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Sommario del 25/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: la preghiera è sempre efficace, ma non è bacchetta magica

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Un cristiano non smetta mai di pregare, neanche nei momenti difficili, perché la fede si conserva mantenendo costante il rapporto con Dio, il quale non esaudisce le richieste con la “bacchetta magica”. È l’essenza della catechesi di Papa Francesco all’udienza generale in Piazza San Pietro, conclusa dall’invito a partecipare domani sera alla Messa e alla processione del Corpus Domini. Il servizio di Alessandro De Carolis

Bussare al cuore di Dio “senza stancarsi mai”, sapendo che di lì il bene invocato arriverà non come un prodigio ma come dono, anche più largo di quello desiderato. Papa Francesco torna sul segreto della preghiera, “fonte di misericordia” e soprattutto, afferma, forza della fede, che si consolida proprio con il costante rivolgersi a Dio.

Preghiera che “importuna”
Per spiegare quanto nel rapporto tra Dio e l’uomo sia importante la perseveranza, Gesù racconta la parabola del giudice e della vedova. Il primo, “iniquo, senza scrupoli”, neanche verso il cielo. La seconda, donna sola e quindi praticamente invisibile alla legge dell’epoca – e, lascia intendere Francesco, non solo di quell’epoca:

“Una povera vedova, lì, sola, nessuno la difende, potevano ignorarla, anche non darle giustizia; così anche l’orfano, così lo straniero, il migrante. Lo stesso! A quel tempo era molto forte questo. Di fronte all’indifferenza del giudice, la vedova ricorre alla sua unica arma: continuare insistentemente a importunarlo (...) E proprio con questa perseveranza raggiunge lo scopo”.

Dio esaudisce con prontezza
La storia termina con il giudice che, sfinito dall’insistenza della vedova, le accorda ciò che chiede. In questo uomo di legge, rimarca il Papa, non c’è impulso di “misericordia” né voce della “coscienza”: agisce solo per spezzare quel continuo fastidio. Dunque, osserva Francesco, “se la vedova è riuscita a piegare il giudice disonesto con le sue richieste insistenti, quanto più farà Dio “che è Padre buono e giusto”. Ecco perché bisogna pregare senza stancarsi:

“Tutti proviamo momenti di stanchezza e di scoraggiamento, soprattutto quando la nostra preghiera sembra inefficace. Ma Gesù ci assicura: a differenza del giudice disonesto, Dio esaudisce prontamente i suoi figli, anche se ciò non significa che lo faccia nei tempi e nei modi che noi vorremmo. La preghiera non è una bacchetta magica! Non è una bacchetta magica! Essa aiuta a conservare la fede in Dio, e ad affidarci a Lui anche quando non ne comprendiamo la volontà”.

La preghiera “modella” ogni richiesta
Un esempio altissimo viene da Gesù e dalla sua preghiera carica d’angoscia nel Getsemani. Il Padre esaudisce la sua richiesta di salvarlo dalla morte, ma “la via percorsa per ottenerla – indica il Papa – è passata attraverso la morte stessa!”. Quel che conta, quindi, non sono i tempi e i modi con i quali Dio sceglie di ascoltare una supplica, bensì il rapporto che si instaura con Lui. Gesù, nell’Orto degli ulivi conclude la sua preghiera dicendo: “Non come voglio io, ma come vuoi tu”:

“L’oggetto della preghiera passa in secondo piano; ciò che importa prima di tutto è la relazione con il Padre. Ecco cosa fa la preghiera: trasforma il desiderio e lo modella secondo la volontà di Dio, qualunque essa sia, perché chi prega aspira prima di tutto all’unione con Dio Lui, che è Amore misericordioso”.

Stare in guardia
Francesco lascia l’ultima considerazione per la domanda, sul Vangelo senza risposta, con cui Gesù finisce la parabola: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”:

“Con questa domanda siamo tutti messi in guardia: non dobbiamo desistere dalla preghiera anche se non è corrisposta. E’ la preghiera che conserva la fede, senza di essa la fede vacilla! Chiediamo al Signore una fede che si fa preghiera incessante, perseverante, come quella della vedova della parabola, una fede che si nutre del desiderio della sua venuta”.

Invito al Corpus Domini
Al termine dell’udienza generale, Francesco ha invitato “romani e pellegrini” a partecipare alle celebrazioni del Corpus Domini, che vedranno il Papa alle 19 in Piazza San Giovanni in Laterano per la celebrazione della Messa e la processione fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore. Sarà, per Francesco, un “solenne atto pubblico di fede e di amore a Gesù realmente presente nell’Eucaristia”.

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Papa: Siria, convertire cuori di chi semina morte e distruzione

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All’udienza generale in Piazza San Pietro, il pensiero del Papa è andato a quella che ancora una volta ha definito l’“amata Siria”. Il servizio di Giada Aquilino

Il sedicente Stato islamico (Is) continua a colpire, nonostante su più fronti si intensifichino azioni contro Raqqa, la cosiddetta “capitale” del Califfato in Siria, e Falluja e Mosul in Iraq. Lunedì, una raffica di attacchi suicidi senza precedenti e rivendicati dall'Is ha devastato la zona costiera siriana, a Tartus e Jabla, zone vicine alle più importanti basi militari russe di tutto il Medio Oriente. A quegli “attentati terroristici” il Papa ha fatto riferimento in Piazza San Pietro ricordando le vittime, “un centinaio di civili inermi”:

“Esorto tutti a pregare il Padre misericordioso, pregare la Madonna, affinché doni il riposo eterno alle vittime, la consolazione ai familiari e converta il cuore di quanti seminano morte e distruzione”.

La devastazione dunque non si ferma. I gruppi jihadisti dell’Is in queste ore sono messi sotto pressione dalle forze che puntano alla liberazione di Raqqa, mentre in Iraq si combatte nella zona di Falluja. Qual è allora la strategia dell’Is in questa fase? Risponde Stefano Maria Torelli, esperto di Medio Oriente e ricercatore dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi):

R. – In Siria, l’obiettivo principale e strategico rimane la lotta contro il regime di Bashar al-Assad, che è individuato come il nemico principale da sconfiggere, nell’ottica di allargare il proprio territorio controllato e di poter quindi espandere i confini del sedicente Califfato. Chiaramente, questo è un obiettivo al momento molto difficile da perseguire: le forze di Assad sembrano resistere e anzi contro-avanzare, sostenute anche da attori internazionali come l’Iran e la Russia. Perciò, per esempio, l’ondata di attentati contro città come Tartus nella costa del Mediterraneo e altre ritenute roccaforti della famiglia alawita – quindi del regime di Assad – è un segnale, anche preoccupante, del fatto che l’Is ha ancora almeno le possibilità di condurre degli attacchi di questa portata. E quindi, non si può dire che sia in una fase di ritirata.

D. – In questo momento, forze curde guidate dall’ala siriana del Pkk, con alcune componenti anche arabo-siriane, puntano alla liberazione di Raqqa, la cosiddetta “capitale” del Califfato in Siria. Chi sono questi miliziani?

R. – La “formazione ombrello” che, secondo quanto è stato annunciato, sta conducendo proprio in queste ore operazioni nel tentativo di riconquistare la città di Raqqa si chiama Sdf, “Syrian Democratic Forces", "Forze democratiche siriane”. È in realtà un’alleanza di gruppi armati, tuttavia monopolizzata dall’ala militare del Partito curdo siriano, il quale è a sua volta molto legato al Pkk turco. Quindi, per la grande maggioranza si tratta di milizie siriane curde, sostenute anche apertamente dagli Stati Uniti, al cui interno vi sono pure delle milizie arabe. Questo elemento è molto importante, perché la presenza di combattenti arabi e non curdi è fondamentale nel momento in cui l’obiettivo è quello di riconquistare una città come Raqqa, che per la maggior parte è popolata da arabi e dove i curdi non sono proprio ben visti.

D. – In Iraq, su Falluja, marciano l’esercito iracheno, le milizie sciite di Hashd al Shaabi e i gruppi armati delle tribù sunnite locali che sono fedeli al governo iracheno, con l’aiuto della coalizione internazionale. Che fronte è?

R. – Si tratta soprattutto di forze dell’esercito regolare iracheno. A differenza del fronte siriano, in Iraq c’è ancora un esercito ufficiale dello Stato che sta conducendo le operazioni. C’è poi anche l’apporto di milizie sciite. Gli sciiti, come noto, hanno in Iraq un loro peso e nell’Is hanno forse il nemico maggiore. Quindi, c’è una convergenza di milizie sciite ed esercito regolare iracheno, in uno scenario che è ancora però abbastanza incerto. Infatti, la città di Falluja, a differenza di Ramadi, non è stata ancora riconquistata completamente dalle forze regolari irachene: in questi giorni si continua a combattere e c’è anche un’emergenza umanitaria, perché ci sono decine di migliaia di civili che stanno abbandonando le proprie case con scenari che purtroppo abbiamo già visto in altri contesti.

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Papa, no indifferenza per bambini scomparsi: 8 milioni l'anno

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Appello del Papa per non dimenticare i minori sottratti all’affetto dei propri cari. La voce di Francesco si è levata oggi al termine dell’udienza generale, nell’odierna Giornata internazionale dei bambini scomparsi, indetta dal 1983 in ricordo del piccolo Ethan Patz, 6 anni, rapito a New York il 25 maggio del 1979. Il servizio di Roberta Gisotti

“È un dovere di tutti proteggere i bambini, soprattutto quelli esposti ad elevato rischio di sfruttamento, tratta e condotte devianti.”

