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Sommario del 19/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: accogliere migranti, paura terrorismo non ci faccia isolare

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Nel mondo “frammentato e polarizzato” di oggi siamo chiamati a diventare “artigiani di pace”. E’ quanto sottolineato da Francesco nel discorso agli ambasciatori di Seychelles, Tailandia, Estonia, Malawi, Zambia e Namibia presso la Santa Sede. Il Papa ha quindi ribadito che non dobbiamo permettere che la paura del terrorismo ci faccia isolare e ha levato un nuovo appello per l’accoglienza dei migranti. Il servizio di Alessandro Gisotti

Nonostante le nostre diverse nazionalità, culture e religioni siamo “uniti dalla comune umanità e dalla condivisa missione di prenderci cura della società e del creato”. Lo ha sottolineato Papa Francesco parlando ad un gruppo di ambasciatori di diversi Paesi, in occasione della presentazione delle loro Lettere credenziali. Nel suo discorso, il Pontefice ha messo l’accento in particolare sull’urgenza del servizio alla pace e sull’accoglienza ai migranti.

Non isolarsi per la paura del terrorismo
“Questi problemi – ha osservato – richiedono non solo che riflettiamo su di essi e ne discutiamo, ma che esprimiamo anche segni concreti di solidarietà con i nostri fratelli e sorelle in grave necessità”. Un compito, ha rilevato, che “diventa sempre più difficile, perché il nostro mondo appare sempre più frammentato e polarizzato”:

“Molte persone tendono ad isolarsi di fronte alla durezza della realtà. Hanno paura del terrorismo e che il crescente afflusso di migranti cambi radicalmente la loro cultura, la loro stabilità economica e il loro stile di vita. Questi sono timori che comprendiamo e che non possiamo tralasciare con leggerezza, tuttavia devono essere affrontati con saggezza e compassione, così che i diritti e i bisogni di tutti vengano rispettati e sostenuti”.

Per quanti sono “afflitti dalla tragedia della violenza e della migrazione forzata – è stato il suo monito – dobbiamo essere risoluti nel far conoscere al mondo la loro condizione critica, così che, attraverso la nostra, possa essere udita la loro voce, troppo debole e incapace di far sentire il suo grido”.

Assistere i migranti con determinazione
Il Papa ha così ribadito che bisogna ricercare le “soluzioni alle molteplici cause che stanno alla base degli attuali conflitti”, specialmente “negli sforzi di privare delle armi quanti usano violenza, come pure di mettere fine alla piaga del traffico umano e del commercio di droga che spesso accompagna questo male”:

“Mentre le nostre iniziative in nome della pace dovrebbero aiutare le popolazioni a rimanere in patria, il momento presente ci chiama ad assistere i migranti e quanti si prendono cura di loro. Non dobbiamo permettere che malintesi e paure indeboliscano la nostra determinazione”.

Favorire dialogo e solidarietà, altrimenti le nostre società si indeboliscono
Piuttosto, ha soggiunto, “siamo chiamati a costruire una cultura del dialogo” per promuovere “un’integrazione che rispetti l’identità dei migranti e preservi la cultura della comunità che li accoglie, e arricchisca al tempo stesso entrambi”:

“Se incomprensione e paura prevalgono, qualcosa di noi stessi è danneggiato, le nostre culture, la storia e le tradizioni vengono indebolite, e la pace stessa è compromessa. Quando d’altra parte noi favoriamo il dialogo e la solidarietà, a livello sia individuale che collettivo, è allora che sperimentiamo il meglio dell’umanità e assicuriamo una pace duratura per tutti, secondo il disegno del Creatore”.

Papa Francesco non ha, infine, mancato di rivolgere un saluto particolare ai pastori e ai fedeli delle comunità cattoliche presenti nei Paesi rappresentati dagli ambasciatori ricevuti. A loro ha rivolto l’incoraggiamento “ad essere sempre messaggeri di speranza e di pace". "Penso - ha detto - in particolare a quei cristiani e a quelle comunità che sono numericamente minoritari e soffrono persecuzione per la loro fede; ad essi rinnovo il mio sostegno nella preghiera e la mia solidarietà”.

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Papa: ricchi che sfruttano lavoratori sono sanguisughe, è peccato mortale

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Sfruttare la gente sul lavoro per arricchirsi è come essere delle sanguisughe, è peccato mortale: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Ricchi che succhiano il sangue dei poveri
La prima lettura del giorno, tratta dalla lettera di San  Giacomo, è un forte monito ai ricchi che accumulano denaro sfruttando la gente. “Le ricchezze in se stesse sono buone” – spiega il Papa – ma sono “relative, non sono una cosa assoluta”. Sbagliano, infatti, quelli che seguono la cosiddetta “teologia della prosperità”, secondo la quale “Dio ti fa vedere che tu sei giusto se ti dà tante ricchezze”. Il problema è non attaccare il cuore alle ricchezze, perché – sottolinea il Papa – “non si può servire Dio e le ricchezze”. Queste possono diventare “catene” che tolgono “la libertà di seguire Gesù”. “Ecco – dice San Giacomo - il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre e che voi non avete pagato grida e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore onnipotente”:

“Quando le ricchezze si fanno con lo sfruttamento della gente, quei ricchi che sfruttano, sfruttano il lavoro della gente e quella povera gente diviene schiava. Ma pensiamo a oggi, pensiamo qui: ma in tutto il mondo accade lo stesso. ‘Voglio lavorare’ – ‘Bene: ti fanno un contratto. Da settembre a giugno’. Senza possibilità di pensione, senza assicurazione sanitaria … A giugno lo sospendono e luglio e agosto deve mangiare aria. E a settembre te lo ridanno. Questi che fanno questo sono vere sanguisughe e vivono dei salassi del sangue della gente che rendono schiavi del lavoro”.

Lo sfruttamento sul lavoro è peccato mortale
Papa Francesco ricorda quanto gli ha detto una ragazza che aveva trovato un lavoro da 11 ore al giorno a 650 euro in nero. E le hanno detto: “Se ti piace, prendilo, se no, vattene. Ce ne sono altri”, dietro di te c’è la coda! Questi ricchi – osserva – “ingrassano in ricchezze” e l’apostolo dice: “Vi siete ingrassati per il giorno della strage”. “Il sangue di tutta questa gente che avete succhiato” e di cui “avete vissuto, è un grido al Signore, è un grido di giustizia. Lo sfruttamento della gente – afferma ancora il Papa - “oggi è una vera schiavitù”. “Noi - dice - pensavamo che gli schiavi non esistessero più: esistono. E’ vero, la gente non va a prenderli in Africa per venderli in America: no. Ma è nelle nostre città. E ci sono questi trafficanti, questi che trattano la gente con il lavoro senza giustizia”:

“Ieri, nell’udienza, abbiamo meditato sul ricco Epulone e Lazzaro. Ma, questo ricco era nel suo mondo, non si accorgeva che dall’altra parte della porta della sua casa c’era qualcuno che aveva fame. Ma questo è peggio. Quel ricco, almeno, non se ne accorgeva e lasciava che l’altro morisse di fame. Ma questo è peggio: questo è affamare la gente con il loro lavoro per il mio profitto! Vivere del sangue della gente. E questo è peccato mortale. E’ peccato mortale. E ci vuole tanta penitenza, tanta restituzione per convertirsi di questo peccato”.

Il funerale dell'avaro
Il Papa ricorda la morte di un uomo avaro con la gente che scherzava: “Il funerale è stato rovinato” – dicevano - “non avevano potuto chiudere la bara”, perché “voleva prendere con sé tutto quello che aveva, e non poteva”. “Nessuno può portare con sé le proprie ricchezze”. Papa Francesco conclude:

“Pensiamo a questo dramma di oggi: lo sfruttamento della gente, il sangue di questa gente che diventa  schiava, i trafficanti di gente e non solo quelli che trafficano le prostitute e i bambini per il lavoro minorile, ma quel traffico più – diciamo – ‘civilizzato’: ‘Io ti pago fino a qua, senza vacanze, senza assicurazione sanitaria, senza … tutto in nero … Ma io divengo ricco!’. Che il Signore ci faccia capire oggi quella semplicità che Gesù ci dice nel Vangelo di oggi: è più importante un bicchiere d’acqua in nome di Cristo che tutte le ricchezze accumulate con lo sfruttamento della gente”.

