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Sommario del 15/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: lasciamoci guidare dallo Spirito e non saremo più orfani

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Figli, non più orfani. Alla Messa in San Pietro, nella Solennità di Pentecoste, Francesco ha messo l’accento sul dono dello Spirito Santo, culmine della missione di Gesù, che riallaccia la nostra relazione con il Padre. Il Papa ha messo l’accento sui tanti segni della condizione di orfani che si vive ai nostri giorni e ha esortato a lasciarsi guidare dello Spirito per riconoscere l’altro come fratello, in quanto figli dello stesso Padre. Il servizio di Alessandro Gisotti

A Pentecoste celebriamo il culmine della missione di Gesù che, attraverso il dono dello Spirito Santo, riallaccia la “nostra relazione con il Padre, rovinata dal peccato”. Papa Francesco incentra la sua omelia, nella Messa in San Pietro, sulle parole del Signore, riferite nel Vangelo di Giovanni: “Non vi lascerò orfani”. Il Papa rammenta che grazie allo Spirito Santo non siamo più schiavi, ma “figli adottivi”: si riattiva in noi la paternità di Dio.

Anche oggi, viviamo tanti segni della nostra condizione di orfani
In fondo, osserva il Papa, tutta “l’opera della Salvezza è un’opera di ri-generazione, nella quale la paternità di Dio, mediante il dono del Figlio e dello Spirito, ci libera dall’orfanezza in cui siamo caduti”. “Anche nel nostro tempo – constata poi con rammarico – si riscontrano diversi segni di questa nostra condizione di orfani”:

“Quella solitudine interiore che sentiamo anche in mezzo alla folla e che a volte può diventare tristezza esistenziale; quella presunta autonomia da Dio, che si accompagna a una certa nostalgia della sua vicinanza; quel diffuso analfabetismo spirituale per cui ci ritroviamo incapaci di pregare; quella difficoltà a sentire vera e reale la vita eterna, come pienezza di comunione che germoglia qui e sboccia oltre la morte; quella fatica a riconoscere l’altro come fratello, in quanto figlio dello stesso Padre; e altri segni simili”.

L’effusione dello Spirito Santo è una “cascata di grazia”
A tutto questo, è la sua riflessione, “si oppone la condizione di figli, che è la nostra vocazione originaria, è ciò per cui siamo fatti, il nostro più profondo Dna, che però è stato rovinato e per essere ripristinato ha richiesto il sacrificio del Figlio Unigenito”:

“Dall’immenso dono d’amore che è la morte di Gesù sulla croce, è scaturita per tutta l’umanità, come un’immensa cascata di grazia, l’effusione dello Spirito Santo. Chi si immerge con fede in questo mistero di rigenerazione rinasce alla pienezza della vita filiale”.

“Non vi lascerò orfani”, ripete anche oggi Gesù. Francesco rivolge quindi il pensiero alla “presenza materna di Maria nel Cenacolo”. Maria, prosegue, “è memoria vivente del Figlio e invocazione vivente dello Spirito Santo. E’ la Madre della Chiesa”.

Grazie a Gesù possiamo guardarci tutti come fratelli
Alla sua intercessione, è la preghiera del Papa, “affidiamo in modo particolare tutti i cristiani, le famiglie e le comunità che in questo momento hanno più bisogno della forza dello Spirito Santo”. Ancora, ribadisce, “consolidando la nostra relazione di appartenenza al Signore Gesù, lo Spirito ci fa entrare in una nuova dinamica di fraternità”:

“Mediante il Fratello universale, che è Gesù, possiamo relazionarci agli altri in modo nuovo, non più come orfani, ma come figli dello stesso Padre buono e misericordioso. E questo cambia tutto! Possiamo guardarci come fratelli e le nostre differenze non fanno che moltiplicare la gioia e la meraviglia di appartenere a quest’unica paternità e fraternità”.

Migliaia i fedeli che questa mattina hanno gremito festosi Piazza San Pietro, per ascoltare le parole di Papa Francesco sulla Pentecoste. Nei loro commenti, raccolti da Marina Tomarro, l’importanza di questa solennità: 

R. – E’ importante, perché lo Spirito viene a consolare. Oggi, c’è tanto bisogno di consolazione! La gente è afflitta… Abbiamo bisogno che lo Spirito Paraclito – che significa Difensore, ma anche Consolatore – venga e porti nei cuori la sua consolazione e la sua leggerezza, che viene ad asciugare le lacrime.

R. – Senza lo Spirito Santo non avrei la forza! Quindi, anche noi come gli Apostoli, riusciamo ad avere quella forza per affrontare la vita ogni giorno. Soprattutto in questi tempi, noi cristiani abbiamo proprio bisogno di testimoniare e quindi abbiamo bisogno di questa forza.

R. – Lo Spirito Santo ci richiama davvero all’unità e alla gioia, come Francesco ci continua a ricordare, e noi siamo qui proprio a manifestare la nostra gioia di essere cristiani e a pregare per il dono della pace, dell’unità e delle vocazioni, come il Papa ci ha ricordato, per tutti i bisogni della Chiesa e del mondo intero.

D. – Nella vita quotidiana quanto è importante invocare l’aiuto dello Spirito?

R. – Importante ogni giorno. E’ la vita, è l’ossigeno che noi respiriamo ogni giorno. E’ davvero un incontro con una presenza reale nella nostra vita: è lo Spirito che prega in noi, che grida “Abbà Padre”. Quindi, siamo abitati dallo Spirito ed è lo Spirito che prega.

R. – In ogni momento, dall’inizio della giornata fino alla fine, e in particolare quando si sta con gli altri, perché quella è una grande sfida: il saper stare con gli altri, incontrare l’altro.

R. – Sono una consacrata e accompagno le giovani nel cammino del noviziato… Nelle scelte e nel guidare queste giovani a discernere, spesso mi trovo ad invocare il dono dello Spirito, perché capisco che è una cosa più grande di me.

R. – Lo Spirito Santo grida in noi “Abbà Padre”, quindi in Lui posso riconoscermi nella mia verità più fondamentale, quella di essere Figlio di Dio amato e custodito da un Padre che sempre, nella sua misericordia, mi rigenera.

D. – “Non vi lascerà orfani”: questa è una delle frasi del Vangelo di oggi. Che cosa vuol dire?

R. – Che è sempre con  noi. E questa è una cosa che ho sperimentato nella mia vita: nei momenti belli e nei momenti tristi. E’ vero, il Signore non ci lascia orfani, perché con Lui abbiamo tutto.

D. – Il Papa, nel Regina Caeli, ci ha invitato ad amare Gesù non solo nelle parole, ma anche nei fatti. Voi siete il Sindacato autonomo di Polizia: in che modo si ama Gesù anche attraverso il vostro lavoro?

R. – Cerchiamo di servire questa comunità. Abbiamo fatto un giuramento alla Repubblica e alla Costituzione, ma soprattutto abbiamo un giuramento morale nei riguardi del prossimo e della comunità del nostro Paese. La preghiera a San Michele Arcangelo dice proprio questo: “Invochiamo il patrocinio per dispensare concordia”. E quello che dobbiamo promuovere è proprio questo: la fratellanza fra le persone. Serviamo proprio questa comunità. Dedichiamo la vita.

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Papa: lo Spirito insegna le cose di Gesù e aiuta a ricordarle

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Lo Spirito Santo “ci insegna l’unica cosa indispensabile: amare come ama Dio”. Lo ha affermato Papa Francesco al Regina Caeli, celebrato dalla finestra del suo studio affacciato su Piazza San Pietro, dopo aver presieduto la Messa solenne della Pentecoste. Il servizio di Alessandro De Carolis

Non lo si vede e anche per tanti che si professano credenti è una presenza indefinibile e impalpabile. Ma essere cristiani è un’opera concreta dello Spirito Santo. È Lui che fissa nel cuore ciò che Cristo ha insegnato perché le parole del Vangelo resistano al logorio del tempo e della fragile memoria umana. Non a caso, sottolinea Papa Francesco nel suo pensiero all’ultimo Regina Caeli dell’anno, nel giorno di Pentecoste, lo Spirito Santo è stato “il primo e principale dono” che Gesù “ci ha ottenuto con la sua Risurrezione e Ascensione al Cielo”.

