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Sommario del 20/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Milan e Juventus: testimoniate veri valori dello sport

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Siate testimoni degli autentici valori dello sport. E’ l’esortazione levata da Papa Francesco stamani incontrando i calciatori, dirigenti e tecnici della Juventus e del Milan, che domani si affronteranno allo Stadio Olimpico di Roma, per la finale di Coppa Italia. Con loro anche i rappresentanti della Lega Nazionale della Serie A. Dal Pontefice l’incoraggiamento a rendere il calcio un “messaggio positivo per l'intera società”. Il servizio di Alessandro Gisotti

I calciatori sono chiamati a comportarsi in modo che sempre si possano scorgere in loro le “qualità umane di atleti impegnati a testimoniare gli autentici valori dello sport”. E’ quanto affermato da Papa Francesco che, incontrando in Vaticano i calciatori di Milan e Juventus, ha sottolineato quanto sia grande la loro responsabilità soprattutto rispetto ai giovani.

Il successo di una squadra viene dall’armonia tra capacità e valori
Quindi, ha messo l’accento sul gioco di squadra per ottenere successi nello sport, come nella vita:

“Il successo di una squadra, infatti, è il risultato di una molteplicità di virtù umane: l’armonia, la lealtà, la capacità di amicizia e di dialogo, la solidarietà; si tratta dei valori spirituali, che diventano valori sportivi. Esercitando queste qualità morali, voi potete far risaltare ancora di più la vera finalità del mondo dello sport, segnato, a volte, anche da fenomeni negativi”.

Il calciatore, ha soggiunto, prima di essere un atleta, “è una persona, con i suoi limiti e i suoi pregi, ma soprattutto con la propria coscienza”, che, ha detto, “spero sia sempre illuminata dal rapporto con Dio”. Non vengano mai meno quindi, tra di voi - è stato il suo incoraggiamento - “il gusto della fraternità, il rispetto reciproco, la comprensione e anche il perdono".

Siate campioni nello sport, ma prima nella vita!
"Fate in modo - ha soggiunto - che l’uomo sia sempre in armonia con l’atleta”, ritrovando anche la base dello sport:

“Siate campioni nello sport, ma soprattutto campioni nella vita! Esaltate sempre ciò che è veramente buono e bello, mediante una schietta testimonianza dei valori che devono caratterizzare l’autentico sport; e non temete di far conoscere con serenità ed equilibrio al mondo dei vostri ammiratori i principi morali e religiosi ai quali desiderate ispirare la vostra vita”.

“In questa prospettiva – ha concluso il Papa – vi è di aiuto lo sforzo che sta attuando la Lega di Serie A, affinché il gioco del calcio possa costituire un messaggio positivo per l’intera società”.

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Juve-Milan dal Papa: voci di Allegri, Brocchi, Chiellini, Malagò

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Dopo l’udienza con Papa Francesco, emozionati allenatori, dirigenti e giocatori di Juventus e Milan, alla vigilia della finale di Coppa Italia in programma domani allo Stadio Olimpico di Roma. Il servizio di Giancarlo La Vella

Il clima è stato quello delle partite di cartello, l’emozione pari a quella di ricevere un trofeo importante che dà senso a tutta una carriera. Questo il commento dei due allenatori di Milan e Juventus, Christian Brocchi e Massimo Allegri:

“Bellissimo, stupendo ed emozionante, anche perché ti guarda con uno sguardo che comprende quello che noi viviamo, quello che noi siamo, perché essendo un amante del calcio, riesce bene a far trasparire il suo pensiero. Quindi siamo molto emozionati e contenti di avere avuto questa occasione”.

R. – E’ stata un’emozione fantastica, un’esperienza unica: quindi c’è solo da ringraziarlo, anzitutto per quello che sta facendo per il mondo.

D. – Riuscire a prendere un gruppo partito male, quest’anno, per poi portarlo a rivincere lo scudetto, rispecchia un po’ i consigli di Papa Francesco: “Giochiamo per l’attacco, giochiamo per vincere, mai per difenderci...”

R. – E’ sempre così: bisogna giocare in attacco perché è il miglior modo per difendersi.

Per Giorgio Chellini, colonna dei bianconeri e della Nazionale, l’incontro con Francesco responsabilizza in modo particolare nei confronti dei giovani che guardano come modelli ai calciatori di successo:

“Credo che queste giornate servano anche per pensare, far prendere maggiormente coscienza del fatto che tramite le nostre persone, le nostre figure, educhiamo migliaia di ragazzi che incominciano a giocare e si stanno affacciando alla vita. Dovremmo pensarci più spesso: magari da giornate come questa possiamo anche uscirne noi, accresciuti, per regalare anche un futuro migliore a tanti bambini”.

Significativa emozione anche nelle parole del presidente del Coni, Giovanni Malagò:

“Ci ha dimostrato quanto lo sport sia oggi al centro dell’agenda proprio per i valori che deve trasmettere, per l’aspetto dell’inclusione sociale e quindi anche quello che sta succedendo con i migranti, perché lo sport non ha differenziazioni sociali e questo è stato molto apprezzato sia dai giocatori della Juve e del Milan e da tutte le delegazioni”.

E domani tutti allo Stadio Olimpico per assistere alla finale di Coppa Italia tra Juventus e Milan, una partita che sicuramente dopo l’incontro con Papa Francesco avrà un sapore diverso.

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Papa: comprensione per i peccatori ma mai negoziare la verità

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Enunciare una verità di Dio non va mai dissociato dalla comprensione per la debolezza umana. È quello che Gesù insegna nel Vangelo e che Papa Francesco mette in risalto commentando, alla Messa in Casa S. Marta, il brano in cui Gesù parla con i farisei dell’adulterio. Cristo, afferma il Papa, supera la visione umana che vorrebbe ridurre la visione di Dio ad una “equazione casistica”. Presenti alla Messa otto coppie che celebrano il 50.mo di nozze e una coppia che festeggia il 25.mo. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

È pieno di trappole il Vangelo. Quelle in cui farisei e dottori della legge cercano di far cadere Gesù per prenderlo in contropiede, minarne l’autorità e il credito di cui gode fra la gente. Una delle tante, riportata dal Vangelo del giorno, è quella che i farisei gli tendono domandandogli se sia lecito ripudiare la propria moglie.

Verità, non casistica
Papa Francesco la definisce la “trappola” della “casistica”, ordita da un “piccolo gruppetto di teologi illuminati”, convinti “di avere tutta la scienza e la saggezza del popolo di Dio”. Un’insidia dalla quale Gesù esce, afferma Francesco, andando “oltre”, “alla pienezza del matrimonio”. Lo aveva già fatto in passato con i sadducei, ricorda il Papa, circa la donna che aveva avuto sette mariti ma che alla risurrezione, asserisce Gesù, non sarà sposa di nessuno perché in cielo non si prende “né moglie né marito”.

In quel caso Cristo, nota il Papa, si riferì alla “pienezza escatologica” del matrimonio. Con i farisei, invece “va alla pienezza dell’armonia della creazione”: “Dio li creò maschio e femmina”, i “due saranno una carne sola”.

“Non sono più due, ma una sola carne. Dunque “l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. Sia nel caso del Levirato sia in questo, Gesù risponde dalla verità schiacciante, dalla verità contundente - questa è la verità! - dalla pienezza sempre! E Gesù mai negozia la verità. E questi, questo piccolo gruppetto di teologi illuminati, negoziavano sempre la verità, riducendola alla casistica. E Gesù non negozia la verità. E questa è la verità sul matrimonio, non ce né un’altra”.

Verità e comprensione
“Ma Gesù – prosegue Francesco – è tanto misericordioso, è tanto grande, che mai, mai, mai chiude la porta ai peccatori”. Per cui, non si limita a enunciare la verità di Dio ma chiede anche ai farisei cosa Mosè abbia stabilito nella legge. E quando i farisei gli ripetono che contro l’adulterio è lecito scrivere “un atto di ripudio”, Cristo replica che quella norma fu scritta “per la durezza del vostro cuore”. Ovvero, spiega il Papa, Gesù distingue sempre tra la verità e la “debolezza umana”, “senza giri di parole”:

“In questo mondo in cui viviamo, con questa cultura del provvisorio, questa realtà di peccato è tanto forte. Ma Gesù , ricordando Mosè, ci dice: ‘Ma, c’è la durezza del cuore, c’è il peccato, qualcosa si può fare: il perdono, la comprensione, l’accompagnamento, l’integrazione, il discernimento di questi casi… Ma sempre… ma la verità non si vende mai!’. E Gesù è capace di dire questa verità tanto grande e allo stesso tempo essere tanto comprensivo con i peccatori, con i deboli”.

Perdonare non è un'equazione
Dunque, sottolinea Francesco, queste sono le “due cose che Gesù ci insegna: la verità e la comprensione”, ciò che i “teologi illuminati” non riescono a fare, perché chiusi nella trappola “dell’equazione matematica” del “Si può? Non si può?” e quindi “incapaci sia di orizzonti grandi sia di amore” per la debolezza umana. Basti guardare, conclude il Papa, la “delicatezza” con cui Gesù tratta l’adultera sul punto di essere lapidata: “Neanch'io ti condanno; va e d'ora in poi non peccare più”.

“Che Gesù ci insegni ad avere con il cuore una grande adesione alla verità e anche con il cuore una grande comprensione e accompagnamento a tutti i nostri fratelli che sono in difficoltà. E questo è un dono, questo lo insegna lo Spirito Santo, non questi dottori illuminati, che per insegnarci hanno bisogno di ridurre la pienezza di Dio ad una equazione casistica. Che il Signore ci dia questa grazia”.

