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Sommario del 26/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Si è spento il card. Capovilla, già segretario di Papa Roncalli

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Si è spento oggi, presso la clinica Palazzolo di Bergamo, il cardinale Loris Francesco Capovilla, già segretario particolare di Papa Giovanni XXIII. Il porporato aveva cento anni. Nato a Pontelongo (Padova) il 14 ottobre 1915, viene ordinato sacerdote a Venezia il 23 maggio 1940. Diventa cappellano del carcere minorile e all’Ospedale degli infettivi. Durante la seconda guerra mondiale presta servizio militare in aviazione. All’annuncio dell’armistizio, l’8 settembre 1943, è all’aeroporto Natale Palli di Parma, dove in quei giorni si adopera per sottrarre quanti più avieri possibile all’internamento in Germania.

Nel 1945, viene scelto come predicatore domenicale a Radio Venezia. Nel 1949 è direttore del settimanale diocesano «La Voce di San Marco» e redattore della pagina veneziana dell’«Avvenire d’Italia». È iscritto all’albo dei giornalisti dal 1950.

Per oltre un decennio è segretario particolare di Angelo Giuseppe Roncalli, cardinale patriarca di Venezia dal 1953 al 1958, anno in cui il 28 ottobre viene eletto vescovo di Roma con il nome di Giovanni XXIII. È al suo fianco durante l’esperienza veneziana e poi per tutto il Pontificato. Lo accompagna nelle visite e nelle celebrazioni, e soprattutto è diretto testimone della straordinaria intuizione di convocare il Concilio ecumenico Vaticano II, che il Papa annuncia a sorpresa nel 1959, guidandone poi la preparazione e la prima fase.

Alla morte di Roncalli, il 3 giugno 1963, il successore Paolo VI lo nomina perito conciliare, confermandolo inoltre nell’ufficio di prelato d’anticamera, e il 26 giugno 1967 lo sceglie come arcivescovo di Chieti-Vasto, conferendogli l’ordinazione episcopale il 16 luglio successivo, nella Basilica di San Pietro. È lo stesso Pontefice bresciano a nominarlo poi, il 25 settembre 1971, prelato di Loreto e delegato pontificio per il Santuario lauretano, assegnandogli la stessa sede titolare di Mesembria che fu dell’arcivescovo Roncalli dal 1934 al 1953.

Rinuncia all’ufficio pastorale il 10 dicembre 1988 e si ritira a Sotto il Monte, paese natale di Roncalli, dove si dedica a coltivarne la memoria e a promuovere la conoscenza della sua figura e della sua opera. Ne cura la pubblicazione degli scritti principali: "Il Giornale dell’anima"; la trilogia "Questo è il mistero della mia vita", "Giovanni XXIII, un santo della mia parrocchia" e "Mi chiamerò Giovanni"; le raccolte "Lettere ai familiari" e "Lettere 1958-1963". È autore anche di numerosi volumi sulla vita e le opere del Pontefice bergamasco, ai quali si aggiungono centinaia di opuscoli e di articoli apparsi in quotidiani, settimanali e riviste. Per questa opera riceve numerosi riconoscimenti.

Papa Francesco lo crea cardinale nel Concistoro del 22 febbraio 2014, del Titolo di Santa Maria in Trastevere. A causa dell'età non è presente al Concistoro nella Basilica Vaticana, ricevendo la berretta e l'anello cardinalizio sabato 1° marzo 2014, a Sotto il Monte, dall'inviato di Papa Francesco, il cardinale decano Angelo Sodano.

Con la sua morte, il Collegio Cardinalizio risulta composto da 213 cardinali di cui 114 elettori e 99 non elettori.

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Francesco: Gesù si dona a noi nell'Eucaristia per sostenere la nostra vita

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In Vaticano oggi si festeggia la Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, che in Italia e in altri Paesi sarà celebrata domenica prossima. Papa Francesco presiederà la Messa alle 19.00 sul sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano. Subito dopo si svolgerà la Processione eucaristica che, percorrendo via Merulana, raggiungerà la Basilica di Santa Maria Maggiore. Il servizio di Sergio Centofanti

“Gesù si dona a noi nell’Eucaristia, offre se stesso come cibo spirituale che sostiene la nostra vita”: lo scrive il Papa in un tweet pubblicato alle 13.00 sull’account @Pontifex in nove lingue. Alla liturgia del Corpus Domini potranno partecipare quest’anno anche i tanti pellegrini presenti a Roma per il Giubileo della Misericordia. Ieri, al termine dell’udienza generale, l’invito del Papa:

“Invito romani e pellegrini a partecipare a questo solenne atto pubblico di fede e di amore a Gesù realmente presente nell’Eucaristia”.

Nell’omelia dell’anno scorso il Papa ha affermato che l‘Eucaristia è “vincolo di comunione” e non permette di disgregarci laddove c’è la tentazione di non vivere la fraternità o di gareggiare per occupare i primi posti o quando non troviamo il coraggio di testimoniare la carità e offrire la speranza:

“Il Cristo presente in mezzo a noi, nel segno del pane e del vino, esige che la forza dell’amore superi ogni lacerazione e al tempo stesso che diventi comunione con il povero, sostegno per il debole, attenzione fraterna a quanti fanno fatica a sostenere il peso della vita quotidiana. E sono in pericolo di fede”. (Omelia per il Corpus Domini, 4 giugno 2015)

La Festa del Corpus Domini è stata istituita da Papa Urbano IV nel 1264, in seguito al miracolo di Bolsena: era il 1263 quando un prete boemo, in pellegrinaggio verso Roma, si fermò a celebrare la Messa in questa cittadina laziale. Turbato dai dubbi sulla presenza reale di Gesù nell’Eucaristia chiese un segno: improvvisamente alcune gocce di sangue sgorgarono dall’Ostia consacrata bagnando il corporale, che ancora oggi è conservato nel Duomo di Orvieto.

Come ogni anno la Processione si concluderà con il canto del Tantum ergo e la Benedizione eucaristica impartita dal Papa.

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Papa ai cattolici tedeschi: non conta il successo ma l'attenzione all'altro

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Si è aperta ieri a Lipsia, in Germania la 100.ma edizione del Katholikentag, ovvero la “Giornata dei cattolici tedeschi”. SI concluderà domenica prossima. Ai partecipanti Papa Francesco ha inviato un messaggio in cui esprime apprezzamento per l’iniziativa: “Voi - scrive - avete buoni rapporti con i cristiani delle altre confessioni e date un’autentica testimonianza di Cristo con il vostro impegno concreto a favore dei più deboli e bisognosi”. Il servizio di Adriana Masotti

Motto della Giornata organizzata dal Comitato centrale dei cattolici tedeschi a cadenza biennale è quest’anno : “Ecco l’uomo”. Un motto che, scrive Francesco nel suo messaggio, mostra in modo molto bello ciò che conta:

“Non è il fare o il successo esteriore che conta, ma la capacità di fermarsi, di volgere lo sguardo, di essere attenti verso l’altro e di offrirgli quello che gli manca veramente”.

Ogni persona - continua il Papa - desidera la pace, ha bisogno di una convivenza pacifica, ma ciò può crescere solo quando cerchiamo anche la pace interiore nel nostro cuore. E - osserva - “molte persone vivono in fretta costante” travolgendo tutto ciò che li circonda. Occorre, al contrario, suggerisce, dedicare più tempo per recuperare l’armonia con il mondo e, attraverso la preghiera, “aggiungere sempre più familiarità” con il Creatore:

“E’ questa familiarità con Dio che anima pure la nostra misericordia. Come ama il Padre così amano i figli. Come è misericordioso Lui, così anche noi siamo chiamati ad essere misericordiosi gli uni verso gli altri” .

“Ecco l’uomo” ripete Francesco: tante volte incontriamo nella società l’uomo maltrattato e ne fa degli esempi:

“Vediamo come gli altri giudicano il valore della sua vita e lo sollecitano, nella vecchiaia e nella malattia, a morire presto. Vediamo come gli uomini vengano umiliati, sbattuti qua e là e privati della loro dignità, perché non hanno lavoro o sono profughi”.

L’auspicio di Francesco è che quanti sono radunati a Lipsia e tutti i fedeli in Germania “diano sempre più spazio nella vita alla voce dei poveri e degli oppressi” sostenendosi a vicenda e condividendo esperienze e idee. Imploriamo lo Spirito Santo, conclude, “affinché ci dia il coraggio e la forza di essere testimoni di quella speranza che è Dio per l’umanità intera”.