Amore con i “fatti”
Francesco concentra l’attenzione su una frase del Vangelo di Giovanni letto in questa solennità, quando Gesù dice ai suoi discepoli: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre”. Parole, commenta il Papa, che ci “ricordano anzitutto che l’amore per una persona, e anche per il Signore, si dimostra non con le parole, ma con i fatti”:

“Osservare i comandamenti” va inteso in senso esistenziale, in modo che tutta la vita ne sia coinvolta. Infatti, essere cristiani non significa principalmente appartenere a una certa cultura o aderire a una certa dottrina, ma piuttosto legare la propria vita, in ogni suo aspetto, alla persona di Gesù e, attraverso di Lui, al Padre (…) Lo Spirito, infatti, ci insegna ogni cosa, ossia l’unica cosa indispensabile: amare come ama Dio”.

Lo Spirito insegna e ricorda
C’è poi l’altra particolare definizione che Gesù usa con gli Apostoli riferendosi allo Spirito Santo come a “un altro Paraclito”. “Altro” perché, afferma Francesco, il primo è Cristo stesso, divenuto uomo, morto e risorto per l’umanità. Lo Spirito Santo interviene subito dopo proprio con funzioni di assistenza, intercessione, difesa, consolazione, mediazione. Con funzioni, indica il Papa, di “insegnamento e di memoria”:

“Lo Spirito Santo non porta un insegnamento diverso, ma rende vivo, rende operante quello di Gesù, perché il tempo che passa non lo cancelli o non lo affievolisca. Lo Spirito Santo innesta questo insegnamento dentro al nostro cuore, ci aiuta a interiorizzarlo, facendolo diventare parte di noi, carne della nostra carne (...) Tutte le volte che la parola di Gesù viene accolta con gioia nel nostro cuore, questo è opera dello Spirito Santo”.

Un cuore con questa luce dentro, conclude Francesco, saprà “testimoniare Cristo con franchezza evangelica”.

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Papa, messaggio per Giornata missionaria: testimoni di misericordia

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"Lo Spirito Santo dia forza a tutti i missionari ad gentes e sostenga la missione della Chiesa nel mondo intero”, suscitando "ragazzi e ragazze forti", che portino ovunque il Vangelo. Sono le parole con cui Papa Francesco ha annunciato, al termine del Regina Caeli, la pubblicazione del suo Messaggio per la prossima Giornata missionaria mondiale, che si celebrerà domenica 23 ottobre e di cui, proprio in questo Anno giubilare, ricorre il 90.mo anniversario. Titolo del Messaggio "Chiesa missionaria, testimone di misericordia". Il servizio di Roberta Barbi

“La Chiesa si prende cura di quanti non conoscono il Vangelo perché desidera che tutti siano salvi e giungano a fare esperienza dell’amore del Signore", scrive Papa Francesco nel Messaggio per la prossima Giornata Missionaria Mondiale. Essa "ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, e di proclamarla in ogni angolo della Terra”.

Dio si fa prossimo ai più piccoli
Torna sull’immagine di una Chiesa che “esce”, attraverso i suoi discepoli missionari, ognuno dei quali mette a disposizione i propri talenti, il Santo Padre, che spiega ancora una volta cosa sia la Misericordia di Dio: “Procura intima gioia al cuore del Padre quando incontra ogni creatura umana – riflette – la capacità di immedesimarsi con i piccoli, gli scartati, gli oppressi”. Il Signore, infatti, è “benigno, attento, fedele e si fa prossimo a chi è nel bisogno”, soprattutto ai poveri. “Si coinvolge con tenerezza nella realtà umana proprio come farebbero un padre e una madre nella vita dei loro figli”.

Donne missionarie, segno dell'amore materno di Dio
E proprio questo “segno eloquente dell’amore materno di Dio – secondo il Pontefice – è una considerevole e crescente presenza femminile nel mondo missionario”. Sono molte, oggi, ricorda il Papa, “le donne laiche o consacrate”, ma anche le famiglie che “realizzano la propria vocazione missionaria” annunciando il Vangelo o attraverso il servizio caritativo. E sono proprio le donne e le famiglie che “comprendono più adeguatamente i problemi della gente e sanno affrontarli in modo opportuno e talvolta inedito”. In questo modo, nel prendersi cura della vita, nel porre attenzione alle persone più che alle strutture, le famiglie sanno “costruire armonia, relazioni, pace, solidarietà, dialogo, collaborazione e fraternità”, nei rapporti interpersonali, nella vita sociale e ancora un volta nella cura dei poveri.

In Cristo Uomo il volto misericordioso del Padre
Fare della propria vita un dono gratuito imparando ad amare come il Signore ci ama, scrive ancora Francesco, ci permette di diventare misericordiosi come il nostro Padre celeste ed è un obiettivo che si può raggiungere accogliendo e seguendo gli insegnamenti di Gesù, il Verbo incarnato in cui “la misericordia trova la sua manifestazione più alta”: “Egli rivela il volto del Padre ricco di misericordia”.

Evangelizzazione è anche educazione
Infine, il Pontefice sottolinea che “ogni popolo e cultura ha il diritto di ricevere il messaggio di salvezza che è dono di Dio per tutti”. Il Vangelo del perdono e della misericordia, infatti – i cristiani lo sanno – porta “gioia e riconciliazione, giustizia e pace”. In molti luoghi “l’evangelizzazione prende avvio dall’attività educativa – evidenzia il Papa – alla quale l’opera missionaria dedica impegno e tempo” e ricorda che “la fede è un dono di Dio” che però “cresce grazie alla fede e alla carità degli evangelizzatori che sono testimoni di Cristo”.

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Papa, tweet: vieni Santo Spirito e liberaci da ogni chiusura

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Vieni, Santo Spirito! Liberaci da ogni chiusura e infondi in noi la gioia di annunciare il Vangelo”.

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Festa dei Popoli: 50 etnie per l'"unità rispettando la diversità"

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La pace è possibile rispettando le diversità. Con questo augurio al Regina Caeli di Piazza San Pietro Papa Francesco ha voluto raggiungere la “Festa dei popoli” che si svolge oggi a Piazza San Giovanni  in Laterano. Organizzata dall’Ufficio per la Pastorale dei Migranti del Vicariato di Roma, la manifestazione ha avuto come momento centrale la Messa presieduta nella piazza da mons. Guerino di Tora. Ascoltiamo le parole del Papa nel servizio di Michele Raviart

"Saluto in modo particolare tutti coloro che partecipano nella giornata odierna alla “Festa dei Popoli”, nel 25.mo anniversario, che si svolge in Piazza San Giovanni in Laterano. Che questa festa, segno di unità e della diversità delle culture, ci aiuti a capire che il cammino verso la pace è questo: fare l’unità, rispettando le diversità".

Una diversità composta da oltre 50 etnie, che animeranno con le loro culture piazza San Giovanni, con animazioni, stand, concerti e prodotti tipici. Il messaggio è quello di testimoniare un percorso di integrazione e di unità all’interno della città di Roma, di cui si sentono parte. Ma ascoltiamo cosa vuol dire per queste comunità partecipare alla “Festa dei Popoli”:

R. – Sono della Nigeria. E’ un grande giorno per noi nigeriani. Siamo ben integrati a Roma e ringraziamo anche il popolo italiano che ci ha accolto.

R. – Noi siamo del Guatemala. Questo Anno della Misericordia è una cosa importantissima sia sotto il profilo spirituale che riguardo proprio all’accoglienza delle persone provenienti da diversi Paesi.

R. – Siamo venuti dalle Filippine. Per noi questo significa presentare il nostro Paese e le nostre tradizioni, insieme con gli altri migranti.

