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Sommario del 17/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: soldi e potere sporcano la Chiesa, basta arrampicatori

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La via che indica Gesù è la via del servizio, ma spesso nella Chiesa si ricercano potere, soldi e vanità. E’ il vibrante richiamo di Papa Francesco, nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha quindi sottolineato che i cristiani devono vincere la “tentazione mondana” che divide la Chiesa e ha messo in guardia dagli “arrampicatori” che sono tentati di distruggere l’altro “per salire in alto”. Il servizio di Alessandro Gisotti

Gesù insegna ai suoi discepoli la via del servizio, ma loro si domandano chi sia il più grande tra loro. Francesco ha preso spunto dal passo del Vangelo odierno per soffermarsi sulle tentazioni mondane che, anche oggi, rovinano la testimonianza della Chiesa. “Gesù – ha osservato il Papa – parla un linguaggio di umiliazione, di morte, di redenzione e loro parlano un linguaggio da arrampicatori: chi andrà più in alto nel potere?”.

Cristiani vincano la tentazione di “arrampicarsi”, di avere il potere
Questa, ha detto, è “una tentazione che avevano loro”, erano “tentati dal modo di pensare del mondo mondano”. Si chiedono chi sia il più grande, mentre Gesù dice loro di essere l’ultimo, “il servitore di tutti”:

“Nella strada che Gesù ci indica per andare avanti, il servizio è la regola. Il più grande è quello che più serve, quello che più è al servizio degli altri, non quello che si vanta, che cerca il potere, i soldi… la vanità, l’orgoglio… No, questi non sono i grandi. E quello che è accaduto qui con gli apostoli, anche con la mamma di Giovanni e Giacomo, è una storia che accade ogni giorno nella Chiesa, in ogni comunità. ‘Ma da noi, chi è il più grande? Chi comanda?’ Le ambizioni. In ogni comunità - nelle parrocchie o nelle istituzioni - sempre questa voglia di arrampicarsi, di avere il potere”.

Anche nella Prima Lettura, che propone un passo della Lettera di San Giacomo, si mette in guardia dalle passioni per il potere, dalle invidie, dalle gelosie che distruggono l’altro”.

No alle chiacchiere che sporcano l’altro pur di comandare
Questo, riprende, è anche il messaggio di oggi  per la Chiesa. Il mondo parla di chi ha più potere per comandare, Gesù afferma di essere venuto al mondo “per servire”, non “per essere servito”:

“La vanità, il potere… E come e quando ho questa voglia mondana di essere con il potere, non di servire, ma di essere servito, non si risparmia mai come arrivare: le chiacchiere, sporcare gli altri… L’invidia e le gelosie fanno questa strada e distruggono. E questo noi lo sappiamo, tutti. Questo accade oggi in ogni istituzione della Chiesa: parrocchie, collegi, altre istituzioni, anche nei vescovadi… tutti. La voglia dello spirito del mondo, che è spirito di ricchezza, vanità e orgoglio”

“Due modi di parlare”, constata Francesco, Gesù insegna il servizio e i discepoli discutono su chi sia il più grande fra loro. “Gesù – ribadisce – è venuto per servire e ci ha insegnato la strada nella vita cristiana: il servizio, l’umiltà”.

Lo spirito mondano è nemico di Dio, divide la Chiesa
“Quando i grandi santi dicevano di sentirsi tanto peccatori – rammenta – è perché avevano capito questo spirito del mondo che era dentro di loro e avevano tante tentazioni mondane”. “Nessuno di noi – ammonisce – può dire: no, io sono una persona santa, pulita”:

"Tutti noi siamo tentati da queste cose, siamo tentati di distruggere l’altro per salire in su. E’ una tentazione mondana, ma che divide e distrugge la Chiesa, non è lo Spirito di Gesù. E’ bello, immaginiamo la scena: Gesù che dice queste parole e i discepoli che dicono ‘no, meglio non domandare troppo, andiamo avanti’, e i discepoli che preferiscono discutere fra loro sopra su chi di loro sarà il più grande. Ci farà bene pensare alle tante volte che noi abbiamo visto questo nella Chiesa e alle tante volte che noi abbiamo fatto questo, e chiedere al Signore che ci illumini, per capire che l’amore per il mondo, cioè per questo spirito mondano, è nemico di Dio”.

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Il Papa alla Cei: il sacerdote si faccia prossimo di ognuno

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Il sacerdote non è “un burocrate” , ma “sa che l’Amore è tutto” e “si fa prossimo di ognuno”. Così Papa Francesco che, come avvenuto anche in precedenza, ha aperto oggi pomeriggio la 69.ma Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana. I lavori, che termineranno giovedì, si svolgono in Vaticano nell’Aula del Sinodo e hanno come filo conduttore “Il rinnovamento del clero”. Domani l’intervento del cardinale presidente, Angelo Bagnasco. Il servizio di Debora Donnini

Appartenenza al Signore
Il roveto ardente di Mosè è l’immagine a cui Francesco si ispira per tratteggiare la figura del sacerdote. Il suo segreto sta proprio in quel roveto ardente, che ne marchia a fuoco l’esistenza, conformandola “a quella di Gesù”. Papa Francesco come spesso fa, non vuole offrire una riflessione sistematica sul sacerdote ma partire dalla concretezza dell’esperienza: esorta ad avvicinarsi, quasi in punta di piedi, a qualcuno dei “tanti parroci che - dice – si spendono nelle nostre comunità” e mettersi in ascolto. “Che cosa ne rende saporita la vita? Per chi e per che cosa impegna il suo servizio? Qual è la ragione ultima del suo donarsi?”: sono le domande che il Papa invita i vescovi italiani a porsi per lasciare affiorare le “proposte formative su cui investire con coraggio”. Papa Francesco richiama l’importanza dello Spirito Santo per una vita buona. Prima di iniziare il discorso, ha voluto anche incoraggiare i nuovi vescovi: che sono “un po’ meno di 40”, gli suggerisce il cardinale Bagnasco.

Anche in Italia, in questo tempo, ci sono tante persone che sono in “affanno per la mancanza di riferimenti”, ci sono “relazioni ferite”, “non c’è più posto per il fratello”. Proprio su questo sfondo, la vita del presbitero “diventa eloquente”, perché “diversa”: 

“Come Mosè, egli è uno che si è avvicinato al fuoco e ha lasciato che le fiamme bruciassero le sue ambizioni di carriera e potere. Ha fatto un rogo anche della tentazione di interpretarsi come un ‘devoto’, che si rifugia in un intimismo religioso che di spirituale ha ben poco”.

Per Papa Francesco, “è scalzo” il prete rispetto ad una terra che si ostina a considerare “santa”: “non si scandalizza per le fragilità che scuotono l’animo umano”, consapevole di essere lui stesso "un paralitico guarito", “è distante dalla freddezza del rigorista, come pure dalla superficialità di chi vuole mostrarsi accondiscendente a buon mercato”:

“Con l’olio della speranza e della consolazione, si fa prossimo di ognuno, attento a condividerne l’abbandono e la sofferenza. Avendo accettato di non disporre di sé, non ha un’agenda da difendere, ma consegna ogni mattina al Signore il suo tempo per lasciarsi incontrare dalla gente e farsi incontro. Così, il nostro sacerdote non è un burocrate o un anonimo funzionario dell’istituzione; non è consacrato a un ruolo impiegatizio, né è mosso dai criteri dell’efficienza”.

Il sacerdote “cammina con il cuore e il passo dei poveri”, “reso ricco dalla loro frequentazione”. E quindi non cerca “titoli onorifici” , “non domanda nulla che vada oltre il reale bisogno”. Non lega a sé le persone che gli sono affidate  Per Papa Francesco è lo stile di vita semplice e disponibile del sacerdote, che lo presenta credibile e lo avvicina agli umili. In una parola deve essere “un uomo di pace” e “uno strumento della tenerezza di Dio”. La sua amicizia con Gesù, sottolinea il Papa, lo porta ad avere la fiducia “di chi crede che l’impossibilità dell’uomo non rimane tale per Dio”.

Appartenenza alla Chiesa
Centrale, per il sacerdote, è sentirsi partecipe di una “comunità concreta con cui condivide il cammino”. E proprio la comune appartenenza libera dall’autoreferenzialità che isola. Come esempio Francesco indica dom Hélder Câmara, il vescovo brasiliano dedito al sostegno dei poveri:

“‘Quando il tuo battello comincerà a mettere radici nell’immobilità del molo – richiamava dom Hélder Câmara – prendi il largo!’. Parti! E, innanzitutto, non perché hai una missione da compiere, ma perché strutturalmente sei un missionario: nell’incontro con Gesù hai sperimentato la pienezza di vita e, perciò, desideri con tutto te stesso che altri si riconoscano in Lui e possano custodire la sua amicizia, nutrirsi della sua parola e celebrarLo nella comunità”.

Dunque, il pastore è confermato “dalla fede semplice del popolo santo di Dio”, dice Papa Francesco, con parole che ricordano il suo gesto quando si affacciò dalla Loggia delle Benedizioni, dopo l’elezione, e chiese la preghiera del popolo per il suo Vescovo. Il Papa, infatti, torna su questo aspetto:

“Questa appartenenza è il sale della vita del presbitero; fa sì che il suo tratto distintivo sia la comunione, vissuta con i laici in rapporti che sanno valorizzare la partecipazione di ciascuno. In questo tempo povero di amicizia sociale, il nostro primo compito è quello di costruire comunità; l’attitudine alla relazione è, quindi, un criterio decisivo di discernimento vocazionale”.

Questa appartenenza libera dalle “gelosie clericali”, dice il Papa e favorisce la comunione, che è uno dei nomi della Misericordia. Nel camminare insieme presbiteri, diversi per età e sensibilità, si spande un profumo di profezia che affascina. 

Appartenenza al Regno
Il Papa sottolinea, poi, quanta tristezza facciano coloro che calcolano e  non rischiano nulla. “Il nostro presbitero invece - dice Francesco – con i suoi limiti, è uno che si gioca fino in fondo” nelle condizioni concrete in cui si trova. Il sacerdote, infatti, è “uomo della Pasqua”, dallo sguardo rivolto al Regno, verso cui sente che la storia umana cammina”. Per Papa Francesco, dunque, appartenere al Signore, alla Chiesa e al Regno, sono i caratteri costitutivi del sacerdote.

Prima, nel suo saluto introduttivo, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha sottolineato la volontà dei vescovi di confrontarsi per trovare vie di rinnovamento della formazione permanente dei sacerdoti. Saranno messe in luce dall'Assemblea anche alcune linee di gestione in ambito economico e il tema della revisione delle Norme circa il regime amministrativo dei Tribunali ecclesiastici. Infine, ribadita l'intenzione di essere testimonianza di fraternità ed unità.

