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Sommario del 16/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Paglia: per Francesco nessuna famiglia è esclusa dall’amore di Dio

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Papa Francesco ha ricevuto stamani in udienza l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Tra i temi al centro dell’incontro, la diffusione dell’Esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, in particolare nelle famiglie e nelle comunità ecclesiali. Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza di mons. Paglia, dopo l’udienza con il Pontefice: 

R. – Non c’è dubbio che, dopo il Sinodo, ci sia ora tutta la prospettiva della diffusione e del sostegno all’Esortazione Apostolica Amoris laetitia. Questo è un testo che richiede un approfondimento e uno slancio nuovo, perché non solo e non tanto “si rinverdisca” la pastorale familiare ma, forse ancor di più, perché tutta la pastorale acquisisca i tratti della familiarità; a partire da un rinnovato stile nelle comunità cristiane, in quelle parrocchiali, perché siano esse – davvero – una famiglia che accoglie, che sprona tutte le famiglie per essere poi vicino a coloro che hanno maggiori problemi e difficoltà. Questo mi pare particolarmente importante e, in questo senso il Pontificio Consiglio, è impegnato in maniera particolarmente forte. Tante sono le richieste, da varie parti dell’Italia e del mondo e credo che sia una consolazione anche per il Papa poter vedere che il testo che lui ha consegnato risponda in effetti a un bisogno profondo sia della Chiesa sia della società.

D. – C’è una parola, un qualcosa, che l’ha particolarmente colpita dell’udienza di oggi con Papa Francesco?

R. – Io direi l’urgenza di diffondere un amore che sia robusto, costruttivo, misericordioso, accogliente, che non escluda nessuno. Ecco, c’è come una passione di universalità da parte del Papa perché nessuna famiglia sia privata della gioia dell’amore.

D. – Ecco, Papa Francesco tiene particolarmente a cuore che questo documento, Amoris laetitia, venga letto anche con calma – lo ha addirittura scritto proprio nella prime pagine – e quindi in un qualche modo anche metabolizzato innanzitutto dalle famiglie, vero?

R. – Esattamente. Potremmo dire che questo documento deve diventare "lettera viva", attraverso la vita stessa delle famiglie: sono loro che devono diventare il vero documento e il vero testo. Sono le famiglie che devono testimoniare – appunto – la gioia dell’amore: ne sono il luogo prioritario. Ne conosciamo d’altra parte le difficoltà e i problemi; e tuttavia, è proprio da qui che in qualche modo si deve ripartire: dalle famiglie, che sono la parte assolutamente maggioritaria del Popolo di Dio. Nella sensibilità di Papa Francesco sappiamo bene cosa voglia dire il sensus fidelium: ossia il sentire del Popolo di Dio sull’amore, sulla vita, sull’esistenza e sull’aiuto ai più deboli. Tante volte il Papa si richiama direttamente alle famiglie perché siano esse stesse i luoghi dove si testimonia l’amore di Dio, per tutti e particolarmente per quelli più deboli e più feriti.

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Dal Papa il presidente bulgaro Plevneliev

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il presidente della Repubblica di Bulgaria, Rosen Plevneliev, il presidente del parlamento della ex-Repubblica Jugoslava di Macedonia, Trajko Veljanoski, accompagnato dalla con la moglie, il presidente dell'Istituto di Cristo Redentore “Identes”, padre Jesús Fernàndez Hernàndez, e l’arcivescovo patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia.

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Papa, tweet: lo Spirito Santo ci fa vivere con fede e carità

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Lo Spirito Santo ci è stato donato in abbondanza per vivere con fede autentica e carità operosa”.

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I migranti nel cuore del Papa: aperto un Centro ad Amman

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E' sempre viva la sollecitudine di Papa Francesco per il dramma dei profughi del Medio Oriente. E' appena rientrato a Roma dalla Giordania il suo delegato, mons. Segundo Tejado Muñoz, sottosegretario del Pontificio Consiglio Cor Unum (il dicastero vaticano per la carità) che ad Amman ha partecipato all'inaugurazione del “Giardino della Misericordia", un Centro agricolo con 600 ulivi, che darà lavoro ai rifugiati iracheni e siriani. Per volere del Papa, il Centro è stato finanziato con i soldi raccolti nel padiglione della Santa Sede a Expo 2015 di Milano. Presenti all'inaugurazione: il Patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal e il nunzio apostolico in Giordania e Iraq mons. Alberto Ortega Martin. Roberto Piermarini ha chiesto a mons. Tejado Muñoz come è nata questa iniziativa: 

R. – Questa iniziativa è nata dalla raccolta fatta durante l’Expo di Milano, lo scorso anno, quando si è svolta l’Esposizione universale. Alla fine del percorso del Padiglione della Santa Sede, era stata messa una cassetta per lasciare offerte da dedicare ad un progetto umanitario. Da questa iniziativa sono stati raccolti circa 125 mila euro. Abbiamo allora chiesto al Santo Padre cosa volesse che venisse fatto con questi soldi e lui ha parlato dei rifugiati, di aiutare i rifugiati coinvolti nel conflitto del Medio Oriente. Quindi abbiamo deciso di attivare in Giordania - come Cor Unum, che è il dicastero della carità del Santo Padre – un progetto per aiutare proprio i rifugiati che arrivano sia dall’Iraq che dalla Siria e che sono il frutto di questo conflitto in atto in questa zona della terra.

D. – Sono previsti altri interventi di Cor Unum dedicati ai migranti del Medio Oriente, in particolare della Siria e dell’Iraq?

R. – Cor Unum è sempre in allerta e siamo sempre attivati. Abbiamo un tavolo di coordinamento - a settembre avremo la terza riunione - in cui riusciamo a mettere insieme tutte le agenzie che stanno lavorando, i nunzi apostolici, la Chiesa locale soprattutto e anche alcuni dicasteri della Santa Sede per vedere quale sia la situazione. Abbiamo anche attivato, per la Siria, un progetto di formazione per gli operatori che stanno svolgendo e realizzando dei progetti: e questa era una esigenza molto importante! Insomma, lavoriamo sempre, non ci fermiamo mai, anche perché questa è una situazione che si evolve costantemente. E ci sono poi tutti i rifugiati in Grecia, nei Balcani… E’ una situazione veramente molto complessa, che cerchiamo di monitorare, di aiutare, di coordinare. Però è  una situazione che cambia costantemente.

D. – Lei ha parlato di Chiesa locale: cosa sta facendo la Chiesa giordana per i migranti iracheni e siriani?

R. – E’ completamente impegnata e lavora in questo campo. In questo viaggio che ho fatto in Giordania, ho visto un coinvolgimento molto grande e non soltanto della Chiesa locale, ma anche delle Chiese di tutto il mondo. Dobbiamo considerare, infatti, che l’intervento della Chiesa non è soltanto questo piccolo progetto che il Santo Padre ha voluto fare in Giordania, ma è tutto il grandissimo lavoro che tutte le Chiese del mondo stanno facendo e stanno riversando sulla Giordania, sulla Siria, sul Libano, in Grecia… Ho visitato un centro sanitario finanziato dalla Caritas Germania; la Conferenza episcopale italiana sta cercando anche di finanziare il pagamento degli affitti delle case di queste famiglie. Bisogna considerare che in Giordania non ci sono tanti campi di rifugiati, se non lungo le frontiere, e quindi si tende a favorire che queste famiglie possano affittare una stanza o un appartamento e so che la Conferenza episcopale italiana sta dando un grandissimo contributo - attraverso l’8xmille - per cercare di provvedere al pagamento degli affitti di queste famiglie. E questo cosa vuol dire? Che la famiglia ha una dignità, non vive in una tenda; vive in una casa, in un appartamento, che magari viene condiviso tra due famiglie… Ecco, questo dà dignità! E' quello che ha voluto fare questo progetto “Il Giardino della Misericordia”: dare lavoro a questa gente, perché questa gente non può vivere eternamente di un pacco che le viene dato. Se viene dato loro un lavoro, anche questo dà dignità. Questo è quello abbiamo fatto, dopo aver studiato la situazione in Giordania e dopo quello che abbiamo visto con la Chiesa locale: era quello che era meglio fare in questo momento.