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Tweet Papa: amare e perdonare, segni che la fede ha trasformato i nostri cuori

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“Amare e perdonare sono il segno concreto e visibile che la fede ha trasformato i nostri cuori”. E' il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex, in 9 lingue.

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Lombardi: in preparazione incontro Papa con imam Al-Azhar

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E’ in fase di preparazione per lunedì prossimo un’udienza del Papa con il Grande Imam di al-Azhar, l’università egiziana considerata la più autorevole istituzione teologico-accademica dell’islam sunnita. E’ quanto affermato dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, rispondendo alle domande dei giornalisti. Al momento, ha proseguito padre Lombardi, non si hanno ancora i dettagli dell’incontro tra Francesco e il Grande Imam Ahmed al Tayyeb.

Nel febbraio scorso, mons. Miguel Àngel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, accompagnato dal nunzio apostolico in Egitto, mons. Bruno Musarò, aveva fatto una visita ad al-Azhar. In tale occasione, mons. Ayuso aveva consegnato una lettera del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del dicastero per il Dialogo Interreligioso, nella quale il porporato esprimeva la sua disponibilità a ricevere il Grand Imam e ad accompagnarlo ufficialmente in udienza dal Pontefice. (A.G.)

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Mons. Gallagher costretto ad annullare il viaggio in Venezuela

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“Per motivi che non dipendono dalla Santa Sede”, mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, "si è visto costretto ad annullare il suo viaggio in Venezuela" che era in programma dal 24 al 29 maggio. E’ quanto afferma un comunicato della nunziatura apostolica in Venezuela di cui ha dato notizia la Diocesi di San Cristóbal. Mons. Gallagher era atteso a San Cristóbal per l’ordinazione episcopale di mons. Francisco Escalante, sacerdote venezuelano di questa Diocesi, nominato dal Papa nuovo nunzio nella Repubblica del Congo. Alla cerimonia sarà presente il nunzio in Venezuela, mons. Aldo Giordano. “L’ordinazione – si legge nel comunicato - avrà luogo nel Seminario diocesano di San Cristóbal, sabato prossimo 28 maggio alle ore 10.00 del mattino. Si attende la presenza di vari vescovi e di numerosi sacerdoti e fedeli”.

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Viaggio del Papa in Armenia: resi noti il motto e il logo

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Sono stati resi noti oggi il motto e il logo del viaggio apostolico che Papa Francesco compirà dal 24 al 26 giugno prossimi nella Repubblica d’Armenia. Il motto è ''Visita al primo Paese cristiano''. La conversione dell’Armenia, infatti, risale al 301, grazie all’opera di San Gregorio l’Illuminatore e può dunque definirsi – come ha detto Papa Francesco – “la prima tra le nazioni che nel corso dei secoli hanno abbracciato il Vangelo di Cristo” (Messaggio agli Armeni, 12 aprile 2015).

Il logo
Il logo, di forma circolare, raffigura il Monte biblico Ararat, simbolo dell'Armenia, e il “Khor Virap” di Artashad (“pozzo profondo”) in cui San Gregorio l’Illuminatore venne imprigionato per quasi 14 anni, dove oggi sorge il Monastero omonimo. Una volta liberato, San Gregorio, che divenne il primo primate dell'Armenia, dichiarò, insieme a Re Tirdate III, il cristianesimo religione di Stato dell'Armenia. Nel logo sono riportati gli emblemi e i colori, il viola e il giallo, della Chiesa Armeno Apostolica e della Santa Sede.

Programma del viaggio
Secondo il programma ufficiale, Francesco arriverà il pomeriggio di venerdì 24 nella capitale Yerevan. Subito la preghiera alla Cattedrale armeno apostolica di Etchmiadzin con il saluto al Catholicos, quindi l’incontro con il presidente e le autorità civili e il discorso al corpo diplomatico. Sabato 25 sui passi di San Giovanni Paolo II, il Papa visiterà il Memoriale dell’eccidio degli armeni sotto l’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916. A Gymuri, seconda città più popolosa in Armenia colpita da un violento sisma a fine anni Ottanta, Francesco celebrerà la Messa e visiterà la Cattedrale armeno apostolica delle Sette Piaghe e la Cattedrale armeno cattolica dei Santi Martiri. In serata, di nuovo a Yerevan l’incontro ecumenico e la preghiera per la pace. Domenica 26 giugno, terzo e ultimo giorno della visita in Armenia, l’incontro del Papa con i vescovi cattolici armeni nel Palazzo Apostolico ad Etchmiadzin e la partecipazione alla Divina Liturgia nella Cattedrale armeno apostolica. Dopo il pranzo, l’incontro con i delegati e benefattori della Chiesa armena apostolica e la firma di una Dichiarazione congiunta. Prima del rientro in Vaticano il Santo Padre pregherà nel Monastero di Khor Virap.

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Ucraina. Mons. Gudziak: guerra ignorata dai media, servono aiuti

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Le sofferenze del popolo ucraino sono nel cuore del Papa, che ieri ha rivolto una preghiera speciale, dopo l’appello del 3 aprile scorso, per la pace in questa nazione nel cuore dell’Europa, dove permane un conflitto nell’Est del Paese, che purtroppo non fa più notizia sulla stampa. Roberta Gisotti ha raccolto la testimonianza di mons. Borys Gudziak, eparca di San Vladimiro il Grande a Parigi, responsabile dei rapporti con l’estero della Chiesa ucraina greco-cattolica: 

R. – La parola ‘conflitto’ è una parola molto leggera. C’è una guerra in corso già da due anni e ci sono persone uccise ogni giorno. Si può immaginare una strage come quella di ‘Charlie Hebdo’ quasi ogni settimana. Diecimila persone sono state uccise e cinque milioni sono toccate direttamente dalla guerra e più di due milioni sono i rifugiati. Allo stesso tempo, c’è la crisi economica, per cui tutta la popolazione è molto impoverita e la sofferenza è grande: si fanno operazioni chirurgiche senza anestesia; ci sono persone con diverse malattie che non possono accedere alle cure o ricevere le medicine e ci sono centinaia di bambini fuori dalle scuole, fuori dalle case. L’appello di Papa Francesco è molto importante, perché anche le gerarchie cattoliche in Europa pensano che tutto sia finito, tutto sia calmo. A causa della grande crisi in Medio Oriente, oggi, l’attenzione mediatica è "girata" dall’altra parte. Ma quello che succede in Ucraina potrebbe causare una crisi europea migratoria molto più grande di quella della Siria.

D. – Il Papa ha indetto nelle scorse settimane una colletta in tutte le Chiese d’Europa. Ma gli aiuti riescono ad arrivare?

R. – Sono processi non istantanei. Non c’è bisogno solo di soldi, ma di più preghiere e di informazioni. Il cardinale Parolin dovrebbe venire a metà giugno in Ucraina, per spiegare come saranno distribuiti i soldi raccolti. L’aiuto, certamente, non è confessionale, non è nazionale, non è secondo la lingua, ma è destinato a tutti coloro che sono più bisognosi.

D. – La strada della pace, dunque, si profila ancora lunga. In questa situazione, è importante che la comunità internazionale continui a sostenere la popolazione che soffre…

R. – Ci sono tre aspetti. Il primo è la preghiera, per noi cristiani è fondamentale. Secondo è l’informazione. E’ molto importante essere informati, avere un atteggiamento critico nei confronti di quello che viene presentato dalla stampa e cercare anche quello che non viene presentato. Da più di un anno, infatti, nella stampa, nei media europei occidentali, non si è più parlato della guerra in Ucraina. Terzo è aiutare, quando possiamo, nel modo in cui possiamo, quelli che soffrono. Questo è l’appello del Santo Padre. Noi in Ucraina siamo molto grati e apprezziamo moltissimo questa solidarietà, che è nel nome della Chiesa. Infatti la nostra Chiesa è cattolica, è universale. Siamo in comunione con tutti i membri della nostra Chiesa, ma anche con tutte le persone di buona volontà. Qui c’è una lotta contro il male.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Per una pace duratura: il Papa parla delle sofferenze provocate da confliti, migrazioni e crisi economica e invoca dialogo e solidarietà.

In prima pagina, un editoriale di Lucetta Scaraffia dal titolo "La verità sul mercato delle armi" in una serie televisiva anglo-americana.

Protagonista della politica italiana: Fausta Speranza su Marco Pannella.

Una donna dimenticata: Maria Teresa Milano su Regina Jonas che venne ordinata rabbino nella Berlino del 1935.

