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Sommario del 21/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Santa Sede: vertice umanitario di Istanbul dia risposta di solidarietà

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Si svolgerà il 23 e 24 maggio a Istanbul, in Turchia, il primo "Vertice umanitario mondiale" indetto dalle Nazioni Unite con l'obiettivo di individuare nuovi modi per affrontare le situazioni di crisi. All'importante appuntamento prenderà parte anche una delegazione ad alto livello della Santa Sede, guidata dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. Servizio di Francesca Sabatinelli

60 milioni di sfollati o rifugiati, 125 milioni le persone nel mondo che dipendono dagli aiuti dei donatori internazionali, sono alcune delle cifre che saranno sui tavoli del Vertice umanitario mondiale che si apre lunedì a Istanbul, voluto dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. 110 i paesi che, secondo le Nazioni Unite, avrebbero confermato la loro partecipazione, una cinquantina di capi di Stato o di governo, seimila i delegati di organizzazioni non governative e settore privato. Tutti chiamati a ripensare al modo in cui è gestito l’aiuto umanitario, partendo dal drammatico dato che nel 2015 i donatori avevano versato meno del 50% dei circa 20 miliardi chiesto dall’Onu per la sua azione umanitaria. In Turchia, il Papa ha deciso di inviare una delegazione ad alto livello, guidata dal segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, e di cui faranno parte mons. Bernardito Auza, osservatore permanente presso l’Onu, e mons. Silvano Maria Tomasi, già osservatore permanente presso gli Uffici dell’Onu a Ginevra e ora al Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, che abbiamo intervistato:

R. – Questo Summit umanitario risponde all’emergenza in cui ci troviamo. Non c’è mai stato un momento così complicato, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, nelle relazioni umane, nelle crisi, nel numero di rifugiati, nei disastri fatti dall’uomo e dalla natura, come quello che stiamo vivendo ora. Per cui è importante partire dalla realtà e cercare di dare una risposta concreta veramente imperniata sulla solidarietà. Il primo punto, il primo passo da fare mi pare sia quello di riconoscere che siamo una sola famiglia umana, per cui c’è una responsabilità collettiva di affrontare questi problemi che si stanno accumulando: focolai di violenza, crisi economiche, che portano a quello che Papa Francesco aveva definitivo - con la sua intuizione brillante - “una terza guerra mondiale a pezzi”. Quindi, davanti a queste crisi, c’è una grande moltitudine di vittime: queste persone escluse dal benessere, escluse dalla pace, sono quelle cui dobbiamo dare una risposta. E questo Summit umanitario dovrebbe trovare strade nuove per prevenire queste esplosioni di violenza e queste crisi che maturano, dovute a cambiamenti climatici e a volte ad eventi naturali, come terremoti o altre cose simili. Dobbiamo cercare, tutti insieme, come società, come famiglia umana, di trovare una risposta. La Santa Sede è in prima linea in questa sensibilizzazione della cultura pubblica a dare una risposta creativa ed efficace. Prima di tutto a livello locale, laddove capitano questi avvenimenti dolorosi, la comunità cristiana – attraverso la Caritas, attraverso l’assistenza delle organizzazioni religiose – è lì, pronta a dare il suo contributo, anche se piccolo, alle volte, ma certamente efficace. E poi c’è la presenza umana di solidarietà che conta in certe circostanze, ancora più dell’aiuto fisico che viene dato. La presenza della Santa Sede, con una delegazione di alto livello, guidata dal segretario di Stato, vuole dare un messaggio: siamo già sul campo a rispondere alle emergenze, ma dobbiamo continuare a incoraggiare tutta la comunità globale a partecipare in questa risposta.

D. – Questo è il primo vertice di questo tipo, non ce n’è mai stato uno in precedenza. Secondo lei, segnerà una svolta? Considerando purtroppo il fatto che molti Paesi, anche membri delle Nazioni Unite, non rispettano neanche le basilari Convenzioni di Ginevra, per quanto riguarda la tutela e la difesa dei diritti umani...

R. – E’ vero che se ci mettiamo dal punto di vista delle vittime della violenza o della fame o dell’estrema povertà, si rischia di diventare piuttosto scettici. Si sono tentate in precedenza simili riunioni a livello di Stati, in cui grandi promesse sono state formulate, che non sono poi state attuate nella pratica. E il test di questo Summit, voluto dal segretario generale delle Nazioni Unite con tanta insistenza, sarà l’impegno operativo, pratico, che gli Stati si prenderanno, prima di tutto riguardo alle emergenze, e quindi una generosità nuova nel contribuire ai fondi di assistenza, per esempio dell’Alto Commissariato per i Rifugiati o dell’Ufficio per il coordinamento degli aiuti umanitari, in modo tale da rispondere all’emergenza e salvare vite. Poi, l'altro aspetto:  partecipare in maniera concreta nella formulazione di politiche economiche, soprattutto dando la possibilità alle persone che sono nelle aree sottosviluppate e di estrema povertà, di emergere e di partecipare nella vita economica. Più importante forse di tutto, in questo momento, è di prevenire la violenza causata da guerre e guerriglie: sono questi scoppi di violenza che stanno creando il numero più alto di emergenze e di vittime. Per cui, se c’è la buona volontà politica di fare qualcosa di concreto, bisogna arrivare ad eliminare le cause che creano tante emergenze e tante vittime.

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Pace ed ecumenismo al centro del colloqui tra il Papa e Lukashenko

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Papa Francesco ha ricevuto, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Nel corso dei cordiali colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana - è stata espressa soddisfazione per il buono stato delle relazioni bilaterali e sono state affrontate alcune tematiche di interesse comune, con particolare riferimento alla vita della Chiesa in Bielorussia e alla pacifica convivenza tra le comunità cattolica ed ortodossa del Paese, come pure tra le altre confessioni religiose. Si è sottolineato, infine, il ruolo svolto dalla città di Minsk, quale sede di alcuni recenti colloqui finalizzati alla ricerca di soluzioni per la pace nella Regione”.

Il Papa, donando al presidente un medaglione raffigurante l'ulivo, ha detto: "Lo porti a Minsk perché sia la città della pace".

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Chiesa beatifica il sacerdote calabrese Francesco Maria Greco

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Sarà beatificato questo pomeriggio nello stadio comunale San Vito di Cosenza, il sacerdote calabrese Francesco Maria Greco, nato ad Acri nel 1857 e lì morto nel 1931. Nella lettera apostolica che autorizza l’iscrizione del sacerdote fra i beati, Papa Francesco lo definisce, “instancabile apostolo del Vangelo”. A presiedere la messa con il rito di beatificazione sarà il card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Adriana Masotti: 

Francesco Maria Greco dedicò la vita alla sua gente e alla sua terra che egli stesso descriveva “martoriata dalla miseria e dall’ignoranza religiosa”. Non gli sfuggivano le prepotenze dei “signori” verso i lavoratori, i compromessi del clero con i ricchi e i potenti, il progressivo diffondersi del sentimento anticlericale. Tornato ad Acri, dopo gli studi a Napoli, Francesco Maria fu nominato arciprete della parrocchia di San Nicola e nella sua città rimase fino alla morte. Il card. Angelo Amato, di lui dice così: 

“Nella città natia il suo portamento ascetico suscitava ammirazione e rispetto. Ma fu soprattutto la totale dedizione al ministero parrocchiale che colpì la cittadinanza. I fedeli erano attratti da lui come da una calamita e subito lo ritennero un santo”.

Il suo popolo aveva bisogno di essere guidato, partendo dall’istruzione. Fu questa la convinzione che spinse Francesco Maria a fondare nel 1894, con la collaborazione di una giovane, Raffaella De Vincenti, poi consacrata con il nome di suor Maria Teresa, la Congregazione delle Piccole Operaie dei Sacri Cuori allo scopo di educare e istruire i ragazzi, specialmente i più poveri. Oltre che prestare servizio nelle scuole e nei collegi, le suore curavano gli ammalati sia negli ospedali che a domicilio. Ancora il card. Amato:

“Lo spirito evangelico che animava il fondatore fece sì che l'istituto si sviluppasse talmente, che nel 1921 poteva già contare 22 case e 140 consorelle. L'apostolato del nostro Beato e delle sue figlie spirituali si diffuse in Calabria e nell'Italia meridionale, toccando anche le popolazioni di origine albanese di rito greco bizantino”.