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Il dolore di Francesco per le vittime del volo EgyptAir

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Una preghiera per le anime dei defunti e una testimonianza di solidarietà per i loro parenti. A esprimerle è Papa Francesco alle vittime del disastro aereo dell’EgyptAir, in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin. Il Papa benedice anche le persone coinvolte nei soccorsi del volo, precipitato ieri nel Mediterraneo con 66 persone a bordo.

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Papa: necessario sì Santa Sede per istituti diocesani di vita consacrata

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Perché sia valida l’erezione di un Istituto diocesano di vita consacrata sarà necessaria, dal prossimo primo giugno, la previa consultazione della Santa Sede “pena la nullità del decreto di erezione dell’Istituto stesso”. Lo ha stabilito il Papa in un Rescritto, a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, seguendo il parere del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi.

La decisione - si legge nel Rescritto - deriva dalla consapevolezza che “ogni nuovo Istituto di vita consacrata, anche se viene alla luce e si sviluppa all’interno di una Chiesa particolare, è un dono fatto a tutta la Chiesa”, e dalla necessità, segnalata dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata religiosa e le Società di vita apostolica, “di evitare che vengano eretti a livello diocesano dei nuovi Istituti senza il sufficiente discernimento che ne accerti l’originalità del carisma, che definisca i tratti specifici che in essi avrà la consacrazione mediante la professione dei consigli evangelici e che ne individui le reali possibilità di sviluppo”. Ma ascoltiamo, al microfono di Christopher Altieri, mons. Juan Ignacio Arrieta, segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi: 

R. - Il Papa ha precisato un canone del Codice di Diritto Canonico, il canone 579, che riconosce che tutti i vescovi possono, nella propria diocesi, erigere istituti di vita consacrata o società di vita apostolica. Adesso, il vescovo, per erigerli, secondo il Codice, deve consultare previamente la Santa Sede. Il Papa con questo Rescritto dice che questa consultazione è precettiva, è obbligatoria, e che se non viene consultata la Santa Sede, l’erezione di un istituto diocesano è nulla, è invalida. L’unica novità, quindi, è quella di stabilirlo con chiarezza, in modo anche rapido. Per questo il Rescritto e non altre forme. Con questa procedura rapida il Papa ha indicato che questa consultazione è per la validità.

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Padre Patton neo Custode di Terra Santa: accoglietemi come un fratello

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Il governo generale dell’Ordine dei Frati Minori ha nominato il nuovo Custode di Terra Santa. Si tratta di Padre Francesco Patton, 53 anni di origini trentine, che succede a Padre Pierbattista Pizzaballa. Come è stata accolta questa nomina, approvata dalla Santa Sede, dal nuovo Custode? Ascoltiamo fra Francesco Patton, intervistato da Amedeo Lomonaco: 

R. – Con sorpresa e anche con timore e trepidazione, sapendo che si tratta di una realtà complessa e delicata, importante per l’Ordine e anche per la Chiesa.

D. – Qual è il suo speciale legame con la Terra Santa?

R. – Il mio legame è un legame da francescano. Francesco ha amato questa Terra e si è recato lì come pellegrino. Il mio legame è anche attraverso i frati che me ne hanno parlato, frati che ho conosciuto, che lì sono vissuti e che lì hanno dato la vita sia nel servizio nei santuari sia anche nel servizio dell’insegnamento e nella ricerca. E' questo un altro dei tratti qualificanti della Custodia di Terra Santa, attraverso la facoltà di Archeologia biblica ed esegesi, lo Studium Biblicum Francescanum. Si aggiunge a questo tutto l’impegno di ricerca archeologica che c’è stato da parte dei frati in Terra Santa in questi ultimi secoli. Grazie anche a questo impegno, c’è stato un recupero di luoghi fondamentali come Cafarnao, la casa di Pietro e tanti altri posti. E anche questo fa parte della nostra storia. Anche questo fa parte dell’impegno della stessa Custodia.

D. – Prima dell’inizio di questa importante missione, c’è qualcosa che vuole dire alle comunità cristiane di Terra Santa?

R. – Alle comunità cristiane di Terra Santa io direi che vengo con molta umiltà, in punta di piedi. Vengo con, nel cuore, un grande amore per questa Terra. Chiedo anche di essere accolto e aiutato a svolgere il mio servizio per il bene delle persone che lì vivono e per il bene delle persone che vengono per studio, per pellegrinaggio o, anche semplicemente, per una curiosità nei confronti di questi luoghi. Ma quello che chiedo, appunto, è di essere accolto come un fratello.

D. – Accolto come un fratello che porta un nome importante, quello di Francesco… con un riferimento al fondatore dei francescani, ma anche all’attuale Papa…

R. – Entrambi portano lo stesso nome. Io pure porto quel nome. Sappiamo che quel nome vuol dire anche impegno faticoso per costruire ponti, per costruire il dialogo, per costruire la pace. Il saluto francescano è proprio: “Il Signore vi dia pace”. Questo penso sia non solo un saluto, ma anche un programma di vita.

D. – Il fondatore dei francescani, San Francesco di Assisi, all’inizio del XIII secolo, si recò nel Medio Oriente, in quei luoghi che costituiscono una testimonianza della rivelazione di Dio. Sono luoghi oggi molto cambiati, ma l’amore per Cristo, povero e crocifisso, continua ad illuminare questa martoriata terra, ricca di speranza per l’umanità. Quali sono le sue speranze?

R. – Le mie speranze sono quelle di poter vivere lì con lo stile di San Francesco. Sappiamo che nel 1219, quando è andato appunto in Terra Santa, lui ha saputo vivere la realtà dell’incontro. E credo che, come suggerisce spesso Papa Francesco, quella sia una terra dove sia importante costruire ponti. Poi, evidentemente, per noi ha un significato tutto speciale, perché è la terra nella quale si è compiuta l’incarnazione, nella quale si è compiuta la passione, morte e risurrezione del Signore Gesù. Quindi, per noi è toccare, oserei dire, la carne della nostra fede.

D. – Quali sono oggi i tratti distintivi di questa importante e preziosa presenza francescana in Terra Santa?

R. – I tratti distintivi sono la custodia dei santuari, quindi dei luoghi legati proprio alla presenza biblica ed anche dei luoghi legati alla vita stessa di Gesù: i luoghi dove lui ha vissuto, dove ha predicato, dove poi, appunto, è morto e dove è risorto. La Custodia di Terra Santa, chiaramente, ha una presenza più ampia in Medio Oriente, perché comprende anche la Siria, la Giordania, l’Egitto, il Libano e ha una presenza a Rodi e a Cipro. Si tratta, quindi, di una presenza un po’ in tutto il Medio Oriente ed è una presenza che deve essere di tipo pastorale, di tipo religioso e spirituale. Sappiamo, però, che avendo a che fare con le persone, deve essere anche una presenza, in questo momento, di riconciliazione e di pace.

D. – Amare, dunque, le pietre che costituiscono la memoria di Gesù, ma amare anche le “pietre vive”, le comunità cristiane presenti in questa terra…

R. – Certamente. Non si può amare le pietre che richiamano il mistero dell’incarnazione e non amare le persone nelle quali continua anche il mistero dell’incarnazione. Sappiamo che la Custodia di Terra Santa ha anche un significato pastorale nella cura dei cristiani di rito latino presenti nella Terra Santa e anche un significato sociale, attraverso una presenza nelle scuole, nell’educazione… Non è solo, quindi, una presenza spirituale, ma è anche una spiritualità a sua volta incarnata.

D. – La Terra Santa è anche una terra di pellegrinaggi. Possono essere proprio i pellegrinaggi, questi itinerari di fede, strumenti privilegiati per promuovere la pace?

R. – I pellegrinaggi sono uno strumento fondamentale per sostenere la presenza cristiana in Terra Santa. Grazie ai pellegrinaggi, infatti, i cristiani locali hanno lavoro e la possibilità di una vita dignitosa. Poi, i pellegrinaggi sono un modo per far conoscere questa realtà, questa terra, i popoli che lì vivono, e fare in modo che ci sia anche un amore da parte dei pellegrini, non solo nei confronti dei luoghi, ma anche per le persone. Chiaramente, poi, i pellegrinaggi sono soprattutto un’esperienza di fede, perché attraverso il pellegrinaggio si entra in contatto con quella che è la nostra storia e con quelli che sono i luoghi della storia della salvezza.

D. – Come si intreccia la missione di custodire la Terra Santa con gli sforzi per la pace, per la riconciliazione?

R. – Credo che si intrecci in tanti modi, perché si intreccia attraverso quelli che sono i contatti quotidiani con le persone, tra le persone. Si intreccia attraverso uno stile di vita presso quei luoghi. Si intreccia nel campo dell’educazione: le scuole sono luogo di incontro di ragazzi e di giovani di varie provenienze etnico-religiose. Si realizza anche, soprattutto, attraverso uno stile di vita che è uno stile di vita dialogante e pacifico.

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Vaticano. Siglato accordo-quadro tra S. Sede e RD Congo

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Un Preambolo e 21 Articoli per fissare il quadro giuridico dei rapporti tra Santa Sede e Repubblica Democratica del Congo, “prendendo atto della rispettiva indipendenza e autonomia della Chiesa e dello Stato e delle loro buone relazioni”. È questa l’architettura del documento sottoscritto oggi, in una cerimonia al Palazzo Apostolico in Vaticano, dai rappresentanti di entrambi gli Stati.

