Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 23/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Abbraccio Papa-Grande Imam di Al-Azhar. Tauran: educazione chiave del dialogo

◊  

Il “comune impegno delle autorità e dei fedeli delle grandi religioni per la pace nel mondo, il rifiuto della violenza e del terrorismo, la situazione dei cristiani nel contesto dei conflitti e delle tensioni nel Medio Oriente e la loro protezione”. Questi alcuni dei temi affrontati nell’udienza di Papa Francesco con lo Sceicco Ahmad Muhammad al-Tayyib, Grande Imam di Al-Azhar, ricevuto oggi in Vaticano. Lo Sceicco al-Tayyib, accompagnato dalla propria delegazione, è stato accolto e introdotto al Pontefice dal presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, il card. Jean-Louis Tauran, e dal segretario dello stesso dicastero, mons. Miguel Ángel Ayuso Guixot. Nel colloquio di circa 30 minuti, definito da una nota della Sala Stampa vaticana come “molto cordiale”, i due interlocutori hanno rilevato “il grande significato di questo nuovo incontro nel quadro del dialogo fra la Chiesa cattolica e l’Islam”. Il Pontefice ha donato al Grande Imam il medaglione dell’ulivo della pace e una copia della Lettera Enciclica “Laudato si’”. Dopo l’udienza con il Santo Padre, lo sceicco al-Tayyib si è intrattenuto con il card. Tauran, assieme alle delegazioni. Giada Aquilino ha intervistato il porporato al termine dell’incontro: 

R. – Si è svolto in un clima di grande amicizia. Non si è parlato del passato, ma del presente e del futuro. C’è un vivo desiderio, da parte dei nostri partner, di riprendere il dialogo. E se “risusciterà” la Commissione del 1998, penso che ci sarà un’intensificazione dei contatti. Quindi è stato un bel traguardo, in un clima di grande amicizia. Devo dire che personalmente non mi aspettavo tanto.

D. – Si è parlato del comune impegno delle autorità e dei fedeli delle grandi religioni per la pace nel mondo, del rifiuto della violenza e del terrorismo…

R. – Certo, delle cose che abbiamo in comune. Siamo stati consapevoli che il nostro incontro sia un messaggio per i musulmani e i cristiani e specialmente quelli del Medio Oriente.

D. – Si è parlato, a tal proposito, anche della situazione dei cristiani nel contesto dei conflitti e delle tensioni nel Medio Oriente e della loro protezione: come?

R. – La necessità del dialogo e di evitare l’ignoranza.

D. – Al-Azhar, al Cairo, è l’ateneo che forma il più alto numero di imam sunniti, si parla di migliaia all’anno: quale messaggio trasmette, secondo il mondo cristiano?

R. – La necessità di unire la buona volontà di tutti i credenti, in modo tale che non ci sia più una società dove la violenza penetra in tutti i settori della vita, ma che tutti siano consapevoli che non possiamo essere felici gli uni senza gli altri e mai gli uni contro gli altri.

D. – In questi anni si corre il rischio di un deterioramento dei rapporti interreligiosi a causa delle brutalità commesse dal sedicente Stato Islamico e dell’estremismo islamico?

R. – La prima cosa alla quale dobbiamo porre rimedio è l’ignoranza; perché molti cristiani temono i musulmani, ma non li hanno mai incontrati e mai hanno aperto il Corano. E la stessa cosa per quanto riguarda la parte musulmana, che non hai mai preso abbastanza consapevolezza del contenuto del Vangelo. Questa situazione così contrastata è anche un appello ai credenti ad essere sempre più coerenti con la propria religione.

D. – Cosa è cambiato tra le due religioni rispetto agli ultimi anni?

R. – Il terrorismo ha indebolito molto i nostri sforzi: questo non si può negare. Però c’è anche la consapevolezza dell’importanza della cultura e dell’educazione: forse questa è la chiave per il futuro.

D. – Nei colloqui si è parlato di Ratisbona?

R. – No, assolutamente. Non si è parlato del passato. Questa è la volontà comune: ripartire e cominciare un nuovo capitolo.

D. – Quale cammino c’è davanti?

R. – La possibilità di far rivivere la Commissione del 1998, in modo da approdare sempre ad un canale aperto, dove far convergere informazioni, iniziative, ecc. Quindi una cosa molto concreta.

D. – La sua speranza?

R. – Che la buona volontà e il buon senso prevalgano sulla brutalità e il terrore.

inizio pagina

Il Papa e il Grande Imam di Al-Azhar: il commento dei teologi

◊  

Sull’importanza dell’incontro tra Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar, nel quadro del dialogo fra la Chiesa cattolica e l’Islam, Fabio Colagrande ha intervistato la teologa islamica iraniana, Shahrzad Houshmand, docente di Studi islamici presso la Pontificia Università Gregoriana e di Lingua e letteratura persiana all’Università La Sapienza di Roma, e don Andrea Pacini, docente di Teologia delle religioni presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale e consultore della Commissione per i Rapporti religiosi con i musulmani, presso il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso: 

R. – Voglio ritornare a un altro Francesco: San Francesco d’Assisi che, in un momento difficile della storia, si recò in Egitto per avere dei colloqui con grandi mistici. Vedo un momento storico anche in quest’altro incontro tra il Francesco del nostro tempo e un imam che rappresenta una figura molto importante per quasi un miliardo di musulmani nel mondo, il quale ha accettato l’accoglienza, la misericordia e un invito paterno di una figura religiosa, autentica, come Papa Francesco. È venuto a Roma per parlare della pace, per costruire e per aiutare gli stessi musulmani a rivedere, a riformulare e a scartare ciò che non appartiene alla cultura pacifica del Corano, a un Dio che viene nominato all’inizio di ogni suo capitolo: “Nel nome di Dio pienezza di amore e misericordia”. Allora, è un momento di grande speranza per milioni di musulmani e anche per i cristiani che soffrono in quelle terre. Vorrei comunque specificare che coloro che soffrono oggi più di tutti sono veramente i musulmani, sia in Africa sia Medio Oriente. Speriamo che questo incontro fraterno porti frutto ai cuori assetati di pace.

D. – Don Andrea Pacini, il suo commento sull’importanza di questo incontro…

R. – È senz’altro un incontro molto significativo. Al-Tayyib – in quanto massimo responsabile di un’istituzione non solo religiosa ma anche culturale, universitaria – potrà veramente giocare un ruolo fondamentale per reimpostare il dialogo tra Islam e cultura, tra i tanti islam esistenti all’interno della grande fede islamica, cioè tante correnti che spesso non hanno potuto vivere anche nell’epoca più recente un dialogo fecondo tra loro. Dal momento che un’istituzione culturale come Al-Azhar ha anche la possibilità di influenzare positivamente tutta una serie di articolazioni di insegnamento, non solo universitario ma anche superiore, questo può voler dire davvero riuscire a incidere, affinché una rinnovata interpretazione dell’islam con la modernità – aperta al dialogo con le altre fedi – possa non rimanere solo appannaggio di pochi centri specialistici ma, davvero, diventare materia di insegnamento e di processi educativi all’interno del mondo musulmano e non solo.

inizio pagina

Francesco: è Gesù e non la ricchezza che dà la vera gioia

◊  

Non può esistere un cristiano senza gioia. E’ quanto affermato da Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che, anche nelle sofferenze della vita, il cristiano sa affidarsi a Gesù e vivere con speranza. Dal Pontefice, poi, un nuovo richiamo a non lasciarsi dominare dalla ricchezza che alla fine porta solo tristezza. Il servizio di Alessandro Gisotti

Il cristiano vive nella gioia e nello stupore grazie alla Risurrezione di Gesù Cristo. Commentando la Prima Lettera di San Pietro Apostolo, Francesco ha sottolineato che, anche se siamo afflitti dalle prove, non ci sarà mai tolta la gioia “di quello che Dio ha fatto in noi”, “ci ha rigenerati in Cristo e ci ha dato una speranza”.

