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Sommario del 28/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Treno bambini. Papa: cristiano è chi fa il bene, aiutiamo i migranti

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Un commosso e commovente incontro con il dramma dell’immigrazione visto dal punto di vista dei bambini. È stato soprattutto questo il momento vissuto da Papa Francesco con i centinaia di giovanissimi di varie etnie e religioni giunti in Vaticano dalla Calabria con il “Treno dei bambini”, l’annuale iniziativa organizzata dal Pontificio Consiglio della Cultura, quest'anno con il titolo "Portati dalle onde". Il servizio di Alessandro De Carolis

“Buongiorno, Papa”, volevo chiederti “di pregare per la mia famiglia che è andata in cielo”, e “per i miei amici”, anche loro “sono andati in cielo”, “sono morti nell’acqua”. È Sayende, un ragazzino della Nigeria – carne di Cristo che ha già conosciuto la morte senza aver conosciuto la vita – a dare in due parole il senso della festa, perché questa vuole essere, portata in Vaticano dal “Treno dei bambini”.

Chi è diverso è nostro fratello
È un treno in cui il dolore del vissuto dei suoi piccoli passeggeri è una trama sulla quale si intreccia l’ordito della cura e dell’affetto donati ai ragazzini dall’Associazione Giovanni XXIII, dall’Orchestra infantile “Quattrocanti” di Palermo in cui cantano ragazzi di otto etnie, dall’intraprendenza di Maria Salvia, preside di una scuola di Vibo Marina, che porta a Francesco i soldi di una colletta per i bimbi di Lesbo e una lettera, firmata dai suoi alunni, che il cardinale Ravasi legge al Papa:

“Noi, bambini, promettiamo che accoglieremo chiunque arriverà nel nostro Paese; non considereremo mai chi ha un colore di pelle diverso, chi parla una lingua differente o professa un’altra religione, un nemico pericoloso”.

Soltanto il giubbetto
È il mondo che i bambini sognano, e non solo loro. Francesco ascolta, sorride, si commuove. Scherza, botta e risposta, quando il microfono passa a lui, maestro di una classe che vuole sentire le parole del Papa della tenerezza. Si fa portare il disegno di un bambino – col sole, il mare, le onde che si muovono. Onde, dice il piccolo, che possono “far morire la gente”. Una storia di carta, cui Francesco fa seguire una di terribile attualità. Mercoledì scorso all’udienza generale tre soccorritori volontari lo salutano e gli donano piangendo un oggetto:

“Mi ha portato questo giubbetto e piangendo un po’ mi ha detto: ‘Padre, non ce l’ho fatta. C’era una bambina, sulle onde, ma non ce l’ho fatta a salvarla. Soltanto è rimasto il giubbetto’. Questo giubbetto è di quella bambina. Non voglio rattristarvi, ma voi siete coraggiosi e conoscete la verità. Sono in pericolo: tanti ragazzi, bambini, bambine, uomini, donne, sono in pericolo (...) Pensiamo a questa bambina … Come si chiamava? Ma, non so: una bambina senza nome. Ognuno di voi le dia il nome che vuole, nel suo cuore. Lei è in cielo, lei ci guarda”.

“Hai studiato con Heidegger!”
C’è chi si imbarca per cercare un destino diverso e chi questo destino vuole respingerlo, deviarlo, scaricarlo altrove. “È un’ingiustizia”, gridano i ragazzini parlando di chi non lascia passare gli immigrati. E quando un bambino li definisce “bestie”, Francesco gli dice scherzando: “Ma tu hai studiato con Heidegger!” e invitandolo accanto sé con delicatezza e sapienza, spiega…

“…ma lui non ha voluto insultare, lui non ha fatto un insulto. Ha detto che una persona che chiude il cuore non ha cuore umano, perché non lascia passare, ha un cuore animale, diciamo, come una bestia, che non capisce”.

Tendere la mano

Invece i bambini capiscono e il Papa le amplifica per loro, parole come “pace, fratellanza, compassione, bene, uguaglianza", "accoglienza". Bisogna avere sempre “la mano tesa dell’amicizia”, ripete Francesco, ricordando l’esempio del buon samaritano. Ma c’è anche l’incoerenza, e i bambini ne chiedono quasi conto al Papa, di quei cristiani che, osservano, “dicono di credere in Dio, in Gesù, non fanno niente per loro”, cioè “non vanno in chiesa, “non danno l’elemosina ai poveri”. E Francesco annuisce: la parola che li definisce, afferma, è “ipocrisia”. Invece, è l’ultimo messaggio del Papa, “la vita è per condividere con gli altri".

“Gesù vuole che io faccia del bene”
Tra i bambini, ve ne sono 50 dell’Associazione romana “Sport senza frontiera”. Una bambina chiede a Francesco cosa sia per lui “essere Papa”. Significa, è la risposta, fare il “bene che io posso fare”:

“Ma io sento che Gesù mi ha chiamato per questo. Gesù ha voluto che io fossi cristiano, e un cristiano deve fare questo. E anche Gesù ha voluto che io fossi sacerdote, vescovo e un sacerdote e un vescovo devono fare questo. Io sento che Gesù mi dice di fare questo: questo è quello che sento".

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Dal Papa il presidente di Singapore, udienza su diritti e dialogo

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La situazione nel Sudest dell’Asia, diritti umani e dialogo tra le fedi hanno caratterizzato l’udienza di Papa Francesco con il presidente della Repubblica di Singapore, Tony Tan Keng Yam. Una nota ufficiale, precisa che durante i “cordiali colloqui” sono state anzitutto “evocate le buone relazioni tra la Santa Sede e Singapore, nonché la collaborazione tra la Chiesa e lo Stato,  soprattutto in campo educativo e sociale”.