R. – Noi siamo una comunità ucraina…

D. – Incontrare le altre comunità cosa significa per voi?

R. – E’ sempre arricchirsi! Quando incontriamo culture diversi – anche i nostri vicini polacchi sono qui vicino, anche i romeni – abbiamo un'occasione di incontrare le culture e quindi di conoscerle meglio, perché dall’Ucraina non si vede proprio così bene…

Nata per iniziativa degli Scalabriniani 25 anni fa, la “Festa dei Popoli” è diventata un momento di unione per la diocesi di Roma, soprattutto nell’Anno della Misericordia. Come spiega mons. Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale delle migrazioni:

"La 'Festa dei Popoli' è una occasione importante per incontrarsi, per conoscersi, per entrare in rapporto. Io credo molto in questa Festa: fa lavorare i laici fra di loro, mettere in contatto i sacerdoti e soprattutto rende visibile la realtà dell’immigrazione: non il 'problema' dell’immigrazione ma la realtà dell’immigrazione, che è bella, che ha le sue sfaccettature, complesse, complicate, ma anche belle. Per comunicare è importante farsi vedere in una modalità che tante volte non viene narrata: mostrare il volto bello dei migranti, ma che è quello reale e non quello che tante volte viene trasmesso".

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Vatileaks 2. Mons. Abbondi: Non avevo alcun ruolo in Cosea

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Lungo interrogatorio in Vaticano nel processo per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Ascoltati tre testimoni tra i quali mons. Alfredo Abbondi, capo ufficio Prefettura Affari Economici, più volte citato da imputati e testi. Si sono avvalsi invece della facoltà di non intervenire “in ragione del loro ufficio” mons. Konrad Krajewski, il cardinale Santos Abril y Castelló e il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, che in una nota ha precisato di “non aver alcun elemento su cui riferire in merito al rapporto tra” i due imputati “Chaouqui e mons. Vallejo”. Assenti oggi in aula i giornalisti Nuzzi e Fittipaldi, presenti gli altri imputati anche se Francesca Immacolata Chaouqui è arrivata a udienza aperta. La prossima udienza, come conferma anche la nota della sala Stampa Vaticana, si terrà lunedì 16. Massimiliano Menichetti:

Il primo teste della tredicesima udienza è stato il vescovo ausiliare, mons. Augusto Paolo Lojudice, il quale ha affermato di aver conosciuto l’imputata “Francesca Immacolata Chaouqui circa un anno fa, su presentazione della dott.ssa Lucia Ercoli, "medico in Vaticano” e “direttore dell’Istituto di Medicina Solidale”. Ha ribadito che la donna gli sembrò “molto capace, con tante conoscenze e contatti” e che entrarono in relazione per “progetti” con finalità di caritativa. I due “ebbero vari colloqui su una struttura in via Prenestina, che i Padri” Missionari “Monfortani avrebbero voluto donare al Papa”, ma questo alla fine non avvenne anche perché l’edificio “fu occupato da altre persone”.

Renzi e Lorenzin
Mons Lojudice ha confermato che la Chaouqui “non prese mai alcun compenso” e che in relazione alle conoscenze da lei vantate, come il premier Renzi o il ministro Lorenzin, “all’inizio ebbe l’impressione che sparasse un po’ alto”, ma che “alla fine dovette” ricredersi. La donna gli fece conoscere l’imprenditore Ettore Sansavini, che gli “parlò di come affrontò la crisi dell’Idi e dell’ospedale San Carlo di Nancy”. Chaouqui gli fece incontrare anche dei responsabili del social network “Twitter”, ma rimasero tutti “incontri interlocutori”. Gli venne anche proposto un intervento “sulla misericordia” a margine del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, dove avrebbe dovuto esserci anche il primo ministro italiano”, ma “non se ne fece più nulla perché iniziò il processo in Vaticano”. Mai incontrò mons. Angel Lucio Vallejo Balda.

Roberto Menotti e il buon clima
Il secondo teste ascoltato, dal Tribunale e dalle parti, è stato Roberto Menotti, all’epoca dei fatti responsabile del settore informatico della Prefettura per gli Affari Economici e oggi impiegato presso l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Menotti, a differenza di alcune testimonianze che lo hanno preceduto, ha presentato un clima lavorativo “bello e stimolante” in cui mons. Vallejo “era ricco di idee”. Ha detto anche che i rapporti “seppur sempre buoni” si “diradarono” con l’avvio delle attività di Cosea. Menotti “pur rendendosi conto che alcuni colleghi avevano problemi caratteriali e personali con mons. Vallejo”, ha ribadito di “non aver firmato le lettere inviate all’Ulsa e al Santo Padre sottoscritte dagli altri”, fatta eccezione per la lettera, scritta anni prima, riguardante i rapporti tra mons. Abbondi e l’archivista Paola Pellegrino”.

Il sistema informatico
Il tecnico ha presentato l’architettura del sistema informatico in Prefettura, spiegando che i Pc potevano navigare in Internet, ma non si poteva accedere “dall’esterno alle rete locale”. La struttura era formata da “quindici computer e un server ai quali si accedeva tramite” un sistema di “privilegi”. Ovvero, ognuno aveva una propria password che usava per accedere a un computer e se, dopo questa operazione, l’utente si allontanava “chiunque avrebbe potuto consultare i documenti dal quel Pc”.

Due archivi
Il testimone ha anche spiegato che c’erano due archivi per la posta in uscita, “uno in formato cartaceo ed uno in formato elettronico”. Nel settembre 2015, mons. Vallejo gli chiese “se era possibile accedere dall’esterno”, un accesso fatto “da terzi” alla sua casella di posta elettronica. “Non sapevo al momento la ragione di questa domanda – ha detto – poi intuii che doveva essere collegata al tentativo di intrusione rilevato nel Pc del Revisore Contabile”. Rispose comunque “che qualunque hacker poteva farlo”.

Le chiavi della Prefettura
Sollecitato dalle domande, ha ribadito che “non aveva rapporti con la Chaouqui” se non per consueti saluti giornalieri e “che in ufficio si diceva che i consulenti esterni avessero le chiavi della Prefettura”, ma “che nulla di ufficiale lo attestasse”. Le chiavi per l’accesso allo stabile ha precisato che erano in possesso del “cardinale presidente, del segretario, del ragioniere generale e per un certo tempo del capo ufficio, poi “furono cambiate” e Menotti non ha saputo “confermare se queste furono riconsegnate a mons. Abbondi”.

Mons. Alfredo  Abbondi
La terza e più lunga deposizione è stata quella di mons. Alfredo Abbondi, che in qualità di capo ufficio della Prefettura degli Affari Economici ha ribadito che “non” “aveva alcun ruolo in Cosea”, ma ha descritto un clima nel dicastero difficile sia nei confronti dei “superiori”, che per quieto vivere avallavano comportamenti “non consoni alle regole di ufficio”, sia nei confronti “dei dipendenti per il mancato rispetto”. Il prelato ha parlato di “delegittimazione” e confermato di “aver chiesto per quattro volte di essere trasferito”. “Non ero il più ascoltato su come gestire l’ufficio”, ha precisato.

Archivio ordinario e riservato
Il teste ha spiegato che in Prefettura esistevano un archivio “ordinario e uno riservato” e che per consultare il primo non erano necessarie particolari formalità. L’archivio riservato invece era sotto la responsabilità del segretario ed era contenuto dapprima “in un armadio in una stanza nei pressi di quella del Segretario e in un secondo momento, dopo il furto in Prefettura, nella stanza di mons. Vallejo”.

Il furto in Prefettura
Mons. Abbondi ha spiegato che dalla “cassaforte portarono via pochi soldi e delle monete” e “dall’armadio blindato prelevarono dei documenti dell’archivio riservato”, “alcuni dei quali vennero poi riconsegnati in busta chiusa” tramite “la cassetta della posta del dicastero”. “Documenti di dieci, venti anni prima, che di fatto non avevano più alcun valore”. Su domanda di parte, ha precisato che nel “riordinare i fogli dopo l’effrazione”, vide che “gli atti contenuti nell’archivio erano non tanto relativi alla sicurezza dello Stato”, ma fatti “sgradevoli”. Ha confermato che si fecero molte congetture “sul furto e la successiva riconsegna”, ma “senza arrivare a una conclusione”. Ha negato che siano stati fotocopiati “documenti dell’archivio riservato”.