L’Accordo-quadro, che entrerà in vigore con lo scambio degli strumenti di ratifica,  sancisce in particolare, si legge in una nota, “la posizione giuridica della Chiesa cattolica nell’ambito civile e la sua libertà nell’attività apostolica e nella regolazione delle materie di propria competenza. Vengono, inoltre, disciplinati vari ambiti, tra cui le istituzioni cattoliche di educazione, l’insegnamento della religione nelle scuole, l’attività assistenziale-caritativa della Chiesa, la cura pastorale nelle Forze Armate e nelle Istituzioni penitenziarie ed ospedaliere, il regime patrimoniale e fiscale, l'ottenimento dei visti d'ingresso e dei permessi di soggiorno per il personale religioso. Prevede intese applicative tra la Conferenza Episcopale e lo Stato su alcune materie di comune interesse”.

La delegazione della Santa Sede era presieduta dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, mentre per la Repubblica Democratica del Congo era presente il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Raymond Tshibanda N'Tungamulongo.

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Giubileo, l'incontro per gli operatori della comunicazione

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Aiutate la Chiesa a sollevare lo sguardo e a non tenerlo fisso a terra. Così mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione, durante la Messa celebrata nel pomeriggio di ieri, nella Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma. L’incontro rientra negli appuntamenti dedicati agli operatori della comunicazione e agli artisti, nell’ambito del Giubileo della Misericordia. Prima della celebrazione eucaristica, il passaggio della Porta Santa. Ma quale il messaggio del Giubileo della Misericordia per gli operatori della comunicazione? Debora Donnini lo ha chiesto allo stesso mons. Viganò: 

R. – Vogliamo richiamare tutti gli artisti, coloro che si occupano appunto dell’esprimere con l’arte pittorica, quella drammaturgica, al fatto che loro partecipano in qualche modo del respiro del mondo, intercettano con animo sensibile l’invisibile e l’indicibile, e lo esprimono. E questo mi riporta alle parole di Paolo VI quando diceva agli artisti: “La vostra arte è proprio quella di carpire dal cielo dello Spirito i suoi tesori e rivestirli di parole, di colori, di forme, di accessibilità”. Quindi, misericordia e comunicazione, misericordia e arte è un modo per richiamare a tutti gli artisti la responsabilità di raccontare con le loro opere, con le loro capacità professionali il volto di Dio misericordioso.

D. – Guardando proprio al mondo della comunicazione, come può questa riuscire a unire anziché dividere e contrapporre, creando nemici?

R. – Intanto, c’è una responsabilità della parola detta e della parola scritta; in questo caso è molto importante utilizzare tutta la sfumatura e la varietà che le parole ci permettono di utilizzare: quindi non tutto è una tragedia, non tutto è un dramma; ci sono alcuni eventi che sono problematici, alcuni eventi che possono essere dei momenti di ferita, ma immediatamente possono anche suggerire una prospettiva, un orizzonte di speranza che insieme si può costruire. Quindi, diciamo una parola scritta o detta che sia il dialogo anzitutto di delineare un orizzonte nel quale ritrovarsi a costruire una soluzione ai problemi. E poi credo anche la capacità di chi è chiamato, nell’industria culturale in particolare – penso ai broadcast oppure ai quotidiani – a essere vicini alle persone. E Papa Francesco nella “Laudato si’” ci ricorda come in fondo l’industria della cultura molto spesso viva al centro delle città, perché là si muove l’economia, lì si muovono i servizi della comunicazione oltre che altri. Quindi, chi produce la comunicazione e l’informazione molto spesso è distante da quelle periferie nelle quali poi le persone con difficoltà vivono, lottano, cercano di sognare, di sperare. Questo è un “gap” che in qualche modo va risolto. Certamente, la Rete rende il mondo più globale e insieme anche più prossimo. Però, certo, da questo punto di vista è necessario che anche le stesse strutture di produzione abbiano un orecchio, una mano, uno sguardo nei luoghi della periferia.

D. – Infatti, il Papa, nel Messaggio per la Giornata per le comunicazioni, ha scritto che l’incontro tra comunicazione e misericordia è fecondo quando genera prossimità. Quindi, prossimità secondo lei soprattutto verso gli ultimi, i migranti, i poveri?

R. – Non solo queste persone, ma verso tutte quelle che il Papa chiama “le periferie”. Ci sono delle periferie dell’esistenza che sono vissute da persone che anche economicamente stanno molto bene ma hanno il cuore tarlato di rancore, per esempio. Oppure, che è incapace di vedere la prospettiva di un perdono perché è incapace di riconoscersi peccatore… Credo che sia fecondo quando la parola sa risvegliare profondamente un grande desiderio di Dio.

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Sala Stampa: card. Calcagno sereno su inchiesta patrimonio clero Savona

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“In merito alle recenti notizie pubblicate da organi di stampa circa fatti afferenti la gestione del patrimonio dell’Istituto per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Savona – informa un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede – il cardinale Domenico Calcagno, presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, attende di ricevere la notifica degli atti formali del procedimento instaurato dalla procura della Repubblica presso il Tribunale di Savona”.

Circa il merito della vicenda, prosegue la nota, il “cardinale Calcagno conferma la propria serenità per il lavoro svolto, considerando che si tratta di questioni insorte principalmente in un periodo di tempo successivo al 7 luglio 2007, data in cui lasciò l’ufficio di Vescovo di Savona-Noli”. “In ogni caso – conclude il comunicato – le operazioni oggetto di indagine non sono in alcun modo collegate al patrimonio vaticano né all’incarico attualmente ricoperto dal cardinale”.

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Nomine episcopali in Francia e Spagna

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione (Francia), e il cardinale Antonio Cañizares Llovera, arcivescovo di Valencia (Spagna).

In Lituania, il Papa ha nominato vescovo di Panevėžys mons. Genadijus Linas Vodopjanovas, dei Francescani Minori, finora ausiliare di Telšiai. Il presule Genadijus Linas Vodopjanovas è nato l’8 giugno 1973 a Neringa (Nida) diocesi di Telšiai.  Nel 1991, dopo aver frequentato la scuola primaria e secondaria a Nida, è entrato tra i Postulanti del Convento dei Frati Minori a Kretinga, nella diocesi di Telšiai. Dal 1992 al 1993 ha compiuto il Noviziato a Kennebunkport, nel Maine, USA, e il 4 giugno 1993 ha emesso i primi voti. Dal 1993 al 1995, dopo il rientro in Lituania, ha frequentato il Seminario di Kaunas, studiando nella Facoltà di Teologia dell’Università Vytautas Magnus. Dal 1995 al 2000, inviato a completare la sua formazione in Italia, ha studiato presso lo Studio Teologico San Bernardino dei Frati Minori di Verona, affiliato alla Pontificia Università “Antonianum”di Roma. Il 26 maggio 2000 ha conseguito il titolo di Baccelliere in Teologia.     Il 15 agosto 1996 ha emesso i voti perpetui, scegliendo il nome di Linas. Il 15 agosto 1999 ha ricevuto l’ordinazione diaconale e il 15 luglio 2000 quella sacerdotale, da S. E. Mons. Antanas Vaičius, allora Vescovo di Telšiai. Dopo l’ordinazione sacerdotale Padre Linas è stato Guardiano del Convento dell’Annunciazione di Kretinga negli anni 2001-2004. É stato, quindi, nominato Parroco della Parrocchia di Kretinga dal 2003 al 2004, quando è divenuto Guardiano del Convento della Collina delle Croci a Šiauliai. Nel 2007 il Capitolo Provinciale lo ha nominato anche Maestro dei Novizi ed, infine, è stato eletto Vice-Provinciale della Provincia lituana “ San Casimiro” dei Frati Minori. Nel 2010 è stato nominato Parroco dell’Annunciazione a Kretinga. L’11 febbraio 2012 a soli 38 anni di età è stato nominato Vescovo Ausiliare di Telšiai ed è stato consacrato il successivo 14 aprile.

In Italia, il Pontefice ha nominato arcivescovo di Acerenza mons. Francesco Sirufo, attuale amministratore diocesano di Tursi-Lagonegro (Italia). Il presule è nato il 1° gennaio 1961 a Castelluccio Inferiore (PZ), diocesi di Tursi-Lagonegro. Ha conseguito il Baccellierato in Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale - Sezione San Luigi di Napoli. Nel 1994 ha conseguito il Dottorato in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Lateranense. È stato ordinato sacerdote il 3 agosto 1986, incardinandosi nella diocesi di Tursi-Lagonegro. È stato Viceparroco della parrocchia "San Nicola di Bari" in Lauria Superiore (PZ) dal 1985 al 1989; Parroco di "San Francesco di Assisi" in Senise (PZ) dal 1989 al 1994; Parroco di "San Nicola di Bari" in Lauria Superiore (PZ) dal 1994 al 2008. Dal 2008 è Parroco di "Santa Caterina Vergine e Martire" in Viggianello (PZ). È stato Docente di Religione Cattolica nei Licei Statali. Dal 1986 al 2008 ha tenuto tutti i corsi di Diritto Canonico presso l'Istituto Diocesano di Scienze Religiose. Dal 1994 è Professore Ordinario di Diritto Canonico presso l'Istituto Teologico annesso al Seminario Maggiore Interdiocesano della Basilicata in Potenza, che dal mese di settembre 2011 dirige in quanto Prefetto agli Studi. Ha ricoperto l'incarico di Assistente ecclesiastico del Settore giovani di Azione Cattolica (1988-1995), di Vicario foraneo della Zona "Mercure" (1995-2000). È stato membro del Consiglio Pastorale Diocesano, del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori. Dal 1996 è Vicario giudiziale e dal 2005 anche Vicario Episcopale per il clero. A seguito del trasferimento di S.E. Mons. Francescantonio Nolè all’arcidiocesi metropolitana di Cosenza-Bisignano, Mons. Sirufo è stato eletto Amministratore diocesano il 5 ottobre 2015.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Dio non è un’equazione: messa a Santa Marta.