Quindi, il richiamo del Papa alla responsabilità degli adulti:

“Auspico che le autorità civili e religiose possano scuotere e sensibilizzare le coscienze, per evitare l’indifferenza di fronte al disagio di bambini soli, sfruttati e allontanati dalle loro famiglie e dal loro contesto sociale, bambini che non possono crescere serenamente e guardare con speranza al futuro”.

Poi, l’invito alla preghiera perché “ciascuno di essi sia restituito all’affetto dei propri cari”.  

Una calamità, in gran parte ignorata dai media e dalle istituzioni, quella che inghiotte ogni anno nel mondo almeno 8 milioni di minori, vale a dire 22 mila al giorno. Per contrastare il fenomeno esiste una Rete globale che fa capo al Centro internazionale per i bambini scomparsi e sfruttati (ICmec), con sede ad Alexandra in Virginia, impegnato a promuovere iniziative nei Paesi che non ritengono una priorità ricercare i minori spariti nel nulla, né realizzano politiche di prevenzione. L’indifferenza verso la sorte di queste giovani vite o l’incapacità di proteggerle non riguarda solo i Paesi più poveri, se in Europa spariscono 270 mila bambini e ragazzi l’anno, uno ogni due minuti. In Italia - che pure ha attivato strutture pubbliche e private dedicate - sono oltre 18 mila i minori mai rintracciati dal 1974 a oggi, in massima parte - quasi 16 mila e 500 - stranieri e circa 1.800 italiani. I flussi migratori di giovanissimi non accompagnati, in fuga da guerre e povertà estrema, ha aggravato il quadro generale rendendo i piccoli profughi facile preda di organizzazioni criminali, che li vendono sul mercato della prostituzione, dello spaccio di droga o anche del lavoro a bassissimo prezzo, come capitato a migliaia di bambini siriani riparati in Turchia. In Europa - secondo l’Europol - si è persa la traccia di 10 mila bambini emigrati da soli.

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Francesco: non si elimina la sofferenza sopprimendo chi soffre

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Occorre diffondere “un concetto di scienza che si fa servizio e non seleziona”: è quanto afferma il Papa in un messaggio, a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, ai partecipanti al Convegno promosso al Policlinico Gemelli di Roma sul tema "Custodire la vita: l'Hospice perinatale, una risposta scientifica, etica e umana alla diagnosi prenatale". Il servizio di Sergio Centofanti:

Papa Francesco invita “al quotidiano impegno di attuazione del progetto di Dio sulla vita proteggendola con coraggio e amore, con lo stile della vicinanza e della prossimità, prendendo le distanze dalla cultura dello scarto, che propone solo itinerari di morte pensando di eliminare la sofferenza sopprimendo chi soffre”. Il Pontefice auspica il raggiungimento di “nuovi traguardi nel servizio della persona e nel progresso della scienza medica in costante riferimento ai perenni valori umani e cristiani, cercando di rispondere al massimo della povertà quale è la situazione del bambino con gravi patologie, con il massimo dell'amore”.

Nel suo intervento al Convegno, mons. Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha sottolineato che “di fronte ad una cultura e ad una prassi sanitaria che hanno imboccato le scorciatoie dell’abbandono delle persone più fragili e dei loro familiari”, l’Hospice perinatale del Gemelli “vuole essere una presenza forte e coraggiosa, di alto profilo scientifico e con un chiaro approccio etico e umano alle problematiche dei nascituri e delle loro famiglie”. Oggi – ha ricordato - “sotto la pressione di nuove e maggiori conoscenze scientifiche e soprattutto di tecnologie riproduttive sempre più raffinate, si assiste da una parte alla ricerca ossessiva della generazione della vita, producendola ad ogni costo e in ogni modo senza alcuna considerazione per la dignità della donna e, soprattutto, per i diritti del nascituro, ridotto a prodotto biologico da sottoporre a tutte le selezioni di qualità che si applicano alla produzione dei beni di consumo. Dall’altra parte proprio perché equiparato ad un prodotto, si ritiene di poterne fare ciò che si vuole in modo indiscriminato. L’incalzante ritornello che esalta e assolutizza l’affermazione dei diritti individuali viene spesso usato come grimaldello culturale e legislativo per autorizzare ogni forma di pratica medica che trasforma il desiderio di paternità e maternità in diritto da assecondare senza alcuna remora. Vengono giustificate così la fecondazione in vitro, la creazione di embrioni in laboratorio e il loro congelamento, la riduzione selettiva dopo l’impianto, l’interruzione di gravidanza per qualsiasi ragione e al minimo sospetto, spesso anche infondato, che ci possano essere complicazioni”. “L’uomo - ha detto mons. Giuliodori - si è sostituito a Dio facendosi signore e padrone della vita e decidendo secondo le istanze del momento chi ha diritto a vivere e chi no, senza interrogarsi più su ciò che sia bene e ciò che sia male, giusto o ingiusto, vero o falso”.

E’ una situazione – ha osservato – “che rende fragile il nascituro ma anche i genitori, soprattutto quando vengono a trovarsi di fronte ad un sistema sanitario che ha imboccato decisamente la strada della selezione eugenetica e che propone, come ‘soluzione terapeutica’ (e non possiamo non sottolineare l’ipocrisia e l’intrinseca contraddittorietà di una tale espressione) la soppressione dell’incolpevole creatura, rea solo di aver ancor più bisogno della cura e dell’amore dei genitori e della dedizione scientifica e assistenziale dei sanitari. Lo stupore e la meraviglia di fronte alla vita nascente non può venir meno davanti all’insorgere di qualche problema che può presentarsi. Forse pensiamo che nel corso complessivo della vita non si possano presentare difficoltà e imprevisti, situazioni di malattia grave e di morte? Ma nessuno si arroga il diritto di sopprimere l’altro perché ha dei problemi, piuttosto si cerca di aiutarlo come meglio possibile da affrontare le difficoltà”.

Spesso, i genitori – ha rilevato – “in presenza di problematiche durante il tempo della gestazione, si trovano da soli ad affrontare il dilemma di come farsi carico di eventuali criticità o annunciate malformazioni. La tentazione di scartare quella vita che ha delle maggiori fragilità o risulta incompatibile con la sopravvivenza dopo il parto, può essere forte e diventa quasi insuperabile quando viene presentata come ‘soluzione terapeutica’ avvallata e, spesso, consigliata dai medici stessi. Ma così si aggiunge sofferenza a sofferenza e non si risolve affatto il problema perché ogni vita soppressa volontariamente lascia sempre un vuoto e una ferita”.

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Papa, tweet: Gesù è porta di misericordia spalancata a tutti

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Con le armi dell’amore Dio ha sconfitto l’egoismo e la morte; il suo Figlio Gesù è la porta della misericordia spalancata per tutti”.

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Ior, lasciano due membri del Consiglio di Sovrintendenza

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Si accingono a lasciare il loro incarico due dirigenti dello Ior. Ne dà notizia un comunicato della Sala Stampa vaticana, che spiega come “completato positivamente l’iter per la recente approvazione e pubblicazione del Rapporto Annuale dell’Istituto per le Opere di Religione, due membri del Consiglio di Sovrintendenza, il Dott. Clemens Börsig e il Dott. Carlo Salvatori, seguendo la normativa in vigore, hanno presentato nei giorni scorsi le loro dimissioni al presidente della Commissione Cardinalizia di vigilanza sullo Ior”. Un passo, si spiega, che “va compreso nel quadro delle legittime riflessioni e opinioni circa la gestione di un Istituto di natura e finalità così particolari come lo Ior".

I due consiglieri, prosegue la nota ufficiale, “hanno offerto un contributo competente e qualificato in questa fase importante per la stabilità e integrità dell’Istituto e la sua conformità non solo all’ordinamento interno vaticano ma  anche agli obblighi assunti dalla Santa Sede a livello europeo. Il Presidente della Commissione Cardinalizia ha perciò ringraziato i due membri del Consiglio e ha accettato le loro dimissioni”.

Ora, conclude il comunicato, inizia, “nel pieno rispetto delle procedure previste, la fase dell’individuazione e della valutazione di nuove candidature adatte per occupare i posti divenuti vacanti nel Consiglio di Sovrintendenza”.

Sarà necessario “qualche mese”, ha poi spiegato ai giornalisti padre Federico Lombardi, perché si compia l’iter per la sostituzione dei due consiglieri. E ad una domanda su quali siano i punti di divergenza di opinione  tra i membri dimissionari e gli altri membri, il direttore della Sala Stampa vaticana ha definito “normale” che vi sia “una differenza di opinioni sulla gestione di un Istituto così particolare come lo Ior, che non è una banca. Importanti personalità del mondo bancario – ha osservato  padre Lombardi – possono avere lecitamente posizioni differenti sui criteri di gestione”.

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Sala Stampa, nota sul fallimento della "Edil Ars"

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La Sala Stampa vaticana interviene per fare chiarezza circa “notizie – si legge in un comunicato – apparse sulla stampa italiana negli ultimi giorni in merito alla vicenda del fallimento della ditta ‘Edil Ars’ e del procedimento a carico dell'imprenditore sig. Angelo Proietti”.

Punto primo, afferma il comunicato, “le competenti Autorità della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano hanno avviato le indagini stabilite dall'ordinamento vaticano nel 2013, dando seguito a segnalazioni di attività sospette riconducibili al sig. Proietti, sottoponendo a sequestro tutte le risorse finanziarie interessate”.