Successivamente, prosegue il comunicato, a essere passati in rassegna sono stati “alcuni temi dell’attualità internazionale e della situazione politica regionale, con particolare riferimento all’importanza del dialogo interreligioso e interculturale per la promozione dei diritti umani, della stabilità, della giustizia e della pace nel Sudest asiatico”.

Dopo l’incontro con il Papa, il presidente di Singapore si è intrattenuto a colloquio con il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, e con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

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Diaconi da tutto il mondo a Roma per il Giubileo della Misericordia

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“Il diacono, immagine della misericordia per la promozione della nuova evangelizzazione” è questo il tema del Giulileo dei diaconi permanenti giunti a Roma da tutto il mondo per l'Anno Santo e nella speciale ricorrenza dei 50 anni della re-istituzione del diaconato permanente, avvenuta con il Concilio Vaticano II. Questa domenica i diaconi parteciperanno alla Messa presieduta da Papa Francesco. Il servizio di Marina Tomarro

Secondo i dati dell’Annuario pontificio, sono circa 45mila i diaconi in tutto il mondo che operano accanto ai sacerdoti e tra la gente portando una testimonianza di fede e di carità, con una particolare cura verso le famiglie e verso quanti vivono situazioni di disagio spirituale e materiale. In Italia sono oltre 4000, la maggior parte di loro sposati e impegnati insieme alle famiglia in questa importante missione. Ascoltiamo la testimonianza di Giorgio Albani, diacono a Roma nella parrocchia dei Sacri Cuori di Gesù e Maria:

R. - Io credo che non sia un ruolo importante, ma che la cosa importante sia essere al servizio della Chiesa là dove ti chiama, là dove servi. Io, in particolar modo, mi occupo di pastorale battesimale e di pastorale familiare. Per me e per mia moglie questo è un grosso dono, perché ci dà la possibilità di sentire e di vivere concretamente il vissuto odierno, cioè come la gente vive la famiglia, le difficoltà, soprattutto anche dei valori, che sono in crisi oggi.

D. – Come nasce la tua vocazione di diacono?

R. – La mia vocazione di diacono nasce da lontano, nasce da un’esperienza di sofferenza in cui mia figlia ha vissuto un momento di malattia. Questo mi ha scosso molto. Dopo mi sono sempre interrogato su cosa desiderasse il Signore da me. Io già ero nella Chiesa, ma con quel segno di guarigione io ho avuto questa necessità di dare al Signore qualcosa. E si è aperta questa strada che non conoscevo. Non sapevo infatti cosa fosse il diaconato.

D. – Tu sei sposato, in che modo si concilia la tua vocazione di diacono con la vita familiare?

R. – La prima vocazione nell’ambito del diaconato è il matrimonio. Se mia moglie non avesse la vocazione al servizio, non sarei potuto diventare diacono. Sicuramente questo è fondamentale. Insieme a mia moglie abbiamo sempre lavorato in parrocchia, soprattutto nella pastorale familiare. Questo ci ha reso più uniti, con tutte le difficoltà che ci sono. Non nascondo, infatti, che a volte serve un equilibrio anche in questo e che conciliare la vita familiare non è facile.

D. – Renata tu sei la moglie di Giorgio. Cosa vuol dire accompagnarlo nel suo servizio?

R. – E’ una scelta di vita che nasce senza rendertene conto. Certo, il diaconato è stata una cosa inaspettata, perché anch’io come lui non sapevo in cosa consistesse. E’ stato quindi un sacrificio. Ma quello che oggi vedo è che si tratta di una scelta di vita ponderata, perché ho sperimentato tante cose dal Signore. E’ una gratuità, quindi, che ti viene dentro e tu la dai con gioia. Si fa, quindi, con sacrificio, ma sempre lieti nel Signore.

E Giorgio con il suo esempio, ha coinvolto anche suo genero Leonardo Micacci, che opera nella parrocchia romana del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo. Ascoltiamo la sua storia:

R. - Sono sposato con Laura, abbiamo tre figli e mi occupo principalmente di pastorale familiare. Aiuto giovani famiglie in un percorso di accompagnamento alla fede e penso che forse sia uno dei ruoli fondamentali cui oggi il Signore ci chiama come diaconi. Mi riferisco in particolare alle famiglie, quindi all’accompagnamento di un diacono che è anche sposo e può portare una testimonianza. Un altro ambiente cui il Papa ci chiama sempre ad evangelizzare è il mondo del lavoro.

D. – Questo è il Giubileo della Misericordia, quanto è importante la misericordia nel vostro servizio?

R. – Deve permeare tutto il nostro servizio: tutto, quindi, parte dalla misericordia e tutto ritorna alla misericordia. Avere questa carità che non è solo una carità operosa, ma è anche la carità dell’ascolto, dell’essere prossimo all’altro, di non allontanare nessuno, ma anzi di prestare l’orecchio per ascoltare, accogliere. E il Signore ci chiama a questo ogni giorno, ad entrare anche nelle difficoltà degli altri e ad accoglierli.

D. – Questa domenica, l'incontro con Papa Francesco. Quanto è grande l’attesa per questo evento?

R. – Sarà, credo, un’attesa lunga, perché saremo tanti. Questo è bello, perché è una grande testimonianza per la Chiesa. Siamo una realtà concreta nella Chiesa. Perché anche il numero conta, no?