Oggi la Congregazione è presente in vari Paesi del mondo con case di accoglienza, il cui riferimento sono le parole del fondatore “educare alla fede per educare alla vita”. La Beatificazione di Francesco Maria Greco, ha commentato l’arcivescovo di Cosenza-Bisignano, mons. Francesco Nolè, fa “risplendere il sacerdozio e questa Chiesa nella sua bellezza. Una bellezza che passa nella via della semplicità e del servizio che questo sacerdote acrese ha vissuto in maniera eroica e disinteressata”.

Per il card. Amato è proprio la santità l’eredità lasciata da don Greco:

“Egli invita a essere santi, a vivere come lui la vita buona del Vangelo, ripudiando una esistenza sciatta e vuota. Incoraggia a privilegiare la virtù, a vivere in grazia di Dio e non schiavi dei vizi e delle cattive passioni. Egli dà una mano a uscire dalla palude della mediocrità e a intraprendere l'avventura di una vita genuinamente cristiana. Nelle nostre città i santi sono una indispensabile riserva non solo di virtù cristiane ma anche di valori umani come la gioia, la concordia, l'amicizia, la fraternità, la misericordia. Essi sono il sale della terra e la luce del mondo”.

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Papa nomina mons. Escalante Molina nunzio apostolico in Gabon

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, il cardinale Agostino Vallini, vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, il cardinale Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, arcivescovo di Colombo (Sri Lanka), e il nunzio apostolico in Senegal e in Mauritania, l’arcivescovo Michael W. Banach.

Il Papa ha nominato nunzio apostolico in Gabon l’arcivescovo Francisco Escalante Molina, finora nunzio apostolico nella Repubblica del Congo.

Nella Repubblica Ceca, il Papa ha nominato ausiliare di Brno il sacerdote Pavel Konzbul, finora parroco della Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a Brno. Il neo presule è nato il 17 ottobre 1965 a Brno-Juliánov. Nel 1983 ha superato gli esami di maturità. Nel 1989 ha ottenuto la Laurea in Elettrotecnologia alla Facoltà di Elettrotecnica dell’Università Tecnica a Brno. Dopo il servizio militare, dal 1990 ha lavorato nell’Istituto di Tecnica presso l’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca a Brno e ha insegnato alla Facoltà di Elettrotecnica presso l’Università Tecnica a Brno, dove ha ottenuto il Dottorato in Teoria del campo elettromagnetico. Nel 1995 è entrato nell’Associazione laica di San Domenico dove esercitava l’incarico di Vice-Superiore della provincia nazionale. Dopo gli studi teologici alla Facoltà di Teologia dei Ss. Cirillo e Metodio presso l’Università di Palacky a Olomouc, il 28 giugno 2003 è stato ordinato sacerdote e incardinato a Brno. Per due anni è stato Vicario Parrocchiale a Letovice, Boskovice e a Hustopeče u Brna. Dal 2005 al 2013 è stato Direttore spirituale del Liceo Vescovile a Brno. Attualmente è Parroco della Cattedrale dei SS. Pietro e Paolo a Brno (dal 2013), Membro del Consiglio Presbiterale della diocesi di Brno (dal 2013) e Canonico del Capitolo Reale dei Ss. Pietro e Paolo a Brno (dal 2015).

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Nomine inviati speciali

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Papa Francesco ha nominato il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per la Vita Religiosa e gli Istituti di Vita Consacrata, come suo inviato speciale al Congresso eucaristico nazionale del Portogallo, che sarà celebrato a Fatima dal 10 al 12 giugno 2016.

Il Pontefice ha nominato il cardinale arcivescovo di Praga, Dominik Duka, suo inviato speciale alla solenne celebrazione eucaristica che, in occasione del 1700.mo anniversario della nascita di San Martino di Tours, si terrà a Szombathely, in Ungheria il 9 luglio 2016.

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Tweet: ciascuno può essere un ponte tra culture e religioni diverse

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Papa Francesco ha pubblicato un nuovo tweet sull'account @Pontifex in nove lingue: "Ciascuno può essere un ponte tra culture e religioni diverse, una strada per scoprire la nostra comune umanità".

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Benedetto XVI: la pubblicazione del Terzo Segreto di Fatima è completa

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Alcuni articoli apparsi recentemente hanno riportato dichiarazioni attribuite al prof. Ingo Dollinger, secondo cui, nel giugno 2000, l’allora cardinale Ratzinger, dopo la pubblicazione del Terzo Segreto di Fatima, gli avrebbe confidato che tale pubblicazione non è stata completa. A tale proposito, il Papa emerito Benedetto XVI rende noto – attraverso la Sala Stampa vaticana - “di non aver mai parlato col prof. Dollinger circa Fatima” e afferma chiaramente che le esternazioni attribuite al prof. Dollinger su questo  tema “sono pure invenzioni, assolutamente non vere” e conferma decisamente: “La pubblicazione del  Terzo Segreto di Fatima è completa”. 

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Gänswein: nessun corvo o traditore ha spinto Benedetto XVI alla rinuncia

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“Un Pontificato dell’apertura intellettuale e dell’incontro”. Così è definito il ministero di del Papa emerito da don Roberto Regoli, autore del libro “Oltre la crisi”. Il testo, che intende storicizzare gli otto anni del pontificato di Benedetto XVI, è stato presentato a Roma, nell’Università Gregoriana, dall’arcivescovo Georg Gänswein, segretario particolare del Papa emerito, e dallo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Il servizio di Eugenio Murrali

Quando il suo biografo, Peter Seewald, chiese a Benedetto XVI se si sentisse "la fine del vecchio o l’inizio del nuovo", Ratzinger rispose con perspicacia, “Entrambi”. Da questa constatazione della complessità del ministero di Papa Benedetto prende le mosse l’analisi storica di don Roberto Regoli. Così l’autore spiega il titolo del suo lavoro:

"'Oltre la crisi' dà l’idea di un Pontificato che si confronta su lungo periodo".

La difficoltà maggiore in quest’opera di storicizzazione è derivata dall’impossibilità di accedere ai documenti degli archivi vaticani che, come è noto, vengono aperti solo dopo molto tempo:

"Mi sono dovuto esercitare su una documentazione non archivistica ma accessibile: i discorsi pubblici del Papato, tutti i documenti di Benedetto XVI, quelli della Curia, le interviste dei cardinali e quelle dei grandi protagonisti dell’epoca e tutte le interpretazioni dei giornalisti, facendo però un’analisi critica". 

Nell’incontro alla Gregoriana, mons. Gänswein, commentando il libro, ha offerto una sua sintesi della figura di Benedetto XVI, a partire dalla battaglia contro il relativismo:

"A una dittatura del relativismo, che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io, aveva contrapposto il Figlio di Dio e vero uomo come misura del vero umanesimo". 

L’immagine del Pontefice è stata arricchita anche dalle parole con cui Andrea Riccardi ha insistito sul carattere persuasivo del governo di Ratzinger:

"Il grande equivoco: l’immagine "dura" di Ratzinger. Invece, giustamente, Regoli scrive – e sono parole chiave in questa biografia – “Benedetto vuole convincere, non imporre”. Qui appare una caratteristica di Ratzinger che allo stesso tempo è forza e debolezza del suo Pontificato. A pagina 135, secondo me, c’è la svolta interpretativa. È la sua forza gentile, un magistero articolato, persuasivo che – credo – dovrà essere ripreso e approfondito".

La personalità umana del Papa emerito è stata inoltre raccontata nella sua profondità dalla descrizione che mons. Gänswein ne ha fatto:

"Benedetto non è stato un Papa attore e ancor meno un insensibile Papa automa. Anche sul trono di Pietro è stato ed è rimasto uomo. Non fu un libro ingegnoso, fu un uomo con le sue contraddizioni. È così che io stesso l’ho potuto conoscere e apprezzare quotidianamente".