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Turkson: servono cure a basso costo per bimbi malati di Aids

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Migliorare l'accesso alle cure per i bambini affetti da Aids. È questo lo scopo che ha visto il Pontificio Consiglio Giustizia e pace ospitare un nuovo incontro in Vaticano, oggi edomani, dopo quello di un mese fa con specialisti di vari settori e rappresentanti istituzionali, allo scopo di individuare risposte efficaci a questo drammatico problema. L’incontro è stato aperto dal cardinale Peter Turkson. Il servizio di Alessandro De Carolis:

“L’assistenza sanitaria non è un diritto di tutti”, ma un “privilegio per pochi”. Papa Francesco lo aveva ribadito pochi giorni fa ricevendo i “Medici con l’Africa – CUAMM”.

È una realtà “triste” ma bisogna trovare subito delle risposte, ripete il cardinale Turkson riferendosi ai bambini affetti da Hiv e guardando gli esperti di varie parti del mondo che lo ascoltano nella sala conferenze della Casina Pio IV – rappresentanti di governi, membri del Fondo globale per la lotta all’Aids dell’Onu, delegati di case farmaceutiche e del settore diagnostico, leader religiosi.

Malattie letali
Obiettivo che accomuna i presenti è quello di non lasciare al mercato di decidere chi vive e chi muore, come nel caso delle cure per l’Aids, ma anche per la tubercolosi e la malaria, purtroppo ancora letali in molti Paesi poveri. Il cardinale Turkson fissa tre punti come bussola per il lavoro da portare a termine.

Tre punti
Primo, riaffermare i valori spirituali che ispirano il lavoro di quegli organismi impegnati ad assicurare migliori trattamenti ai bambini sieropositivi e sostegno alle loro famiglie. Secondo punto, stilare una “tabella di marcia ambiziosa” sull’applicazione di questi trattamenti da presentare alla riunione ad alto livello che si terrà a New York proprio sul tema della lotta all’Aids. Come terzo punto, il presidente di Giustizia e Pace chiede di definire la coalizione di partner che sarà impegnata a realizzare la strategia di un migliore accesso ai farmaci per i bimbi colpiti dal virus.

Politica e scienza collaborino
“L’accesso all'assistenza sanitaria, al trattamento e alle medicine rimane ancora un 'sogno' per troppi”, ripete di nuovo il cardinale Turkson, citando quanto detto da Papa Francesco alla precedente riunione, e cioè che “non c'è vita umana che sia qualitativamente più importante di un’altra”. Ciò che serve, indica, “è un dialogo sincero e aperto, con la collaborazione responsabile da parte di tutti: autorità politiche, comunità scientifica, mondo degli affari e società civile”. Gli esempi positivi, conclude, “non mancano” e “dimostrano che una vera e propria cooperazione tra politica, scienza e imprese può ottenere risultati significativi”.

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Ambasciatore Indonesia: promuoviamo convivenza tra religioni

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L’Indonesia, Paese con più musulmani al mondo, si prepara ad ospitare due grandi eventi cattolici: il prossimo ottobre si terrà a Manado la Giornata della Gioventù indonesiana, mentre dal 30 luglio al 6 agosto 2017 si terrà a Yogyokarta la Giornata Asiatica dei Giovani. Su questi eventi e il modello indonesiano per una convivenza pacifica, Stefano Leszczynski ha intervistato l’ambasciatore indonesiano presso la Santa Sede, Antonius Agus Sriyono

R.  With the hope that, having these two big events, we would like to expose…
La nostra speranza e la nostra intenzione, attraverso questi due grandi eventi, è quella di riuscire a mostrare come i cattolici indonesiani siano parte del popolo indonesiano. Quindi, devono comprendere l’importanza, ad esempio, dei principi base del “Panchsheel” (i principi della coesistanza pacifica). Devono mostrare tolleranza con le altre religioni, ecc. Per cui vogliamo che i cattolici indonesiani, anche i giovani cattolici, siano consapevoli dell’importanza dell’unità e del senso di appartenenza all’Indonesia. Poi, ci collegheremo al prossimo evento che si terrà nell’agosto del 2017, quando ci sarà la Giornata Mondiale della Gioventù asiatica, alla quale parteciperanno circa 29 Paesi.

D. – L’Indonesia sta compiendo una grande sforzo al fine di promuovere una forte riconciliazione all’interno del Paese e tra le diverse religioni. Com’è la situazione oggi? Come la descriverebbe lei?

R. – So, as you know, almost 90 percent of the population in Indonesia are Muslims…
Come lei sa, quasi il 90% della popolazione in Indonesia è di religione musulmana, per cui i cristiani costituiscono una minoranza nel Paese. In questo quadro, dobbiamo mantenere la solidarietà, l’unità e la tolleranza tra di noi, perché la sicurezza è che dobbiamo essere “una sola Indonesia”. Di conseguenza, ancora una volta sottolineiamo che è attraverso il dialogo interreligioso che possiamo conservare l’unità dell’Indonesia.

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Il cardinale di Mainz Karl Lehemann compie 80 anni

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In Germania, Papa Francesco ha accettato per raggiunti limiti di età la rinuncia del cardinale Karl Lehemann all’ufficio di vescovo di Mainz. Il porporato compie oggi 80 anni e dunque il Collegio cardinalizio risulta attualmente composto di 114 cardinali elettori e 101 non elettori.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Missione al femminile: Francesco sottolinea il crescente contributo delle donne all'opera di evangelizzazione.

Buoni cristiani, onesti cittadini: Grazia Loparco su don Bosco e l'educazione dei giovani.

Un ebreo gioioso: Cristiana Dobner su "L'esprit du Judaisme" di Bernard-Henry Lévy.

Con coraggio in mare aperto: la relazione conclusiva di Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, in occasione della riunione del Consiglio dell'organismo.

Convivenza e solidarietà sono possibili: a colloquio con il rappresentante dell’ebraismo italiano.

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Oggi in Primo Piano



Siria. Mons. Marayati: guerra ha distrutto tutto, ora la pace

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Diplomazia e guerra. È la storia della Siria degli ultimi anni. Mentre i capi delle diplomazie di Russia e Usa, Lavrov e Kerry, annunciano un incontro per stasera a Vienna – dove domani si svolgerà un incontro del Gruppo di sostegno internazionale al Paese – a nord di Aleppo l’esercito turco ha colpito postazioni del Califfato, uccidendo una trentina di miliziani. E proprio da Aleppo giunge la testimonianza di mons. Boutros Marayati, arcivescovo degli armeni cattolici della città siriana, in questi giorni a Roma. Paolo Ondarza lo ha incontrato: 

R. – Come sapete, la città è divisa in due: una parte è tra le mani dei ribelli jihadisti, terroristi e l’altra parte – dove viviamo noi – è sotto il controllo del governo. Purtroppo, il cessate-il-fuoco che hanno dichiarato tre, quattro mesi fa è caduto. Questi ribelli dopo il cessate-il-fuoco hanno cominciato a lanciare missili, colpi di mortai, bombe. La mia cattedrale è stata distrutta tempo fa, ma in questi ultimi giorni hanno cominciato nuovamente a colpire la città: piovevano missili e l’ospedale è stato distrutto. Siamo rimasti senza acqua, senza luce, senza elettricità. La gente è stanca, non ce la fa più. Tanti hanno lasciato il Paese, ma ora c’è un’altra ondata di cristiani che si prepara a fare altrettanto. Papa Francesco ci dice sempre: “Rimanete, non un Medio Oriente senza cristiani non ha senso”… È vero, ma come possiamo dire alla gente di rimanere quando ci sono tante vittime, martiri, sangue? Quello che ho chiesto al Santo Padre è una mediazione tra le grandi potenze per fare la pace.