Mi bocci per favore: Cristian Martini Grimaldi sulle conseguenze sociali della denatalità in Giappone.

Storie di una rinascita: Giampiero Brunelli sui Cavalieri di Malta dalla fine del Settecento a oggi.

Benessere e inquinamento non sono un binomio necessario: Carlo Triarico su riscaldamento globale e minacce all'agricoltura.

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Oggi in Primo Piano



E' morto Pannella. Lombardi: ammirava Papa Francesco

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Si è spento oggi il leader dei radicali italiani Marco Pannella: aveva 86 anni. Da mesi in lotta con un tumore ai polmoni e uno al fegato, ieri era stato ricoverato in una struttura sanitaria romana a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute. La notizia è stata data da Radio Radicale. Il premier Renzi lo ricorda come "un grande leader politico, un leone della libertà, un protagonista transnazionale che ha segnato la storia dell’Italia con battaglie talvolta controverse ma sempre coraggiose e a viso aperto”. Noti i suoi scioperi della fame e della sete con cui era solito manifestare il proprio impegno antiproibizionista, contro la pena di morte, a favore dei carcerati, dell'aborto, del divorzio e dell'eutanasia.

Vicinanza a Pannella in occasione del suo ultimo compleanno, lo scorso 2 maggio, oltre che dal presidente della Repubblica Mattarella e da esponenti delle varie forze politiche italiane, era stata espressa da Papa Francesco. Il Papa gli aveva inviato una copia del libro-intervista con Andrea Tornielli "Il nome di Dio è misericordia" e una medaglia con la Madonna e il Bambino Gesù. Nel 2014, il Papa lo aveva chiamato per informarsi delle sue condizioni di salute durante uno sciopero della sete. Sulla figura di Marco Pannella, ascoltiamo il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi: 

Marco Pannella è una persona con cui ci siamo trovati spesso in passato su posizioni discordanti, ma di cui non si poteva non apprezzare l’impegno totale e disinteressato per nobili cause, ad esempio quella a cui si è molto dedicato negli anni recenti, in favore dei carcerati. A questo proposito l’on. Pannella diverse volte ha voluto incontrarmi proprio per testimoniare personalmente con molto entusiasmo la sua grandissima ammirazione per il Papa Francesco, per la sua attenzione ai carcerati e l’impegno per il rispetto della loro dignità, come pure più generalmente per tutte le persone i cui diritti sono violati o conculcati. Lo ricordo quindi con stima e simpatia, pensando che ci lascia una eredità umana e spirituale importante, di rapporti franchi, di espressione libera e di impegno civile e politico generoso, per gli altri e in particolare per i deboli e i bisognosi di solidarietà.

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Aereo scomparso. Il Cairo: possibile azione terroristica

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Si infittisce il mistero sulla scomparsa dell’aereo dell’Egyptair, con 66 persone a bordo. Il relitto è stato individuato a largo dell’isola greca di Kàrpathos. Nel corso di una conferenza stampa il ministro egiziano dell'Aviazione civile, Sherif Fathy, ha spiegato che "la situazione potrebbe indicare che la possibilità di un'azione terroristica sia maggiore rispetto a quella di un guasto tecnico, ma dobbiamo aspettare le indagini". Intanto le procure di Parigi e dell Cairo hanno aperto due inchieste sull'accaduto. Il servizio di Daniele Gargagliano: 

La scatola nera ha permesso di individuare il luogo dello schianto e sarà risolutoria nello spiegare lo schianto. Sono in corso le operazioni guidate dall’esercito egiziano per raggiungere il punto in cui l’Airbus A320 si è inabissato la scorsa notte nel tratto di mare vicino l’isola greca di Kàrpathos, dove alcuni testimoni hanno riferito di aver visto delle fiamme nel cielo. Il volo era partito da Parigi ieri sera alle 11 ed era diretto al Cairo, prima di far perdere i contatti intorno alle 2.35. A bordo 56 passeggeri, 7 membri dell’equipaggio e 3 responsabili della sicurezza, tra questi 30 cittadini egiziani e 15 francesi.

“Non è esclusa per il momento la matrice terroristica”, ha detto il premier egiziano Sherif Ismail, al quale si è aggiunto il presidente francese Hollande: "In questa fase nessuna ipotesi può essere privilegiata o scartata". A conferma delle sue parole la magistratura francese ha annunciato l'apertura di un'inchiesta sull’incidente. Intanto arrivano le prime ricostruzioni sull’accaduto: l'aereo avrebbe effettuato due brutali virate e il segnale si è perso quando era più o meno a 3000 metri di altitudine, ha spiegato il ministro greco della Difesa Kammenos.

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Venezuela: prosegue lo scontro tra presidente e parlamento

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In Venezuela continua il confronto tra il presidente Maduro, da una parte, e parlamento e società civile, dall’altra. Il Paese, alle prese anche con una difficile crisi economica, è insorto dopo il piano di sicurezza varato dal Capo dello Stato, che ampliava i poteri dello stesso Maduro. La proposta è stata bocciata dal parlamento, dove l’opposizione ha la maggioranza. Giancarlo la Vella ne ha parlato con Riccardo Moro, docente di Politiche dello Sviluppo all’Università di Milano: 

R. – Il vero problema del Venezuela è la profonda crisi politica e sociale che il Paese vive e che ha elementi che sono già nati durante la lunga stagione di Chávez e che adesso sono esplosi. Credo che la crisi economica sia veramente frutto di un’incapacità a gestire i processi sociali e politici del Paese.

D.- Praticamente assistiamo al fallimento delle politiche avviate da Hugo Chávez. Quale potrà essere il futuro di questo Paese?

R. – E’ molto difficile da dire. In realtà le politiche di Chávez non vanno neanche liquidate come solo fallimentari: sicuramente è stato un uomo che ha limitato alcuni processi democratici, che ha occupato il potere in modo – se vogliamo – anche arrogante; ma occorre anche dire che è intervenuto in una situazione di pesantissima disuguaglianza sociale e in cui le élite gestivano il Paese esclusivamente a proprio vantaggio. E’ grazie a Hugo Chavez in realtà, o meglio, è grazie alle risorse finanziarie che derivavano dal petrolio, che sono nati i processi di integrazione regionale, che sono in parte anche il motivo della consistente crescita economica del comparto latinoamericana negli ultimi 10-15 anni. Dopodiché, Maduro non ha la personalità di Chávez e le contraddizioni sono esplose. Il futuro è molto difficile da vedere!

D. – Come è possibile che in un Paese ricco come il Venezuela, tra i maggiori produttori di petrolio, la gente non abbia poi accesso ai beni di prima necessità?

R. – Quando la democrazia è limitata, anche il mercato e l’economia non funzionano. L’economia ha bisogno di fiducia: se non c’è fiducia, i contratti non si sottoscrivono, non si pagano anticipi, non ci si affida a un fornitore e l’economia soffre. Il Venezuela ha bisogno di una stagione di dialogo, ha bisogno di leader autorevoli che promuovano il dialogo, anziché la contrapposizione.

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Open Europe: al via assistenza migranti respinti da hot spot

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Un progetto per assistere i migranti respinti dagli hot spot e lasciati in condizioni di disagio ed esclusione. Si chiama Open Europe ed è stato presentato oggi alla Camera dei Deputati dai promotori: Oxfam, la Diaconia valdese e l’Associazione di legali Borderline Sicilia che in merito all’ ennesima sollecitazione europea a hotspot supplementari anche in mare, rispondono che non è il numero che conta, ma il rispetto della disciplina giuridica e l’applicazione dei ricollocamenti. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Un operatore sociale, un mediatore culturale e un legale. Questo è il team mobile del progetto che inizierà nei prossimi giorni a spostarsi nella Sicilia orientale a partire dall’hot spot di Pozzallo, per intercettare e rispondere subito con kit igienici e una accoglienza dedicata, in caso di persone vulnerabili, e in seguito con informazioni legali a quanti - uomini donne e bambini - per decreto sono stati considerati da respingere. Occorre evitare che si trasformino come già in parte accade, in “fantasmi” che si muovono nel nostro Paese senza sapere nulla, a causa di un errore di fondo, spiega Alessandro Bechini, direttore programmi Oxfam Italia:

“Noi attualmente siamo in una situazione in cui gli hot spot non hanno una cornice giuridica che disciplini le attività che debbono essere svolte all’interno. L’hot spot non è una struttura, l’hot spot è una procedura. Il problema è che questa procedura non è inserita in un quadro giuridico. Ci sono, quindi, grandi difformità e non si riesce mai ad avere una garanzia per le persone che vengono intervistate all’interno degli hot spot. Il problema, quindi, non è aprirne altri o renderli 'galleggianti'. Il problema è che noi stiamo spingendo molto, perché ci sia una disciplina giuridica degli hot spot e che si sappia in maniera oggettiva che cosa avviene all’interno di essi e quali siano le procedure applicate”.

