazionale; tra questi, anche le elezioni e la violenza nel nord del Paese.

Trasparenza elettorale e campagna senza tensioni
L’arcivescovo Brenes ha riaffermato l’importanza della partecipazione di osservatori nazionali ed internazionali per garantire la trasparenza del processo elettorale. “Un tema – ha ricordato - che è già stato trattato dalla Conferenza episcopale nel messaggio pubblicato in occasione delle elezioni municipali del 2014”. In particolare, il porporato centroamericano ha manifestato la propria preoccupazione per l’andamento delle campagne elettorali. “Innanzitutto mi auguro - ha detto - che ci sia una campagna elettorale senza tensioni e che ognuno di noi possa offrire la propria idea del Paese che vogliamo”. Il card. Brenes ha insistito, quindi, sull’importanza dell’ampia partecipazione dell’elettorato e sulla tranquillità necessaria allo svolgimento dei comizi elettorali. “Spero che all’indomani delle elezioni – ha detto - si possa tornare in tranquillità alla propria vita ed al proprio lavoro per continuare a costruire pace, prosperità, giustizia, verità e amore”.

Combattere la violenza e l'impunità
L’arcivescovo di Managua ha fatto eco alla preoccupazione dell’episcopato per la violenza che attualmente colpisce particolarmente le zone rurali e del nord del Paese. “Veramente la situazione è preoccupante” ha detto il porporato, che ha riferito il contenuto di diverse conversazioni intrattenute con alcuni vescovi e sacerdoti della  regione che “si sentono tristi e demoralizzati” per le difficoltà e l’insicurezza che attanaglia le popolazioni, in particolare i contadini. Negli ultimi mesi, un’ondata di crimini terrorizza la popolazione, vittima - secondo gli analisti - della presenza sempre più diffusa del crimine organizzato, specificamente del traffico di droga e di armi, e della militarizzazione della regione.  Il card. Brenes ha fatto un appello alle autorità “perché facciano tutto l’umanamente possibile per fare chiarezza sui crimini, in modo da tranquillizzare le famiglie nicaraguensi e creare un clima di fiducia in vista delle elezioni”.

I Presidenti non si cambiano più con la violenza
​Interpellato sul timore espresso da diversi settori della società in relazione al fatto che la violenza nel nord del Paese potrebbe condizionare gli elettori e stimolare l’astensionismo, il porporato ha invitato ciascun cittadino a non perdere il proprio diritto, duramente conquistato, di avere l’opzione di eleggere le autorità attraverso il voto. “Credo che siano finiti - ha detto il card. Brenes - i tempi nei quali si cambiavano i Presidenti con la violenza, la guerra e il conflitto”. Infine, il porporato ha lanciato un accorato appello ai cittadini, affinché partecipino al processo elettorale in maniera civica, e ai candidati perché non si lascino trascinare da “euforie personalistiche” e  “presentino progetti di governo semplici, credibili e realizzabili”. (A cura di Alina Tufani)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 132

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