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Sommario del 13/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: risposte politiche, sociali ed economiche a crisi migranti

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La lotta contro la povertà non è “soltanto” un problema economico, ma “anzitutto” morale, tant’è vero che l’intera comunità mondiale è chiamata a individuare “risposte politiche, sociali ed economiche” all’attuale crisi dei profughi. Così Papa Francesco nel discorso ai partecipanti alla Conferenza internazionale “Iniziativa imprenditoriale nella lotta contro la povertà – L’emergenza profughi la nostra sfida”, organizzata dalla Fondazione Centesimus Annus – Pro Pontifice, a 25 anni dalla promulgazione della Lettera Enciclica di San Giovanni Paolo II. In Sala Clementina, il Pontefice ha ricordato pure come la disoccupazione giovanile sia uno “scandalo” da affrontare come “malattia sociale”. Il servizio di Giada Aquilino

L’impegno della comunità internazionale, delle istituzioni, del mondo degli affari per un progresso economico volto “al bene comune, all’inclusione e allo sviluppo integrale, all’incremento del lavoro e all’investimento nelle risorse umane”. Torna su temi che gli stanno particolarmente a cuore il Papa, ricevendo i partecipanti alla Conferenza internazionale della Fondazione Centesimus Annus – Pro Pontifice, dedicata al contributo della comunità degli affari alla lotta contro la povertà, con riferimento all’attuale emergenza profughi. E’ Francesco stesso a parlare di una crisi a cui si sente “particolarmente vicino” e le cui proporzioni crescono “ogni giorno”, ricordando la recente visita a Lesbo, in cui – dice – con i “fratelli ortodossi” Bartolomeo I e Geronimo è stato testimone di “strazianti esperienze di sofferenza umana”, soprattutto di famiglie e bambini, di scene di “tragico e davvero disperato bisogno”:

“Al di là dell’immediato e pratico aspetto del fornire aiuto materiale a questi nostri fratelli e sorelle, la comunità internazionale è chiamata a individuare risposte politiche, sociali ed economiche di lungo periodo a problematiche che superano i confini nazionali e continentali e coinvolgono l’intera famiglia umana”.

Si tratta quindi di affrontare tali “questioni umanitarie” e gli “obblighi morali” che ne derivano per le nostre società, viste “le implicazioni pratiche ed etiche” dell’attuale economia mondiale, puntando – spiega il Pontefice - a “porre le fondamenta per una cultura economica e degli affari che sia più inclusiva e rispettosa della dignità umana”, perché la lotta contro la povertà non è “soltanto” un problema economico, ma “anzitutto” un problema morale: il riferimento è alla “solidarietà globale e allo sviluppo di un approccio più equo” nei confronti dei bisogni e delle aspirazioni degli individui e dei popoli in tutto il mondo:

“Come San Giovanni Paolo II ha più volte rilevato, l’attività economica non può essere condotta in un vuoto istituzionale o politico, ma possiede una essenziale componente etica; deve inoltre sempre porsi al servizio della persona umana e del bene comune”.

D’altra parte - come “l’esperienza quotidianamente ci mostra”, nota Francesco - una visione economica “esclusivamente” orientata al profitto e al benessere materiale è “incapace” di contribuire in modo positivo ad una globalizzazione “che favorisca lo sviluppo integrale dei popoli nel mondo, una giusta distribuzione delle risorse, la garanzia di lavoro dignitoso e la crescita dell’iniziativa privata e delle imprese locali”:

“Un’economia dell’esclusione e dell’inequità ha portato ad un più grande numero di diseredati e di persone scartate come improduttive e inutili”.

Gli effetti - mette in luce - si vedono anche nelle società più sviluppate, nelle quali povertà e decadimento sociale sono una seria minaccia “per le famiglie, per la classe media che si contrae e, in modo particolare, per i giovani”:

“I tassi di disoccupazione giovanile sono uno scandalo che non solo richiede di essere affrontato anzitutto in termini economici, ma che va affrontato anche, e non meno urgentemente, come una malattia sociale, dal momento che la nostra gioventù viene derubata della speranza e vengono sperperate le sue grandi risorse di energia, di creatività e di intuizione”.

Come ha insegnato il Concilio Vaticano II, per i cristiani l’attività economica, finanziaria e degli affari non può essere separata “dal dovere di lottare per il perfezionamento dell’ordine temporale in conformità con i valori del Regno di Dio”: l’auspicio finale del Papa è quello a “contribuire sempre alla crescita di quella civiltà dell’amore che abbraccia l’intera famiglia umana nella giustizia e nella pace”.

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Pubblicato testo integrale del colloquio del Papa con le religiose

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La Sala Stampa vaticana ha pubblicato oggi il testo integrale del lungo colloquio che ieri Papa Francesco ha avuto con le religiose dell’Unione delle Superiore maggiori (Uisg). Ripercorriamo alcuni passi significativi di questo dialogo nel servizio di Sergio Centofanti

Le donne nei processi decisionali della Chiesa
Un colloquio vivace e affettuoso, in cui Papa Francesco ha risposto a braccio alle domande delle religiose. La prima riguardava un migliore inserimento delle donne nella vita della Chiesa, in particolare nei processi decisionali:

“E’ vero che le donne sono escluse dai processi decisionali nella Chiesa: escluse no, ma è molto debole l’inserimento delle donne lì, nei processi decisionali. Dobbiamo andare avanti”.

L'omelia
Si deve andare avanti – ha spiegato – “perché per tanti aspetti dei processi decisionali non è necessaria l’ordinazione”. Per il Papa “è molto importante l’elaborazione delle decisioni: non soltanto l’esecuzione, ma anche l’elaborazione, e cioè che le donne, sia consacrate sia laiche, entrino nella riflessione del processo e nella discussione. Perché la donna guarda la vita con occhi propri e noi uomini non possiamo guardarla così. E’ il modo di vedere un problema, di vedere qualsiasi cosa, in una donna è diverso rispetto a quello che è per l’uomo. Devono essere complementari”. Il Papa ha quindi affrontato il problema della predicazione nella Celebrazione Eucaristica:

“Non c’è alcun problema che una donna – una religiosa o una laica – faccia la predica in un Liturgia della Parola. Non c’è problema. Ma nella Celebrazione Eucaristica c’è un problema liturgico-dogmatico, perché la celebrazione è una - la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica, è un’unità – e Colui che la presiede è Gesù Cristo. Il sacerdote o il vescovo che presiede lo fa nella persona di Gesù Cisto. E’ una realtà teologico-liturgica. In quella situazione, non essendoci l’ordinazione delle donne, non possono presiedere. Ma si può studiare di più e spiegare di più questo che molto velocemente e un po’ semplicemente ho detto adesso”.

La tentazione del femminismo
Il Papa invita le religiose a evitare due tentazioni. La prima è il femminismo:

“Il ruolo della donna nella Chiesa non è femminismo, è diritto! E’ un diritto di battezzata con i carismi e i doni che lo Spirito ha dato. Non bisogna cadere nel femminismo, perché questo ridurrebbe l’importanza di una donna. Io non vedo, in questo momento, un grande pericolo riguardo a questo tra le religiose. Non lo vedo.  Forse una volta, ma non in genere non c’è”.

La tentazione del clericalismo
La seconda tentazione, “molto forte”, “è il clericalismo”. Un “atteggiamento negativo”…  

“Ed è complice, perché si fa in due, come il Tango che si balla in due… Cioè: il sacerdote che vuole clericalizzare il laico, la laica, il religioso e la religiosa, il laico che chiede per favore di essere clericalizzato, perché è più comodo”.

Commissione di studio sul diaconato permanente alle donne
Una religiosa chiede al Papa la possibilità di costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione del diaconato permanente aperto anche alle donne. Papa Francesco ricorda quanto gli disse sul problema un teologo siriano. Nei primi tempi della Chiesa c’erano le “diaconesse”, ma non è chiaro quale fosse il loro ruolo: “Ci sono alcune pubblicazioni sul diaconato nella Chiesa – afferma il Papa - ma non è chiaro come fosse stato. Credo che chiederò alla Congregazione per la Dottrina della Fede che mi riferiscano circa gli studi su questo tema, perché io vi ho risposto soltanto in base a quello che avevo sentito da questo sacerdote che era un ricercatore erudito e valido, sul diaconato permanente. E inoltre vorrei costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione: credo che farà bene alla Chiesa chiarire questo punto; sono d’accordo, e parlerò per fare una cosa di questo genere”.

Servizio, non servitù
Sul ruolo delle donne consacrate, il Papa ribadisce con forza che svolgono un lavoro di servizio e non di servitù, come talvolta invece si tende a considerare:

“Ma pensiamo a un parroco, un parroco che per sicurezza immaginiamo: ‘No, no, la mia canonica è in mano a due suore’ – ‘E sono loro che gestiscono?’ – ‘Sì, sì!’ – ‘E cosa fanno di apostolato, catechesi?’ – ‘No, no, soltanto quello!’. No! Questo è servitù! Mi dica, signor parroco, se nella sua città non ci sono donne brave, che hanno bisogno di lavoro. Ne prenda una, due, che facciano quel servizio. Queste due suore, che vadano nelle scuole, nei quartieri, con gli ammalati, con i poveri. Questo è il criterio: lavoro di servizio e non di servitù! E quando, a voi Superiore, chiedono una cosa che è più di servitù che di servizio, siate coraggiose nel dire ‘no’. Questo è un criterio che aiuta parecchio, perché quando si vuole che una consacrata faccia un lavoro di servitù, si svaluta la vita e la dignità di quella donna. La sua vocazione è il servizio: servizio alla Chiesa, ovunque sia. Ma non servitù!”.