Punto secondo, prosegue la nota, “dall'avvio delle indagini le Autorità competenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano hanno richiesto la collaborazione e scambiato informazioni con le competenti Autorità italiane, secondo quanto stabilito dai rispettivi ordinamenti e i Protocolli d'intesa in vigore”.

Infine, viene precisato che “nello Stato della Città del Vaticano è attualmente in corso un procedimento penale e le Autorità competenti stanno valutando anche l'esistenza di eventuali danni nei confronti di enti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano”.

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Vatileaks. Ancora Chaouqui, Fittipaldi e i dati della Gendarmeria

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“Non ho mai anticipato i miei lavori”. Lo ha ribadito Emiliano Fittipaldi nella XVI udienza del processo in Vaticano per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Nella sua deposizione spontanea, l’altra imputata, Francesca Immacolata Chaouqui ha parlato di “volontà politica” che vuole la sua “condanna”. Ascoltato ancora il vice-commissario della Gendarmeria, l'ingegner Gianluca Gauzzi Broccoletti e il gendarme Stefano de Santis. Assente Gian Luigi Nuzzi, presenti, invece, mons. Ángel Lucio Vallejo Balda e Nicola Maio. L’udienza è stata rinviata al prossimo 14 giugno. Massimiliano Menichetti:

Un’udienza pomeridiana che si è aperta con la richiesta degli avvocati di Chaouqui ed Emiliano Fittipaldi, accolta dal Tribunale, di ascoltare nuovamente i due imputati in seguito alla testimonianza resa, la scorsa volta, dal vice-commissario della Gendarmeria, l'ingegner Gianluca Gauzzi Broccoletti, per altro interrogato prima della deposizione del gendarme Stefano De Santis. Il Tribunale, come conferma la nota della Sala Stampa Vaticana, ha anche disposto l'acquisizione di documentazione prodotta dai due avvocati di parte e si è riservato di valutare la richiesta di un supplemento di perizia sempre in relazione a quanto emerso nella XIV udienza. Al centro della questione il presunto scambio di documenti e anticipazioni di articoli tra Chaouqui e Fittipaldi.

Laura Sgrò
In particolare il difensore di Chaouqui, l’avv. Sgrò, riferendosi alla documentazione portata dal vice-commissario ha parlato di “prove in grave pregiudizio degli imputati” perché sarebbero state prodotte solo alcune email, scelte tra “un mare magnum” di documenti, e che i destinatari di queste email “erano molteplici” e non solo quelli indicati nella deposizione di Gauzzi. Per questo ha chiesto che venisse acquisita la posta elettronica proveniente dal computer della sua assistita e invocato una integrazione della perizia.

Lucia Teresa Musso
Il difensore di Fittipaldi, l’avv. Musso, ha chiesto l’acquisizione agli atti di una serie di articoli del giornalista, dal 2008 ad oggi, precisando che l’imputato lavora all’Espresso dal 2007 ed ha iniziato a scrivere pezzi sul Vaticano dal 2008. Acquisite dal Tribunale anche delle “copie staffetta” - prodotte dal difensore - che le testate come “L’Espresso” mandano ordinariamente il giorno prima dell’uscita “alle agenzie o esperti di comunicazione, quale poteva essere Chaouqui” e che “recano la data della settimana successiva”. Questo per ribadire che Fittipaldi non ha mai inviato anticipazioni dei pezzi e che se lo avesse fatto “si sarebbe esposto a gravi provvedimenti” da parte dell’editore.

Gianluca Gauzzi Broccoletti
Il vice-commissario nella sua testimonianza ha  subito precisato che sin “dalla prima acquisizione di documenti”, quando ci fu il sequestro degli apparati di mons. Vallejo, l’analisi mostrò che il “problema era di contenuti, non di data”. Ovvero si trattava di “documenti segreti poi pubblicati” sia nei libri “Avarizia” e “Via Crucis”, sia dalla testata “L’Espresso”. Gauzzi ha ripetuto che “i dati riportati”, erano “segreti e riservati” e si trovavano nella “mailbox” del segretario di Cosea, il quale aveva avuto scambi con Chaouqui e Maio.

WhatsApp mancante
L’esperto informatico ha spiegato che molti dati, relativi a scambi tra mons. Vallejo, i giornalisti, Maio e Chaouqui, sono stati ricavati dall’analisi della messaggistica “WhatsApp” del monsignore, ma che tale applicazione non era presente sul telefono sequestrato all’imputata, presumibilmente “perché rimossa”. L’analista ha anche detto che è in atto una richiesta a livello di “polizia internazionale” per verificare se ci siano stati accessi esterni, da dispositivi non in possesso di mons. Vallejo, alla casella personale “Gmail” del monsignore, ma che per ora “Google inc.” non “riconoscendo il Vaticano come Comunità Europea” non ha dato risposta.

Estrazione di dati
Sollecitato sull’analisi dei dati in relazione all’inizio del processo, Gauzzi in sostanza ha ribadito che la “Polizia giudiziaria ha estratto ed esaminato da subito i dati”, trasmettendoli alle competenti autorità, senza celare alcunché. E che le operazioni di trasposizione dai dispositivi di mons. Vallejo sono state eseguite anche in presenza dei periti di parte e di ufficio, a garanzia della genuinità della procedura. 

Lanino e le chiavi d’accesso
Ha anche confermato che il marito della Chaouqui, Corrado Lanino, in qualità di amministratore del server Cosea era “legittimamente in possesso delle chiavi d’accesso” e che “nulla è ascrivibile”, allo stato dei fatti, “a suo carico”. Ha aggiunto che Chaouqui registrò il numero di telefono di Fittipaldi sul proprio cellulare “dal 21 maggio 2014, dopo un articolo del giornalista” sulla nota “Terrazza per la canonizzazione dei due Papi”, e da quella data iniziarono tra i due “scambi di messaggi ed email (di cui non si ha il contenuto)”.

La volontà di condanna secondo Chaouqui
Francesca Immacolata Chaouqui ha aperto la sua deposizione spontanea affermando che “c’è una volontà politica” di alcuni “della Santa Sede, ma “non del Tribunale, che sia condannata”. Ha anche citato, in tal senso, il “sostituto della Segreteria di Stato”, mons. Angelo Giovanni Becciu, che avrebbe “autorizzato l’arresto”. Immediato l’intervento del presidente del Tribunale, il professor Giuseppe Dalla Torre, che ha richiamato l’imputata ad “attenersi ai fatti” e ha ammonito che tali considerazioni “potrebbero costituire offesa al Collegio” e “all’Ufficio del Promotore di Giustizia”, ha aggiunto il prof. Giampiero Milano.

Gli hashtag
La donna ha quindi spiegato che mons. Vallejo le trasferiva “centinaia di documenti per motivi di lavoro”: “per un confronto, per avere un supporto linguistico e per un conforto in merito alle azioni politiche da intraprendere”. Sugli hashtag #avantiilprossimo, #finchegliagnellidiventanoleoni e il contenuto di alcune mail con allegati gli articoli di Fittipaldi, ha spiegato che non poteva non gioire “vedendo” un giornalista “che aveva svelato il sistema utilizzato in questo Stato per distruggere le persone”.

Dossieraggio
Ha poi sostenuto di essere “stata vittima di dossieraggio" dalla nomina in Cosea e  che questo fascicolo “è arrivato alla Segreteria di Stato che l'ha dato alla stampa”. “Ma chi fa dossieraggio - ha ribadito - poi ne diventa vittima”.

Nessun nesso tra email e pubblicazioni
Chaouqui, riprendendo l’istanza del suo difensore, è tornata a ribadire che “in relazione a quanto dichiarato da Gauzzi, non è possibile trovare un nesso di causalità tra le email e le pubblicazioni” dei due giornalisti, poiché “oltre alle email che hanno trovato o pubblicato, ce ne sono tantissime scambiate tra tutti i membri di Cosea”. “Mons. Vallejo - ha proseguito - aveva l’abitudine di inviare documenti a varie persone per avere pareri”.

Nessuna anteprima da Fittipaldi
Ha evidenziato che “non aveva in anteprima gli articoli di Fittipaldi”, ma solo le copie staffetta che anticipavano “il giorno prima” i pezzi. Sulla ammissione, il giorno dell’arresto, di aver consegnato documenti a Gianluigi Nuzzi, ha precisato di aver risposto affermativamente, ma riferendosi al “solo biglietto d'invito” per l’evento della “terrazza”.

Stefano De Santis
Centrale anche la testimonianza - voluta dal Promotore di Giustizia - del gendarme Stefano de Santis, il quale ha ricostruito grazie all’analisi di messaggi, email e dichiarazioni rese a verbale, i rapporti tra gli imputarti. Ha precisato che il processo non è nato con gli arresti di Chaouqui, il 31 ottobre 2015, e di mons. Vallejo Balda, il 1° novembre 2015, ma grazie “all’acume investigativo del Comandante della Gendarmeria, Domenico Giani, in relazione anche ad “alcuni articoli pubblicati sulla stampa italiana”.

Il caso Milone
“Il 28 settembre 2015 - ricorda De Santis - uno dei collaboratori del revisore generale chiamò per denunciare una presunta manomissione, che venne poi accertata, sul Pc del dott. Libero Milone. In quell’occasione vennero sequestrati una serie di computer presso la Prefettura degli Affari Economici, per verificare se fossero state fatte delle copie della memoria del Pc del revisore generale. Tra gli apparati controllati c’era anche quello di mons. Vallejo”. “Quell’indagine – ha precisato – portò all’avvio di questo procedimento”.