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Bagnasco: l’utero in affitto, colpo finale

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“Si contano ormai 200 milioni di cristiani perseguitati sul pianeta”, sotto gli occhi indifferenti del mondo: a nome della Chiesa, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha denunciato “la violenza barbara di ogni persecuzione”. Al centro della sua relazione stamani, alla 69.ma Assemblea dei vescovi italiani, anche il dramma dei migranti, il rinnovamento del clero, il rilancio della pastorale familiare alla luce dell’"Amoris laetitia". Il Magistero di Papa Francesco – dice in apertura il porporato – è per noi “un continuo stimolo alla conversione della vita personale e pastorale”. Non manca un ampio riferimento anche l’attualità italiana. L'Assemblea della Cei si chiuderà giovedì. Il servizio di Debora Donnini: 

Le critiche a unioni civili, utero in affitto e gender
A fronte di un Paese afflitto da disoccupazione e una drammatica denatalità, non si comprende l’energia profusa su questioni quali la legge sulle unioni civili. Il cardinale Bagnasco è netto nel prendere posizione, la legge “sancisce di fatto una equiparazione al matrimonio e alla famiglia – dice – anche se si afferma che sono cose diverse”:

“In realtà, le differenze sono solo dei piccoli espedienti nominalisti, o degli artifici giuridici facilmente aggirabili, in attesa del colpo finale – così già si dice pubblicamente – compresa anche la pratica dell’utero in affitto, che sfrutta il corpo femminile profittando di condizioni di povertà”.

Il porporato ricorda la Dichiarazione congiunta di Papa Francesco e del Patriarca Kirill, nella quale si esprime il rammarico “che altre forme di convivenza" siano ormai poste allo stesso livello del matrimonio fra uomo e donna. Richiamati anche altri interventi del Papa in questo senso, come “il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma”. E sulla teoria del gender, sempre alle porte “in modo strisciante”, il cardinale ricorda le parole di Francesco che ha sostenuto con forza che  “con i bambini e i giovani non si può sperimentare:

“Non si comprende come queste affermazioni, tanto chiare di Papa Francesco – e ribadite a più riprese dai Vescovi – passino costantemente sotto silenzio, come se mai fossero state pronunciate o scritte. Le facciamo nostre una volta di più, perché – insieme con quelle che andremo ad approfondire in queste giornate di confronto fraterno – possano tradursi in impegno fattivo”.

Il rilancio della pastorale familiare con Amoris laetitia
L’inizio del discorso del cardinale Bagnasco è tutto dedicato al Magistero e al ministero del Papa: dall’Amoris laetitia – frutto del Sinodo – al Giubileo della Misericordia che, dice, “si sta sempre più rivelando una fonte di grazia per tutti”. Basti pensare a quello dei ragazzi. Il porporato rileva, poi, come le parole del Papa rivolte ieri alla Cei costituiscano "l'orientamento più prezioso" per i lavori dell'Assemblea.

L’Europa ritrovi la sua anima di accoglienza dei migranti
Centrale la visita di Francesco a Lesbo, che impegna “a non retrocedere dal fronte dell’accoglienza” e incoraggia a non rinunciare ad un’Europa in cui essere un migrante non sia un delitto. La Chiesa italiana, ricorda il cardinale, accoglie circa 23 mila migranti. Questo a fronte dell’inarrestabile esodo dal Sud del mondo:

“Possa l’Europa ritrovare la sua anima e così l’amore di 'popoli e nazioni'. Possa incontrarsi finalmente con le persone, che non sono pedine sulle cui teste qualche ‘illuminato’ pretende di decidere o esperimentare”.

I cristiani perseguitati e dimenticati
Non si possono, poi, dimenticare in Medio Oriente e Nord Africa le famiglie sterminate, costrette a scappare, sotto l’indifferenza del mondo:

“Si contano ormai 200 milioni di cristiani perseguitati sul pianeta sotto gli occhi distratti e indifferenti del mondo: ad Aleppo, storico centro della cristianità in Siria, oggi sono rimasti appena 40 mila fedeli, un quarto rispetto a solo cinque anni fa! Come Chiesa, denunciamo ancora una volta la violenza barbara di ogni persecuzione”.

Ci sono, poi, le vittime del terrorismo e il cardinale Bagnasco ringrazia i Servizi italiani “che stanno mostrando capacità e determinazione”. Per il porporato, bisogna offrire agli immigrati naturalizzati in Europa, non solo beni di consumo ma anche ideali.

Il rinnovamento del clero
Il porporato richiama le innumerevoli pagine del Magistero, che parlano “in modo commovente della vita e della missione del sacerdote”, a partire dal discorso di ieri del Papa. Si ribadisce che i vescovi devono prendersi cura della formazione dei presbiteri. Lo sguardo del presidente della Cei è anche rivolto alla ormai vicina Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia e al Congresso Eucaristico di settembre.

Le situazioni coniugali ferite
Ricordate anche le novità del Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus con cui il Papa ha riformato i processi di nullità matrimoniale. I vescovi sono impegnati affinché la riforma trovi un’efficace risposta nella prassi giudiziaria, coniugando “la vicinanza accogliente” con le esigenze di assicurare un rigoroso accertamento della verità del vincolo, indissolubile ove validamente formato.

Fattore Famiglia, denatalità, disoccupazione
L’attenzione del porporato è anche rivolta alle sofferenze dell’Italia, con una disoccupazione dei giovani fra i 15 e i 24 anni, salita al 40% contro il 22 della media europea. “Siamo i peggiori, prima della Bulgaria”, ricorda. Sul fronte della povertà, quella assoluta investe ormai 4 milioni di persone, il 6,8% degli italiani. La Chiesa, però, non dimentica queste sofferenze: dai pasti offerti dalle parrocchie, che sono stati 12 milioni nel 2015, ai tantissimi volontari fino alle risorse dell’8 per mille. Tra i tratti oscuri nel dipinto del Paese, c’è senz’altro quello dell’inverno demografico. Nel 2015, a fronte di 653 mila decessi, ci sono state 488 mila nascite mentre 100 mila italiani hanno lasciato il Paese: sono i dati peggiori dall’unità d’Italia. Per il cardinale Bagnasco, in Italia ci sono stati “segnali positivi” di sostegno alla famiglia  ma occorre una “una manovra fiscale coraggiosa”, con equità per i figli a carico, e dunque la messa in atto del Fattore Famiglia. Drammatica anche la piaga del gioco d’azzardo, cresciuto a dismisura con un giro d’affari di 84 miliardi e una ricaduta sociale devastante: dalla rovina delle famiglie ai suicidi.

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Papa, La Croix: dovere del cristianesimo per l'Europa è il servizio

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Crisi di vocazioni, questioni inerenti la pedofilia e rapporti con i lefebvriani. Sono alcuni dei temi toccati da Papa Francesco in una lunga intervista concessa al quotidiano cattolico francese La Croix, pubblicata oggi. “Seppure la Francia sia la figlia primogenita della Chiesa”, essa è una "periferia da evangelizzare", sottolinea il Papa, che conferma di aver ricevuto una lettera di invito dal presidente Hollande e dall’episcopato. Per ora non ci sono date, anche se pare escluso il 2017, anno elettorale in Francia, mentre è citata la tappa eventuale a Marsiglia che rappresenta "una porta aperta sul mondo" e in cui nessun Papa è finora andato.

Importante il ruolo dei laici nell'evangelizzazione
Riguardo l’evangelizzazione, Francesco sottolinea che “non c’è necessariamente bisogno di sacerdoti”, citando l’esempio storico della Corea che nei secoli, dopo l'arrivo dei primi missionari, ha visto i laici in prima fila. "Il Battesimo", afferma il Papa, "dona la forza di evangelizzare" e lo Spirito Santo ricevuto in esso "spinge ad uscire per diffondere il messaggio cristiano con coraggio". Poi, mette di nuovo in guardia contro il “clericalismo” che definisce un “pericolo”.

Tolleranza zero nei casi di pedofilia
Il Papa risponde sui problemi odierni della Chiesa di Francia scossa in queste ultime settimane da casi di pedofilia. “In questo ambito”, dice, ”non ci può essere prescrizione”. “A causa di questi abusi”, aggiunge, ”un sacerdote chiamato per vocazione a guidare a Dio un bambino, lo distrugge". "Semina il male, il risentimento e il dolore. Come ha detto Benedetto XVI, la tolleranza deve essere zero”. 
A questo proposito il Papa, in base agli elementi di cui dispone, difende il cardinale Philippe Babarin, arcivescovo di Lione e sotto inchiesta. “Ha preso”, dice, ”le misure necessarie”, definendolo un uomo “coraggioso, creativo, un missionario”. Francesco spiega inoltre di attendere l’esito della procedura giudiziaria che riguarda il porporato e sottolinea che non è il caso di parlare di dimissioni: ora sarebbe “un controsenso”, “un’imprudenza”.

Altra questione legata alla Chiesa di Francia, è il rapporto con la Fraternità San Pio X. “Avanziamo lentamente e con prudenza”, dichiara il Papa, che nell’intervista parla dei lefebvriani come di “cattolici in cammino verso la piena comunione”, affermando che il superiore, mons. Bernard Fellay, "è un uomo con il quale si può discutere". 

E' possibile la coesisteza tra cristiani e musulmani 
Spazio anche nell'intervista alle questioni legate alle migrazioni e al rapporto con l'Islam. Sui rifugiati il Papa riconosce che "non si possono spalancare le porte in modo irrazionale", ma indica che occorre interrogarsi sulla questione fondamentale, cioè il "perchè" delle migrazioni, l'origine della fuga di milioni di persone. Francesco torna a citare quindi un "sistema economico mondiale in preda all'idolatria del Dio denaro" e a invitare gli europei a favorire l'integrazione evitando invece il pericolo di "ghettizzarli". "La coesistenza tra cristiani e musulmani è possibile", dice Francesco, "non credo che oggi ci sia paura dell'Islam, in quanto tale", ma dell'Isis e della sua "guerra di conquista" che è in parte tratta dall’islam. "E' vero", continua Francesco, "che l’idea della conquista appartiene allo spirito dell’islam, ma si potrebbe interpretare secondo la stessa idea di conquista la fine del Vangelo di Matteo, quando Gesù invia i suoi discepoli a tutte le nazioni". Quindi, il Papa invita a interrogarsi sul modo in cui "un modello troppo occidentale di democrazia è stato esportato in Paesi come l’Iraq, dove un governo forte già esisteva in precedenza. Oppure, in Libia, dove esiste una struttura tribale".  "Non possiamo andare avanti senza prendere in considerazione queste culture", conclude Francesco.