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Al via il Giubileo dei diaconi: domenica la Messa con il Papa

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A partire da domani diaconi di tutto il mondo parteciperanno al Giubileo a loro dedicato in occasione dell’Anno Santo della Misericordia. Domenica saranno presenti in Piazza San Pietro alla Messa presieduta da Papa Francesco. Ascoltiamo al microfono di Luca Collodi la testimonianza di un diacono, Giovanni Pennacchio, sposato, ha 4 figli, è diventato nonno e svolge il suo ministero nella parrocchia romana di Santa Galla: 

R. – Quest'Anno Santo è importante per tutta la Chiesa e in particolar modo per noi diaconi: questo cammino della Misericordia io l’ho trovato fin dall’inizio. Quando fui ordinato diacono, nel 1984, mons. Brandolini – che allora era l’uomo carismatico del diaconato a Roma – ha sempre parlato della carità, della testimonianza della carità verso gli ultimi, i poveri, i malati, gli emarginati … Per cui questo Giubileo è proprio un farci prendere atto di questo cammino nella Chiesa, nel servizio, e ci dà una forza nuova perché possiamo ancora di più uscire dalle chiese perché la Chiesa sia sempre più aperta …

D. – Perché “diacono” e non “prete”?

R. – Perché la mia parrocchia ha fatto un discernimento e mi ha inviato al diaconato. Allora, qui c’è la volontà di Dio: io non volevo diventare niente, mi bastava essere buon cristiano e padre di famiglia, sposo e padre di famiglia. La Chiesa mi ha fatto iniziare questo cammino e la Chiesa mi ha confermato nella vocazione con l’ordinazione.

D. – L’annuncio del Vangelo segue poi la testimonianza per le strade …

R. – Una frase mi restò molto impressa, all’inizio della mia formazione al diaconato: il diaconato è il ministero con la più vasta gamma di ambiti di servizio. Cioè, il diacono è sempre diacono, in parrocchia, in diocesi, in casa, nel condominio, sul posto di lavoro … sempre. E, soprattutto, il tempo non è più suo perché se io esco dal mio servizio in parrocchia e incontro una persona che ha bisogno di parlare, io non guardo l’orologio, perché se io guardo l’orologio quella persona pensa che io non abbia tempo; invece, il tempo è di Dio e Dio mi dà questo tempo per testimoniare la carità.

D. – Cosa fa, un diacono?

R. – Noi mettiamo molto l’accento sull’ “essere” diacono. Io dico: chi “è” diacono fa tutto, ma chi “fa” il diacono non fa nulla. Essere diacono significa questo. E’ un uomo di comunione, innanzitutto, e l’uomo di comunione non guarda ai propri interessi, ma guarda al bene della comunità; non si schiera: è per tutti. Io ricordo una espressione bellissima di un documento dei nostri vescovi italiani che risale al 1983, il giorno di Pentecoste fu pubblicato: “Eucaristia, comunione e comunità”, e dice questo: sull’altare, Cristo si fa pane spezzato per noi perché noi diventiamo pane spezzato per il mondo. Questo è il diacono.

D. – Lei come vivrà questo Giubileo dei diaconi?

R. – Prego perché riesca bene e prego perché da questo Giubileo nasca non dico un rinnovamento, ma un rifiorire e del diaconato e delle vocazioni al diaconato; perché il Signore ci dia questa grande grazia di altre vocazioni, numerose vocazioni. Perché essere diacono è bello e la stola non pesa: la stola è un motivo di gioia ed è un motivo di gioia perché la nostra stola non si porta intorno alla vita, si porta a banda; e questo sta a indicare che il Signore ci vuole curvi sulle debolezze dell’uomo di oggi, anche sulle nostre; ci vuole curvi perché questo è il  senso del diaconato. La carità ci fa essere curvi verso gli uomini.

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Lombardi: accuse di Chaouqui contro Becciu calunniose e inaccettabili

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Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha rilasciato la seguente dichiarazione a proposito di alcune affermazioni di Francesca Immacolata Chaouqui nei confronti del Sostituto della Segreteria di Stato, mons. Angelo Giovanni Becciu, rilasciate durante il processo in corso in Vaticano per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati:

“In occasione dell’ultima Udienza del processo in corso in Vaticano per la pubblicazione di documenti riservati (24 maggio), la Dott.ssa Francesca Immacolata Chaouqui ha fatto alcune dichiarazioni, delle quali la stampa ha dato notizia, in cui ha mosso gravi accuse alla persona del Sostituto della Segreteria di Stato di aver agito scorrettamente nei suoi confronti. Tali accuse, dopo l’Udienza, sono state ripetute in modo anche più grave e diffuse via Facebook dalla stessa imputata. Diventa perciò necessario – senza voler in alcun modo condizionare l’azione del Tribunale – smentire nel modo più netto tali accuse e far presente che, trattandosi di affermazioni calunniose, sono assolutamente inaccettabili e passibili di querela”.

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In Vaticano dalla Calabria il Treno dei bambini "Portati dalle onde"

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“Portati dalle onde” è lo slogan significativo della quarta edizione del ‘Treno dei bambini’, l’iniziativa del Cortile dei Gentili, struttura del Pontificio Consiglio della Cultura, realizzata in collaborazione con le Ferrovie dello Stato italiane. Sabato 28 maggio, 400 bambini provenienti dalle scuole della Calabria, terra dove si vive quotidianamente l'accoglienza dei migranti, arriveranno con un “Frecciargento” alla Stazione vaticana per poi incontrare il Papa alle 12. Al microfono di Fabio Colagrande, padre Laurent Mazas, direttore esecutivo del Cortile dei Gentili: 

R. – Ogni anno proviamo a ritrovare bambini che vivono una situazione un po’ particolare. Per esempio, l’anno scorso erano bambini figli di carcerati. Quest’anno abbiamo voluto pensare a tutti questi bambini che fuggono dalla loro casa, che sono migranti, che chiedono accoglienza e che vengono accolti da bambini italiani: dunque c’è un misto tra bambini stranieri e bambini italiani con cui hanno fatto amicizia. I luoghi dell’accoglienza sono prima di tutto la scuola, poi lo sport e la musica. Per questo ci sarà anche un’orchestra.

D. – Perché la scelta della Calabria?

R. – Le Ferrovie dello Stato mi danno ogni anno un treno che devo far partire da dove voglio, ma che deve fare andata e ritorno in giornata: la Calabria è un posto abbastanza lontano e poi, purtroppo, tutti sanno che è il posto dove arrivano i barconi: la Sicilia o la Calabria …

D. – E la scelta delle scuole come è avvenuta?

R. – Abbiamo trovato questa preside eccezionale, che ci è stata consigliata dal Miur, dal Ministero; poi abbiamo visto come abbia approfittato dell’evento per sviluppare tutta una pedagogia con i bambini. Io l’ho visto perché sono stato accolto in una piccola scuola elementare: hanno fatto due canti sul tema – “Portati dalle onde” e “Siamo tutti fratelli” – una cosa incredibile. Dunque, si è mossa tutta la scuola e tutti, anche i bambini che non potranno venire sabato, sono coinvolti e hanno riflettuto tanto sulla tematica.

D. – Quest’anno i bambini che arrivano in treno in Vaticano saranno accolti da loro coetanei che in questo caso sono bambini dell’orchestra infantile “Quattro canti” di Palermo e dall’Associazione “Sport senza frontiere” …

R. – E' una bella associazione che va a prendere i bambini in alcuni quartieri di Roma e li inserisce nelle società sportive: questi bambini non avrebbero mezzi per praticare lo sport; allora l’associazione li accoglie e offre loro un’occasione di inserimento sociale.

D. – Anche quest’anno Papa Francesco accoglierà i bambini che arriveranno in treno in Vaticano. Il Papa è contento di partecipare a questa iniziativa...

R. – Sì, sì: io ricordo l’ultima volta che ne ho parlato con lui: “Santo Padre, facciamo ancora il treno?” – “Ma sì, mi piace, mi piace!”: me l’ha detto due volte … Dunque, credo che sia sempre un momento di grande tenerezza!

Tra le scuole che partecipano al Treno dei bambini c'è anche l'istituto comprensivo Amerigo Vespucci di Vibo Marina, provincia di Vibo Valentia. Fabio Colagrande ha chiesto alla preside, Maria Salvia, con che spirito abbia aderito all'iniziativa: 

R. – Quello di incontrare una grande persona, un grande uomo che è il nostro Papa Francesco, che sta "dettando" le regole della nuova scuola, della nuova pedagogia. Per cui, ci sentiamo coinvolti, grati, veramente felici di andare – tra le altre cose – in questo luogo che accoglie tutte le altre religioni. Tra i bambini che verranno da Papa Francesco ci sono molti bambini di religioni diverse, però vengono: perché questo Papa è un Papa che accoglie veramente. Per cui si sentono tutti a casa propria.