Come Paolo Gabriele
De Santis ha precisato che dall’analisi della “grande mole di dati” si vedeva “una fitta” messaggistica “del Segretario di Cosea con Chaouqui”, “con Nuzzi e Fittipaldi”. “Nessuno poteva mettere in discussione la liceità dello scambio di contenuti tra mons. Vallejo e Chaouqui”, ma emerse anche che “prima della fine dei lavori di Cosea, il prelato e Nuzzi si videro a casa dell’imputata” e “questo ci insospettì visto il precedente libro scritto dal giornalista che coinvolse Paolo Gabriele”.

Diffidenze
Anche il gendarme ha descritto un momento iniziale in cui Chaouqui e mons. Vallejo si scambiavano conoscenze ed un secondo - verso la fine della Commissione -  in cui l’imputato “teneva il più possibile lontano” la sua collaboratrice. Preoccupazione, questa, riscontrata anche nei giornalisti nel pianificare incontri con il prelato.

L’arresto del 31 ottobre
Il teste è poi tornato al verbale firmato della Chaouqui, il 31 ottobre scorso, ribadendo che lei dichiarò di “aver consegnato a Nuzzi un documento Word sul Vatican Asset Management”. Un documento “stra-segreto” - ha detto - il “cavallo di battaglia di Cosea”. “Un atto segreto sia per la natura del documento, sia per l’organo che lo aveva prodotto”. “L’imputata fu molto attentata e scrupoloso nella lettura del verbale, nelle modifiche e sollecitata sulla gravità delle azioni, confermò” di averne contezza.

La sottocommissione segreta
In quell’occasione “fu sempre l’imputata a parlare di una sottocommissione segreta”, “che doveva operare una riforma nella riforma” e che “aveva condotto per proprio conto attività di indagine e di ricerca”. Ne facevano parte “Chaouqui e mons. Vallejo”. Il ruolo del “segretario” Maio era quello di “manovalanza”. Il teste ha poi parlato dei messaggi con cui mons. Vallejo si accordava per vedersi con i giornalisti fuori dal Vaticano, “non risulta che in quelle occasioni Fittipaldi e Nuzzi si siano incontrati”.

Dopo Cosea
“Lo scopo di Chaouqui e mons. Vallejo, al termine di Cosea, era quello di ricollocarsi in un ente vaticano”: in un messaggio letto da De Santis l’imputata ipotizza che “Presidente della Segreteria dell’Economia” sarà “il Cardinale Pell”, Segretario diventerà mons. Vallejo, “di fatto il capo” e lei si vede a non fare “nulla” se non ad organizzare “eventi con molta dignità”.

Vatican Media Center
Il gendarme spiega che quando si rendono conto che dopo Cosea non ci sarà futuro, Chaouqui pensa anche a ruoli all’interno del Vatican Media Center, oggi Segreteria per la Comunicazione. De Santis parla di “pressioni” esercitate verso mons. Vallejo da parte di Corrado Lanino per “sapere quale fosse il futuro della moglie”, accennando al fatto che “lasciare una persona con tutti quei contatti” fosse “pericoloso”. Insomma conveniva – secondo i messaggi del marito dell’imputata a mons. Vallejo – collocarla “anche solo per sei mesi per non dover affrontare qualcosa di ben più grande”.

Rapporti corrosi
Alla fine i rapporti tra i due si corrosero a tal punto che l’ultimo messaggio che lei manda via WhatsApp a mons. Vallejo è: “sei un verme ti avevo creato intorno una serie di amici”. De Santis ha ripetuto che verso la fine di Cosea, l’imputata affiancò al prelato “un uomo di sua fiducia, Pietro Grillo, per sapere ogni cosa”.

Un server da 115mila euro
Si è parlato ancora del “server costato 115mila euro” - 5 mila in più di quanto dichiarato da Gauzzi - “che nessuno ha mai utilizzato perché troppo complesso per i membri della Commissione”. E nascosto “presso il Comando delle Guardie Svizzere” con la consapevolezza “del Comandante e del Cappellano”.

L’esclusione della Gendarmeria
Sollecitato dalle domande ha negato che la Gendarmeria fosse stata chiamata per verificare la presenza di microspie in Cosea e che l’imputata li informò che “mons. Vallejo” voleva che il Corpo vaticano “fosse estromesso da tutto”, come nel caso del server o “la progettazione della rete informatica della Commissione affidata a ditta esterna”.

Chaouqui e gendarmeria
Coincidenti la deposizione di Chaouqui e la testimonianza di De Santis sull’attenzione della Gendarmeria nei confronti dell’imputata sia durante arresto, vista la gravidanza, sia in tempi lontani dai fatti che hanno portato all’incriminazione. Lo stesso Comandante Giani cercò di consigliare la donna ad avere comportamenti più consoni e rispettosi dell’ambiente vaticano. Il riferimento era ancora una volta all’episodio della “terrazza” o a quando l’imputata voleva far entrare persone nello Stato.  

Emiliano Fittipaldi
Sui messaggi tra mons. Vallejo e Fittipaldi è stato ribadito che furono 4 o 5 al massimo. Il giornalista nella sua dichiarazione spontanea è tornato sulla questione dell’anticipazione degli articoli attribuitagli dalla stampa, dopo le dichiarazioni dell’ingegner Gauzzi. Ha precisato che sarebbe stato “un fatto molto grave”, “per il quale” nel suo gruppo “alcune persone” “sono state” giustamente “licenziate”.

Mai anticipato i miei lavori
"Non risponde al vero - ha verbalizzato - come ha evidenziato il dott. Gauzzi in udienza, che la dottoressa Chaouqui riceveva i pdf di alcuni miei articoli una settimana prima dell'uscita in edicola. Non ho mai anticipato a chicchessia i miei lavori a L'Espresso, tanto meno alla dottoressa Chaouqui". "Gli articoli cartacei o in pdf de L'Espresso vengono inviati a un nutrito numero di soggetti già nella giornata di giovedì', fra cui alcuni servizi di rassegna stampa, a cui immagino la dottoressa Chaouqui abbia attinto".

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Si fermi la violenza in Siria: all'udienza generale il Papa lancia un nuovo appello per la pace.

Risposte umanitarie durature: Charles de Pechpeyrou sul vertice di Istanbul.

Con o senza la tecnologia: Jorge Oesterheld su Chiesa e comunicazione al tempo di internet con un articolo di Silvina Pérez dal titolo "L'oggi e l'eternità".

Non c'è posto più santo del tabernacolo: Fortunato Frezza sul Corpus Domini tra teologia, antropologia e politica.

Una mattina di maggio: Ferdinando Cancelli su solitudine e moribondi.

Una repubblica di uguali: Antonio Paolucci sulla storia dell'Academia delle belle arti di Firenze.

Né scrupoli né malinconia: il vescovo di Ivrea, Edoardo Aldo Cerrato, su Filippo Neri con gli occhi di Rosmini.

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Oggi in Primo Piano



Ue: riduzione debito greco è primo passo di solidarietà tra Stati

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Ecofin oggi a Bruxelles all’indomani della riunione ristretta dei ministri delle Finanze della zona euro che non solo ha dato il via libera al nuovo pacchetto di aiuti ad Atene ma si è anche impegnato a ridurne progressivamente il debito. Le borse festeggiano e lo spread dei titoli di Stato della Grecia scende per la prima volta dal novembre scorso. Ma è veramente un bene per la popolazione greca o si tratta solo di ripagare i creditori? E il modello di riduzione del debito può valere anche per altri Stati in difficoltà? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Carlo Altomonte, docente di Politica Economica Europea e Macroeconomia all’Università Bocconi di Milano: 

R. – Assolutamente sì. L’accordo di questa notte chiarisce che i dieci miliardi di euro della nuova tranche verranno dati, in parte, per ripagare i debiti, e in parte per sbloccare i crediti incagliati della Pubblica amministrazione, come stipendi, pensioni, medicine e quant’altro: questo è sicuro. Il problema è quello della sostenibilità di lungo periodo; e qui l’accordo dell’Eurogruppo è abbastanza importante, perché mette nero su bianco un primo principio: ossia dice che il totale complessivo del costo del debito greco non può superare il 15% del Pil di qui al 2030 e non potrà mai superare il 20% del Pil. Questo vuol dire che i creditori – cioè noi – dovremo rinunciare ad almeno un po’ di interesse su questo debito e dovremo immaginare un trasferimento fiscale dai Paesi europei alla Grecia. Alcuni Stati fanno sostanzialmente un regalo ad altri Stati, per consentire poi loro di entrare nell’Unione Monetaria.

D. – Questo modello potrebbe scattare anche per altri Paesi che hanno un debito molto alto? Penso anche all’Italia?

R. – Più che il modello del tetto del costo del finanziamento, il principio alla base è che, per applicare questo tetto al debito - come dicevo - dovremmo pensare a un meccanismo di trasferimento fiscale tra Stati: il principio di federazione del debito, che non è al momento previsto nei Trattati europei. E quindi, fondamentalmente, quest’accordo sulla Grecia potrebbe costituire una sorta di primo elemento di mutualizzazione federale del debito, di cui l’Europa ha un clamoroso bisogno se vuole sopravvivere negli anni a venire con la sua moneta unica.