La carta d’identità del cristiano è la gioia del Vangelo
Noi, ha osservato, “possiamo andare” verso “quella speranza”, che “i primi cristiani dipingevano come un’ancora in cielo”. Noi, ha detto ancora, “prendiamo la corda e andiamo lì”, verso “quella speranza” che ci dona gioia:

“Un cristiano è un uomo e una donna di gioia, un uomo e una donna con gioia nel cuore. Non esiste un cristiano senza gioia! ‘Ma, Padre, io ne ho visti tanti!’ – ‘Non sono cristiani! Dicono di esserlo, ma non lo sono! Gli manca qualcosa’. La carta di identità del cristiano è la gioia, la gioia del Vangelo, la gioia di essere stati eletti da Gesù, salvati da Gesù, rigenerati da Gesù; la gioia di quella speranza che Gesù ci aspetta, la gioia che – anche nelle croci e nelle sofferenze di questa vita – si esprime in un altro modo, che è la pace nella sicurezza che Gesù ci accompagna, è con noi”.

“Il cristiano – ha soggiunto – fa crescere questa gioia con la fiducia in Dio. Dio si ricorda sempre della sua alleanza”. E a sua volta, “il cristiano sa che Dio lo ricorda, che Dio lo ama, che Dio lo accompagna, che Dio lo aspetta. E questa è la gioia”.

E’ un male servire la ricchezza, alla fine ci rende tristi
Francesco ha così rivolto l’attenzione al passo del Vangelo odierno che narra l’incontro tra Gesù e il giovane ricco. Un uomo, ha detto, che “non è stato capace di aprire il cuore alla gioia e ha scelto la tristezza”, “perché possedeva molti beni”:

“Era attaccato ai beni! Gesù ci aveva detto che non si può servire due padroni: o servi il Signore o servi le ricchezze. Le ricchezze non sono cattive in se stesse: ma servire la ricchezza è quella la cattiveria. Il poveretto se ne è andato triste… ‘Egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato’. Quando nelle nostre parrocchie, nelle nostre comunità, nelle nostre istituzioni troviamo gente che si dice cristiana e vuole essere cristiana ma è triste, qualcosa succede lì che non va. E dobbiamo aiutarli a trovare Gesù, a togliere quella tristezza, perché possa gioire del Vangelo, possa avere questa gioia che è propria del Vangelo”.

Si è così soffermato sulla “gioia e lo stupore”. “Lo stupore buono – ha detto il Papa – davanti alla rivelazione, davanti all’amore di Dio, davanti alle emozioni dello Spirito Santo”. Il cristiano “è un uomo, una donna di stupore”. Una parola, ha rilevato, che torna oggi alla fine, “quando Gesù spiega agli Apostoli che quel ragazzo tanto bravo non è riuscito a seguirlo, perché era attaccato alle ricchezze”. Chi può essere salvato, si chiedono dunque gli Apostoli? A loro il Signore risponde: “Impossibile agli uomini”, “ma non a Dio!”.

Non cercare la felicità in cose che alla fine rattristano
La gioia cristiana, dunque, “lo stupore della gioia, l’essere salvati dal vivere attaccati ad altre cose, alle mondanità – le tante mondanità che ci staccano da Gesù – soltanto si può con la forza di Dio, con la forza dello Spirito Santo”:

“Chiediamo oggi al Signore che ci dia lo stupore davanti a Lui, davanti a tante ricchezze spirituali che ci ha dato; e con questo stupore ci dia la gioia, la gioia della nostra vita e di vivere in pace nel cuore le tante difficoltà; e ci protegga dal cercare la felicità in tante cose che alla fine ci rattristano: promettono tanto, ma non ci daranno niente! Ricordatevi bene: un cristiano è un uomo e una donna di gioia, di gioia nel Signore; un uomo e una donna di stupore”.

inizio pagina

Tronca in Vaticano: dal Papa incoraggiamento e vicinanza

◊  

Udienza dal Papa questa mattina per il prefetto Francesco Paolo Tronca, dal primo novembre 2015 commissario straordinario di Roma. Era accompagnato dalla consorte, dai subcommissari, segretario e vice segretario generale, dalla segreteria tecnica e dallo staff, circa una trentina di persone in tutto che il Papa ha salutato una per una. Il commissario ha consegnato a  Francesco, in una scatola bianca appositamente realizzata per lui, la Lupa capitolina e la medaglia dei Natali di Roma. Sull’incontro Adriana Masotti ha raccolto il commento dello stesso commissario Tronca

R. – Oggi è una giornata veramente importante per Roma Capitale e per la sua gestione commissariale. È anche una giornata di grande emozione, perché tutti abbiamo vissuto questi momenti con un trasporto e una partecipazione straordinari. Io penso che, oltre ad aver ricevuto un grande onore dal Santo Padre, questo incontro ha avuto un grande valore simbolico, perché ognuno di noi ha dato il vero senso alla dedizione, all’impegno, al sacrificio, ma anche all’entusiasmo con cui ha lavorato in questi sette mesi. Il Papa ci ha comunicato poi una grande vicinanza, che ci renderà ancora più determinati in quest’ultimo periodo, delicato e difficile, che ci separa dalla fine del nostro mandato. Quello che ci ha colpito è stato anche un messaggio che il Papa ha voluto consegnare nelle nostre mani: “Ricordatevi: quello che si semina, prima o poi, darà i suoi frutti”. Ed è questo che conferisce a tutti noi la forza di andare avanti, di svolgere a pieno la nostra responsabilità; anche perché credo che sia messo in moto un processo irreversibile, che porterà ad una maggiore attenzione al rispetto delle regole e della legalità. Se pensiamo che tutto questo poi avviene, casualmente, ma nulla è a caso, nel giorno della legalità - nel giorno dedicato al ricordo di Giovanni Falcone - lei può capire quanto per noi sia straordinariamente significativo questo momento.

D. – Quindi è stato questo, quello della legalità, il tema centrale del colloquio con il Papa?

R. – È stato uno dei punti che abbiamo toccato, soprattutto quando ho avuto l’onore di rimanere solo con lui, prima dell’incontro con tutta la squadra.

D. – In base a quello che è emerso e alla sua impressione, il Papa come vede Roma? Le ha espresso qualche preoccupazione in particolare?

R. – Il Papa vede Roma - secondo me - con gli occhi del pastore che vuole che la città, che è la sede della sua missione, possa rappresentare il meglio e funzionare al meglio. Questa è una responsabilità che - ho percepito – ci ha rimesso ancora di più nelle mani e che ha affidato anche al processo futuro di un sistema che deve assolutamente essere improntato a una buona amministrazione, alla trasparenza, alla funzionalità, all’efficienza, e soprattutto alla sensibilità, nel rispetto delle regole.