D. – Parlavamo della presenza cristiana, una presenza importante, fondamentale da un punto di vista storico, culturale. La fuga dei cristiani da queste terre rappresenta una ferita enorme…

R. – Senz’altro. Bisogna dire che gli aiuti arrivano, ma la gente ormai non li vuole più... Vuole la pace!

D. – La pace che non è stata conosciuta da una generazione intera di bambini…

R. – Bambini che crescono senza infanzia, che non hanno conosciuto l’infanzia. In cinque anni di vita, non sanno cosa sia l’acqua corrente, cosa sia l’elettricità, cosa sia la sicurezza... Non sanno come dormire in pace. Ci sono bambini nati durante questa guerra e non sappiamo che ferite lascerà nelle loro anime tutto quello che stanno vivendo oggi. La guerra non ha distrutto solamente la pietra – la mia cattedrale, le chiese, le scuole – ma ha distrutto l’uomo!

D. – Che effetto le fa quando lascia la sua terra e viene in Europa, in Italia, trovare una situazione tanto diversa, vedere i volti dei bambini lì e qui. Chiaramente il contrasto è enorme…

R. – Sì, c’è un grande contrasto, ma so che anche qui in Italia, per esempio, in Europa avete vissuto i tempi della Seconda Guerra mondiale. Avete vissuto giorni di distruzione. Qui c’erano palazzi, quartieri una volta che poi sono stati rasi al suolo, ma poi la vita è ricominciata, no? I nemici di ieri, oggi sono amici. La pace è possibile e niente è impossibile per Dio.

D. – In questo senso, la preghiera assume un valore fondamentale…

R.  – Io sono venuto qui in Italia soprattutto per chiedere la preghiera. Questo è quello che ho chiesto al Santo Padre perché, come dice anche il Vangelo, ci sono spiriti maligni che non vanno via se non attraverso la preghiera, il digiuno. Allora, noi crediamo in ciò che Cristo ci ha detto. Ci ha detto di pregare e inoltre: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. Non dà la pace come la dà il mondo, cioè la pace dei politici, dei convegni… Non crediamo più in tutto questo ormai. Chiediamo e crediamo nella pace che ci dà Gesù Cristo, una pace che ci riporti tutti ad una fratellanza che abbiamo vissuto per tanti anni.

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Filippine. Duterte: sparare ai criminali e ritorno a pena di morte

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“Sparare per uccidere i sospetti criminali che faranno resistenza all’arresto”, è questo il nuovo annuncio del discusso Presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, invitando i poliziotti a usare il pugno duro contro i delinquenti. L’ex sindaco di Davao ha anche anticipato l’intenzione di chiedere al Congresso il ripristino della pena di morte abolita nel 2006. Sul fronte politico, il Capo di Stato asiatico si è detto intenzionato ad offrire la guida di alcuni ministeri a membri della guerriglia comunista con cui è in contatto. In più si preannuncia una grande offensiva militare contro gli estremisti islamici del gruppo Abu Sayyaf. Alla luce degli ultimi proclami di Duterte, Daniele Gargagliano ha chiesto al missionario nelle Filippine, Padre Sebastiano D’Ambra, se ci sono preoccupazioni nelle comunità locali e cristiane 

R. – Certamente lo stile del nuovo Presidente Duterte preoccupa tanti di noi e in effetti  ha conquistato un po’ l’attenzione dei filippini che lo hanno votato, cioè - in altre parole - è il segnale che i filippini vogliono un Presidente forte. Lui ha esperienza, però viene fuori con delle affermazioni molto preoccupanti: parla ad effetto. Ad esempio, mesi fa ha usato parole contro il Papa, poi c’è stata la reazione e gli  ha chiesto scusa: ora dice che uno dei primi viaggi che farà sarà a Roma per chiedere scusa al Papa. Poi ha fatto altre affermazioni simili. È un tipo di leadership che cerca di far valere, passare dei messaggi in un modo non convenzionale. Non penso che lui avrà l’autorità di dire alla polizia di sparare perché creerebbe diversi problemi a livello giuridico. Per quanto riguarda la pena di morte è vero, lui continua dire di volerla reintrodurre. Speriamo si ritorni al buon senso perché non c‘è bisogno della pena di morte; si può trovare un modo per far osservare la legge. Probabilmente dice determinate cose per provocare una reazione del pubblico anche a livello internazionale, come  in questo caso.

D. – Anche perché sembra che la campagna elettorale l’abbia vinta proprio sull’onda dei proclami populisti …

R. - La gente vede che la città che lui ha guidato per più di 20 anni – Davao - è una città in ordine: ma che significa? Significa far pulizia non rispettando la legge. Adesso come Presidente non credo che possa continuare a portare avanti quello stile tipo 'far west'. Ho l’impressione che durante questi mesi tornerà a seguire una linea più normale.

D. - Duterte ha intimato i miliziani islamisti di Abu Sayyaf che operano nel Sud delle Filippine a liberare gli ostaggi che hanno minacciato di decapitare. I proclami all’intransigenza del Presidente possono essere controproducenti nella lotta ai terroristi?

R. - I terroristi hanno bisogno di messaggi forti. Tra l’altro, so che lui è in contatto con diversi leader; per esempio, è amico di Misuari, capo del “Moro National Liberation Front”. Quello di Abu Sayyaf è un gruppo un po’ diverso che ha il tipico aspetto del terrorismo; sono stati loro, di recente, a decapitare uno degli ostaggi canadesi.  Purtroppo il fatto è stato molto traumatico: hanno fatto vedere l’esecuzione anche su You Tube. Spero che qualcosa migliorerà circa i rapporti tra terroristi e governo, anche perché alla fine il terrorismo qui è un terrorismo strano, di cui non conosciamo i margini delle responsabilità di politici, militari  o dell’ideologia islamica.

D. - Il pugno duro promesso dal Presidente non va in contrasto con il sentimento comune che c’è nel Paese e non solo fra i cristiani?

R. - La cultura del Paese sta cambiando in diversi modi. Certamente è in contrasto con quello che è la sensibilità religiosa di questa nazione. Lui ha fatto delle dichiarazioni non molto simpatiche circa la Chiesa e alcuni leader della Chiesa; so che ha chiesto scusa. Spero che le cose migliorino però, al momento, così come sono  appaiono ancora preoccupanti.