La Stato deve essere laico, non confessionale
Affrontando poi la questione della laicità in rapporto con la libertà religiosa, il Papa afferma chiaramente che uno "Stato deve essere laico". Gli "Stati confessionali", aggiunge, "finiscono male". E poi spiega: "Credo che una laicità accompagnata da una solida legge che garantisce la libertà religiosa offra un quadro di riferimento per andare avanti; siamo tutti uguali, come figli di Dio o con la nostra dignità di persone. Ma ciascuno deve aver la libertà di esteriorizzare la sua fede". "Se una donna musulmana vuole portare il velo, deve poterlo fare, alla stessa maniera di un cattolico che voglia portare una croce". La "modesta critica" che il Papa rivolge alla Francia riguarda il fatto che "esagera con la laicità", a causa di un modo di considerare le religioni come "sotto-culture, piuttosto che culture a pieno titolo con i loro diritti", un approccio che il Pontefice definisce "una comprensibile eredità dell'Illuminismo, che continua ad esistere". L'auspicio è che il Paese faccia "un passo avanti su questo tema, per accettare che l'apertura alla trascendenza sia un diritto per tutti".

Obiezione di coscienza, un diritto da difendere
A Francesco viene anche chiesto, nel quadro delle questioni legate alla laicità, come i cattolici debbano difendere le loro convinzioni di fronte a leggi quali quella sull’eutanasia o sulle unioni civili. Il Papa rimanda al parlamento "discutere, argomentare, spiegare, dare le ragioni" perchè, dice, "è così che una società cresce". Tuttavia, una volta che una legge è stata approvata, chiarisce Francesco, "lo Stato deve anche rispettare le coscienze". In tal senso, "il diritto all’obiezione di coscienza deve essere riconosciuto all’interno di ogni struttura giuridica, perché è un diritto umano. Anche per un funzionario pubblico, che è una persona umana. Lo Stato deve anche prendere in considerazione le critiche".

Cristianesimo per l'Europa è servizio
Altri riferimenti del Papa nell'intervista sono alle differenze tra i due Sinodi che si sono svolti in Vaticano sulla famiglia e ancora alle radici cristiane dell'Europa, radici "plurali" per il Ponterfice, in merito alle quali lamenta toni di discussione che definisce a volte "trionfalisti" o "vendicativi", e che sanno di "colonialismo". Il dovere del cristianesimo per l'Europa, invece, secondo Francesco è il "servizio" e il " dono della vita".

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Nomina episcopale in Ungheria

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In Ungheria, Papa Francesco ha accettato la rinuncia all’ufficio di Vescovo di Győr, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Lajos Pápai. Al suo posto, ha nominato mons. András Veres, finora vescovo di Szombathely. Il presule nato il 30 novembre 1959 a Pócspetri (diocesi di Debrecen-Nyíregyháza). Ha compiuto gli studi filosofico-teologici prima presso l’Istituto Teologico a Eger (1980-1982) ed in seguito presso l’Accademia Teologica di Budapest (1982-1983) e presso la Pontificia Università Gregoriana come alunno del Pontificio Collegio Germanico-Ungarico in Urbe (1983-1986). Nel 1986 è stato ordinato sacerdote incardinandosi nell’arcidiocesi di Eger. Nel 1988 ha ottenuto la Licenza in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana in Urbe e nel 1989 il Dottorato in Teologia presso l’Università Cattolica di Budapest. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti uffici: Viceparroco a Mezökövesd (1988-1990), Docente presso l’Istituto Teologico a Eger e presso la Facoltà di Teologia dell’Università Cattolica a Budapest (1990-1996), Rettore del Pontificio Istituto Ungherese in Urbe (1996-1998), Segretario Generale della Conferenza Episcopale Ungherese (1998-2000). Il 5 novembre 1999 è stato nominato Vescovo Ausiliare di Eger e ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 6 gennaio successivo. Il 20 luglio 2006 è stato promosso alla sede di Szombathely. Nel 2015 è stato eletto Presidente della Conferenza Episcopale Ungherese.

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Tweet Papa: il mondo ha bisogno della fede dei discepoli di Cristo

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"Il mondo ha bisogno del coraggio, della speranza, della fede e della perseveranza dei discepoli di Cristo". E' il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

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Morto a 90 anni il card. Coppa. Papa: "Stimato uomo di Chiesa"

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Uno “stimato uomo di Chiesa”, che “ha testimoniato saggezza pastorale e premurosa attenzione alle necessità degli altri, andando incontro a tutti con bontà e mansuetudine”. È il ricordo che con “profonda commozione e sincera ammirazione” Papa Francesco tratteggia nel telegramma di cordoglio per la morte del cardinale Giovanni Coppa, spentosi ieri a Roma all'età di 90 anni, compiuti lo scorso 9 novembre.

Il decesso è avvenuto nel tardo pomeriggio di ieri a Roma, presso la casa di cura Villa Luisa. Le esequie del porporato saranno celebrate domani in San Pietro dal cardinale decano, Angelo Sodano, e al termine Papa Francesco scenderà in Basilica per presiedere il rito dell’ultima commendatio e della valedictio.

Piemontese di Alba, il futuro porporato viene ordinato sacerdore nel 1949 e nel ’52 comincia il suo servizio nella Santa Sede presso la Cancelleria Apostolica. Del ’58 è il trasferimento alla Segreteria di Stato e qualche anno dopo prende parte al Concilio Vaticano II nella sua veste di esperto latinista, che lo porta a collaborare alla stesura di documenti con “generosa e competente opera”, sottolinea Papa Francesco.

Viene consacrato vescovo da San Giovanni Paolo II il 6 gennaio 1980. Dieci anni dopo è inviato come nunzio apostolico nell’allora Cecoslovacchia, quindi assume la carica di rappresentante pontificio presso la Repubblica Ceca e presso la Slovacchia nel 1993, rimanendo nunzio apostolico a Praga fino al 2001.

Benedetto XVI lo crea cardinale nel Concistoro del 24 novembre 2007 e il porporato trascorre gli ultimi anni della sua vita in Vaticano.

Con il decesso del card. Coppa, dell’ordine dei Diaconi, il Collegio cardinalizio è composto oggi da 214 cardinali, di cui 114 elettori e 100 non elettori.

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Vatileaks. XV udienza aggiornata al 24 maggio per acquisizione atti

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Si è chiusa dopo circa quindici minuti, questa mattina, la XV udienza in Vaticano del processo per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Il presidente del Tribunale, Giuseppe Dalla Torre, come conferma la nota della Sala Stampa Vaticana, ha letto un'ordinanza in cui l’udienza è stata aggiornata al prossimo 24 maggio. Tale decisione perché “la deposizione” di ieri “del vice commissario Gianluca Gauzzi Broccoletti” ha fatto emergere nuovi elementi ed è stato quindi necessario disporre “l’acquisizione agli atti della documentazione esibita dal teste”. Tale procedura consente sia al Promotore di Giustizia, sia agli avvocati di parte, di prendere visione dei documenti ed eventualmente “presentare richieste”.

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Vatileaks 2: gli esami della Gendarmeria dominano la XIV udienza

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Il contenuto delle analisi della Gendarmeria sui dispositivi di mons. Vallejo sono stati al centro della 14.ma udienza in Vaticano, nel processo per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Quattro i testimoni ascoltati. Assenti anche ierii due giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, presenti invece gli altri imputati: mons. Ángel Lucio Vallejo Balda, tutt’ora in stato di detenzione in Vaticano, Francesca Immacolata Chaouqui e Nicola Maio. L’udienza è stata sospesa alle 19.30 e riprenderà domani alle 11.00.  Massimiliano Menichetti:

E’ il lavoro della Gendarmeria vaticana che oggi ha catturato l’attenzione della stampa italiana ed internazionale. Attraverso l’esposizione dell'ingegner Gianluca Gauzzi Broccoletti, vice commissario del Corpo, sono state ricostruite le comunicazioni tra gli imputati e i sistemi informatici utilizzati in Cosea, la Commissione che valutava gli enti dello Stato e della Santa Sede. Gauzzi, chiesto dal promotore di giustizia, ha spiegato che sono stati analizzati i dispositivi sequestrati a mons. Vallejo, ovvero due telefonini ed un Pc e grazie a questo studio sono emerse una serie di informazioni, date, email e messaggi.

Pressioni e WhatsApp
Ha precisato che il segretario di Cosea, nel luglio 2013 si rivolse a Corrado Lanino, marito della Chaouqui, per la “grande infrastruttura tecnologica” necessaria a gestire “la documentazione che si sarebbe prodotta durante i lavori della Commissione. “Da subito ci furono delle supposte pressioni in quanto, in alcuni messaggi, la dott.ssa Chaouqui invitava mons. Vallejo a usare WhatsApp” perché credevano fosse un sistema di messaggistica “sicuro e non intercettabile”.

Il server da 110 mila euro
“Furono spesi 110 mila euro per un sistema con un server che doveva essere usato come contenitore di tutta la documentazione prodotta da Cosea”. “Nel frattempo, presso la Domus Australiana, vicino alla Stazione Termini, si tenevano degli incontri dove il cardinale George Pell fu informato che persone con abiti scuri li stavano spiando”. Questo – ha aggiunto – fu uno dei motivi che indusse ad ubicare il server presso la caserma della Guardia Svizzera”. “Cosa assolutamente anomala” poiché all’interno dello Stato sono presenti “uffici in grado di offrire questo tipo di servizi”, garantendo la massima sicurezza. Gauzzi ha aggiunto anche che da luglio 2013 fino a settembre 2014, ovvero quando la Segreteria dell’Economia con a capo il cardinale Pell lo utilizzò, “nessun superiore - né dello Stato Città del Vaticano, né della Santa Sede - conosceva la collocazione del server”.

I telefonini con scheda di Malta
Corrado Lanino, Francesca Immacolata Chaouqui e mons. Ángel Lucio Vallejo Balda avevano acquistato anche dei telefonini con scheda di un operatore maltese, “perché credevano di essere spiati”.

L’informatica di Cosea
A questo punto il vice Commissario ha mostrato l’architettura operativa di Cosea, che era divisa, per studio e analisi, in sottogruppi operativi: Ior, Apsa, ecc. Ogni sottogruppo lavorava file che nella maggior parte dei casi era protetto da password. I documenti venivano poi inviati tutti alla casella di posta elettronica di mons. Vallejo.

Il telefono bianco
Il sistema di password pensato da Lanino prevedeva un cosiddetto “telefono bianco”, ubicato nella sede di Cosea in Casa Santa Marta, il quale riceveva le chiavi per accedere ai documenti e le ritrasmetteva a una “nuvola informatica” che consentiva a tutti di averle. In sostanza, tutti possedevano le password, ma ogni gruppo aveva solo i propri documenti lavorati. L’unico a possedere chiavi e documenti era mons. Vallejo. “Lanino aveva comunque tutte le chiavi”, ha precisato Gauzzi, ricordando che lo stesso segretario di Cosea chiese una volta sia a Chaouqui sia a suo marito una password. Lei rispose che “non la ricordava e che doveva chiedere al marito”.