D. – La preoccupazione per le periferie, per i più deboli, per le famiglie, è emersa in qualche modo?

R. – Il Santo Padre, come vescovo di Roma, non può non avere sempre l’attenzione verso coloro che hanno una maggiore fragilità sociale. Quello che garantisco al Santo Padre è che, fino all’ultimo giorno, quest’attenzione che lui dedica ai punti di caduta della capitale, noi cercheremo di compensarla al massimo con il nostro impegno e i nostri sforzi. Quello che deve vincere è la legalità, ma una legalità solidale: riuscire a coniugare legalità a solidarietà. È questo il difficile: il difficile è proprio trovare il punto di giusto equilibrio tra queste due esigenze fondamentali della società moderna e di uno Stato di diritto, uno Stato attento a chi ha bisogno.

D. – C’è stato un accenno anche all’Anno Santo che Roma sta vivendo…

R. – Noi siamo stati investiti fin dall’insediamento, dal 1° novembre 2015, delle responsabilità legate ai programmi giubilari. E continueremo fino in fondo a esercitare questa responsabilità al meglio, cercando di realizzare tutto quello che è previsto dalla Conferenza Stato-Vaticano.

inizio pagina

Summit umanitario. Papa: ascoltiamo il grido di chi soffre

◊  

Non ci deve essere una famiglia senza casa, nessun rifugiato senza un’accoglienza, nessuna persona senza una dignità, nessun ferito senza cure, nessun bambino senza un’infanzia, nessun giovane senza un futuro, nessun anziano senza una dignitosa vecchiaia. A chiederlo è Papa Francesco, nel suo messaggio inviato al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, in occasione della prima giornata del Summit Umanitario Mondiale. Dobbiamo impegnarci personalmente e poi tutti insieme – si legge nel testo – “coordinando le nostre forze e iniziative, rispettando le reciproche competenze ed esperienze, non discriminando, ma piuttosto accogliendo”. Da Istanbul, Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

Questo summit, per Francesco “è un’occasione per dare una svolta alle vite di milioni di persone che necessitano protezione, cura e assistenza, e che cercano un futuro dignitoso”. L’auspicio che il Papa rivolge all’assemblea è quindi quello che da questo summit possano arrivare risultati che possano “realmente contribuire ad alleviare le sofferenze di questi milioni di persone”, frutti che “possano essere dimostrati attraverso una solidarietà sincera e un vero e profondo rispetto per i diritti e per la dignità di coloro che soffrono a causa dei conflitti, della violenza, della persecuzione, e dei disastri naturali”. Le vittime, scrive il Papa, sono le persone più vulnerabili, chi vive in condizioni “di miseria e di sfruttamento”.

No al “mercato” degli aiuti
Le soluzione dei conflitti oggi sono impedite da troppi interessi, le strategie militari, economiche e geopolitiche costringono le persone a spostarsi, “imponendo il dio denaro, il dio del potere”. Allo stesso tempo – stigmatizza Francesco – gli sforzi umanitari sono spesso condizionati da vincoli commerciali e ideologici. Occorre quindi “un impegno rinnovato per proteggere ogni persona nella sua vita quotidiana e per proteggerne la dignità e i diritti umani, la sicurezza e i bisogni globali”.

Nessuno resti indietro
Al tempo stesso è necessario preservare la libertà e l’identità sociale e culturale dei popoli, senza che ciò ne comporti l’isolamento, ma che al contrario favorisca cooperazione, dialogo e soprattutto pace. “Non lasciare nessuno indietro” e “fare ognuno del suo meglio” (alcuni obiettivi del Summit - ndr) sono esigenze che chiedono che non ci si arrenda, e che tutti noi ci si assuma la responsabilità delle nostre decisioni e azioni riguardanti le stesse vittime.

Conoscere chi si prende cura della società
Francesco si augura quindi che il Summit possa anche essere l’occasione per riconoscere il lavoro di chi aiuta il prossimo, il proprio vicino, di chi contribuisce alla consolazione delle sofferenze delle vittime di guerre e calamità, degli sfollati e dei rifugiati, di chi si prende cura della società, in particolare attraverso scelte coraggiose in favore della pace, del rispetto , della guarigione e del perdono. E’ così, dice il Papa, che si salvano vite umane.

Non amiamo le idee, ma le persone
“Nessuno ama un concetto, nessuno ama un’idea, noi amiamo le persone. Il sacrificio di sé, vero dono di sé, scaturisce dall'amore verso gli uomini e le donne, verso i bambini e gli anziani , i popoli e le comunità... facce, quei volti e nomi che riempiono i nostri cuori”. Da Francesco parte quindi quella che lui stesso definisce “una sfida” al Summit: ai partecipanti chiede di far “ascoltare il pianto delle vittime e di coloro che soffrono”. Di consentire loro di insegnarci una lezioni di umanità. E di consentire a tutti noi di cambiare il modo di vivere, le nostre politiche, le nostre scelte economiche, i nostri comportamenti e atteggiamenti di superiorità culturale. “Imparando dalle vittime e da coloro che soffrono – conclude il Papa – saremo in grado di costruire un mondo più umano”.

inizio pagina

Summit umanitario. Parolin: prevalga la forza del diritto

◊  

“La Santa Sede si impegna a contribuire al lavoro collettivo per prevenire le crisi umanitarie in cui il disarmo può svolgere un ruolo significativo nel garantire una coesistenza pacifica tra le nazioni, così come la coesione sociale al loro interno”. E’ questo il cuore dell’intervento del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, alla prima delle due giornate del Summit umanitario mondiale, aperto oggi a Istanbul dal presidente turco Erdogan. Da Istanbul, Francesca Sabatinelli

Lavorare senza sosta al fianco dei governi, della società civile e tutte le persone di buona volontà per promuovere il disarmo per la prevenzione dei conflitti, per costruire una pace duratura. Promuovere attraverso la "diplomazia formale e informale", una cultura di pace, il pieno rispetto della dignità umana, costruita anche sul dialogo interreligioso, partendo dal presupposto che le religioni devono essere una forza positiva nella prevenzione e porre fine ai conflitti. Sono alcuni degli impegni che la Santa Sede si è assunta oggi intervenendo al Summit umanitario mondiale dell’Onu a Istanbul. A prendere la parola il capo delegazione, il segretario di stato cardinale Pietro Parolin, che alle migliaia di delegati di governi di organizzazioni umanitarie ha ribadito come la Santa Sede sia fermamente convinta della “natura fondamentalmente disumana della guerra e della necessità urgente di prevenire e porre fine ai conflitti armati e la violenza tra i popoli e gli Stati, in modo che sia rispettoso dei principi etici comuni che legano tutti i membri della umana famiglia e costituiscono la base per tutte le azioni umane o umanitarie”. A far parte della Delegazione anche mons. Silvano Maria Tomasi:

“Si punta a prevenire, a creare una mentalità che accetti l’idea di prevenzione. Del resto, la Santa Sede si è impegnata a eliminare le bombe a grappolo, a eliminare le mine antipersona, a dire che l’arma atomica moralmente non si può giustificare”.