D. – La vostra scuola vive l’esperienza dell’accoglienza dei migranti? In che modo?

R. – Sì: Vibo Marina è stato luogo di sbarchi fino all’anno scorso: ne arrivavano anche 800 a distanza di 15 giorni. Ma al di là di questo, quelli che restano poi fanno parte pienamente del mondo della scuola: lì l’integrazione è vera, non è un’integrazione solo declamata. Per cui noi cerchiamo di insegnare ai nostri alunni che stare insieme ha un significato molto forte, dev’essere costruito e noi cerchiamo di costruirlo insieme a loro, perché ci rendiamo conto delle difficoltà di questa società che ormai sta prendendo un’altra direzione e a noi, chiaramente, non sta bene: alla scuola italiana, specialmente, non sta bene …

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Oggi in Primo Piano



Nuovo naufragio: decine di vittime. A Lampedusa la piccola Favour

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E’ ancora imprecisato, si parla di decine, il numero di vittime dell’ennesima sciagura nel canale di Sicilia, dove oggi si è rovesciato un barcone con un centinaio di persone a bordo. Le operazioni di salvataggio sono ancora in corso, mentre stamattina centinaia di migranti, tra loro molte donne e minori, sono sbarcati in vari porti siciliani. Sulla terra ferma sono state portate anche le cinque vittime del naufragio di ieri, a largo delle coste libiche, dove, solo grazie al pronto intervento della marina militare e della guardia costiera italiane, che hanno tratto in salvo oltre 500 persone, si è evitata una ben più grave tragedia. Diciassette gli scafisti fermati, a Palermo, in massima parte senegalesi e gambiani. Oggi però i riflettori sono puntati soprattutto sulla piccola Favour. Francesca Sabatinelli: 

Ha nove mesi e una faccetta curiosa Favour, viene dalla Nigeria ma da ieri, da subito dopo lo sbarco a Lampedusa, sembra essere diventata la figlioletta di tutti gli italiani, di chi si è commosso di fronte alla storia di questa bimba rimasta sola dopo la morte della mamma durante la navigazione. Nelle foto la si vede tra le braccia del suo provvisorio papà, del “papà dei disperati”, come si definisce lui stesso, Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, responsabile del poliambulatorio, che accoglie e assiste i migranti che sbarcano sull’isola, come quelli delle ultime ore.

R. – Adesso c’è tempo buono e di conseguenza ne arrivano di più. Sono sempre della fascia subsahariana e noi siamo là: sempre ad accoglierli, ad aspettarli, come è successo ieri, per esempio. Ieri ne sono arrivati circa 150, con la prima motovedetta della Capitaneria di porto, sono arrivate le signore ustionate e stavano veramente male. Ce n’erano parecchie che erano gravemente ustionate: ustioni chimiche, da carburante, “il male dei gommoni” io lo chiamo, “la malattia dei gommoni”, perché questo si verifica solo con i gommoni. E’ dovuta al carburante che utilizzano per rabboccare le taniche, si bagnano i vestiti e quello determina queste gravi ustioni che a volte sono pure mortali, cosa che è successo con la bambina (Favour ndr) che ho qua davanti, la cui mamma è morta ustionata. Questa bambina l’hanno presa in custodia le donne che sono arrivate e poi l’ho presa io, quando è arrivata, l’ho portata al poliambulatorio; l’abbiamo visitata, rifocillata, le abbiamo dato da mangiare … E’ bellissima … E poi l’ho portata qua al Centro di accoglienza, e oggi verrà qualcuno del Tribunale, della Prefettura per prenderla e portarla in una struttura buona dove possono accudirla. E mi creda, è da ieri che ho ricevuto centinaia, se non migliaia, di telefonate di gente buona che vuole adottarla, perché è veramente una bambina bellissima, ma non solo: certamente ha una storia molto toccante …

D. – Ce ne sono tanti, di minori non accompagnati?

R. – Ce ne sono tanti, e certamente non di questa età, sono ragazzini che vanno dai 10 ai 15, 16, 17 anni che vengono da soli. Partono perché non possono stare più nei loro Paesi perché rischiano di morire, vengono mandati dai loro genitori, primo per salvarli e poi anche in cerca di un futuro migliore. Magari, riescono a guadagnare qualcosa e mandarlo alle loro famiglie.

D. – Il tempo e il mare permettono gli arrivi, ma lei nota qualcosa anche a causa della chiusura della rotta dei Balcani?

R. – Assolutamente no, perché ad oggi di siriani non ne stanno arrivando, perché da quella parte arrivavano i siriani, come prima arrivavano a Lampedusa. Poi si è aperta questa rotta dei Balcani e sono andati di là, e a Lampedusa non ne sono arrivati più. Però, adesso dalla chiusura certamente ancora sono lontani, può darsi che li avremo, in un prossimo futuro. Ma ad oggi abbiamo sempre queste persone che vengono dalla fascia subsahariana, quindi abbiamo eritrei, somali, dal Mali, Senegal, Costa d’Avorio, Benin, Nigeria, Niger … tutte persone che vengono da quella zona. Però, ora certamente potrebbe esserci la possibilità che arrivino di nuovo i siriani, perché da qualche parte devono passare queste persone. Anche se qualcuno ha deciso di isolarli in Turchia, con quell’atto un po’ scellerato, credo … Questo non depone bene per l’immagine di un’Europa che potrebbe essere un po’ più accogliente. Io mi auguro che attraverso questo incontro internazionale o G7, come lo vuole chiamare, si prendano dei provvedimenti che non sono, ovviamente, né radicali né risolutivi, ma quantomeno possano evitare che questa gente, in questo ultimo tratto di mare che sono costretti a superare, ancora muoia. E lei sa benissimo quanti ne muoiono e quanti naufragi abbiamo avuto, fino a ieri, no? Che se decidessimo di andarli a prendere direttamente sulla terraferma, quantomeno eviteremmo sofferenze e tragedie.

D. – Lei sta dicendo che i corridoi umanitari sono l’unica risposta?

R. – Ma sicuro! Almeno è quella che quantomeno evita di farli morire: quantomeno. Poi, se vogliamo affrontare il problema più radicalmente, allora si dovrebbero creare le condizioni nei loro Paesi in modo tale che queste persone non partano, rimangano a casa loro … Insomma, sono tutte cose trite e ritrite ma sicuramente dobbiamo pensarla anche egoisticamente, perché io penso che queste persone che arrivano veramente siano una risorsa: non per modo di dire. Potrebbero essere un’opportunità, in considerazione del fatto che sia l'Italia, ma anche tutta l’Europa, sono ormai vecchi e che se continua così andremo a finire male. Quindi, queste persone veramente potrebbero essere il nostro futuro.

E nell’attesa che si trovi una famiglia che possa amare Favour, Pietro Bartolo ne ha chiesto l’affido.

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G7 in Giappone per rilanciare l’economia mondiale

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Il rilancio dell’economia globale, la lotta al terrorismo e la crisi migratoria. Sono questi alcuni dei temi che orientano i lavori del vertice del G7,  apertosi stamani in Giappone. Al summit partecipano oltre ai leader di Stati Uniti, Canada, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Francia e Italia anche due rappresentanti dell’Unione Europea: il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

La cerimonia di aperura si è tenuta nel santuario scintoista di Ise-Yingu, considerato uno dei luoghi sacri del Giappone e simbolo dell’età imperiale. “La comunità internazionale - ha detto il primo ministro giapponese Shinzo Abe - dovrà fronteggiare numerose sfide”, tra cui il rallentamento della crescita mondiale, il terrorismo, la questione dei i rifugiati. “Sfide – ha aggiunto - che minacciano la pace e la stabilità” nel mondo intero. Nella prima sessione di lavori, il vertice si concentra soprattutto su due modelli economici contrapposti per archiviare 8 anni di crisi e dare nuove risposte alla debole ripresa e alla domanda mondiale in stallo.

Austerity contro  riforme
Francia e Gran Bretagna continuano a sostenere misure di austerity per contenere la crescita del debito pubblico. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, sollecita in particolare tagli alla spesa pubblica. Il premier britannico David Cameron, in vista del referendum del prossimo 23 giugno sull'uscita della Gran Bretagna dall'Europa, non vuole appesantire i conti del proprio Paese. Gli altri 5 Stati del G7 pensano, invece, di rilanciare l’economia mondiale con politiche monetarie e riforme strutturali.