Avidità di denaro e buona amministrazione
C’è poi la questione dei soldi nella vita consacrata. “Non dobbiamo mai dimenticare – dice - che il diavolo entra ‘per le tasche’: sia per le tasche del vescovo, sia per le tasche della Congregazione”. Infatti, “l’avidità di denaro è il primo scalino per la corruzione di una parrocchia, di una diocesi, di una Congregazione di vita consacrata”. Diversa, invece, è la questione di “una buona amministrazione, forse con qualche investimento, quello è prudente: per le case di formazione, per portare avanti le opere povere, portare avanti scuole per i poveri, portare avanti i lavori apostolici”:

“Ma per favore, non lasciatevi ingannare dagli amici della congregazione, che poi vi ‘spenneranno’ e vi toglieranno tutto. Ho visto tante case, o mi hanno raccontato altri, di suore che hanno perduto tutto perché si sono fidati di quel tale… “molto amico della congregazione”! Ci sono tanti furbi, tanti furbi. La prudenza è non consultare mai una sola persona: quando avete bisogno, consultare varie persone, diverse. L’amministrazione dei beni è una responsabilità molto grande, molto grande, nella vita consacrata”.

Preghiere e opere secondo il proprio carisma
Una religiosa confida al Papa che alcune autorità ecclesiali vorrebbero che le suore fossero più concentrate su una forma di vita mistica:

“Tutte le religiose, tutte le consacrate devono vivere misticamente, perché il vostro è uno sposalizio; la vostra è una vocazione di maternità, è una vocazione di essere al posto della Madre Chiesa e della Madre Maria. Ma quelli che vi dicono questo, pensano che essere mistico è essere una mummia, sempre così pregando… No, no. Si deve pregare e lavorare secondo il proprio carisma; e quando il carisma ti porta ad andare avanti con i rifugiati, con i poveri tu devi farlo, e ti diranno ‘comunista’: è il meno che ti diranno. Ma devi farlo”.

Necessità del riposo
Infine, una parola di incoraggiamento del Papa alle Superiore maggiori che devono affrontare grandi fatiche:

“Ma datevi anche un respiro! Il riposo, perché tante malattie vengono dalla mancanza di un sano riposo, riposo in famiglia… Questo è importante per sopportare il peso della giornata”.

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Diaconesse. Becciu: Papa sorpreso. Il commento di padre Lombardi

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"Il Papa mi ha telefonato sorpreso circa le...diaconesse! Pensa a una Commissione. Non affrettiamo le conclusioni!". Lo scrive in un tweet il sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Angelo Giovanni Becciu. Ma su questo tema e sulla conversazione del Papa con le religiose, ascoltiamo un breve commento del direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi

Si tratta di una bellissima conversazione che il Papa ha fatto con le Superiore delle religiose delle diverse parti del mondo. Molto bella e incoraggiante sulle donne e in particolare sulle donne consacrate nella vita della Chiesa, anche sui loro compiti in posizioni importanti nei dicasteri quando non sia implicata la ordinazione.

Ha suscitato molto rumore il fatto che il Papa, rispondendo a una domanda, abbia parlato di una Commissione per studiare la questione del diaconato delle donne. E’ una questione di cui si è molto parlato anche in passato e che nasce dal fatto che nella chiesa antica vi erano donne chiamate “diaconesse”, che svolgevano certi servizi nella comunità. Si sono fatti anche diversi studi storici su questo fatto, e il Papa vi ha fatto qualche cenno. Inoltre, c’è un documento importante del 2002 della Commissione Teologica Internazionale che ne ha parlato. Il Papa dice che pensa di costituire una Commissione che riprenda queste questioni per vederle con maggiore chiarezza. Ma bisogna essere onesti: il Papa non ha detto che abbia intenzione di introdurre un’ordinazione diaconale delle donne, e meno che meno ha parlato di ordinazione sacerdotale delle donne. Anzi, parlando della predicazione nel corso della celebrazione eucaristica ha fatto capire che a questo non pensa affatto.

Ma è sbagliato ridurre tutte le molte cose importanti che il Papa ha detto alle religiose a questa sola questione.

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Programma del viaggio del Papa in Armenia dal 24 al 26 giugno

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La Sala Stampa vaticana ha reso noto il programma del viaggio apostolico di Papa Francesco in Armenia, dal 24 al 26 giugno prossimi. Nel pomeriggio del 24 il Pontefice arriverà nella capitale Yerevan. Dopo la cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale “Zvartnots”, la visita di preghiera alla Cattedrale apostolica di Etchmiadzin con il saluto al Catholicos. Quindi, in serata la visita di cortesia al presidente della Repubblica e l’incontro con le autorità civili e con il Corpo diplomatico, al quale il Pontefice rivolgerà un discorso. Sabato 25 giugno la visita al Memoriale che ricorda l’eccidio degli armeni. Poi il trasferimento a Gymuri, dove Francesco presiederà la Santa Messa. A seguire la visita alla Cattedrale armeno apostolica delle Sette Piaghe e alla Cattedrale armeno cattolica dei Santi Martiri. In serata il rientro a Yerevan per l’incontro ecumenico e la preghiera per la pace.

Domenica 26 giugno, terzo e ultimo giorno della visita in Armenia, l’incontro di Francesco con i vescovi cattolici armeni nel Palazzo Apostolico ad Etchmiadzin e la partecipazione alla Divina Liturgia nella Cattedrale armeno apostolica con il saluto del Papa. Dopo il pranzo, l’incontro con i delegati e benefattori della Chiesa armena apostolica e la firma di una Dichiarazione congiunta. Prima del rientro in Vaticano, previsto in tarda serata, un momento di preghiera nel Monastero di Khor Virap.

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Papa riceve premier Polonia: al centro Gmg e accoglienza profughi

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza Beata Szydło, primo ministro della Repubblica di Polonia. Nel corso del colloquio, informa la Sala Stampa Vaticana, è stato rilevato il “contributo positivo della Chiesa cattolica alla società polacca”.

Attesa per il Papa alla Gmg di Cracovia
Si è fatto inoltre riferimento alla visita che il Papa compirà nel Paese nel prossimo mese di luglio in occasione della Gmg di Cracovia e alle recenti celebrazioni a Gniezno e a Poznań per il 1050.mo anniversario del Battesimo della Polonia, alle quali ha partecipato il card. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, in qualità di Legato Pontificio.

Temi dell’udienza: accoglienza profughi e crisi internazionali
Successivamente, prosegue la nota della Sala Stampa, “ci si è soffermati su alcuni temi di mutuo interesse, quali la promozione della famiglia nell’attuale contesto socio-culturale e l’accoglienza dei profughi”. Infine, sono state discusse “alcune tematiche che concernono la comunità internazionale, quali la pace e la sicurezza, il conflitto in Siria e la situazione umanitaria nell’Ucraina e nel Medio Oriente”.

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Il Papa in visita alla Pontificia Accademia Ecclesiastica

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Papa Francesco si è recato in visita ieri sera presso la Pontificia accademia ecclesiastica, dove si formano sacerdoti che eserciteranno il loro ministero nelle rappresentanze pontificie sparse in tutto il mondo. Una comunità, formata quest’anno da 33 sacerdoti, provenienti da 14 Paesi diversi. A riferirlo è L’Osservatore Romano.

Papa Francesco è stato accolto dal presidente, l’arcivescovo Giampiero Gloder, dai superiori, dagli alunni e dalle suore della Congregazione di Marta e Maria, che da qualche mese prestano il loro servizio nella comunità. Salito nella cappella, il Pontefice ha presieduto la preghiera dei Vespri nella forma in cui avviene quotidianamente nella Casa; ha poi salutato personalmente gli alunni, soffermandosi brevemente con ciascuno per conoscerne il nome e la diocesi di provenienza. Si è poi trattenuto per più di un’ora con la comunità instaurando un dialogo aperto e spontaneo, nel quale si sono potute affrontare differenti tematiche. Papa Francesco non ha tenuto un discorso ufficiale, ma ha voluto rispondere alle numerose domande che gli hanno rivolto gli alunni, offrendo elementi di riflessione per il ministero a cui si stanno preparando.

Riferendosi al servizio diplomatico della Santa Sede, ne ha sottolineato la bellezza e l’utilità per la vita della Chiesa, come pure le difficoltà e sfide che comporta. A chi domandava che cosa si attenda da coloro che vivono il proprio ministero nelle rappresentanze pontificie, Papa Francesco ha delineato tre elementi fondamentali: una diplomazia intelligente fatta di arte e carità, che costruisca ponti con le culture, le società e i Governi, rendendo presente la Chiesa e dando voce al Vangelo; una dimensione pastorale del ministero — caratterizzata dal contatto vivo e concreto con il popolo fedele di Dio — che, attraverso una testimonianza coerente e generosa di vita sacerdotale, sappia creare un clima di fiducia; la capacità di offrire qualcosa al Signore nella penitenza, una virtù che non è passata di moda, ma che aiuta a rafforzare il rapporto con lui, centrando la propria vita sacerdotale su ciò che è essenziale.

Chiamati a operare e a vivere il proprio sacerdozio in un mondo che appare spesso indifferente e lontano dal messaggio cristiano, il Papa ha ricordato la parola di Cristo «io ho vinto il mondo» (Giovanni, 16, 33): un invito a non avere paura delle incomprensioni e della persecuzione e a confidare sempre nella forza della risurrezione del Signore. In questo contesto, ha rilevato la presenza e l’azione dello spirito del maligno, che spinge gli uomini alle divisioni e alle guerre, li rende schiavi del denaro e del potere, fino a illuderli di potersi sostituire a Dio creatore, ripetendo l’esperienza della torre di Babele.

Parlando ai giovani sacerdoti ha ribadito la necessità di una riforma personale ed ecclesiale, che parta dalla dimensione spirituale affinché essa permei ogni aspetto della vita. Ciò è particolarmente importante per i pastori, che, specie nel contesto odierno, sono esposti al rischio della comodità, della mondanità e della tiepidezza. Allo stesso tempo, però, Papa Francesco ha invitato a seguire i molti esempi di dedizione, di servizio e di santità di vita, che ci sono nella Chiesa, nel clero e nella Curia romana.