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Scholas. Prof. Florin: Francesco esorta le università a fare rete

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“Il pensiero pedagogico di Papa Francesco”. E’ il tema al centro della seconda giornata del Congresso mondiale della Fondazione pontificia Scholas Occurrentes, in corso alla Casina Pio IV in Vaticano. L’evento che riunisce i rappresentanti di oltre 40 università di tutto il mondo si concluderà domani con l’udienza del Papa all’Aula Nuova del Sinodo. Una delle nuove iniziative annunciate durante questo Congresso è la nascita delle “Cattedre Scholas”, su cui si sofferma il prof. Italo Florin, direttore della Scuola di Alta Formazione Eis dell’Università Lumsa, che è tra i principali partner di Scholas Occurrentes. L’intervista è di Alessandro Gisotti

R. – Si tratta di una iniziativa certamente originale, in campo accademico: una rete di Università che, spinte dal pensiero del Papa, orientate dai valori che questo pensiero ha in campo educativo, cerca di tradurli non semplicemente facendone oggetto di studio accademico, quindi rimanendo all’interno delle mura dell’Università, ma mettendoli immediatamente in contatto con le realtà che hanno bisogno di essere sostenute. In questo modo, le Università diventano punti di aiuto, punti di sostegno di situazioni educative fragili oppure anche molto interessanti ma che hanno bisogno di essere sostenute. Le Università, compromettendosi con realtà sociali significative, hanno modo di apprendere, hanno modo di crescere, hanno modo di rivitalizzarsi. La "Cattedra Scholas", quindi, non è tanto un corso di laurea, un insegnamento. La cattedra esprime un’idea: l’idea di "andare a scuola" dal Papa, di tradurre il pensiero del Papa in azione, in servizio e di imparare facendo.

D. – Sicuramente si può dire che questa è una concretizzazione della "cultura dell’incontro", che Francesco sta testimoniando in persona, ma poi anche con i suoi insegnamenti…

R. – Certamente, la parola “incontro” è la parola che meglio esprime il senso delle "Cattedre Scholas". Incontro significa incontro tra pensiero e realtà, tra persone, tra culture, tra posizioni diverse, punti di vista diversi. E’ interessante che in questo seminario di lancio delle cattedre siano presenti circa una cinquantina di Università del mondo di orientamenti valoriali, di religioni, di culture molto diverse, ma che sono state attratte da questo messaggio e che concretamente hanno deciso di cominciare a dare vita a questa grande rete. Alla fine di questo seminario, noi ci aspettiamo che ogni Università assuma degli impegni precisi, dica dove vuole impegnarsi e si dia anche un progetto, un tempo, in modo da arrivare – noi pensiamo fra un anno – a un altro grande seminario, nel quale questa volta parleranno le esperienze realizzate. Si cercherà di apprendere ancora e di continuare magari allargando la rete.

D. – Come docente universitario, qual è secondo lei il contributo che Francesco sta dando al mondo del sapere, in particolare a quello accademico?

R. – Devo dire che il pensiero del Papa è una fonte incredibile di risorse e di stimoli per la pedagogia, per l’educazione, per chi si occupa dei giovani. Io direi che il primo grande messaggio che il Papa comunica a chi educa è che educare vuol dire rivolgersi alla totalità della persona e cercare di non perdere nessuna delle dimensioni costitutive. Il Papa spesso ripete, in una forma molto sintetica, l’idea di armonia, dicendo: “E’ importante che ci sia, presente nell’educazione, la mente, ma anche la mano, ma anche il cuore”. Come a dire: la dimensione razionale e, però, poi anche la passione e la concretezza. Ecco, credo che questo sia il messaggio forte che poi deve trovare molte traduzioni.

D. – Non a caso la mano che abbraccia e tocca il mondo è proprio il simbolo di Scholas…

R. – E’ proprio questo e questa idea anche del compromettersi con la realtà, del non aver paura. Il Papa una volta, parlando agli educatori, ha detto: “Non guardate la vita dal balcone”. Spesso, noi studiosi guardiamo la vita dal balcone, diamo giudizi, critichiamo, formuliamo ipotesi, però stiamo al balcone. Il Papa ci dice: “Scendete, la vita è in cortile non nel balcone!” Bisogna che noi andiamo dove ci sono gli uomini, dove ci sono i giovani. Dobbiamo incontrare le persone.

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Il Papa abbraccia Hebe de Bonafini, fondatrice delle Madri di Plaza de Mayo

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Papa Francesco ha incontrato ieri a Casa Santa Marta Hebe de Bonafini, fondatrice e presidente delle Madri di Plaza de Mayo, una associazione formata dalle madri dei desaparecidos, i dissidenti scomparsi durante la dittatura militare argentina. Il servizio di Sergio Centofanti

Hebe de Bonafini, 87 anni, non ha perso il suo spirito combattivo. Durante la dittatura militare in Argentina la sua vita è stata sconvolta: ha perso due figli e la nuora, dissolti nel nulla come tanti altri oppositori al regime. L’incontro col Papa a Santa Marta è stato lungo, molto affettuoso: ci siamo commossi e ci siamo abbracciati - ha detto la Bonafini – che in passato aveva criticato Papa Bergoglio e per questo ha chiesto scusa. Già tempo fa, in una lettera, aveva ammesso di essersi sbagliata, non conoscendo l’impegno di Bergoglio per i poveri. La fondatrice delle Madri di Plaza de Mayo ha parlato al Papa della drammatica situazione dell’Argentina, con la gente che è senza lavoro e lotta per sopravvivere. Il Papa, ha raccontato la donna in un incontro con i giornalisti, ha soprattutto ascoltato, con grande attenzione, e ha detto che per il momento non può andare in Argentina.

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Il Papa nomina mons. Celestino Migliore nunzio in Russia

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Il Papa ha nominato nunzio apostolico nella Federazione Russa  mons. Celestino Migliore, arcivescovo titolare di Canosa, finora nunzio apostolico in Polonia. Mons. Migliore, nato a Cuneo, in Piemonte, il primo luglio 1952, è stato ordinato sacerdote nel 1977. Ha studiato presso la Pontificia Accademia Ecclesiastica e  nel 1980 è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede. Inizialmente ha prestato servizio presso le rappresentanze pontificie in Angola, Egitto e Polonia. Nel 1992 è stato nominato osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa. Fra il 1995 e il 2002 è stato sottosegretario alla Sezione per le Relazioni con gli Stati della Segreteria di Stato. Nel 2002 è stato nominato osservatore permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Il 6 gennaio 2003 è stato consacrato vescovo da Papa Giovanni Paolo II. Nel 2010 è stato nominato nunzio apostolico in Polonia.