Trattative sul Ttip
Il summit è anche l’occasione per nuove trattative sul Ttip, il trattato di partneriato per il commercio e gli investimenti, ovvero il trattato per il libero commercio tra Usa ed Europa. Il Presidente francese Francois Hollande intende ribadire a Barack Obama la sua opposizione in questa fase a proseguire nei negoziati. "Non possiamo accettare - ha detto recentemente Hollande - un libero scambio senza regole, che metta a repentaglio la nostra agricoltura e la nostra cultura".

Lotta al terrorismo
Durante il vertice sarà anche ribadito l’impegno internazionale contro il terrorismo anche alla luce di quanto emerso dal G7 dei ministri delle Finanze, tenutosi venerdì scorso a Sendai. In questa occasione è stato elaborato un documento sul contrasto al terrorismo puntando a limitarne le capacità di finanziamento. Contrastare l'estremismo violento e portare i responsabili davanti alla giustizia – hanno sottolineato i ministri delle Finanze – sono priorità per tutta la comunità internazionale.

Emergenza immigrazione
L’immigrazione è un altro dei temi centrali del G7. Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, richiede in particolare un piano comune per affrontare la crisi dei rifugiati seguendo il modello dell’Unione Europea. Tra le misure previste, un aumento dell’assistenza finanziaria. “Ci troviamo – ha detto Donald Tusk – di fronte ai numeri peggiori della Seconda guerra mondiale: quelli che ci criticano dovrebbero piuttosto pensare a come aiutarci perché ciò che l’Europa fa è già molto”.

Questione nordcoreana
Al centro del vertice anche la questione nordcoreana. La Corea del Nord – ha detto il Presidente americano Barack Obama - è “fonte viva di preoccupazione”. Il regime di Pyongyang ha condotto, a gennaio, un quarto test nucleare a cui sono seguite sanzioni internazionali ancora più rigide. Ora bisogna trovare - ha dichiarato durante un forum in Corea del Sud il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon – “un percorso per tornare al dialogo” con Pyongyang.

Dispute territoriali
All’ordine del giorno anche le rivendicazioni territoriali in Asia. Su questo tema si concentra in particolare l’attenzione della Cina che chiede al  G7 di non interferire sulle dispute nel Mar cinese meridionale. In questa area sono migliaia gli atolli rivendicati dalla Cina e da diversi Paesi tra cui Giappone, Vietnam e Filippine. In particolare, Tokyo e Pechino si contendono l'arcipelago Senkaku, un gruppo di isole disabitate ma circondate da acque con importanti riserve minerarie ed ittiche.

Leader mondiali “scossi” da Trump
Durante una conferenza stampa, il Presidente statunitense Barack Obama ha dichiarato, inoltre, che i leader mondiali sono "scossi" da Donald Trump. Il candidato presidenziale repubblicano sfoggia “ignoranza” e un "comportamento sprezzante", ha aggiunto Obama parlando della campagna presidenziale americana. Il capo della Casa Bianca ha sottolineato che i leader stranieri sono stupiti da Trump e non sanno quanto dare credito alle cose che dice.

Domani l’epilogo del G7 e la visita di Obama ad Hiroshima
Il vertice del G7 si chiuderà domani e i leader di Canada, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Francia e Italia lasceranno il Paese asiatico. Resterà invece il presidente americano Obama che si recherà ad Hiroshima, la città nipponica dove, alla fine della Seconda Guerra mondiale, è stata sganciata la prima bomba atomica. Alcuni sopravvissuti parteciperanno a questo storico evento. Obama ha già dichiarato che non porgerà scuse ufficiali al Giappone per quanto avvenuto nel 1945.

Nella prima sessione di lavori, il vertice si è concentrato, soprattutto, su due modelli economici contrapposti: l’austerity, sostenuta da Germania e Gran Bretagna, e il processo delle riforme, auspicato dagli altri 5 Stati del G7. Quale, tra i due modelli, è preferibile in questo attuale scenario economico? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto all’economista Giacomo Vaciago

R. – Ovviamente le riforme, che hanno idealmente costi economici, non fanno partire la crescita il giorno dopo. E quindi devono essere sostenute da una appropriata politica espansiva macro economica, soprattutto di quei Paesi come la Germania, che hanno un enorme avanzo sull’estero e quindi stanno risparmiando troppo, stanno rinviando la spesa. Quando succede all’interno di un’area molto integrata è come cercare di andare avanti con un automobile, a cui qualcuno ha tirato il freno a mano.

D. – Quali sono oggi le riforme strutturali più urgenti, per rilanciare l’economia mondiale?

R. – Quelle di modernizzazione dei Paesi, che consentano alle migliori tecnologie di raggiungere tutti i settori. Sostanzialmente in questi 20 anni abbiamo applicato le nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione soprattutto all’industria. L’enorme campo dei servizi, a maggior ragione quelli pubblici, è ancora fermo in molti casi al Medioevo: usano ancora  la penna e la carta e c’è ancora chi va agli sportelli bancari a fare le coda per fare un pagamento. Questa roba appartiene tutta al secolo scorso. Bisogna fare enormi passi avanti e guadagnare produttività perché nell’immediato si perdono posti di lavoro se non si favorisce la nuova occupazione.

D. – Sono anche ripartite le trattative sul trattato di libero commercio tra Usa ed Europa. Questa è una via importante oppure presenta delle possibili trappole?

R. – Va intrapresa con grande attenzione. In sé, tutto ciò che è favorevole agli scambi, in base alle relative convenienze, fa bene all’economia. Quindi un grande mercato che unisca l’Europa e gli Stati Uniti può, in linea di massima, far solo bene. Attenzione, però, a non regalare all’America i nostri punti di forza sotto costo e a non aprire in altre parole alla concorrenza americana, in alcuni settori, dove la nostra forza dipende anche da una legislazione favorevole. Queste trattative vanno fatte caso per caso, direi quasi prodotto per prodotto, per controllare che i costi e i benefici siano in pareggio o, meglio, che i benefici superino i costi.

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Scuole cristiane di Terra Santa: da Israele non arrivano fondi

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Il ministero israeliano dell'Istruzione "non ha tenuto fede all'accordo" e non ha versato alle scuole cristiane di Terra Santa la somma concordata. Era stato infatti promesso l’equivalente di circa 12 milioni di euro per quest'anno, ma finora "niente è stato onorato" e "siamo ormai a fine anno scolastico". Così mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale di Gerusalemme, che all'agenzia Asianews sottolinea come sia "evidente il rischio di chiusura" di tali scuole: si tratta di 47 istituti che accolgono circa 33 mila alunni cristiani, musulmani, drusi ed ebrei. Sul mancato versamento da parte del governo israeliano dei fondi necessari alla sopravvivenza degli istituti cristiani, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Gerusalemme padre Abdel Masih Fahim, segretario generale dell’Ufficio delle scuole cristiane, presso l’Assemblea dei vescovi di Terra Santa: 

R. – La ragione che loro danno è la burocrazia, ma questa non è una ragione valida per non versare alle 47 scuole la somma concordata, in base all’accordo che è stato firmato. L’ultimatum era il 31 marzo scorso e fino ad ora non hanno pagato neanche una parte di questa somma, che ammonta a 50 milioni di shekel.

D. – La situazione delle scuole in questo momento qual è?

R. – Abbiamo crisi finanziarie in tutte le nostre scuole, perché non prendiamo l’intera somma che ci spetta di diritto dal ministero dell’Educazione israeliano. Riceviamo soltanto il 34% al posto del 75%. La somma che è stata promessa doveva essere soltanto una soluzione per quest’anno. Inoltre, abbiamo anche fatto uno sconto del 25% ai genitori per aiutarli.

D. – Pensate che la posizione israeliana rimanga sulla proposta di inglobare le scuole cristiane al sistema scolastico pubblico?

R. – Vogliono questo, ma noi non possiamo permetterlo per molti motivi. Questo è un modo di confiscare le nostre scuole, perché uno dei punti è che loro avrebbero il diritto di usare gli istituti 24 ore al giorno, sulla base del parere del municipio: il sindaco di ogni città potrebbe usare la scuola quando e come vuole per scopi politici, sociali, per qualsiasi motivo volesse. Così si esproprierebbero i nostri istituti! Inoltre non potremmo mettere direttori o maestri secondo la spiritualità di ogni scuola, ma se venisse un insegnante qualsiasi, allora sarebbe come una scuola governativa.