Succede così che interrogatori identificazioni e registrazioni proprie delle procedure degli hot spot avvengano in violazione di una serie di diritti:

“Dalle notizie che abbiamo, che emergono dagli hot spot, il problema è che questo primo screening viene fatto dalla polizia, che non ha alcun diritto, non ha una copertura giuridica per fare questo. Molto spesso queste persone non hanno le informazioni necessarie, perché le organizzazioni preposte a questo hanno spesso accessi difficili, sono in numeri inferiori rispetto alle necessità vere; e, soprattutto, molto spesso queste prime interviste vengono fatte immediatamente, quando le persone sono appena sbarcate e in forte stato di stress. Non hanno un’assistenza di un mediatore sufficientemente preparato, pronto e soprattutto non c’è un’evidenza di un testo che viene lasciato, che definisca quali domande sono state fatte, che tipo di risposte sono avvenute. Sono, quindi, allontanati in maniera troppo spesso arbitraria”.

Situazione al limite anche per donne e bambini specie minori non accompagnati racconta Massimo Gnone, referente migranti per la Diaconia valdese:

“Quello che abbiamo notato già in questi primi giorni di inizio del progetto è che le persone e anche dei minori - dei minori stranieri non accompagnati - sono trattenuti negli hot spot per diversi giorni, settimane e anche mesi. Questo non deve avvenire perché l’hot spot dovrebbe essere solo un centro di primissima identificazione e poi le persone dovrebbero trovare una collocazione in centri adatti, soprattutto i minori”.

Cosa fare dunque? Le richieste al governo sono chiare. Ancora, Massimo Gnone:

“La nostra richiesta è quella di far sì che le persone possano accedere al diritto di fare richiesta d’asilo - l’asilo è un diritto soggettivo - e possano essere ascoltate davanti alle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, che poi deciderà sul loro destino dal punto di vista giuridico”.

In Italia si può fare accoglienza dignitosa: ce ne sono le forze e le possibilità, certo senza il supporto del tassello fondamentale del sistema hot spot, cioè i ricollocamenti a rilento in tutta Europa, ogni sforzo rischia di essere vano, anche l’apertura di nuovi centri o il loro collocamento mobile, persino in mare come  detto dal ministro dell’Interno Alfano e avallato dall’Europa. Ancora Alessandro Bechini:

“Non capisco cosa cambi. Se noi, cioè, facciamo l’identificazione in mare, sulle navi, noi avremo una parte che viene ammessa al circuito dell’accoglienza e una parte no. Questi comunque vengono tutti riportati a terra e hanno la stessa procedura. Spostiamo, quindi, semplicemente l’attività identificativa sulle navi. Qui non è questione del numero di hot spot che verrà aperto, qui la questione è come questi hot spot verranno disciplinati e soprattutto come funzionerà il sistema di ricollocamento all’interno dell’Unione Europea. Finché non c’è questo, è soltanto un aggravio di procedure, ma che non affronta in maniera diversa quello che succedeva nei centri di primo soccorso e accoglienza”.

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Nigeria: ritrovata una delle studentesse rapite da Boko Haram

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Traumatizzata, ma in buone condizioni. È la giovane ritrovata ieri nel nord est della Nigeria, nella foresta di Sambisa, considerata la roccaforte dei Boko Haram: faceva parte delle 276 studentesse di Chibok, nello Stato del Borno, presa d’assalto dal gruppo estremista nell’aprile del 2014. Poche ore dopo il sequestro, decine di ragazze riuscirono a fuggire, ma di oltre 200 non si seppe più nulla. La diciannovenne è stata ritrovata da un gruppo di milizie civili: con lei c’era un bambino di pochi mesi ed un uomo, arrestato perché ritenuto il jihadista a cui la giovane sarebbe stata data in sposa dai miliziani. Forse già in giornata potrebbe essere trasferita ad Abuja per incontrare il presidente Muhammadu Buhari. Della vicenda Giada Aquilino ha parlato col padre comboniano Efrem Tresoldi, direttore della rivista Nigrizia: 

R. – La cosa importante che penso ci dica questa liberazione è che la ragazza ha rivelato che le giovani rapite sarebbero tutte nella foresta di Sambisa, al confine con il Camerun. Questo dovrebbe dare un incentivo al governo di Muhammadu Buhari di portare avanti con più decisione la loro liberazione. Pare che ci siano tutte, eccetto sei che sono morte, secondo la rivelazione di Amina, la ragazza ritrovata.

D. – È possibile che la giovane fosse stata data forzatamente in sposa ad un miliziano?

R. – È la condizione a cui vengono sottoposte le ragazze: forzate a sposare i loro rapitori. Quindi è molto probabile. Quello che però bisognerebbe dire è che la campagna organizzata dalle “#Bring back our girls” in Nigeria - con il sostegno internazionale anche di Michelle Obama e Malala, la ragazza pakistana attivista - ha criticato aspramente il nuovo governo di Buhari: il presidente aveva infatti promesso che la sconfitta del movimento terrorista Boko Haram non sarebbe avvenuta senza la liberazione delle ragazze. E questo lo ha detto l’anno scorso quando si è insediato come presidente, nel maggio 2015. Ma da allora non c’è stato alcun progresso. Speriamo quindi che questa liberazione possa spingere il governo di Buhari a fare qualcosa di più serio per liberarle.

D. – Il medico del villaggio dov’è rientrata la ragazza ha detto che la giovane è traumatizzata, ha un bambino – probabilmente suo – e forse è vittima di violenza sessuale: come agiscono gli estremisti?

R. – Per loro non c’è alcun rispetto per le persone. Si può immaginare che queste ragazzine siano state vittime di violenza sessuale, viste le maniere che i miliziani hanno usato finora, servendosi addirittura di bambine e bambini come kamikaze, imbottendoli di dinamite, così da farli saltare in aria causando la morte di decine di migliaia di persone proprio nello Stato del Borno, nel nord est del Paese.

D. – In che fase è la lotta ai Boko Haram?

R. – Il presidente Buhari si è detto disposto a parlare con la leadership di Boko Haram: proposta che è stata rifiutata dai leader del movimento terrorista perché considerata “senza senso”. L’altra cosa che il governo di Buhari ha fatto, e che potrebbe dare qualche risultato, è che a gennaio ha promesso di istituire una commissione di investigazione sui rapporti tra il governo centrale di Abuja, lo Stato di Borno in questo caso e gli Stati del nord est della Nigeria. Pare infatti che non ci sia stata in passato una comunicazione tra l’intelligence centrale e gli Stati nord orientali e questo ha comportato soprattutto ritardi nell’intervenire contro gli attacchi di Boko Haram. Addirittura in alcuni casi c’è il sospetto che settori militari nigeriani siano complici e in combutta con Boko Haram, perché alle volte l’allarme è stato dato in tempo, ma l’intervento delle forze dell’ordine e dell’esercito è arrivato molto in ritardo.

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Bagnasco: referendum su unioni civili è iniziativa in mano ai laici

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Massima trasparenza nella gestione finanziaria e amministrativa di diocesi e parrocchie, pieno sostegno ai sacerdoti. Sono due temi attorno a cui è ruotata l’assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana che si è chiusa oggi in Vaticano con la conferenza stampa finale del cardinale Angelo Bagnasco. Il porporato ha sottolineato come il referendum abrogativo sulle unioni civili debba doverosamente esser portato "avanti dai laici". L'assemblea era stata aperta lunedì scorso dal Papa. Alessandro Guarasci: 

I vescovi chiedono che i sacerdoti sappiano ascoltare le persone, lasciandosi ferire dalla realtà quotidiana, specialmente dalle situazioni di povertà e di difficoltà, a partire dalla mancanza di lavoro. Il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco:

“Cerchiamo di dare voce, in tanti campi, alla nostra gente. Per questo ho dovuto e ho voluto accennare a questioni che sono gravi, così sono avvertite dal popolo: l’occupazione, la demografia, la natalità, che veramente è estremamente bassa, e infine questa crescita preoccupante della ludopatia. Sono problemi che sono molto seri. Come sempre, noi vescovi e pastori diamo voce alla nostra gente”.