Le 85 password di Nuzzi
L’analista del Corpo della Gendarmeria si è poi riferito alle 85 password inviate a Nuzzi, spiegando che “sono state trasmesse in tre modi”: vennero inviate via WhatsApp a Nuzzi e Chaouqui nel marzo 2014. Poi, nel dicembre 2014, mons. Vallejo le ricevette via mail dal membro spagnolo della Cosea "Enrique LIano e le rigirò a sua volta alla Chaouqui”.

Nuzzi e Vallejo
Nuzzi poteva aprire tutti i documenti nella mailbox del segretario avendo le chiavi di accesso. Il teste ha poi citato pagine e relativi documenti pubblicati in “Via Crucis”, spiegando che questi, in base all’analisi dei dati fatta dalla Gendarmeria, avevano origini diverse. Alcuni inviati da mons. Vallejo via WhatsApp, altri via mail o prelevati nella casella posta elettronica del segretario direttamente dal giornalista. Altri ancora, come nel caso di un documento su lavori in Via Laurentina, risultano pubblicati, ma né prelevati né inviati. Gauzzi ha evidenziato però che il 17 luglio 2015, ci fu uno scambio via WhatsApp tra Nuzzi e il prelato in cui il giornalista domandò: "E qualcosa su via Laurentina?". Lui rispose: "Di quello sì, lo cerco". E Nuzzi: "Grazie". La mattina dopo, Nuzzi chiese ancora: "Ciao, ti ricordi per favore Laurentina?". E Vallejo: "Sì".

Fittipaldi e Chaouqui
Passando a Fittipaldi, il vice commissario ha detto che sul libro “Avarizia” risulta pubblicato materiale sul patrimonio immobiliare vaticano. Ha spiegato che mons. Vallejo dalle 23.30 alle 23.59 circa del primo luglio 2014 inviò “cinque email alla Chaouqui, con allegati documenti su immobili della Santa Sede”. E che lei rispose, in sostanza, che tale documentazione “era già in loro possesso” e che serviva “materiale di proprietà Apsa”. “Documenti poi - ha aggiunto Gauzzi - pubblicati da Fittipaldi e non solo”.

#avantiilprossimo
Citati poi hashtag come #avantiilprossimo o #finchegliagnellidiventanoleoni in comunicazioni inviate dalla Chaouqui, date ed email con articoli di Fittipaldi, come quello sugli “investimenti immobiliari” del Vaticano, contenente i dati ricevuti dalla Chaouqui in una email di luglio 2014.

Maledetti sogni
Il 22 ottobre 2014, Chaouqui da Torino scrive ancora una email a mons. Vallejo e Nicola Maio, parla di “maledetti sogni che qualcuno ha distrutto”, di “dolore”, e poi ribadisce la convinzione di ritornare “più forti di prima, perché siamo quelli giusti”. Il giorno dopo Maio risponde: “Solo, stavolta scegliamo le persone giuste”. Ultima mail citata quella del 26 febbraio 2015, nella quale la donna domanda quale sia “la cosa più importante”, sostenendo che è “aver saputo rinunciare al momento giusto, per rimanere liberi”. Poi precisa che “tutto scorre e forse una speranza c'è ancora”. In allegato, spiega Gauzzi, c’è l'articolo, che poi uscirà sull'Espresso il 5 marzo intitolato “Santa Romana spesa, dei peccati cardinali”, dove “sono riportate le cifre degli incassi” del Vaticano “nel 2012,“materiale in possesso delle persone citate”.

Il rilievo dell’avvocato di Chaouqui
L’avvocato di parte della Chaouqui ha comunque voluto ribadire che non c'è traccia nel fascicolo in possesso degli avvocati della copiosa documentazione che è stata prodotta in udienza dal vice commissario Gauzzi.

Fabio Schiaffi
Fabio Schiaffi, all’epoca dei fatti addetto al protocollo della Prefettura degli Affari Economici, ha spiegato che il suo compito era relativo all’archivio ordinario dove, in base alla sua conoscenza, “non c’erano documenti Sub Secreto Pontificio”, ma non ha escluso che tali atti “potessero trovarsi nell’archivio storico o in quello riservato”.

La posta
“Tutta la posta in arrivo veniva protocollata, dopo la presa visione dei superiori e in partenza dopo la firma”. I sacchi della posta in arrivo “venivano aperti dal capo ufficio”. “La posta riservata veniva consegnata a mano” e non passava per il protocollo ordinario. “Dei documenti in uscita non si facevano scansioni”. Schiaffi non ha escluso che i documenti presenti in Prefettura potessero trovarsi in tutto o in parte anche presso altri enti.

Clima lavorativo non sereno
Ha confermato “l’ingente attività di fotocopiatura di alcuni documenti come quelli relativi alle Cause dei Santi”. Ha poi parlato di un clima lavorativo “non sereno”. All’inizio, con mons. Vallejo, “ottimo” e poi sempre più degradato dopo l’inizio dell’attività di Cosea. Schiaffi ha confermato che il Segretario “aveva un atteggiamento fortemente critico e offensivo” nei confronti del personale.

Mons. Abbondi e signorina Pellegrino
Sugli scontri tra mons. Abbondi e l’archivista, la signorina Pellegrino, e la nota del prelato a carico della donna, ha precisato che la collega “è una delle persone più professionali” che abbia “conosciuto nel mondo della Curia”, “una professionista di grande precisione”. Ha spiegato che mons. Abbondi “chiedeva la consegna immediata dei documenti, senza voler dare spiegazioni” e che questo creava attrito con l’archivista, che in virtù del suo incarico “era molto meticolosa” e “attenta”. “Questa precisione, che io chiamo professionalità – ha ribadito – poteva dare fastidio”.

Mons. Vallejo e signorina Pellegrino
Sulle tensioni tra la donna e mons. Vallejo ha aggiunto che il “segretario voleva risposte celeri, ma l’archivista dava priorità alla stretta osservanza dei regolamenti”. Il protocollista ha negato che gli fosse stato chiesto di porre “in essere azioni contro le regole d’ufficio” e spiegato che pur non essendo previsto un registro dei documenti in uscita, “tenevano in evidenza le cartelle che contenevano tali fogli”, così da averne contezza.

Maio, Chaouqui, mons. Abbondi
Sollecitato dalle domande, ha negato una conoscenza con Chaouqui e confermato il “via vai” in Prefettura, anche per la presenza di consulenti esterni, che “si fermavano spesso oltre l’orario di lavoro dei dipendenti dell’ufficio”. Di Maio ha detto che “era quasi sempre nella sua stanza”, una volta che questa venne allestita in Prefettura, e di non ricordare se partecipasse alle riunioni in Cosea. Mons Abbondi a volte andava nella stanza del segretario, sia per “la posta”, sia per risposte da dare”: poteva “esserci anche la Chaouqui”, ma Schiaffi nulla ha saputo dire su eventuali conversazioni tra i tre.

Lucia Ercoli
Ascoltata oggi anche la dott.ssa Lucia Ercoli, medico in Vaticano e presidente dell'Associazione Medicina Solidale. La teste, citata dalla difesa di Chaouqui, ha detto di aver conosciuto l’imputata “nell’autunno del 2014” in relazione alla vicenda dell’immobile dei Padri Monfortani.

La donazione dei Padri Missionari Monfortani
In pratica, era desiderio dei Missionari donare al Papa, per iniziative di carità, in particolare per i migranti, un immobile sito in via Prenestina. Tale struttura è vicino all’Istituto di Medicina Solidale che opera a favore delle persone “socialmente svantaggiate ed escluse dall’assistenza sanitaria”. La dott.ssa Ercoli, dopo essere stata sollecitata dai Padri e averli consigliati di scrivere una lettera al Papa spiegando le loro intenzioni, ricevette una telefonata dalla Chaouqui, la quale confermò che la missiva “era arrivata, che erano state fatte delle verifiche e si poteva procedere ad un primo incontro per una valutazione”.

Sopralluoghi e ministro Lorenzin
“Vennero fatti due sopralluoghi”, a uno c’era mons. Vallejo.” La Chaouqui era rispettosa dell’autorità del monsignore”, ha risposto sollecitata sul punto. Una volta “ci fu anche la presenza del ministro Lorenzin”, contattata presumibilmente “dalla Chaouqui o “dalla contessa Pinto Olori Del Poggio”, amica dell’imputata e “presidente italiana” della fondazione benefica “Messaggeri della Pace”. La teste ha spiegato anche che in seguito furono ricevuti al Ministero, con una delegazione guidata dal padre gesuita, Giovanni La Manna.

Stallo progetto Monfortani
“Il progetto con i Padri non andava da nessuna parte”, ha spiegato Ercoli, perché i Missionari avrebbero voluto donare gli spazi, ma a patto che si fossero pagati gli oneri come le imposte e la manutenzione dell’immobile, una cifra di circa 100 mila euro l’anno. La testimone ha confermato che “i rapporti con Chaouqui proseguirono per cercare soluzioni alternative”, per concretizzare le “opere caritative”.

Lavoro Cosea
Sollecitata dalle domande, ha confermato che sia l’imputata sia mons. Vallejo “erano molto presi dalla loro attività lavorativa presso la Santa Sede” e che tale carico “non permetteva di investire” energie “nelle attività di carità”. Questo veniva detto – spiega Ercoli – “come a giustificare l’impossibilità” di dar seguito “all’attività” di cui si era parlato". Nonostante “i Monfortani ogni tanto si riproponevano”, non si arrivò ad una definizione. “Non ci fu nessun giro di denaro”, ha concluso rispondendo alla domanda “se Chaouqui avesse percepito dei compensi”. La dott.ssa Ercoli si è avvalsa della facoltà di non rispondere, invocando il segreto professionale alla domanda dell’avvocato di mons. Vallejo se il prelato fosse stato da lei “visitato per problemi di ipertensione e tachicardia”.

Mons. Vittorio Trani
Chiamato dalla difesa Chaouqui, anche mons. Vittorio Trani, cappellano del carcere di Regina Coeli, il quale ha condiviso la disponibilità profusa dalla Chaouqui in azioni benemerite. Il teste conobbe l’imputata “il 24 giugno del 2015” perché la donna “voleva conoscere l’ambiente del carcere e le attività caritative sia interne, sia esterne", come in via della Lungara, dove il cappellano ha dato vita a un centro che consente a “venti persone bisognose di poter dormire e mangiare”.

L’ambulatorio per i poveri
“Ci siamo visti con lei e con la dott.ssa Ercoli – ha riferito – in vista dell’Anno Giubilare e ci siamo chiesti se potevamo aprire un ambulatorio per i poveri”. Mons. Trani ha poi spiegato che un ricovero in ospedale lo costrinse ad allontanarsi e tornato ebbe la spiacevole “notizia di una notifica del Municipio”, che ingiungeva “il rilascio dei locali”. “La Chaouqui insieme ad altri si adoperò per una dilazione” e “a oggi l’ambulatorio è attivo ogni sabato”. Mons. Trani ha voluto anche sottolineare che l’imputata si è prodigata per un pranzo per i carcerati, che poi non si fece per problemi interni, e per l’acquisto di palloni da calcio necessari per poter praticare l’unico sport possibile a Regina Coeli. Tutto - ha ribadito - a titolo gratuito.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Scalzo, leggero e senza agenda: nel discorso del Papa alla Cei il ritratto del sacerdote.