D. – Potrebbe essere effettivamente una misura “generosa” a livello di federazione, di Unione Europea?

R. – Al momento, questo è un principio generale che deve essere poi dettagliato; bisogna capire quanto il quadro internazionale consenta di mantenere il 15% del costo del debito alla Grecia a condizioni onerose o meno per il governo greco. Però tutti immaginano che, per mantenere il principio del 15% del costo del finanziamento del debito da qui al 2030, un minimo di generosità dobbiamo pensare di metterla sul piatto.

D. – Quindi il suo giudizio qual è?

R. – È che forse è il primo passo verso un modello di Unione Monetaria che può essere più sostenibile nel tempo. Potrebbe essere un momento importante di passaggio. Ovviamente bisogna capire come va gestito, nel senso che potrebbe in realtà nascondere un inghippo, che è una solidarietà finta, perché la Grecia sarebbe in grado di finanziarsi in parte in mutui. Comunque non lo sappiamo, però potrebbe essere invece un primo inizio, non indifferente, di solidarietà tra Stati.

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Campagna "adotta un cristiano in Iraq" raggiunge 1,2 mln di Euro

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1,2 milioni di euro sono stati raccolti dalla Campagna lanciata dall’agenzia AsiaNews per i profughi irakeni fuggiti da Mosul, perché minacciati dello Stato islamico. Un progetto partito da mesi e che continua per sostenere migliaia di persone impegnate nella ricostruzione del Paese. Massimiliano Menichetti ha parlato del progetto con padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews, che inviata a continuare con le donazioni per arrivare all’obiettivo della campagna "Adotta un cristiano di Mosul” di 3 milioni e mezzo di euro: 

R. – Semplicemente, è un modo cristiano di essere vicino ai profughi di Mosul. Siamo rimasti molto colpiti dalla processione, enorme e faticosa, di migliaia di persone – oltre 100 mila – scappate da Mosul per cercare di salvarsi. Allora, abbiamo chiesto ai vescovi iracheni che cosa potevamo fare e ci hanno risposto: “Aiutateci a farli mangiare”. La gente arrivava continuamente a ondate. E allora abbiamo lanciato questa cosa semplice: “Adotta un cristiano di Mosul”, cioè dai almeno cinque euro, che è la somma che serve per far mangiare una persona in una giornata. E devo dire che la risposta è stata veramente molto grande.

D. – A chi sono andate queste donazioni?

R. – La Chiesa le ha distribuite non solo ai cristiani, ma anche agli yazidi e ai musulmani – sciiti e sunniti – anche loro vittime di violenza e oppressione da parte del sedicente Stato islamico. E quindi, è stato anche un modo di aiutare la ricostruzione dell’unità dell’Iraq.

D. – È una campagna che continuerà?

R. – Di fatto continua, perché l’emergenza dei profughi di Mosul è ancora presente. All’inizio, magari, era soltanto un modo di aiutarli per il cibo, l’acqua o le medicine. Adesso, invece, è per aiutarli a costruire case o far nascere scuole. La cosa bella, quindi, è che questi profughi vogliono rimanere in Iraq, ricostruire.

D. – Da dove sono fuggite esattamente queste persone, e dove sono adesso?

R. – Sono fuggite da Mosul, dalla Piana di Ninive – occupata circa due anni fa dall’Is – e sono andate nel Kurdistan, che è l’unica zona un po’ più tranquilla dell’Iraq. Sono fuggite a Erbil, e anche nel nord del Kurdistan, sulle montagne. Per esempio, a Amadiya, Dohuk...

D. – Si è creata in questa situazione una nuova fratellanza tra i rifugiati cristiani, musulmani e yazidi…

R. – C’è di fatto una grande tradizione di convivenza in Iraq, basata sulla nazionalità e sull’essere parte della cultura araba. Questo ha portato a una facilità di rapporti e soprattutto, direi anche, a una grande generosità e apertura da parte dei cristiani della Chiesa, che tutti vedono in Iraq come la punta avanzata dello sviluppo, dell’apertura e la cultura araba irachena.

D. – Questo ci fa vedere che in realtà l’Iraq non è un Paese di mere divisioni…

R. – No, e penso che i cristiani siano resi obiettivo di questa guerra dal sedicente Stato islamico e che certi Stati del Golfo appoggino in modo diretto o indiretto l’Is, perché effettivamente annientando i cristiani si annienta l’unità dell’Iraq.

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Al Vertice di Istanbul molte promesse e molte preoccupazioni

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Il primo vertice umanitario mondiale, voluto dall’Onu, si è chiuso ieri a Istanbul in mezzo a tanti interrogativi e tante perplessità. A cominciare dalla reale futura applicazione delle promesse fatte a sostegno dei milioni di persone che soffrono per le crisi umanitarie nel mondo, per arrivare alle poltrone rimaste vuote durante il Summit. Francesca Sabatinelli:

I grandi assenti al World Humanitarian Summit sono stati soprattutto i leader dei Paesi più ricchi, un vuoto aspramente criticato dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon che, nel suo intervento di chiusura ieri pomeriggio a Istanbul, pur ringraziando i 175 Paesi rappresentati e i 55 leader presenti, ha espresso disappunto proprio per il fatto che nella città turca non vi fossero “soprattutto i leader del G7 ad eccezione di Angela Merkel". Il segretario generale ha quindi lanciato un appello ai membri del Consiglio di Sicurezza  “a intraprendere passi importanti. La loro assenza, ha precisato, non è una scusa per non fare niente" nel campo umanitario.

A Istanbul è comunque stato raggiunto quello che è stato definito “Grand Bargain”, un grande accordo che mira a tagliare i costi di gestione di circa un miliardo di dollari all’anno e garantire così che la maggior parte di quei fondi possa andare in aiuto alle persone sofferenti. E’ stata la bulgara Kristalina Georgieva, vice-presidente della Commissione europea per il bilancio e le risorse umane che ha studiato l’accordo. Le spese generali delle agenzie di aiuto ora assorbono circa il 15 per cento dei finanziamenti, ha detto, con questo risparmio di un miliardo di dollari in cinque anni si risanerebbe il  buco. Linda Bordoni l’ha incontrata:

R. – We live in a world…
Viviamo in un mondo che sta diventando sempre più fragile e questo significa che la vita di più bambini, donne e uomini verrà devastata da conflitti e disastri. Se queste persone fossero un Paese,   con una popolazione di 130 milioni di persone sarebbe il decimo Paese più grande del mondo. Ed il Paese con la crescita più veloce, che ha quadruplicato la sua popolazione dal 2000. Quindi, noi ci stiamo focalizzando su come utilizzare maggiori risorse per aiutare le persone che hanno bisogno. Significa naturalmente concentrarsi prima di tutto sul perché si trovano nel bisogno, sul perché le emergenze si stanno intensificando. La risposta è politica. Non è una cosa che la comunità umanitaria può prendere su di sé, ma quello che possiamo fare è essere più presenti e più efficaci. Quindi abbiamo creato questo mutuo accordo di responsabilità tra quelli che finanziano e quelli che eseguono. Non solo finanziare di più, ma farlo meglio. Muovere più risorse nelle mani delle persone che hanno bisogno e utilizzarne meno nel retrobottega delle agenzie umanitarie.  L’anno scorso il mondo ha speso 28 miliardi di dollari. Il nostro obiettivo è che almeno un miliardo di dollari in più vada alla prima linea.  E’ non è questo il caso di oggi. 

Al summit anche il sovrano ordine di Malta, con il gran cancelliere Albrecht Boeselager, che è intervenuto sul ruolo delle organizzazioni religiose negli scenari di crisi:

 R. – It is too early to…
E’ troppo presto per giudicare il risultato del Summit. Si potrà fare in seguito, guardando alle misure che arriveranno  dai differenti attori nel campo umanitario. Ma penso che il Vertice, in quanto tale, sia stata una iniziativa opportuna, a causa dell’aumento dei problemi umanitari. Molte sono le questioni  aperte,  c’è sempre meno rispetto per la legge umanitaria ed è richiesta urgentemente una più grande solidarietà tra le diverse nazioni. In un certo senso, penso che possiamo essere soddisfatti del risultato, perché, come ho detto, siamo molto preoccupati per la mancanza di rispetto verso la legge umanitaria, verso le Convenzioni di Ginevra. Quindi, preparando il Summit, abbiamo preso l’iniziativa di attirare l’attenzione dei vari Paesi e delle Nazioni Unite  sulla grande importanza delle organizzazioni religiose, sui valori umanitari in esse contenuti, e abbiamo chiesto di tenerne maggiormente in considerazione il potenziale nei confronti dell’aiuto umanitario e dell’azione umanitaria. Durante il Summit ci sono stati degli eventi speciali dedicati a tali questioni. La documentazione, preparata da un gruppo ad hoc, nel quale l’Ordine ha avuto un’influenza decisiva, è passata e verrà pubblicata. Quindi, per questo, siamo molto soddisfatti.

D. – Nel messaggio che il Papa ha fatto arrivare al Summit, quali sono i punti che lei ritiene più forti e più importanti?

R. – I think one of the strongest message…
Penso che uno dei messaggi più forti sia stato quello in cui si dice che deve essere fatto di più per prevenire i conflitti, per affrontare le cause dei conflitti alla radice. E questo è certamente vero, molti dei conflitti di oggi hanno radici che risalgono a molti anni indietro, a tanto tempo fa. L’altro messaggio , coerente con gli altri messaggi del Papa, è che  gli affari, gli interessi finanziari, influenzano i principi umanitari e l’interesse reale verso l’umanità, causando questi problemi. Penso che il Santo Padre sia una delle poche autorità morali che resta, se non la sola, ad avere davvero un impatto sul mondo e che il suo messaggio non possa essere sottovalutato.