L’indulgenza ogni giorno: dall’inviato Gaetano Vallini nella cittadina spagnola di Caravaca dove da otto secoli si venera una reliquia della “santissima e vera croce”, con stralci dell’omelia tenuta, il primo dicembre 2002, dal cardinale Joseph Ratzinger alla vigilia del primo giubileo locale.

Memorie con speranza: Antonio Pelayo sulla presentazione, all’ambasciata di Spagna, del libro del cardinale Fernando Sebastian.

L’amicizia tra follia e pentimento: Emilio Ranzato sul film “La pazza gioia” di Paolo Virzì.

Un brano tratto dal libro di Victor Manuel Fernandez, arcivescovo rettore della Pontificia università cattolica argentina, dal titolo “Uscire per annunciare. Come Papa Francesco ci spinge alla missione”.

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Oggi in Primo Piano



Volo EgyptAir, trovati i primi resti umani

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Continuano senza sosta le ricerche e le indagini sulla scomparsa dell'aereo Egyptair, con 66 persone a bordo, avveuta nel Mediterraneo, a largo dell’isola greca di Karpathos. Oggi il ritrovamento, dopo diversi annunci e smentite, dei primi resti umani e di alcuni effetti personali dei viaggiatori, nel tratto di mare tra la Grecia e l’Egitto. Ancora nessuna certezza sulle cause: l’ipotesi terrorismo non si esclude, afferma il ministro degli Esteri italiano, Gentiloni. Intanto, uno dei satelliti dell'Agenzia spaziale europea ha avvistato una macchia di carburante nel tratto di mare in cui è caduto l'aereo. Il servizio di Daniele Gargagliano

Lo scenario della tragedia inizia a prendere forma. Ritrovati anche i resti umani di alcuni tra i passeggeri che viaggiavano a bordo dell’EgyptAir precipitato nel Mediterraneo, a renderlo noto il ministro greco della Difesa. Dopo il primo rinvenimento dei rottami dell’aereo, tra i quali valigie e sedili, adesso le operazioni di recupero dei corpi coordinate dalla marina militare egiziana, iniziano a portare i primi risultati.

Sulle dinamiche che hanno portato all’inabissamento dell’Airbus A 320, con a bordo 66 persone, partito da Parigi e diretto a Il Cairo, rimangono molte incertezze. Come ripetuto dal ministro degli Esteri francese, Ayrault. Secondo quanto riportato dalla Bbc, c’è un "buco"' di 50 minuti tra l'ultima comunicazione del veivolo civile con la torre di controllo greca e la sua scomparsa dai radar alle 03:39 ora locale.

Sulla possibilità di un attacco terroristico, il commento di Azzurra Meringolo, ricercatrice ed esperta di geopolitica dell’Istituto Affari Internazionali. 

R. – Non sottovaluterei quelle che sono delle dinamiche strettamente nazionali, che hanno a che fare con un’opposizione al regime di al-Sisi e a quanti, a livello internazionale, sostengono questo regime a parole e anche con i fatti. Per la prima volta, diversamente da quanto era successo con l’aereo russo in Egitto, partito da Sharm el-Sheikh, che ha subito torti simili, anche l’Egitto non ha escluso la questione di un attacco terroristico, lasciando cadere la possibilità di un guasto tecnico. Questa volta l’aereo è partito dal suolo francese, quindi le falle del sistema di sicurezza non rimandano direttamente allo Stato egiziano.

D. – Ciò, quindi, lascia pensare a un tipo di opposizione locale ad al-Sisi insomma…

R. – Certamente. Quando parliamo di terrorismo a livello nazionale e a livello locale, è difficile capire quanto poi su questo venga messo il "cappello" del cosiddetto Stato islamico. In molti casi, infatti, sono stati rivendicati attacchi dal cosiddetto Stato islamico, in ritardo, successivamente, quasi a volersi intestare la potestà di un attacco che ha ottenuto successo, anche se non abbiamo poi la certezza che siano state cellule jihadiste ad aver realizzato questi attacchi.

D. – Si parla già di "anno nero" per il presidente al-Sisi. Dopo le critiche sulla gestione del caso Regeni, adesso la sparizione dell’Airbus dell’Egyptair. C’è un rischio di poca trasparenza nelle indagini?

R. – C’è questo rischio, perché il giudiziario in Egitto non è un potere indipendente rispetto agli altri: non c’è una divisione dei poteri. Ogni potere in Egitto si deve confrontare con l’esecutivo. Sappiamo che anche quanti fanno le indagini sono condizionati da quelle che vengono chiamate le “linee rosse”, non soltanto relativamente agli argomenti, ma anche proprio ai soggetti verso i quali possono andare ad indagare. C’è una cosa che contraddistingue questi due eventi, anzi tre. Il primo, per quanto è successo all’aereo russo, diretto verso Mosca, il secondo quanto è successo all’Italia, a Giulio Regeni, e il terzo quanto è successo in Francia. Questi sono stati tre Paesi che uno dopo l’altro hanno garantito sostegno ad al-Sisi. La Russia ha cercato quasi in un primo momento di sostituirsi agli Stati Uniti, forse soltanto come “soft power”. Per quanto riguarda l’Italia, sappiamo che Matteo Renzi è stato il primo a dare fiducia ad al-Sisi, atterrando per primo a Il Cairo, quando il generale è diventato presidente, per stringergli la mano. Sappiamo di tutti gli interessi, gli accordi economici che sono stati firmati durante il periodo di al-Sisi. E infine, la Francia ha da poco firmato degli accordi sulla vendita di armi.

D. – La Francia è stata colpita un’altra volta: 15 cittadini francesi a bordo dell’aereo. Il governo di Parigi ha già inviato una sua delegazione che parteciperà alle indagini…

R. – La Francia è un obiettivo del terrorismo jihadista. Quindi, in diversi momenti dell’anno è già stato colpita all’interno dei suoi confini. Ora, la Francia ovviamente si deve confrontare con diverse questioni interne, come lo stato di emergenza delle manifestazioni, che ci sono anche all’interno del Paese contro il governo, e in tutto questo si troverà anche a dover gestire delle indagini su un caso molto caldo, che richiederà tempo, ma anche fermezza. Non è scontato che dall’altra parte – quindi dalla parte egiziana – si trovi terreno fertile per la cooperazione in queste indagini. Anzi, il caso di Giulio Regeni dice che questa collaborazione difficilmente ci sarà.

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Siria alla fame, il Pam: urgente far arrivare gli aiuti agli assediati

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In Siria, nella provincia di Homs, è stata cancellata la preghiera del venerdì per timore dei raid governativi. Ieri gli aerei di Damasco avrebbero provocato oltre 20 morti. Intanto, si pensa a come raggiungere con gli aiuti umanitari le città assediate. Nel caso in cui i soccorsi non dovessero riuscire ad arrivare nelle aree assediate, ha annunciato de Mistura, “sarà messa in discussione la credibilità del prossimo round  di colloqui di pace”. Francesca Sabatinelli: 

Dopo Aleppo anche a Houla, nella provincia di Homs, è stata cancellata la preghiera del venerdì, per timore di quelli che il tribunale religioso locale ha definito “barbari attacchi sferrati sulla città dall’aviazione del regime”, esortando quindi la popolazione a non uscire di casa. Ieri i raid, in diverse località del Paese avevano ucciso 21 civili, soprattutto bambini, colpiti da una pioggia di barili pieni di esplosivo. Proseguono anche gli orrori per mano dell’Is che a Raqqa, la roccaforte del sedicente califfato, avrebbe ucciso tre giovani accusati di apostasia. Intanto si continuano a cercare soluzioni a sostegno delle popolazioni assediate, alle quali non riescono ad arrivare via terra gli aiuti umanitari. Ieri, l’inviato Onu per la Siria, Staffan De Mistura aveva parlato di paracadutarli per aggirare i blocchi. Finora l’unica città raggiunta via cielo dagli aiuti è stata Deir Ezzor, nell’est del Paese, dove il Pam ha effettuato oltre 30 lanci. Jane Howard del Programma Alimentare mondiale dell’Onu:

R. – Well, we know that in very many cities in Syria, in particular the resort where we have been …
Noi sappiamo che in molte città siriane, in particolare in quelle nelle quali abbiamo fornito aiuti dall’alto, la situazione è molto grave. Nelle ultime settimane abbiamo saputo che la gente ha mangiato solo erba e verdure bollite, giusto per sopravvivere. Per mesi, addirittura per uno, due anni, non siamo riusciti a raggiungere la maggior parte di queste zone con i camion carichi di cibo! In generale, il Programma alimentare mondiale preferisce consegnare il cibo con convogli di camion, perché in questo modo si riesce a portarne tantissimo, e in realtà saremmo in grado di sfamare circa 4 milioni di persone al mese con cibo come riso, farina e olio vegetale. Ma ci sono alcune zone, diciotto in particolare, che sono per noi motivo di grande preoccupazione, perché in quelle zone le persone sono veramente sottonutrite. Questo significa che le diverse parti che circondano questi luoghi, e parliamo di ogni parte, controllano il cibo, qualsiasi cosa di genere alimentare, che entri o esca: l’assedio è utilizzato come arma di guerra. Quindi, mentre noi ci siamo ora concentrati su queste 18 zone per capire come poter fare piani concreti per aiutare la gente, la comunità internazionale dovrebbe veramente insistere affinché almeno una parte degli aiuti raggiunga quelle zone alle quali è stato impedito ai camion di arrivare.