D. – Che tipo di istruzione fornite e a chi?

R. – Le nostre scuole sono frequentate per quasi il 55% da cristiani; gli altri sono musulmani; ci sono poi alcuni drusi e alcuni ebrei. Loro vedono bene le nostre scuole, tutti vogliono venire nei nostri istituti sia per il nostro livello di etica sia di insegnamento.

D. – Qual'è il vostro appello al ministero dell’Istruzione israeliano?

R. – Invece di causare impedimenti alle nostre scuole cristiane, chiediamo di essere trattati allo stesso modo degli altri, perché ci sono istituti che prendono il 100% e che hanno più diritti di noi. Noi chiediamo uguaglianza del sistema educativo degli studenti, uguaglianza per quanto riguarda i diritti dei maestri, uguaglianza di trattamento per le nostre scuole e rispetto della nostra identità.

D. – In tale situazione, ci sono rischi per il prossimo anno scolastico?

R. – Le nostre scuole sono in Terra Santa da più di 400 anni. Abbiamo passato molte crisi ma le abbiamo sempre superate. Le crisi non ci fanno chiudere le scuole! E noi crediamo di poter risolvere queste crisi e avere la libertà di insegnare.

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Francia. Riforma lavoro: sale protesta e Valls apre a modifiche

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Il ritiro della riforma del lavoro “non è possibile” ma “possiamo sempre apportare delle modifiche, dei miglioramenti”: così stamane il premier francese Manuel Valls, all’ottavo giorno di mobilitazione dei sindacati contro la nuova legislazione che - sostengono gli oppositori - penalizza i  lavoratori e non rilancia l’occupazione. La protesta sociale è dilagata a fine aprile e sta paralizzando il Paese in settori strategici come l’energia, prima le raffinerie, poi le centrali nucleari, mentre incombe lo sciopero dal 31 maggio nelle ferrovie e dal 3 giugno nell’aviazione civile. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Jean-Pierre Darnis, esperto dell’Istituto Affari Internazionali (Iai): 

D. – Professor Darnis, il governo di Parigi sta forse cedendo alle pressioni del popolo? Secondo un sondaggio, sette francesi su dieci sarebbero favorevoli al ritiro di questa riforma sul lavoro …

R. – Parlare di popolo è davvero un po’ esagerato: abbiamo un sindacato, che è la Cgt (Confédération générale du travail), equivalente un po’ alla Cgil italiana, che sta bloccando due cose: le raffinerie e stanno iniziando degli scioperi nelle centrali nucleari. Le mobilitazioni, fino a questo punto, non erano mobilitazioni di massa, però di fatto c’è un sindacato che ha delle roccaforti e che sta provando a fare un braccio di ferro con il governo.

D. – I punti più contestati sono la preminenza degli accordi aziendali rispetto alla contrattazione collettiva su ferie e orario di lavoro in particolare - e Valls finora ha escluso di ritoccare questo articolo 2 - e poi, gli straordinari ribassati del 10% rispetto alla paga ordinaria. Questi sono sicuramente provvedimenti impopolari …

R. - Sono stupito perché questa riforma è molto meno incisiva del jobs act italiano. Ovviamente in Francia, in un Paese dove abbiamo categorie ultra-protette, abbiamo la tendenza a voler mantenere delle tutele estremamente forti su alcuni punti. Però, la posta in gioco non è l’articolo 2 o l’articolo x: c’è certamente una volontà politica da parte di questo sindacato, la Cgt, di smarcarsi dal governo e di apparire come un sindacato ‘duro’. Lì, però, c’è da interrogarsi: nelle prossime presidenziali chi potrà vincere? E a chi gioverà questo tipo di operazioni? Allora, il governo dice che se non riesce a riformare e cercare la crescita, questo alimenta gli estremi e in particolare alimenterà l’estrema destra a tendenza populista nazionalista, rappresentata dal Front national; l’ultra-sinistra che è fuori dal governo e anche alcuni oppositori tra i socialisti, dicono: “No, dobbiamo essere noi gli alfieri di una volontà sociale di conservazione di diritti acquisiti e di difesa delle categorie, di queste categorie”. E’ un dibattito in corso e certamente si scontrano alcune visioni diverse della società francese.

D. – Questa riforma – come ha sottolineato anche lei – ricorda da vicino quella italiana, quindi viene da pensare che nel campo del lavoro si sta giocando una partita importante in Europa, forse però a danno di diritti acquisiti: forse erano diritti acquisiti ingiustamente o meno, però questa è una realtà di fatto …

R.- Certo. Come è una realtà di fatto che fino a poco tempo fa quelli che guidavano i treni andavano in pensione a 50 anni perché si era creato un regime che corrispondeva ai treni a carbone; però, i treni a carbone non ci sono più! Cioè, il mondo di oggi è diverso, l’aspettativa di vita è diversa, le condizioni della medicina sono diverse: sono tutta una serie di cose che hanno un effetto diretto, ad esempio, sulle pensioni. Non si può guardare al mondo di oggi con gli occhi di chi è uscito dal dopoguerra, con un lavoro fortemente industriale degli anni Cinquanta-Sessanta e che richiedeva una tutela di tipo particolare. Nelle nostre Carte fondamentali, i diritti dell’uomo non si rispecchiano nei regimi pensionistici o nei trattamenti che riguardino le ferie o gli straordinari …

D. – Bisognerà quindi che comunque questi nuovi scenari lavorativi siano poi trasferiti e assimilati anche a livello di cultura sindacale perché abbiano riflesso sui lavoratori …

R. – Ma, sa, la Francia da questo punto di vista – e pochi in Italia se ne rendono conto – è molto più conservatrice di quanto lo sia l’Italia. La sinistra francese, tradizionalmente è una sinistra di impiegati pubblici: questo porta il principale partito di sinistra a non avere dimestichezza con le logiche di produzione, le logiche aziendali e via dicendo. E qui c’è da interrogarsi, perché comunque gli estremismi crescono sul lato dell’insoddisfazione; se non si riesce a ritrovare alcuni cammini verso la crescita e quindi verso un’occupazione maggiore, anche dei giovani, questo farà soltanto il gioco degli estremisti. Però, la sinistra deve interrogarsi su dove strategicamente vuole andare a parare, anche perché anche lì abbiamo una attesa molto particolare, che sono le presidenziali francesi, l’anno prossimo, e che già vedono un segnale preoccupante – secondo il mio parere – nel quale la leader del Front national probabilmente supererà con facilità il primo turno. Insomma, dobbiamo guardare lontano per cercare un riformismo di una società che possa essere democratica e con un diffuso benessere sociale.

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India: Corte Suprema dà il via libera a ritorno del marò Girone in Italia

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La Corte Suprema di Nuova Delhi ha stabilito di rendere esecutivo l'ordine del Tribunale dell'Aja di far rientrare in Italia il fuciliere di marina Salvatore Girone per tutta la durata del procedimento arbitrale. Il premier Renzi in un tweet ha auspicato la sua presenza per la festa della Repubblica del 2 giugno. Il militare è atteso, dunque, dalla sua famiglia nei prossimi giorni. Sulla possibile nuova fase nei rapporti diplomatici tra India e Italia, Daniele Gargagliano ha intervistato Matteo Miavaldi, caporedattore del sito di informazione China-files. 

R. – La Corte Suprema indiana ha dato effetto alle direttive di una precedente sentenza del Tribunale arbitrale dell’Aja, nella quale si affermava che dovevano essere le autorità indiane a decidere quali fossero i termini per permettere al marò Salvatore Girone di fare ritorno in Italia fino al termine dell’arbitrato internazionale: un tempo stimato tra i due e i tre anni. Stamattina sono arrivate le quattro condizioni: in sostanza Girone dovrebbe ritornare in Italia tra pochi giorni. E questo era l’obiettivo primario di tutta la diplomazia condotta rispetto a questo caso.

D. – E intanto si chiede un impegno scritto da parte dell’Italia per assicurare il rispetto dei tempi…

R. – Sì, viene richiesto un cosiddetto “affidavit” da parte dell’ambasciatore italiano a Nuova Delhi; e un altro che dovrebbe sottoscrivere lo steso Girone impegnandosi a tornare, qualora l’arbitrato internazionale dia la giurisdizione del caso all’India. E poi ci sono due disposizioni di controllo: la prima è che Girone, una volta in Italia, dovrà fare rapporto alla polizia locale; rapporto che dovrà essere a sua volta mandato dalle autorità italiane a quelle indiane per tenere sotto controllo la situazione. Ovviamente Girone non potrà uscire dall’Italia. Soprattutto, la parte della sentenza che penso sia interessante è che Girone dovrebbe cercare di non influenzare i testimoni del caso, una volta in Italia, e di non maneggiare le prove. Si tratta di disposizioni abbastanza vaghe, ma la Corte Suprema tende in qualche modo a tutelarsi.