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Caos Venezuela, Maduro decreta lo stato di emergenza

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Si aggrava la crisi politica in Venezuela. il presidente Nicolas Maduro – dopo aver decretato 60 giorni di stato d’emergenza – ho ordinato la requisizione delle fabbriche chiuse per protesta e ha accusato gli Stati Uniti di ordire un golpe contro il suo governo. L’opposizione è sul piede di guerra dopo che il vicepresidente Isturiz ha annunciato che non sono validi i due milioni di firme raccolte per indire un referendum sulla revoca del mandato a Maduro. Il Venezuela, che è tra i Paesi con maggiori riserve petrolifere al mondo, è afflitto da una grave recessione seguita al crollo dei prezzi del petrolio. In questi giorni, sono razionati sia l’approvigionamento dell’energia elettrica sia quello dei prodotti alimentari. Per un’analisi della situazione, Marco Guerra ha intervistato Roberto Da Rin, inviato del Sole 24Ore e esperto di America Latina: 

R. – La situazione sociale è drammatica. Il Paese vive un’emergenza oltre che economica anche politica e sociale, proprio perché è stato mobilitato l’esercito. Ma la crisi nasce e viene da lontano: sono ormai alcuni anni che il Venezuela patisce il drastico calo dei prezzi petroliferi. È un’economia sostanzialmente mono-produttiva, e quindi il calo dei prezzi petroliferi ha penalizzato drasticamente le politiche economiche e di distribuzione – quindi sociali – che erano state attivate precedentemente. Il presidente Maduro non ha il favore di una parte importante dell’elettorato, ma una parte non molto residuale continua a essere al suo fianco. Non va dimenticato che ha vinto le ultime elezioni con un margine di scarto modesto, anche se comunque c’è un 51% di popolazione che alle ultime elezioni gli ha dato il voto. Questo è il quadro del Venezuela, con un’emergenza che è diventata anche alimentare, dal momento che ci sono alcuni beni di necessità che scarseggiano o che vengono distribuiti alternativamente durante la settimana nei supermercati.

D. – Maduro ha ordinato di occupare le fabbriche, che sono paralizzate a causa della crisi, e di mandare in carcere gli imprenditori che secondo lui stanno boicottando il Paese. Ha parlato anche della necessità di “radicalizzare la rivoluzione”. Vuole veramente implementare delle ricette socialiste?

R. – No, in questo momento lui non vuole implementare delle ricette socialiste, ma  è semplicemente una situazione davvero emergenziale in cui lui cerca di fronteggiare un quadro economico disastroso, proprio disastroso. E lo fa come può, con delle misure certamente inadeguate – così pare alla comunità internazionale – come quella di mettere in mano le fabbriche che hanno chiuso – una specie di espropri proletari – a qualcun altro che lui designa e che non è il proprietario della fabbrica. Quindi, in questo modo viene leso anche il diritto di proprietà. Ciò per poter riavviare una produzione che tuttavia non può essere né data in mano allo Stato, che non è adeguato per farlo, né tantomeno a dei centri sociali o a degli imprenditori che non vengono selezionati da una logica più elementare di mercato.

D. – Maduro ha accusato gli Stati Uniti di ordire un golpe contro il suo governo. Ci sono veramente delle ingerenze esterne o additare Washington è un esercizio di propaganda?

R. – Sono vere tutte e due le cose. Ci sono sicuramente state in passato delle ingerenze, che sono state poi dimostrate dall’Organizzazione degli Stati americani (Osa), quindi da organizzazioni "super partes" a livello internazionale. Queste hanno verificato che, ad esempio, il golpe del 2012 contro il presidente Chávez aveva avuto l’appoggio sostanziale degli Stati Uniti. È vero che poi, in altre circostanze come quella attuale, il baratro economico in cui è scivolato il Paese non ha nulla a che fare con le ingerenze degli Usa.

D. – Il vicepresidente Istúriz ha annunciato che, nonostante i due milioni di firme raccolte, non si terrà alcun referendum per la revoca di Maduro. Che cosa c’è da temere?

R. – La revoca del referendum è una miccia che potrebbe condurre all’esplosione di una ulteriore conflittualità tra le due parti che si avversano: il post-chavismo, ovvero i sostenitori di Maduro, e gli avversari. Ovviamente, hanno ragione entrambi, sia chi ha raccolto le firme sia chi sostiene che ci sono stati dei vizi di forma nella procedura. Il referendum revocatorio deve essere fatto seguendo delle scansioni temporali e delle progressioni giuridiche, che in questo caso non sono state effettivamente onorate. È molto difficile anche per gli organismi internazionali capire se il numero di firme sia reale e se non ci siano state contraffazioni.

D. – Che cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi?

R. – Di sicuro si sta profilando una recrudescenza degli scontri e dell’avversità politica che le due parti si rimandano reciprocamente. Quindi, temo che la situazione possa peggiorare.

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Governo della Colombia: amnistia per bambini soldato delle Farc

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Potranno godere dell’amnistia e saranno considerati come vittime di guerra i bambini soldato sotto i 15 anni che ancora vivono nei campi Farc in Colombia. Lo ha reso noto il governo di Bogotà che - mentre oggi ha annunciato “il più grande sequestro di droga della storia”, con 8 tonnellate di cocaina confiscate ad un’organizzazione criminale pressi del confine con Panama - porta avanti a Cuba i negoziati di pace coi ribelli del Fronte Armato Rivoluzionario. Il movimento guerrigliero ha accettato di collaborare a identificare i minori e organizzare la loro uscita dalle proprie fila. L'Onu e altre agenzie umanitarie internazionali sono state invitate a sovrintendere al rientro dei giovani nella società. Le Farc non hanno comunicato la cifra esatta dei ragazzi, annunciando però a breve la consegna alle autorità di un primo gruppo di 21 minori. Giada Aquilino ne ha parlato con Gianni La Bella, docente di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia, che per la comunità di Sant’Egidio segue i negoziati di pace tra governo colombiano e movimenti guerriglieri: 

R. – Una stima esatta non si ha: non l’ha il governo e, probabilmente, neanche gli stessi dirigenti delle Farc che in questo momento sono a L’Avana. L’accordo rappresenta un punto molto importante e si inserisce nell’attuale momento di crisi che il negoziato sta vivendo, per una forte opposizione che purtroppo si sta consolidando all’interno del Paese: quindi è un aspetto molto importante che può ridare voce e velocità alla trattativa. I bambini fino a 14 anni non saranno considerati penalmente responsabili degli atti che sono stati compiuti: qui c’è un problema tecnico, con una discussione che si è protratta per molto tempo, perché il governo aveva chiesto di prendere in considerazione la soglia dei 18 anni, ma le Farc considerano l’età adulta i 16. Questa intesa comunque dà la possibilità anche di rilanciare il negoziato in senso ampio e di rimettere in primo piano una delle questioni più tragiche, che è stato appunto il coinvolgimento dei bambini in questo conflitto.

D. – Come le Farc hanno utilizzato i bambini soldato?

R. – Innanzitutto c’è un problema di reclutamento, perché i bambini soldato coinvolti dalle Farc sono a volte figli di genitori che sono stati uccisi, quindi sono soli. Sono stati utilizzati come messaggeri, in attività di sussistenza e anche - probabilmente - in una serie di casi nell’ambito di veri e propri conflitti.

D. – I bambini fino a 14 anni saranno considerati vittime. Ma quest’accordo prevede anche un punto per i ragazzi tra i 14 e i 18 anni: ci saranno i benefici dell’indulto. Che vuol dire?

R. – Sì, ci saranno i benefici dell’indulto. Questa è tutta una casistica che si sta scrivendo esattamente ora e che si inserisce all’interno del più generale processo teso a stabilire i percorsi di questa giustizia “transizionale”: a seconda del reato che è stato commesso, dalle condizioni e da una serie di altri fattori, ci saranno delle modalità di pena molto diverse, ma che tenderanno tutte a incanalarsi lungo il percorso delle disposizioni alternative.

D. – Come verranno reinseriti nella società?

R. – Attraverso un programma, che per ora è stato espresso con la disponibilità da parte del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, perché appunto alcuni di questi bambini il più delle volte sono in condizioni di perdita di famiglia: quindi bisognerà trovare delle strutture che li accolgano, bisognerà trovare delle organizzazioni che siano disponibili a farsene carico. E’ dunque un accordo importante dal punto di vista giuridico, che dovrà trovare una sua realizzazione pratica attraverso una serie di misure che saranno messe in campo appena l’accordo generale verrà firmato.