A queste parole, mons. Ganswein ha aggiunto particolari inediti sul dolore di Ratzinger per la scomparsa inattesa di Manuela Camagni:

"L’autore definisce quel 2010 un anno nero per il Papa e precisamente in relazione al tragico incidente mortale occorso a Manuela Camagni, una delle quattro Memores appartenenti alla piccola famiglia pontificia. Posso senz’altro confermarlo. A confronto con tale disgrazia i sensazionalismi mediatici di quegli anni, pur avendo un certo effetto, non colpirono il cuore del Papa tanto quanto la morte di Manuela, strappata così improvvisamente a noi". 

Inoltre, il presule tedesco ha voluto precisare con parresia come la rinuncia al Soglio pontificio sia stata dettata da una profonda riflessione interiore più che dagli eventi esterni:

"È bene che io dica una volta per tutte, con tutta chiarezza, che Benedetto non si è dimesso a causa del povero e mal guidato aiutante di camera oppure a causa delle ghiottonerie provenienti dal suo appartamento che nel cosiddetto affare 'Vatileaks' circolarono a Roma come moneta falsa e che furono commerciate nel resto del mondo come autentici lingotti d’oro. Nessun traditore o corvo o qualsivoglia giornalista avrebbe potuto spingerlo a quella decisione. Quello scandalo era troppo piccolo per una cosa del genere e tanto più grande è stato il ben ponderato passo di millenaria portata storica che Benedetto XVI ha compiuto". 

Il segretario particolare di Benedetto XVI si è quindi soffermato sulla portata rivoluzionaria del gesto di rinuncia:

"Dall’elezione del suo successore, Papa Francesco - il 13 marzo 2016 - non ci sono dunque due Papi, ma di fatto un ministero allargato con un membro attivo e uno contemplativo. Per questo, Benedetto non ha rinunciato né al suo nome né alla talare bianca. Per questo, l’appellativo corretto con il quale bisogna rivolgersi a lui è ancora 'Santità'. Inoltre, egli non si è ritirato in un monastero isolato, ma all’interno del Vaticano, come se avesse fatto solo un passo di lato per fare spazio al suo Successore e a una nuova tappa della storia del Papato che egli, con quel passo, ha arricchito con la centralità della preghiera e della compassione posta nei Giardini vaticani".

Gli fa eco don Regoli:

"Forse, solo Ratzinger poteva permettersi una cosa del genere, perché tutti i suoi predecessori ci avevano pensato, almeno da alcune testimonianze che abbiamo, ma nessuno aveva voluto compiere un passo del genere. Lui l’ha compiuto come frutto di una riflessione teologica postconciliare. E anche nelle interpretazioni che vediamo da parte di alcuni teologi, anche nella rinuncia a un ministero attivo quell’uomo investito della funzione di Papa rimane Papa, rimane tale. Questo prima non era possibile". 

Per comporre la sua analisi storica, don Roberto Regoli ha dovuto consultare un’imponentissima bibliografia e confrontarsi anche con le informazioni più delicate, ma, ha spiegato l’autore, l’importante è utilizzare i documenti e non farsi usare da essi.

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Mons. Aveline: incontro del Papa con Imam di al-Azhar incoraggia fraternità

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Lunedì prossimo Papa Francesco riceverà in Vaticano lo Sceicco al-Tayyib, Grande Imam di al-Azhar, la celebre università musulmana sunnita del Cairo. Un importante evento sulla via del dialogo tra cristiani ed islam. Un tema vivo in molte città, tra cui Marsiglia, ponte sul Mediterraneo tra l’Europa e il Maghreb. Il vescovo ausiliare della città, mons. Jean-Marc Aveline, a Roma per un convegno al Pontificio Istituto di Studi Arabi e di Islamistica, ha spiegato, al microfono di Michele Raviart, come Marsiglia vive la convivenza tra le fedi: 

R. - À Marseille, effectivement …
Effettivamente, a Marsiglia, su un milione di abitanti, la popolazione musulmana è di 200-250 mila persone. Si tratta, quindi, realmente di una grande parte della popolazione. A Marsiglia è anche presente una comunità ebraica di circa 80 mila persone. Quindi ormai da lungo tempo, essendo questa una città portuale, c’è una tradizione di coabitazione e di convivenza che è più o meno riuscita e più o meno buona. C’è anche il dialogo, ma c’è soprattutto un’arte di vivere insieme che finora ha tenuto bene, che però è ora resa più fragile da tutte le crisi attuali, siano esse all’interno dell’islam o all’interno della società francese.

D. – Dopo gli attacchi di Parigi e gli attacchi di Bruxelles, in Europa si cercano ora le diverse Molenbeek europee. A Marsiglia ci sono banlieue o altri luoghi  impermeabili al dialogo?

R. - Imperméable au dialogue peut-être pas…
Impermeabili al dialogo, forse, no!  Ma, in tutti i casi, a Marsiglia ci sono dei quartieri che sono un po’ ghettizzati ed effettivamente tutto questo rende molto difficile le relazioni. Ma questo non è certo dovuto all’islam, all’appartenenza all’islam: è dovuto a problemi economici. Si riscontra certamente che la popolazione che vive in questi quartieri è in gran parte musulmana… Ma il problema di questa realtà, un po’ isolata in alcuni quartieri, è soprattutto economico ed urbanistico: non è religioso! E’ vero, però, che questo crea delle situazioni che non somigliano – se ci penso - a Molenbeek, ma che sono comunque molto preoccupanti.. E come voi sapete bene, questi quartieri sono dei quartieri caratterizzati anche da un notevole traffico di droga; e ci può essere anche il traffico d’armi… Bisogna considerare tutto questo! Non è una questione legata esclusivamente al dialogo interreligioso: è una questione legata alle condizioni e alle situazioni delle città europee, che possono essere oggi esplosive e che sono veramente molto preoccupanti.

D. – Lunedì ci sarà una giornata importante per il dialogo, perché il Papa riceverà in Vaticano il Grande Imam di al-Azhar. Qual è l’importanza di questo incontro?

R. – Je crois que c’est une rencontre que peut stimuler …
Credo che questo sia un incontro che possa riuscire a stimolare tutti gli altri piccoli incontri sul terreno, anche quello che vi ho detto riguardo alla città di Marsiglia. E’ vero! Io conosco una piccola comunità cristiana che vive in una zona con il 95 per cento di presenza musulmani. Ci sono quindi delle situazioni che sono molto fragili, ma che sono anche molto belle. L’incontro di lunedì, che sarà un incontro a più livelli, incoraggia queste piccole realtà ed incontri di fraternità. E’ per questo che è anche molto importante per tutti noi.

D. – In una intervista a La Croix, il Papa ha detto che desidera venire in Francia ed è possibile che venga anche a Marsiglia. La città sarebbe felice di accogliere il Papa?

R. - Oui, oui! C’est une suggestion…
Sì. Si! E’ stato un suggerimento che abbiamo fatto e che a lui è piaciuto. Credo che quello che a lui piace di Marsiglia sia proprio il fatto che la città sia un “laboratorio”, per tutte le ragioni che ho detto prima: sia perché è rivolta al Mediterraneo, sia perché ha delle proporzioni di popolazioni molto differenti fra di loro... Quindi Marsiglia rappresenta un piccolo “laboratorio” su quello che è possibile fare. Credo che questa sfida, che è la nostra sfida quotidiana, interessi molto il Papa. Quando verrà in Francia, potrà consegnare a Marsiglia – credo – un messaggio importante.