D. – I lanci dall’alto sono l’ultima risorsa, perché è un’operazione molto costosa e complessa; inoltre, è anche pericoloso …

R. – There are lots of reasons why we consider air drops to be really a last resort …
Le ragioni per cui consideriamo i lanci dall’alto l’ultima risorsa sono molte. Intanto, non puoi farlo in qualsiasi posto, perché deve esserci una zona abbastanza grande nella quale poter lanciare il cibo in maniera sicura, non sarebbe utile che le casse atterrassero direttamente sulla testa della gente. Non puoi farlo in aree urbane, e questo elimina molti luoghi nei quali le persone sono sotto assedio. Come ha detto anche lei, devono esserci garanzie di sicurezza perché nelle zone della Siria diversi raggruppamenti controllano lo spazio aereo e poi, in ultima analisi, il fatto fondamentale è che non puoi lanciare le stesse quantità di cibo che puoi portare via terra. Nelle ultime settimane in cui abbiamo lanciato cibo dall’aria nella città orientale di Deir Ezzor, ci abbiamo messo sei settimane per lanciare il cibo che avremmo potuto consegnare con un convoglio che viaggiasse via terra. Quindi, veramente dipende dalle persone a terra che ci lascino passare. Ripetutamente abbiamo lanciato appelli alle diverse parti contendenti affinché lasciassero passare il cibo: è ridicolo, ci sono zone assediate pochi chilometri fuori da Damasco, che puoi raggiungere in macchina in un’ora e mezza! I lanci dall’alto non sono il problema vero e proprio, il problema vero è quello dell’accesso umanitario. E’ questo che il Issg (International Syria Support Group), gruppo di Paesi che stanno facendo pressione, cerca di fare per aiutare.

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Pubblicata lettera di Marco Pannella a Papa Francesco

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“Caro Papa Francesco, ti scrivo dalla mia stanza all'ultimo piano - vicino al cielo - per dirti che in realtà ti stavo vicino a Lesbo quando abbracciavi la carne martoriata di quelle donne, di quei bambini, e di quegli uomini che nessuno vuole accogliere in Europa. Questo è il Vangelo che io amo e che voglio continuare a vivere accanto agli ultimi, quelli che tutti scartano". E' il primo passaggio di una lettera che Marco Pannella, spentosi ieri all’età di 86 anni, aveva scritto a Papa Francesco il 22 aprile scorso e che è stata pubblicata sul sito di Famiglia Cristiana. La lettera è scritta a mano. Alla fine i saluti sono scritti in maiuscolo: "Ti voglio bene davvero tuo Marco". E nel Post scriptum scrive: "Ho preso in mano la croce che portava mons. Romero e non riesco a staccarmene".Ma qual era il rapporto che Marco Pannella aveva con la religione? Fabio Colagrande lo ha chiesto a Giuseppe Di Leo, vaticanista di Radio Radicale: 

R. – Lui era critico sulla struttura, sulle religioni, su certe conformazioni storiche della cristianità. Però era un crociano e faceva sua l’affermazione che “non possiamo non dirci cristiani”, era convinto di questo. Anche perché un suo zio – zio Giacinto – un sacerdote vissuto all’inizio del secolo in Abruzzo, che aveva avuto su di lui una forte influenza culturale, gli trasmise l’importanza del cattolicesimo e del cristianesimo. E i rapporti con i leader religiosi, come il Dalai Lama, sono la conferma dell’importanza che Pannella dava alla religione. Non a caso io poi sono l’unico a condurre in Italia una trasmissione come la “Rassegna stampa vaticana”, che lui accettò su Radio Radicale dopo la mia proposta.

D. – Si è parlato di uno scambio di messaggi con Papa Francesco. Lo abbiamo visto in queste ore in una fotografia in cui incontrava San Giovanni Paolo II. Ma qual era il rapporto di Marco Pannella con la figura del Pontefice, in generale?

R. – Di grande, estrema attenzione. Per esempio, lui negava i silenzi di Pio XII nei confronti del mondo ebraico; Pannella, che era amico di Israele, reputava Pio XII un Papa che aveva difeso gli ebrei. Così come apprezzava Giovanni XXIII, il grande Papa del Concilio. Ma anche lo stesso Paolo VI nella posizione che assunse, molto simile a quella dei Radicali, nella trattativa per salvare Moro. E che dire di San Giovanni Paolo II: il Papa amico, “guai a chi me lo tocca!” diceva Marco. Fino anche a Ratzinger: Pannella diceva sempre che si aspettava una sorpresa da Benedetto XVI, perché da cardinale aveva fatto degli interventi sorprendenti. E la sua rinuncia lo spiazzò per certi versi, anche se lui lo negava, un po’ sornione. E poi questo Papa, sui cui ha riposto fino all’ultimo istante grandissima speranza e grandissima fiducia. E devo dire che io stesso lo mettevo in guardia dal suo “papismo”, che io trovavo per certi versi esagerato, e che so che sorprese persino padre Lombardi.

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Al via a Vicenza il Festival biblico su giustizia e pace

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La pace vista all’interno delle emergenze contemporanee, ma soprattutto attraverso la misericordia, unica strada per arrivare alla giustizia. E’ questo il filo conduttore del Festival Biblico che è cominciato ieri a Vicenza con il tema “Giustizia e pace si baceranno”. L’iniziativa, giunta alla sua XII edizione, si concluderà il prossimo 27 maggio ed è promossa dalla diocesi vicentina e dalla Società San Paolo. Oltre a Vicenza, gli eventi si svolgeranno anche a  Verona, Padova, Rovigo e Trento dove si alterneranno  incontri, dibattiti, mostre itineranti, e proiezioni. Le aprole di don Roberto Tommasi, tra i presidenti della manifestazione, al microfono di Marina Tomarro

R. – Fin dalla prima edizione, lo sforzo degli organizzatori del Festival è stato quello di cercare di propiziare un incontro tra la Parola di Dio contenuta nelle Scritture e la vita della gente. Ecco allora il tema “Giustizia e pace si baceranno”. Ci pare davvero di grande stimolo, per i credenti e anche per coloro che si considerano laici, mettersi in ascolto del percorso alla pace che la Parola di Dio ci propone: un percorso alla pace che riguarda i rapporti internazionali, ma anche le nostre relazioni quotidiane. Il Festival intende, in questo senso, rivolgersi a tutti e con un messaggio di viva attualità assumere responsabilità perché il futuro del mondo sia un futuro sempre più pacificato, in cui la forza della violenza e del male diminuisce e crescono i cammini di pace, si abbattono i muri e si cominciano a edificare nuovi ponti.

D. – Quanto è importante, oggi, parlare di Sacra Scrittura nell’attualità?

R. – Tutto ciò che noi facciamo al Festival, abbiamo cercato di farlo mediando le Sacre Scritture in una molteplicità di linguaggi - quello parlato, ma anche quello dell’arte, del dialogo - con altri aspetti della cultura. Ma noi lo facciamo proprio col desiderio di diffondere questo seme della Parola, cercando di intercettare le domande profonde che tante persone hanno dentro. Evidentemente, la Parola di Dio è una parola antica ma anche sempre nuova: dice il nostro passato, ma anche il nostro presente e il nostro futuro. E le persone se hanno un attimo di tempo per fermarsi, evidentemente ne scoprono la forza e la potenza, che va anche al di là di quello che noi, con questa iniziativa, riusciamo a comunicare. A noi interesserebbe essere occasione perché si crei una scoperta, un incontro tra la vita e la ricerca di tante persone. Il messaggio delle Scritture è dove il Dio vivente parla al cuore degli uomini.

D. – Tra gli ospiti anche mons. Dario Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede. Cosa vuol dire la sua presenza?

R. – La sua presenza significa che a noi sta profondamente a cuore il fatto che la Parola di Dio, la Bibbia, sia proprio il segno e la radice di un Dio che nella profondità di se stesso è comunicazione di sé. E’ chiaro allora che anche una Chiesa che voglia imparare partendo dalle Sacre Scritture deve essere capace di farsi comunicazione, di farsi dialogo al suo interno, tra credenti, tra varie componenti della comunità ecclesiale, ma anche verso le varie società oggi così differenziate in cui vive. Ecco, ci sembra che il responsabile vaticano del comparto comunicazioni, da questo punto di vista, possa portare un messaggio molto importante per aiutarci a capire quali siano, anche specificatamente, alcune frontiere della comunicazione nel mondo attuale. La comunicazione oggi si avvale di tecnologie e di strumenti che per molti risultano nuovi, che stanno cambiando anche la faccia e la modalità del comunicare, con tanti aspetti positivi e anche con tanti problemi e questioni che restano aperte. Don Viganò sarà presente a Padova proprio perché la sede di Padova ha scelto come tema: “Percorsi di pace nella comunicazione e nei linguaggi artistici”.