D. – Fin qui abbiamo parlato dei negoziati in corso con le Farc. A che punto è invece il negoziato con l’altra guerriglia?

R. – Il negoziato con l’Esercito di Liberazione Nazionale, l’altra guerriglia colombiana che ha deciso di aprire ufficialmente il negoziato di pace con il governo, si terrà in Ecuador. Ma in questo momento è in fase di “stand-by”, perché il governo colombiano deve decidere tecnicamente la sede ufficiale del negoziato, che potrà essere Quito, che potrà essere Guayaquil… Nell’ultimo incontro, che le due delegazioni hanno avuto circa un paio di mesi fa a Caracas, sono state stabilite un’agenda dei colloqui ed anche una procedura con cui tali incontri si svolgeranno. Devono però essere ancora definiti gli attori internazionali che dovranno affiancare il processo di pace come Paesi non tanto mediatori ma accompagnatori del processo di pace.

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Forum Famiglie : bene bonus bebè, ma fisco sia più equo con famiglie

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La famiglia al centro del dibattito politico. Il ministro Lorenzin ha annunciato nei giorni scorsi un raddoppio del bonus bebè dagli 80 euro ai 160 euro al mese per nuclei con reddito Isee tra i 7 mila e i 25 mila euro annui. Di fronte al crollo della natalità in Italia, -12% dal 2010 al 2015, il governo pensa di inserire la misura nella prossima legge di stabilità e annuncia nuovi provvedimenti allo studio per conciliare famiglia e lavoro. Critiche le opposizioni che parlano di spot elettorali,  mentre i sindacati chiedono più investimenti sugli asili nido. Al microfono di Paolo Ondarza il commento del presidente del Forum delle Famiglie Gigi De Palo

R. – Tutto quello che viene fatto in più per le famiglie è una cosa positiva. Però noi siamo preoccupati, perché vediamo che in tutti questi anni stanno aumentando degli spot, dei bonus un po’ di qua e un po’ di là, delle agevolazioni, ma non si è fatta una riflessione seria su tutto quello che la famiglia dà in termini di risparmio. Noi chiediamo, da tanti anni, una sola cosa: un fisco più equo, che tenga conto dei carichi familiari, della composizione familiare, che spesso può prevedere anche anziani e disabili. Inutili tante piccole regalie - perché qua non si tratta di regalie - ma è meglio fare un discorso unitario che tenga conto, appunto, che la famiglia non chiede di sopravvivere, ma vuole semplicemente vivere! Non chiede di essere aiutata, non è un malato terminale, ma è una realtà da cui far ripartire tutto il Paese.

D. – Si ha, infatti, l’impressione che questo raddoppio del bonus bebè – legato, al reddito Isee tra i 7 mila e i 25 mila euro annui – sia pensato per categorie sociali meno abbienti…

R. – Non solo! Il costo di un figlio non si ha nei primi tre anni, ma semmai si ha successivamente. E poi sfido chiunque a dire: “Vabbè, visto che c’è in bonus bebè faccio un figlio…”. Un figlio lo si fa, perché c’è qualcuno, c’è un Paese che ha fiducia in te, che non ti lascia solo. Oggi oltre al meno 12% di non nascite, abbiamo anche 100 mila giovani che ogni anno se ne vanno all’estero. Questi giovani non credo che rimarranno ora in Italia per il bonus bebè. Rimarranno in Italia se vedono che il Paese sta cambiando e mette al centro le famiglie, inizia ad avere fiducia nelle famiglie e non inizia a considerare chi fa un figlio, chi si sposa come un eroe!

D. – Citava i giovani che vanno via dall’Italia: fino a poco tempo fa il crollo della natalità in Italia veniva letto come un problema arginabile, in qualche modo, grazie ai figli degli immigrati …

R. – Non è quella la soluzione! Sono molti di più quelli che non nascono e molti di più quelli che se vanno all’estero rispetto agli immigrati. Non si fanno più figli, i giovani se ne vanno all’estero, allora la soluzione è quella di trasformare gli immigrati in italiani? Ben venga un approfondimento sullo ius soli, ben vengano ragionamenti di questo tipo, ma poi anche gli immigrati si troveranno davanti al problema di un fisco iniquo con le famiglie.

D. – Presidente, l’Italia sembra avere il complesso di inferiorità nel percepirsi fanalino di coda in Europa su tanti temi, anche – ad esempio – nell’ambito dei nuovi diritti, tanto che il governo ha festeggiato la recente legge sulle unioni civili,  estensiva del concetto di famiglia alle cosiddette “famiglie arcobaleno”, come un passo in avanti. Perché così poco, invece, ci si interroga sul grave ritardo, che lei citava, rispetto al resto d’Europa in tema di politiche familiari? In Germania e Francia l’asilo nido è assicurato per tutti; in Austria il sostegno ai figli dura addirittura fino al 19.mo anno di età; in Svezia si parla di congedo parentale di 480 giorni retribuito al 70%… In Italia questo concetto di “famiglia con figli - investimento per lo Stato” non sembra passare: perché?

R – Un po’ è anche colpa nostra, a mio vedere, perché abbiamo trasformato la famiglia in un concetto ideologico: in una battaglia tra “Forza Roma-Forza Lazio”, tra progressisti e conservatori… Quindi, oggi come oggi, sembra che le politiche familiari siano politiche volute solamente dal mondo cattolico: ce lo chiede la Chiesa… Mentre, invece, noi siamo arrivati in una situazione nella quale le politiche familiari e – ripeto – il fattore famiglia, che noi chiediamo da tanto tempo, vanno ad essere un qualcosa che è utile per tutti quanti, per gli immigrati, per gli italiani. La cosa strana – come diceva lei – è che noi rubiamo all’estero, copiamo dall’estero solamente alcune cose: di quelle cose che poi andrebbero ad incidere a migliorare realmente la vita, perché hanno a che fare con quello che io definisco il “Paese reale” - quindi con le persone che quotidianamente vivono la loro vita e rischiano di non arrivare alla fine del mese; con le mamme che nascondono il pancione, perché altrimenti vengono licenziate; o addirittura con una delle prime cause di povertà che è oggi diventato in Italia fare un figlio, mettere al mondo un figlio - noi non copiamo nulla, non prendiamo spunto dai Paesi del Nord Europa.

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Rotary: Papa Francesco ci spinge a fare sempre di più

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Il Giubileo straordinario della misericordia è un tempo propizio per far risplendere la gioia del perdono, il dono della riconciliazione, il bene della solidarietà, la luce della speranza e la ricerca di giustizia. E’ questo lo spirito con cui oltre 9 mila persone hanno partecipato al “Giubileo dei Rotariani” in occasione dell’udienza giubilare dello scorso 30 aprile. Su questa giornata e sull’impegno di “Rotary International” si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, il governatore del distretto 2080 (Lazio e Sardegna), Giuseppe Perrone

R. – Eravamo in Piazza, provenienti da 78 Paesi del mondo: persone che professano i più ampi credi religiosi, guidati dal nostro presidente internazionale, 'Ravi' Ravindran, che è un induista. Perché a Roma? Perché sentiamo forte il richiamo di Papa Francesco a lavorare per il bene comune, per la promozione dell’uomo, indipendentemente dal credo religioso, dai mestieri, dalle professioni. L’obiettivo è quello di affrontare le tematiche fondamentali di questo periodo. Infatti, il nostro giubileo dei rotariani aveva come punto di riferimento l’individuazione delle modalità più opportune per consentire a milioni di rifugiati e ai 60 milioni di profughi che, spinti dalle guerre e dai disastri, vagano per il mondo, di dare loro l’opportunità di ricominciare una vita a beneficio loro, delle loro famiglie, della comunità.