Sulle unioni civili, non è stata discussa della possibilità per i sindaci di non applicare, facendo ricorso all’obiezione di coscienza, la legge appena varata dal Parlamento. Il cardinale ha però precisato che una parola in questo senso l'ha detta il Papa. Francesco, infatti, parlando col giornale francese La Croix, ha affermato che "il diritto all’obiezione di coscienza deve essere riconosciuto all’interno di ogni struttura giuridica, perché è un diritto umano. Anche per un funzionario pubblico, che è una persona umana. Lo Stato deve anche prendere in considerazione le critiche". E sul referendum abrogativo ha precisato che "è un'iniziativa in mano ai laici e che doverosamente dev'essere portata avanti dai laici".

E’ stata poi approvata una determinazione per rendere sempre più trasparenti i rendiconti delle parrocchie e questo anche attraverso la loro pubblicizzazione sulla rete. La gente, ha detto il cardinale Bagnasco, vuole sapere come vengono spesi i soldi dell’8 per mille. Per il 2016 sono arrivati poco più di un miliardo di euro (1.018.842.766,06), in aumento rispetto al 2015, di cui quasi il 40% sono andati per esigenze di culto e un altro 27% per interventi caritativi. La Giornata per la Carità del Papa ha portato invece sei milioni e 200 mila euro.

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Bambino Gesù, progetto per i bambini malati di Hiv

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Aiutare i bambini malati di Hiv ad avere delle terapie che non li costringano a prendere pillole per tutta la vita e creare una banca dati internazionale per sviluppare nuove terapie. Questo l’obiettivo del progetto “Epiical”, promosso dall’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, con la collaborazione di Penta e Viiv Healtcare e presentato oggi a Roma. Il servizio di Michele Raviart

In Italia ogni anno si registrano 4 mila nuovi casi di Hiv, soprattutto nei giovani tra i 25 e i 29 anni. Grazie ai progressi della ricerca è ora possibile allungare notevolmente i tempi di sopravvivenza, ma a costo di terapie pesanti e non prive di effetti collaterali. In particolare per i bambini nati sieropositivi, sottoposti a una terapia ininterrotta che dura tutta la vita. Per questo nasce il progetto Epiical, come spiega il prof. Paolo Rossi, direttore del dipartimento pediatrico del Bambin Gesù:

Il Progetto Epiical è una piattaforma di studio dell’infezione di Hiv nel bambino. Noi siamo stati i primi a sperimentare un vaccino terapeutico, qualche anno fa, e proprio da questo vaccino terapeutico prende le mosse questo studio che coinvolge circa 26 partner in tutto il mondo. Ci aspettiamo - da questo progetto - di capire che cosa faccia la terapia precoce, quali siano le risposte immunologiche che dobbiamo sviluppare attraverso un vaccino o attraverso una terapia che vada a modificare il sistema immunitario, in modo tale che i bambini trattati precocemente possano interrompere la terapia. Voi capite bene che questo ha un impatto, sia sociale che economico, enorme nei Paesi in via di sviluppo, in cui questo problema è di grande rilevanza.

Se nei Paesi economicamente avanzati le terapie per i bambini malati sono relativamente accessibili, nel resto del mondo la situazione è differente. Dottoressa Martina Penazzato, responsabile dell’Hiv pediatrico dell’Organizzazione mondiale della Sanità a Ginevra:

Sappiamo che ci sono più di 2 milioni di bambini che attualmente vivono con l’infezione Hiv; sappiamo anche che il 95 per cento di questi bambini vive nell’Africa Sub-Sahariana; e, nonostante il progresso fatto nel prevenire la trasmissione da mamma a bambino, sappiamo che ogni anno ci sono circa 200 mila nuovi casi al mondo. Metà di questi bambini non raggiunge il secondo anno di vita, senza nessun tipo di intervento: quindi è necessario diagnosticare l’infezione rapidamente ed iniziare la terapia. Purtroppo non è facile, perché le opzioni terapeutiche sono limitate e non sono necessariamente adeguate al contesto dei Paesi in via di sviluppo.

Il progetto Epiical, a guida italiana, punta a raccogliere a livello internazionale i dati dei bambini sieropositivi. Dalle loro cellule si può infatti capire la maniera in cui si sviluppa il virus Hiv, in modo da fornire modelli predittivi utili per la messa a punto di farmaci innovativi anche per curare gli adulti. Il commento del dott. Paolo Rizzini, direttore medico e scientifico di Viiv healthcare:

Possiamo tranquillamente dire che è già la più grande banca dati al mondo di informazioni, che significano anche cellule, linfociti, virus che sono tratti da bambini, che sono curati in modo precoce. Queste informazioni ci permetteranno di testare nuove strategie terapeutica, non nel bambino – chiaramente! – ma sui modelli predittivi in vitro: da qui si possono avere le informazioni per sviluppare nuove terapie.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Kenya: no a chiusura Campo per rifugiati a Dadaab

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“Chiudere il campo di rifugiati di Dadaab avrà, senza alcun dubbio, conseguenze non solo per centinaia di migliaia di rifugiati, ma per l’intera regione”: lo affermano i vescovi del Kenya in una dichiarazione, ripresa dall’agenzia Fides, nella quale esprimono la loro profonda contrarietà all’annuncio del governo di Nairobi di chiudere il più grande campo per rifugiati del mondo.

Il richiamo alla Costituzione ed alla Convenzione Onu sui rifugiati
Dopo aver ricordato che “per anni il Kenya è stato in prima linea nel nobile sforzo umanitario di ospitare i rifugiati provenienti dai Paesi vicini ed oltre”, i presuli richiamano i principi della Costituzione del Kenya, tra cui l’art. 27 che stabilisce che lo Stato non può fare alcuna discriminazione, e gli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione Onu sui rifugiati del 1951 e dal documento dell’Organizzazione per l’Unità Africana (divenuta nel frattempo l’Unione Africana) del 1968, che “obbliga il governo a proteggere i rifugiati durante la loro permanenza in Kenya, proibisce ogni forma di ritorno forzato, e mantiene il carattere civile e umanitario dei campi d’accoglienza”.

Impegno per la sicurezza per tutti, senza distinzioni
“In linea con gli obblighi nazionali e internazionali - rimarcano i presuli - così come con gli insegnamenti cattolici, chiediamo al governo di dimostrare un sincero impegno verso le necessità di tutti senza distinzioni, specialmente i rifugiati”. Il governo del Kenya ha motivato la decisione di chiudere i campi d’accoglienza per ragioni di sicurezza nazionale: una ragione che i presuli riconoscono, apprezzando “la determinazione di rafforzare la sicurezza”, ma al contempo chiedono che ciò sia fatto  “per la cura e la protezione di tutti coloro che vivono all'interno dei confini del Paese”.

Rispettare diritti umani e libertà fondamentali
I vescovi richiamano poi un altro articolo della Costituzione, il 228, che stabilisce: “Si deve perseguire la sicurezza nazionale in accordo con la legge e con il massimo rispetto delle regole legislative, democratiche, dei diritti umani e delle libertà fondamentali”. Dopo aver riaffermato il loro impegno a collaborare con le autorità per trovare “soluzioni sostenibili a lungo termine per i rifugiati”, la Chiesa di Nairobì conclude la sua nota chiedendo al governo di riconsiderare la propria decisione e di perseguire la via del dialogo per “assicurare un rimpatrio volontario e sereno dei rifugiati” che lo desiderano. Nel frattempo si raccomanda la riattivazione del Dipartimento per gli Affari dei Rifugiati. (L.M.)

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Card. Filoni in visita in Colombia per il Congresso missionario

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Il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, sarà in visita pastorale in Colombia, dal 21 al 28 maggio, per l’ordinazione episcopale dei vicari apostolici di Puerto Gaitán e di San Andrés y Providencia, la visita al vicariato apostolico di Guapi e a quello di Puerto Leguízamo, e per presiedere il Congresso Missionario nazionale a Bucaramanga.