Il dovere del cristianesimo per l'Europa: il Papa intervistato da "la Croix".

Valentina Giannacco sulle avventure della libertà: dalla Grecia antica al secolo delle donne.

Roberto Esposito sul buon uso del potere.

Umanesimo ecocompatibile: Roberto Tagliaferri sulla "Laudato si'" e la pastorale in Italia.

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Oggi in Primo Piano



Venezuela. Di Ciommo: "Parlamento paralizzato da scelte di Maduro"

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Si fa sempre più critica la situazione in Venezuela anche sul fronte istituzionale. Il Parlamento di Caracas si appresta ad esaminare il decreto per lo stato di emergenza proclamato dal Presidente Nicolas Maduro. Il testo prevede ampie facoltà d’intervento per l’esercito sia in materia di sicurezza che nella distribuzione dei beni alimentari ma l’opposizione detiene la maggioranza presso l’Assemblea nazionale. Sul nuovo conflitto tra Parlamento ed Esecutivo, Daniele Gargagliano ha raccolto il commento del professor Francesco Di Ciommo, docente di materie giuridiche all’Università Luiss: 

R. – In realtà, è un processo che è incominciato alcuni mesi fa, perché già quando il nuovo Parlamento si è insediato, ha trovato che nel periodo dell’interregno, cioè tra l’esito delle elezioni e l’insediamento, il Presidente Maduro aveva sostituito i giudici della Corte costituzionale in modo tale da assicurarsi una Corte costituzionale senz’altro amica, perché per come funziona il sistema costituzionale venezuelano, il Presidente della Repubblica, il Parlamento e la Corte costituzionale sono tre poteri tra loro in equilibrio e chi riesce a controllare Corte costituzionale e Presidenza riesce a mettere in scacco il terzo potere. E infatti il Parlamento non è riuscito in questi mesi a operare in quanto qualsiasi legge di una certa rilevanza approvata dal Parlamento è stata impugnata davanti alla Corte costituzionale ed è stata dichiarata illegittima dalla stessa Corte costituzionale.

D. – Ormai sembra che anche i sostenitori di Chávez stiano abbandonando Maduro: l’ultimo è il generale Alcalá che ha detto che la guerra economica esiste, ma la sta facendo il Governo …

R. – Abbiamo notizie – a dire la verità – abbastanza confuse che arrivano dal Venezuela; alcune descrivono Maduro in grande difficoltà anche con i membri del proprio governo e con i militari, che hanno un potere enorme in Venezuela. La verità oggettiva è che il Paese è in uno stato disastroso, dal punto di vista economico: il Venezuela soffre un’inflazione pazzesca, siamo nell’ordine del 400% di inflazione annua … Questo determina, ovviamente, una grandissima difficoltà del Paese a comprare sul mercato internazionale le risorse e i beni di cui ha bisogno. Con una moneta sempre più debole, è chiaro che si fa fatica. In più, il Venezuela in questi anni ha visto crescere in maniera esponenziale la criminalità interna, la violenza, la delinquenza e oggi il Venezuela – secondo tutti i dati internazionali più significativi – è il Paese più violento del mondo: non lo era 10 anni fa … Ancora, ultimo dato che porto: il Venezuela in questo momento non ha acqua potabile, non ha energia elettrica. Perché in questi anni non si è investito in infrastrutture, e questo porta ad avere una rete di distribuzione dell’acqua e di acquedotti non efficiente e una industria di produzione dell’energia elettrica non adeguata. Il che davvero è paradossale se si pensa che il Venezuela è il Paese al mondo con le maggiori riserve petrolifere e di gas naturale.

D. – Il Paese è al collasso dal punto di vista economico; per far fronte all’emergenza, il Governo ha esteso gli accordi con la Cina per i prestiti in cambio del petrolio. Il Venezuela fa gola anche fuori dal continente?

R. – Ma non c’è dubbio! Il Venezuela è il Paese al mondo con le maggiori riserve petrolifere e ha enormi possibilità – da questo punto di vista – che fanno gola, ovviamente, anche alla Cina che vede nel Venezuela un partner strategico importante. Il problema è come si sviluppa un’economia sana ed efficiente attorno al petrolio: può paradossalmente divenire un enorme limite se si pensa di poter strutturare l’economia di un Paese solo attorno al petrolio. Il petrolio gestito nell’ambito di dinamiche di mercato produce determinate sinergie e ricadute economiche; gestito invece con un approccio monopolistico, statalistico che nega il mercato, determina altre conseguenze.

D. – Non si sta correndo il rischio di destabilizzare il Paese sia dall’interno sia dall’esterno, isolandolo sempre di più nella geopolitica dell’America Latina?

R. – Purtroppo è quello che è già successo. Stiamo parlando di un fenomeno che si è già verificato e che sta adesso arrivando al suo epilogo. Il Venezuela, in questi anni, ha adottato una politica internazionale senz’altro non filo-occidentale e non filo-americana, creando i suoi maggiori rapporti con la Russia, con la Cina e con Cuba. Il momento di disgelo tra Stati Uniti e Cuba, la situazione politica brasiliana, le difficoltà economiche di Cina e Russia ovviamente hanno come conseguenza diretta l’isolamento del Venezuela.

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Burundi: arresti a Bujumbura. Espulsioni dal Rwanda

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Nuove tensioni in Burundi, che coinvolgono anche ai Paesi limitrofi. Secondo fonti di Bujumbura oltre 1.300 burundesi sono stati espulsi dal Rwanda perché hanno rifiutato di trasferirsi in campi profughi allestiti dalle autorità di Kigali. Si tratterebbe di normali lavoratori ma anche persone costrette a scappare dalle loro abitazioni a causa delle violenze che si protraggono da oltre un anno in Burundi, da quando cioè nell’aprile 2015 il Presidente Pierre Nkurunziza annunciò la propria candidatura per un controverso terzo mandato, che poi di fatto ottenne nel luglio scorso. Gli scontri hanno già causato oltre 500 morti e più di 270 mila profughi. L’Onu si è detto particolarmente preoccupato per la recrudescenza delle tensioni soprattutto a Musaga, quartiere meridionale di Bujumbura, dove sono stati eseguiti almeno un centinaio di arresti. Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Bujumbura padre Mario Pulcini, superiore dei Missionari saveriani in Burundi: 

R. – La situazione è abbastanza tesa, soprattutto in quelli che vengono considerati i quartieri che hanno sostenuto la protesta contro il terzo mandato dell’attuale Presidente e quindi Musaga, Cibitoke, Muterere: sono le zone che, in questo momento, sono sotto tensione. Lì ancora ci sono arresti arbitrari, probabilmente: parte della gente che viene arrestata, viene poi liberata; altri sono, invece, sotto interrogatorio. Si teme che ci sia in atto qualcosa che possa andare contro il governo, una specie di rivolta.

D. – Le autorità temono cioè che ci possano essere nuove azioni, nuove proteste?

R. – Ecco, questo. Diciamo che è in atto una specie di “punizione” per tutti quei quartieri. E non sono ancora terminati questi arresti. Ciò fa dubitare che ci sia dietro qualche altra cosa, più grossa. Inoltre non riescono a sedersi a un tavolo negoziale, un giorno accettano e un altro giorno no. Non accettano il dialogo con coloro che hanno partecipato o hanno sostenuto il colpo di Stato di un anno fa e che sono all’esterno. Poi c’è l’opposizione che è all’interno e che, probabilmente, ha paura anche a mostrarsi. Per cui, il rischio è che si vada verso una specie di catastrofe.

D. – Padre, lei ha parlato di opposizione interna, ma anche di forze esterne. Chi ha partecipato a questo momento che è poi sfociato in tensioni?

R. – Ha partecipato la gente, ma possono essere anche dei militari, che probabilmente hanno sostenuto questo tentativo. La settimana scorsa c’è stato il processo, con la condanna per più di 20 di questi militari e “pezzi grossi” dell’esercito che avrebbero partecipato al tentativo di colpo di Stato. Il resto è all’estero: è riuscito a fuggire e a rifugiarsi o in Paesi vicini, in Rwanda o anche in Congo, e altri nei Paesi europei.

D. – Proprio dal Rwanda arriva la notizia che oltre 1.300 burundesi sarebbero stati espulsi dalle autorità di Kigali, perché avrebbero rifiutato il trasferimento in campi profughi. Ma qual è la situazione di queste persone?

R. – La situazione non è bella! C’è molta paura. E qui c’è anche il sospetto che nei campi profughi ci sia il reclutamento di gente, di giovani per venire ad attaccare le istituzioni. Ciò è sempre stato smentito dalle autorità del Paese vicino. E’ chiaro che anche questo crea molta tensione. Qui hanno paura che si stiano preparando e là, sentendosi sotto accusa, fanno di tutto per far rientrare più persone possibili in Burundi.

D. – Temete per l’incolumità della popolazione civile, ma anche per voi missionari?

R. – Finora, almeno per noi, non ci sono stati grossi problemi: almeno qui dove lavoriamo non siamo stati toccati, a parte qualche minaccia, ma niente di grosso. Temiamo più per la popolazione, per la gente: è chiaro che, sentendosi indifesa, non sa più da che parte andare. Ce ne sono ancora tanti che cercano di lasciare il Paese o meglio di lasciare questi quartieri, in cui c’è veramente insicurezza e nessuna possibilità di vivere.

D. – Qual è la speranza?

R. – Che riescano a sedersi ad un tavolo negoziale. Devono farlo assolutamente, non c’è alcuna altra soluzione. Speriamo che l’Anno Santo della Misericordia possa fare questo miracolo, per tutti.

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Nagorno-Karabakh: ancora morti dopo il vertice di Vienna

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All’indomani del vertice tra i Presidenti armeno, Serzh Sargsyan, e quello azero, Illham Aliyev, ieri a Vienna, nel Nagorno-Karabakh ci sarebbero già due vittime, tra i militari di entrambe le fazioni. Nell’enclave armena in territorio azero si continua a morire, nonostante le dichiarazioni dei due Capi di Stato di voler mettere fine al conflitto, in atto dal 1992 e che, dal 1994, a dispetto della tregua, è ancora irrisolto. Nell’aprile scorso le due parti hanno ripreso le ostilità, provocando decine di morti. Francesca Sabatinelli ha intervistato Simone Zoppellaro, giornalista corrispondente dall’Armenia di Osservatorio Balcani e Caucaso: 

R. – E’ un segno importante, perché i due Presidenti si sono incontrati e questo non capitava da un po’ di tempo, soprattutto non capitava dallo scorso aprile, quando è avvenuto il peggiore episodio da che questa guerra era stata interrotta da un cessate-il-fuoco nel ’94. Dopo il ‘94 non erano mai avvenuti episodi di guerra duri come quelli dell’inizio di aprile, quando ci sono stati oltre 300 morti. I due Presidenti si incontreranno ancora in seguito e si spera che ciò possa portare a un accordo di pace.