D. – Quanto è importante la dimensione ecumenica e interreligiosa per la vostra associazione?

R. – La nostra associazione è apartitica e aconfessionale, ma questo non significa che sia contro la religione o contro la politica. Ma è insieme con tutti coloro che insieme con noi mettono a fattore comune il tempo, la passione, l’animo e la misericordia per aiutare chi – per sfortuna, per situazioni ambientali, per disastri – non si trova nelle nostre stesse condizioni.

D. – Costruire un mondo migliore e anche debellare delle piaghe. C’è un’immagine emblematica del giubileo dello scorso 30 aprile che racchiude questi due obiettivi della vostra associazione?

R. – Da 30 anni il Rotary si è dato un obiettivo ambiziosissimo e siamo davvero vicini alla meta: debellare dal mondo il virus della poliomielite. Nel mondo occidentale la poliomielite non c’è più. L’anno scorso l’Africa è stata dichiarata dall’Organizzazione mondiale della sanità libera dal virus della poliomielite. Ci sono, però, ancora decine di casi in Afghanistan e Pakistan. Il Rotary da 30 anni ha questa finalità. Abbiamo comunicato al Santo Padre, quando ci ha incontrato personalmente sul sagrato, questo nostro sforzo, questo nostro obiettivo. Lo abbiamo visto sorridere, mimare con le dita il gesto del dare la goccia di vaccino nella bocca del bambino e da lì è nata la sua esortazione. Ci ha detto: “Continuate in questo vostro sforzo e riuscirete sicuramente, con l’aiuto di tutti, a raggiungere questo obiettivo”. L’esortazione del Santo Padre, la sua benedizione e la sua richiesta di pregare per lui è quello che ci portiamo dietro e che ci stimola e ci spinge a fare sempre di più.

D. – Quali altri stimoli arrivano proprio dal Pontificato di Papa Francesco?

R. – Sicuramente, il tema del Giubileo della Misericordia, che significa compassione e vivere insieme i problemi di chi è meno fortunato di noi, è un’esortazione a continuare ciò che da 111 anni il Rotary fa in giro per il mondo. La focalizzazione sui problemi dell’attualità – per esempio, il problema dei rifugiati, della poliomielite, della salute della mamma e del bambino – sono elementi fondamentali per i quali il Rotary si è sempre impegnato, continua a impegnarsi avendo la possibilità di avere come partner, come compagni sul percorso, organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e tante comunità cristiane e cattoliche che insieme con noi nel mondo lavorano sullo stesso terreno.

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Seminario Bimbi e media: industria digitale sia responsabile

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"Bambini, adolescenti e rischi dei nuovi media: prevenzione e intervento". Se ne è parlato stamani a Roma in un Seminario all’Università "La Sapienza", ospitato dalla Facoltà di Medicina e Psicologia, inserito in un progetto più ampio, co-finanziato dalla Commissione europea, che si chiama “Generazioni connesse”. Tra i promotori, il Ministero dell’istruzione e la Polizia postale, e diversi enti pubblici e privati, come "Telefono Azzurro" e "Save the children", di cui abbiamo raccolto il parere di Cristiana De Paoli, responsabile dell’area Minori e tecnologie digitali. L’intervista è di Roberta Gisotti

D. – Da diversi anni, i nuovi media sono sotto osservazione di psicologi, neuropsichiatri, pediatri, esperti in varie discipline, che ne studiano gli effetti sullo sviluppo di bambini e adolescenti e lanciano anche allarmi o quantomeno chiamano alla responsabilità. Questi allarmi e questi studi, dobbiamo dire, sono quasi sempre ignorati dai media e soprattutto dalle istituzioni che dovrebbero tutelare i minori, pena l’essere giudicati oscurantisti, retrogradi, censori. Ecco, a che punto siamo?

R. – Il nostro approccio è quello di vedere soprattutto le tecnologie digitali come un’opportunità e la possibilità per tutti i ragazzi e le ragazze di poter accedere a questi strumenti. E’ chiaro che è necessario che vengano equipaggiati con le competenze digitali necessarie, e devo dire che il nuovo piano “scuola digitale”, promosso appunto nell’ambito della “buona scuola”, rappresenta un buon punto di partenza. L’obiettivo è far sì che le attività previste vengano effettivamente implementate e valutate successivamente.

D. – Opportunità, senz’altro, ma anche rischi da un uso eccessivo o un uso improprio. Quali rischi si profilano anche alla luce della vostra esperienza diretta sul campo?

R. – Il problema, a nostro avviso, si pone quando le tecnologie vengono utilizzate in modo sostitutivo anziché integrativo nella vita dei ragazzi. Ed ecco perché ribadisco nuovamente il concetto di poter usufruire di conoscenze e di competenze che permettano di poter leggere, di poter affrontare tutto quello che succede in rete in modo costruttivo, in modo positivo. I rischi sono quelli già noti: il cyberbullismo e l’abuso sessuale online e tutta una serie di rischi che in qualche modo devono essere tenuti presenti ma con i quali è necessario fare i conti e per i quali è necessario equipaggiare i ragazzi in modo tale che possano, sempre più in autonomia, riuscire a gestire e ad affrontare e anche a prevenire questa tipologia di rischi.

D. – Lei ha giustamente sottolineato “in autonomia”, perché questi nuovi media in realtà presuppongono – lo sappiamo tutti – un uso personale…

R. – Oggi i ragazzi, anche sempre più piccoli, hanno a disposizione gli smartphone e sappiamo che gli smartphone consentono tutta una serie di attività, per cui è sempre più importante far sì che possano e siano capaci di utilizzare questi strumenti con le competenze necessarie.

D. – Sì, va bene la capacità dei ragazzi di saperli usare, ma sicuramente è compito degli adulti e delle istituzioni vigilare perché la Rete sia sicura, quanto più sicura possibile. Certo, è come quando si scende in strada: non si può evitare che ci sia il crimine, ma si può fare in modo che sia circoscritto…

R. – Non c’è dubbio. Il ruolo degli adulti è assolutamente fondamentale. Sia dal lato delle competenze: non è sufficiente poter accedere a questi strumenti, come ho detto prima, è necessario avere le competenze adatte e queste non possono che essere fornite attraverso un processo educativo, la cui responsabilità spetta agli adulti: famiglie e scuola in primis. Dall’altro, è necessario poter accedere a un ambiente on line digitale a misura di bambino e ragazzo e questa è una responsabilità che riguarda non solo le istituzioni di cui abbiamo parlato, ma riguarda ad esempio le aziende, riguarda tutto il mondo dello sviluppo tecnologico che deve porsi per primo la domanda: “Questo servizio, questo strumento potrà essere utilizzato da una persona minorenne? E quindi, quali le conseguenze che io posso prevedere?”. Purtroppo, questo tipo di pensiero, questo tipo di riflessione, raramente viene compiuto.

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Nella Chiesa e nel mondo



Centrafrica: Ong cristiane e musulmane promotrici di pace

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“Partnership interconfessionale per il consolidamento della pace nella Repubblica Centrafricana (Cipp)”. È questo il nome di un progetto comune finanziato da un gruppo di Ong cristiane e islamiche per sostenere il processo di pacificazione nel Paese africano che sta compiendo importanti progressi per uscire dalla guerra civile,

Il progetto promosso dalla piattaforma interreligiosa per la pace
Il Cipp è promosso dalla piattaforma interreligiosa per la pace del Centrafrica, fondata nel 2013 dai rappresentanti delle tre religioni più importanti del Paese, l'arcivescovo cattolico di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga, il presidente del Consiglio islamico centrafricano, Imam Oumar Kobine Layama, e il presidente dell’Alleanza Evangelica, il pastore Nicolas Guérékoyaméné-Gbangou, dal Catholic Relief Service (Crs), dall’ Islamic Relief Worldwide, da World vision e Aegis Trust.