D. – Quali sono, per lei, le chiavi del dialogo tra cristiani e musulmani?

R. – Je crois que, en tout cas de point de vu chrétien …
Credo che, dal punto di vista cristiano, la chiave fondamentale sia l’atteggiamento spirituale. Si possono accumulare conoscenze sull’islam, si può avere anche un’idea geopolitica molto chiara, ma se si vuole realmente arrivare ad un vero dialogo con l’islam – dal punto di vista cristiano, ma penso anche da quello islamico – è solo attraverso l’atteggiamento spirituale che questo si può raggiungere. O meglio: se considero i miei fratelli musulmani, come degli uomini e delle donne che ha creato Dio, che Dio ha animato dei suoi desideri, che sono ad immagine e somiglianza di Dio, allora mi interesso dei loro testi e di tutto il resto e ho un atteggiamento comprensivo e una empatia esistenziale con loro. Se, invece, li guardo in modo molto freddo, allora non dialogo con l’islam. Credo che la scommessa sia questa! Non è una scommessa che fa di noi delle persone ingenue: ma più si è in empatia, più è possibile dire quello che non va, più è possibile porre delle domande difficili e più è possibile esprimersi in libertà e in verità. Il dialogo è possibile soltanto sulla base di un profondo atteggiamento spirituale.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Impegno serio per la pace: in prima pagina, Fausta Speranza sul vertice umanitario mondiale a Istanbul.

Miracoli senza limiti: Patrizia Dalla Rosa su Rita da Cascia, una santa estrema nel rapporto artistico e intellettuale tra Yves Klein e Dino Buzzati, e gli articoli di Gauthier Vaillant e Martin tratti da "La Croix" sulla popolarissima patrona delle cause disperate.

La forza della debolezza: Enzo Bianchi su Matta el Meskin, un padre del deserto contemporaneo.

La verità si rivela insieme: Fratel Alois su diversità e comunione.

Sulla stessa strada: l'inviato Marco Bellizi in Indonesia sul dialogo tra le religioni

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Oggi in Primo Piano



Venezuela: per l’opposizione è uno scenario da colpo di Stato

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Situazione sempre più difficile in Venezuela, dove c'è chi non esclude l’ipotesi di un golpe. Il presidente Maduro ha ordinato una serie di esercitazioni militari, mentre l’ex candidato presidenziale dell’opposizione, Henrique Capriles, ha parlato di “sollevamento militare” nell’aria dopo che Maduro si è attribuito poteri speciali. Sulla situazione, Amedeo Lomonaco ha intervistato Roberto Da Rin, inviato del Sole 24Ore ed esperto di America Latina: 

R. – Quella venezuelana è una situazione molto delicata  in cui le parti dialogano con una difficoltà crescente. Ci sono due blocchi che si detestano e che si contendono qualsiasi passaggio istituzionale, oltre che politico. Ci sono i post-chavisti, fedeli al presidente Maduro, e gli oppositori guidati da Enrique Capriles.

D. - L’era politica di Chavez ha ancora riflessi sul presente e anche sul futuro del Venezuela …

R. - Ha ancora riflessi. Chavez naturalmente aveva un consenso generalizzato che Maduro non ha anche se le ultime elezioni - va detto - sono state vinte da Maduro, anche se con poco scarto. Sembra difficile capire, a fronte di una situazione già degenerata, come mai l’elettorato abbia rivotato Maduro. Di certo il carisma di Chavez, a dispetto di alcuni errori politici che lui ha fatto, era notevole soprattutto in America Latina e anche altrove. Maduro ha inanellato una serie di errori che stanno aggravando, drasticamente, la situazione economica e politica del Paese.

D. - Questi errori possono portare ad una guerra civile?

R. - Questo è impossibile dirlo, però di certo la tensione è salita e la situazione è sempre più compromessa. C’è un’iper-inflazione. C’è chi dice sia al 200 percento, chi al 600 percento a seconda del paniere che viene preso in considerazione. L’esercito, fino ad ora, è stato prevalentemente dalla parte del governo, quindi con Maduro. Ora bisognerà capire se i militari ad un certo punto molleranno o meno Maduro. Questo sarà un elemento importante per capire il futuro del Paese.

D. - Il presidente Maduro ha proclamato lo stato d’emergenza e si è attribuito poteri speciali. Anche questo ha creato una situazione di grande tensione …

R. - Si è attribuito poteri speciali perché la situazione economica è, come minimo, emergenziale. Mancano beni di prima necessità e lui ha accusato alcune imprese multinazionali europee e nordamericane di sabotare, in qualche modo, la produzione obbligando delle fabbriche a produrre. Questo naturalmente è anti-economico e genera ulteriori conflittualità. Questo è un passaggio molto delicato per l‘intero Paese, anche perché il referendum revocatorio sulla presidenza di Maduro, che gli oppositori avevano intenzione di effettuare, non si terrà. Questo moltiplica le difficoltà. Il prezzo del petrolio inoltre è molto basso e questo ha generato delle tensioni e problemi di grande entità. Il Venezuela - ricordiamo - è un Paese che vive, prevalentemente, della valuta estera incassata dalle esportazioni di petrolio.

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Turchia. Via l’immunità parlamentare, forze curde a rischio

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L’unica Camera turca ha approvato ieri con una super maggioranza, ottenuta sommando i consensi dell’Akp di Erdogan e di altre formazioni nazionali, un emendamento costituzionale che prevede l’abolizione dell’immunità parlamentare per i reati politici come quello del terrorismo. Il provvedimento, passato in terza lettura con 376 voti su 550, non sarà neppure sottoposto a referendum. Per un commento su una legge che rischia di mettere a repentaglio la sicurezza dei parlamentari della minoranza filo-curda, Roberta Barbi ha sentito Marco Di Liddo, analista del Cesi esperto dell’area: 

R. – Sembra una norma assolutamente legittima. Il vero problema è il significato politico della norma, perché, da due o tre anni a questa parte, da quando l’Akp – Erdogan – hanno chiuso la stagione di dialogo con la minoranza curda e con le sue manifestazioni pacifiche e parlamentari, è iniziata un’offensiva contro il fronte curdo, spesso caratterizzata da durezza nei toni e da un uso spregiudicato dello strumento politico, della magistratura e anche dello strumento militare, in alcuni  casi.

D. – A rischiare di più sono ovviamente i parlamentari delle forze filo-curde, che sono riuscite, per la prima volta, a superare lo sbarramento del 10% solo alle ultime elezioni, nel novembre dello scorso anno…

R. – Non si possono cancellare i dati delle elezioni, però – sicuramente – si può  indebolire la rappresentanza curda in parlamento attraverso un uso spregiudicato di questo emendamento costituzionale. Anche perché, negli ultimi mesi, Erdogan ha continuato a saldare il collegamento tra i movimenti eversivi curdi – quindi il Pkk e il Tak – e le manifestazioni, invece, pacifiche del fronte curdo in parlamento. È una manipolazione politica, anche perché le formazioni curde parlamentari hanno sempre denunciato il terrorismo, e hanno sempre preso le distanze dal Pkk. Erdogan, invece, ha optato per una linea molto più dura, una linea di assimilazione. E quindi il rischio è che con questo emendamento costituzionale si arrestino i parlamentari curdi, che in alcuni casi sono indagati per concussione e collegamenti con il Pkk. Ma molte volte sono indagini il cui protocollo, giuridico e di magistratura, appare alquanto dubbio e manipolato politicamente.

D. – L’eventuale arresto di parlamentari curdi tornerebbe a creare quel vuoto di rappresentanza che in passato ha fatto salire le tensioni, soprattutto nel sudest del Paese?

R. – L’ultima volta che si era sviluppata una situazione di questo tipo era il 1994. Anche in quel caso furono arrestati i rappresentanti curdi in parlamento e cominciò una enorme mobilitazione curda nel sudest del Paese. Adesso, bisognerà vedere cosa prevede la legge elettorale e quali saranno i meccanismi per sostituire quegli eventuali parlamentari che saranno arrestati. Bisogna vedere se la loro carica decadrà oppure se ci sarà una sostituzione. Il rischio è che, nel caso in cui il seggio debba essere riassegnato – quindi bisogna andare a vedere chi sono i “secondi eletti” o quelli che sono al secondo posto nei distretti elettorali dove sono stati eletti i curdi. In quel caso, se la seconda posizione appartenesse a un partito non curdo, a quel punto gli equilibri parlamentari si potrebbero sensibilmente modificare e la minoranza curda potrebbe denunciare una seria mancanza di rappresentatività nelle istituzioni parlamentari. C’è il rischio di un’offensiva a 360° contro il mondo curdo in Turchia: non solo militare, di polizia – dal punto di vista della lotta contro l’eversione – ma anche contro le istituzioni democratiche e i partiti che accettano il dibattito politico. Questa strategia dell’Akp sta assumendo dei tratti sempre più autoritari e antidemocratici.