Non c’è mai stata una violazione così sistematica del diritto umanitario con tanta e tale impunità come in questo momento - è la conclusione - per cui è quanto mai necessario rinforzare l’esigenza che è la “forza del diritto che deve prevalere e non il diritto della forza”.

inizio pagina

Altre udienze di Papa Francesco

◊  

Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: Il dottor Luca Cordero di Montezemolo, Presidente di Alitalia-Sai, con la consorte; il dottor Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC), con la consorte e mons. Arthur Roche, arcivescovo-vescovo emerito di Leeds, Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

inizio pagina

Tweet Papa: comunicare con misericordia in un mondo diviso

◊  

"In un mondo diviso, comunicare con misericordia significa contribuire alla prossimità tra i figli di Dio". E' il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex, in 9 lingue.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Crisi umanitarie drammatiche: all’Angelus della festa della Trinità il Papa incoraggia i lavori del vertice mondiale di Istanbul.

In prima pagina, un editoriale di Lucetta Scaraffia dal titolo “Contro la violenza sessuale”: un seminario a Roma.

Più tutele per i richiedenti asilo: Charles de Pechpeyrou sulla normativa sottoposta a referendum in Svizzera.

Festa mobile: Timothy Verdon sugli amboni istoriati del Duecento.

Un passaggio obbligato: Gabriele Nicolò sui grandi scrittori russi secondo Tommaso Landolfi.

Non è reato fuggire dalla guerra: Michael Landau, presidente di Caritas Austria, sull’Unione Europea di fronte all’emergenza rifugiati.

Carità a piedi scalzi: l’ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede, Eduard Habsburg-Lothringen, su san Severino di Norico.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Afghanistan. Dopo morte Mansour, Obama e Kabul offrono pace a talebani

◊  

La morte del leader talebano mullah Mansour, ucciso sabato scorso da un drone americano mentre viaggiava in un taxi in Pakistan “segna un importante pietra miliare” “per portare pace e prosperità in Afghanistan”: ne è convinto il presidente Usa Obama, che in una nota diffusa ieri dalla Casa Bianca invita i talebani a riprendere i colloqui con il governo di Kabul, che ha subito lanciato loro un appello a deporre le armi. Roberta Gisotti ha intervistato Gianandrea Gaiani, direttore della rivista on line AnalisiDifesa.it: 

D. - Davvero l’uscita di scena di Mansour, alla guida del sedicente emirato islamico dell’Afghanistan e successore – ricordiamo - del Mullah Omar, può sbloccare una drammatica situazione di impasse politico e militare nel Paese?

R. – Lo vedremo. Per ora va registrato il fatto che l’uccisione del successore del mullah Omar apre un altro momento di difficoltà, di caos, all’interno delle forze talebane, che già avevano avuto grosse fratture per arrivare alla nomina di Mansour; non ci dimentichiamo che ci sono diverse fazioni rivali tra loro nell’ambito talebano. Tra l’altro il Pakistan si è arrabbiato molto per questa esecuzione; il Paese denuncia l’ennesima violazione del suo territorio con questi raid dei droni: già nel 2011 c’era stata una forte crisi fra Pakistan e Stati Uniti proprio per il raid americano che aveva ucciso Osama Bin Laden che viveva a poche centinaia di metri da un’Accademia militare dell’Esercito pakistano. I talebani dipendono fortemente dal Pakistan così anche le loro decisioni politiche di continuare la guerra o di negoziare la guerra. Il raid americano quindi accentua le tensioni tra il Pakistan e gli Stati Uniti e probabilmente anche tra il Pakistan e il governo afghano che ha subito adottato la stessa linea degli Stati Uniti, collegando alla morte di Mansour una nuova offerta di negoziato.

D. - L’uccisione di Mansour non potrebbe essere frutto di un tradimento delle stesse file dei talebani? Qual è al momento la geografia dei movimenti islamici fondamentalisti in quest’area asiatica?

R. - Ci può stare anche questa valutazione, anche se noi sappiamo che la Cia ha un’azione di controllo e di presenza sul territorio con informatori, agenti e anche forze speciali infiltrate molto ramificate proprio nella zona di frontiera fra il Pakistan e l’Afghanistan, dove è stato ucciso Mansour. Certo, all’interno del mondo talebano ci sono fazioni importanti e anche opposte. Abbiamo da un lato la Shura di Quetta guidata prima dal mullah Omar, poi da Mansour che potrebbe essere oggi ereditata come guida dal mullah Jan Akhunzada;  e ci sono anche i due parenti stretti del mullah Omar, il figlio Yaqub e il fratello Akhund, che già aspiravano a prendere le redini del movimento, ma che in realtà l’anno scorso vennero sconfitti nel confronto interno - anche aspro - proprio da Mansour. Poi c’è anche l’ipotesi che possa essere Sirajuddin Haqqani a prendere questa leadership, anche se lui è il figlio del fondatore del network Haqqani, altro movimento talebano che però ha la sua base nel Waziristan del nord. Insomma, il mondo talebano è molto frastagliato e nominare un nuovo successore potrebbe essere molto difficile. Tra l’altro negli ultimi tempi sul campo di battaglia i talebani avevano conseguito ottimi risultati a Helman ed altre province afghane, anche se un ulteriore elemento di disturbo all’interno di questa galassia di movimenti islamisti è determinata non solo dal fatto che persiste - ed è ancora presente - al Qaeda in Afghanistan,  ma che ha preso una certa consistenza e si è ramificato negli ultimi tempi il movimento legato al sedicente Stato islamico in Afghanistan,  che è nemico del regime del governo di Kabul, come è nemico dei talebani e dell’Emirato islamico talebano. Quindi la confusione aumenta. Dunque ci vuole ottimismo da lì a voler vedere la possibilità di uno sviluppo negoziale, ma qualche motivo ci può essere. Recentemente, Gulbuddin Hekmatyar, leader a capo di Hezb-i-Islami, movimento estremista islamico, che è stato alleato dei talebani ma che non ha mai fatto parte dei talebani, sembra deciso a negoziare la pace con Kabul. Potrebbe essere un primo passo positivo.

inizio pagina

Disgelo Vietnam-Usa: Obama revoca embargo dopo 50 anni

◊  

Il Presidente Barack Obama ha annunciato in una conferenza stampa ad Hanoi, la prima tappa del viaggio asiatico del Presidente, che gli Stati Uniti hanno deciso di revocare definitivamente l'embargo sulla vendita di armi all'ex nemico vietnamita. Una decisione che arriva dopo 50 anni e che segna la fine di un graduale disgelo tra i due Paesi iniziato già nel 2014. Nel corso della visita, Obama e il suo omologo vietnamita hanno firmato una serie di accordi commerciali per un valore di 16 miliardi di dollari. "Il disgelo sugli armamenti è dettato dal desiderio di portare a termine il processo di normalizzazione dei rapporti avviato con il Vietnam" ha ribadito Obama, aggiungendo che non si tratta di una scelta tattica in funzione anti-cinese. Dopo Hanoi, il Presidente americano si sposterà in Giappone per il G7 e ad Hiroshima, tra i fantasmi della prima bomba atomica. Sull'importanza di questa apertura connotata da una forte valenza simbolica, Valentina Onori ha intervistato Luigi Bonanate, docente di relazioni internazionali all'Università di Torino: 

R. – Eventi di questo tipo, come un embargo, hanno sempre una portata simbolica positiva. Dal punto di vista dei rapporti Cina-Vietnam penso che la cosa sia molto marginale. La Cina ha ben altri problemi, ben altri interessi. Mi sembra significativo, più che altro, il fatto che vediamo in Obama che sembra stia facendo le valige. Fa le pulizia di casa e prima di andarsene chiude le diverse pratiche che erano ancora aperte. Ha chiarito la situazione con Cuba, quella con il Vietnam, quella – qualche mese fa – con l’Iran sulla questione del nucleare. Rimane però un embargo molto importante – e io suggerirei di togliere anche quello – nei confronti della Russia. Perché questi tipi di embargo vengono pagati essenzialmente dalla società più che dai gerarchi che vivono sempre in modo particolarmente protetto, fortunato, ricco e lussuoso.