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Gioco d'azzardo. Don Zappolini: stop a pubblicità e mafie

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Divieto di pubblicità del gioco d’azzardo e tracciabilità del denaro: due proposte presentate a governo e parlamento dalla campagna “Mettiamoci in gioco” per bloccare questa forma di dipendenza che ha conseguenze sempre più pesanti nella popolazione. La proposta di legge che vieta ogni forma di sponsorizzazione diretta e indiretta del gioco d'azzardo esiste già ed è stata presentata alla Camera il 15 luglio scorso con una trasversalità politica di firme, ma ancora non è stata calendarizzata. Sul perché viene promossa una richiesta come questa, Valentina Onori lo ha chiesto a don Armando Zappolini, portavoce della campagna: 

R. – C’è un problema che è veramente molto, molto serio e che richiede una riflessione sistematica. Noi chiediamo che ci sia un primo segnale vero: divieto assoluto di pubblicità. L’altra è una proposta di legge che imponga l’uso della tessera sanitaria per chi vuole accedere al gioco. Questo avrebbe tre vantaggi: aiuterebbe ad ostacolare l’accesso dei minori al gioco; permetterebbe il blocco dell’accesso al gioco a persone che sono già riconosciute come patologiche, come un Daspo del gioco; terzo, permetterebbe una tracciabilità del riciclaggio. Le mafie contano migliaia di “Gratta e Vinci”, perché poi i biglietti vincenti li usano per riciclare denaro sporco, che fanno entrare in modo pulito nel circuito legale. Se io vado con 20 mila euro alla sala Bingo, magari gestita da un’associazione collegata alla criminalità, posso mettermi ad una macchinetta e riprendermi, come vincita, con uno sciupo massimo del 13 per cento e nessuno viene a chiedermi niente. E’ un bel servizio che si fa alla mafia.

D. – Come ci siete arrivati a queste proposte?

R. – Il primo invito è nato proprio dalla nostra rete di accoglienza. Questo è un allarme vero nel Paese: sono numeri da tsunami. Per fare un riferimento, pensiamo che sono 800 mila le persone che in Italia hanno un problema con l’azzardo, mentre nel 2012 tutti i tossicodipendenti e gli alcolisti erano poco più di 400 mila. Dopo il petrolio e l’Enel è la terza voce di fatturato nel Paese, con un utile netto nel settore che va dai 18 ai 20 miliardi, a cui va aggiunto quello che fa la mafia nella gestione diretta.

D. – Cosa si sa del gioco d’azzardo e anche dei suoi effetti negativi?

R. – Non è un disturbo comportamentale, per cui uno ha questa fissazione: è proprio una malattia vera e propria; è come una dipendenza da una sostanza. Questi casi, che tutti noi abbiamo negli occhi e nel cuore, sono la causa della nostra rabbia e del nostro impegno. Davanti ad uno sguardo perso di una persona non si può restare indifferenti.

D. – Il gioco d’azzardo coinvolge dal giovane all’anziano, con i “Gratta e Vinci” ci sono persone anziane che spendono l’intera pensione…

R. – Una ricerca fatta dall’Auser ha dimostrato che nei primi dieci giorni del mese c’era un incremento del 15 per cento della vendita dei “Gratta e Vinci”, imputabile a quella fascia di pensioni sociali da 450 euro di cui spese 200, al 10 del mese.

D. – Pensa che l’incremento del gioco d’azzardo sia imputabile anche alla crisi economica che ha colpito le famiglie?

R. – Qui non è il passatempo sbagliato, un po’ snob, di uno che ha i soldi, vuol giocare, vuol sentire l’ebrezza di un rischio. Qui c’è una pubblicità che dice: “Ti piace vincere facile? Ti puoi mettere a posto con poco. Povero per povero, cosa sono 5 o 10 euro in più o in meno? Perché non provi? Se azzecchi il risultato, ti fai una bella vacanza, ti compri l’i-phone che ti piace”. Si gioca, cioè, sulla precarietà come chiave per entrare dentro, una empatia con il gioco. Tutto parte dalla pubblicità, perché se si dicesse: “Guardate, quello vincente è un solo biglietto sull’autostrada che va da Milano a Potenza”. Allora si direbbe: “Io non rischio mica i soldi!”.

D. – Il problema sociale è veramente grande e riguarda la precarietà..

R. – Non solo. E’ legare la precarietà alla fortuna. Abbiamo anche un’idea di un grosso investimento educativo da fare. E’ questione di dare un’immagine di vita e di una società in cui la vita viene costruita con le tue forze, con la tua attività, con il tuo spenderti.

D. – A livello educativo, quali sono i comportamenti che voi promuovete?

R. – I ragazzi vanno appassionati alle cose belle della vita. Se la gente si appassiona, queste cose non attaccano. Si può bere una volta un bicchiere di più, ma se quel bere di più lo si mette in una vita senza senso, annoiata, in quel bicchiere si trova il senso della vita. Tu puoi comprare una volta un “Gratta e Vinci” - non è il demonio - ma se lo fai dentro una vita bella, appassionata, coinvolta, non ti leghi a quella cosa. L’approccio educativo e sociale è sicuramente il più efficace e il meno costoso. E’ da considerare che quando si tratta di curare una patologia ci sono dei costi allucinanti. Lo Stato prende otto miliardi dalle tasse sul gioco e secondo i nostri calcoli ne spende almeno cinque, sei sul sistema di cura. E’ veramente un acquedotto che perde più acqua di quella che porta a casa.

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Riforma cappellani militari. Mons. Frigerio: d'accordo su risparmi

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Sono in corso, in Italia, i lavori della Commissione paritetica, che comprende rappresentanti del governo, della Cei e della Santa Sede, per la riforma dell'Ordinariato militare. La bozza del testo sta prendendo sempre più forma e nelle prossime settimane verrà presentata ufficialmente. Il processo di riforma si è reso necessario per l'intenzione del governo italiano di ridurre le voci di spesa, a bilancio dello Stato, destinate all’assistenza spirituale degli uomini della Forze Armate. La riforma, oltre a portare ingenti risparmi nella struttura dell'Ordinariato militare, sia nelle sue unità che nelle entrate, punta a chiarire il ruolo del cappellano militare. Ce ne parla - al microfono di Daniele Gargagliano - mons. Angelo Frigerio, vicario generale dell'Ordinariato militare: 

R. – Il tutto parte dalla necessità di ridurre la spesa pubblica, permettendo un risparmio in tutti i settori, anche nel settore dell’assistenza spirituale alle Forze Armate, e questo risparmiando il più possibile e dove è possibile. Ad oggi il numero è progressivamente diminuito: siamo in 158. L’arcivescovo, sulla base di questa esperienza, ha fatto questo ragionamento: io posso scendere da un organico di circa 200 a 160, perché riesco a garantire l’assistenza spirituale agli uomini e alle donne delle Forze Armate. Di questi 42 sacerdoti cappellani militari, 12 sono dirigenti: questo vuol dire che la spesa non scenderà di un quinto, ma scenderà più di un terzo, perché lo stipendio lordo di un colonnello è quattro volte o tre volte quello di un tenente. Questa spesa, intorno ai 9 milioni di euro, scenderà a poco più di 5 milioni di euro, forse massimo 6 milioni di euro… Quindi la spesa è quasi della metà. La proposta di mons. Santo Marcianò, ordinario militare per l’Italia, è questa: io rinuncio alla dirigenza di questa porzione di Forze Armate, tenendo il vertice dell’organizzazione e quindi: ordinario militare e vicario generale militare, 160 cappellani militari assimilati di rango da tenente a tenente colonnello; inoltre, un cappellano militare, con la nuova riforma, sarà assimilato al grado di tenente colonnello dopo 30 anni di servizio: 10 da tenente, 10 da capitano, 10 da maggiore; dopodiché diventa tenente colonnello. Ma naturalmente per “assimilazione”, non per identificazione.

D. – Questa iniziativa va nell’ottica del rinnovamento indicata da Papa Francesco, senza prescindere dall’importanza che rivestono i sacerdoti, cappellani militari, nell’azione pastorale…

R. – Questa riforma permetterà all’ordinario militare, mons. Santo Marcianò - e ovviamente a tutti coloro che verranno – di sentirsi sempre e ancora di più vescovo di una diocesi che manda nelle caserme dei sacerdoti che non avranno più l’equivoco di essere scambiati per dirigenti, bensì semplici sacerdoti assimilati di rango a un grado. E questo perché? Perché i gradi delle Forze Armate sono il codice identificativo. I cappellani militari italiani, anche nella seconda Guerra Mondiale, non erano armati, nonostante le Convenzioni di Ginevra prevedano che il cappellano militare possa indossare e portare con sé l’arma, a difesa personale e a difesa dei feriti. Noi italiani, per una nostra storia, per una nostra scelta, per un certo rigore dottrinale, non abbiamo mai, mai indossato alcuna arma!