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Nomina episcopale nello Zimbabwe

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, i cardinali Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, e George Pell, prefetto della Segreteria per l'Economia.

Nello Zimbabwe, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Mutare, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Alexio Churu Muchabaiwa. Al suo posto, il papa Santo Padre ha nominato padre Paul Horan, dell’Ordine dei Carmelitani, irlandese, direttore della scuola cattolica Kriste Mambo a Rusape, nella medesima diocesi. Il neo presule è nato a Drangan, Contea di Tipperary, in Irlanda, il 17 ottobre 1962. Ha compiuto gli studi filosofico-teologici, ottenendo il grado di Baccellierato, presso l'istituto Milltown College a Dublino, in Irlanda (1990-1995). Il 15 ottobre 1995 ha emesso i voti perpetui ed è stato ordinato sacerdote il 7 giugno 1997 in Irlanda. Prima di entrare nell'Ordine Carmelitano, ha lavorato alla Chartered Association of Certified Accountants of Ireland. Nel 2001 ha ottenuto il grado di Masters of Arts in Teologia Spirituale presso la Catholic University of America a Washington, D.C. È arrivato nello Zimbabwe come missionario nel 2001. Dopo l'ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 2001 Corso di lingua Shona ed esperienza pastorale missionaria; 2001-2004 direttore del Postulandato dei Padri Carmelitani a Rusape; 2004-2006 direttore del Noviziato dei Padri Carmelitani a Rusape; 2006-2008 assistente della parrocchia St. Kilian's in Makoni (Mutare); dal 2008 direttore della scuola cattolica Kriste Mambo a Rusape.

La Diocesi di Mutare (1957), suffraganea dell'Arcidiocesi di Harare, ha una superficie di 32.202 kmq e una popolazione di 2.272.000 abitanti, di cui 226. 700 sono cattolici. Ci sono 28 Parrocchie, servite da 57 sacerdoti (34 diocesani e 23 Religiosi), 41 Fratelli Religiosi, 129 suore e 41 seminaristi.

Nelle Filippine, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Bayombong, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Ramon B. Villena.

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Papa, tweet: saldi nella fede con ferma speranza nel Signore

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Rimanere saldi sulla via della fede con la ferma speranza nel Signore: qui sta il segreto del nostro cammino!”.

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Radio Vaticana: 50° del Programma armeno, si è spento Michel Jeangey

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Si è spento questa mattina a Roma Michel Jeangey, nostro collega della Radio Vaticana, per 20 anni responsabile del Programma armeno dell’emittente pontificia: avrebbe compiuto 71 anni il prossimo 13 luglio. Sposato, due figlie, era diacono permanente. E’ venuto a mancare proprio durante il Giubileo dei Diaconi - domani c'è la Messa con il Papa in Piazza San Pietro - e alla vigilia dei 50 anni di attività del Programma armeno della Radio Vaticana, inaugurato il 29 maggio 1966. Michel aveva preparato fino a ieri sera i festeggiamenti nella sede della nostra emittente per questo importante anniversario: nonostante fosse in pensione, continuava ad offrire la sua collaborazione ai colleghi. Lo ricordiamo sempre al servizio di tutti, con il suo sorriso gentile, la sua positività, la sua disponibilità, la sua fede forte e serena. Il 27 settembre 2007 era stato insignito da Benedetto XVI con l'onorificenza di Commendatore del Santo Ordine di Papa Silvestro. Per tanti anni è stato anche presidente della vivace comunità armena a Roma.

Michel ha dato un grande impulso all’attività del Programma armeno della nostra emittente al servizio dell’annuncio del Vangelo, soprattutto quando l’Armenia faceva parte dell’Unione Sovietica e i cristiani, perseguitati dal regime comunista, ascoltavano di nascosto la parola del Papa attraverso le onde corte. Un’azione evangelizzatrice che si è sempre estesa a tutta gli armeni dispersi nel mondo a causa dei massacri compiuti nel 1915 sotto l’Impero Ottomano. Michel se n’è andato a meno di un mese dal viaggio del Papa in Armenia che si svolgerà dal 24 al 26 giugno: il 25 giugno avrebbe partecipato alla Messa presieduta da Francesco a Gyumri per la comunità cattolica armena. I funerali si svolgeranno lunedì alle 11.00 nella Chiesa armena di San Nicola da Tolentino a Roma. (A cura di Sergio Centofanti)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale di Gualtiero Bassetti dal titolo “Distanza drammatica”: i popoli della fame interpellano quelli dell’opulenza.

In pericolo e non un pericolo: il Papa parla dei migranti ai bambini giunti dalla Calabria.

Trasferta americana: Il prefetto Cesare Pasini sulla Biblioteca vaticana alla Notre Dame University.

Il fascino discreto dell’eugenetica: Pierangelo Sequeri sulla disabilità oggi fra pietismo ed egualitarismo, e un estratto dal libro di Roberto Volpi “La sparizione dei bambini Down”.

Il pittore del mistero: Gabriele Nicolò su Hieronymus Bosch in mostra al Prado.

Ernesto Oliviero su due profeti e un Papa per la pace: se vince l'odio perdiamo tutti.