D. - Questa revoca è vincolata dal fatto che il Vietnam debba assumere impegni significativi sul fronte dei diritti umani..

R. - Chiudere quella che è una delle pagine più brutte della storia degli Stati Uniti mi sembra che sia comunque una cosa giusta e saggia. Mi sembra una cosa buona perché la guerra del Vietnam per gli Stati Uniti è stato un danno anche interno, non solo sul piano internazionale. Il problema dei diritti umani rimane uno degli aspetti sui quali Obama e chiunque sia il suo successore, tutti noi, dobbiamo continuare a insistere, legando il più possibile questo tipo di contatto, collaborazione, commercio tra le varie parti del mondo proprio al rispetto dei diritti umani.

D. - In questo viaggio ha fatto molto scalpore la dichiarazione di Obama su Hiroshima: non chiederà scusa per le bombe atomiche

R. - È stata un’operazione di guerra; un’operazione sbagliata dal punto di vista strategico. Ma, proviamo a chiederci: sarebbero mai riusciti dei generali, dei comandati o dei politici a chiedere scusa delle tante altre azioni sbagliate compiute nelle guerre del passato? È vero che il caso di Hiroshima è simbolicamente ben diverso dagli altri. Hiroshima e Nagasaki hanno cambiato la storia dell’umanità, però il fatto che lui ci sia andato, secondo me, è già una dimostrazione sufficiente della presa in considerazione dell’importanza e della gravità di quell’evento. Che poi vengano pronunciate le parole sacramentali oppure no mi sembra retorico.

D. - La Cina è contrapposta ad alcuni Paesi del Sud Est asiatico tra cui anche il Vietnam per alcuni atolli ed isole nel Mare Cinese meridionale. Cosa cambierà nei rapporti tra Vietnam e Cina?

R. - Il problema cinese non si può certo limitare ad una questione come quella vietnamita. Tutto quello che viene bagnato dal Mare Cinese - quindi la parte asiatica dell’Oceano Pacifico - è sotto l’attento controllo continuativo della Cina. Non c’è nessun dubbio che dal Giappone in giù fino alla punta della penisola vietnamita e al limite fino alle Filippine, la Cina sia molto attenta a tutto quello che accade e cerchi di avere voce in capitolo e di avere qualche possibilità di intervento. Quindi può darsi che questo avvenga anche nei confronti del Vietnam; non dimentichiamo che ad un certo punto alla fine degli anni ’70, ci fu questa cosa stranissima - allora un po’ sconvolgente - della guerra tra Cina e Vietnam, due storici alleati che ad un certo punto, finita la guerra contro il nemico comune, ebbero degli scontri tra di loro. Credo che anche per loro sia ormai acqua passata.

D. - Gli embarghi dunque non hanno un’efficienza politica rilevante ….

R. - Smettiamola con queste forme che hanno sempre un sapore un po’ ricattatorio o punitivo: chi è sicuro di avere sempre l’autorevolezza e di essere tanto dalla parte del giusto da potersi permettere di punire o di rimproverare gli altri? Gli embarghi di solito vengono subiti dalle popolazioni più che dai leader politici. Obama sta chiudendo tutte le varie pratiche che aveva in corso. Ha chiuso una partita.

inizio pagina

Aleppo, missile contro scuola Francescani. P. Patton: noi restiamo

◊  

“E’ il momento della preghiera e del digiuno per la Sira. I frati rimarranno vicino a chi ha bisogno”. Così fra Francesco Patton, Custode di Terra Santa, commentando la tragica notizia di un missile che sabato pomeriggio ha centrato un Collegio dei francescani ad Aleppo, uccidendo una donna e ferendo altre due persone anziane. Gli ospiti avevano trovato rifugio nella struttura in seguito alle guerra nel Paese o per difficoltà personali. La Scuola, precisa una nota della Custodia, era considerata, fino ad ora, uno dei pochi posti sicuri della città. Ed era stata adattata a luogo di accoglienza. Al microfono di Massimmiliano Menichetti lo stesso fra Francesco Patton: 

R. – Ho cercato di mettermi in contatto con i frati che vivono lì ad Aleppo, al “Terra Santa College”. Sono riuscito ad avere il contatto non per telefono, perché era impossibile a causa delle linee interrotte, ma attraverso posta elettronica. I frati hanno confermato che una signora anziana, che era lì ospite, è stata uccisa. C’è poi un’altra persona ferita grave, e un’altra ancora meno grave. I frati stanno bene. Naturalmente, le persone sono tutte impaurite e spaventate. È un momento di profondo dolore. Sono persone che erano lì assistite dalla San Vincenzo. Non sono rifugiati, ma persone che si trovano anche in difficoltà per motivi di età e di salute.

D. – La Custodia, di fatto, è un punto di pace, di accoglienza, in una realtà completamente sconquassata dal conflitto…

R. – I frati della Custodia sono lì, e lì rimangono, perché vogliono restare accanto alla gente affidata alla loro cura. Loro sanno che le persone che sono rimaste lì non possono andare altrove. Giustamente, non le abbandonano e sono lì anche a rischio della loro stessa vita. E – direi – in questo sono qualcosa di più che dei semplici testimoni di pace: sono veramente anche dei testimoni di carità eroica, in questo caso. E aggiungerei un invito a tutti per una preghiera profonda ed insistente. Ecco, mi sentirei di riprendere l’invito del Santo Padre a pregare e a digiunare per la Siria, per coloro che vivono lì e si trovano innocenti in mezzo al conflitto.

inizio pagina

Palermo, commemorato il 24.mo della strage di Capaci

◊  

Nel 24.mo anniversario, Palermo ricorda le vittime delle stragi di Capaci e Via d’Amelio: Giovanni Falcone, sua moglie, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti delle loro scorte. Questa mattina, 800 studenti e tante autorità hanno gremito l’aula bunker del carcere Ucciardone per partecipare all’iniziativa antimafia “Palermo chiama Italia”, promossa dalla Fondazione Falcone e dal Ministero dell’istruzione. Da Palermo, Alessandra Zaffiro

Cinquantamila gli allievi delle scuole di otto città, collegati con quell’aula bunker dove trent’anni fa ebbe inizio il maxiprocesso, che portò alla sbarra boss e gregari, grazie alla poderosa ordinanza scritta da Falcone e Borsellino durante l’esilio forzato all’Asinara, a causa del concreto rischio di un attentato. Il maxi processo si concluse con 19 ergastoli e 2.665 anni di carcere per i principali boss di “Cosa nostra”. Giudice a latere un 41.enne Pietro Grasso, oggi presidente del Senato, che stamani nell’aula bunker ha detto: “Al termine del processo capii che nulla è impossibile”. A Palermo anche la presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi.

“La mafia cambia, ma resta sempre se stessa: non dobbiamo mai dimenticarlo. D’altra parte dobbiamo anche ricordarci che la mafia di 24 anni fa l’abbiamo sconfitta. E non manca l’attenzione alle tristi novità di questi giorni: una immediata reazione da parte di tutte le istituzioni, della società e anche noi questa sera saremo con Antoci per esprimere la nostra solidarietà, ma soprattutto per capire e per non far mancare una reazione ancora più forte, più determinata”.