D. – Ma cosa ha impedito finora, e cosa impedisce ancora oggi, di arrivarci a questo accordo di pace?

R. – Interessi di tanti attori in campo, interni ed esterni rispetto a questo conflitto. L'Azerbaigian è uno Stato particolarmente ricco di petrolio e di gas, ha una sola famiglia, quella degli Aliyev, al potere dal 1969. Il conflitto del Karabakh viene utilizzato da questa famiglia al potere per giustificare le varie limitazioni delle libertà. Stessa cosa, in parte, possiamo dirla per l’Armenia, che è uno Stato invece più democratico, che ha cambiato Presidente, anche dopo l’epoca sovietica, ma che viene strozzato continuamente da un manipolo di oligarchi, che hanno monopoli interi dell’economia armena. Quindi, possiamo dire che entrambi questi attori utilizzano questo conflitto per giustificare il non giustificabile: diseguaglianze, mancanza di libertà… Poi c’è la Russia che è ufficialmente alleata con l’Armenia, ma che vende larghissima parte degli armamenti all’Azerbaigian. Quindi la Russia fa un doppio gioco, perché così mantiene una presenza importante nel Caucaso del Sud. L’Europa e l’America hanno avuto, invece, una grande indifferenza nei confronti di questo conflitto e non si sono mai spese davvero per risolverlo. Quindi, purtroppo, questa situazione si è trascinata avanti per addirittura un quarto di secolo!

D. – L’idea di mettere fine a questa tensione, a questi morti, sembra proprio che non sia nell’agenda di nessuno!

R. – Sì, sono d’accordo: non è davvero nell'agenda di nessuno! Ricordiamo che, fra l’altro, per questo conflitto abbiamo avuto oltre 30mila morti, oltre un milione fra profughi e sfollati; i danni che possiamo immaginare per l’economia, per la libertà, per l’uguaglianza di questi due piccoli Paesi, che però sono anche parte del Consiglio d’Europa, per cui anche l’Europa dovrebbe avere un atteggiamento molto più collaborativo, un impegno molto più grande nei confronti di questo conflitto. Invece, ha dominato su tutto un grande cinismo, da tutte le parti! Anche da parte dell’Italia, che ha grandissimi interessi nell’area. Ricordiamo che l’Azerbaigian è il primo fornitore al mondo di petrolio per l’Italia e che, a breve, porterà il suo gas in Italia, nelle Puglie, con il Progetto del Tap. Purtroppo questo conflitto non risponde a logiche militari, ma a logiche politiche, per cui in determinati momenti si decide che ci debba essere una escalation, probabilmente dovuta a motivi politici, e che si debba quindi tornare a mettere in primo piano questo conflitto, soprattutto – secondo molti analisti – da parte dell’Azerbaigian. Tra l’altro, la settimana scorsa, ho visitato le trincee, la prima linea. Ho visitato il villaggio di Talish, che è diventato, dopo le incursioni di inizio aprile, un villaggio fantasma: tutta la popolazione è sfollata; scuole distrutte; case distrutte; moltissimi morti, feriti, mutilati. E poi ho visitato le trincee, che sono un’altra scena decisamente impressionate, anche perché ci riporta indietro di cent’anni, a quanto avveniva in Europa durante la Prima Guerra Mondiale. Abbiamo ancora oggi, a cent’anni di distanza dalla Prima Guerra Mondiale, le trincee in cui i giovani, giorno dopo giorno, bruciano le loro esistenze e rischiano la morte. E tutto questo è una guerra davvero dimenticata!

D. – E in questa situazione, in Armenia sta per andare Papa Francesco…

R. – Sì, sta per andare Papa Francesco e questa è una delle poche buone notizie. Ho parlato con un vescovo, ho incontrato vari membri della società civile, il primo ministro: tutti loro mi hanno parlato della visita del Papa come di un segno di grande speranza per questo conflitto. Un conflitto fra una popolazione cristiana, quella armena, che è addirittura il primo popolo nella storia ad aver abbracciato il cristianesimo, e una popolazione musulmana, quella dell’Azerbaigian. Ebbene, fino ad oggi, la questione religiosa non ha pesato molto e speriamo che anzi, in futuro, la religione possa essere anche un elemento positivo per la sua risoluzione. Spero che il viaggio del Papa possa essere un segno di pace.

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Giornata contro omofobia. Mattarella: contrastare l'intolleranza

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In tutto il mondo si celebra oggi la Giornata contro l’omofobia. L’intolleranza e le discriminazioni nei confronti delle persone omosessuali sono un fenomeno ancora diffuso: in 13 Paesi l’omosessualità è un reato per il quale è prevista la pena di morte, in 75 il carcere. Secondo fonti giornalistiche sono stati 104 in Italia gli episodi di intolleranza nell’ultimo anno. Le persone omosessuali e transessuali sono - secondo alcune associazioni - bersagli privilegiati di rapine, pestaggi e ricatti e più frequentemente di derisione o di mobbing sul lavoro. In occasione della Giornata, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sottolinea che “è inaccettabile che l’orientamento sessuale delle persone costituisca il pretesto per offese e aggressioni”, così come “è inaccettabile che ciò determini discriminazioni sul lavoro e nelle attività economiche e sociali” . Mattarella ha inoltre ricordato che “l’intolleranza deve essere contrastata attraverso l’informazione, la conoscenza, il dialogo, il rispetto”. Una Giornata, dunque, opportuna quella di oggi? Adriana Masotti lo ha chiesto al sociologo, Mario Pollo, professore associato di Pedagogia Generale e Sociale della Facoltà di Scienze della Formazione della Lumsa di Roma: 

R. – Sì: dal punto di vista simbolico è opportuno perché ricorda come persone che hanno un orientamento sessuale differente non godano – in molti Paesi – del rispetto della loro dignità umana e sono soggetti, spesso anche nel nostro Paese, a scherno, emarginazione … E quindi, credo che qualcosa che ricordi che al di là di ogni orientamento, ogni persona umana ha la pienezza di dignità e questa dev’essere da tutti riconosciuta, sia importante.

D. – L’Unione europea ha chiesto a tutti i Paesi membri di cancellare dai propri ordinamenti fattori di discriminazione nei confronti di chi ha un diverso orientamento sessuale e in molti Paesi si stanno facendo leggi in questo senso, anche in Italia. Oggi il presidente Mattarella richiama di nuovo istituzioni e società a respingere intolleranze e discriminazioni …

R. – Io credo che sia importante fare una legge, ma sia altrettanto importante un’azione culturale ed educativa che cambi anche la mentalità delle persone, perché di solito le leggi funzionano quando in qualche modo esprimono un sentire comune. Quindi è importante fare la legge, ma è forse ancora più importante un’azione educativa, una promozione culturale che liberi il campo dagli stereotipi, dai pregiudizi, da tutta una serie di elementi che sono alla base di quei comportamenti che vengono descritti come “intolleranti”, “omofobici”, ecc…

D. – Però non possiamo, credo, nasconderci che a volte – nei film oppure in una certa informazione – si finisce quasi a discriminare in senso contrario. E’ una mia impressione?

R. – No, no. non è una sua impressione, perché si passa in alcuni casi da una intolleranza, quasi come reazione opposta, a una sorta di "beatificazione della condizione". Un conto, infatti, è dire: chi vive quella situazione ha pienezza di diritti e ha diritto alla sua dignità, alle sue scelte e questo è sacrosanto. Ma questo non può però diventare un modello ideale, perché purtroppo il rischio è che quando  si abolisce un certo tipo di atteggiamento, si vada nel fronte opposto pretendendo che quella addirittura sia una condizione quasi privilegiata.

D. – Quindi l’atteggiamento giusto è proprio quello a cui lei accennava, cioè ritornare a sottolineare la centralità della persona, qualunque sia il suo orientamento….

R. – La centralità della persona, della sua dignità; quindi senza giudizi di valore: non “tu vali meno perché hai un orientamento diverso”, ma “tu hai la stessa dignità mia”. Il rischio, poi però, è che se uno dice, ad esempio, che non è d’accordo sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, è accusato di essere omofobo. Un conto invece è rispettare la dignità e i diritti dell’altro e un conto è mantenere su questioni importanti e rilevanti, differenze di concezioni e di visioni della realtà e del mondo. Per cui, se è legittimo rivendicare la libertà delle proprie scelte da un lato, è altrettanto giusto che intorno a certi temi ci sia libertà da parte di altri di manifestare posizioni diverse pur nel pieno rispetto dell’altro. Questo è il punto di equilibrio che vedo si fa ancora fatica a trovare.

D. – Un passaggio difficile è, dunque, quando si passa da un piano individuale a quello delle nuove formazioni sociali: anche il Papa dice che non vanno giudicate le persone omosessuali, non vanno emarginate, però – dice – non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione...

R. – Proprio questo è l’elemento centrale per cui io posso rispettare, posso anche tutelare questo tipo di unione, ma non la posso certamente equiparare alla classica, tradizionale famiglia, la famiglia nel senso pieno della parola.

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Società dell'informazione: la sfida è culturale

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Evidenziare il contribuito di Internet e delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni alla società e all’economia. E’ questa la finalità dell’odierna Giornata internazionale della telecomunicazione e della società dell’informazione. Ma quali sono le condizioni affinché tali tecnologie possano avere un impatto positivo sulla società non solo da un punto di vista economico? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto al presidente dell’Associazione Italiana Ascoltatori Radio e Televisione (Aiart) Massimiliano Padula

R. – Io credo che le tecnologie dell’informazione possano supportare e sostenere l’individuo, alimentando anche logiche economiche favorevoli e prospettive positive, ma è necessario intercettarne quelli che sono gli aspetti problematici e quindi, in un certo senso, abituarsi anche ad una vera e propria cultura della comunicazione.

D. – La “società dell’informazione” può anche rivelarsi però una gabbia senza sbarre: alla libertà di trasmettere ogni tipo di informazioni in tempi sempre più ridotti, si aggiunge spesso la sospensione sempre più marcata delle relazioni umane, non vissute “faccia a faccia” ma imprigionate in un’applicazione o nei social network…

R. – Io credo che bisogna ritornare in un certo senso all’essenza. Molto spesso i social network, la cultura digitale ci illude attraverso una comunicazione spot, attraverso degli slogan. Credo, quindi, che sia fondamentale innescare un meccanismo culturale. Noi, come Aiart, come associazione spettatori e utenti dei media, abbiamo tre parole chiave per orientarci in questa prospettiva. La rete non dovrà essere soltanto un oggetto di studio, ma un vero e proprio paradigma operativo. E proprio in questo senso noi proponiamo tre percorsi. Il primo è un percorso di consapevolezza per conoscere quello che la rete ci propone. Poi c'è il senso critico per interpretare il contenuto. In terzo luogo, si deve diventare veri e propri cittadini digitali, con dei diritti, ma anche con dei doveri.