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Metodi naturali e responsabilità per una vera ecologia umana

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I metodi naturali a servizio dell’amore umano e della procreazione responsabile al centro del 14.mo corso “Regolazione naturale della fertilità”, al via oggi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Lo scopo è quello di formare operatori qualificati per offrire alle coppie la conoscenza di strumenti, scientificamente validi e rispettosi dell’ecologia umana auspicata dal Papa. Lo conferma Aurora Saporosi, endocrinologa e coordinatrice del corso, al microfono di Paolo Ondarza: 

R. – Ha lo scopo di tutelare la fertilità umana, che è attualmente oggetto di pesanti manipolazioni. Si propone l’approfondimento delle conoscenze sulla fertilità attraverso i metodi naturali, che sono strumenti eticamente e scientificamente validi per poter attuare un’autentica procreazione responsabile.

D. – Un tema, quello della procreazione responsabile, al centro anche della recente Esortazione Apostolica di Papa Francesco “Amoris laetitia”. Ma anche un tema – c’è da rilevare – un po’ snobbato…

R. – Sì, certamente. Nell’ultimo documento di Papa Francesco, ci sono almeno quattro riferimenti sia all’”Humanae Vitae” che alla procreazione responsabile e all’invito a rivolgersi ai metodi naturali per attuarla. Infatti, i metodi naturali rivestono oggi una grande rilevanza sociosanitaria, ma poco valorizzata, soprattutto ora che la medicina è invece sollecitata ad affrontare le problematiche connesse alla compromissione della capacità procreativa. Vanno stimolate le riflessioni sui valori in gioco in questo tema: la dignità della persona, l’amore coniugale, la fecondità, il riconoscimento e l’accoglienza del figlio come dono e non come diritto da esigere o come oggetto da produrre. Perché davanti alla bellezza del Creato e al desiderio di procreare è necessario dare i presupposti per riconoscere l’armonia e le intime leggi della natura.

D. – È un discorso, questo dei metodi naturali, che si inserisce a pieno titolo all’interno della cosiddetta “ecologia umana” di cui parla il Papa…

R. – Assolutamente sì, è la natura dell’uomo che possiede certe ricchezze e risorse. Gli sono date per natura ed è quindi importante che l’uomo e la donna le conoscano e le possano positivamente utilizzare per raggiungere il progetto, che liberamente e consapevolmente, si sono posti come coppia.

D. – La sfida è quella di conoscere i tempi del proprio corpo, i tempi della coppia, che non sempre sono assecondati dai tempi frenetici imposti dalla società…

R. – Esattamente. Però, i tempi del proprio corpo si imparano anche con poco tempo, nel senso che basta avere un minimo di disponibilità per alcuni incontri con insegnanti qualificati del metodo naturale, per essere poi perfettamente in grado di gestirlo. Con il basso tasso di nascite che abbiamo qui in Italia, l’aiuto che si può dare è quello della consapevolezza, della conoscenza, della valorizzazione della fertilità e dell’identificazione dei momenti fertili.

D. – La critica che viene mossa ai metodi naturali è che siano inefficaci: voi come rispondete?

R. – Rispondiamo che è una realtà poco conosciuta. C’è da dire che non hanno dietro nessun tipo di business. Di recente, si è tenuto a Zagabria, per la prima volta in Europa, il Congresso mondiale del Woomb (World Organisation Ovulation Method Billings). E si vede effettivamente che il metodo naturale va bene sempre, sia laddove c’è bisogno di limitare il numero delle gravidanze, regolandosi in modo consapevole, sia dove magari c’è bisogno di aiutare la fertilità andandola proprio a cercare in quello che è il potenziale delle coppie. Questo sta succedendo qui in Italia, dove i metodi naturali stanno avendo un buon successo nella ricerca delle gravidanze, evitando, a volte alleggerendo, i pesanti percorsi medici che le coppie spesso devono affrontare.

D. – Si riferisce alla fecondazione artificiale?

R. – Non solo, ma noi abbiamo aiutato diverse coppie che, reduci dai fallimenti delle fecondazioni artificiali, hanno ottenuto poi naturalmente delle gravidanze. Se però si disconosce anche la base scientifica di questi metodi, è chiaro che questi vengano considerati una specie di “preistoria della clinica”. Ma questo non è vero. Essi favoriscono il riconoscimento della vita, la vita nascente, come un enorme dono, un enorme privilegio, e una ricchezza insostituibile.

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Nella Chiesa e nel mondo



Chiesa caldea: missione del clero in Iraq e nella diaspora

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In concomitanza con l’Anno della misericordia indetto da papa Francesco, e in un periodo di crisi profonda attraversato dall’Iraq, la Chiesa caldea promuove un incontro del clero per rilanciare l’opera pastorale e la missione nel Paese e fra le comunità della diaspora. Il summit è in programma il 20 e il 21 giugno a Erbil, nel Kurdistan irakeno, dove hanno trovato rifugio centinaia di migliaia di cristiani in fuga da Mosul e dalla piana di Ninive con l’ascesa del sedicente Stato Islamico nell’estate del 2014. L’evento sarà anche occasione, come ha scritto il Patriarca caldeo Sako, per ripensare all’opera di evangelizzazione e al ruolo del sacerdote nella comunità. 

Missione della Chiesa caldea e ruolo del clero in Iraq
In un documento pubblicato sul sito del patriarcato, e ripreso dall'agenzia AsiaNews, mar Louis Raphael Sako sottolinea l’esigenza di “rilanciare” la missione della Chiesa caldea e il ruolo del clero nel Paese. Egli richiama gli insegnamenti contenuti nel Vangelo, per un “risveglio umano, spirituale e nazionale” di fronte alle “sfide attuali, ai rischi e alle tentazioni”. 

Forte crisi di identità della comunità cristiana, acuita dall’esodo
L’Iraq sta attraversando un periodo di profonda crisi, non solo politica dovuta allo stallo delle istituzioni e alla crisi di governo, ma pure sul piano sociale e della sicurezza, con attacchi continui nella capitale e in altre aree del Paese che mietono centinaia di vittime fra la popolazione civile. E la stessa comunità cristiana vive una forte crisi di identità, acuita dall’esodo - nell’ultimo decennio - di quasi metà della popolazione in cerca di riparo all’estero. 

Domande su vocazione sacerdotale e impatto sulla missione di oggi
I “cambiamenti rapidi” che si registrano nella politica e nel sociale, avverte mar Sako, e che hanno registrato una escalation “dalla caduta del regime” di Saddam Hussein nel 2003, “hanno interessato tutti gli aspetti della vita, compresa quella dei sacerdoti”. Uno stravolgimento che ha “fatto emergere”, aggiunge, “molteplici domande fondamentali” che vanno a toccare “la vocazione sacerdotale e l’impatto sulla missione di oggi”. Il futuro della Chiesa caldea, spiega il patriarca, “dipende in primo luogo dalla qualità del suo clero” e i suoi vertici devono trovare “un nuovo stile nell’amministrazione e nella formazione/insegnamento”, per rispondere ai problemi emersi in Iraq e nelle comunità della diaspora.

Come vivere la vocazione e la missione in Iraq
Mar Sako offre quindi una serie di spunti su cui riflettere, in preparazione all’incontro di giugno a Erbil: come “vivere la vocazione e la missione” in “circostanze imprevedibili”; come “testimoniare il Vangelo” con “gioia, speranza, lealtà e ammirazione”; usare le omelie per “influenzare in modo positivo” il cuore e l’animo dei parrocchiani; perché sempre più fedeli si uniscono ai gruppi evangelici, se questa crisi è dovuta a “indifferenza” o “abbandono” dei sacerdoti; e ancora, il tema dell’inculturazione, l’incontro con i non-cristiani e come conciliare l’impegno pastorale con il richiamo alla preghiera e alla meditazione. 

Il clero deve essere un segno di speranza per i fedeli
Analizzando il ruolo del clero, il patriarca caldeo ricorda il richiamo evangelico “all’amore, al servizio, alla cura dei più vulnerabili”, e ad essere sempre “un segno di speranza” per i fedeli; inoltre, egli lancia un monito contro quanti “sfruttano l’autorità” che deriva dalla veste per un “tornaconto personale” che finisce per danneggiare la Chiesa e ne mina le fondamenta. Mar Sako chiede anche a tutti i membri della comunità caldea di guardare a Cristo, facendo seguire “con l’esempio” i principi e i valori predicati. Infine, il patriarca caldeo invita i suoi sacerdoti a non perseguire un modello “ideale”, ma “ammettere che facciamo errori” che vanno ammessi e ai quali è poi necessario porre rimedio, piuttosto che “accumulare segreti”. In vista dell’incontro chiede a tutti di “prepararsi in modo serio”, che dovrà “rafforzare la vocazione” e dare un nuovo impulso alla missione della Chiesa. (R.P.)

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Profughi in Libano: non possono registrare figli e seppellire morti

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La condizione dei rifugiati in Libano resta “critica”, i problemi si sommano fra loro e diventa sempre più difficile rispondere alle “emergenze” che si moltiplicano, siano esse “economiche, sociali, morali e umane”. A lanciare l’allarme all'agenzia AsiaNews è padre Paul Karam, direttore di Caritas Libano, da quattro anni in prima fila nell’accoglienza del flusso continuo di famiglie siriane (e non) che fuggono dalla guerra. Il Paese dei cedri non ha accolto solo i siriani, ma ospita da tempo “anche palestinesi, per non dimenticare gli iracheni che hanno lasciato negli ultimi anni case e terre per sfuggire alle violenze”. Ecco perché abbiamo bisogno di ulteriori “aiuti concerti, primo fra tutti il denaro” per poter continuare “la nostra opera”. 