D. – Questa riforma inevitabilmente muterà i rapporti di forza all’interno del parlamento turco. Ciò consentirà a Erdogan di accelerare la riforma costituzionale che porterà la Turchia verso il presidenzialismo?

R. – L’obiettivo di Erdogan è questo ed è un “segreto di Pulcinella”, nel senso che lo sanno tutti in Turchia e anche all’estero. Davutoglu ha pagato con l’esautorazione, con la costrizione alle dimissioni, la sua opposizione al progetto presidenzialista di Erdogan. Questo è un progetto che strizza l’occhio al presidenzialismo russo e quindi a quello di accentrare in maniera significativa i poteri nelle mani di un solo uomo. Ricordiamo che la Turchia non è mai stata una repubblica presidenziale, neppure all’epoca di Ataturk, quindi il progetto è chiaro: rendere Erdogan l’architrave di tutto il sistema.

D. – Il presidente del parlamento europeo Schulz ha definito questo provvedimento un “colpo alla democrazia turca e alla libertà politica”. Ma preoccupazioni si sono sollevate da più parti nel mondo occidentale: questo come cambierà le relazioni con l’Europa?

R. – Le relazioni con l’Europa, purtroppo, da almeno due anni a questa parte sono molto difficili perché la Turchia ha abbondonato, congelato, la sua volontà di integrazione verso l’Unione Europea. Questo anche perché la crescita del conservatorismo valoriale da parte dell’Akp pone un conflitto anche ideologico verso i valori fondanti a livello politico dell’Ue. La spinta a est della Turchia – questa sua volontà di ritornare a essere una potenza di respiro mediorientale – ha cambiato le priorità di Ankara. I conflitti con l’Europa ci sono stati non solo sul dossier curdo e sulla gestione della crisi siriana – dove Bruxelles, le cancellerie europee e Ankara, sono agli antipodi – ma anche nella gestione del flusso migratorio. In quest’ambito, Erdogan ha dimostrato una sorta di “sciacallaggio politico” nei confronti dei flussi migratori chiedendo all’Ue enormi finanziamenti in cambio della costruzione di campi profughi e di accoglimento. Con questa mossa, che mette a repentaglio il sistema democratico turco, ovviamente i rapporti si faranno ancora più complessi, anche perché l’Europa chiede sempre ai propri partner dei livelli di democraticità alti, cosa che la Turchia, non solo con questo emendamento costituzionale, ma anche con le leggi sulla censura dei media e con la legislazione antiterrorismo, ha messo un po’ a repentaglio.

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Roberti: non temo ritorno stragi mafia, prevenire terrorismo

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La lotta al terrorismo in Italia e in Europa richiede attenzione ai luoghi dello scontento, alle periferie, ma anche alle infiltrazioni possibili nei flussi migratori. Così il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti che, alla vigilia dell’anniversario della strage di Capaci del 23 maggio 1992, torna sulla questione sicurezza dei magistrati e sul ritorno alle forme più violente dell’azione mafiosa.L’intervista è di Gabriella Ceraso

R. – In base agli elementi che abbiamo, e che abbiamo anche raccolto in questi mesi di indagini e di interventi giudiziari, a volte anche significativi, possiamo ben dire che i potenziali terroristi o “foreign fighters” sono già nel nostro Paese e magari ci vivono da una vita, come è emerso dalle indagini milanesi. Quindi è giusto guardare le periferie per prevenire percorsi di radicalizzazione, che poi possono sfociare in scelte di violenza o addirittura di jihad, ma è giusto anche - secondo me - controllare nei flussi migratori l’arrivo di potenziali terroristi, perché siamo certi che con i flussi migratori non arrivino per forza terroristi già predisposti a commettere attentati in Italia, però non c’è dubbio che tra i rifugiati potrebbero esserci dei soggetti predisposti ad avviare percorsi di radicalizzazione.

D. – Minacce ai Pm antimafia, il piano contro il procuratore di Napoli, Colangelo ... C’è stata un’assemblea dei Pm sulla questione sicurezza. Le posso chiedere se c’è un problema in tal senso e quali sono le vostre preoccupazioni?

R. – Io ho sempre pensato che la protezione ai magistrati debba essere assicurata sulla base di un’analisi molto attenta del rischio che ciascuno di essi corre in relazione alle attività giudiziarie che svolge. Quindi, anche indipendentemente da minacce esplicite, si può arrivare ad assicurare la protezione ai magistrati quando si ritenga che essi siano esposti al rischio. Nel caso del procuratore Colangelo, è stato accertato un progetto serio di attentato: era un progetto concreto ed esiste ancora l’attualità del pericolo, perché recentissimo è stato il mandato conferito dai napoletani ai pugliesi per l’esecuzione materiale dell’attentato. E quindi bisogna intanto sviluppare un’indagine molto attenta per arrivare ai responsabili – ed è quello che si sta facendo – e poi assicurare al procuratore Colangelo la necessaria tutela.

D. – Siamo a pochi giorni dall’anniversario, 24 anni, dell’attentato al giudice Falcone. Abbiamo appena ricordato l’uccisione di Massimo D’Antona, ci dobbiamo aspettare episodi simili?

R. – Io non penso alla possibilità concreta di un ritorno alla stagione delle stragi, anche perché le organizzazioni criminali sono ben diverse. Non esiste più l’ala stragista di Cosa Nostra che eseguì gli attentati del ’92 e del ’93. Penso però che bisogna guardare con estrema attenzione a questi fatti e alle vicende degli ultimi giorni. L’attentato al direttore del Parco dei Nebrodi mi sembra un elemento estremamente preoccupante di un possibile ritorno, se non dello stragismo, comunque di attività violente delle organizzazioni mafiose. È quindi una cosa che va valutata con estrema attenzione.

D. – Proprio nel caso del presidente Antoci del Parco dei Nebrodi lei ha detto: “Si colpisce di solito chi si impegna di più”. Qui parliamo di un impegno a togliere terre, agricoltura alla mafia, no?

R. – Parliamo dell’impegno del presidente Antoci nel ripristinare condizioni di legalità in un territorio ad alta densità mafiosa, quindi un impegno e una sfida estremamente importanti. E sono sicuro che il presidente Antoci, e anche gli altri sindaci che in quel territorio con lui hanno sottoscritto il “Patto di Legalità” per quel territorio, vadano protetti e debbano continuare serenamente le loro attività all’insegna della legalità e della trasparenza.

D. – Quanta ce n’è di società civile disposta a rischiare tutto per l’onestà e la legalità?

R. – Io ricordo sempre il pensiero di Giovanni Falcone, che diceva che non possiamo pretendere l’eroismo da inermi cittadini. Possiamo però aspettarci che i cittadini onesti – e sono tanti – recuperino la fiducia nelle istituzioni e con essa anche la voglia di collaborare e di perseguire le strade dell’onestà. Ma ugualmente, questa fiducia le istituzioni devono meritarsela, dimostrando ai cittadini onesti di fare sul serio contro le mafie.

D. – Questo Patto della Legalità per il Parco dei Nebrodi, alla Camera si dice che c’è l’intenzione di farlo diventare legge e quindi di estenderlo.Che significherebbe nella lotta alla mafia?

R. – Sarebbe indubbiamente un passo avanti. Significa innanzitutto verificare che coloro che aspirano ad avere appalti e commesse pubbliche non abbiano alcun tipo di legame con le organizzazioni mafiose. E inoltre che abbiano dimostrato in passato di praticare la strada della legalità nella loro attività imprenditoriale.

D. – E questo, esteso, sarebbe uno scudo per la diffusione della mafia o no?

R. – Sarebbe molto importante e anche uno scudo contro le infiltrazioni mafiose nella Cosa pubblica, in particolare negli appalti pubblici.