Nell’incontro, il Pontefice si è soffermato poi su altri temi attuali, quali l’impegno ecumenico, il fondamentalismo religioso, il rapporto tra misericordia e giustizia, la situazione europea e la riconciliazione come missione della Chiesa.

La visita all’accademia è stata un’occasione per incoraggiare con affetto gli alunni nel loro cammino di formazione e riaffermare l’importanza delle nunziature apostoliche per il ministero petrino e il servizio alle Chiese locali. 

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Altre udienze e nomine

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Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza il card. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Bielorussia il Rev.do Mons. Gábor Pintér, Consigliere di Nunziatura, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Velebusdo, con dignità di Arcivescovo.

Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Tulsa (U.S.A.), presentata da S.E. Mons. Edward James Slattery, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato Vescovo di Tulsa (U.S.A.) il Rev.do David A. Konderla, del clero della diocesi di Austin, finora Parroco del “Saint Mary Catholic Center” presso l’Università “Texas A&M” a College Station, Texas.

Il Pontefice ha nominato Vescovo della diocesi di Calahorra y La Calzada-Logroño (Spagna) S.E. Mons. Carlos Manuel Escribano Subías, trasferendolo dalla sede di Teruel y Albarracín.

Il Papa ha nominato Difensore del Vincolo del Tribunale della Rota Romana il Rev.do Mons. Robert Gołębiowski, finora Difensore del Vincolo Sostituto del medesimo Tribunale.

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Tweet Papa: la nostra comunicazione sia portatrice della forza di Dio

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"Se il nostro cuore e i nostri gesti sono animati dall’amore divino, la nostra comunicazione sarà portatrice della forza di Dio". E' il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sull'account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

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35.mo attentato a Karol Wojtyla: quando il perdono vinse l'odio

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35 anni fa, era il pomeriggio del 13 maggio 1981, San Giovanni Paolo II veniva colpito, in Piazza San Pietro, da due colpi di pistola sparati da Ali Ağca. Come oggi, era la festa della Madonna di Fatima, di cui - come ha anche ricordato Papa Francesco all'udienza generale di mercoledì scorso e oggi su Instagram - era molto devoto. Per Papa Wojtyla fu la mano di Maria a proteggerlo. Il proiettile che gli aveva perforato il torace e che avrebbe dovuto ucciderlo è ora incastonato proprio nella corona della statua della Vergine a Fatima. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

13 maggio 1981, Piazza San Pietro, festa della Madonna di Fatima. Come di consueto, in occasione delle udienze generali, Giovanni Paolo II in piedi sulla papa-mobile sta salutando e benedicendo i pellegrini. E’ il momento dell’incontro, dei gesti d’affetto tra il Santo Padre e i fedeli: le mani che si sfiorano, uno scambio di sorrisi, un bimbo preso in braccio e coccolato con dolcezza. La gente non lo sa, ma di lì a poco, il Pontefice ha in programma un importante annuncio: la nascita del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Annuncio che dovrà rimandare. Il cielo sopra Roma si annuvola, quasi a presagire l’impensabile che sta per diventare realtà.

Un evento impensabile: un attentato al Papa in Piazza San Pietro
Sono le 17.17. Un rumore sordo, ripetuto. Non c’è dubbio: si tratta di spari di arma da fuoco. Il Papa si accascia nella sua giardinetta, sorretto dal suo segretario, don Stanislao Dziwisz. La gente è atterrita. Ci sono fedeli che rompono in pianto, c’è chi si inginocchia, chi inizia a pregare con il Rosario stretto tra le mani. Una commozione che non lascia, non può lasciare immune Benedetto Nardacci, il cronista della nostra emittente che sta seguendo l’udienza:

“La folla è tutta in piedi … La folla è tutta in piedi; non commenta quasi la scena tragica cui hanno assistito. Sono quasi tutti in silenzio, aspettano notizie. (…) Il Santo Padre è stato evidentemente, certamente colpito. E’ stato certamente colpito, lo abbiamo visto sdraiato nella vetturetta scoperta che è entrata in velocità dentro il Vaticano. Ecco. Per la prima volta si parla di terrorismo anche in Vaticano. Si parla di terrorismo in una città dalla quale sono sempre partiti messaggi di amore, messaggi di concordia, messaggi di pacificazione”. 

Il mondo con il fiato sospeso per la vita di Karol Wojtyla
Sono momenti concitati, confusi. Nella Piazza ammutolita si propagano notizie contrastanti sull’identità dell’attentatore, sul numero degli spari, e soprattutto sulla gravità della ferita inferta a Karol Wojtyla. Si sente il suono di una sirena, un’autoambulanza. Lo conferma il direttore generale della Radio Vaticana, padre Roberto Tucci, che, pochi minuti dopo l’attentato, raggiunge Nardacci in Piazza San Pietro:

“Padre Tucci, dai microfoni della Radio Vaticana, in Piazza San Pietro. Non si sa ancora l’entità della ferita. Alle 17.29 ho visto io stesso uscire a grande velocità, dall’ingresso di Porta Sant’Anna, un’ambulanza. Mi è stato riferito – ma non posso assicurare che la notizia corrisponda a verità – che l’autoambulanza, che portava il Santo Padre, si è diretta all’ospedale Gemelli”.

La Radio Vaticana annuncia al mondo l'esito dell'operazione al Policlinico Gemelli
Un viaggio, quello dal Vaticano al Gemelli, che dura solo un quarto d’ora. Eppure sono minuti interminabili. Nell’ambulanza, ricorda il suo medico personale Renato Buzzonetti, il Papa “pregò ininterrottamente in lingua polacca: ‘Gesù mio. Madre mia’”. L’intervento chirurgico è lungo, complicato: Karol Wojtyla ha perso molto sangue, è ferito gravemente in più parti, preoccupa soprattutto la perforazione dell’apparato intestinale. E tuttavia, chi opera il Papa si rende conto che la pallottola ha seguito una traiettoria anomala: una deviazione di pochi millimetri e il proiettile non gli avrebbe dato scampo. Durante l’intervento al terzo piano del Gemelli, il tempo sembra sospeso. I media di tutto il mondo attendono con apprensione l’esito dell’operazione: 

R. – The surgery on Pope John Paul ...“L’operazione chirurgica del Papa si è conclusa dopo 4 ore 20 minuti”, è l’annuncio in diretta del canale americano Abc e aggiunge: “La Radio Vaticana ha detto che le condizioni del Papa non sono gravi”. 

Perdono il fratello che mi ha colpito, Totus tuus Maria!
Milioni di fedeli, che in ogni angolo della terra e soprattutto in Polonia, si sono raccolti in preghiera possono tirare un sospiro di sollievo. Intanto, la polizia italiana interroga l’attentatore, il giovane estremista turco Ali Agca. Proprio a lui, Giovanni Paolo II si rivolge nel primo Regina Caeli dopo l’attentato che lo ha ridotto in fin di vita. E’ il 17 maggio 1981, San Giovanni Paolo II parla dal suo letto di sofferenza al Policlinico Gemelli:

"Vi ringrazio commosso per le vostre preghiere e tutti vi benedico (…) Prego per il fratello che mi ha colpito, al quale ho sinceramente perdonato (…) A Te Maria ripeto: ‘Totus tuus ego sum’”.

L’affidamento a Maria e il perdono: due dimensioni già fortemente presenti nella vita e nel Magistero del Papa, che da quel momento diventano un tutt’uno con la figura e la testimonianza di Karol Wojtyla. Quel perdono che ha pronunciato con voce flebile, poco dopo l’attentato, Giovanni Paolo II lo porta di persona al “fratello che lo ha colpito”, nel Natale del 1983, al Carcere romano di Rebibbia.

Il Pontificato di Giovanni Paolo II nel segno della Vergine di Fatima
Alla Vergine porta invece tutto se stesso, il suo cuore, la sua vita. E’ il 13 maggio del 1982, un anno esatto dopo l’attentato: il Papa è al Santuario mariano di Fatima per ringraziare la Madonna che lo ha salvato. Giovanni Paolo II non ha dubbi: fu la mano di Maria a “guidare la traiettoria della pallottola e il Papa agonizzante si fermò sulla soglia della morte”.  “Totus Tuus Maria”, “Tutto tuo, Maria”: il motto sullo stemma episcopale si fa invocazione. Un affidamento totale che Papa Karol Wojtyla ripeterà fino agli ultimi istanti della sua vita terrena:

“In te confido e a te ancora una volta dichiaro: Totus tuus, Maria! Totus tuus! Amen”.

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Mons. Auza: contro il terrorismo costruire società inclusive

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Bisogna “costruire ponti piuttosto che muri” per prevenire che i giovani finiscano nel terrorismo. E’ il messaggio lanciato a nome della Santa Sede, dall’osservatore permanente presso le Nazioni Unite, l’arcivescovo Bernardito Auza, al dibattito svoltosi presso il Consiglio di Sicurezza. Cuore dell’incontro a New York, la lotta alle ideologie del terrorismo.

I leader religiosi devono delegittimare la manipolazione della fede
Per il presule, per colpire il terrorismo alla radice, bisogna prima di tutto combatterlo nei cuori e nelle menti di coloro che sono più a rischio di reclutamento. La loro ideologia identifica i “nemici”, in modo che poi possano essere attaccati ovunque si trovino, a Parigi come ad Aleppo. In primo luogo bisogna, dunque, “contrastare le ideologie dei gruppi terroristici”, che si basano su interpretazioni tendenziose: i leader religiosi devono delegittimare “la manipolazione della fede e la distorsione di testi sacri come giustificazione per la violenza”. Bisogna anche ricordare il ruolo di umanizzare e civilizzare proprio delle religioni, come ha fatto la Quarta riunione del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e dell’Istituto Reale per gli studi interconfessionali di Amman, lo scorso 7 maggio. Importante, poi, la Dichiarazione di Marrakech, che sollecita le istituzioni educative musulmane a condurre una coraggiosa revisione dei programmi di studio.