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Oggi in Primo Piano



Nuovo naufragio: 45 corpi recuperati nel Canale di Sicilia

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Ancora una tragedia del mare nel Mediterraneo: è salito a 45 il numero dei corpi recuperati dalla Marina militare dopo che, ieri, un barcone è semiaffondato nel Canale di Sicilia. 135 i migranti messi in salvo. Oggi intanto al valico del Brennero un gruppo di scout ha portato le “Croci di Lampedusa”, segno della sofferenza dei migranti. Il servizio di Alessandro Gisotti

Ancora un naufragio, ancora vite spezzate di persone che cercavano di raggiungere un luogo di speranza per se stesse e per le proprie famiglie. Sono 45 i cadaveri finora recuperati dalla Marina Militare Italiana, tra cui tre bambini, dopo che un barcone è semiaffondato a largo della Libia nel Canale di Sicilia, 135 le persone messe in salvo. Si temono tuttavia decine di dispersi. Tra oggi e domani intanto a Catania sbarcheranno 890 migranti, 526 a Porto Empedocle, mentre altri 600 sono attesi in Calabria. Sempre più critica dunque la situazione sul fronte sud dell’immigrazione, mentre oggi al valico del Brennero un gruppo di scout ha portato tre croci realizzate a Lampedusa con il legno dei barconi utilizzati dagli immigrati. Dal canto suo, il premier italiano Matteo Renzi, dal G7 in Giappone, si è detto orgoglioso per quanto l’Italia sta facendo per salvare le vite dei migranti. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha invece dichiarato che per fronteggiare l'emergenza immigrazione “occorre un accordo rapido con la Libia e con i Paesi africani da parte dell'Europa”. Quella che sta per finire è stata una settimana particolarmente difficile per i salvataggi nel Canale di Sicilia con tre naufragi, almeno 70 vittime e oltre 12 mila migranti soccorsi.

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Russia e Grecia partner, ma sanzioni a Mosca confermate dal G7

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Russia e Grecia sempre più vicine sul piano commerciale, ma nei limiti delle sanzioni imposte a Mosca dall’Unione Europea. Sanzioni che i Paesi del G7 appena concluso in Giappone non hanno rimosso, anzi, saranno in vigore sino all’applicazione degli accordi di Minsk. Il presidente russo, Putin, risponde prolungando l’embargo alle merci e annuncia una “risposta” alla costruzione della nuova base Nato in Romania. Per un’interpretazione di quanto sta accadendo, Roberta Barbi ha raggiunto il vicedirettore di Famiglia Cristiana, Fulvio Scaglione: 

R. – Putin tende a proporsi come uno statista che non ha ostilità, ma che cerca un’intesa con tutti i Paesi, anche con la Grecia, un Paese comunque all’interno dell’Unione Europea e che non si è opposta alle sanzioni europee contro la Russia. Dopo di che, ovviamente, tra Russia e Grecia ci sono non solo dei legami storici antichissimi – perché questa visita coincide con i mille anni dal primo insediamento russo sul Monte Atos – ma anche legami molto freschi, molto recenti. Nel 2015, Tsipras è stato due volte a Mosca, ci sono affari, c’è il turismo, progetti di gasdotti… Ci sono tante cose a tenere insieme questi due Paesi.

D. – Dal Giappone i Paesi del G7 hanno ribadito che le sanzioni contro la Russia, motivate dal conflitto in Ucraina, non saranno rimosse e per tutta risposta Putin si è detto pronto a prolungare l’embargo alle merci statunitensi ed europee sino a fine 2017…

R. – Nelle parole dei protagonisti si tratta semplicemente di mantenere un atteggiamento coerente. Dal mio punto di vista, le sanzioni alla Russia sono state un clamorosissimo sbaglio da cui, naturalmente, non si può tornare indietro se non ammettendo in qualche modo una sconfitta. È questa, secondo me, la vera ragione del prolungamento delle sanzioni. Quanto è successo in Ucraina è ovviamente tremendo. Ci sarebbe bisogno di un maggior buonsenso da parte di tutti i protagonisti, ma le sanzioni in questo quadro tremendo sono una vera sciocchezza.

 D. – Per quanto riguarda la questione ucraina, secondo Mosca è Kiev a non attuare nei suoi punti chiave gli accordi di Minsk, condizione necessaria per lo sblocco delle sanzioni restrittive…

R. – Non c’è dubbio che una delle condizioni per la realizzazione degli accordi di Minsk – cioè che alle regioni del Donbass venga concesso uno statuto speciale e in base a questo si svolgano delle elezioni – non è stata realizzata dal governo di Kiev e non sarà mai realizzata, perché il governo di Kiev non avrà mai la forza politica di far passare in parlamento questa modifica alla Costituzione. Poi, naturalmente, ci sono tante altre questioni sul terreno, tanti altri problemi, ma è perfettamente inutile chiedere unilateralmente alla Russia una realizzazione delle condizioni previste da Minsk quando il governo ucraino non è in grado, neanche volendo, di mantenere la sua parte.

D. – Putin ha anche dichiarato che la Russia “risponderà” all’apertura di una base missilistica Nato a Deveselu in Romania “per garantire la propria sicurezza”. Che cosa significa?

R. – Significa, molto semplicemente, che grazie alla Polonia e alla Romania – che si sono accordate in separata sede rispetto all’Unione Europea con la Nato – tutti gli europei tornano a essere nel mirino dei missili russi. La Nato, a proposito dello scudo stellare in Romania e Polonia, dice che questo serve a proteggere l’Europa da un eventuale attacco portato dai “Paesi canaglia” del Medio Oriente e non si capisce quali siano. La Russia si sente minacciata e reagisce di conseguenza. Grazie alla Nato e grazie agli accordi separati che hanno fatto Polonia e Romania – due Paesi che prendono tanti miliardi ogni anno dall’Unione Europea – tutti noi europei da adesso in avanti saremo nel mirino dei missili russi.

D. – Dall’annessione della Crimea al conflitto non chiarito nel Donbass, all’intervento in Siria fino a questi accordi commerciali sempre più stretti con Atene: che ruolo si prevede possa avere la Russia in futuro nello scacchiere internazionale?