Attività di fotocopiatura
Sull’attività di fotocopiatura da lui svolta in relazione ai documenti sulle Cause dei Santi ha detto “di aver eseguito un incarico affidatogli dal segretario”, senza chiedere spiegazioni, non ritenendo “tale attività” anomala o “riservata”. Chiese e ottenne a sua volta, vista la mole di atti, “l’autorizzazione a delegare tale mansione all’usciere”. Un’attività “che si prolungò per circa quindici giorni”.

Estraneo a Cosea
Ha ribadito che non partecipava alle riunioni di Cosea “se non per scrivere lettere al Papa o al segretario di Stato”, quando chiamato da mons. Vallejo: “Recepivo i contenuti da scrivere”, ha sostenuto, "e nulla più". Su cosa si dicesse in quella sede ha riferito che molto è “coperto dal segreto pontificio” o segreto d’ufficio, ha accennato a diffidenze del “gruppo” nei confronti di un membro Cosea “poco trasparente”, a discussioni su un “fondo cassa presso lo Ior”.

Ambiente difficile
E’ poi tornato a descrivere l’ambiente difficile con i colleghi, un “clima non buono” e parlato dell’idea “del gruppo segreto” come del “frutto dell’enfasi di alcuni”. In quel contesto “era comprensibile – ha precisato – che in qualcuno possa essersi insinuata l’idea della cospirazione e del gruppo segreto”.

Inizio e fine Cosea
Ha distinto anche lui “un prima e un dopo” attività di Cosea. Un primo tempo in cui l’attività si concentrava nella sede della Commissione, presso Casa Santa Marta ed un poi, verso la fine dei lavori, quando “l’archivio venne preso in carico dalla Segreteria per l’Economia”. A questo punto – ha detto il prelato – “mons. Vallejo si confidava e sfogava, anche per quaranta minuti”, per il “disinteresse per l’enorme mole di dati che avrebbe potuto essere di grande aiuto nella riforma economica, finanziaria e gestionale” portata avanti dal Papa.

Le minacce e microspie
Mons. Abbondi poi parla “di minacce” ricevute dai dipendenti e “della convinzione della presenza di microspie nelle stanze”, idea questa ingenerata dalla Chaouqui che avrebbe portato in Prefettura un esperto per far bonificare le stanze. Il capo ufficio racconta dell’episodio in cui nella sala di mons. Vallejo, la donna sarebbe salita su una scala e dopo aver armeggiato in una scatola elettrica, “buttò fuori della finestra qualcosa”. Il teste ha dichiarato di aver consigliato di “chiamare la Gendarmeria” e che la Chaouqui disse che era meglio non farlo “per non innalzare il livello di controllo”. “Mons. Vallejo non era preoccupato e suggerì che bisognava imparare a parlare come se ci ascoltassero”. Ha raccontato delle volte in cui i due andavano “a parlare su un terrazzo” proprio per sfuggire alle microspie, ma senza avere qualcosa da nascondere.

Chaouqui e i Servizi Segreti
Ha confermato che mons. Vallejo “accreditava la Chaouqui presso i Servizi Segreti” e di ritenere “che fosse stata lei a farglielo credere”. Ha negato però di aver visto documenti comprovanti questa “appartenenza ai Servizi o Forze di Polizia”. Ha confermato di aver partecipato a cene e pranzi con l’imputata, tra cui quello con Paolo Berlusconi, dove “si parlò genericamente di Vaticano e in cui” lui “mostrò alcuni giochi di prestigio”.

I contatti della Chaouqui
Anche mons. Abbondi, come mons. Lojudice, ha in sostanza avallato che la donna non fosse una venditrice di fumo, ma che “tanti rapporti li avesse”. Sollecitato sul punto, ha detto che la relazione tra il segretario della Prefettura e di Cosea e la Chaouqui si incrinò per il diniego del monsignore, che non favorì “l'ingresso di una troupe televisiva ai Musei Vaticani”. Lui “prese le distanze”.

La canonizzazione dei due Papi
Il Promotore di giustizia ha poi mostrato a mons. Abbondi una sua foto scattata sulla terrazza dove venne installato il palco per la Canonizzazione dei due Papi. Lui ha spiegato “che tale evento fu religioso e non mondano” e che la tensostruttura “venne montata, dopo aver chiesto le necessarie autorizzazioni all’Apsa, per la tardiva conferma di posti riservati in Piazza San Pietro”.

La lettera minatoria
Gli è stata mostrata anche la stampa di una lettera contenente minacce in lingua inglese che il prelato custodiva nel cellulare da più di un anno. Mons. Abbondi ha ricostruito che nell’aprile 2014 una “lettera con francobollo inglese arrivò in Prefettura ed essendo assente il segretario” aprì la busta per renderne poi conto". Ha confermato di “non saper dare spiegazione del testo”, di aver scattato la foto e di averla dimenticata nel dispositivo come “spesso accade” per altri scatti.

Fralleoni e Maio
Su Stefano Fralleoni ha espresso giudizi positivi e “stupore” quando ha saputo della sospensione dall’incarico, anche se ha ammesso di aver pensato ad alcuni rilievi che lui stesso aveva mosso tempo prima. Ha dichiarato che il ragioniere generale non ha mai sollevato perplessità sulle riunioni “Cosea” alle quali il prelato era chiamato. Ha descritto Nicola Maio come persona “discreta, riservata e collaborativa”, con compiti di “segretario operativo”, che “divenne stabile in Prefettura dopo la fine dei lavori di Cosea” per gli adempimenti di chiusura. “Cessò le funzioni dal Natale 2014, non tornando più in Prefettura”.

Prefettura non più operativa
Il capo ufficio ha detto che “oggi la Prefettura esiste giuridicamente, ma non è più operativa poiché il Santo Padre” aveva già previsto “la creazione di nuovi organi”. La questione delle chiavi dell’ufficio è stata sottoposta anche al capo ufficio, il quale ha confermato il possesso di una copia fino a quando non vennero sostituite, insieme al cardinale presidente, il segretario, il ragioniere generale e l’usciere. Nessuna conferma sul possesso da parte dei consulenti esterni.

I rapporti con l’archivista e Henkel
Sollecitato dalle domande, ha confermato i rapporti complessi con la signorina Paola Pellegrino e “con altri” e di aver conosciuto il filantropo tedesco, Kristof Henkel.

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Oggi in Primo Piano



Pam: emergenza cibo in Sud Sudan, agire ora

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Intervenire senza indugi, la situazione in Sud Sudan può ancora peggiorare. È il Programma alimentare mondiale (Wfp-Pam) a sensibilizzare la comunità internazionale sul giovane Paese africano, sconvolto da oltre due anni di guerra civile e col rischio carestia che si fa sempre più concreto. Fino a 5,3 milioni di sud sudanesi rischiano infatti di dover affrontare gravi carenze di cibo durante la stagione secca, che durerà fino a settembre. Mentre si tenta una difficile riconciliazione tra fedelissimi del presidente, Salva Kiir, e seguaci del vicepresidente, Riek Machar, rientrato nelle scorse settimane a Juba, l’emergenza alimentare si aggrava. Sui motivi di questa crisi, Giada Aquilino ha intervistato Frances Kennedy, portavoce del Programma alimentare mondiale: 

R. – La crisi è dovuta ad una serie di fattori: due anni di conflitto, un’economia – quella del Sud Sudan – che è quasi al collasso, i prezzi del cibo che aumentano in modo vertiginoso e la mancanza di pioggia. Tutto ciò ha fatto sì che la popolazione sia ormai allo stremo e purtroppo ha usato tutte le proprie risorse. Noi del World Food Programme siamo molto preoccupati per i prossimi mesi, perché stiamo andando verso la stagione di magra, cioè quando finisce la raccolta dell’anno precedente e ancora non c’è quella nuova. Ci sono persone che hanno bisogno di assistenza esterna perché non sono in grado di fornire alle loro famiglie il necessario per mangiare. Allo stesso tempo, anche noi abbiamo un deficit di finanziamenti per i prossimi mesi e questo proprio in un momento critico.