D. – La decisione della Corte di Nuova Delhi procede verso il disgelo dei rapporti tra India e Italia?

R. – Sì, decisamente. Bisogna anche calcolare che, almeno formalmente, per il governo indiano la questione dei marò è stata data a totale appannaggio del potere giuridico indiano, e non di quello politico. Quindi, ora che Girone tornerà e non sarà più in India, con La Torre che è già in Italia da oltre un anno, si spera che i rapporti bilaterali possano riprendere da un nuovo inizio. In ogni caso, si solleva un bel macigno dai rapporti bilaterali.

D. – Alla luce delle ultime elezioni locali in India, in cui il governatore che accusò i marò è stato sconfitto, emerge una linea di tendenza comune anche all’interno  dell’opinione pubblica indiana?

R. – Ritengo che l’esito delle ultime elezioni locali nel Kerala non abbia nulla a che fare con i marò, poiché nel Kerala ci sono 30 milioni di persone che hanno basato il proprio voto decisamente su altri elementi. La questione dei marò, infatti, a livello di opinione pubblica non interessa più nessuno; quindi le elezioni locali in questo caso non contano assolutamente nulla. L’obiettivo sia di Roma che di Nuova Delhi era quello di mettersi alle spalle questa situazione transitoria, con un militare italiano bloccato in India, e un processo di cui ancora non si sa nemmeno la data di partenza. Quindi, da questo punto di vista, le due diplomazie hanno operato molto bene. Da quando Girone rimetterà piede in Italia, la questione dei marò – probabilmente – sia a livello di opinione pubblica italiana che indiana, scomparirà.

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Riforma Terzo Settore è legge. Soddisfatto il mondo no profit

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Soddisfazione dal mondo del no profit per il via libera della Camera ieri, alla legge che regolamenta  il Terzo Settore e riforma il servizio civile rendendolo universale.  Apprezzamento viene espresso a partire dalla definizione di questa realtà  che, escludendo partiti e sindacati, riguarda esclusivamente il  “complesso di enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche e solidaristiche, in attuazione del principio di sussidiarietà”. Paolo Ondarza

Una legge attesa da tempo che finalmente fa chiarezza su cosa è Terzo Settore e cosa non lo è, commenta  Pietro Barbieri, portavoce del Forum del Terzo Settore:

R. – Noi la reclamiamo da 15 anni. Per fare un esempio molto chiaro, ad oggi noi abbiamo ancora i circoli del golf che percepiscono il 5 per Mille, ma non fondano il loro lavoro sulla solidarietà. Ecco, cominciamo a discriminare e a dire chiaro e tondo chi si impegna nelle periferie urbane, in quelle umane, che abbiamo nel nostro Paese, e chi invece costituisce un’organizzazione con un circolo di amici che decidono liberamente di giocare a golf o a bridge.

D. – Merito di questa riforma quindi è la definizione che si dà al terzo settore, proprio per evitare che si creino queste ambiguità…

R. – Esistono, in questo Paese, dei modi per evitare di chiedere le licenze per aprire un esercizio commerciale pubblico; uno di questi è fare il “circolo culturale”. Invece, il circolo culturale “vero” è quello che si trova a Scampia, e non un ristorante trasformato in circolo culturale.

D. – Il servizio civile diventa universale: questo che cosa vuol dire?

R. – Noi veniamo da una storia molto particolare. Negli anni ’70 il servizio militare era obbligatorio e chi voleva obiettare finiva in carcere. In seguito, abbiamo trasformato tutto questo in uno spazio di impegno civico volontario di giovani, con un minimo di rimborso. La prima questione che si poneva quindi era quella di fare in modo che tutti i giovani che lo vogliano fare, siano messi nelle condizioni di poterlo fare. Questo è un presupposto che vede sì la necessità di modifiche normative, ma soprattutto l’impegno, che sarà nella Legge di Stabilità, per finanziarlo. Perché è chiaro che la prima questione è avere le risorse adeguate per poterlo garantire.

D. – C’è un’importante apertura agli stranieri per includere questi giovani che vogliono dare un contributo alle comunità che li hanno accolti…

R. – Lei ha colto uno degli elementi emblematici, perché il fatto di riconoscere i giovani stranieri quali possibili attori del Servizio Civile al pari di quelli italiani, elimina l’idea che il Servizio Civile sia di natura assistenziale. Può avere caratteristiche di quel genere, ma in realtà è educazione alla cittadinanza attiva. Il secondo punto è che la stessa educazione alla cittadinanza attiva si può fare anche con le persone che spesso sono oggetto di assistenza. Quindi – come dire – il terzo settore è il luogo della parità tra cittadini.

D. – Nello specifico di questo argomento, come si concilia l’aspetto della gratuità, che è fondamentale, con l’esigenza di lavoro dei giovani?

R. – Il Servizio Civile ha due sfondi: uno è quello di avere una remunerazione minima, che non è equiparabile a quella di un contratto, ma è pur sempre un segnale importante. E poi c’è un altro aspetto molto importante: i crediti formativi. È chiaro che è un buon presupposto e un buon incentivo, ed è uno scambio – direi – sufficientemente equo tra l’impegno della persona giovane e la possibilità della sua crescita.

Si attendono ora i decreti attuativi che dovranno in particolare fugare le polemiche sulla Fondazione “Italia sociale”, definita il poltronificio di Renzi dai Cinque Stelle:  avrà il compito di attrarre finanziamenti privati, ma parte con un milione di fondi pubblici. Ancora Barbieri

R. – Quello che temiamo è che, un meccanismo oggi governato essenzialmente dalla libertà degli individui e dei soggetti – ovvero quello del donatore privato – di finanziare l’organizzazione sociale del “no profit” privata, possa diventare una mediazione pubblica. Se fosse stato introdotto prima l’emendamento relativo a questa fondazione, ci sarebbe stato modo di discuterlo meglio. È chiaro che su questo ci misureremo nella fase attuativa della norma.

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Confindustria: meno tasse sul lavoro, sì a referendum costituzionale

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“La nostra economia è ripartita, ma è una risalita modesta, deludente”. Oggi prima assemblea del neo presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, che ha chiesto di tagliare le tasse che gravano sul lavoro. Dal leader delle imprese è arrivata anche un’apertura al referendum costituzionale di ottobre. Alessandro Guarasci: 

Tasse troppo alte, burocrazia, un Sud sempre in difficoltà. Il sistema Italia oggi ha gli stessi di sempre e Boccia le enumera tutti. Il neo presidente di Confidustria ha la sua ricetta: rilancio della contrattazione aziendale legando il salario alla produttività, spostare il peso del fisco dal lavoro alle cose, ma anche un invito alle aziende ad osare di più e ad investire di più in innovazione. Solo così l’Italia potrà risalire la china di una ripresa definita “modesta”. Le riforme istituzionali in questa ottica vengono definite fondamentali, dal presidente Boccia:

“Confindustria si batte fin dal 2010 per superare il bicameralismo perfetto e riformare il titolo quinto della Costituzione. Con soddisfazione oggi vediamo che questo traguardo è a portata di mano”.

L’Europa deve giocare un nuovo ruolo, deve recuperare i suoi valori di accoglienza verso gli immigrati e qui Boccia cita il Papa. La Brexit è un grosso pericolo e la Ue non può essere solo rigore:

“Oggi, l’Europa ci appare fredda, astratta, capace soltanto di imporre sacrifici e rigore”.

Di Europa parla anche il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda:

“Al populismo non si può, dunque, rispondere che rafforzando la nostra capacità di reazione alle sfide globali. Per portare i nostri ideali nella realtà di un mondo più duro e difficile, occorrono una governance forte e politiche orientate al realismo”.

Commenti in genere positivi a Boccia. Per Camusso, leader della Cgil, invece “la relazione tra salario e produttività è una visione vecchia”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: il 30 maggio le religioni in preghiera per la pace

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Il Patriarcato caldeo invita i cristiani, i musulmani, i sabei e gli yazidi a pregare insieme per la pace in Iraq. La cerimonia interreligiosa che prevede preghiere ma anche la lettura di salmi e il canto di inni sacri, si svolgerà il 30 maggio nella chiesa dedicata alla Regina del Rosario a Baghdad e segnerà il termine del mese dedicato alla Vergine Maria. 