R. – La Russia agisce in contropiede. E' da almeno 20 anni che gli Stati Uniti avvalendosi di tutte le loro opportunità – la Nato, gli accordi con l’Unione Europea – cercano di spingere la Russia il più a est possibile. Non dimentichiamoci che, a parte quelle romene, ci sono basi militari Nato a 120 km da San Pietroburgo. A un certo punto, questa strategia è arrivata al limite, perché più in là dell’Ucraina c’è solo la Russia e Putin ha deciso di tirare una riga e di stabilire un limite. Questo non significa che la Russia possa ambire a battersi su un piano globale con gli Stati Uniti su un livello di parità che non ha, non avrà mai e che non avrà mai più, però certamente la Russa oggi è il leader capofila di una serie di Paesi che non ci stanno a un pianeta totalmente a guida americana. Cosa questo, poi, comporti lo abbiamo visto da un lato in Ucraina, lo abbiamo visto in altre parti del mondo. Certamente, la Russia ha raggiunto il limite del proprio arretramento: più indietro di così non farà neanche un passo.

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Zika, 125 scienziati: spostare Olimpiadi. L'Oms: nessun allarme

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L’espansione del virus Zika obbliga a posticipare o cambiare sede alle olimpiadi di Rio. Questo l’appello lanciato da un team di 125 scienziati di tutto il mondo, che in un lettera inviata all'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), chiedono un intervento per cambiare la data dei giochi del Brasile. L’Oms ha risposto che al momento non ci sono gli estremi per prendere una decisione di questo tipo. Il servizio di Daniele Gargagliano

Sarebbe immorale permettere lo svolgimento delle Olimpiadi a queste condizioni, scrivono i 125 studiosi, tra scienziati, medici e bioeticisti più importanti al mondo, nel chiedere il rinvio dei Giochi olimpici o lo spostamento da Rio a un’altra destinazione. La trasmissione del virus Zika potrebbe comportare un rischio per i 500 mila turisti stranieri, in arrivo ad agosto in Brasile, e portare l'epidemia nei loro Paesi, si legge nella lettera inviata all’Oms, compresi quelli del terzo mondo dove la malattia potrebbe diventare ingestibile.

Preoccupazione, attenzione ma non allarmismo, spiegano dall’Oms. Per l’Organizzazione mondiale della sanità non esistono motivi validi per rinviare le Olimpiadi, che non avranno effetti significativi sulla diffusione internazionale del virus Zika. Insomma, i Giochi in sé non genereranno problemi per la salute pubblica mondiale ma, fanno sapere dall’agenzia dell’Onu, bisogna ridurre il rischio di trasmissione seguendo le misure di controllo e di prevenzione soprattutto per le donne incinte e i soggetti immunodepressi.

Sugli effettivi rischi per la salute pubblica mondiale provocati dalla trasmissione del virus Zika, in occasione delle Olimpiadi di Rio, l'epidemiologo dell'Istituto superiore di sanità di Roma, Giuseppe Rezza, allontana gli allarmismi: 

R. – Innanzitutto, il mese di agosto è un mese a rischio per i Paesi a clima temperato, come per esempio i Paesi europei e gli Stati Uniti. In quel periodo, infatti, c’è una grande attività delle zanzare. Per quanto riguarda il Brasile, si tratta del periodo invernale. Nonostante sia un Paese a clima subtropicale, per cui le stagioni non sono come le nostre, non è comunque il periodo a maggiore intensità di attività delle zanzare. In quel periodo, Zika potrebbe essere anche meno attivo rispetto a ora. C’è un altro problema: non credo che il direttore dell’Oms, per quanto investito da diversi scienziati, possa addirittura costringere l’organizzazione dei Giochi o il governo brasiliano stesso a ripensarci. Il Brasile è un Paese affetto non solo da Zika, ma anche da altre malattie tropicali trasmesse dalle zanzare, come la “dengue” o la “chikungunya”, e non per questo si è mai chiesto di rinviare, per esempio, i Campionati mondiali di calcio piuttosto che le Olimpiadi. Io credo che più che altro bisognerebbe fare attenzione ad alcune cose. Chiaramente, le donne gravide dovrebbero evitare di andare in quella destinazione, non si dovrebbero intraprendere gravidanze durante il soggiorno in quella zona, per diminuire il rischio di trasmissione dell’infezione a donne gravide. Avere delle precauzioni nel momento in cui si ritorna, per evitare di trasmettere l’infezione e avviare una catena di trasmissione nei Paesi dai quali si è partiti. Io direi che ci vogliano delle misure di buon senso più che altro e che sia necessario evitare un allarmismo eccessivo.

D. – Al di là del caos mediatico, contano più le misure di prevenzione e di informazione…

R. – Io credo di sì, perché mi sembra veramente impossibile o quantomeno difficile, rinviare addirittura i Giochi olimpici per una situazione che merita sicuramente di essere posta sotto attenzione, ma che non è la prima volta che si presenta in un Paese subtropicale. Inoltre, Zika rappresenta un problema purtroppo grave soprattutto per le donne in gravidanza, ma non è invece una malattia così terribile, a parte pochi casi di complicazioni neurologiche, negli adulti sani. Nel resto della popolazione, anzi in tre quarti dei casi, decorre in maniera asintomatica. Lo sanno tutti che è un problema di una certa gravità, però sinceramente non credo che questo appello possa portare addirittura l’Oms a fare una battaglia per rinviare o spostare i Giochi olimpici, che ormai sono abbastanza prossimi.