D. – Quali sono le aree più interessate dalla crisi in questo momento?

R. – La situazione sta peggiorando anche nelle zone che non sono direttamente colpite dal conflitto, regioni come Northern Bahr El Gazal, Eastern Equatoria e Warrap, e questo è molto preoccupante perché la situazione sta peggiorando. In queste aree stanno aumentando i bisogni umanitari, ci sono persone che fuggono attraversando le frontiere con altri Paesi: tante di queste citano la fame come una delle ragioni che le ha spinte a scappare. Dall’inizio del 2016, quasi 50 mila persone di queste zone del Sud Sudan hanno lasciato le proprie case per dirigersi verso il Sudan: si pensava che questa cifra potesse riguardare tutto l’anno. Ci sono poi sud sudanesi che pensano addirittura di tornare in Darfur – noto al mondo per le sue tensioni, anche se ora c’è una certa stabilità – perché hanno bisogno di cibo.

D. – Cosa serve al momento?

R. – C’è bisogno di un grande sforzo da parte della comunità internazionale e il World Food Programme si trova sul posto come tante altre agenzie. In questo momento abbiamo bisogno di denaro, perché con tale criticità dobbiamo incrementare molto velocemente il nostro programma, indirizzandolo in modo particolare verso coloro che sono più vulnerabili: i bambini, gli anziani, le donne, perché se non abbiamo i fondi per agire adesso la situazione rischia di diventare veramente drammatica. Noi dobbiamo posizionare ora del cibo che serve per certe zone del Paese, perché quando arrivano le piogge questi luoghi diventano irraggiungibili.

D. – Come intervenite?

R. – Da febbraio, abbiamo potuto spostare in una zona di Jonglei circa 10 mila tonnellate di cibo, una quantità sufficiente per 100 mila persone: lenticchie, riso, olio. Per i bambini abbiamo dei cibi speciali contenenti una forte componente nutritiva.

D. – C’è un’emergenza malnutrizione proprio tra i più piccoli?

R. – Bisogna intervenire subito perché quando le cose cominciano a peggiorare lo status nutrizionale dei bambini, ma anche delle famiglie, può precipitare molto velocemente e in modo molto grave.

D. – Qual è l’appello del World Food Programme per il Sud Sudan?

R. – Due cose: l’attenzione verso questo problema e, a livello di fondi e di sostegno per il nostro lavoro, abbiamo bisogno urgentemente di 230 milioni di dollari per i prossimi sei mesi. Dobbiamo riuscire a raccogliere questa cifra perché la gente si trova in una situazione molto critica.

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Carceri Brasile. P. Graziola: esperienza che svuota la persona

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Il Brasile è il quarto Paese del mondo con la più alta popolazione carceraria, che negli ultimi 20 anni è aumentata del 380%. Sul sistema carcerario del Paese incombe lo spettro della privatizzazione, che prevede penitenziari efficienti dati in gestione dallo Stato, in cui i detenuti vengono trattati in condizioni disumane. Bianca Fraccalvieri ne ha parlato con padre Gianfranco Graziola, missionario della Consolata nel grande Paese sudamericano, che esprime la preoccupazione della Chiesa locale: 

R. – Ci preoccupa per la questione della privatizzazione del sistema carcerario, ma in generale anche per una visione di società, perché quando si tocca la società e i pilastri di questa società, soprattutto riguardo ai programmi sociali, alle realtà sociali, e si arriva purtroppo alla prigione, si fa sì che le persone diventino non più persone, ma oggetti o soggetti di un commercio e di un sistema che esclude, scarta, e fa in modo che le persone non siano più persone. Quindi, le svuota. Il sistema carcerario ha questa caratteristica: svuotare e nascondere i problemi. Questo ci preoccupa e soprattutto in questo momento in cui abbiamo un governo che invoca Dio, la famiglia, i grandi valori, ma che di questi valori si serve solo per una questione commerciale e economica, non umana. Questo difende la pastorale: noi vogliamo la scarcerazione, vogliamo altri sistemi, altri motivi per costruire una società differente, una società di nuove relazioni.

D. – Qual è oggi la situazione nelle carceri brasiliane?

R. – La situazione è pessima, allarmante, di totale mancanza di umanità: la persona rimane marcata per tutta la vita, e quindi non c’è ritorno. Anche se la persona non tornerà in carcere, questo marchio, questo momento della sua vita, rimarrà per sempre. La mia esperienza riguarda giovani che oggi hanno una laurea, una vita, ma il momento che hanno passato in carcere – di uno, due, tre o più anni – resta sempre come qualcosa che fa sì che non riescano più a incontrarsi, come accadeva prima. Rimangono con la difficoltà di organizzare la vita, di sapersi e di sentirsi sicuri. C’è tutto questo mondo, perché il carcere svuota la persona: il grande male del carcere è quello di svuotare la persona, che non è più capace di dire: “Io sono il padrone di me stesso”, la priva della capacità di disporre della propria vita, di organizzarla, perché la sua vita è organizzata da altri. La persona è come se fosse un robot – diventa un robot – e ciò incide sulla sua vita futura. E a volte può facilmente tornare al crimine.

D. – La tortura è ancora una realtà?

R. – Sì, la tortura è una realtà. Si dice che la polizia ancora picchi, e picchi forte, soprattutto quando ci sono le retate. Ma, come Pastorale, noi diciamo che la tortura è anche un “carcere disumano”: quando c’è il sovraffollamento, quando manca il cibo di qualità e manca la salute che garantisca loro di poter vivere in questi luoghi. Perché se lo Stato imprigiona, deve garantire, secondo quanto sancito dalla Costituzione brasiliana, la vita di queste persone in carcere, e invece non lo fa. Ora sta privatizzando, vendendo: noi diciamo che sta “vendendo la disgrazia altrui a caro prezzo”.

D. – Papa Francesco è così vicino ai prigionieri: che cosa insegna alla Pastorale carceraria?

R. – Più che insegnarci, ci incoraggia, perché la Pastorale fa questo cammino da più di 30 anni. E Francesco è per noi come la ciliegina sulla torta, che ci dice: “Andate avanti, questo è il cammino della Chiesa”. È una Chiesa che è in uscita, che non ha paura di sporcarsi le mani, ma vive, ha i piedi impolverati, perché è vicina ai più dimenticati di questo mondo.

D. – E di che misericordia hanno bisogno i prigionieri brasiliani?

R. – La misericordia di qualcuno che cominci a guardarli con occhi diversi, non con gli occhi di chi li condanna, li esclude e gli dice: “Per quello che hai fatto ora devi pagare!”. No, ma con gli occhi di chi dice: “Sì, hai fatto un errore, ma c’è una possibilità”; è quel “vai e non peccare più” che Gesù dice all’adultera, a Zaccheo, ai pubblicani e a tante persone, e che dice anche oggi a noi.

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Repubblica Dominicana al voto, favorito il presidente Medina

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Domenica di voto nella Repubblica Dominicana per la scelta del nuovo presidente. Il candidato più accreditato per la vittoria finale è il capo di Stato in carica, Danilo Medina, del Partito di liberazione dominicano. Il 64.enne leader nazionale godrebbe di oltre il 60% dei consensi, come riportato da diversi sondaggi, nonostante le accuse di corruzione piovute dall’opposizione. Negli ultimi anni, il Paese viaggia a un ritmo di crescita economica sostenuto, a fronte però di persistenti sacche di povertà: più di 4 milioni di persone sono indigenti. Daniele Gargagliano ha chiesto al giornalista ed esperto di America latina, Maurizio Stefanini, quali sono stati i passaggi principali che hanno caratterizzato la presidenza di Medina. 

R. – Da una parte, c’è la grande crescita, la prosperità, sicuramente una serie di politiche che ha messo in pratica Medina all’inizio del terzo mandato, molto popolari, anche se poi sono state in parte compensate da un aumento di tasse che ha creato un minimo di impopolarità. Dall’altra, c’è questa accusa storica di corruzione, che tra l’altro ha anche provocato problemi all’interno dei Partito della liberazione, il partito di Medina, perché c’era l’altro leader storico che appunto era imputato di corruzione – ed è stato il motivo per cui Medina ha voluto fare la riforma costituzionale in modo da ottenere la rielezione: è stata fatta perché non c’era un altro leader a cui passare la mano.