La preghiera sincera al Signore ci cambia dentro e ci dà la pace
A dare la notizia è il sito Baghdadhope - ripreso dall'agenzia Sir - che riporta le parole del Patriarca della Chiesa caldea, Mar Louis Raphael I Sako. Pregare per la pace in Iraq, spiega il patriarca, “è perché sono convinto che le soluzioni militari non siano quelle adatte a risolvere i conflitti visto che a pagare il prezzo più alto è la popolazione innocente. È la preghiera sincera al cospetto del Signore che ci cambia dentro e ci dà la pace, così come la visione di un progetto che miri a collaborare con tutti per il bene e per un mondo migliore”. 

La data del 30 maggio tra la fine del mese mariano e l'inizio del Ramadan
Il testo della preghiera, riporta Baghadhope, “è stato a lungo studiato affinché possa essere di aiuto e conforto a tutti”. La scelta del giorno di lunedì nasce dal fatto che, dice Mar Sako, “marca la vicinissima conclusione del mese mariano e per la vicinanza al mese sacro del digiuno per i musulmani. Proprio per questa ragione a parlare in chiesa non sarò solo io ma anche un capo religioso sunnita ed uno sciita”. 

Sako: spero che la preghiera possa portare anche dei risultati politici e civili
All’iniziativa hanno aderito tanti capi religiosi sciiti, sunniti, yazidi e mandei. Interverranno anche diplomatici mentre, rivela il Patriarca, “non sono stati invitati membri del governo per una ragione molto semplice: sono sempre accompagnati da troppe guardie e soldati. Certo la sicurezza in una città come Baghdad è necessaria ma vorremmo che almeno quel giorno si potesse respirare un’atmosfera di raccoglimento e pace”. (R.P.)

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Siria. Vescovo di Latakia: neanche qui siamo al sicuro

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"Mai in quest’area si erano verificati attacchi simili. Ed ora temo che molti cristiani rifugiatisi qui vorranno lasciare il paese". Così mons. Antoine Chbeir, vescovo maronita di Latakia in Siria, commenta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) i recenti attentati compiuti il 23 maggio dall'Isis in due città della sua diocesi: Tartus e Jableh. Il drammatico bilancio è di oltre 200 morti e più di 650 feriti, in un’area ritenuta tra le più sicure del Paese.

Rischio esodo in questa zona che era considerata sicura per i cristiani
"La nostra regione è controllata dal governo ed è stata quasi del tutto risparmiata da questi cinque anni di guerra. Ora che neanche qui si sentono protetti, altri cristiani se ne andranno". Dal 2011 ad oggi sono infatti numerose le famiglie cristiane siriane che hanno deciso di trasferirsi in questa zona costiera per non abbandonare il Paese. 

La situazione è drammatica
"Stiamo cercando di aiutare il più possibile i feriti e i familiari delle vittime, ma le necessità superano le nostre possibilità. La situazione è davvero drammatica". Il presule racconta che nella giornata di lunedì a Jableh 110 persone sono state uccise e 350 sono rimaste ferite a causa di cinque diverse esplosioni. Nello stesso giorno quattro ordigni sono esplosi a Tartus causando più di 100 vittime e 300 feriti. Gli attentati sono stati rivendicati dal sedicente Stato Islamico. "Sono dei barbari – afferma mons. Chberi – e ciò che è peggio è che compiono queste atrocità in nome di Dio. È in nome di Dio che stanno uccidendo migliaia di innocenti ovunque".

I timori di una nuova emergenza: mancano cibo e beni di prima necessità
Oltre ad un probabile aumento dell’esodo di cristiani, a preoccupare il presule è la necessità di dover far fronte ad una nuova emergenza, peraltro aggravata da una drammatica crisi economica. "La lira siriana ha perso il 40% del suo valore soltanto nelle ultime due settimane. Il governo non ha i mezzi per fornire cibo e beni di prima necessità agli sfollati e alle altre famiglie che ne hanno bisogno". Ecco perché mons. Chbeir si è rivolto nuovamente ad Acs: l’associazione che negli ultimi cinque anni più ha sostenuto la diocesi nell’assistenza ai rifugiati. "Senza di voi non ce l’avremo mai fatta e non potremo continuare la nostra opera. Grazie per esserci sempre accanto". (M.P.)

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Iraq. Save the Children: 50mila civili in trappola a Falluja

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Sono circa 50mila i civili ad essere costretti nella città irachena assediata di Falluja senza poter sfuggire, mentre è in corso una nuova offensiva militare intorno alla città. È fondamentale che vengano garantiti percorsi sicuri per permettere ai bambini e alle loro famiglie di fuggire. Questo l’allarme di Save the Children, mentre aspri combattimenti infuriano intorno alla città, ormai sotto assedio da cinque mesi. Posti di blocco militari e ordigni esplosivi improvvisati piazzati lungo le strade da gruppi armati, avverte l’organismo solidale ripreso dall'agenzia Sir, hanno impedito alla maggior parte dei civili di fuggire e i percorsi per portare rifornimenti alla città sono completamente interrotti dallo scorso gennaio, senza che alcun tipo di aiuto possa entrare all’interno. 

Esauriti cibo e medicinali
​I mercati hanno esaurito le forniture di cibo e le medicine stanno scarseggiando, esponendo i bambini malati e le persone più anziane a un forte rischio. Migliaia di bambini soffrono la mancanza del latte, che durante l’assedio ha raggiunto il prezzo di 50 dollari per una singola lattina di latte artificiale in polvere. Anche il prezzo di altri prodotti alimentari di base e del carburante è salito alle stelle. 

700 persone, tra cui 400 bambini, sono riusciti a fuggire dalla città
Sempre secondo i dati raccolti dall’Organizzazione, inoltre, fino a 700 persone, tra cui 400 bambini, sarebbero riuscite a fuggire dalla città nelle ultime ore. Nonostante ciò molte migliaia di persone restano intrappolate al suo interno. “Ora che le operazioni militari si stanno intensificando ulteriormente, è letteralmente questione di vita o di morte che i bambini e le loro famiglie possano uscire dalla città in un modo sicuro. Tutte le parti in conflitto devono garantire ai civili dei percorsi sicuri e le autorità devo assicurare ai bambini in fuga con le loro famiglie la protezione di cui hanno bisogno”. (R.P.)

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Terra Santa: 6 giugno ingresso a Gerusalemme del nuovo Custode

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Lunedì 6 giugno il nuovo Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, farà il suo ingresso solenne a Gerusalemme. A dare la notizia è la Custodia di Terra Santa che, in una nota ripresa dall’agenzia Sir, elenca le date anche dei successivi “ingressi solenni” nella Basilica del Santo Sepolcro (7 giugno), al Cenacolo (8 giugno), nella Basilica della Natività, a Betlemme (9 giugno), a Giaffa (11 giugno) e nella Basilica dell’Annunciazione, a Nazareth (18 giugno).

Tre cerimonie significative
Le cerimonie che segnano l’entrata in funzione del nuovo Custode sono tre: Gerusalemme, Santo Sepolcro e Betlemme. A Gerusalemme, secondo quanto rende noto la Custodia, l’ingresso solenne inizia dalla Porta di Giaffa in direzione del Convento San Salvatore, sede della Curia custodiale (Casa Madre). Il Custode uscente, insieme al Guardiano del Convento di San Salvatore e al Visitatore generale, accoglie il suo successore. Dopo che il Visitatore ha dato lettura del Decreto di nomina, il nuovo Custode presta giuramento e il suo predecessore gli consegna solennemente il Sigillo della Custodia sul quale è impresso: “Sigillum Guardiani Sacri Conventus Montis Sion”. Poi, ogni frate gli promette obbedienza.

7 giugno, ingresso al Santo Sepolcro
L’ingresso al Santo Sepolcro (7 giugno) vedrà il nuovo Custode muoversi dalla chiesa del Convento del Santissimo Salvatore. I frati si dirigono verso il Santo Sepolcro dove il nuovo Custode è accolto dai Superiori delle tre maggiori comunità residenti: greco-ortodossa, francescana e armena.

9 giugno, ingresso a Betlemme
L’ingresso a Betlemme (9 giugno) prevede la partenza da Gerusalemme, si percorre l’antico Cammino dei Patriarchi con le tradizionali soste al Convento Mar Elias, dove inizia l’agglomerato formato dai tre villaggi cristiani di Betlemme, Beit Sahour e Beit Jala; si prosegue alla tomba di Rachele e si giunge alla Basilica della Natività. Dopo esser stato accolto dal Guardiano francescano della comunità locale, il Custode entra dalla Porta detta “dell’umiltà” che immette nella navata della Chiesa giustinianea ed è accolto dai Superiori delle comunità greco ortodossa, francescana ed armena.