A Bogotà ordinazione episcopale
Domenica 22 maggio alle ore 10, nella cattedrale di Bogotà, il card. Filoni presiederà l’ordinazione episcopale del vicario apostolico di Puerto Gaitán, Raúl Alfonso Carrillo Martínez, e del vicario apostolico di San Andrés y Providencia, Jaime Uriel Sanabria Arias.

Messa e incontro con il clero, religiose e seminaristi a Guapì
Lunedì 23 maggio è prevista la visita al vicariato apostolico di Guapi, sulla costa del Pacifico, dove incontrerà sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi e gruppi di apostolato, quindi le autorità locali, e presiederà la Messa nella cattedrale. 

L'incontro con le comunità indigene dell'Amazzonia colombiana
Il giorno seguente, 24 maggio, il prefetto del dicastero missionario sarà nel vicariato apostolico di Puerto Leguízamo, nell’Amazzonia colombiana, dove incontrerà i catechisti delle comunità indigene, principalmente Murui e Quichua, e visiterà una comunità indigena. Dopo la Messa nella cattedrale e l’incontro con le autorità civili, militari e religiose, nel pomeriggio la partenza per Bogotà. In serata il cardinale si recherà a visitare la sede della direzione nazionale delle Pontificie Opere Missionarie della Colombia.

Incontri con il Presidente Santos, il Celam e la Conferenza episcopale
Mercoledì 25 maggio è prevista la visita alla sede del Celam, l’incontro con il Presidente della Repubblica, Juan Manuel Santos, e con il Segretariato della Conferenza episcopale. In serata la Santa Messa nel Seminario Intermisional San Luis Bertrán, seguita da un incontro con i Superiori e i seminaristi.

L'apertura del XII Congresso Missionario nazionale
Nella mattina di giovedì 26 maggio il card. Filoni si trasferirà a Bucaramanga dove presiederà, nel pomeriggio, la Messa di apertura del XII Congresso Missionario nazionale. 

Incontro con tutti i vicari apostolici e Messa a Bucaramanga
Il giorno seguente, venerdì 27 maggio, terrà la prima relazione del Congresso. Nel pomeriggio sono previsti gli incontri con tutti i vicari apostolici e quindi con tutti gli arcivescovi metropoliti. Alle 19,30 il card. prefetto presiederà l’Eucaristia nella cattedrale per i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i movimenti laicali dell’arcidiocesi di Bucaramanga.

Messa di invio dei missionari
​Sabato 28 maggio il card. Filoni presiederà la Messa di invio dei missionari, quindi rientrerà a Bogotà e da qui a Roma. (S.L.)

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Vescovi del Messico: no a nozze gay nella Costituzione

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I vescovi messicani intervengono attraverso un comunicato stampa dopo che il Presidente Enrique Peña Nieto ha proposto d’inserire nella Costituzione il matrimonio omosessuale. Una proposta, quella del Presidente messicano, arrivata dopo una recente sentenza della Corte suprema del Paese.

Sul tema, Chiesa chiede dialogo costruttivo nel pieno rispetto delle istituzioni
Il comunicato - riporta l'agenzia Sir - firmato dal presidente della Conferenza episcopale messicana (Cem), card. José Francisco Robles Ortega, arcivescovo di Guadalajara, e dal segretario generale, mons. Alfonso G. Miranda Guardiola, vescovo ausiliare di Monterrey, sottolinea che “è prioritario evitare ogni discriminazione”. Al tempo stesso, “riteniamo che prima di prendere le iniziative date a conoscere, che danno inizio a tutto il processo legislativo e democratico, sia necessario studiare a fondo tutte le conseguenze che queste scelte portano con sé. Siamo certi che, dentro la pluralità che caratterizza la nostra nazione, tutte le voci dovranno essere ascoltate con serietà, in spirito di dialogo costruttivo, nel pieno rispetto delle istituzioni”.

Le unioni tra persone dello stesso sesso non possono essere equiparate al matrimonio
Prosegue la nota: “Ripetiamo che ogni persona, indipendentemente dal suo orientamento sessuale, dev’essere rispettata nella sua dignità”. Certo, riflettono i vescovi messicani, “in una società nella quale non si avverte con chiarezza che solo l’unione esclusiva tra un uomo e una donna compie una piena funzione sociale per il fatto di essere un impegno stabile e perché rende possibile la fecondità, riconosciamo che una grande varietà di situazioni può aspirare a una certa stabilità”. Tuttavia, “le unioni di fatto o le unioni tra persone dello stesso sesso, per esempio, non possono essere equiparate al matrimonio. Nessuna unione precaria e chiusa alla trasmissione della vita ci assicura il futuro della società”. I vescovi citano a tale proposito la recente esortazione apostolica Amoris laetitia. (R.P.)

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Colombia: card. Salazar è ottimista sulle trattative di pace

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L’arcivescovo di Bogotá e presidente del Celam (Consiglio episcopale latinoamericano), card. Rubén Salazar Gomez, è intervenuto da Roma, dove si trova in questi giorni con la presidenza del Celam, per commentare l’accordo tra Governo colombiano e Farc grazie al quale i minori arruolati nelle fila della guerriglia cesseranno di essere combattenti e saranno coinvolti in programmi di reinserimento sociale. Il cardinale - riporta l'agenzia Sir - ha ricordato che la Chiesa appoggia sempre iniziative che permettano il reinserimento di chi abbandona le armi, “soprattutto se si tratta di bambini”. 

La Chiesa sempre presente nel reinserimento dei guerriglieri
​La Chiesa, dal canto suo, “è sempre stata presente in questo cammino” di reinserimento di chi aveva partecipato alla guerriglia. “Esistono a questo proposito una serie di iniziative, sia del Governo che della Chiesa che spesso si completano e si appoggiano l’una con l’altra, per ottenere questo reinserimento, soprattutto se si tratta di minori che nella maggior parte dei casi erano stati reclutati in maniera violenta e per questo hanno necessità di un’attenzione particolare per tutti gli aspetti della loro crescita”.

Il cardinale è fiducioso sulle trattative di pace
Allargando lo sguardo al complesso delle trattative di pace l’arcivescovo di Bogotá, in un colloquio con l’agenzia Aciprensa, afferma: “Abbiamo vissuto per tanti anni una situazione anormale, assurda, senza alcuna spiegazione. Ora c’è la possibilità che la situazione cambi radicalmente” e che la guerriglia abbandoni l’idea d’imporre le proprie idee con le armi, “convertendosi in un partito politico che entra nel gioco democratico”. (R.P.)

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Chiesa Nigeria: rispettare la vita dal concepimento a morte naturale

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Il rispetto della vita umana dal concepimento e fino alla morte naturale è uno degli aspetti che identificano gli africani: ad affermarlo, nei giorni scorsi, è stato mons. Emmanuel Badejo, vescovo di Oyo, in Nigeria. Il presule è stato ospite, nel Regno Unito, di una serie di incontri pro-vita organizzati dalla Società per la tutela dei nascituri (Society for the Protection of the Unborn Children), organismo molto noto nel settore e che, ad aprile dello scorso anno, è stata ospite, in Nigeria, di una conferenza dei vescovi locali sul tema della vita e della famiglia.

Cultura della famiglia in Africa è sotto attacco
Mons. Badejo si è, quindi, soffermato sulla questione della contraccezione e dell’aborto, ribadendo che ridurre i problemi dell’Africa solo alla sfera della sessualità è segno “sia di ignoranza che di mancanza di rispetto per i valori propri del continente”. Un atteggiamento sbagliato dovuto, ha spiegato il presule, ad “una convinzione errata ed al presupposto che l’Africa sia sovrappopolata e che quindi occorrano strategie contrarie alla vita”. Ma questo “è un attacco diretto” alla cultura della famiglia che in Africa è particolarmente sentita, ha spiegato il vescovo.

Lottare contro corruzione e imperialismo culturale
Al contrario, ha sottolineato, “solo una buona amministrazione, una buona assistenza sanitaria, una buona politica ed una buona educazione che permetta ai Paesi africani di liberarsi dalla corruzione possono risolvere i problemi sociali del continente”. Di qui, l’appello del presule a lottare contro “l’invasione aggressiva di una certa cultura della morte” che promuove la contraccezione, l’aborto, il divorzio per “minare la fede ed i valori nei Paesi in via di sviluppo”. In un certo senso, ha ribadito il vescovo di Oyo, è come se l’Africa stesse vivendo “un imperialismo culturale” imposto dall’esterno e ciò è “irrispettoso ed immorale”, soprattutto quando gli aiuti internazionali per il continente vengono legati all’accettazione di leggi contrarie alla cultura locale.