D. – C’è una frammentazione all’interno dell’opposizione che quindi favorirà Medina in qualche modo?

R. – Adesso, il partito di Medina si è diviso di nuovo quindi c’è un’ala che si è alleata con il Partito della liberazione e l’altra contro. Quindi, gira un po’ intorno alle stesse radici. Teoricamente, tutti i partiti consistenti si considerano a sinistra. Di fatto, tutti sono espressione un po’ di ceti che magari non si proclamano “conservatori”, ma sono espressione di ceti piuttosto ristretti. Quindi, tutti si proclamano “progressisti” ma rimangono poi le forti sperequazioni, rimangono società fortemente elitarie...

D. – La Repubblica Dominicana è considerata una delle economie più dinamiche del continente americano, mentre l’indice della soglia di povertà del Paese è del 40%…

R. – Questo è il problema storico dell’America Latina, che anche quando cresce ha il problema di ridurre la povertà. Poi, il problema è che quando ci sono i partiti populisti e cercano di ridurre la povertà, poi in qualche modo creano problemi nella crescita. Il partito della liberazione è un po’ l’emblema di queste contraddizioni, perché è un partito che continua a considerarsi un partito della sinistra radicale, ha fatto una politica di forte incentivazione della crescita anche senza troppa ridistribuzione; anche se, in realtà, all’inizio del suo mandato ha cercato di fare un po’ di politiche sociali. Per esempio, ha creato il “pacto educativo” con cui ha dato il 4% del pil all’educazione… Ci sono state una serie di misure che sono state prese, però sicuramente è un Paese che ha ancora fortissime sperequazioni.

D. – La Commissione elettorale nazionale ha stabilito proprio nelle scorse ore che i voti vengano contati manualmente. C’è un rischio di inquinamento del voto?

R. – Le elezioni latinoamericane non sono a livello europeo e non parlo sono di Repubblica dominicana: parlo proprio a livello continentale. Però, in qualche modo, sono affidabili: i risultati finali sono più o meno affidabili. Poi, con un distacco del 64%…

D. – La stabilità economica e politica del Paese è strategica anche in funzione della vicina e poverissima Haiti?

R. – La Repubblica dominicana è un Paese che comunque ha una forte immigrazione, dove esiste anche una fortissima xenofobia nei confronti dell’immigrazione degli haitiani, perché storicamente parte della popolazione dominicana è di origine haitiana, e la Repubblica dominicana è piena di clandestini… Ci sono polemiche continue sul fatto che essere considerati di origine haitiana è un insulto; ci sono stati politici che sono stati squalificati perché considerati di origine haitiana; il vecchio dittatore Trujillo, una delle sue principali misure di popolarità fu appunto quella di aver sterminato con squadroni della morte una quantità enorme di haitiani… Il dato paradossale è questo: che Haiti è un Paese più povero, più arretrato e quindi produce una quantità di immigrati, di clandestini, che poi vanno nella Repubblica Dominicana. Però, storicamente, Haiti invase la Repubblica Dominicana perché gli haitiani sono contemporaneamente i “poveracci” che invadono il Paese – obiettivo di risentimenti xenofobi simili a quelli che ci sono in Europa contro l’immigrazione – ma al contempo sono anche imperialisti rappresentanti del Paese contro cui fu fatta la guerra d’indipendenza.

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Donazione ovuli. Morresi: tracciabilità per evitare business

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Tracciabilità e ospedali pubblici contro il business legato alla donazione degli ovuli. L'arresto del dott. Antinori, l’ingegnere della fecondazione assistita in Italia, che avrebbe espiantato ovuli ad una donna senza il suo consenso, ripropone la delicata questione del mercato degli ovuli, un business che esiste nonostante la legge in Italia preveda la donazione gratuita dei gameti come per quella di cellule e tessuti. Al microfono di Valentina Onori, l'opinione di Assuntina Morresi, docente all’Università di Perugia e componente del Comitato Nazionale per la bioetica: 

R. – Il mercato degli ovociti è stato denunciato da sempre ed è stato, a mio avviso, sottovalutato. Non ci sono quantità enormi dal punto di vista numerico di donne disposte a donare i propri ovociti. Forse, è più semplice trovare donne che già si sottopongono a fecondazione assistita, che nel caso in cui ci siano ovociti che “avanzano” – quindi non utilizzati – sono disposte a donarli quando pensano di non avere più figli. Va riconosciuto innanzitutto con lealtà che donare gli ovociti non è come donare il sangue, perché si trasmette il proprio patrimonio genetico. A maggior ragione, va trattata con attenzione rispetto alle altre donazioni. Intorno a questo business, c’è un mercato e questo lo vediamo dal fatto che la fecondazione eterologa è molto praticata nei Paesi in cui le cosiddette indennità, cioè le forme di pagamento mascherate, sono più ingenti. Non è una caso che vadano tutti in Spagna e non in Francia. In Spagna, c’è la cosiddetta “indennità”, sufficientemente elevata tale da renderla appetibile per chi è in difficoltà economiche. In Francia, dove c’è una legislazione esattamente come in Italia, questo affollamento di richieste non c’è. Mettendo da parte tutte le problematiche etiche della fecondazione eterologa, già vediamo che laddove ci sono indicazioni solo strettamente mediche e vengono rispettate, non c’è mercato, non c’è business, l’eterologa è veramente gratuita e chiaramente ci sono liste d’attesa così come ce ne sono per il trapianto di rene. Certo è che le liste d’attesa per il trapianto di rene sarebbero meno lunghe se si potessero pagare i donatori...

D. – È un problema quindi di regolamentazione?

R. – Dovremmo stare attenti alla tracciabilità: dobbiamo sapere da dove vengono i gameti. C’è una specie di tratta di donne. Per evitare il mercato è importante che tutto venga possibilmente fatto all’interno di strutture pubbliche, perché nel pubblico è più semplice, è più facile effettuare quei controlli che garantiscano che non ci sia un mercato. La legislazione italiana è molto garantista, è molto buona, perché prevede la donazione totale gratuita. Immaginiamo come sarebbe se si pagasse, per esempio, il midollo con cui si fanno i trapianti per le leucemie: forse ce ne sarebbero di più. Alla stessa maniera, va rafforzato ancora di più ciò che già è presente nella legislazione, cioè la totale gratuità. Noi dobbiamo entrare nel merito della governance di questi processi.

D. – La fecondazione eterologa non decolla negli ospedali…

R. – Il motivo per cui il Ministero non ha ancora fatto campagne – sembra non avviata – è perché nel momento in cui c’è stata la sentenza si è detto in maniera impropria che si poteva partire. Noi non avevamo mai recepito la parte delle normative europee che prevedevano la donazione di gameti da persona diversa dal partner, cioè la donazione per fecondazione eterologa. Quando è uscita la sentenza, il Ministero ha aggiornato le linee guida, ma tutta la selezione del donatore – quindi gli esami cui si deve sottoporre un donatore, un donatore italiano – sono contenuti in queste direttive che sono in corso di recepimento. Quando questo iter sarà concluso, il giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta, il Ministero potrà partire subito con le campagne di donazione e ci sarà la fecondazione assistita nei Lea (i "Livelli essenziali di assistenza"). Tutto questo recepimento, però, non cambia il fatto che la donazione dei gameti è gratuita, perché in Italia tutte le donazioni di organi, cellule e tessuti sono gratuite.

D. – Come prevenire questi casi?

R. – Tutte le volte che c’è la fecondazione eterologa. io devo avere un percorso dei gameti chiaro, tracciabile, da un centro autorizzato a un altro centro autorizzato. Poi, bisogna vegliare che non ci siano truffe e culturalmente bisogna lavorare perché ci sia sempre la donazione gratuita di parti del corpo umano e non si sceglie, non siamo al mercato dove si sceglie la pera più bella.