Creare inclusione nella società
Bisogna poi affrontare le cause profonde di cui il terrorismo si nutre: spesso i giovani che vi entrano provengono da povere famiglie di immigrati, delusi dalla mancanza di integrazione. In questo caso spetta ai governi impegnarsi per affrontare i problemi delle comunità più a rischio di reclutamento per raggiungere una “soddisfacente integrazione sociale di quelle comunità”. Infine, si deve intervenire anche sul fronte di Internet, perché alcuni gruppi terroristici si sono distinti nel reclutamento tramite il web. Bisogna, quindi, costruire società inclusive e contrastare il traffico di armi: in una parola ci vuole “dialogo piuttosto che reciproco isolamento”. (A cura di Debora Donnini)

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Mons. Perego: sugli immigrati dall'Europa risposta debole

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Di migranti si è parlato durante la seconda giornata del Convegno internazionale della Fondazione Centesimus Annus organizzato in Vaticano. Secondo Frontex, il numero degli arrivi di immigrati in Italia ha superato lo scorso aprile, per la prima volta dal giugno del 2015, quello degli arrivi in Grecia. Su come come sta reagendo l'Europa, Alessandro Guarasci ha sentito il direttore della Fondazione Migrantes della Cei, mons. Giancarlo Perego

R. – La prima reazione dell’Europa che è stata quella di costruire un accordo con la Turchia, è stata certamente nella direzione della non tutela di alcuni diritti fondamentali per quanto riguarda i richiedenti asilo e i rifugiati. Quindi una debolezza di una tutela di un istituto fondamentale su cui è poggiata la nostra democrazia. Al tempo stesso rimane ancora debole la capacità dell’Europa di questa accoglienza diffusa in tutti i 28 Paesi europei che potrebbe essere efficace visto anche l’attuale numero che si aggira intorno un milione e 200 mila persone.

D. – La questione del Brennero al momento sembra sospesa. Lei però è preoccupato?

R. – Certamente. Il ritorno ai nazionalismi e alle chiusure va a minare un sistema comune di asilo che invece è indispensabile in questo momento anche alla luce delle situazioni gravi alle porte dell’Europa sul piano delle guerre, dei cambiamenti climatici, della tutela delle libertà religiose e politiche. Quindi è invece importante ritornare ad avere al centro il concetto di un’Europa dove la tutela del diritto d’asilo è veramente una delle esperienze comuni su cui si fonda la democrazia europea.

D. – Secondo lei anche l’Europa investe ancora troppo poco nella gestione dei flussi migratori?

R. – L’Europa non solo investe troppo poco, ma investe male; è troppo preoccupata del controllo delle frontiere attraverso gli hot spot e meno preoccupata invece di tutti questi percorsi di accoglienza, di inclusione, di integrazione, che sono importantissimi in questo momento. Comunque i flussi cresceranno e sono uno degli aspetti importanti su cui aspettiamo il governo europeo alla prova dei fatti.

D. – Lei è favorevole all’invio di poliziotti negli hot spot europei?

R.- La sicurezza non passa solo attraverso la polizia. La sicurezza nella nostra storia, anche sociale, passa attraverso figure professionali che tutelano i diversi soggetti: dalle donne ai bambini, la famiglia, la salute … Quindi hanno bisogno di figure professionali come medici, educatori, mediatori culturali. Forse questo concetto di sicurezza che è sbagliato, perché è poliziesco, è tante volte esasperato dalla politica che non aiuta a leggere quelli che invece sono i bisogni reali di una sicurezza sociale non solo nel territorio italiano ma europeo.

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Centesimus Annus: iniziative imprenditoriali contro la povertà

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Contrastare le nuove forme di povertà e l’emergenza profughi attraverso buone pratiche di imprenditorialità per un’economia dell’inclusione. Questo lo scopo del Convegno internazionale promosso dalla Fondazione Centesimus Annus nell’Aula nuova del Sinodo in Vaticano. Stamane i partecipanti vivranno l’incontro con il Papa in Sala Clementina. Il servizio di Paolo Ondarza: 

Abbattere il muro dell’indifferenza, costruire ponti di corresponsabilità. Questo lo spirito che anima la tre giorni della Fondazione Centesimus Annus sul tema “L’iniziativa imprenditoriale nella lotta contro la povertà. Emergenza profughi, la nostra sfida”. Ad aprire i lavori il card. Domenico Calcagno, presidente dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica:

R. - La prima finalità è quella di mettere a fuoco la necessità di affrontare la povertà non tanto con un sostegno immediato, di elemosina, quanto piuttosto di creare le condizioni attraverso le quali la vita dell'uomo possa veramente svilupparsi con dignità, come dice Dio già all'inizio della Creazione.

D. - E' possibile quindi che le decisioni d business siano ispirate da valori cristiani, nello specifico pensando alle situazioni di più stretta emergenza: i profughi, la povertà in crescita nelle nostre città?

R. - Secondo me è necessario che le iniziative imprenditoriali siano assunte alla luce dei principi cristiani di condivisione, di corresponsabilità, perchè altrimenti la semplice legge del "miglior rendimento", a volte è veramente ossessiva e può portare a degli squilibri sociali anzichè risolvere dei problemi.

D. - E' corretto parlare di "conversione" anche per l'economia?

R. - Certo! Non è da oggi che la Chiesa Cattolica in particolare lo sta dicendo, perchè quando prevalgono delle logiche che sono semplicemente finalizzate al puro utile, al ricavo, si dimenticano i valori umani che stanno alla base del convivere sociale, l'economia va poco lontano: crea degli schiavi e degli illusi e basta. 

Tra i relatori, scienziati, esperti di finanza e imprenditori, testimoni di “best practice”. Fare imprenditoria in una logica di inclusione cristiana si può. Domingo Sugranyes Bickel, presidente di Centesimus Annus:

R. - Pensando a quello che diceva il Santo Padre alle Nazioni Unite lo scorso anno: usicre dalla povertà non è una questione di carità, di emergenza, ma il sentiero passa dall'assuzione del proprio destino ... ecco la più chiara espressione di questo è l'imprenditorialità. Molte persone in tutto il mondo attraverso iniziative imprenditoriali riescono a creare ricchezze, a migliorare il proprio stato, non solo dal punto di vista materiale, ma anche sentendosi responsabili del proprio destino. 

D. - Voi presentate delle buone pratiche oggi messe in atto di fronte alle sfide della contemporaneità. Può farci qualche esempio?

R. - Una grande banca internazinale di origine americana ha un programma che fa arrivare delle basi di cultura imprenditoriali attraverso programmi a più di un milione di giovani nel mondo. E' un esempio di finanza inclusiva ed economia inclusiva da parte di una grande istituzione finanziaria. Un altro caso viene dalla Spagna: un gruppo imprenditoriale si è sviluppato in campo turistico e alberghiero solo con persone venute dalle carceri. Ci sono migliaia di persone che stanno portando avanti idee che sono vicine o direttamente influenzate dalla dottrina sociale della Chiesa.

Nel primo giorno di lavori l’intervento del cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l'Economia, che ha evidenziato l’importanza dei laici nella partecipazione alle problematiche finanziarie della Chiesa e posto l’attenzione sull’esigenza di usare la ricchezza in modo buono favorendo lo sviluppo. “Il Regno di Dio è dei poveri – ha affermato – ma  non si possono aiutare i poveri senza soldi”:

R. - Noi crediamo nella giustizia sociale. Lavoriamo per questo. 

D. - Nel suo intervento lei ha detto: chi è ostile alla Chiesa cerca di mettere in luce gli scandali legati alla finanza...

R. - I media sempre fanno questo, non soltanto in questo campo.

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Gli imprenditori dal Papa. Tagliavanti: creare ricchezza per tutti

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Domani oltre 18 mila imprenditori saranno in Piazza San Pietro per incontrare il Papa in occasione dell'udienza giubilare del sabato. Stasera in molti parteciperanno alla Messa nella Basilica di San Paolo fuori le Mura presieduta dal cardinale Agostino Vallini. Si tratta di un modo per riflettere sul ruolo sociale ed etico dell'impresa. A organizzare l'evento, tra gli altri, il Vicariato e la Camera di Commercio di Roma. Alessandro Guarasci ha sentito il presidente della Camera Lorenzo Tagliavanti

R. – Nel tempo abbiamo visto che Papa Francesco ha rivolto, soprattutto negli ultimi anni - caratterizzati da una crisi molto dura dell’economia - delle parole molto interessanti per quanto riguarda il mondo delle imprese e il ruolo dell’imprenditore. Pensiamo che il fatto che migliaia di imprenditori vanno a San Pietro gli dà la possibilità di ricreare questo filo diretto che già oggi esiste tra il mondo dell’impresa e Papa Francesco.

D. - E in questo momento in cui il Paese sta tentando di ripartire seppure molto a fatica, secondo lei le imprese hanno un ruolo particolare?

R. - Sono le uniche strutture che creano ricchezza; poi lo Sato penserà a redistribuirle, a dare le regole, ma la ricchezza di una nazione è fatta dalla capacità dei propri cittadini, attraverso la forma dell’impresa, di creare occupazione e ricchezza non solo per l’azienda stessa, ma anche per il territorio e per il Paese. Questo è il grande sforzo. Questo va fatto non pensando solo al profitto, anzi, ma soprattutto a quanto intorno a sé può fare un’impresa, ovvero una crescita che serve a qualcosa, che serve soprattutto all’uomo.

D. - Anche a Roma si fa fatica a vedere una ripresa delle attività produttive e del comparto del lavoro. Secondo lei, mancano progetti di rilancio per questa città?