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Nasce Comitato famiglie per il no al referendum costituzionale

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Presentazione ufficiale oggi del “Comitato famiglie per il No” al referendum di ottobre sulla riforma costituzionale. Secondo i promotori con un Parlamento monocamerale sarà alto il rischio di un calo delle garanzie democratiche stablite dalla Costituzione soprattutto per quanto riguarda leggi che mirano a stravolgere l’antropologia della società italiana e il diritto naturale. C’era per noi Paolo Ondarza: 

Non un “no” polemico, contro la modernizzazione dell’Italia, ma un “no” motivato: la riforma costituzionale, infatti, secondo il Comitato per il “no”, minaccia la democrazia. Per questo da oggi parte una grande campagna di sensibilizzazione su tutto il territorio nazionale. Il promotore, Massimo Gandolfini, presidente del Family Day:

 R. – La spinta che ci ha determinato a fare questo “Comitato Famiglie per il ‘no’” non è nessun sentimento di rivendicazione e di vendetta nei confronti della persona del premier, ma neanche nei confronti del governo. L’animus non è la vendetta. L’animus è una giustizia sociale. Il governo, nei confronti della legge sulle unioni civili, ha mostrato un’indole statalista e centralista inaccettabile. Ha ignorato il sentimento degli italiani mostrato da milioni di persone in due grandi manifestazioni pubbliche, non ha tenuto conto neanche di mezza nostra istanza e allora un governo di questo genere che poi apre a strategie ulteriori – vedasi eutanasia, divorzio express, legalizzazione delle droghe leggere – ci preoccupa moltissimo. Ecco che allora i cittadini italiani democraticamente hanno in mano un’arma che useranno ed è fermare una riforma costituzionale che rende ancora più autoritario e centralista l’eventuale governo, l’eventuale partito che dovesse vincere le elezioni. Benissimo riformare; benissimo rendere più snello l’iter legislativo. Ma non si fa in questo modo: non si può pagare la rapidità legislativa con un deficit di democrazia. Una Costituzione che assegni troppo potere al premier e di fatto annulli tutti gli altri poteri – perché gli altri due che rimangono sono la Corte costituzionale e il capo dello Stato, che sono due poteri deboli – di fatto diventa eccessivamente, pericolosamente centralista.

 D. – Questa è la vostra risposta anche a chi vi accusa di remare contro la riforma che potrebbe modernizzare il Paese?

 R. – Innanzitutto, “modernizzare” è una bella parola, ma se poi dopo la modernizzazione viene fatta con un deficit di democrazia, non è accettabile. Cambiare, sì, ma non cambiare a tutti i costi con il leitmotiv del “governo del fare”. Bisogna fare, sì, ma bisogna fare bene. Questa riforma costituzionale a sua volta è passata con due voti di fiducia e questo è davvero inaccettabile. Non vuol dire che la Costituzione non debba essere cambiata: la Costituzione non è il Decalogo, può essere cambiata. Ma può essere cambiata virtuosamente, mettendo al centro il principio del bilanciamento dei poteri.

 D. – Quali le motivazioni giuridiche a questo “no”? Mauro Ronco, presidente del Centro Studi Livatino:

 R. – Dal punto di vista giuridico, c’è un’esigenza di rendere più agile il procedimento di formazione delle leggi. Ora, però, su questo profilo di rendere più agile il procedimento di approvazione delle leggi si innesta una volontà politica di egemonizzare non solo il controllo del procedimento legislativo, ma anche tutta una serie di ambiti di carattere morale che invece meritano una maggiore articolazione e un rispetto più forte del pluralismo sociale e culturale e religioso del nostro Paese.

 D. – Più che la bontà di una riforma che va a velocizzare un iter legislativo, forse ciò che spaventa chi promuove il “no” è il precedente che si è creato in relazione al sulla legge in materia di unioni civili, che ha visto il salto di alcuni passaggi ritenuti fondamentali per l’approvazione di una legge?

 R. – La fiducia su leggi che hanno un impatto forte sulle coscienze di tutta la popolazione, ma prima ancora dei parlamentari, è qualcosa di contrario al principio – non usiamo il termine “democratico” – di una saggia prudenza governativa.

L’antropologia della famiglia e il diritto naturale sono oggi sotto attacco in tutta Europa. Necessario salvaguardare la partecipazione popolare e il dibattito democratico, spiega Maria Hildingsson, segretario generale del Forum delle famiglie Europeo:

 R. – In Europa esiste un’agenda politica che è un’agenda politica di un’élite. E’ molto importante che i cittadini abbiano il coraggio di esprimersi nel dibattito pubblico.

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Il commento di don Gianvito Sanfilippo al Vangelo della Domenica

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Nella solennità della Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, la liturgia ci propone  il Vangelo in cui Gesù sfama la folla a partire da cinque pani e due pesci:

“Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà”. 

Sulla solennità del Corpus Domini, ascoltiamo il commento di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della Diocesi di Roma: 

La "Frazione del Pane" è uno dei nomi che i nostri fratelli nella fede utilizzarono, nel primo secolo cristiano, per la celebrazione eucaristica, ma al contempo indica, in tale contesto, un importante gesto liturgico, previo all'assunzione delle Sacre Specie, e fa presente l'amore di Nostro Signore, che non ha esitato a "spezzarsi per noi". Portando su di sé il castigo per i nostri peccati fino alla morte, infatti, Egli ha rivelato, risorgendo, l'intenzione più autentica del cuore di Dio: la misericordia per chi cade e la benevolenza perfino a chi è ostile o tradisce, in vista di una piena riabilitazione di ogni persona chiamata alla santità. Questa natura divina, che sa soffrire per l’amato, ci viene offerta nell'annuncio della vittoria, in Cristo, del bene umiliato dal male. È il kerigma che si fa carne in noi e, mediante l'Iniziazione cristiana, ci fa Chiesa facendo pure di noi, Corpo e Sangue di Cristo, sue membra. Adorare questa presenza, anche fuori del culto eucaristico, e credere che questo dono si compia realmente in noi, sono atti di fede che possono vivificare, inoltre, coloro che, per diverse circostanze della vita, non fossero in grado di accostarsi ai sacramenti. Alziamo lo sguardo al Salvatore invocando il suo Nome, la sua Carità ci renderà capaci di “spezzarci” per il prossimo e di far brillare la vita eterna che già opera in noi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Il Patriarca Twal incontra l'incaricato Ue per i palestinesi