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Giornata mondiale della famiglia, luogo del futuro sostenibile

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Anche quest’anno, come dal 1993, il 15 maggio in tutto il mondo si celebra la Giornata Internazionale della Famiglia, uno dei “beni più preziosi dell’umanità” per Papa Francesco, che alla famiglia ha dedicato l’intenzione di preghiera del mese di maggio. Tema di quest’anno scelto dall’Onu è: "Famiglie, vite sane e futuro sostenibile". Il servizio di Gabriella Ceraso

"Invito ciascuno a prendersi cura con amore della vita delle famiglie"; esse “non sono un problema, sono un’opportunità”. Così il Papa nell’ Esortazione apostolica postsinodale "Amoris Laetitia" e così anche l’Onu che in questa Giornata del 2016 sottolinea quanto la famiglia sia "centro della vita sociale, tuteli il benessere, l'educazione e la socializzazione dei propri membri e assista giovani e anziani." È una vera impresa", dice Daniela del Boca, docente di Economia del Lavoro all’Università di Torino e al Collegio "Carlo Alberto":

"E’ una vera impresa, perché si producono al suo interno veramente dei beni che aiutano i membri della famiglia nella gestione della propria vita, a tutte le età. E questo ha continuato a esistere, pur con delle difficoltà. In più la famiglia, non dimentichiamolo, in Italia in particolare, è anche produttiva nel senso che si sono moltissime piccole imprese familiari che lavorano proprio sul mercato del lavoro".

In questo è il futuro sostenibile, ma serve un sostegno economico e politico specifico perché la situazione oggi dell’impresa "famiglia" è più difficile di dieci anni fa, visto che le opportunità di lavoro e i servizi sono diminuiti a causa della crisi economica. Lo dice anche l’Europa. Maria Hildingsson è il segretario generale della Federazione europea delle Associazioni familiari cattoliche:

R. – C’est que la famille est le premier lieu où nous apprenons à vivre ensemble, à nous respecter…
"La famiglia è il primo luogo nel quale impariamo a vivere insieme, a rispettarci, a condividere, a perdonare e a dare prova di solidarietà. La stessa Dichiarazione dei diritti dell’uomo, nell’articolo 16, riconosce il ruolo che svolge la famiglia, incoraggiando gli Stati e la società a proteggere e sostenere la famiglia. Ciònonostante, la difficoltà che molte famiglie incontrano oggi in Europa è una difficoltà che definirei soprattutto come una mancanza di fiducia nel futuro. C’è una tendenza molto forte a dimostrazione di questo ed è la situazione demografica dell’Europa di oggi. Abbiamo una popolazione che sta invecchiando mentre molte famiglie vorrebbero avere più figli ma semplicemente non osano, perché non hanno fiducia nel futuro, pensano di non guadagnare abbastanza, di avere un impiego, di poter trovare quell’equilibrio di cui le famiglie hanno bisogno. Si constata che oggi nell’Unione Europea nessuno degli Stati membri ha un tasso di natalità sufficientemente alto per rinnovare la popolazione. E questo è un segno molto grave, che è legato al tempo stesso alla questione economica e finanziaria, ma anche al tempo che le famiglie possono passare insieme. Questi fattori hanno ovviamente un impatto forte sulla qualità dei rapporti: vediamo che il gran numero di separazioni e di divorzi in Europa sono una delle conseguenze di questa situazione. E questa situazione è determinata dal fatto che le politiche non prendono in sufficiente considerazione le necessità delle famiglia. C’è spesso la tendenza a considerare la famiglia come un qualcosa che “funzioni” quasi automaticamente e questo non è vero perché le famiglie hanno bisogno di supporto, hanno bisogno di politiche appropriate".

Il nord Europa è più virtuoso da questo punto di vista e da decine di anni si è reso conto delle difficoltà della famiglia, spiega ancora la professoressa Daniela del Boca, stimolando più parità nei trattamenti e più servizi specie per famiglie con bambini e anziani. E i risultati si vedono:

"Io credo molto negli investimenti che si chiamano 'in-kind', cioè in una rete di servizi funzionante, pubblica o comunque semipubblica, perché credo molto nel fatto che ci siano dei controlli. Credo un pochino di meno in quello che possiamo chiamare 'voucher' o che possono indirizzare le famiglie verso vari tipi di servizi. Penso che le famiglie vadano un po’ indirizzate da questo punto di vista per scegliere i servizi più di qualità".

Ma la crisi economica ha fatto molto e altrettanto hanno fatto le guerre e le migrazioni che spezzano e feriscono le famiglie:

"Fenomeni del genere ci sono sempre stati. Certo, questa volta siamo più vicini a questo tipo di fenomeno drammatico. E infatti lo vediamo in tutto il recente fenomeno dei minori non accompagnati: qui ci vorrebbe veramente uno sforzo europeo, altrimenti l’Italia – e altri Paesi come la Grecia – si trova veramente un po’ da sola nell’affrontare questa enorme emergenza ed aiutare queste famiglie".

Ciononostante la famiglia specie quella mediterranea così forte nei suoi legami interni continua a svolgere un ruolo di compensazione importante. E occorre ricordare anche questo nella Giornata internazionale della famiglia, così come occorre ricordare la bellezza e la gioia di cui è capace una famiglia come ripete spesso Papa Francesco. Di nuovo Maria Hildingsonn:

L'Exhortation apostolique "Amoris Laetitia" du Pape François parle beaucoup...
“L’Esortazione apostolica 'Amoris Laetitia' di Papa Francesco parla molto – e a ragione – della gioia e la famiglia è luogo di gioia: è luogo di condivisione e sono spesso le cose semplici, condivise in famiglia, che portano la gioia maggiore nella nostra vita. E’ necessario guardare alle famiglie lacerate, separate, ferite dalla vita, per capire quanto quella sorgente di gioia, che è la famiglia, manchi a quelli che non hanno la possibilità di vivere in una comunione familiare”.

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A Torino un libro sulla creatività linguistica di Francesco

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La Libreria Editrice Vaticana (Lev) è presente con le sue opere al Salone del libro di Torino, in corso fino al 16 maggio. Quasi 500 i titoli esposti in uno stand di 110 mq, per un totale di 20 mila volumi: testi dei Pontefici con particolare attenzione a Papa Francesco, ma anche libri sul Giubileo, sulla Sacra Scrittura, sulla storia della Chiesa, fino ai libri d’arte. Presentato, tra gli altri, il volume scritto da Salvatore Claudio Sgroi, ordinario di Linguistica generale all'Università di Catania, intitolato: “Il linguaggio di papa Francesco. Analisi, creatività e norme grammaticali”. Ma come è nata l’idea di analizzare le parole e i modi espressivi di Francesco? L'autore ne parla al microfono di Adriana Masotti

R. – Siccome l’obiettivo del Papa è quello di farsi capire e di raggiungere gli altri, intrigandoli, da una parte sa quali sono i problemi della gente, dall’altra usa le parole più comuni, fa frasi non molto lunghe e il suo parlare è sempre un dialogo. E questa sua capacità gli permette di parlare in qualunque lingua. Cioè, le difficoltà che ogni parlante incontra divengono secondarie: lui riesce perfettamente a superarle. Quindi, si sente che è straniero fondamentalmente dall’accento, però le scelte sintattiche e lessicali, il tipo di italiano che lui parla è un tipo di italiano da parlante quasi nativo, colto… E quindi per il linguista è un laboratorio estremamente intrigante.

D. – Lei scrive che il Papa esce fuori dagli schemi nell’uso delle parole, dando prova di una creatività linguistica tutta italiana. Vorrei chiederle qualche esempio…

R. – Dunque, nel mio testo ho analizzato alcuni esempi molte volte, perché erano stati oggetto di analisi da parte di altri giornalisti e l’atteggiamento però in genere era quello di dire: “Il Papa parla diversamente da me, quindi il Papa sbaglia”. Io, invece, ho cercato di dimostrare come il Papa non sbagli affatto. Innanzitutto, bisogna intendere cosa vuol dire “sbagliare”: se sbagliare significa parlare in maniera confusa, caotica, contraddittoria, io sfido chiunque a dirmi che quello che il Papa dice o che ha detto in passato sia confuso, contraddittorio. A livello lessicale, il Papa è straordinario perché anche nell’uso delle parole lui applica schemi di formazione delle parole che sono propri dell’italiano e sono anche comuni allo spagnolo. Un esempio è il “misericordiare”. “Misericordiare” può stupire, perché in italiano è insolito, ma io ho cercato di dimostrare che c’era anche nella lingua italiana e, alla fin fine, lui poi non fa altro che rimetterla in circolazione, d’accordo anche con lo spagnolo. E quindi, dire che sia sbagliato dal momento che si tratta di una parola comprensibilissima, di una parola formata secondo le regole e la grammatica dell’italiano non è il caso. Al contrario, è una parola che diventa importante perché mette a fuoco un concetto che è importante nel discorso che Papa Francesco ci fa. Allora, creare neologismi mettendo a fuoco concetti chiave è un’abilità che non è comune.