D. – Si era parlato anche dell’abolizione degli straordinari…

R. – Tutti gli ordinari militari hanno sempre indicato, con circolari scritte e continue raccomandazioni, ai comandanti - e ovviamente ai sacerdoti - di non rimborsare da parte dell’ente pagatore e di non ricevere da parte del cappellano militare denari a motivo di prestazioni liturgiche. Mons. Marcianò ha detto: il cappellano militare, in quanto cappellano militare, deve compiere il suo orario di servizio, come tutti gli altri: in quanto sacerdote cattolico non ha un orario di servizio, come tutti i parroci del mondo! I giuristi, che compongono la Commissione paritetica, stanno lavorando intensamente e so che hanno raggiunto formule adeguate. Anche perché poi dobbiamo fare i conti con il diritto del lavoro: gli straordinari verranno aboliti e si tratta di una abolizione di fatto per tutto ciò che riguarda l’azione liturgico-pastorale del sacerdote. Mi vien da dire che il 99,99 per cento periodico di tutta l’attività del sacerdote. Poi, dopo la legge, ci saranno i regolamenti applicativi nei quali si entrerà nel merito e quindi l’ordinario militare entrerà nei particolari, dicendo: per quanto riguarda tutti i Sacramenti e tutti i sacramentali, tutto questo non è soggetto a lavoro straordinario.

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Nella Chiesa e nel mondo



Israele: scuole cristiane a rischio. Governo non mantiene le promesse

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A pochi giorni dalla fine di un anno scolastico tormentato, iniziato con uno sciopero protrattosi per 27 giorni, le 47 scuole cristiane operanti in Israele si trovano ad affrontare un'emergenza finanziaria dagli effetti potenzialmente devastanti, perchè il Ministero dell'istruzione non ha mantenuto finora l'impegno di trasferire agli istituti scolastici ispirati dalle locali comunità cristiane il contributo dovuto, ammontante a 50 milioni di Shekel. La preoccupazione per la difficile congiuntura creatasi - riferisce l'agenzia Fides - è espressa in un documento-appello diffuso dall'Ufficio delle scuole cristiane, dove si delineano i passaggi chiave e gli aspetti controversi di una vicenda che sta mettendo in ansia decine di migliaia di docenti, operatori scolastici, studenti e famiglie in tutto il Paese.

A settembre il Ministero dell'Istruzione aveva accolto le richieste delle scuole cristiane
Durante la mobilitazione d'inizio anno, gli alunni delle scuole cristiane, insieme ai propri genitori e ai propri insegnanti, avevano organizzato anche manifestazioni di piazza per denunciare il taglio massiccio del 45% dei contributi statali, imposto negli ultimi sei anni da parte del governo d'Israele, all'origine dell'emergenza finanziaria. A fine setttembre, alcune proposte per uscire dall'impasse erano state presentate dal ministero israeliano per l'educazione all'Ufficio delle scuole cristiane, che le aveva accolte. 

Disatteso l'accordo
L'accordo prevedeva l'attribuzione alle scuole cristiane di un primo contributo di 50 milioni di shekel – pari a quasi 11 milioni e 350mila euro – che doveva essere versato entro il 31 marzo scorso, a compensazione dei tagli disposti negli anni precedenti, per il primo trimestre dell'anno accademico 2015-2016. Poi si sarebbe dovuto creare un nuovo organismo negoziale, incaricato di affrontare e risolvere questioni in sospeso.

Israele vuole inglobare le scuole cristiane nel sistema scolastico pubblico
A più di 50 giorni dalla scadenza annunciata – si legge nel documento diffuso adesso dall'Ufficio delle scuole cristiane, ripreso dalla Fides – la tranche di risorse promessa non è ancora stata versata. La commissione speciale dei negoziati, guidata dal funzionario Shimshon Shoshani, si è riunita tre volte, limitandosi a riproporre la richiesta – già respinta in precedenza – che le scuole cristiane accettino di essere inglobate in tutto e per tutto al sistema scolastico pubblico, sottoposto alla direzione del Ministero dell'educazione, con l'unica garanzia di poter conservare tre ore settimanali per classe, dedicate a "rafforzare e preservare l'identità cristiana e il peculiare stile di vita delle scuole cristiane ".

Le scuole cristiane chiedono che il governo israeliano onori al più presto i suoi impegni
“E' chiaro – si legge nel comunicato, firmato da padre Abdel Masih Fahim, segretario generale dell'Ufficio - che queste raccomandazioni non risolvono la crisi finanziaria causata dalle politiche del Ministero dell'educazione negli ultimi anni. E deploriamo che il Ministero stia cercando ancora una volta di costringere le nostre istituzioni ad aderire al sistema pubblico”. Davanti al collasso finanziario che le minaccia, le scuole cristiane, attraverso il loro Ufficio di coordinamento, chiedono che il governo israeliano onori al più presto i suoi impegni, che sia fissata una quota annuale fissa di contributo statale, oppure, in alternativa, che sia predisposto un nuovo status giuridico per le scuole cristiane in Israele, che consenta loro maggiore libertà di movimento nella ricerca di fondi destinati a compensare i tagli drastici del contributo statale. Le 47 scuole cristiane d'israele sono frequentate da 33mila studenti cristiani, musulmani, drusi ed ebrei. (G.V.)

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Card. Filoni nel cuore delle comunità indigene della Colombia

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“Questo vicariato è una giovane Chiesa, eretta il 21 febbraio 2013, e quindi in crescita, sebbene ancora conti una ridotta presenza di personale missionario (un sacerdote locale, undici sacerdoti religiosi, undici religiose, venti catechisti a tempo pieno). Per questo è fondamentale incoraggiare nei nostri giovani la vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata. E, con la collaborazione di tutti i fedeli, è opportuno che si sviluppi tra di voi la consapevolezza di essere Chiesa in crescita e dell’auto-sostentamento locale, così da farla arrivare all'età adulta”. Questa l’esortazione rivolta dal card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ai fedeli del vicariato apostolico di Puerto Leguízamo-Solano, riuniti nella cattedrale dedicata a Nuestra Señora del Carmen, per la Messa che ha presieduto ieri, nell’ambito della sua visita pastorale in Colombia.

Anche se lontano geograficamente, il vicariato è nel cuore della Chiesa
“Sei parte della Chiesa di Dio – ha sottolineato il cardinale -. Il Santo Padre, attraverso la mia presenza, ha voluto essere vicino a questo vicariato. Pertanto, anche se si trova in un territorio che può sembrare geograficamente lontano, non smette di essere nel cuore della Chiesa”. Per questo - riporta l'agenzia Fides - ha esortato ad intensificare gli sforzi per lanciare la pastorale familiare, “esortando i giovani a una vita cristiana coerente con i principi del Vangelo, formandoli perchè creino autentiche famiglie cristiane”, e per garantire ai catechisti e ai laici la possibilità di “acquisire una solida formazione cristiana, consolidare la propria fede e affrontare, attraverso il dialogo, il proselitismo delle sette”.

L'incontro con le comunità indigene dell'Amazzonia colombiana
Nel vicariato apostolico, che si trova nell’Amazzonia colombiana, il prefetto del Dicastero Missionario ha incontrato i catechisti delle comunità indigene, principalmente Murui e Quichua, ha visitato una comunità indigena, ed ha potuto dialogare con le autorità civili e militari, oltre che con i rappresentanti della realtà ecclesiale. Nell’omelia, il card. Filoni ha ricordato che “lo status giuridico di vicariato è un passo intermedio prima di diventare diocesi. E' qualcosa di simile al caso di un giovane che cresce, ma che non è ancora autosufficiente e, quindi, ha bisogno di aiuto nella sua maturazione prima di avere la propria casa”. (S.L.)

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Filippine: attacco di Duterte ai vescovi 'violento e gratuito'

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“Sono sorpreso dal comportamento del presidente Duterte, per il quale non c’è stata alcuna provocazione”. Una fonte cattolica commenta così all'agenzia AsiaNews le ultime dichiarazioni del sindaco di Davao, vincitore delle elezioni del 9 maggio scorso, il quale durante una conferenza stampa è tornato all’attacco della Chiesa cattolica definendola “l’istituzione più ipocrita” al mondo. 

La sfida al credo ed all'opinione della Chiesa
Il nuovo Presidente, che presterà giuramento il prossimo 30 giugno, ha continuato criticando la Chiesa per essersi sempre opposta all’uso di contraccettivi e al controllo delle nascite, atteggiamento che ha causato sovrappopolazione: “Io voglio solo tre figli per ogni famiglia – ha dichiarato –. Sono cristiano, ma sono realista e so che dobbiamo fare qualcosa per la sovrappopolazione. Io sfiderò il credo e l’opinione della Chiesa”.

La risposta del vescovo mons. Cruz
Intervenendo sulla questione sollevata dal neo-Presidente, il vescovo emerito mons. Oscar Cruz, ha risposto al politico dicendo che “se conosce dei casi di corruzione dovrebbe rivelarli. La Chiesa non chiuderà certo per le sue rivelazioni”. La fonte di AsiaNews afferma: “Duterte dice che qualche sacerdote o vescovo avrebbe chiesto delle automobili, quando il suo ‘consigliere spirituale’ (anche leader di una setta cristiana di Mindanao ndr) possiede un elicottero e un jet privato del valore di milioni di dollari e nessuno dice niente su questo”.

Per la Chiesa il Presidente dovrebbe unificare il Paese
 “Questi insulti diretti – continua – mi lasciano perplesso. Un Presidente non dovrebbe offendere in modo così aperto. Anche se non fossero contro la Chiesa, queste parole non dovrebbero esserci, e per di più non sono state provocate”. Secondo la fonte, “si sa che Duterte ha qualcosa contro la Chiesa cattolica, ma come Presidente non dovrebbe reagire in questo modo ‘da bar’. Il Presidente dovrebbe unificare il Paese, non portare avanti una campagna che sembra personale, per qualche episodio accaduto nel passato”.