Un mandato della durata di sei anni
Poi i frati si dirigono verso la chiesa di Santa Caterina, parrocchia retta dai Francescani. Il primo mandato del Custode ha una durata di sei anni e può essere rinnovato, per altri tre anni ed, eccezionalmente, se postulato (qualora molti frati lo desiderino o il Governo generale lo ritenga opportuno), ancora per gli ultimi tre anni. (I.P.)

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Vescovi Messico: no a matrimonio gay nella Costituzione

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Dopo la presidenza della Conferenza episcopale messicana (Cem), anche la Commissione per la famiglia, i giovani, gli adolescenti, i laici e la vita prende posizione sul progetto del Presidente della Repubblica d’introdurre in Costituzione il cosiddetto “matrimonio egualitario” tra persone dello stesso sesso.

Un figlio deve essere amato ed educato da un padre e da una madre
Il documento - riferisce l'agenzia Sir - firmato dal presidente della Commissione, mons. Rodrigo Aguilar Martínez, vescovo di Tehuacán e da altri sei vescovi, parte da quanto riaffermato in proposito dai recenti Sinodi sulla famiglia e dall’esortazione Amoris laetitia, per poi aggiungere: “Come Pastori del popolo di Dio, in primo luogo responsabili dell’annuncio della buona notizia, esortiamo tutti i credenti in Gesù Cristo a mostrare la loro vocazione di discepoli missionari di Gesù Cristo, a essere e a fare famiglia, secondo il piano di Dio. E cioè una Chiesa domestica, un soggetto di evangelizzazione, che sappia proclamare e difendere con gioia e convinzione in ogni momento, occasione e luogo la verità sull’uomo, creato in modo complementare maschio e femmina, sul matrimonio, la famiglia e la vita. E che sappia accogliere il figlio come un dono e non un diritto”, riconoscendo il suo bisogno di essere amato ed educato da un padre e da una madre".

Non assistere come spettatori agli attacchi alla famiglia
Prosegue il documento: “I genitori vigilino perché nelle istituzioni, scuole, ospedali e Centri sanitari, Parlamento, istituzioni giudiziarie, mezzi di comunicazione, si rispetti il nostro diritto a credere, proclamare e vivere la nostra visione manifestata da Dio attraverso la verità rivelatrice di Cristo”. I credenti, scrive la Commissione ecclesiale, “sono anche cittadini e non possono assistere come spettatori” a quanto sta accadendo. (R.P.)

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Uganda: Marcia della fede e novena per celebrare i Martiri

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In vista della tradizionale celebrazione annuale al Santuario nazionale di Nyamugongo per ricordare i Santi Martiri dell’Uganda, la Conferenza episcopale ugandese (Uec) e la diocesi Kiyinda-Mityana, in collaborazione con il Ministero del turismo locale,  hanno organizzato domenica 22 maggio una speciale “Marcia della fede” lungo una tratta del nuovo “Sentiero dei Martiri”.

Una marcia per ripercorrere le tappe del viaggio verso la morte dei Martiri
Il sentiero parte dalla città di  Entebbe, dove arrivarono i primi Missionari d’Africa del cardinale Charles Lavigerie (Padri Bianchi) e termina al Santuario di Nyamugongo,  dove San Carlo  Lwanga e i suoi compagni furono fatti uccidere dall’allora re del Buganda Mwanga II. Insieme a loro, tra il 1885 e il 1887, furono trucidati decine di convertiti al cattolicesimo e all’anglicanesimo perseguitati per la loro fede. La marcia di domenica ha ripercorso alcune delle tappe del loro ultimo viaggio verso la morte, cominciando dal Santuario di Munyonyo - il luogo dove furono uccisi i primi tre cristiani - fino alla capitale Kampala, nella parrocchia dedicata a uno dei martiri, San Matia Mulumba. Qui i fedeli hanno partecipato a una Messa presieduta dal vescovo di Kiyinda-Mityana, mons. Joseph Anthony Zziwa. Sempre in preparazione alla celebrazione del 3 giugno, i vescovi ugandesi hanno indetto anche una speciale novena di preghiera che è iniziata ieri. Il motto scelto dalla Conferenza episcopale per la giornata di quest’anno è “La verità vi farà liberi”.

I Martiri ugandesi canonizzati da Paolo VI nel 1964
Carlo  Lwanga e i suoi compagni sono stati beatificati da Benedetto XV il 6 giugno 1920, mentre Paolo VI li ha canonizzati l’8 ottobre 1964. Lo scorso novembre, durante il suo viaggio apostolico in Africa, proprio a Namugongo, Papa Francesco ha sottolineato che l’eredità dei Martiri ugandesi è rappresentata da “vite contrassegnate dalla potenza dello Spirito Santo, vite che testimoniano anche ora il potere trasformante del Vangelo di Gesù Cristo. Non ci si appropria di questa eredità con un ricordo di circostanza o conservandola in un museo come fosse un gioiello prezioso. La onoriamo veramente, e onoriamo tutti i Santi, quando piuttosto portiamo la loro testimonianza a Cristo nelle nostre case e ai nostri vicini, sui posti di lavoro e nella società civile, sia che rimaniamo nelle nostre case, sia che ci rechiamo fino al più remoto angolo del mondo”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Senegal: vescovi preoccupati per scuola e rapporti con Gambia

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La crisi scolastica in Senegal preoccupa i vescovi, che la scorsa settimana, riuniti in Assemblea plenaria, hanno discusso della necessità di un’educazione di qualità per i giovani, ma anche di formazione nei seminari, riforma del processo canonico per le cause di nullità del matrimonio e problemi di attualità. Incontrando la stampa, i presuli hanno poi rivolto un appello alle autorità senegalesi e gambiane perché si trovi una soluzione all’impasse diplomatico-commerciale dovuta all’aumento delle tasse di transito stabilito unilateralmente dal governo di Banjul lo scorso febbraio. L’arcivescovo di Dakar, mons. Benjamin Ndiaye, presidente della Conferenza episcopale, ha incoraggiato i governi a proseguire il dialogo, in maniera franca e fraterna, tenendo conto dell’interesse nazionale.

I problemi transfrontalieri tra Senegal e Gambia
In questi mesi le tensioni tra Banjul e Dakar sono cresciute poiché gli autotrasportatori senegalesi si sono rifiutati di portare merci in Gambia, dovendo pagare, come tariffa per il transito dei loro mezzi, non più 4mila franchi Cfa ma 400mila franchi. Il Gambia divide in due il Senegal per due terzi e gli autotrasportatori senegalesi trovavano conveniente attraversarlo per portare merci da una parte all’altra del Paese. Ora, pur di non passare per la Transgambiana, i camion senegalesi percorrono una via più lunga per raggiungere la Casamance, passando per Tambacounda, Vélingara e Kolda e allungando di oltre 750 km. Il governo di Dakar, a sua volta, ha chiuso le frontiere provocando proteste da parte di commercianti, pendolari e attivisti per i diritti umani perché a causa del blocco dei trasporti, anche le merci destinate al Gambia, comprese le derrate alimentari, sono ferme. I vescovi del Senegal esortano le parti ad impegnarsi per una soluzione durevole.

La crisi scolastica
Nel corso della plenaria i presuli si sono soffermati a lungo sul problema dell’istruzione scolastica evidenziando che è necessaria per tutti una formazione che prepari ad un avvenire personale e a quello della nazione. “I vescovi si rammaricano per il persistente disagio, le tensioni e i conflitti nelle scuole e nelle università che attentano ai diritti degli studenti e dei giovani”, ha detto mons. Ndiaye, che ha invitato al senso di responsabilità, al rispetto per il bene comune e alla preoccupazione per l’interesse generale. I presuli, inoltre, hanno invitato insegnanti e governo a collaborare per una porre fine a tale crisi. 

Scuole cattoliche e Seminari
Circa l’insegnamento cattolico, malgrado le difficoltà, si registrano buoni risultati, mentre per i seminari è emersa la necessità di armonizzare i programmi di studio e di rispondere meglio alle grandi sfide della formazione sacerdotale. Alla plenaria sono stati poi presentati i membri del nuovo esecutivo del Consiglio nazionale del laicato, e proprio ai laici i vescovi hanno chiesto una presenza più responsabile e più attiva nella Chiesa e nella società. (A cura di Tiziana Campisi)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 147

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