R. - Non mancano sicuramente il coraggio dei romani. In questo periodo di crisi devo dire che il numero delle imprese a Roma è aumentato, non è diminuito. Questo significa che molti giovani che non trovano altra collocazione scelgono la via dell’impresa. Molte donne che magari hanno un marito licenziato da un’altra attività, decidono di trovare nell’attività imprenditoriale la possibilità magari di contribuire al reddito famigliare. Quello che manca spesso è un contesto favorevole all’intrapresa personale, quindi spesso manca una struttura finanziaria adeguata; sicuramente mancano le infrastrutture a cominciare da quelle tecnologiche e sicuramente non c’è una pubblica amministrazione amica delle imprese; spesso è la burocrazia ad essere ostile.

D. - Secondo lei manca anche un’offerta politica all’altezza dei compiti di questa città? Pensiamo alle prossime elezioni amministrative …

R. - Questo sicuramente. Ogni città deve aver una sua visione ed ogni visione deve essere disegnata dalla leadership della città. Il fatto che Roma fatichi così tanto ad avere delle leadership in grado di indicare una strada, ormai da qualche anno, è uno dei limiti della nostra città. Se guardiamo quello che è accaduto l’anno scorso a Parigi con il rinnovamento e la determinazione con le quali il sindaco di Parigi sta indicando la strada di quella città o pensiamo anche a questo evento straordinario che è accaduto alla città di Londra, si vede che dietro quelle candidature, quei sindaci, ci sono dei progetti, delle indicazioni. Spesso da noi, anche leggendo le polemiche politiche, una grande visione per una grande città come è Roma spesso sembra non esserci.

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Giubileo dell'Opera Romana Pellegrinaggi: intervista con mons. Andreatta

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Nell’anniversario della prima apparizione della Madonna di Fatima ai tre pastorelli, il 13 maggio 1917, si è tenuto oggi a Roma con la partecipazione di oltre mille persone il Giubileo nazionale del Pellegrino dell’Opera Romana Pellegrinaggi. In processione, oltre alla statua della Madonna Pellegrina, anche le reliquie dei Beati Francesco e Giacinta. Luca Collodi ne ha parlato con mons. Liberio Andreatta, amministratore delegato dell’Opera Romana Pellegrinaggi. 

R. – Sono 12 anni che facciamo la Giornata Mondiale dei Pellegrini per Opera Romana Pellegrinaggi a Roma. Quest’anno, con l’Anno Santo Straordinario della Misericordia, abbiamo voluto far vivere anche ai nostri pellegrini il Giubileo nazionale sul tema: “Maria, testimone della Misericordia di Dio”. Siamo partiti dalla Basilica di Santa Croce in Gerusalemme e percorrerendo, secondo le indicazioni della lettera del Papa di indizione del Giubileo, un cammino a piedi, che quest’anno diventa proprio un percorso giubilare, siamo passati tutti per la Porta Santa della Cattedrale di Roma.

D. – Pensiamo ai pellegrinaggi che organizzate in Medio Oriente: come li cambia la paura del terrorismo?

R. – In due modi: in primo luogo, diminuiscono i gruppi, perché i parroci e le comunità faticano ad aggregarli. Quindi aumentano molto di più i singoli pellegrini, che, nell’ambito di una loro fede interiore e di una loro serenità per quanto riguarda la vivibilità e la fattibilità del pellegrinaggio, decidono di partire. Di conseguenza, sono sempre di più gli individuali e sempre di meno i gruppi. Il secondo elemento è che si iscrivono tutti all’ultimo minuto; quindi, molte volte, a causa delle imposizioni delle compagnie aree e di servizi che ci obbligano a dare la conferma 60 giorni prima, siamo costretti a dover annullare il pellegrinaggio perché in quest’arco di tempo non riusciamo ad aggregare il numero sufficiente per confermare i posti. E questo ci mette in grande difficoltà. Iscrivendosi all’ultimo minuto, non trovano più il pellegrinaggio organizzato e devono poi spostare le loro iscrizioni in date successive. Ma devo ribadire con forza che non vi sono pericoli né rischi per i pellegrinaggi in Terra Santa.

D. – C’è una ricaduta negativa sui cristiani di Terra Santa?

R. – C’è una grande ricaduta negativa. Infatti, molti se ne vanno perché non hanno più un posto di lavoro. Perché il pellegrinaggio creava anche un grande indotto economico per la sopravvivenza delle nostre piccole comunità cristiane di Terra Santa. Quindi il pellegrinaggio ha un duplice valore: è un cammino interiore, un’esperienza personale, un’esperienza – direi – straordinaria nei luoghi di Gesù; ma anche una grande solidarietà per tutti i fratelli cristiani che testimoniano, con la loro presenza, la continuità del messaggio evangelico.

D. – Mons. Andreatta, che novità ci sono per i cammini giubilari a Roma?

R. – Per quanto riguarda i cammini giubilari, il cammino mariano, il cammino papale, il cammino della misericordia, abbiamo creato una App che si può scaricare gratuitamente, chiamata “Iubitinera”. Questa è la prima novità: per cui si può percorrere il cammino con i telefonini, grazie a questa App che dà tutte le spiegazioni, con le tappe, gli orari e le informazioni utili. Ad esempio, chi è stanco può salire sull’open bus “Roma Christiana” o può trovare lungo il percorso dei punti di assistenza e di informazione. Poi c’è la seconda novità, che posso annunciare in anticipo attraverso Radio Vaticana, perché sarà presentata nei prossimi giorni. Con i giovani di don Rosini abbiamo percorso, domenica 1° maggio, l’itinerario mariano al mattino alle 5: c’ erano circa 200 giovani; e l’8 maggio, con 400 giovani, abbiamo percorso il cammino della Misericordia da San Giovanni in Laterano a San Pietro. In queste occasioni abbiamo realizzato un video – un video straordinario! – con una musica di sottofondo e un canto dell’”Ave Maria” meraviglioso! Tra qualche giorno, dal sito dell’ORP, si potrà scaricare un meraviglioso video dei cammini giubilari dedicato al Giubileo della Misericordia a Roma.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Economia equa e inclusiva: il Pontefice ricorda che la lotta alla povertà è anzitutto un problema morale

Le donne nella vita della Chiesa: Papa Francesco a colloquio con le superiore generali

Incontro familiare: il Santo Padre in visita alla Pontificia Accademia Ecclesiastica

Quando il dialogo si fa in moschea: un articolo di Alberto Fabio Ambrosio sull'incontro a Roma su islam e terrorismo

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Oggi in Primo Piano



Siria: anche il Belgio parteciperà ai raid contro l'Is

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Si combatte e si continua a morire in Siria. Succede a Hama e a nella zona di Khan Eshieh dove a causa dell’assedio è a rischio la vita di circa 3 mila bambini. Intanto si amplia la coalizione anti Is, con l’inizio dei bombardamenti aerei anche da parte del Belgio, sin dal luglio prossimo. Le complicazioni però non mancano: dopo l’uccisione martedì del leader degli Hezbollah libanesi a Damasco, Mustafa Badreddine, si fa il nome di Israele. Gabriella Ceraso ha intervistato Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici all'Università di Trieste: 

R. – Certamente Israele, nella vicenda siriana, ha combattuto da anni una battaglia coperta e per il futuro continuerà a mantenere la guardia altissima al confine del Golan, riservandosi di intervenire, ove la sicurezza lo richiedesse, anche in territorio siriano e – secondo me – con un accordo coperto con la Federazione Russa. Accordo che ormai è trapelato e sta provocando, per la prima volta, anche delle dissonanze tra iraniani e russi, perché il vero nemico di Israele non è – naturalmente – la Federazione russa, tantomeno Assad – debolissimo – ma gli iraniani e i loro "protetti", tra cui in primis Hezbollah.

D. – Professore, condivide quanto ha detto oggi la Direzione Nazionale Antimafia in Italia, cioè che l’Is sta perdendo terreno in Siria e in Iraq e quindi ha difficoltà a far affluire i militanti e dunque al contrario cercherebbe di colpire in Occidente?

R. – Che sia in difficoltà, io credo non vi siano dubbi. L’operazione della Federazione Russa ha dato il “la” ad una nuova offensiva sia della coalizione guidata, appunto, dalla Russia, sia dalla coalizione occidentale e quindi questa volta il Califfato è stato stretto da entrambi i lati e anche la vicenda relativa alla Turchia, cioè l’opinione pubblica internazionale che sempre più ha impedito alla Turchia di sostenere, ove l’avesse fatto e clandestinamente, le forze del Califfato, hanno portato l’Is in una condizione molto diversa da quella vittoriosa di un paio di anni fa. Gli iracheni hanno riconquistato parte del loro territorio; Assad ha resistito e si combatte nelle zone che prima erano assolutamente controllate dal Califfato; i curdi hanno resistito e sono anche loro passati all’attacco; i vecchi amici sauditi turchi hanno difficoltà a continuare a finanziare... La tentazione, quindi, di andare ad azioni eclatanti verso l’Europa che confermino l’esistenza del Califfato è molto forte e le intelligence Nato e americana hanno già dichiarato che vi sono "cellule dormienti" in Gran Bretagna, in Germania, in Italia e – aggiungo io – in Olanda. Certamente, per fortuna passare da una strategia alle azioni non è semplice; ritengo tuttavia che vi sia del fondamento in questo cambio di strategia. Quindi bisogna assolutamente tenersi preparati perché tra "cellule dormienti" e circa 400 foreign fighters ritornati clandestinamente in Europa, ma pronti a combattere, siamo di fronte veramente un pericolo molto forte che assolutamente non sottovaluterei, Italia compresa.

D. – Il Belgio oggi ha comunicato che da luglio incomincerà a bombardare, con i suoi caccia, l’Is anche in Siria, oltre che in Iraq. Una scelta legata alla pressione degli alleati secondo lei o, come è stato in precedenza, a una minaccia che si sta rendendo più concreta anche sul proprio territorio?