Finanziamento dall’Agenzia americana per lo sviluppo
“Per la prima volta, i partner sosterranno un progetto della durata di 5 anni, una cosa che non hanno mai fatto” ha dichiarato mons. Nzapalainga. L’iniziativa ha ricevuto un finanziamento di 7 milioni di dollari dall’Agenzia americana per lo sviluppo (Usaid), che si aggiungono ad altri 4 milioni donati da privati. Il programma ha tre obiettivi strategici: rafforzamento della capacità delle istituzioni centrafricane affinché diventino promotrici della coesione sociale; sviluppo economico degli strati più poveri della popolazione; sostegno alle vittime delle violenza ed educazione alla pace.

Crisi centrafricana è politica e sociale
Il progetto è stato presentato a Bangui il 13 maggio con la proiezione di un’intervista ai tre leader della piattaforma interreligiosa per la pace che affermano che la crisi centrafricana non è confessionale, come spesso è stata presentata, ma politica e sociale. (L.M.)

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Ecuador: celebrazioni religiose ad un mese dal terremoto

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Ad un mese di distanza dal sisma che ha isolato la zona costiera settentrionale dell’Ecuador, 120 mila bambini hanno urgente bisogno di spazi provvisori dove poter frequentare le lezioni scolastiche. Il terremoto del 16 aprile ha provocato la morte di 660 persone, ha distrutto i sistemi idrici e danneggiato 33 centri sanitari, la metà dei quali risultano non operativi come pure 560 scuole e circa 10 mila edifici. 

Celebrazioni all'aperto a causa delle chiese distrutte dal sisma
Per celebrare questa triste ricorrenza, nel Paese oggi sono previste delle cerimonie religiose, alcune all’aperto perchè le chiese sono andate distrutte o danneggiate nella provincia di Manabí, la più colpita dal terremoto insieme a quella di Esmeraldas. 

L'Unicef in aiuto dei bambini colpiti dal terremoto
Attualmente il 75% dei bambini sono rientrati a scuola e oltre 30 mila persone sono accolte in rifugi ufficiali dove ricevono assistenza di base oltre che sostegno psicologico e sanitario. “In una regione dove 1 bambino su 5 soffre di diarrea e denutrizione cronica è essenziale dare loro gli strumenti fondamentali per la loro sopravvivenza e crescita”, ha dichiarato il rappresentante Unicef in Ecuador. 

Il devastante terremoto ha lasciato 7.600 famiglie in alloggi provvisori e accampati in tende di campagna donate dai Paesi amici e dagli organismi internazionali. (A.P.)

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Vescovi svizzeri: dialogo interreligioso nella visita in Turchia

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L’importanza del dialogo interreligioso è stata al centro della visita che il gruppo di lavoro “Islam” della Conferenza episcopale svizzera (Ces) ha compiuto nei giorni scorsi in Turchia. La delegazione dei presuli – informa una nota della Ces – è stata guidata da mons. Alain de Raemy, vescovo ausiliare di Losanna-Ginevra-Friburgo, ed ha incontrato diversi rappresentanti musulmani, cristiani ed ebrei sia ad Ankara che ad Istanbul. Obiettivo dell’iniziativa: fare una panoramica sui cambiamenti in corso nella società turca e sulle conseguenze derivanti per i cristiani.

L’importanza della conoscenza reciproca tra le religioni
In particolare – sottolinea la nota – nell’incontro con il prof. Mehmet Görmez, responsabile della Diyanet, ovvero dell’Ufficio per gli affari religiosi, è stata sottolineato “l’importanza della conoscenza reciproca tra le religioni, al fine di eliminare le incomprensioni ed i pregiudizi”. In questo ambito, “è stata approvata una Carta elaborata da ebrei, cristiani e musulmani, che fissa i criteri per una convivenza pacifica tra le rispettive comunità”.

Sostegno alle minoranze cristiane
Dal canto loro, gli esponenti islamici hanno assicurato al gruppo di lavoro della Ces che “il sistema giuridico secolare della Turchia sarà mantenuto anche dopo la prossima revisione della Costituzione”. Centrale anche la questione dei numerosi rifugiati siriani, “per lo più cristiani”, che si trovano nel sud-est del Paese, per la quale sono state richiamate le responsabilità dell’Europa e degli Stati Uniti. Il gruppo di lavoro – prosegue la nota – “ha poi manifestato il suo sostegno morale alle minoranze cristiane della regione”.

Dialogo ecumenico aperto e fruttuoso
Tra gli incontri svoltisi durante la visita della Chiesa elvetica, sono da menzionare quelli con il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, e con Elpidophoros Lambriniadis, Metropolita di Bursa: entrambi “hanno presentato un’immagine piuttosto positiva dei progressi realizzati negli ultimi anni nell’ambito della libertà religiosa”. Un giudizio “condiviso dal presidente della Conferenza episcopale turca, l’arcivescovo Levon Zekiyan”. Il gruppo di lavoro “Islam”, inoltre, ha constatato che “i cristiani, comunità minoritaria in Turchia, hanno optato per un atteggiamento ecumenico aperto e fruttuoso”.

Insegnamenti comuni per tutti i cristiani
​Infatti, le differenti denominazioni cristiane del Paese hanno editato, insieme, un libro intitolato “Insegnamento comune di cristianità”, che presenta i fondamenti comuni della fede per tutti i cristiani. Una versione inglese di questa opera, attualmente editata in turco, è in preparazione. (I.P.)

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Chiesa Usa: solidarietà per i cubani che arrivano a El Paso

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Dinanzi all'arrivo quotidiano a El Paso in Texas, località di frontiera negli Stati Uniti d’America, di centinaia di cubani che erano stati fermati in precedenza a Panama, l’accoglienza in questa città è ormai al collasso e sono anche esaurite le risorse per sostenerli finanziariamente.

La preoccupazione della Chiesa
Secondo una nota pervenuta all'agenzia Fides, il vescovo della diocesi di El Paso, mons. Mark Joseph Seitz, ha dichiarato: "è preoccupante l'arrivo dei cubani, perché non è stato notificato nè il numero di coloro che possono rimanere più a lungo qui, nè il numero di coloro che devono arrivare, e non è neanche aumentato il sostegno finanziario del governo federale”.

Molti cubani non hanno più soldi per continuare il loro viaggio
Mons. Seitz ricorda che il centro sociale Houchen è l'unico autorizzato a livello locale ad accogliere i migranti cubani, che solo qui possono ricevere un sostegno mensile di $ 445 mentre ottengono il permesso di lavoro, ma con l'arrivo massiccio di tanti migranti non è più possibile assicurarlo. Da qualche giorno, segnala la nota, stanno arrivando voli giornalieri che trasportano i cubani dal Panama a Ciudad Juarez, e subito dopo questi si spostano a El Paso. Il vescovo ha segnalato inoltre alla stampa locale che la maggior parte dei cubani arrivati sono destinati a Houston o a Miami, ma almeno il 10% di loro non può continuare il suo viaggio senza un aiuto.

In arrivo migliaia di cubani
Si prevede che circa 3.000 cubani arriveranno questa settimana e la prossima a Ciudad Juarez e quindi a El Paso, perciò la diocesi di El Paso chiede il sostegno di tutti per aiutarli. (C.E.)