“Dal mio osservatorio privilegiato, cioè andando fra i giovani, devo dire che tanto è cambiato”, ha dichiarato a margine della commemorazione Maria Falcone, sorella del giudice e presidente della omonima Fondazione. “Soprattutto grazie ai nostri insegnanti, i giovani a poco a poco stanno creando una società diversa. Ed è per questa speranza, e per far sì che forse finalmente si avveri quel che diceva Giovanni – che ‘la mafia è un fatto umano e avrà una sua fine’ – che siamo qua: per dare ai nostri giovani quei valori necessari per creare una società diversa”. “Noi andiamo avanti perché abbiamo bisogno di normalità. Subito dopo l’attentato – ha detto nell’aula bunker Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi, scampato di recente a un agguato di mafia – ho detto due cose: la prima, ho voluto ringraziare la mia scorta che mi ha salvato la vita; e poi ho detto che abbiamo bisogno di normalità, di fare il nostro dovere, e io ho fatto il mio dovere, facendo un protocollo di legalità”.

Nel corso della manifestazione è stato siglato dai ministri dell’Istruzione, Stefania Giannini, e della Giustizia, Andrea Orlando, un protocollo d’intesa per realizzare un programma speciale di formazione negli istituti penitenziari e nei servizi minorili della giustizia.

inizio pagina

24.mo strage Capaci. Mattarella: mafia non è invincibile

◊  

“La mafia non è invincibile, sconfiggerla è il nostro obiettivo”. A 24 anni dalla strage di Capaci, oggi il Presidente della Repubblica Mattarella ha citato queste parole del giudice Giovanni Falcone, ucciso insieme alla moglie e a tre uomini della scorta da Cosa Nostra. Da parte sua il presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi ha invitato a non abbassare la guardia perché – ha detto – “la mafia è piegata, ma continua ad avere rapporti con la politica e a fare affari". Ma come è cambiato il fenomeno rispetto a 24 anni fa? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Nicola Tranfaglia, docente emerito di storia all’Università di Torino ed autore del libro “La mafia come metodo”: 

R. – Le associazioni mafiose sono molto più forti, perché hanno realizzato un’alleanza stabile. L’associazione mafiosa calabrese, la ’Ndrangheta, è diventata la più forte ed è presente non soltanto in tutta Europa, ma anche nelle due Americhe. Siamo in una situazione in cui il governo attuale non ha messo in opera, in maniera adeguata, tutto quello che si può fare contro le associazioni mafiose. Noi abbiamo una situazione sempre più rischiosa per chi si pone con chiarezza di fronte alle mafie o fa parte del sistema giudiziario.

D. – L’eredità di Giovanni Falcone, oggi, è stata raccolta? Viene continuata la sua opera?  E questi uomini – se esistono – sono accompagnati dallo Stato?

R. – Di questi uomini noi continuiamo ad averne, per fortuna! Però non mi sembra che siano al centro del potere in Italia. Anzi, sono lontanissimi dal potere. Mi sembra che tutti quelli che assumono un atteggiamento effettivamente chiaro e limpido nei confronti di mafia, politica e affari si trovino in difficoltà o comunque vengano messi da parte.

D. – Non abbiamo più assistito a stragi eclatanti come quella di 24 anni fa. La mafia è più forte, ma è più silenziosa rispetto a 24 anni fa?

R. – Certo, perché riesce a compiere i suoi delitti e soprattutto gli affari. Noi non riusciamo a fare una legge adeguata al conflitto di interesse. La nuova norma – in attesa di andare al Senato – è una norma farraginosa e complicata e può diventare un bel buco nell’acqua. Non è una legge adeguata alla pericolosità del conflitto di interesse. Bisognerebbe fare qualcosa di più decisivo nei confronti delle associazioni mafiose: sia – a mio avviso – facendo in modo che nelle scuole e nelle università si parli di più di questo problema e si parli in maniera adeguata da parte di gente che conosce la storia di questo problema; sia anche cercando di mettere in azione, in maniera sempre più adeguata, i nostri strumenti educativi e repressivi.

D. – Oggi il presidente della Commissione nazionale antimafia Rosy Bindi ha detto: “La mafia c’è ancora: fa politica”. E si è rivolta alle forze politiche e ha detto: “Sono ancora in tempo per togliere qualche impresentabile dalle liste”…

R. – Per fortuna abbiamo una Commissione antimafia e una presidente della Commissione antimafia che non ha mai avuto dubbi sul problema. Questo mi fa molto piacere! Ma, a parte questo, non possiamo dire che la classe politica dirigente sia tutta tesa alla lotta contro la mafia: non possiamo proprio dirlo!

D. – Professore, a parte la politica, quali sono gli altri ambiti di interesse della mafia oggi?

R. – Sono gli affari. E “affari” significa usare lo Stato per fare denaro. Sono una Spa! Una società per azioni, in cui a volte ci sono personaggi impresentabili e personaggi presentati. Ecco! C’è di tutto: c’è l’una e l’altra cosa.

inizio pagina

Cannes 2016: a Ken Loach la Palma d’Oro

◊  

Un messaggio di “solidarietà”. È quello che il regista Ken Loach vuole lanciare col suo "I, Daniel Blake", il film che ieri si è aggiudicato la Palma d'oro alla 69.ma edizione del Festival di Cannes, dieci anni dopo la vittoria dello stesso Loach con “Il vento che accarezza l'erba”. Protagonisti della storia, un carpentiere malato di cuore e una disoccupata madre single di due figli, sullo sfondo della Londra del disagio sociale. Il servizio di Rosario Tronnolone

Un Festival che si è chiuso in salita, come il manifesto che ritrae la scalinata di Villa Malaparte a Capri, dove Jean Luc Godard girò "Il Disprezzo" nell’estate del 1962, lasciava presagire. In 69 anni di storia del Festival di Cannes, la giuria non aveva mai avuto una seduta di assegnazione dei premi più lunga e dibattuta di quella di quest’anno. Esattamente dieci anni dopo aver vinto la Palma d’Oro con “Il vento che accarezza l’erba”, Ken Loach se ne è aggiudicata una seconda, entrando così a far parte di una ristretta schiera di registi tra cui Francis Ford Coppola e Michael Haneke. Il suo film, “I, Daniel Blake” racconta di un anziano disabile inglese che combatte contro la burocrazia del sistema sanitario. Ricevendo il premio, Ken Loach ha dichiarato che il Festival di Cannes è importante per il futuro del cinema e che il premio che gli è stato assegnato è significativo soprattutto per le persone che gli hanno ispirato il film. Ha inoltre ricordato quanto sia importante l’esistenza di un cinema di protesta contro i potenti e ha concluso dicendo “Un altro mondo è possibile e anche necessario”.