R. – E’ difficile che la risposta provenga dall’interno; la risposta, secondo me, viene data perché l’alleanza Nato negli ultimi tempi ha dato chiarissimi segni di voler contrattaccare e di cercare una strategia che parta da una coesione europea per colpire nel Mediterraneo, spiegando ai Paesi che hanno paura di farlo che tanto, comunque, se devono essere attaccati, vengono attaccati anche se si tengono nelle retrovie. In base a questa logica, il Belgio ha deciso di attaccare.

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Francia: governo supera mozione sfiducia, passa riforma lavoro

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In Francia è stata respinta, ieri sera, la mozione di sfiducia presentata dai partiti Unione dei Democratici e degli Indipendenti e Les Républicains contro il governo francese dopo che il premier Manuel Valls aveva scelto la strada dell'approvazione senza passaggio parlamentare della legge di riforma del codice del lavoro. La legge è passata adesso al Senato. Contro questa iniziativa legislativa, che concede maggiore flessibilità alle imprese in materia di orari, organizzazione del lavoro e licenziamenti per ragioni economiche, da oltre un mese si susseguono manifestazioni in tutto il Paese. Anche ieri sera, le proteste sono sfociate in violenti scontri in piazza sia a Parigi che in altre città. Ascoltiamo il commento di Massimo Nava, editorialista del Corriere della Sera e conoscitore della società francese, al microfono di Marina Tomarro

R. – Le conseguenze sono di vario tipo. Vanno sicuramente analizzate una per una. La prima, la più spettacolare in questo momento è ovviamente sul piano politico, nel senso che il Partito socialista si è fortemente diviso: una fronda ha addirittura minacciato di votare con la destra o di proporre una mozione di censura contro il governo, colpevole ai suoi occhi di aver posto la fiducia per far passare la legge. Una legge ovviamente invisa ai sindacati, in generale alla sinistra e ad una parte dell’opinione pubblica, che ha chiaramente diviso il dibattito nel Paese. Ma la conseguenza più drammatica riguarda sicuramente la famiglia socialista e ad un anno dalle presidenziali non è certamente una buona notizia.

D. – Una delle accuse che si fa a questa legge è quella che farà fare un passo indietro alla Francia, mentre c’è un’altra parte che dice che invece questa legge potrebbe essere un momento di crescita per quanto riguarda il mercato del lavoro. Qual è la verità tra le due parti?

R. – Bisogna pensare al Jobs act all’italiana. È chiaro che in sintesi questa è una riforma del mercato del lavoro che rende oggettivamente un po’ più facili i licenziamenti, ma rende anche molto più facili le assunzioni. È vero che la Francia ha un meccanismo di tutela del mercato del lavoro molto forte  - ed è per questo che le proteste sono forti - ma è anche vero che soprattutto una grande parte dei giovani è fuori dal mercato del lavoro, la spesa pubblica continua ad  aumentare, il Pil non cresce e quindi il governo è dovuto correre ai ripari cercando di introdurre una politica più liberale fondamentalmente, ma che vediamo in molti Paesi del Nord o addirittura in un Paese come la Germania sta dando i suoi frutti. In Francia, poi, c’è il peso abnorme di una legge che da anni fa discutere e che tutti vorrebbero cambiare, ma a cui nessuno osa mettere mano: la legge sull’orario di lavoro ridotto a 35 ore, che di fatto non è applicato quasi mai e che quindi comporta delle enormi spese di lavoro straordinario e costi molto alti. Anche su questo ovviamente la nuova legge cerca di ridurre questo aspetto della questione.

D. – Forti sono state le proteste in questi giorni proprio contro questa legge. Ma chi c’è dietro queste proteste? Solo i sindacati o altro?

R. – Come avviene sempre in Francia, questo è un po’ un rituale. Ci sono minoranze che hanno un fortissimo potere di blocco, in modo particolare i sindacati del pubblico impiego e quelli dei trasporti che pur non avendo un grandissimo seguito tra gli iscritti, possono comunque imporre dei blocchi molto forti che chiaramente hanno effetti piuttosto importanti nella vita di tutti i giorni. Poi, questa protesta si è saldata alla protesta studentesca che è generata da un discorso culturale, intellettuale. In realtà la piazza, la mobilitazione, è molto minoritaria, lo si è visto anche in queste sere a Parigi: parliamo veramente di qualche centinaia, forse qualche migliaia di persone.

D. – Questa legge poteva essere proposta in una maniera differente? Alcuni punti potevano esser migliori di come invece sono stati elaborati?

R. – Qui entriamo ovviamente nella disquisizione del merito. È chiaro che secondo gli imprenditori è stata fin troppo emendata. Ma è evidente che tutto poi si salda alla prospettiva delle elezioni presidenziali, nel senso che maggio 2017 è ormai molto vicino, quindi  dopo l’estate entriamo veramente di fatto in un anno di campagna elettorale. Hollande è ai minimi termini nei sondaggi e quindi per risalire la china deve tentare di tenere unita ancora la sinistra e al tempo stesso garantire, offrire all’elettorato e quindi all’opinione pubblica - un Paese in ripresa dopo tre anni in cui il presidente, di fatto, ha portato avanti una politica di spesa pubblica e di alta tassazione - altrimenti, il rischio è che il Paese torni a destra.

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Unioni civili. Cardia: un "pasticciaccio" senza coerenza

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La legge sulle unioni civili approvata dal Parlamento italiano continua a far parlare di sé. Mentre le opposizioni si muovono per organizzare un referendum abrogativo e alcuni sindaci dichiarano la propria obiezione in merito, emergono dubbi di legittimità costituzionale sull’iter che ha portato a questa approvazione. Roberta Barbi ne ha parlato con il giurista Carlo Cardia: 

R. – Se ne è parlato già nel corso dell’elaborazione della legge, anche perché le vicende politiche che hanno influito pesantemente sulla legge - compreso l’ultimo fatto, ossia l’aver voluto stringere tutto con un voto di fiducia - hanno portato ad inserire nella legge logiche diverse. Anche sul principio di uguaglianza ci sono contraddizioni molto singolari, che hanno accresciuto il “pasticciaccio”. Non c’è una linea coerente: certe volte le unioni delle coppie omosessuali sono addirittura privilegiate rispetto a quelle eterosessuali. Le faccio solo un esempio: la questione dell’adozione - un grande buco nero - e perché? È vero che non c’è, ma c’è un substrato di logica giuridica che porta a un fac-simile del matrimonio delle persone dello stesso sesso, che potrebbe portare all’adozione decisa da un magistrato.

D. – Parlando di contenuti, tra gli aspetti più controversi c’è un’eccessiva assimilazione all’istituto della famiglia…

R. – Assolutamente sì, all’istituto del matrimonio che porta poi a quello della famiglia. Non lo si è voluto dire in modo esplicito e diretto, ma sono state messe tante e tali cose per cui la conclusione è questa.

D. – Anche se è stata stralciata, questa legge di fatto apre alla cosiddetta “stepchild adoption”; il presidente Renzi ha chiaramente detto che l’esclusione è stata solo una questione di numeri che mancavano e che si vedrà se si riuscirà a fare entro il 2018…

R. – Questo indica un po’ di malanimo da parte di qualche forza politica. “Non la metto solo perché in questo momento non ho i numeri”: è una motivazione ben grave! Se io sono convinto che è giusto, allora insisto, faccio un compromesso, ecc., ma siccome non ho i numeri, adesso non lo metto e poi si vedrà, sapendo che il silenzio non è sufficiente per la questione dell’adozione; poi basta una sentenza della Cassazione per introdurla. Quello che conta non si è discusso: non lo si è fatto, seriamente, sulla questione dell’adozione. Secondo me è terribile l’ipotesi di un bambino che non sentirà mai il calore del corpo della mamma perché avrà due padri; oltretutto sarà sottratto in un modo anche illegittimo alla madre – perché una madre ci deve essere!  - per me questo è qualcosa che ferisce l’animo, ferisce una civiltà e una tradizione che non è il passato, ma è la cosa più bella che ci viene dalla tradizione: la maternità, che tutte le Carte dei diritti umani tutelano.

D. – Ora c’è attesa sulla promulgazione da parte del presidente della Repubblica…

R. – Se si facesse un esame di stretta costituzionalità i dubbi sono forti. Poi ci sono gli equilibri istituzionali, quindi anche il presidente della Repubblica giustamente valuterà molte cose…

D. – Molti sindaci hanno già aderito alla disobbedienza civile: secondo lei è una via praticabile di opposizione o lo è piuttosto il referendum abrogativo che da più parti è già stato palesato?

R. – Personalmente credo che i referendum portino "sfortuna" ... perché si perdono sempre! Invece c’è un’altra cosa molto delicata: perché - attenzione! - nella legge non è prevista la celebrazione, perché non c’è la parola “matrimonio”. Allora, se ci fosse una celebrazione di matrimonio, penso che l’obiezione di coscienza sarebbe una cosa molto giusta e bella che l’ordinamento dovrebbe prevedere. Qui noi parliamo di registrazione di unioni civili, quindi non è il sindaco, non è il singolo: è l’ufficiale di stato civile che deve registrare. Può sembrare una formalità, ma non lo è: io avrei dei dubbi sull’obiezione di coscienza rispetto alla semplice registrazione di un’unione civile. La differenza è questa: il matrimonio diventa un atto pubblico solenne. In questo caso, invece, si tratta di obbedire a una legge che prevede un rapporto di unione civile in sottordine al matrimonio, non prevede celebrazione né atti pubblici.