D. – E’ l’autorità di chi parla a dire che il neologismo, oppure un dato modo di dire, può essere accettato e che non è un errore, oppure è qualche altra cosa, qualche altro criterio che lo dice?

R. – A mio giudizio, i criteri sono due. Da una parte, un modo di dire, un’espressione, una parola qualsiasi può essere accettata o dev’essere accettata quando è chiara. Detto ciò, le parole chiare certamente sono più facilmente accettate se sono quelle pronunciate dalle autorità, da chi conta, insomma. Quello che dice il Papa, quello che dice il presidente della Repubblica, quello che dicono gli scrittori, quello che dicono i giornalisti, quello che dicono anche i politici di per sé diventa punto di riferimento.

D. – Allora, appunto, oltre al linguaggio di Papa Francesco nel suo libro lei osserva la lingua degli italiani e in particolare il linguaggio delle istituzioni, dei politici, dei letterati, degli studiosi, dei giornalisti. In sintesi, qual è lo stato di salute della lingua parlata da queste categorie di persone?

R. – Lo stato di salute della lingua – che è una metafora, ovviamente – è ottimo. In che senso? Cioè: la lingua sta male quando sono pochi a parlarla e quando si parla poco. Certamente si può parlare male, ma “parlare male”, per me, significa fondamentalmente parlare in maniera incomprensibile. Allora, quando il giornalista parla in maniera incomprensibile, anche il giornalista parla male.

D. – Anche quando non si usa più il congiuntivo, o si usa poco, ad esempio?

R. – Il congiuntivo è un modo elegante, sicuramente, e chi lo sa usare dimostra certamente di essere raffinato ed elegante. Però, può coesistere con l’indicativo, non da oggi, dai tempi di Dante e magari prima. Allora, da questo punto di vista usare l’indicativo o usare il congiuntivo è come vestirsi in maniera diversa a seconda delle circostanze. Può essere sbagliato usare il congiuntivo quando questo non occorre, quindi può essere sbagliato essere super-eleganti in situazioni nelle quali magari è meglio essere sportivi. E viceversa, ci sono circostanze nelle quali il congiuntivo si impone. Questo non vuol dire che io non lo voglio usare o non lo debbo usare o mi auguro che muoia: assolutamente! Però, ripeto, il congiuntivo coesiste da secoli con l’indicativo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq. Is attacca impianto gas nel nord, 12 morti

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Sono almeno 12 le vittime e 25 i feriti di un terribile attacco perpetrato questa mattina all’alba dai jihadisti del sedicente Stato islamico a un impianto per la produzione di gas naturale che si trova nella cittadina irachena di Taji, circa 20 km a nord della capitale Baghdad.

Il commando di terroristi era formato da 8 kamikaze
Questa la dinamica dei fatti ricostruita dalle autorità irachene che intervenendo sul posto hanno evitato che i miliziani occupassero completamente l’impianto: un’autobomba con a bordo due kamikaze è esplosa all’entrata del sito, consentendo l’ingresso nella struttura di altri sei attentatori suicidi. Sono stati dati alle fiamme anche due depositi di gas e l’incendio si è in seguito propagato agli edifici circostanti.

In Iraq il califfato controlla ancora vaste aree nord-occidentali
Si stanno intensificando, secondo le autorità locali, le azioni dell’Is che nonostante le perdite sul campo di battaglia, controlla ancora significative porzioni di territorio nel nord e nell’ovest dell’Iraq, compresa la città di Mosul che i terroristi considerano la capitale irachena del Califfato. Negli ultimi giorni, infatti, un centinaio di persone sono rimaste uccise in una serie di attacchi a Baghdad e in altre zone del Paese.

In Siria esercito riconquista ospedale di Al Asad
Intanto, in Siria, l’esercito regolare ha strappato all’Is il controllo dell’ospedale di Al Asad nella provincia di Deir Ezzor – quasi interamente sotto il dominio dei miliziani – dopo un lungo confronto armato che è costato la vita a 35 soldati e 24 jihadisti. Lo riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani. (R.B.)   

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Nigeria. Mons. Martins: stop a violenze dei pastori Fulani

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È un appello accorato al governo e al presidente Muhammadu Buhari affinché si intervenga per porre fine alle stragi commesse dai pastori Fulani nel sud del Paese, quello rivolto da mons. Alfred Adewale Martins, arcivescovo di Lagos, in Nigeria.

Polizia? "Atteggiamento lassista"
Secondo un comunicato inviato all’agenzia Fides, infatti, il presule ha condannato le uccisioni di agricoltori lungo la cosiddetta “middle-belt”, la fascia che divide il Nord dal Sud della Nigeria, e le sanguinose incursioni dei pastori Fulani in alcune località del sud, Ukpabi e Nimbo, lamentando l’atteggiamento lassista della polizia, che spinge chi commette questi crimini a sentirsi “al di sopra della legge”.

Governo: attacchi opera di Boko Haram
Gli attacchi nel frattempo continuano: secondo notizie di stampa, un pastore Fulani si sarebbe reso responsabile della decapitazione di una donna e del ferimento grave di altre due in una località del Delta. Secondo il governo, gli attacchi attribuiti ai pastori Fulani sono in realtà commessi da una fazione del gruppo di terroristi islamici Boko Haram. Il ministro dell’Agricoltura, Heineken Lokpobiri, ha dichiarato che le persone arrestate in relazione ai recenti attacchi non parlano Fulani o altre lingue nigeriane, facendo intendere siano terroristi stranieri. (R.B.)

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Lituania. Concluso il Congresso nazionale sulla Misericordia

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Si è concluso in Lituania il Congresso nazionale sulla misericordia – svoltosi nel Paese dal 6 all’8 maggio scorsi - uno degli eventi centrali dell’Anno giubilare che l’arcivescovo della capitale Vilnius, mons. Gintaras Grušas, ha definito “una grande pioggia di grazia che Dio ha versato su tutti i partecipanti”. L’evento, infatti, si è chiuso con la visita del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin dal 7 al 9 maggio.

Plenaria dedicata all’"Amoris laetitia"
In seguito, precisa L’Osservatore Romano, i vescovi della Repubblica baltica si sono riuniti nella capitale in assemblea plenaria l’11 e 12 maggio scorsi: una due giorni di lavori, in cui oltre a un confronto sugli eventi citati, i presuli si sono in particolare soffermati sull’esame dell’Esortazione apostolica postsinodale di Papa Francesco “Amoris laetitia”, presentata alla plenaria dal vicedirettore del Centro per la famiglia di Klaipėda, padre Andrius Vaitkevičius, il quale, come spiega una nota diffusa al termine dell’incontro, ne ha sottolineato in particolare “gli aspetti che la rendono così importante per la pastorale familiare”. Proprio per questo il documento pontificio - è stato annunciato - sarà quanto prima tradotto in lituano affinché “i pensieri del Papa possano raggiungere più lettori”.

Riflessione sugli abusi contro i minori
Spazio nel corso dei lavori della plenaria è stato riservato anche alla questione scottante degli abusi commessi da uomini di Chiesa nei confronti di minori. In particolare, i presuli hanno ricordato come sia importante che chi svolge un servizio ecclesiale sia a conoscenza dei contenuti del documento che la Conferenza episcopale lituana ha pubblicato nel 2013, “Linee guida per la prevenzione di abusi nella Chiesa cattolica, per clero, religiosi, volontari e tutto il personale che si occupa di minori”, e hanno discusso su come assicurare una risposta quanto più adeguata alle vittime di abusi sessuali, in particolare su come assistere, informare e accompagnare nell’iter delle indagini. (R.B.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 136

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.