Per i costi della sepoltura i morti vengono tumulati in segreto
Fra i molti aspetti che toccano la vita dei profughi siriani in Libano, vi è la questione della sepoltura dei morti. Non vi sono molte aree attrezzate e i (pochi) cimiteri sono già riservati ai cittadini libanesi. Il tasso di morte fra i rifugiati siriani è di gran lunga più elevato della popolazione locale, perché si tratta di persone molto più vulnerabili. Almeno due terzi vivono in condizioni di “estrema povertà”; sebbene non vi siano statistiche ufficiali, secondo alcune fonti vi è un decesso ogni settimana fra i profughi di Bar Elias. E il costo medio per la sepoltura di un congiunto può arrivare a toccare quota 250 dollari, insostenibile per i profughi siriani che, in molti casi, preferiscono tumulare in segreto i congiunti.

Defunti seppelliti in fosse comuni
“Abbiamo sentito di queste notizie - conferma ad AsiaNews padre Paul - anche se non hanno riguardato direttamente i nostri Centri. So di profughi che hanno dovuto seppellire i morti in fosse comuni, in attesa di poter, un giorno, riprendere le ossa e poi fare ritorno in patria. È un problema vero, come molti altri che complicano la vita di ogni giorno”. 

Il problema della registrazione dei bambini nati in Libano
Vi è poi la questione riguardante “i bambini nati in Libano”, che “non sono registrati né in Siria, né in Libano”. La nostra, prosegue il direttore Caritas, “non è una terra molto vasta” ed è impensabile concedere la cittadinanza a tutti, anche perché si va a intaccare il delicato mosaico - etnico e religioso - su cui si fonda il Paese. “Il punto - spiega - è che bisogna mettere fine alla guerra, al traffico di armi, agli interessi sul petrolio, e permettere alla popolazione di poter tornare a vivere nella propria terra. Anche perché è questo che vogliono!”. La registrazione dei nuovi nati, avverte, “non può essere un obbligo per lo Stato libanese, ma deve essere responsabilità della Siria e della comunità internazionale”. 

Chi paga il prezzo della guerra sono i civili ed i poveri
Intanto Caritas Libano prosegue il lavoro di assistenza, in una condizione di estrema difficoltà. “La gente è disperata e ha bisogno di aiuto - prosegue il sacerdote - e non è disperdendola nei Paesi dell’area (Giordania, Libano, Turchia) o in Europa che si risolve il problema. Il punto è mettere fine alla guerra, perché chi ne paga il prezzo è la popolazione civile, i più poveri”. 

Le difficoltà sanitarie ed economiche dei profughi
Seguendo l’appello di Papa Francesco in occasione dell’Anno giubilare della misericordia, la Caritas e le Chiese libanesi hanno promosso e continuano a portare avanti programmi di aiuto e assistenza, pur fra notevoli difficoltà. “Vi è un grave problema sanitario, cui cerchiamo di far fronte - racconta p. Paul - e poi un aiuto concreto per le spese di ogni giorno, perché la vita è molto cara, soprattutto per i profughi. Del resto questa crisi ha impoverito l’intera società libanese”. Da qui l’appello ai cattolici di tutto il mondo, perché attraverso una “donazione alla Caritas” sostengano davvero l’opera di quanti “sul campo” cercano di portare “aiuto e conforto” ai più sfortunati. (R.P.)

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Chiesa Siria: armi Usa a "milizie cristiane" fa gioco dei trafficanti

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L'idea di finanziare con i fondi del governo Usa le forniture di armi per le sedicenti “milizie cristiane” che si muovono nello scenario stravolto dei conflitti in atto in Siria e Iraq “è una follia, forse ispirata da qualche trafficante d'armi che non ha ancora svuotato i suoi magazzini”. Così l'arcivescovo siro cattolico Jacques Behnan Hindo, alla guida dell'eparchia di Hassakè-Nisibi, commenta le notizie sul progetto di legge presentato al Congresso degli Stati Uniti per autorizzare - riferisce l'agenzia Fides - il finanziamento di armi leggere e pesanti destinate in maniera mirata a gruppi armati che cercano di identificarsi come “braccio militare” di comunità cristiane locali.

La definizione di 'genocidio' per le violenze anti-cristiane dettata da interessi concreti
Il progetto di legge è stato presentato su alcuni media statunitensi come una ricaduta pratica della dichiarazione con cui lo stesso Congresso Usa è stato condotto a definire come 'genocidio' le violenze subite dai cristiani da parte dei militanti jihadisti dell'autoproclamato Stato Islamico (Daesh). “Fin dal primo momento” riferisce a Fides l'arcivescovo Hindo “ho pensato che quella campagna per far applicare alle sofferenze dei cristiani la categoria di 'genocidio' fosse una operazione geopolitica che mirava a interessi concreti. Secondo le procedure Usa, chiamando in causa la categoria di 'genocidio' diventa più facile autorizzare operazioni militari o di altro tipo, più o meno trasparenti”.

Le milizie settarie che si autodefiniscono cristiane sono contro il Vangelo
Secondo l'arcivescovo Hindo, “nella situazione in cui ci troviamo, in Iraq e in Siria, ogni individuo, anche cristiano, è chiamato a fare le sue scelte secondo coscienza. Ma se un cristiano vuole prendere parte alla liberazione dal Daesh, può farlo arruolandosi negli eserciti regolari. L'opzione di creare altre milizie settarie che pretendono di presentarsi come ‘cristiane’ è contro il Vangelo, ed è anche una scelta tatticamente suicida”. 

Mons. Hindo ha rifiutato l'offerta di armi: la Chiesa è contro la violenza
L'arcivescovo siriano ricorda a tale proposito una vicenda che lo ha coinvolto in prima persona: “quando il conflitto in Siria ha raggiunto la nostra regione, il governo aveva offerto 700 kalashnikov da distribuire tra i cristiani di Hassakè, e mille per quelli di Qamishli, e io ho rifiutato. Noi siamo contro la violenza, da qualsiasi parte essa venga. Come pastori dobbiamo sostenere il nostro popolo camminando sulla via del Vangelo, qualunque sia la situazione in cui veniamo a trovarci. Inoltre, con certe scelte sconsiderate rischiamo anche di far esporre tutti i cristiani a ritorsioni e violenze mirate”. (G.V.)

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Giordania: aiuti dagli Emirati per i rifugiati cristiani iracheni

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Le undici famiglie di rifugiati cristiani iracheni originari di Mosul che hanno trovato ospitalità a Naur, area urbana occidentale della municipalità di Amman, riceveranno anche quest'anno aiuti materiali a loro riservati provenienti dagli Emirati Arabi Uniti. Nella giornata di ieri, padre Rifat Bader, sacerdote giordano promotore del Catholic Centre for Studies and Media e del sito online abouna.org, ha ricevuto presso la chiesa del Sacro Cuore, il dottor Bilal Bdur, ambasciatore degli Emirati Arabi in Giordania, insieme ai rappresentanti di Caritas Jordan e a una parte della famiglie di profughi cristiani iracheni che risiedono in quell'area.

Gli Emirati finanziano gli affitti delle case dei profughi cristiani
Già lo scorso anno gli Emirati Arabi Uniti avevano offerto un significativo aiuto finanziario per il sostegno dello stesso gruppo di famiglie irachene. Padre Rifat, nel suo discorso di benvenuto, ha ricordato che le famiglie di rifugiati cristiani hanno potuto trasferirsi in case in affitto proprio grazie al sostegno finanziario mensile fornito loro dalla Mezzaluna Rossa degli Emirati, e ha anche espresso apprezzamento per la legge contro la diffamazione delle religioni e dei discorsi che diffondono odio sfruttando argomenti religiosi, promulgata di recente in quel Paese.

L'aiuto degli Emirati è un segno dell'amicizia cristiano-islamica
​Il sostegno finanziario degli Emirati alle famiglie cristiane è stato presentato come un piccolo ma significativo esempio di collaborazione e amicizia tra cristiani e musulmani che è stato in grado di farsi carico di bisogni concreti, superando l'astrattezza dei “discorsi enfatici” e dei formalismi auto-compiaciuti che a volte segnano certe riunioni dedicate al dialogo interreligioso. Nel distretto urbano di Naur, situato ad ovest di Amman, vivono più di 50.000 abitanti, molti dei quali cristiani palestinesi fuggiti dal loro Paese nel 1948 e nel 1967. (G.V.)

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Card. Onaiyekan: segnale importante liberazione ragazze di Chibok

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“La domanda che dobbiamo porci è: come mai fino adesso non le abbiamo trovate a due anni dal loro rapimento?” dice all’agenzia Fides il card. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, commentando la recente liberazione di due delle 219 ragazze rapite nella notte del 14 aprile 2014 nella loro scuola a Chibok nel nord della Nigeria da parte della setta islamista Boko Haram.