D. – I fatti di queste ore raccontano del volo dell’Egyptair precipitato: la pista del terrorismo si fa sempre più pregnante. In Italia potrebbe succedere la stessa cosa? Quali sono i rischi che corriamo?

R. – Mi auguro ovviamente di no, ma non posso prevedere il livello di rischio. So che l’Italia è un Paese a rischio, come anche gli altri Paesi europei, ma noi stiamo adottando tutte le misure necessarie a prevenire.

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Uranio impoverito. Guariniello: più sicurezza anche su amianto

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Storica sentenza sulla questione dell'uranio impoverito. La Corte di Appello di Roma ha condannato il Ministero della difesa per "condotta omissiva" nel non aver protetto il caporalmaggiore dell’Esercito, Salvatore Vacca, ammalatosi di leucemia linfoblastica per via delle esposizioni all’uranio impoverito durante una missione in Bosnia tra il 1998 e il 1999. Il militare è morto a 23 anni appena tornato in Italia. La famiglia di Vacca verrà risarcita dal Ministero per oltre un milione e mezzo di euro, che si aggiunge all'indennizzo già ricevuto di 650 mila euro. Alla luce di questa storica sentenza, ascoltiamo al microfono di Daniele Gargagliano, l’ex procuratore della Repubblica di Torino, Raffaele Guariniello, che si è occupato nelle sue inchieste in favore della salute pubblica anche del contagio da uranio impoverito: 

R. – Questo è un problema di cui mi sono occupato durante le indagini fatte alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Torino come pubblico ministero. È un problema che ci è stato segnalato, abbiamo fatto anche varie indagini epidemiologiche. È uno dei temi all’ordine del giorno per quanto riguarda la sicurezza del lavoro nell’ambito della Forze armate. Noi del resto partimmo dopo una legge del 2010 proprio riguardo le Forze amate, un dpr che era stato predisposto dal Ministero della difesa dove, proprio con riferimento ai proiettili all’uranio impoverito e alle nano particelle, si sottolinea che può esserci un’esposizione dei lavoratori militari e degli stessi cittadini che può portare a patologie anche di carattere tumorale. Nella stessa legge attualmente in vigore, già si sottolinea questo punto: quindi, devo dire che questa sentenza, come altre, si muove nella direzione che in fondo era stata intrapresa dalle nostre indagini giudiziarie.

D. – Questa sentenza ha una portata storica in quanto costituisce un precedente…

R. – Ricordo che nell’ambito delle nostre indagini abbiamo avvertito una grande richiesta di giustizia da parte delle vittime e dei loro parenti, ma come spesso avviene non solo sul fronte delle Forze armate, spesso questa richiesta di giustizia non viene soddisfatta. Quindi, che questa richiesta sia stata soddisfatta da questa sentenza è indubbiamente di grande peso per il futuro.

D. – Secondo le indagini, i militari italiani non erano ben equipaggiati e protetti a sufficienza come invece lo erano gli americani…

R. – Anche questo è un punto di cui si dovrebbe tener conto ai fini di eventuali altre indagini di carattere giudiziario.

D. – Lei si è occupato da magistrato della questione dell’uranio impoverito. C’è la necessità di nuove norme a tutela della salute sia dei cittadini che dei militari all’estero?

R. – Noi abbiamo dovuto occuparci molto non solo di uranio impoverito ma anche di amianto. I fattori di rischio sono molteplici. Applicando le nostre norme, mi sono reso conto che c’è da sperare che si vada, da parte della legislatura, verso una normativa più incisiva. È un’indicazione che viene fatta anche su altri fronti, non solo su quello militare. Noi abbiamo un grande problema di sicurezza sul lavoro nelle varie imprese private e pubbliche e anche nelle Forze armate. Ci deve essere una risposta da parte del legislatore.

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Card. Piacenza: il perdono di Dio è per tutti

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Misericordia e perdono: questo il tema della catechesi giubilare tenuta ieri pomeriggio dal penitenziere maggiore, il card. Mauro Piacenza, presso la Chiesa di Santo Spirito in Sassia a Roma. Quinto appuntamento di un ciclo di catechesi giubilari sulla Divina Misericordia, l’evento è stato organizzato sotto il patrocinio del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione e con la collaborazione dell’associazione “Res Magnae”. L’intervista al porporato è di Elvira Ragosta

R. – Qualsiasi opera si voglia compiere, e quindi per esempio le opere di misericordia, sia corporale che spirituale, che il Santo Padre ci indica continuamente – provvidenzialmente – nascono soprattutto dall’esperienza di preghiera. Io faccio sempre un po’ l’esempio della spugna: la spugna si mette nell’acqua, si imbibisce di acqua, e poi quando la si tira su gronda acqua e se la si spreme è tutta acqua. Ecco, credo che sia questo il principio cristiano dell’azione, della buona azione: il fatto di immergersi totalmente nell’orazione, perché l’immergersi nell’orazione è immergersi nel soprannaturale, nel respiro stesso della Santissima Trinità, è immergersi nelle cose eterne, per le quali siamo fatti. E' ritornare all’essenza del nostro Battesimo, l’innesto in Cristo, e quindi l’innesto nella Chiesa. E allora credo che quello sia il senso della preghiera prioritaria.

D. – La riconciliazione, il perdono: come si può sinteticamente spiegare il rapporto tra la misericordia e il perdono?

R. – Basterebbe guardare al Sacramento della Penitenza, alla quale ci spinge continuamente il Santo Padre. Le faccio questo esempio: la misericordia – secondo me – passa attraverso il Sacro Cuore di Gesù, perché tutta la grazia di Dio, tutta la ricchezza che Dio vuole effondere sull’umanità, passa attraverso l’umanità di Gesù Cristo, perché è il tratto di unione tra l’eterno e il tempo, tra Dio invisibile e l’uomo creatura visibile. Lui, essendo vero Dio e vero uomo, fa da ponte veramente perfetto. Domenica prossima sarà la Trinità: allora pensiamo la Trinità è pienezza di amore. È chiaro: Dio è amore. Non possiamo neanche dire Dio è misericordia: Dio è amore, perché la misericordia è questo amore trasfuso sull’uomo. Allora, questo Dio che è amore, è come dei laghi delimitati da delle dighe, dove c’è la ricchezza d’acqua che poi deve scendere e alimentare la vita dei paesi, dei campi, ecc. Ecco, è come se si fosse aperta una crepa in questa diga e fossero fuoriuscite con un impeto meraviglioso tutte le acque fresche che contiene. Dal Sacro Cuore di Gesù ferito in Croce, esce sangue ed acqua, e escono i segni dei Sacramenti. Lì incomincia il perdono dell’uomo.

D. – In un mondo segnato da disuguaglianze e anche da conflitti, Papa Francesco ha parlato di una “terza guerra mondiale a pezzi”. Quanto è forte il tema del perdono?

R. – Fortissimo, nel senso che meno, purtroppo, se ne sente il bisogno e più ce n’è bisogno, evidentemente. Quindi, più l’uomo è lontano e più ce n’è bisogno – che poi il concetto di lontananza da Dio è forte, grave, e nello stesso tempo è anche un po’ relativo, perché molti uomini che dichiarano di non avere nessun bisogno di Dio, poi alla fine dentro di sé hanno un qualche cosa che chiama Dio e la Sua misericordia. Allora, ecco che il mondo attuale ne ha tanto più bisogno perché ci sono troppi contrasti, troppe contraddizioni, troppe violenze, non soltanto materiali – e sono tantissime e brutali – ma anche ideologiche. Allora, in questo momento c’è bisogno di riconciliazione, di pace e di perdono. Il perdono, la riconciliazione: possono nascere soltanto dal profondo del cuore.

D. – La misericordia e le giovani generazioni…

R. – Le giovani generazioni sentono molto il bisogno della misericordia. E sono anche attratte da questo discorso. Certamente, c’è bisogno di un grande lavoro pastorale tra di loro, perché molto spesso sono connotate da una cultura di violenza, di superficialità e di banalità. Ma se noi scendiamo nell’intimo – la Chiesa, gli uomini e le donne di Chiesa, perché la Chiesa in sé è santa ed è l’opera di Dio – se facciamo lo sforzo di essere profetici, e per esserlo basta essere autentici, allora lì c’è la "calamita".