D. – C’è il rischio che la società dell’informazione, se gestita da pochi centri di controllo, possa in realtà diventare la società dell’omologazione?

R. – C’è questo rischio. Le grandi multinazionali dell’Information e Communication Technology, in un certo senso, orientano le nostre esistenze. Io faccio sempre l’esempio dello screen di uno smartphone pieno di applicazion. Ad ogni applicazione corrisponde la soddisfazione di un bisogno. E’ come se lo schermo di quello smartphone fosse proprio il nostro palinsesto dell’esistenza. E' come se noi, cioè, orientassimo i nostri comportamenti, le nostre scelte, il nostro consumo, la soddisfazione dei nostri bisogni, in relazione a quelle applicazioni. Esiste, quindi, ed è evidente, questo rischio dell’omologazione e credo che sia fondamentale alimentare processi di educazione mediale e dare all’utente dei media quegli strumenti concettuali necessari proprio per districarsi ed orientarsi in una cultura che rischia di fagocitarlo.

D. – Colmare il divario digitale può ridurre in gran parte anche altri divari - tra cui quelli tra ricchi e poveri, tra nord e sud del mondo - e può anche contribuire a creare posti di lavoro. Ma questo grande potenziale può essere messo al servizio di uno sviluppo realmente sostenibile?

R. – La creazione di una vera e propria cittadinanza digitale credo sia l’obiettivo al quale l’universo tecnomediale, l’universo sociale mira.  Il riferimento al messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali è forte, in quanto Papa Francesco in quelle pagine richiama proprio ad una cittadinanza, facendo un rimando forte al concetto di responsabilità. Mi piace sottolineare i due percorsi, i due processi che Francesco sceglie per indicare la comunicazione: sono da un lato la misericordia - una comunicazione aperta, accogliente, una comunicazione che spalanca le sue porte e si inginocchia alla luce dell’ascolto - e, nello stesso tempo, una comunicazione come prossimità, come affezione, come sensibilità, come relazione e scambio con l’altro.

D. – E bisogna anche ricordarsi che la tecnologia è solo uno strumento. La felicità – ha detto recentemente il Papa – non è una app…

R. – La felicità non è una app. La tecnologia è uno strumento. La tecnologia è certamente il riflesso, la proiezione del nostro cuore. In un certo senso, siamo noi stessi, in quanto appunto riverberiamo, proiettiamo noi stessi, le nostre angosce, le nostre gioie, le nostre felicità, i nostri desideri nei media, nella comunicazione e, quindi, anche negli apparati tecnologici.

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Caritas Roma: nel 2015 oltre 16 mila interventi domiciliari

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In Italia manca ancora una vera assistenza a casa nei confronti di malati, anziani o di chi è solo. Basta dire che ogni anno circa 2 milioni e 800 mila persone subiscono un incidente domestico che provoca disabilità e alti costi sanitari. Solo a Roma, la Caritas ha effettuato nel 2015 oltre 16 mila interventi domiciliari. Il servizio di Alessandro Guarasci

L’assistenza domiciliare rimane una "Cenerentola", in Italia. E Roma non fa eccezione, considerate anche le difficoltà finanziarie del Comune. Dei 16.350 interventi effettuati dalla Caritas della Capitale nel 2015, 5.500 hanno riguardato gli anziani e i malati di Aids. Tutte azioni che fanno risparmiare il servizio sanitario nazionale e che aiutano moralmente chi è malato. Mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma:

“Mi sembra che sia una porta, quella dell’assistenza domiciliare, che ci permette di entrare nel modo in cui Papa Francesco ci dice spesso di entrare: il mondo dell’altro, il mondo del bisogno, il mondo della relazione, il mondo delle difficoltà delle persone”.

Dunque cure sanitarie, ma è anche vero che molti degli interventi della Caritas vengono definiti di “domiciliare leggera”, ovvero: aiuto nelle piccole faccende quotidiane e nella preparazione dei pasti, sostegno per il tempo libero. Massimo Pasquo, responsabile di questo settore per la Caritas di Roma:

“Bisogna recuperare un welfare che oggi si chiama di comunità, quindi di attenzione e di vicinato. Riproporre quello che succedeva già un po’ in passato: avere un’attenzione, un focus mirato all’interno dei condomini e dei territori per le persone che hanno maggiore disagio. Per cui la cittadinanza attiva diventa un elemento di ammortizzatore sociale. La domiciliare leggera può essere un’altra risposta, perché è a basso costo ma ad altissimo beneficio”.

Insomma, restaurando le reti affettive si riesce anche a curare più facilmente.

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Fai: per fondi al patrimonio culturale solo lo Stato non basta

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E’ giunto all’ottava edizione il censimento nazionale "I Luoghi del Cuore" del Fondo Ambiente italiano (Fai). L’iniziativa promossa dal 2003, in collaborazione con Intesa San Paolo, ha aiutato nella cura e salvaguardia di molti luoghi d'arte e di natura in tutta Italia che spesso hanno attratto nuovi finanziamenti. La presentazione del rapporto a Milano. Valentina Onori ha sentito Federica Armiraglio, responsabile del progetto: 

R. – Ormai, è davvero il bacino di raccolta di tutte le segnalazioni che fanno i cittadini italiani in merito alla salvaguardia del patrimonio. In sette edizioni, abbiamo catalogato oltre 33 mila "Luoghi del Cuore" in tutta Italia e in tutte le regioni sono stati raccolti più di tre milioni e 400mila voti. È veramente un movimento di popolo ormai quello che aspetta il censimento.

D. – Quali sono i risultati del censimento?

R. – Da un lato, è la più ampia mappatura spontanea di luoghi all’attenzione delle popolazioni che esista in Italia. Quindi, di fatto, l’unica applicazione della Convenzione europea del paesaggio nel nostro Paese. Dei risultati molto concreti: i 68 interventi che il Fai e Intesa San Paolo hanno varato in questi 12 anni a favore di una serie di "Luoghi del Cuore" in 15 regioni italiane e che spesso hanno attratto nuovi finanziamenti, hanno creato sinergia e hanno permesso di salvare molti luoghi importanti d’arte e di natura. Ancora, il Rapporto che abbiamo prodotto per i dieci anni del progetto – una sorta di libro bianco, presentato con il ministro Franceschini – ha portato un’analisi importante di quali sono le tendenze della cultura nel nostro Paese: ad esempio, i "Luoghi del Cuore" vengono votati numericamente in modo molto importante nelle grandi città, ma spesso con pochi voti. Quando invece i grandi movimenti si verificano nelle città medie o addirittura in quelle molto piccole perché i "Luoghi del Cuore" sono proprio i luoghi dell’identità, quelli delle persone che sono legate – spesso nei piccoli borghi o nelle città medie – ai luoghi che non vogliono veder scomparire.

D. – L'Italia è il Paese dei centomila tesori. A che punto è la sensibilizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico in Italia?

R. – Se devo dirlo con il termometro dei "Luoghi del Cuore", posso dire che l’indice di sensibilizzazione è abbastanza alto visto che nell’ultimo censimento abbiamo raccolto oltre un milione e 600 mila segnalazioni. E pensate che ci sono stati segnalati quasi 20 mila luoghi che in gran parte rientrano nei 33 mila totali. Questo comunque vuol dire che la percezione dell’importanza di salvaguardare il patrimonio è molto più alta di quanto si creda comunemente.

D. – Di cosa parlerete oggi?

R. – Racconteremo più che altro cosa può portare l’iniziativa. Avremo due testimoni in conferenza stampa: la direttrice della Certosa di Calci e il direttore del Parco archeologico di Suasa nelle Marche. Due casi molto diversi ma che racconteranno che cosa hanno portato i "Luoghi del Cuore". A Calci, sono arrivati due milioni di euro dal ministro dei Beni culturali e certamente il grande successo dei "Luoghi del Cuore" ha facilitato in qualche modo anche l’arrivo di questi fondi. A Suasa, invece, c’è stato un contributo soprattutto di valorizzazione. Anche noi diamo un contributo per il recupero di questo importante parco archeologico: è un classico "Luogo del Cuore", un luogo importante ma poco conosciuto che attraverso il censimento diventa più facile da scoprire.

D. – A che punto sono i finanziamenti per il patrimonio culturale in Italia?

R. – Negli ultimi anni eravamo un po’ disperati, nel senso che, come tutti sappiamo, purtroppo i fondi ministeriali che sono stati per decenni la grande "vena" cui attingevano i grandi fondi per il patrimonio, sono andati sempre più scemando, quindi questa ultima delibera del Cipe del primo maggio del governo, ci ha reso molto felici: il governo ha allocato finalmente un miliardo di euro di finanziamenti. Certamente, sta un po’ cambiando lo scenario, anche con l’istituzione del bonus, i privati stanno entrando sempre di più finalmente . Anche nello stanziamento di fondi a favore del patrimonio perché ormai lo sappiamo tutti: lo Stato da solo non basta più. Certamente, anche l’iniziativa del Fai che ogni due anni assegna 400mila euro per interventi sul patrimonio dei Luoghi del Cuore più votati contribuisce a questa salvaguardia.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi e religiosi siriani: basta sanzioni contro il popolo

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Una petizione digitale da sottoscrivere online sulla piattaforma change.org, rivolta “ai parlamentari e ai sindaci di ogni Paese” per chiedere che “l'iniquità delle sanzioni alla Siria sia resa nota ai cittadini dell'Unione Europea (oggi asslutamente ignari) e diventi, finalmente, oggetto di un serio dibattito e di conseguenti deliberazioni”. E' l'iniziativa lanciata da numerosi vescovi, religiosi e consacrati cattolici, appartenenti a diverse Chiese sui iuris, per chiedere che l'Unione Europea ponga fine alle sanzioni ancora in atto contro la Siria.

Le personalità cattoliche che hanno firmato la petizione
Tra i primi firmatari della petizione - riferisce l'agenzia Fides - figurano il vescovo Georges Abou Khazen (vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino), l'arcivescovo maronita di Aleppo Joseph Tobji, il Custode emerito di Terrasanta padre Pierbattista Pizzaballa, l'arcivescovo armeno cattolico di Aleppo Boutros Marayati, la Comunità delle monache trappiste in Siria, le suore della Congregazione del Perpetuo Soccorso, le suore della Congregazione di San Giuseppe dell'Apparizione (che operano presso l'ospedale Saint Louis di Aleppo) e Jean Clément Jeanbart, arcivescovo greco cattolico di Aleppo.