Il ritrovamento delle ragazze è un segno che Boko Haram sta crollando
“Sappiamo che diverse centinaia di donne e bambini rapiti da Boko Haram sono stati liberati in questi ultimi mesi grazie alle operazioni condotte dall’esercito” sottolinea il cardinale. “Ma le ragazze di Chibok hanno un valore speciale, a causa della mobilitazione mediatica internazionale in loro favore, per cui sembra che Boko Haram le nasconda con maggior cura rispetto agli altri rapiti. Quindi se iniziamo a trovare le ragazze di Chibok è un segno che finalmente l’organizzazione di Boko Haram sta crollando” afferma il cardinale, che si dice “preoccupato per le condizioni di salute di queste povere ragazze che hanno subito violenze profonde. Gli uomini di Boko Haram sono infatti ricompensati dalla loro organizzazione non tanto con denaro ma con le ragazze da loro rapite”.

E' preoccupante la situazione di insicurezza generale nella quale vive il Paese
​Nonostante l’impegno delle forze militari nel dare la caccia a Boko Haram, le condizioni sicurezza generali della Nigeria rimangono preoccupanti. Lo stesso card. Onaiyekan di recente è stato coinvolto in un agguato stradale attribuito a pastori Fulani. “Non posso dire se fossero pastori fulani coloro che hanno sparato alla mia vettura, perché hanno sparato dalla foresta verso la strada e non ho visto nessuno” dice il cardinale. “Si è sicuramente trattato di un agguato stradale come ce ne sono purtroppo tanti in Nigeria e non di un attentato mirato alla mia persona. Le violenze dei pastori Fulani sono un problema che va risolto, cercando l’interesse di tutti, ma è la situazione di insicurezza generale nella quale vive il Paese ad essere maggiormente preoccupante” conclude il cardinale. (L.M.)

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Israele: fondamentalisti ebraici terrorizzano i cristiani

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Continuano le dichiarazioni del rabbino estremista Bentzion Gopstein, leader del gruppo Lehava, fermamente contrario alla presenza di cristiani e musulmani in Israele. Come riferiscono ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) fonti della Chiesa locale, già nell’agosto del 2015 Gopstein aveva ufficialmente chiesto al governo di dare fuoco a tutte le chiese presenti nel Paese. Mentre a dicembre dello scorso anno il leader fanatico ha invitato le autorità a vietare la celebrazione del Natale.

La Chiesa locale ha presentato una denuncia ufficiale contro Gopstein
«Le ricorrenti intimidazioni e provocazioni rappresentano una vera e propria minaccia alla convivenza pacifica in Israele», hanno dichiarato i vescovi del Patriarcato Latino di Gerusalemme a proposito delle affermazioni del rabbino. La Chiesa locale ha presentato una ufficiale denuncia contro Gopstein, che recentemente è stato interrogato dalla polizia. In passato l’uomo è stato più volte arrestato e interrogato ma non si è mai giunti ad una condanna.

I fedeli si chiedono: “quale sarà il prossimo obiettivo?
I cristiani d’Israele ora hanno paura e temono che le affermazioni del leader fanatico favoriscano nuovi attacchi da parte dei fondamentalisti ebraici. «Dopo l’incendio alla Chiesa della Moltiplicazione dei pani e dei pesci del giugno 2015 a Tabgha, i fedeli si chiedono: “quale sarà il prossimo obiettivo?», racconta ad Acs il vescovo ausiliare di Gerusalemme, mons. Wiliam Shomali.

Numerosi atti vandalici e attacchi ai danni di siti religiosi cristiani e musulmani
L’episodio cui il presule fa riferimento, avvenuto a Tabgha sul lago di Tiberiade, si inserisce in una serie di numerosi atti vandalici e attacchi ai danni di siti religiosi cristiani e musulmani, commessi negli ultimi anni da estremisti ebraici riuniti in un movimento dal nome Price Tag [Etichetta del prezzo]. Dai graffiti offensivi e minatori quali «morte ai cristiani» o «vi crocifiggeremo» trovati sulle mura del monastero greco-ortodosso della Santa Croce a Gerusalemme nel febbraio 2012, alle scritte anticristiane del gennaio 2016 sulla Basilica della Dormizione di Maria della città santa.

Nella Chiesa e nella comunità di fedeli cresce l’insicurezza e la sensazione di vulnerabilità
Le dichiarazioni di Gopstein complicano dunque un quadro già di per sé delicato, alimentando nella Chiesa e nella comunità di fedeli l’insicurezza e la sensazione di vulnerabilità. Tuttavia, come spiega ad Acs padre David Neuhaus, responsabile della pastorale per i cristiani di madrelingua ebraica, «la retorica di Gopstein non è la più grave difficoltà che dobbiamo affrontare in Israele. Cristiani e musulmani qui sono perfettamente coscienti che la discriminazione è viva e vegeta in un Paese che si autodefinisce come Stato ebraico».

Padre Neuhaus chiede una campagna di educazione tra gli ebrei ortodossi
​ Padre Neuhaus ritiene inoltre che, pur essendo per ora gli attacchi fisici e verbali ai cristiani piuttosto limitati, persone come Gopstein abbiano i loro sostenitori. «Sono convinto che molti israeliani condividano il suo punto di vista. E anche se altri sono sicuramente disgustati da simili affermazioni, credo che sia urgentemente necessaria una campagna di educazione tra gli ebrei ortodossi, che possa insegnare il rispetto per le altre religioni». (M.P.)

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Argentina: al via la Settimana sociale

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“Vogliamo essere nazione. Dobbiamo caricarci la patria sulle spalle”: su questo tema prende il via oggi, a Mar del Plata, la “Settimana sociale 2016” organizzata dalla commissione per la Pastorale sociale della Conferenza episcopale argentina (Cepas), presieduta dal vescovo di Gualeguaychu, mons. Jorge Lozano, e dal vescovo della diocesi di Mar del Plata, mons. Antonio Marino.

Promuovere dialogo e fratellanza sociale
L’incontro – riferisce l’agenzia Sir - si svolgerà fino al 22 maggio e prevede la partecipazione di rappresentanti di tutti i settori della vita politica e sociale argentina, per invitare alla riflessione sulla realtà nazionale. Dal suo canto, la Chiesa locale auspica che “i diversi settori invitati a partecipare all’incontro possano avanzare nel dialogo e nella fratellanza sociale”, per “imparare a pensare insieme”.

Sviluppo integrale e promozione del bene comune
Tra gli obiettivi specifici della Settimana, vengono sottolineati: il miglioramento della qualità della vita democratica; la creazione di uno spazio di dialogo ed incontro per avanzare proposte che portino allo sviluppo integrale e promuovano il bene comune; l’approfondimento della formazione e della conoscenza della Dottrina Sociale della Chiesa; la promozione di un interscambio tra i diversi settori sociali per elaborare un’agenda condivisa delle priorità.

L’opzione preferenziale per i poveri
Il programma dei lavori prevede alcune sessioni particolarmente significative, come quella dedicata al tema “Vicinanza ed amicizia: fonte di solidarietà e impegno con la giustizia sociale”, o anche “Impegni sociali: il tempo dei dirigenti con un’opzione preferenziale per i poveri”. (I.P.)

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Usa: dall'arcidiocesi di Chicago congedo parentale retribuito

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Dodici settimane di congedo parentale retribuito a partire dal prossimo 1.mo luglio: è l’iniziativa lanciata dall’arcidiocesi di Chicago per i propri dipendenti, con l’obiettivo di tutelare le famiglie. Un segnale forte, considerato che negli Stati Uniti il congedo per maternità non viene quasi mai retribuito, costringendo così le donne che lavorano a ricorrere alle ferie arretrate o ai giorni di malattia. Non solo: l’iniziativa dell’arcidiocesi di Chicago è diretta anche ai padri, così come alle coppie che hanno appena adottato dei bambini.

Iniziativa in linea con l’insegnamento della Chiesa
Nel dettaglio – si legge sul “Catholic New World”, il settimanale diocesano – il personale che beneficerà di tale iniziativa sarà quello che lavora in diocesi da più di anno per almeno 26 ore a settimana, mentre i dipendenti assunti da meno di un anno riceveranno una settimana di congedo parentale retribuito per ogni mese lavorato. A guidare l’arcidiocesi di Chicago, c’è mons. Blase Joseph Cupich che – si legge ancora – “ha voluto assicurarsi che le politiche del personale diocesano fossero in linea con l’insegnamento della Chiesa”, soprattutto “dopo aver partecipato al Sinodo sulla famiglia”, svoltosi in Vaticano ad ottobre 2015.

Fino a 1 milione di dollari il costo dell’iniziativa
La nuova iniziativa – spiega il settimanale – “dovrebbe costare all'arcidiocesi fino ad 1 milione di dollari all'anno e potrebbe essere utilizzata da ben 200 dipendenti, inclusi i padri”. Oltre a tutelare la famiglia, spiega Betsy Bohlen, membro dell’arcidiocesi, tale proposta mira anche a trasmettere l’idea che “la Chiesa è un posto attraente in cui lavorare, perché adatto a chi ha famiglia”, dato che “il tempo subito dopo la nascita o l’adozione di un bambino è un momento molto importante”.

Se le famiglie sono forti, anche la Chiesa è forte
La Chiesa non deve solo “scrivere o parlare della famiglia, ma anche accompagnarla nel suo cammino”, prosegue il settimanale, mentre padre Pete Wojcik, co-direttore del Dipartimento diocesano per la vita parrocchiale e la formazione, sottolinea come tale iniziativa “sia un modo concreto per dire che sì, le famiglie sono al centro della Chiesa, la Chiesa è costruita sulle famiglie e che le famiglie hanno bisogno di tempo per stare insieme”. Se le famiglie sono più forti, conclude padre Wojcik, “anche la Chiesa diventa più forte”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 141

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.