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Il commento di don Gianvito Sanfilippo al Vangelo della Domenica

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Nella solennità della Santissima Trinità, la liturgia ci propone  il Vangelo in cui Gesù dice ai discepoli che lo Spirito della verità guiderà a tutta la verità:

“Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”.

Sulla solennità della Santissima Trinità, ascoltiamo il commento di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della Diocesi di Roma: 

Dio è famiglia, comunione di persone che si amano e sono, in sé stesse, amore; questa natura divina che le accomuna è per sua essenza, effusiva. Con somma libertà esse hanno creato realtà visibili ed invisibili, e donato l'esistenza a persone umane ed angeliche. La libertà di amare Dio, o rifiutarlo, rende uomini e angeli a loro volta creatori del proprio futuro e dà gloria alla benevola grandezza della Trinità. L'amicizia divina ci ha difeso dall'invidia luciferina, foriera di morte; mossa a pietà dalla rovina eterna che si profilava per noi, ha posto in opera la nostra salvezza. Questo "zelo trinitario" suscita la missione della Chiesa: i familiari di Dio, come santa Elisabetta della Trinità, possono dichiarare: "I miei Tre sono in me". "Il Dio Trinità è comunione d'amore" afferma Papa Francesco "e la famiglia è il suo riflesso vivente" (AL 11). San Giovanni Paolo II aveva già affermato con determinazione: "Trinità in missione, famiglia in missione". Molte volte Dio si rivela, attraverso la famiglia cristiana, vero santuario della Vita e scuola di Amore per le generazioni che sempre si rinnovano. Preghiamo, in questa solennità, per la nascita di molte famiglie che, mediante il sacramento del matrimonio, evangelizzino facendo risplendere, con singolare efficacia, la fedeltà, il perdono reciproco, e una generosa fecondità.

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Nella Chiesa e nel mondo



Morta la missionaria slovacca ferita nei giorni scorsi in Sud Sudan

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Dopo quattro giorni di agonia, è morta Suor Veronika Theresia Rackova, la missionaria verbita slovacca ferita gravemente, il 16 maggio, in Sud Sudan. A colpirla, sarebbe stato un gruppo di uomini armati, forse appartenente all’Esercito di liberazione del popolo sudanese (Spla). Sr. Veronika, direttrice del St Bakhita Health Center, nella diocesi di Yei, era stata ferita all’anca mentre rientrava a casa, dopo aver accompagnato una donna incinta in ospedale.

Una morte che ha sconvolto tutti
La religiosa era stata poi trasportata a Nairobi, dove aveva subito due interventi chirurgici all’anca. Le esequie si terranno giovedì 26 maggio ed è probabile che la religiosa venga sepolta in Kenya. “La morte di Sr. Veronika – ha detto padre Emmanuel Sebit, segretario generale della diocesi di Yei – ha sconvolto tutti”. La località, infatti, è solitamente tranquilla e piuttosto lontana dalle zone di conflitto che affliggono il Paese. Per la sparatoria, sono stati fermati tre sospetti, ma le indagini sono ancora in corso.

Nel 2015, uccisi nel mondo 22 operatori pastorali
La Congregazione Missionaria delle Serve dello Spirito Santo ha chiesto preghiere per la consorella e per  tutta la popolazione del Sud Sudan. La morte di Sr. Veronika fa aumentare, tristemente, il numero degli operatori pastorali uccisi nel mondo. Secondo i dati forniti dall’Agenzia Fides, solo nel 2015 se ne contano 22: 13 sacerdoti, 4 religiose, 5 laici. Tra loro, 5 sono morti in Africa (3 sacerdoti, 1 religiosa, 1 laica). (I.P.)

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Attentato Lahore: cristiani e musulmani ringraziano la Caritas

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La Caritas del Pakistan ha distribuito aiuti economici ai sopravvissuti dell’attentato di Lahore, nel Punjab. Gli assegni del valore di 40 mila rupie (circa 340 euro) ciascuno, sono stati consegnati a 19 famiglie, di cui quattro di religione musulmana. Tra i beneficiari musulmani, vi è la famiglia di Ahmad Mushtaq, un ragazzo di 17 anni, che nell’attentato ha perso quattro dita del piede sinistro e l’udito dall’orecchio destro. Naila Malik, la madre del giovane, dice ad AsiaNews: “I cristiani hanno dimostrato grande simpatia verso di noi, come se fossimo dei parenti. Essi si prendono cura di tutti”.

78 morti e 350 feriti il bilancio dell’attentato
Compiuto dai talebani nel giorno di Pasqua, l’attentato al parco giochi di Gulshan-e-Iqbal di Lahore ha fatto tante vittime e feriti sia tra i cristiani che tra i musulmani. In tutto, sono morte 78 persone, di cui 24 cristiani, e altre 350 sono rimaste ferite. La maggior parte di queste sono donne e bambini, che al momento dell’esplosione si trovavano nel parco per giocare.

Cerimonia commemorativa nella Cattedrale di Lahore
La Caritas ha distribuito gli assegni durante una cerimonia nella Cattedrale del Sacro Cuore di Lahore lo scorso 18 maggio. Uno a uno, i beneficiari sono stati chiamati sull’altare per ricevere il dono, consegnato dall’arcivescovo Sebastian Shah. Era la prima volta che la famiglia di Mushtaq visitava una chiesa. Il ragazzo è stato investito dall’esplosione ed è rimasto ricoverato in ospedale per due settimane, dove è stato sottoposto a cinque interventi chirurgici. La madre racconta: “Era sveglio durante gli interventi, perché i medici avevano finito l’anestesia”.

Il grazie dei musulmani alla Chiesa
Oltre al sostegno finanziario, la Caritas sta aiutando le vittime a superare i traumi attraverso terapie di sostegno. La cerimonia di consegna si è conclusa con i riconoscimenti per alcuni funzionari di governo, tra cui il dott. Shahid Farooq, amministratore dell’ospedale di Jinnah. Il medico ha ringraziato i rappresentanti della Caritas, “perché con le loro visite nel reparto di pronto soccorso hanno risollevato il morale dei sopravvissuti. Prego Allah che tanti altri possano seguire l’esempio dei cristiani”.

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Summit umanitario. Card. Tagle: più risorse per gli aiuti

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“Gli aiuti umanitari alle persone colpite dalle emergenze possono essere più efficienti ed effettivi coinvolgendo le organizzazioni locali, incluse quelle ispirate dalla fede”. Lo afferma, in una nota ripresa dall’agenzia Sir, il cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila e presidente di Caritas internationalis, alla vigilia del primo Vertice umanitario mondiale che si svolgerà a Istanbul il 23 e 24 maggio prossimi. Il porporato interverrà alla Sessione speciale sull’impegno religioso che si svolgerà nella prima giornata di lavori di questo incontro internazionale organizzato dall’Onu.

Disuguaglianze in crescita. Utilizzare meglio gli strumenti disponibili
“Le disuguaglianze crescenti, i cambiamenti climatici, la scarsità d’acqua, l’urbanizzazione, i conflitti per le risorse e la diffusione dell’estremismo mettono in pericolo milioni di persone", afferma il card. Tagle. "Abbiamo bisogno – prosegue – di un sistema umanitario adatto a questi bisogni crescenti”. “Nonostante le organizzazioni locali, comprese quelle ispirate dalla fede, offrano una rete estesa di infrastrutture e mettano a disposizione alloggi, cure ed educazione – sottolinea ancora il presidente di Caritas Internationalis – l’attuale sistema umanitario di donatori spesso non le riconosce”. Tuttavia, mette in guardia il porporato, “se si vuole raggiungere le persone con un aiuto di qualità, bisogna utilizzare meglio gli strumenti a disposizione”.