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Colombia: Congresso missionario a Bucaramanga

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"Siamo Chiesa colombiana in uscita missionaria" è il tema del XII Congresso Missionario Nazionale della Colombia che si svolgerà a Bucaramanga dal 26 al 29 maggio. Ad organizzarlo sono le Pontificie Opere Missionarie (Pom) della Colombia insieme alla Conferenza episcopale, particolarmente la Commissione episcopale per l'Animazione missionaria, e all'arcidiocesi di Bucaramanga. Saranno presenti i delegati delle 77 giurisdizioni ecclesiastiche del Paese. Coordinati da padre Mario Álvarez Gómez, direttore nazionale delle Pom, un gruppo di vescovi, sacerdoti, religiose e missionari, hanno preparato il materiale per l’animazione del Congresso.

Rispondere alle sfide della missione ad gentes
Nel documento di preparazione, le Pom presentano gli obiettivi dell'incontro: "risvegliare, approfondire e maturare la consapevolezza e l'azione missionaria delle nostre Chiese particolari, perché i loro progetti e processi d'evangelizzazione rispondano con generosità ed efficacemente alle sfide della missione ad gentes".

Sarà presente il card. Fernando Filoni
​La Messa di apertura sarà presieduta dal card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, giovedì 26 maggio. Il cardinale terrà anche la prima conferenza del Congresso, il giorno seguente, sul tema: “Coscienza e responsabilità missionaria delle Chiese particolari”.

Consacrazione missionaria a Nostra Signora del Rosario di Chiquinquirá
Il programma dei lavori prevede testimonianze e conferenze di Vescovi, religiosi e missionari, fino alla celebrazione dell’invio missionario, sempre presieduta dal card. Filoni, il 28 maggio. Domenica 29 la Messa di chiusura e la consacrazione missionaria a Nostra Signora del Rosario di Chiquinquirá, patrona della Colombia, che sarà presieduta da mons. Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja e presidente della Conferenza episcopale della Colombia. (C.E.)

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Pakistan: autorità finanziano restauro cattedrale del Sacro Cuore

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Ammonta ad oltre 30mila dollari il contributo che il governo distrettuale di Lahore, in Pakistan, ha offerto per restaurare il campanile della cattedrale del Sacro Cuore. La torre, alta più di 50 metri, è stata danneggiata in modo serio da un terremoto lo scorso novembre e da quel momento – spiega l’agenzia AsiaNews - tutti gli ingegneri contattati dall’arcidiocesi hanno rifiutato l’incarico per il restauro, preoccupati di dover svolgere un lavoro ad una simile altezza.

Nel 2007, la cattedrale ha compiuto 100 anni
Nei giorni scorsi, mons. Sebastian Shah, arcivescovo di Lahore, si è recato sul posto per osservare l’andamento dei lavori, iniziati da un paio di mesi. La cattedrale del Sacro cuore di Lahore è stata costruita nel 1907 da Dubbeleere, un architetto belga proveniente da Antwerp. Nel 2007 si sono svolte le celebrazioni per il 100.mo anniversario della sua inaugurazione. In quell’occasione, l’allora Pontefice Benedetto XVI aveva inviato un messaggio di congratulazioni, mentre il governo aveva emesso un francobollo celebrativo.

Edificio danneggiato più volte
Nel 2008 la cattedrale, la sede della Caritas di Lahore, la residenza del vescovo e la canonica sono rimaste gravemente danneggiate anche a causa di un attentato suicida. L’esplosivo era diretto contro l’ufficio dell’Agenzia investigativa federale, ma ha colpito anche le strutture della Chiesa. Nel 2014 le autorità ecclesiastiche hanno ricollocato 10 vetrate andate in frantumi. Nel novembre dell’anno successivo la cattedrale ha ottenuto il Premio per l’eredità belga all’estero.

Un ingegnere islamico coordinatore dei lavori di restauro
Poi, il sisma che ha colpito la parte settentrionale del Pakistan ha incrinato la torre campanaria ed ha abbattuto la croce che si trovava sulla sommità. A coordinare i lavori di restauro, è Muhammad Ishtiaq, l’ingegnere islamico e coordinatore dell’ufficio del distretto che, parlando ad AsiaNews, ha sottolineato: “La Cattedrale è un’eredità nazionale”. (I.P.)

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Polonia: in migliaia alla Marcia per vita e famiglia in 140 città

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Sono state oltre 140 le città della Polonia che ieri, domenica 15 maggio, hanno ospitato una Marcia per la vita e la famiglia. Massiccia la partecipazione della popolazione in tutto il Paese, come riferisce l’agenzia Sir. “Vogliamo essere in Europa, ma vogliamo anche che siano rispettati il nostro patrimonio del battesimo cristiano, il matrimonio, la famiglia, e la nostra identità”, ha detto mons. Piotr Libera, vescovo di Plock, nell’omelia inaugurale dell’iniziativa, opponendosi a chi “vorrebbe sostituire con la definizione ‘genitore A e genitore’ B le parole mamma e papà”,  e contrastando coloro che “scherniscono il matrimonio di Dio, parificandolo a unioni fra persone dello stesso sesso”.

Importanza della famiglia in tutto il mondo
“La partecipazione massiccia alla Marcia per la vita e la famiglia in tutto il Paese – ha sottolineato il presule -  dimostra che i polacchi amano le proprie famiglie e non accettano la promozione di atteggiamenti edonistici”. Dal suo canto, il card. Kazimierz Nycz, inaugurando ieri a Grodzisk Mazowiecki la Settimana della famiglia, ha sottolineato che tutto il Paese è “unito dalla sollecitudine per la famiglia” importante “per la soluzione di numerosi problemi sociali in Polonia, in Europa e in tutto il mondo”. Le manifestazioni a favore della vita e della famiglia nel mese di maggio in Polonia sono ormai una tradizione: la Marcia per la vita è organizzata dal 2006, mentre la Settimana per la famiglia dal 2013. (I.P.)

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Morta mamma Irene, cofondatrice di Nomadelfia

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È morta ieri sera a Roma, nella solennità di Pentecoste, Irene Bertoni, prima “mamma di vocazione”, e assieme a don Zeno Saltini cofondatrice di Nomadelfia. Era nata a Mirandola nel 1923 ed era entrata in Nomadelfia, allora Opera piccoli apostoli, a 18 anni nel 1941, per l’epoca minorenne. L’8 dicembre dello stesso anno si presentò al vescovo con due figli e gli disse: “Non sono nati da me, ma è come se li avessi partoriti io”. Le erano stati affidati da don Zeno. Il vescovo benedisse questa giovane. 

Con Irene nascono nella Chiesa le "mamme per vocazione"
Con Irene - riferisce l'agenzia Sir - nasce nella Chiesa e nel mondo una nuova figura: vergini non consacrate, che rinunciano al matrimonio per accogliere figli abbandonati. Sono le “mamme di vocazione”. Altre donne la seguirono. Dopo pochi anni si unirono a loro anche famiglie di  sposi, tutte disponibili ad accogliere figli in stato di abbandono; bambini affidati all’altare alle “mamme di vocazione” o alle famiglie di sposi con le parole che Gesù rivolse dalla croce alla Madonna e a S. Giovanni: “Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua madre”. 

Ha donato la maternità a 58 figli
Per oltre cinquant’anni circa Irene è a Roma e cura i rapporti con la S. Sede e con lo Stato italiano incontrando i vari Papi (Pio XII, Giovanni XXIII, in particolare Giovanni Paolo II e anche Papa Francesco) e Presidenti della Repubblica. Nel corso della sua esistenza ha donato la maternità a 58 figli. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 137

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.