L'Ue ha rimosso l'embargo del petrolio nelle aeree dell'opposizione jihadista
Il breve testo della petizione contiene una disamina incalzante delle contraddizioni che segnano la politica delle sanzioni imposte dalla Ue, e una descrizione amara degli effetti devastanti da essa prodotti nella vita quotidiana del popolo siriano, nel tragico contesto del conflitto che in cinque anni ha comportato già centinaia di migliaia di morti e sei milioni di profughi. “Nel 2011” si legge tra l'altro nel testo che introduce la petizione, ripresa dalla Fides “l'Unione Europea varò le sanzioni contro la Siria, presentandole come 'sanzioni a personaggi del regime', che imponevano al Paese l'embargo del petrolio, il blocco di ogni transazione finanziaria e il divieto di commerciare moltissimi beni e prodotti. Una misura che dura anche oggi, anche se, con decisione alquanto inspiegabile, nel 2012 veniva rimosso l'embargo del petrolio nelle aree controllate dall'opposizione armata e jihadista, allo scopo di fornire risorse economiche alle cosiddette 'forze rivoluzionarie dell'opposizione'.

Le sanzioni hanno condannato i siriani alla fame, alle epidemie e alla miseria
​In questi cinque anni - prosegue il testo della petizione - le sanzioni alla Siria hanno contribuito a distruggere la società siriana, condannandola alla fame, alle epidemie, alla miseria, favorendo l'attivismo delle milizie combattenti integraliste che oggi colpiscono anche in Europa”. I firmatari della petizione fanno notare che oggi “i siriani vedono la possibilità di un futuro vivibile per le loro famiglie solo scappando dalla propria terra, ma “non può essere la fuga l'unica soluzione che la comunità internazionale sa proporre a questa povera gente”, anche perchè essa “incontra non poche difficoltà, a causa delle accese controversie all'interno dell'Unione Europea”. 

Togliere subito le sanzioni che toccano la vita quotidiana dei siriani
I firmatari sostengono “tutte le iniziative umanitarie e di pace che la comunità internazionale sta attuando, in particolare attraverso i difficili negoziati di Ginevra”, ma in attesa e nella speranza che le attese trovino concreta risposta, chiedono “che le sanzioni che toccano la vita quotidiana di ogni siriano siano immediatamente tolte”. (G.V.)

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Iraq. Patriarca Sako: fermare le violenze islamiste

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Il patriarcato caldeo ha “condannato con forza” le violenze, che in questi giorni sono diventate “una costante quotidiana” nel Paese. Per i vertici della Chiesa irakena l’obiettivo “è il mosaico culturale dell’Iraq” e l’idea di “vita comune”. Da qui l’invito al governo, alla classe politica e a tutte le persone di buona volontà a operare “per la sicurezza e la vita di cittadini innocenti”. A questo si devono aggiungere “riforme urgenti” per lo sviluppo della nazione, in un momento di profonda crisi politica, economica e istituzionale acuita da spaccature e divisioni interne. 

Promuovere una cultura della tolleranza, dell’amore e della pace
Nel documento a firma del Patriarca Mar Louis Raphael Sako - riporta l'agenzia AsiaNews - vi è anche un forte appello “ai leader religiosi musulmani” e al “clero cristiano” perché “uniscano i loro sforzi” nella promozione di una “cultura della tolleranza, dell’amore e della pace”, contro ogni “abuso” e “distorsione” della fede. “Questa cooperazione - conclude la nota - saprà respingere con forza l’ondata di fondamentalismo e settarismo, come è avvenuto con altre crisi del passato”. 

I vertici politici sembrano impotenti di fronte agli attacchi dell'Is
Le forti parole del Patriarca caldeo giungono in un momento di profonda crisi dell’Iraq, segnato da divisione interne e incapace di dar vita a un nuovo esecutivo chiamato ad affrontare le sfide. Una impasse che ha sollevato più di un dubbio sulla effettiva capacità dei vertici politici e istituzionali di combattere le milizie del sedicente Stato Islamico che, dopo un periodo di difficoltà, sembrano guadagnare di nuovo terreno. (R.P.)

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Turchia: distrutti affreschi antica chiesa di Trabzon diventata moschea

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L'antica chiesa bizantina di Aghia Sophia (Santa Sofia) a Trabzon, riconvertita in moschea nel 2013, è stata gravemente danneggiata dai lavori seguiti alla sua trasformazione in luogo di culto islamico. Lo riferiscono fonti locali riprese dall'agenzia Fides. I pesanti lavori di ristrutturazione e riadattamento hanno comportato, tra l'altro, la distruzione degli affreschi e la copertura totale dei mosaici. Secondo quanto riportato da Agos, giornale bilingue turco-armeno, anche la creazione di spazi distinti riservati agli uomini e alle donne ha comportato pesanti interventi che hanno interessato le mura dell'ex chiesa, con l'introduzione di pareti divisorie.

La trasformazione in moschea nonostante gli appelli di Bartolomeo I
La chiesa, costruita nel 1250, era già stata trasformata in moschea una prima volta in epoca ottomana, nel XVI secolo. Nel 1964 le autorità turche di allora ne avevano disposto la trasformazione in museo. Nel 2013, in linea con l'attuale leadership politica turca, l'edificio storico è stato di nuovo riconvertito in moschea, nonostante gli appelli con cui il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I aveva fatto notare che non c'era “alcuna necessità” di porre atto a una simile riconversione. (G.V.)

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Sud Sudan: missionaria verbita slovacca gravemente ferita da uomini armati

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Una missionaria verbita slovacca è stata gravemente ferita ieri notte da un gruppo di uomini armati nel Sud Sudan. Suor Veronika Theresia Rackova, direttrice del St. Bakhita Health Center, nella diocesi di Yei, nel sud-ovest, è stata colpita all’anca mentre rientrava dopo aver trasportato in ambulanza un paziente in un altro ospedale. La religiosa – informa la sua Congregazione delle Serve dello Spirito Santo - è ora ricoverata in un ospedale in Kenya  dopo avere subito due interventi chirurgici all’anca.

Arrestati tre militari
Il Ministro dell’Informazione dello Stato del Yei River, Stephen Lodu Onesimo, ha reso noto che per la sparatoria sono stati fermati tre militari di un’unità dell’esercito incaricata della sicurezza notturna dell’area e ha duramente condannato l’incidente, affermando che le ambulanze non devono essere fermate, perché hanno un’autorizzazione speciale dal Ministero della salute“. La Congregazione Missionaria delle Serve dello Spirito Santo ha chiesto preghiere per la consorella e per tutta la popolazione del Sud Sudan. (A cura di Padre Jozef Bartkovjak)

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Vescovi Malawi: ridurre disparità economiche e povertà

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Ridurre le disparità economiche e la povertà in Malawi: questo l’appello lanciato agli economisti da mons. Martin Mtumbuka, vescovo di Karonga e membro del Malawi Ecomic Justice Network: si tratta di un organismo nato dopo il 2000, in seguito alla campagna “Cancella il debito” per i Paesi non ancora pienamente sviluppati. Oggi esso consta di oltre 100 membri, tra cui ong, comunità di base e rappresentanti dei mass media.
 
Politica economica sia inclusiva per tutta la società
Ribadendo la necessità di “promuovere l’equità come obiettivo macro-economico importante”, il presule ha osservato che “il crescente divario tra ricchi e poveri ha messo in evidenza il bisogno di comprendere le cause della disuguaglianza e della povertà e di avviare politiche adeguate per ridurre l’indigenza e le differenze di reddito” tra la popolazione. “Bisogna lavorare allo sradicamento della povertà in Malawi – ha insistito mons. Mtumbuka – con la garanzia di politiche economiche inclusive e la riduzione delle difficoltà per le fasce sociali più emarginate”.

Pari opportunità per tutti i cittadini
Ricordando, poi, che molti abitanti del Paese vivono in condizioni di “estrema indigenza”, il vescovo di Karonga ha chiesto “pari opportunità” per tutti, e non per “pochi selezionati”. Infine, il richiamo al fatto che ridurre le disparità finanziarie contribuirà a ridurre la povertà e, di conseguenza, favorirà la crescita economica in tutto il Malawi. (I.P.)

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Senegal: in migliaia al pellegrinaggio a Popenguine

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Più di 13mila giovani da diverse diocesi del Senegal e dai Paesi vicini hanno partecipato al tradizionale Pellegrinaggio mariano al Santuario di Popenguine, intitolato a “Nostra Signora della Liberazione”. Dopo tre giorni di preghiere e liturgie,  l’evento si è concluso ieri mattina con la Santa Messa presieduta da mons. Jean- Noël Diouf, vescovo Tambacounda, alla presenza del Primo Ministro e di una delegazione del Governo senegalese.  Nell’omelia il presule ha esortato i presenti ad essere testimoni della Misericordia di Dio seguendo l’esempio di Maria, come recita il titolo di questa 128.ma edizione, ispirato al tema del Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco.

Maria:  Madre,  Regina e testimone della Misericordia di Dio
“Con questo tema e il nostro atto di fede – ha detto –  contempliamo e celebriamo la Madre che ci ha donato Gesù Cristo e che ha reso visibile la Misericordia di Dio invisibile”. “Madre della Misericordia”, come volle definirla San Giovanni Paolo II nella sua Enciclica “Veritatis Splendor”, Maria è anche “Regina della Misericordia”, colei che “supplica il Figlio per la salvezza del popolo e per tutti coloro che si rifugiano fiduciosamente in lei”. Ma essa - ha proseguito mons. Diouf - è “anche testimone della Misericordia divina”: “con il suo ‘sì’ al progetto di Dio, partecipa pienamente alla Sua opera di salvezza”. Da lei quindi  “possiamo imparare ad essere misericordiosi”.

La misericordia non può prescindere dall’amore
Ma la misericordia – ha ricordato il vescovo Tambacounda – non può prescindere dall’amore, un amore che purtroppo “nel mondo attuale, pieno di violenze, ingiustizie e furberie, manca”. Questo mondo ha “veramente sete di opere di misericordia”. Per compierle non c’è bisogno di guardare lontano: “Sono i nostri Paesi, quartieri, famiglie e comunità, che hanno bisogno di essere pacificati per cessare di essere teatri di scontro, lotte e insane competizioni, i luoghi in cui siamo chiamati ad essere testimoni della misericordia”.

Essere testimoni della misericordia di Dio con la carità
L’Anno Giubilare – ha quindi sottolineato mons. Diouf - è un’occasione per risvegliare la carità cristiana: “Le parole di Cristo che rivelavano l’amore del Padre, denunciavamo il male, combattevano l’ingiustizia, perdonavano devono essere le parole di noi cristiani. Il cuore di Cristo che si lasciava toccare dalla sofferenza, è il cuore di ciascun fedele cristiano”. “Se prendiamo pienamente coscienza di essere i beneficiari della Misericordia di Dio - ha concluso - saremo pronti ad esserne testimoni in tutte le sfere della nostra vita”. Di qui l’invito, con le parole della piccola Teresa di Lisieux a “vivere l’amore, ad avere sguardi che resuscitano, mani che sollevano e orecchie che consolano”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 138

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.