Trasformare il sistema attuale 
Il summit di Istanbul, dunque, afferma l’arcivescovo di Manila, può essere l’occasione “per trasformare il sistema attuale, dando alle organizzazioni locali il giusto diritto a sedere allo stesso tavolo”. Secondo Caritas Internationalis, bisogna “investire sull’azione locale, rafforzare le capacità di base e migliorare la collaborazione e il coordinamento”. Alla conferenza di Istanbul, parteciperanno rappresentanti Caritas da Usa, Austria, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Libano, Lussemburgo e Niger. Attesa anche una delegazione di alto livello della Santa Sede: capo delegazione sarà il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, con i vicecapi delegazione mons. Bernardito Auza, osservatore permanente presso l’Onu, e mons. Silvano Maria Tomasi, già osservatore permanente presso gli Uffici dell’Onu a Ginevra e ora al Pontificio Consiglio Giustizia e pace. (I.P.)

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Cambogia. Ricordato mons. Destombes nel 100.mo della morte

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“Rimaniamo, qualunque cosa accada”: sono le parole con cui mons. Emile Destombes, all’epoca giovane missionario in Cambogia, negli anni ’70 commentò la conquista di Phnom Penh da parte dei Khmer Rossi di Pol Pot. Queste stesse parole aprono il video che il Vicariato Apostolico di Phnom Penh ha diffuso ieri, 20 maggio, a cento giorni dalla morte di mons. Destombes. Visibile sul portale di You Tube, il video ripercorre gli ultimi giorni del presule, la sua storia personale intrecciata con quella, drammatica, del Paese e mostra le commoventi immagini delle sue esequie.

Mons. Destombes scomparso il 28 gennaio scorso
Artefice della rinascita della piccola comunità cattolica nel Paese dopo il dramma del genocidio di Pol Pot, mons. Destombes, missionario delle Missioni Estere di Parigi, si è spento il 28 gennaio scorso nella capitale cambogiana, sede del Vicariato apostolico che aveva guidato dal 2001 al 2010, dopo essere stato nel 1989 il primo missionario in assoluto a poter rientrare nel Paese dopo la grande tragedia.

Fu il primo sacerdote a rientrare in Cambogia nel 1989
Nato a Roncq, in Francia, nel 1935, mons. Destombes era arrivato in Cambogia come giovane missionario nel 1965. A Phnom Penh era stato insegnante nel Seminario minore e direttore di uno studentato. Poi, dal 1970, aveva diretto il Comitato per gli aiuti alle vittime della guerra, fino alla conquista di Phnom Penh da parte dei Khmer rossi, nell’aprile 1975. Espulso insieme a tutti gli altri missionari, si era recato a Parigi e poi era partito missionario per il Brasile finché, nel 1989, le truppe vietnamite lasciarono la Cambogia e lui fu il primo sacerdote a poter rientrare in qualità di rappresentante di Caritas Internationalis per l’assistenza umanitaria.

Nel 1990 la “Messa della Resurrezione”
Per un anno rimase l’unico sacerdote straniero nel Paese. Nell’aprile 1990, ricevette dal regime l’autorizzazione alla riapertura di una Chiesa. Così il 14 aprile 1990, nel giorno di Pasqua, padre Destombes poté presiedere la prima Messa pubblica dopo tanti anni: un evento che vide la partecipazione di circa tremila fedeli e che è rimasto nella memoria della Chiesa cambogiana come la “Messa della Resurrezione”.

Grazie a lui, la Chiesa cambogiana è diventata Chiesa missionaria
Nominato nel 1997 vescovo coadiutore di mons. Yves Ramousse – il vicario apostolico del periodo precedente al dramma del 1975, anche lui rientrato in Cambogia – ne aveva raccolto il testimone nel 2001 fino al 2010, quando gli è succeduto un altro confratello missionario, mons. Olivier Schmitthaeusler, che a gennaio ha concelebrato la Messa esequiale: “L’ultima parola di mons. Emile – ha ricordato con voce commossa il presule in quell’occasione – è stata ‘sì’, prima di ricevere il Sacramento dell’Eucaristia”. “Grazie a lui – ha sottolineato – siamo diventati una Chiesa missionaria, alla maniera di San Paolo, annunciando la Parola di Dio di villaggio in villaggio”.

“Catholicambodia”, il canale You Tube della Chiesa cambogiana
Il video commemorativo di mons. Destombes è stato caricato sul canale You Tube denominato “Catholiccambodia” (su Twitter #catholiccambodia). Inaugurato nel 2008, il canale ospita materiale informativo sulle varie attività della piccola Chiesa cambogiana. Nei giorni scorsi, ad esempio, è stato caricato un video che traccia il bilancio del Giubileo straordinario della misericordia nel Paese. Le immagini, molto suggestive, mostrano i fedeli in preghiera davanti alle Porte Sante aperte dal Vicario Apostolico e descrivono le attività caritative portate avanti durante il Giubileo.

I frutti del Giubileo della Misericordia
Un Anno Santo particolarmente fruttuoso, tanto da contare, secondo i dati forniti dall’agenzia Fides all’inizio di maggio, ben 111 nuovi battezzati ed 80 catecumeni. Il cammino giubilare è stato segnato anche da diversi momenti molto importanti, come il ritiro spirituale sul tema della misericordia, cui hanno preso parte circa 500 fedeli provenienti dai diversi settori pastorali del Vicariato. (I.P. – L.Z.)

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Germania. Documento dei vescovi per il 100.mo Katholikentag

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“Ecco l’uomo”: questo il titolo della 100.ma edizione del Katholikentag, ovvero la “Giornata dei cattolici tedeschi”, che si terrà a Lipsia dal 25 al 29 maggio prossimi. In vista dell’evento, organizzato a cadenza biennale dal Comitato centrale dei cattolici tedeschi, i vescovi della Germania hanno pubblicato un invito rivolto a tutti coloro che cercano un confronto e un momento di riflessione: “Da molti anni – riferisce l’agenzia Sir – il Katholikentag è un riflesso della vita nella nostra Chiesa, allo stesso tempo colorato e vario, serio e gioioso, spiritualmente e politicamente”.

Solidarietà concreta verso i più bisognosi
“Al centro della Giornata – continuano i presuli – c’è la coscienza e la convinzione di rivolgersi a persone che hanno bisogno della nostra solidarietà concreta e di opere di carità”. Nel loro documento, i vescovi tedeschi sottolineano anche l’importanza di vivere l’evento a Lipsia, ovvero in “una grande città giovane, moderna, commerciale e culturale, dove i cristiani cattolici sono una minoranza vitale”.

21 e 22 maggio, collette speciali per l’evento
Ma tanti fedeli si sono impegnati con dedizione, in tutta la diocesi di Dresden-Meissen alla quale Lipsia appartiene, alla realizzazione del 100.mo Katholikentag. Per questo, la Conferenza episcopale tedesca invita i fedeli a una colletta speciale durante le Messe di sabato 21 e domenica 22 maggio. In tal modo, concludono i presuli, “anche chi non potrà esser presente, avrà la possibilità di offrire concretamente il proprio sostegno con la preghiera ed una generosa donazione”.

L’incoraggiamento del card. Marx
Da ricordare che già lo scorso anno, mentre si lavorava alla preparazione dell’evento, il presidente della Conferenza episcopale tedesca, il card. Reinhard Marx, aveva sottolineato l’importanza della collaborazione tra vescovi e laici in Germania, auspicando “una fruttuosa cooperazione”. “Considero il Katholikentag – aveva detto il porporato – un grande arricchimento della vita ecclesiale in Germania e lo vedo come un’opportunità, perché i cristiani abbiano un effetto reale nella nostra società”.

Nel 2014, la precedente edizione
La precedente edizione della Giornata si era tenuta nel maggio 2014 a Ratisbona, sul tema “Costruire ponti con Cristo” e aveva visto un focus speciale sui temi della morale familiare e delle prospettive della famiglia cristiana, in preparazione al terzo Sinodo straordinario della famiglia svoltosi in Vaticano nell’ottobre dello stesso anno, sul tema: "Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell'evangelizzazione". (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 142

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.