Annunciata liberazione dell'ex Presidente Arroyo e riabilitazione dell’ex dittatore Marcos 
Durante la conferenza stampa, il neo Presidente si è espresso a favore della liberazione dell’ex Presidente Arroyo, in carcere dal 2011 per corruzione, e la fonte spiega che “molti dei collaboratori che Duterte sta scegliendo per il proprio governo sono ex membri dell’amministrazione Arroyo”.  Il sindaco di Davao ha anche dichiarato di voler spostare le spoglie dell’ex dittatore Marcos nel “cimitero degli eroi” di Manila. Morto in esilio nel 1989, Ferdinand Marcos è stato protagonista di uno dei capitoli più bui della storia filippina. Suo figlio, Ferdinando Jr., è il candidato vice-presidente di Duterte. (R.P.)

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Brasile: allarme Consiglio missionario indigeno su terre amazzoniche

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Forte preoccupazione per il futuro dei popoli indigeni dell’Amazzonia brasiliana, dopo il traumatico cambio al vertice della presidenza del Brasile. Lo afferma il Cimi, il Consiglio missionario degli indigeni affiliato alla Conferenza episcopale brasiliana, in un comunicato. Secondo il Cimi - riferisce l'agenzia Sir - “i diritti costituzionali dei popoli indigeni del Brasile sono a rischio”.

Temer sotto pressione dai grandi latifondisti
Il governo ad interim, guidato da Michel Temer mentre la Presidente eletta Dilma Rousseff è sotto giudizio, sotto la pressione di gruppi interessati “a permettere lo sfruttamento economico delle terre tradizionali dei popoli”, può in qualsiasi momento rivedere e revocare le sentenze del Governo Rousseff che ridavano le terre agli indigeni. Una possibilità, secondo il Cimi, “palesemente incostituzionale”, così come il “debito storico dello Stato brasiliano con i popoli indigeni”.

Già presentate le richieste dei proprietari terrieri
“Già qualche giorno dopo che il Congresso aveva approvato l’inizio della procedura d’impeachment per la Rousseff – denuncia il Cimi – la Bancada ruralista – così viene chiamato il fronte parlamentare che cura gli interessi dei proprietari terrieri, ndr – aveva presentato il conto”. Tra le richieste “la riammissione di forme di lavoro analoghe alla schiavitù, la fine della licenza ambientale e lo sfruttamento sfrenato della biodiversità brasiliana”.

Ancora disattese le ordinanze dei popoli indigeni
Nel comunicato si lancia un ulteriore allarme per il fatto che il nuovo ministro della Giustizia, Alexandre de Moraes, ha detto che tutte le ordinanze del ministero sarebbero state riesaminate e tra queste anche le ordinanze dichiarative di terre indigene. Atti che in realtà sono stati attesi dai popoli indigeni “per anni o anche per decenni”. (R.P.)

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Vescovi dominicani: tutti accettino il risultato delle elezioni

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La Conferenza episcopale dominicana (Ced) ha invitato i leader politici e tutti i cittadini dominicani a concludere in un clima pacifico e di rispetto il processo elettorale. In un comunicato ripreso dall'agenzia Fides, i vescovi affermano: "Questa fase finale delle elezioni sia un modello di calma, civiltà e rispetto reciproco, tutti noi siamo responsabili nel costruire una nazione basata sui valori permanenti di verità, amore, speranza e pace; ogni dominicano deve assumere la sfida e l'impegno di essere coerente".

I vescovi lodano la partecipazione civile e democratica al voto
"Il risultato delle elezioni deve essere accettato da tutti" si legge ancora nel testo, che prosegue: "ci congratuliamo con il popolo per la sua partecipazione civile e democratica. I partiti politici dovrebbero osservare questo atteggiamento della gente come la consapevolezza della loro responsabilità verso la democrazia".

Il ritardo nel conteggio causato da metodi elettronici sofisticati
Dal momento che non sono ancora stati pubblicati i risultati definitivi delle elezioni, i vescovi scrivono: "E' dovere della Giunta centrale elettorale dissipare tutti i dubbi sulla base dell'integrità, della trasparenza, dell'efficienza e della responsabilità, in modo che il conteggio e la pubblicazione dei voti non lasci spazio per il minimo dubbio circa la chiarezza del processo elettorale in questa fase finale decisiva". Secondo la stampa locale, il ritardo nel conteggio dei voti è dovuto all'uso, per la prima volta nel Paese, di metodi elettronici sofisticati, che sembra non abbiano funzionato in tutto il territorio, costringendo quindi in questi luoghi a ricorrere al conteggio manuale. (C.E.)

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Sudan: torna libero il monaco copto rapito nel Darfur

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E’ tornato in libertà il monaco copto ortodosso Gabriel, di cittadinanza sudanese, che era stato rapito giovedì 14 aprile nella città di Nyala, capitale dello Stato sudanese del Darfur meridionale. I suoi confratelli del monastero di Sant'Antonio hanno potuto riabbracciarlo dopo un sequestro durato quaranta giorni. A rapirlo, secondo fonti locali riprese dall'agenzia Fides, era stato un gruppo di uomini armati che si erano allontanati dal luogo del sequestro a bordo di un fuoristrada, dopo aver legato e picchiato due persone che erano in compagnia del monaco. Il religioso è stato prelevato mentre si trovava presso strutture appartenenti alla locale parrocchia copta, non lontano dal Campo profughi di Atash.

Liberato senza aver pagato alcun riscatto
Fonti della Chiesa copta ortodossa – riferisce l'agenzia Copts United – hanno dichiarato che il monaco è stato rilasciato senza pagare alcun riscatto. In precedenza, i media locali avevano riportato indiscrezioni secondo cui per la liberazione di padre Gabriel era stato richiesto il pagamento di un riscatto pari alla cifra esorbitante di cinque milioni di sterline sudanesi (circa 735mila euro). (G.V.)

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Vescovi Francia: calma e dialogo per legge sul lavoro

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La Chiesa cattolica francese chiede “un rapido ritorno alla calma” e “incoraggia a intraprendere tutte le iniziative di concertazione e dialogo che possano permettere di superare le logiche dello scontro per impegnarsi in maniera risoluta e serena, con rispetto per le persone e le istituzioni, nel processo di riforma e di modernizzazione necessaria per costruire il futuro in uno spirito di pace”. È l’appello lanciato da mons. Jean-Luc Brunin, vescovo di Le Havre, nonché presidente del Consiglio episcopale Famiglia e società, mentre la Francia sta vivendo una nuova ondata di scioperi e manifestazioni contro la “Loi Travail”, il Jobs Act francese, voluto dal governo del Presidente Francois Hollande.

Trovare una soluzione condivisa
Tutte le raffinerie sono chiuse per sciopero e la crisi dei carburanti rischia di aggravarsi. Il vescovo Brunin – riferisce l’agenzia Sir - esorta tutti gli attori sociali a trovare “una soluzione a questa crisi che ha un impatto sulla vita quotidiana delle persone e delle famiglie, così come sulla vita economica portuale e sulle attività industriali. Se dovessero continuare, questi eventi potrebbero influire sullo sviluppo e sul futuro”.

No alla violenza: riprendere i negoziati
“La Chiesa – spiega il presule – non intende prendere posizioni sui termini del conflitto; non spetterebbe al suo ruolo. Tuttavia, condanna ogni forma di violenza, richiama tutte le parti a prendere coscienza della gravità della situazione e chiede un rapido ripristino del dibattito e dei negoziati”. “Solo il dialogo sociale – conclude - può permettere agli uni e agli altri di superare la loro particolare visione per discernere insieme il bene comune”. (I.P.)

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Italia: card. Bagnasco e p. Lombardi per 100° dello scautismo cattolico

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Lo scautismo cattolico celebra sabato 28 e domenica 29 maggio i 100 anni dell’inizio ufficiale della sua storia in Italia, ricordando le prime promesse dell’Asci pronunciate a Genova a Palazzo del Principe. Per l’occasione è atteso l’arrivo di numerose delegazioni anche da fuori Genova. Almeno 200, infatti, - riporta l'agenzia Sir - sono i partecipanti provenienti da altre regioni che si sono accreditati per l’evento. 

Si farà memoria delle prime promesse dell'Asci
L’iniziativa è organizzata dal Centro Mario Mazza, insieme ai responsabili regionali liguri dell’Agesci e al segretario regionale del Masci Liguria. Durante la due giorni si farà memoria di quanto avvenuto il 28 maggio del 1916, quando, proprio a Genova, all’interno del cortile del Palazzo del Principe, il conte Mario di Carpegna ricevette le promesse di dodici squadriglie di esploratori dei primi reparti iscritti all’Asci, tutti provenienti dalle Gioiose del Reci di Mario Mazza. 

Sabato 28 maggio un convegno dal titolo “Una promessa lunga 100 anni” 
Si terrà presso la sala dei Capitani di Palazzo San Giorgio. Tra i relatori padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana e già assistente nazionale scout. Nel pomeriggio sono previsti il percorso della memoria, che ripercorrerà i luoghi significativi della nascita dello scautismo in Italia, e la visita al Centro studi Mario Mazza. Domenica 29, nel Palazzo del Principe, avrà luogo il “Ricordo delle prime promesse dell’Asci” e rinnovo delle promesse con i reparti eredi delle Gioiose Benedizione. Prevista la partecipazione del card. Angelo Bagnasco. A seguire la Messa nella basilica di Santa Maria delle Vigne. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 146

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.