Sensibilizzare i giovani sui temi della vita
Parlando, poi, delle attività pro-vita in Nigeria, mons. Badejo si è soffermato sulla necessità di accrescere la consapevolezza dei giovani sull’argomento: un compito portato avanti grazie all’aiuto di molti sacerdoti e che viene apprezzato anche “dagli esponenti musulmani del Paese”, attenti alla tutela della famiglia. Non solo: la Provincia ecclesiastica di Ibadan sta preparando la pubblicazione di alcuni volumi sulla catechesi per la vita e la famiglia: “L'idea – ha spiegato il presule - è quella di presentare l'insegnamento della Chiesa sulla cultura della vita con un linguaggio accessibile alla nostra gente”.

La strategia “abc” contro l’Aids
Infine, a proposito della lotta all’Aids, mons. Badejo ha ricordato la strategia denominata “ABC”, ovvero astinenza, fedeltà e preservativo (abstinencw, be faithful, condom), ribadendo che “la Chiesa sta facendo molto per promuovere la A e la B”, che danno ottimi risultati, mentre “il mondo occidentale investe denaro solo nella C”. “Essere a favore della vita – ha concluso il vescovo nigeriano – significa dimostrare amore per Dio e rispettare l’umanità”. (I.P.)

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Vescovi Angola: corruzione e mancanza di etica bloccano lo sviluppo

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La crescita socio-economica dell’Angola è oggi ostacolata da una cattiva gestione della cosa pubblica, dalla corruzione e dalla mancanza di etica. E’ quanto denuncia mons. José Imbamba, vice-presidente della Conferenza episcopale angolana (Ceast), in un’intervista all’agenzia cattolica portoghese “Ecclesia”, in cui richiama l’urgenza di investire nell’educazione e nel settore sanitario per risollevare il Paese dall’attuale crisi.

La crisi ha radici profonde
Dopo il boom registrato in questi anni, l’economia angolana sta subendo i contraccolpi del calo del prezzo del petrolio, di cui l’Angola è diventato il primo produttore del Continente, seguito dalla Nigeria e dalla Libia. Ma, secondo l’arcivescovo di Saurimi, la crisi ha radici ben più profonde: “Quando il prezzo del petrolio era alto, avevamo eccedenze che avrebbero dovuto aiutare a fare fronte a questa fase critica, ma c’è stato un uso improprio dei fondi pubblici", afferma il presule,  che auspica una seria riflessione su "problemi che, se non affrontati, comprometteranno ogni possibilità di sviluppo futuro”. Tra questi la mancanza di etica, la corruzione, il clientelismo, il nepotismo. “L’Angola – osserva - è una nazione potenzialmente ricca in cui tutti gli angolani potrebbero vivere bene, ma la distribuzione dei redditi non soddisfa i bisogni di tutti e gli squilibri sociali sono ancora evidenti”.

Formare la coscienza civica degli angolani
A questo si aggiungono le ferite ancora aperte della guerra civile che ha insanguinato il Paese per quasi trent’anni. Secondo la Chiesa angolana – evidenzia mons. Imbamba - la “vera ricostruzione e rinascita dell’Angola parte dai cittadini", mentre occorre un “salto di qualità” dei politici e governanti. Questo processo è tuttavia “lento, perché i tassi di analfabetismo sono troppo alti" e la "coscienza civica degli angolani lascia ancora molto a desiderare", spiega il presule. Ecco perché – sottolinea - occorre puntare sull’educazione e mantenere il dialogo coinvolgendo innanzitutto i cittadini perché possano “contribuire positivamente e in modo responsabile alla ricostruzione del paese".  

Investire meglio nella sanità pubblica
Uno dei settori che meglio illustra la situazione di stallo dell’Angola – spiega l’arcivescovo - è quello della sanità. Il Governo,  infatti, investe molto nelle strutture sanitarie , ma poco nella formazione delle risorse umane. Con il risultato che esistono apparecchi di ultima generazione, ma manca personale capace di usarli. A questo si aggiunge il fatto che molte risorse che potrebbero essere usate per curare la popolazione vengono destinate a progetti privati che hanno come unico obiettivo il profitto. (A cura di Lisa Zengarini)

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Vescovi Canada: tutelare i cristiani in Terra Santa

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Incoraggiare il governo di Israele a riconoscere le rivendicazioni della piccola comunità cristiana palestinese nella Valle del Cremisan ed a qualificare come “genocidio” le atrocità perpetrate dal sedicente “Stato Islamico”: sono queste le richieste presentate dalla Conferenza episcopale del Canada al Ministero nazionale degli Esteri. In una missiva a firma di mons. Douglas Crosby, presidente della Chiesa locale, inviata al ministro Stephane Dion, si mettono in luce le difficoltà dei cristiani in Medio Oriente e nelle regioni in cui predomina l’Is.

Cristiani in Terra Santa possano vivere senza paura e senza violenza
“Un gran numero di persone in Terra Santa deve confrontarsi con la violenza e con la guerra”, si legge nella lettera, che esprime la preoccupazione della Chiesa canadese per il muro di separazione tra Israele e i Territori palestinesi. L’area accoglie la parrocchia di Beit Jala, i terreni di 58 famiglie cristiane ed anche un monastero e un convento dei salesiani, con annessa scuola elementare. “Siamo consapevoli – scrive mons. Crosby – delle preoccupazioni legittime, in materia di sicurezza, che rileva lo Stato di Israele per quanto riguarda gli elementi estremisti a Gaza”. Tuttavia, i vescovi canadesi “insieme ai presuli del mondo, condividono una profonda inquietudine per i residenti in Terra Santa, affinché possano vivere senza paura, senza violenza e senza odio”.

Appello al dialogo e condanna dell’antisemitismo
Di qui, l’appello che la Chiesa di Ottawa lancia al governo canadese perché “incoraggi le autorità israeliane a riconoscere ed a porre rimedio alla difficile situazione della comunità cristiana nella Valle del Cremisan”, esortando, al contempo, “tutte le parti in causa a dare prova di maggiore umanità nel regolare la questione, ricorrendo al dialogo ed ai negoziati, per trovare soluzioni alternative”. Dal suo canto, la Chiesa canadese esprime “profonda inquietudine e totale condanna dell’uso della violenza e del terrore in Terra Santa”. Centrale, poi, il richiamo al legame tra cristiani ed ebrei, definiti “fratelli maggiori, pari nella fede”: “La Chiesa cattolica – prosegue la missiva – richiama l’obbligo di impegnarsi insieme alla comunità ebraica nella denuncia di ogni forma di antisemitismo, ovunque si verifichi”.

Cristiani, principali vittime delle persecuzioni
Quanto alle vittime del così detto Stato Islamico, i vescovi di Ottawa ricordano che “tutte le minoranze religiose, inclusi i musulmani sciiti e gli yazidi, sono esposti alla persecuzione ed all’oppressione da parte del sedicente Is” e che “bisogna fare tutto il possibile per proteggerli ed aiutarli”. Al contempo, però, i presuli sottolineano che sono i cristiani, soprattutto in Nord Africa ed in Medio Oriente, a patire maggiormente “le persecuzioni, le restrizioni, le ostilità” degli estremisti islamici. In quest’ottica, la Chiesa canadese richiama la Dichiarazione di Marrakech, siglata lo scorso gennaio da 250 leader musulmani, con la quale si richiedono pari diritti per tutti e si condanna quanti usano la religione per “aggredire le minoranze” e la lotta armata “come mezzo per dirimere i conflitti e imporre il proprio punto di vista”.