Sorprende che molti premi prestigiosi siano andati a film che non avevano convinto i critici: il premio alla migliore regia è stato assegnato a Olivier Assayas (ex aequo con il rumeno Cristian Mungiu) per il film “Personal Shopper”, e il Gran Premio della Giuria è stato attribuito a Xavier Dolan per il film “Juste la fin du monde”. Sorprende inoltre che siano stati invece ignorati alcuni dei titoli più acclamati dalla stampa, come “Toni Erdmann” di Maren Ade, “Loving” di Jeff Nichols, molto lodato sia per la regia che per l’interpretazione, e “Elle” di Paul Veroheven. Al pubblico in sala spetterà come al solito l’ultima parola.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Siria: ennesimo attentato nel quartiere cristiano di Qamishli

◊  

E' di almeno tre morti e un numero finora imprecisato di feriti il bilancio dell'attentato terroristico compiuto nella tarda serata di sabato scorso nel centro di Qamishli, seconda città della provincia siriana nord-orientale di Hassakè. A essere colpita ancora una volta da morte e devastazione è stata la via conosciuta come “Miami street” (dal nome del ristorante che ospita), nel quartiere Wusta, abitato in maggioranza da cristiani. “Le tre vittime” riferisce all'agenzia Fides abuna Hanna, dell'arcidiocesi siro-cattolica di Hassakè-Nisibi “sono tre cristiani siri: si tratta di Abdulmehis Lahdo, Karam Sacid Samcun and Tuma Yusuf Eliyo”. Secondo i racconti dei sopravvissuti, un commando composto da almeno 3 attentatori avrebbe seminato terrore sparando e lanciando ordigni nella via, animata dal traffico del sabato sera. Alcune ricostruzioni, ancora da verificare, parlano anche di attentatori suicidi che si sarebbero fatti esplodere.

L'attentato non è stato rivendicato: sospetti sull'Is
I media ufficiali del governo siriano attribuiscono l'attentato ai gruppi jihadisti come il sedicente Stato Islamico. Ma fonti locali indipendenti fanno notare che nella zona di Qamishli le tensioni recenti hanno portato a scontri armati tra l'esercito governativo e le milizie curde, che mirano a controllare e affermare la propria egemonia su tutta l'area.

Nei mesi precedenti, altri due attentati con vittime nello stesso quartiere
Nella stessa zona di Qamishli, lo scorso 20 dicembre, gli attentati contro due ristoranti appartenenti a proprietari cristiani avevano provocato la morte di 13 cristiani e 6 musulmani. Poi, lo scorso 24 gennaio, un altro attentato nella “Miami Street” aveva causato tre morti e 10 feriti. “E' un altro dei fattori inquietanti di questa guerra: c'è il terrorismo, ma a volte non sappiamo chi davvero ci terrorizza” aveva detto in quell'occasione a Fides l'arcivescovo Jacques Behnan Hindo, a capo dell'arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi. (G.V.)

inizio pagina

Ciclone in Bangladesh: 24 vittime e 500 mila sfollati. Aiuti Caritas

◊  

La Caritas del Bangladesh ha organizzato dei team in soccorso delle popolazioni colpite dal ciclone Roanu, che si è abbattuto sulle zone costiere del Paese. A poche ore dall’alluvione che ha divelto case, baracche e costruzioni, e inondato la parte meridionale - riporta l'agenzia AsiaNews - i soccorritori sono riusciti a salvare migliaia di vite. Le operazioni sono in corso, mentre il bilancio dell’inondazione è salito a 24 vittime e 500mila persone evacuate. James Gomes, direttore regionale della Caritas per il distretto di Chittagong, dice ad AsiaNews: “Il ciclone ha distrutto il commercio dei pescatori. Ci vorrà molto tempo prima che essi possano recuperare le perdite”.

Ancora alto lo stato di allerta
Da tre giorni piogge battenti e venti fino a 88 km orari si sono abbattuti sui distretti costieri di Chittagong, Noakhali, Laxmipur, Feni, Chandpur, Bhola, Borguna, Patuakhali, Barisal, Pirozpur, Jhalokathi, Bagherhat, Khulna e Satkhira. Sono state colpite anche le isole circostanti e il livello di allerta è stato elevato fino a sette. Il violento ciclone proviene dallo Sri Lanka, dove la settimana scorsa ha provocato decine di vittime, di cui la maggior parte sepolte sotto una valanga di fango. Nelle ultime ore è salito il numero dei corpi recuperati senza vita, in tutto 92 persone.

La Caritas coordina l'emergenza
Attraverso gli uffici regionali di Barisal, Chittagong e Khulna, la Caritas ha attivato 246 piani già pronti per fronteggiare le emergenze in 16 upazila (sotto-distretti). Pintu William Gomes, membro del dipartimento disastri, afferma di aver formato e organizzato il lavoro di varie organizzazioni, come il Ward Disaster Management Committees e il team di aiuto per la diffusione dei messaggi di allerta, salvataggio e primo soccorso. James Gomes riferisce inoltre che “le popolazioni soccorse hanno affermato di aver chiesto aiuto al governo locale, al quale hanno domandato cibo e altro materiale. Ma ancora nessuno li ha aiutati”. 

Il Bangladesh è soggetto a calamità naturali
Le piogge hanno isolato ampie zone del Paese e le comunicazioni sono interrotte. Il Bangladesh è soggetto a calamità naturali come i cicloni tropicali. Nel 1991, uno di questi provocò 140mila morti. (S.C.)

inizio pagina

Sri Lanka: continua l'emergenza piogge. Gli aiuti della Cei

◊  

Continua a salire il bilancio dei morti nello Sri Lanka in seguito alle violente inondazioni che da una una settimana stanno devastando il Paese. Si tratta di alcune fra le più forti piogge registrate negli ultimi venticinque anni che hanno causato gravi smottamenti di terreno e seppellito interi villaggi sotto metri di fango. Attualmente gli sfollati sono circa 500 mila accolti presso le case dei parenti, in scuole ed istituti religiosi. 

Aiuti da tutte le parti del mondo
Tanti gli aiuti che continuano ad arrivare da vari Paesi di tutto il mondo come Stati Uniti, India, Cina, Pakistan e Australia che si sono impegnati in operazioni di recupero, in particolare nella località di Kegale, dove sono morte diverse persone e centinaia sono ancora intrappolate, e nella capitale, Colombo, dove diverse abitazioni continuano ad essere sommerse nel fango. 

Fondi della Cei per i senzatetto
La Presidenza della Cei ha stanziato un milione di euro – provenienti dai fondi dell’8xmille – per dare assistenza alle migliaia di persone rimaste senza casa e viveri nello Sri Lanka. Altri 500.000 euro sono stati destinati ai superstiti del terremoto che lo scorso 17 aprile ha sconvolto alcune province dell’Ecuador Nello Sri Lanka la presidenza della Cei è in diretto contatto con l’arcidiocesi di Colombo. (A.P.)

inizio pagina

Cina: la morte del vescovo Luca Tommaso Zhang Huaixin

◊  

Domenica 8 maggio, è deceduto mons. Luca Tommaso Zhang Huaixin, vescovo di Jixian (Weíhwei), nella provincia di Henan (Cina Continentale). Egli avrebbe compiuto 91 anni il 23 del corrente mese. Il 6 maggio - riferisce l'agenzia Fides - era stato ricoverato in ospedale d’urgenza, in seguito all’aggravarsi del diabete e dei problemi cardiaci di cui soffriva da tempo. Il giorno prima del suo decesso era ancora lucido di mente e ricordava gli anni giovanili, trascorsi in seminario.

La sua vocazione curata dai missionari del Pime
Mons. Luca Tommaso Zhang Huaixin era nato il 23 maggio 1925 nel villaggio di Liangbudaying, Honghetun, distretto di Anyang, in una famiglia di ferventi cattolici. La sua vocazione venne curata dai missionari italiani del Pontificio Istituto Missioni Estere, che operavano nello Henan. Nel 1934 entrò nel Seminario minore della diocesi di Jixian e, quindi, passò al Seminario maggiore di Kaifeng. Fu ordinato sacerdote da mons. Gaetano Pollio, arcivescovo di Kaifeng, il 19 ottobre 1950.