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Betlemme: restauri "ecumenici" alla Basilica della Natività

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Continuano a Betlemme i restauri della Basilica della Natività. Dal 2013 infatti sono in corso i lavori di recupero dei mosaici, anneriti dal fumo delle candele e degli incensi.  Eseguiti da una ditta italiana e sostenuti dall’Autorità nazionale palestinese, gli interventi sono stati possibili grazie all’accordo tra le tre comunità cristiane che custodiscono la basilica: cristiani, greco-ortodossi e armeni. Ascoltiamo frate Eugenio Alliata, direttore del Terra Sancta Museum di Gerusalemme e osservatore dei restauri per i francescani, al microfono di Michele Raviart

R. – La Basilica di Betlemme è stata collocata dall’Unesco – e penso giustamente – tra le opere facenti parte del Patrimonio dell’umanità. Questo dice subito che non è una cosa esclusivamente religiosa, ma anche che l’apporto della religione è essenziale per la cultura mondiale, universale. L’uomo non può essere liberato dal fattore religioso, come se quest’ultimo non esistesse, perché – anzi – ne è una parte essenziale. Perciò ha un valore mondiale, proprio perché è religioso!

D. – Come stanno andando avanti i restauri?

R. – In qualità di osservatore, ho potuto ammirare i diversi stadi del lavoro di restauro dei celebri mosaici della Basilica di Betlemme. Ho potuto notare come abbiano incominciato nella parte più alta, con la serie degli angeli, incedenti verso la Grotta per adorare il Bambino. Poi sono scesi sulla scia, dove sono rappresentati i grandi concili ecumenici con le loro decisioni, ogni Sinodo: che cosa è stato deciso e dove si è tenuto. E alla fine sono arrivati appena sopra l’architrave, dove c’è una striscia di medaglioni con gli antenati di Cristo, a partire da Giuseppe, sposo di Maria, e così via risalendo, secondo la genealogia matteana. Sappiamo che sull’altro lato c’era la genealogia lucana. Molto dei mosaici è stato perduto, quello che rimane è soltanto un piccolo resto. Dovevano esserci almeno 2000 metri quadrati di mosaici e adeso invece ne rimangono meno di 200.

D. – Che cosa è emerso di nuovo dal restauro? Stiamo parlando chiaramente di una struttura secolare…

R. – La tecnica dell’esecuzione del mosaico appare suprema, veramente di grandissima qualità, se paragonata a tante altre della medesima epoca. Le scoperte sono legate molte volte a questioni tecniche e più raramente a dettagli storici. Qualche aggiunta di lettere o iscrizioni nelle diverse lingue: in latino, lingua che corrisponde al potere dominante a Gerusalemme in quell’epoca – il regno crociato; in greco, che corrisponde al più grande impero romano ancora esistente: l’Impero Romano d’Oriente; e in siriaco, probabilmente la lingua degli esecutori materiali del mosaico.

D. – Si è parlato in questo caso di restauro “ecumenico” perché è stato necessario mettere d’accordo le varie Chiese cristiane, un po’ sulla linea del Santo Sepolcro a Gerusalemme…

R. – Purtroppo la situazione legale, sotto l’aspetto dello statu quo della Basilica di Betlemme è più complicato di quello della Basilica del Santo Sepolcro, dove più o meno tutto è definito. Tutti gli accordi sono stati fatti essenzialmente un po’ in sordina; di fatto non si poteva concludere un accordo, in quanto quest’ultimo si fa quando si conoscono le posizioni di ciascuno. E purtroppo, per quanto riguarda la situazione della Basilica di Betlemme, ciò non è possibile: ogni comunità avrebbe potuto dire: 'No, io non faccio niente!'. E invece l’accordo è stato dato sotto forma di concessione, affinché si potesse procedere. Di fatto però l’iniziativa di procedere è stata presa dal governo palestinese, certamente con l’aiuto di tante altre persone e istituzioni del mondo intero.

D. – Questo restauro può essere un invito al pellegrinaggio, che in questo periodo risulta difficile in Terra Santa?

R. – Certamente! I pellegrini che andranno in Terra Santa potranno non soltanto godere di una bellezza in più rispetto al passato, ma di una bellezza che parla al cuore, alla mente, allo spirito dei visitatori. E quindi è qualche cosa di molto importante per chiunque la visiterà d’ora in avanti.

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Nella Chiesa e nel mondo



Arcivescovo Dakar invita a riappacificazione con Gambia

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L’Arcivescovo di Dakar, mons. Benjamin Ndiaye, ha invitato i fedeli a pregare per la riappacificazione tra Senegal e Gambia, nel corso della celebrazione della 50.esima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali e della Giornata dell’Africa, celebrate domenica scorsa, 8 maggio. Le tensioni tra Banjul e Dakar sono scoppiate quando gli autotrasportatori senegalesi si sono rifiutati di portare merci in Gambia dopo che il governo di questo Paese ha aumentato da 4.000 franchi CFA a 400.000 la tariffa per i camion che attraversano il suo territorio.

I due Paesi in contrasto per questioni commerciali
Con il blocco dei trasporti, anche le merci destinate al Gambia, comprese le derrate alimentari, sono ora bloccate. Il governo di Banjul – riferisce l’agenzia Fides - ha accusato quello di Dakar di aver istituito un blocco commerciale nei suoi confronti ed ha presentato una denuncia alla Comunità economica e di sviluppo dell’Africa Occidentale. Quest’ultima, dopo aver inviato una propria commissione d’inchiesta nei due Paesi, ha però respinto le accuse del Gambia, definendole prive di fondamento. Dal suo canto, il presidente senegalese Macky Sall ha respinto la proposta di mediazione avanzata dal presidente della Guinea, Alpha Condé, affermando che la crisi è stata provocata dal regime del presidente gambiano, Yahya Jammeh. (L.M.)

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Brasile: concluso incontro Rete Centri e Case per i migranti

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Si è concluso ieri a San Paolo del Brasile il VII incontro della Rete dei Centri di orientamento e delle Case scalabriniane per i migranti. All’evento hanno partecipato una trentina di delegati dai cinque continenti. Tre gli obiettivi della riunione iniziata il 10 maggio: tracciare un quadro aggiornato del fenomeno migratorio; condividere le rispettive esperienze e definire un piano di azione comune per rispondere alle nuove sfide.

Con l’aumento dei flussi migratori cresce la xenofobia
Dai lavori è emersa la constatazione di un generale aumento dei flussi migratori in tutto il mondo legata alla crisi economica globale. A fuggire dalla povertà e dalla violenza sono soprattutto giovani, ma si riscontra un significativo aumento delle donne e dei minori non accompagnati. Con l’aumento degli spostamenti di masse di popolazioni da un Paese all’altro è cresciuta anche la paura e il rifiuto degli immigrati ad opera di parte dei governi e delle opinioni pubbliche dei Paesi di accoglienza. A questo clima ostile – è stato evidenziato - contribuisce anche la confusione creata dai media tra migrazioni, terrorismo, traffico internazionale di esseri umani, sfruttamento sessuale e del lavoro. Un’informazione distorta su questi fenomeni alimenta infatti il pregiudizio, la discriminazione, la xenofobia e persino le persecuzioni, portando alla costruzione di nuovi muri e a nuove leggi che limitano la libertà di movimento delle persone.

Sostituire i muri con i ponti e l'indifferenza con la solidarietà
L’incontro ha quindi evidenziato l’importanza dello scambio di informazioni sulle esperienze e il modus operandi dei vari centri e case di accoglienza scalabriniani per migliorare la qualità e la professionalità dei numerosi servizi da essi offerti ai migranti: dall’assistenza legale per la loro regolarizzazione, all'assistenza sociale e psicologica; dall’aiuto per la ricerca di un lavoro e di un alloggio, all’insegnamento della lingua del Paese ospitante. Il terzo punto all'ordine del giorno ha riguardato, infine, la definizione di un piano di azione comune per affrontare meglio queste nuove sfide. Tale piano dovrebbe dispiegarsi in due direzioni: una ad intra e una ad extra. I partecipanti hanno convenuto sulla necessità di rafforzare la rete per un’azione più articolata ed efficace, che - è stato sottolineato – renderebbe anche più incisiva la voce degli Scalabriniani nella Chiesa e nelle società sul fronte delle politiche migratorie. La posta in gioco, come indica Papa Francesco, è quella di sostituire i muri con i ponti e l'indifferenza con la solidarietà. (a cura di Lisa Zengarini)

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Vescovi Kenya a media cattolici: far emergere notizie positive

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“L’Africa è spesso descritta come un continente delle tenebre e della morte e di fallimenti sociali a causa dell’etnocentrismo, dei conflitti violenti, di epidemie come l’Aids ed Ebola”: è quanto sottolineato da padre Chrisantus Ndaga, responsabile delle comunicazioni dell’Amecea (Associazione dei membri delle Conferenze episcopali in Africa Orientale) ad un Simposio dei giornalisti cattolici in corso a Nairobi, in Kenya. P. Ndaga è intervenuto a nome di mons. Charles Palmer-Buckle, arcivescovo di Accra, in Ghana, e presidente della Catholic News Agency for Africa (Canaa), l’agenzia cattolica di notizie panafricana promossa dal Secam, il Simposio delle Conferenze Episcopali d’Africa e Madagascar.

I media dimentichi delle attività positive della Chiesa
Nel rivolgersi ai giornalisti cattolici provenienti da diversi Paesi africani padre Ndaga, citato dall’agenzia Fides, ha sottolineato la necessità di riportare anche notizie positive su quanto avviene in Africa, e in particolare sulle iniziative promosse dalla Chiesa cattolica. “Ci sono diverse attività positive della Chiesa in Africa che non sono riportate dai media” ha detto il sacerdote.

“Fare rete” tra le Chiese in Africa
“Nel corso degli anni è emerso il desiderio di condividere notizie e informazioni tra le Chiese dell’Africa – ha aggiunto padre Ndaga - C’è pure il desiderio di far sì che la voce della Chiesa africana sia sentita all’interno del continente e oltre i suoi confini”.
Gli ha fatto eco padre Don Bosco Onyalla, Direttore della Canaa, secondo il quale “troppi contesti africani sono usati come esempi negativi, con espressione del tipo: Paese piagato dalla povertà, un governo definito dalla corruzione, un sistema politico radicato nelle affiliazioni etniche, una società divisa dalla religione, una comunità oppressa dalla malattia, e più di recente, un focolaio di terrorismo. “Questa narrativa – ha concluso il sacerdote - è spesso raccontata da non africani”.