Le violenze dell’Is siano dichiarate “genocidio”
Di qui, la richiesta al governo canadese di aderire alla risoluzione, approvata recentemente dall’amministrazione degli Stati Uniti, per riconoscere come “genocidio” le violenze perpetrate dall’Is. Dal suo canto, la Chiesa di Ottawa, si dice disponibile ad incontrare il Ministro degli Esteri nazionale per discutere tali richieste e promuovere la pace, la giustizia e la sicurezza in Terra Santa ed in tutto il Medio Oriente. (A cura di Isabella Piro)

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Rwanda: documento dei vescovi sulle scuole cattoliche

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Trentadue risoluzioni e raccomandazioni per ridare dinamicità all’educazione cattolica e per rinnovare le scuole nel Rwanda. Sono state elaborate al termine del colloquio “Educazione cattolica in Rwanda, 50 anni dopo ‘Gravissimum Educationis’: problematiche, sfide e prospettive” che si è svolto a Kigali, al Centro Pastorale San Paolo, con l’obiettivo di approfondire la missione dell’educazione cattolica nel Rwanda, per rispondere ai segni dei tempi con competenza e nella consapevolezza della specifica missione educativa nella società rwandese. L’incontro è stato organizzato dal Segretariato Nazionale dell’Insegnamento Cattolico (Snec) e dalla Chiesa cattolica e vi hanno preso parte rappresentanti dalle diverse diocesi del Paese, rettori di istituti cattolici, direttori di scuole, esponenti di varie confessioni religiose, studenti, genitori, responsabili di commissioni episcopali, vescovi. All’ordine del giorno le sfide dell’etica, la qualità dell’insegnamento, i finanziamenti, l’uso delle nuove tecnologie e la pastorale nelle scuole.

Necessaria un’educazione di qualità per lo sviluppo del Paese
I relatori intervenuti hanno sottolineato la necessità di un’educazione di qualità per lo sviluppo socio-economico del Paese in cui particolare importanza riveste l’impegno della Chiesa cattolica. Mons. Philippe Rukamba, vescovo di Butare e presidente della Conferenza episcopale, ha affermato che missione principale di una scuola cattolica è “offrire uno spazio di crescita intellettuale, di formazione professionale e di sviluppo culturale di qualità, alla luce del Vangelo”.

Libertà religiosa nelle scuole, assistenza per gli studenti e personale formato
Nelle risoluzioni pubblicate sul portale della Conferenza episcopale ruandese, viene evidenziata la necessità di garantire la liberà religiosa nelle scuole, di coinvolgere la Caritas in ogni sede scolastica e di creare collaborazioni tra le amministrazioni scolastiche e i genitori. Viene richiamata l’attenzione, poi, sulle minacce delle correnti della postmodernità ed incoraggiata l’educazione ai valori umani e cristiani, della libertà e dell’amore. Nelle scuole cattoliche si consiglia inoltre la presenza di operatori pastorali formati e si chiede di rendere visibili i segni della stessa identità cattolica. Sulla qualità dell’educazione si raccomanda di rafforzare le istituzioni pre-primarie, di organizzare servizi di counselling, di consolidare le cappellanie nelle scuole, di creare istituti tecnici e professionali, di combattere l’abbandono scolastico sensibilizzando i genitori, accompagnando i bambini e collaborando con le autorità pubbliche.

Attenzione per i disagiati e gli indigenti
Tra gli obiettivi di quanti operano nell’educazione anche una migliore organizzazione dei centri di alfabetizzazione per adulti, la promozione di una formazione permanente per il personale scolastico e un’attenzione specifica per i più vulnerabili e i più poveri. Tra le altre raccomandazioni l’invito alle scuole alla cooperazione e agli scambi, e l’auspicio di una maggiore collaborazione tra Chiesa e Stato perché vengano approntati strumenti adatti ad un’educazione inclusiva. Infine nelle scuole cattoliche si prevede il finanziamento di fondi di solidarietà.

Le scuole nel Rwanda oggi e l’identità delle scuole cattoliche
Oggi in Rwanda la Chiesa cattolica gestisce o partecipa alla gestione di oltre la metà di tutte le scuole, con 1.381 scuole frequentate da 1.175.369 allievi e studenti di cui 770 nelle scuole primarie. C’è da aggiungere anche la gestione di 9 istituti superiori. Molte infrastrutture dovrebbero essere ammodernate e sarebbero necessari nuovi edifici scolastici. I partecipanti al colloquio di Kigali hanno comunque concluso che l’identità di una scuola cattolica deve essere definita da tre elementi: l’essere un luogo in cui si vive la fede in Cristo e tutto sia improntato sul Vangelo; l’essere una comunità di vita condivisa in uno spirito di solidarietà e di comunione fraterna; l’aprire le porte a tutti, senza esclusione alcuna, e offrire ai più poveri, ai meno abbienti e ai più disagiati una formazione umana e cristiana. (A cura di Tiziana Campisi)

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Francia: mons. Pontier visita "giungla" di Calais

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“L’incontro avvicina, le idee allontanano”: si esprime così mons. Georges Pontier, presidente della Conferenza episcopale francese (Cef), dopo aver fatto visita alla così detta “giungla di Calais”, la baraccopoli in cui alloggiano migliaia di migranti provenienti soprattutto da Siria, Afghanistan e Sudan. In un’intervista pubblicata sul sito della Cef, il presule sottolinea l’importanza dell’accompagnamento cristiano nello sviluppo di un nuovo progetto di vita per i migranti.

Aprirsi all’accoglienza
Racconta, mons. Pontier, le testimonianze dei volontari che hanno visto la propria vita trasformata dall’incontro con gli immigrati bisognosi “di una mano tesa, di un sorriso, di una ricarica telefonica, di un aiuto per compilare i moduli burocratici”. Passati “dalla paura all’amicizia o, per lo meno, ad uno sguardo di benevolenza”, i volontari hanno spiegato come le loro vite siano state modificate da questa esperienza. Per questo, il presule ribadisce: “Voglio dire ai cattolici che l’incontro avvicina, mentre le idee allontanano”. Di qui, il richiamo a “cercare, ad osare l’esperienza dell’accoglienza, del sorriso, dell’apertura”.

Aiutare i migranti a sviluppare progetti per il futuro
Rivolgendosi, poi, ai migranti, il presule li incoraggia a non pensare di abbandonare per sempre i loro Paesi d’origine, perché “non è facile lasciare la propria cultura” e “l’Europa non è l’Eldorado”. Di qui, l’appello ai cristiani affinché accompagnino i profughi nello sviluppo di nuovi progetti, ad esempio “piccoli ristoranti o negozi di alimentari”, perché la mancanza di un progetto, e quindi di una prospettiva futura, “è la cosa peggiore, è disumanizzante”.

La delegazione della Cef
​Insieme a mons. Pontier, hanno visitato la così detta “giungla di Calais” mons. Jean-Paul Jaeger, vescovo di Arras; mons. Jacques Blaquart, vescovo di Orleans e presidente del Consiglio della solidarietà; mons. Renauld Dinechin, vescovo di Soissons e responsabile della Pastorale per i migranti. Ad accompagnarli anche mons. Olivier Ribadeau Dumas, segretario generale della Cef, e suor Christine Kohler, membro del Servizio nazionale per la Pastorale dei migranti e itineranti. (I.P.)

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Egitto: in parlamento la nuova legge sui luoghi di culto

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In Egitto, è ormai pronto il progetto di legge sulla costruzione dei luoghi di culto, allo studio da anni. Il testo è stato presentato il 16 maggio agli uffici competenti del Parlamento egiziano, che dovrà discutere e esprimersi nelle prossime settimane. Il provvedimento – riferisce l'agenzia Fides – consiste in 13 articoli e comprende al suo interno anche la definizione di “chiesa” e la descrizione dei meccanismi con cui risolvere eventuali problemi con le autorità amministrative locali. Esso riconosce anche il diritto dei vescovi a ricorrere al Consiglio di Stato in caso di ritardi imposti in maniera artificiosa alle procedure per la costruzione di nuove chiese.

Superate le regole che limitano la costruzione delle chiese cristiane
La nuova legislazione dovrebbe portare alla totale archiviazione delle regole disposte dal cosiddetto “Decreto Hamayoni”, la legge risalente al periodo ottomano che ancora regola la costruzione delle chiese in Egitto, ed è all'origine di numerose controversie a livello locale. Secondo tali regole, la costruzione delle chiese cristiane è sottoposta a vincoli che non pesano sulla costruzione di moschee, come il divieto di costruire luoghi di culto cristiani vicino alle scuole, ai canali, agli edifici governativi, alle ferrovie e alle aree residenziali. In molti casi, l'applicazione rigida di quelle regole ha impedito di costruire chiese in città e paesi abitati dai cristiani, soprattutto nelle aree rurali dell'Alto Egitto. 

L'autorizzazione per la costruzione di nuove chiese passa alle autorità locali
​Finora la costruzione di ogni nuova chiesa doveva essere autorizzata direttamente dal Presidente egiziano. La nuova proposta di legge prevede che la costruzione di nuove chiese sia vagliata e autorizzata dalle autorità locali. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 140

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.