Nel 1958 arrestato e condannato ai lavori forzati a causa della fede
Dopo l’ordinazione svolse il ministero pastorale a Tianjin e ad Anyang. Nel 1958 venne arrestato e condannato ai campi di lavoro forzato a causa della fede. Solo nel 1980 poté ritornare a svolgere il ministero pastorale. Il 19 ottobre 1981 fu consacrato segretamente vescovo di Jixian da mons. Giulio Jia Zhiguo, vescovo di Zhengding, nello Hebei.

Pastore zelante e paziente
Mons. Luca Tommaso Zhang Huaixin viene ricordato da chi lo ha conosciuto come un Pastore zelante e paziente, pieno di fede e dedito all’evangelizzazione, che si è interamente dedicato alla costruzione materiale e pastorale della sua Diocesi: incontrava regolarmente le comunità; ha restaurato e costruito chiese, tra cui la cattedrale; ha avviato diversi Centri sanitari, un Centro catechistico e uno per ritiri spirituali; ha seguito la formazione dei sacerdoti, intrattenendo con loro rapporti paterni ed affettuosi e assicurando loro la possibilità di esercitare il ministero; ha sostenuto lo sviluppo della Congregazione delle Suore di San Giuseppe. 

I fuinerali sono stati celebrati il 14 maggio 
Sotto la sua guida - riporta la Fides - la diocesi di Jixian è cresciuta per numero di sacerdoti, suore e fedeli, oltre che per l’impegno nel campo sanitario e catechistico. Alcuni dei suoi sacerdoti sono stati ordinati da vescovi legittimi, riconosciuti dalle Autorità civili. Lo stesso mons. Zhang Huaixin accettò il riconoscimento governativo, ma rimanendo fedele ai principi di fedeltà e di comunione con il Papa e senza aderire a organismi la cui finalità è inconciliabile con la dottrina cattolica. Un gran numero di fedeli ha reso omaggio alla sua salma, esposta nella cattedrale, e ha preso parte ai funerali, che sono stati celebrati il 14 maggio. (R.P.)

inizio pagina

Cuba: forte appello al dialogo del nuovo arcivescovo di L'Avana

◊  

Il nuovo arcivescovo metropolita di L'Avana, Mons. Juan de la Caridad García Rodríguez, ha lanciato un appello perché il dialogo continui tra la Chiesa cattolica e il governo dell'isola, durante la Messa che ha presieduto ieri in cattedrale, per l’insediamento nella capitale cubana.

Nuovi spazi per la missione evangelizzatrice della Chiesa
"La vostra presenza qui ci invita e ci incoraggia a proseguire con il dialogo, che può essere più efficace, più reale, in modo che la Chiesa possa trovare altri spazi per la sua missione evangelizzatrice, per la liturgia, per la missione educativa e per la carità verso i poveri" ha detto il presule davanti al vice Presidente di Cuba, Salvador Valdés Mesa, e al capo dell'Ufficio per gli affari religiosi del Partito comunista Cubano (Pcc), Caridad Diego, presenti al rito.

Il card. Ortega ha consegnato il pastorale al nuovo arcivescovo
E' stato un momento molto emozionante per tutti quando il nuovo arcivescovo, al momento di prendere possesso della sua diocesi, è stato accolto dal suo predecessore il card. Jaime Ortega, che lo aspettava all'ingresso del tempio per consegnargli il pastorale, simbolo della guida del gregge. La cattedrale era gremita e una grande folla ha dovuto seguire la solenne Concelebrazione Eucaristica sui megaschermi che erano stati installati sulla piazza antistante la chiesa.

Chi è il nuovo arcivescovo di L'Avana
Mons. Juan de la Caridad García Rodríguez è nato a Camagüey l’11 luglio 1948. È stato ordinato sacerdote il 25 gennaio 1972. Ha esercitato il ministero in diverse parrocchie. È stato anche fondatore e direttore della Scuola per missionari della diocesi di Camagüey. Il 15 marzo 1997 è stato nominato ausiliare di Camagüey, ed ha ricevuto l'ordinazione episcopale il 7 giugno 1997. Il 10 giugno 2002 è stato nominato arcivescovo di Camagüey. (C.E.)

inizio pagina

Unesco: solo metà dei bambini rifugiati frequentano la scuola

◊  

In un rapporto reso noto in occasione del Summit Umanitario Mondiale che si tiene oggi e domani a Istanbul, Unesco e Unhcr hanno segnalato che solo il 50% dei bambini rifugiati frequentano la scuola elementare, e il 25% quella secondaria. Nel 2015, in Kenya - riferisce l'agenzia Fides - il 38% degli alunni di scuola primaria erano bambine. I tassi di iscrizione alla scuola elementare nelle località dove risiedono importanti comunità di rifugiati, come Egitto, Iran o Yemen, sono di una media dell’80%, ma del 50% in Etiopia o del 40% in Pakistan.

La situazione è particolarmente deplorevole per le bambine 
Ad esempio, come nel campo di Kakuma, in Kenya, così succede nella provincia irachena di Nayaf, dove l’81% delle adolescenti sfollate, nella fascia di età tra 15 e 17 anni, non hanno mai frequentato la scuola, rispetto al 69% dei minori della stessa età. Questa frattura di genere è ancora più marcata in Afghanistan, dove si registra solo l’1% di bambine scolarizzate, rispetto al 20% dei maschi. (A.P.)

inizio pagina

Festival Cannes: la giuria ecumenica premia “Juste la fin du monde”

◊  

“Ciò che non può essere detto a parole, è comunicato dal volto, reso trascendente dalle riprese di Xavier Dolan. In ciò che non è detto, nelle urla e negli sguardi troviamo la storia di una famiglia in cui l’amore è inespresso e dove le persone urlano per non rivelare ciò che è essenziale. Al suo ritorno Louis, il figlio prodigo che è venuto ad annunciare la sua morte imminente, sceglie invece di ispirare amore e speranza ai suoi parenti”. Con questo giudizio la giuria ecumenica del Festival di Cannes ha attribuito il suo premio a “Juste la fin du monde”, film del canadese Xavier Dolan, insignito anche del Grand Prix del Festival. 

Assegnate due menzioni speciali
La giuria ecumenica, composta da Cindy Mollaret (Francia), presidente, Karin Achtelstetter (Canada), Ernest Kouacou (Costa d’Avorio), Gabriella Lettini (Stati Uniti), Teresa Tunay (Filippine), Nicole Vercueil (Francia) ha inoltre assegnato due menzioni speciali: una ad “American honey” di Andrea Arnold, un road-movie che “mostra lo sguardo d’amore” di una coppia di venditori ambulanti sulla vita e la loro “capacità di sognare e trasformarsi” nonostante tutto. La seconda Menzione speciale è andata a “Moi, Daniel Blake” di Ken Loach, il film Palma d’oro del Festival, con la seguente motivazione: “Un uomo che alla fine della sua vita, mette da parte le sue sofferenze per mettersi al servizio di una famiglia vittima della miseria e dell’esclusione” e “come un buon samaritano dà loro attenzione e affetto necessari tanto quanto i beni materiali”. (R.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 144

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.