Partecipanti al Simposio provenienti da dieci Paesi africani
Al Simposio, che si conclude oggi dopo quattro giorni di lavori, prendono parti giornalisti cattolici provenienti da dieci Paesi africani: Kenya, Uganda, Tanzania, Zambia, Zimbabwe, Seychelles, Malawi, Nigeria, Ghana e Sud Sudan. (I.P.)

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Delegazione Lateranense in Iran all'università di Qom

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Quando cultura, diplomazia e fede lavorano insieme, i risultati sono sempre promettenti. È soddisfatto mons. Enrico dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense reduce da un viaggio in Iran presso l'University of Religions and Denominations (l'Università delle Religioni e Denominazioni) di Qom, la città dell'Ayatollah Ruollah Khomeini, in Iran. Nel corso della giornata dell'11 marzo scorso, la delegazione Pul (di cui facevano parte, oltre a dal Covolo, anche i professori Bartolomeo Pirone, esperto di Islam della facoltà di Sacra Teologia, Michele Riondino, docente dell’Institutum Utriusque Iuris, e Gianfranco Basti, docente della Facoltà di Filosofia) ha ricambiato così la tavola rotonda tenutasi a Roma il 3 dicembre scorso con la delegazione iraniana. La Lateranense e l’Università di Qom hanno deciso di avviare un programma comune di scambio di studenti, ma anche di cultura.

Una tavola rotonda nella città di Qom
Tema della tavola rotonda di Qom è stato: "La missione formativa dell'Università nel contesto interculturale e interreligioso". Per dal Covolo: “Nell'insieme, questa giornata di incontro con diverse istituzioni accademico-religiose dell'Iran, quindi di tradizione musulmana sciita, hanno avuto un grande vantaggio”. In particolare, secondo il rettore: “Il primo è stato quello di una precisazione del cammino da seguire per il dialogo interreligioso tra noi cristiani e la tradizione islamica sciita. Gli incontri sono stati sempre molto cordiali, ricchi di proposte concrete che cercheremo di attuare con una certa urgenza”.

Dal Covolo: soddisfazione e progetti per il futuro
Ma non è tutto. Secondo dal Covolo: “Un altro motivo di soddisfazione è l'aver constatato insieme che questo cammino – che dobbiamo intensificare e che abbiamo meglio precisato con la giornata trascorsa insieme – è già ricco di buone iniziative compiute e di altre che sono in programma”. Prossimi passi? “Al momento - osserva - la cosa più imminente è la restituzione della visita di studenti – che noi abbiamo già ricevuto dalla parte iraniana nello scorso mese di novembre – e che restituiremo nel corso del mese di settembre”.

L’attenzione del Rettore per il mondo iraniano
Dal Covolo non è nuovo al mondo iraniano. Nel corso del suo Rettorato, infatti, ha incontrato alcuni esponenti politici, religiosi, accademici di Teheran ed ha sempre apprezzato il loro desiderio di collaborazione e dialogo con la cultura cattolica. In questo è stato aiutato dal nunzio apostolico in Iran, mons. Leo Boccardi, che ha favorito questa collaborazione. (R.B.)

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Egitto: accordo tra Università di al Azhar e Patriarcato copto ortodosso

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Un impegno comune a combattere ogni forma di violenza e di abuso sui minori. È quanto prevede l’accordo sottoscritto tra l’Università islamica di al Azhar — considerata la più autorevole istituzione teologico-accademica dell’islam sunnita — e il Patriarcato copto ortodosso. Il documento programmatico, predisposto sotto il patrocinio dell’Unicef, è stato sottoscritto nei giorni scorsi dal Patriarca copto ortodosso Tawadros II e dallo sceicco Ahmed al Tayyeb, Grande Imam di al Azhar.

Tutela dei minori come priorità comune
Studiosi legati all’Università islamica e alla comunità copta ortodossa hanno contribuito a delineare nel testo la tutela dei minori come priorità comune, condivisa sia dalla sensibilità islamica che da quella cristiana. Nel contesto della campagna a favore dei bambini e delle bambine — riferiscono fonti egiziane riprese dall’agenzia Fides — rientrano anche le mutilazioni genitali e il fenomeno dei matrimoni precoci oltre ai rapimenti e agli abusi sessuali.

Oltre alle dichiarazioni d’intenti, il programma a cui aderiscono congiuntamente al Azhar e la Chiesa copta ortodossa prevede anche il coinvolgimento fattivo di almeno ottocentocinquanta responsabili di chiese e moschee — imam, sacerdoti, monaci, operatori pastorali — che nell’anno corrente seguiranno corsi di preparazione ad hoc, per poi impegnarsi in prima persona in campagne d’informazione miranti a sensibilizzare l’intera popolazione su una piaga che colpisce in diverse forme l’intera società egiziana.  Secondo alcuni dati statistici, infatti, più del 70 per cento dei minori egiziani subisce una qualche forma di abuso e violenza anche in seno al proprio ambiente familiare e comunitario. 

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Arcivescovo Singapore: impegnarsi nella società con valori cristiani

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“Dobbiamo far  conoscere e amare Gesù. La Buona Novella non può rimanere nascosta, ma deve essere vista dagli altri in modo che doni loro luce”: questo il ‘mandato’ affidato ai fedeli di Singapore dall’arcivescovo della città, mons. William Goh, nel suo messaggio per la Solennità di Pentecoste, che ricorre il 15 maggio. Nel documento, citato dall’agenzia AsiaNews, il presule traccia un bilancio dell’attività della Chiesa nella difficile società di Singapore, molto spesso sorda ai richiami della fede, descrivendo i limiti e le responsabilità dei singoli fedeli.

Appello all’unità nella verità
Il primo appello di mons. Goh è all’unità della società: “Quello di cui il mondo più ha bisogno in questo momento è unità”, ha detto, ribadendo che “non ci può essere unità senza amore, e non ci può essere amore che non sia fondato sulla verità”. Ma dove trovare verità?. La risposta della Chiesa, scrive l’arcivescovo, “è lo Spirito Santo che ci guida a Gesù, pienezza della verità”. Per questo motivo,“i cristiani sono chiamati a giocare un ruolo attivo nella società, per costruire un’unità che non sia superficiale come quella che lega il mondo ora”.

Una comunicazione attiva della fede
Di qui, il richiamo del presule affinché “i cattolici siano pronti, come individui, a parlare e ad impegnarsi per la loro fede e i valori cattolici”, tanto più che “al giorno d’oggi ci sono molti strumenti possibili: Internet, i social-network ed i mass-media”. Non possiamo permetterci di rimanere spettatori, in disparte, mentre la nostra fede è sfidata, denigrata e ridicolizzata”, ha ribadito mons. Goh.

Conoscere bene gli insegnamenti della Chiesa
“Ma prima di poter fare tutte queste cose – avverte l’arcivescovo – dobbiamo essere educati nella fede”. Ed è qui che il presule descrive le difficoltà della comunità cattolica singaporiana: “La nostra conoscenza della fede e degli insegnamenti della Chiesa è debole e superficiale”, tanto che “meno del 10% delle Congregazioni sono coinvolte nel servizio della Chiesa”. Inoltre, “esse sono spesso troppo preoccupate dal ‘fare’, e non hanno tempo per la formazione spirituale e dottrinale”.

Rafforzare senso di comunità e praticare la misericordia
L’arcivescovo punta il dito anche contro “lo scarso senso di comunità” che hanno le persone che si recano a Messa la domenica, e la tristezza suscitata da laici e religiosi che non si esprimono in favore della fede o la tradiscono per denaro. Allo stesso tempo mons.Goh mette in guardia dall’essere “troppo giudicanti. In questo Giubileo della misericordia ci viene ricordato il Vangelo della compassione e del perdono”. “Noi ci impegniamo per Gesù – conclude il presule – non per condannare gli altri, ma per testimoniare una pienezza di vita, di verità e di amore”.

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Albania: sì dei vescovi a riforma della giustizia nel Paese

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I vescovi albanesi incoraggiano a procedere con la riforma della giustizia all’esame del Parlamento e invitano tutti i suoi promotori a realizzarla. In una dichiarazione, diffusa in questi giorni e riportata dall’agenzia Sir, la Conferenza episcopale riunita in Assemblea plenaria interviene su un tema molto sentito dall’opinione pubblica del Paese

Gli albanesi hanno diritto a una società giusta
“L’esigenza della giustizia – ricordano i presuli – è insita nella persona umana e nella società. Per questo, come pastori e avendo a cuore il bene del gregge a noi affidato e quello di tutto il Paese, incoraggiamo questa riforma. Gli albanesi hanno diritto a una società giusta e coloro che hanno incarichi pubblici devono avere senso di responsabilità e di giustizia”. I vescovi, spiega don Gjergj Meta, responsabile per la Comunicazione dell’episcopato, rimarcano, in particolare, due questioni: innanzitutto, “la riforma deve garantire che in futuro non ci saranno più persone candidate o elette o, ancora, nominate in uffici statali con un passato criminale o coinvolte in casi di corruzione ”.

Non toccare il Codice della famiglia
In secondo luogo, la riforma, nel punto che riguarda il principio costituzionale della non discriminazione, peraltro sostenuto dalla Chiesa albanese, “non deve assolutamente intaccare il Codice della famiglia che per i cristiani è quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna”. Al riguardo i vescovi ricordano quanto scrive Papa Francesco nell’Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia” in cui si legge: “Solo l’unione esclusiva e indissolubile tra un uomo e una donna svolge una funzione sociale piena, essendo un impegno stabile e rendendo possibile la fecondità” e “le unioni di fatto o tra persone dello stesso sesso, per esempio, non si possono equiparare semplicisticamente al matrimonio”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 134

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.