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L’Unione Europea “deve svolgere un ruolo politico maggiore nella regione, non solo finanziario”, e deve "consultare i leader religiosi” di fronte alle varie problematiche dell’area, poiché la realtà sul terreno è spesso lontana dall’agenda politica: lo ha detto il Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, incontrando mercoledì scorso il capo della delegazione del Servizio europeo per l’assistenza ai palestinesi, Ralph Tarraf, per discutere del conflitto israelo-palestinese e dei problemi regionali. Tarraf era accompagnato dalla moglie e da David Geer, vice capo della stessa delegazione europea che in questi giorni sta visitando anche la valle di Cremisan, dove è attualmente in costruzione una barriera di separazione.

Ribadita l’importanza di una soluzione negoziata del conflitto
Sia il Patriarca Twal che Tarraf – riporta L’Osservatore Romano – hanno ribadito l’importanza di una “soluzione negoziata”, mettendo in evidenza il ruolo "prescrittivo" dell’Unione europea per una risoluzione “equa e giusta” del conflitto. Il Patriarca chiede agli europei di “non lasciare sole le due parti nei negoziati”. La storia mondiale ed europea – ha sottolineato – ha già dimostrato che “il futuro appartiene a coloro che abbattono i muri. Sogniamo quella pace. Siamo condannati a vivere insieme: meglio vivere come buoni vicini che come nemici eterni”. Si è parlato anche del conflitto siriano, delle sue ripercussioni nella regione e dei milioni di rifugiati che un giorno dovranno tornare a casa. “La nostra voce è debole”, ha osservato il Patriarca di Gerusalemme dei Latini, ma "non possiamo rimanere in silenzio e abbiamo solo da dire la verità”.

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Vescovi Usa preoccupati per espulsioni di immigrati illegali

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I vescovi degli Stati Uniti sono preoccupati dalle notizie sulla ripresa di nuove retate per l’espulsione di immigrati centroamericani, privi di documenti in regola per risiedere nel Paese. Le operazioni saranno condotte dall’Ufficio immigrazione e dogane (Immigration and Customs Enforcement -ICE) e prenderanno di mira soprattutto madri e bambini.

Provvedimenti di espulsione senza tutele legali per gli immigrati
"Queste operazioni creano il panico nelle nostre parrocchie. Nessuna persona, migrante o meno, dovrebbe aver paura di lasciare la sua casa per frequentare la chiesa o la scuola. Nessuno dovrebbe temere di essere strappato via dalla sua famiglia e tornare ad una situazione di pericolo", afferma in una nota mons. Eusebio Elizondo, presidente della Commissione per le migrazioni della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti. Già lo scorso gennaio, il presule era intervenuto sulla questione con una lettera al segretario della Sicurezza Nazionale (Dhs, Department of Homeland Security), in cui denunciava la mancanza di tutele legali per gli stranieri destinatari dei provvedimento di espulsione.

Un segno del fallimento delle politiche migratorie negli USA
Dello stesso tenore il giudizio dell'arcivescovo di Los Angeles, mons. José H. Gomez, noto per il suo attivo impegno a favore degli immigrati.  “Questi raid sono un altro deprimente segno delle fallimento delle politiche migratorie in America”, ha dichiarato il presule. Mons. Elizondo e l'arcivescovo Gomez ricordano all'Amministrazione americana che questo tipo di azioni costringono le famiglie a vivere in una paura costante, cosa contraria ai valori americani e alla dignità donata da Dio ad ogni persona umana. (L. Z.)

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Card. Woelki celebra il Corpus Domini su un barcone di migranti

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“Chi lascia affogare degli uomini nel Mediterraneo lascia affogare anche Dio ogni giorno, per migliaia di volte”. Parole del cardinale arcivescovo di Colonia, Rainer Maria Woelki, che giovedì 26 maggio, ha celebrato la Messa della solennità del Corpus Domini su un altare costituito da uno scafo sequestrato durante un’operazione di salvataggio di immigrati nel Mediterraneo.

L’accoglienza dei migranti al centro della 100.ma edizione del Katholikentag
La celebrazione si è tenuta all’aperto, nella piazza antistante la cattedrale, anche perché, date le dimensioni, sarebbe stato impossibile far entrare l’imbarcazione all’interno della chiesa: comunque un modo, è stato evidenziato, per richiamare ulteriormente l’attenzione dell’opinione pubblica e sollecitare la solidarietà dei fedeli su un tema come quello dell’accoglienza ai migranti e ai profughi in fuga dalle guerre.

Riconoscere la presenza di Dio nei volti e nelle storie degli immigrati
Lo scafo che ha fatto da altare durante la celebrazione — riferisce l’agenzia Efe ripresa dall’Osservatore Romano — era stato sequestrato nei mesi scorsi dalle forze militari maltesi nel corso di un’operazione di salvataggio. Tra le ottanta e le cento persone, ha ricordato il porporato, hanno “remato per la vita” su questa imbarcazione dopo aver lasciato le coste libiche in fuga dal terrore e della guerra. Di qui, sulla scorta anche dei ripetuti appelli di Papa Francesco, le accorate parole del porporato che nell’omelia ha invitato i fedeli a riconoscere la presenza di Dio nei volti e nelle drammatiche storie degli immigrati. “Gesù ha detto che il male che abbiamo fatto al più piccolo dei suoi fratelli lo abbiamo fatto a lui”, ha rimarcato il cardinale Woelki. L’imbarcazione, che rimarrà esposta ancora per qualche giorno all’esterno della cattedrale, verrà poi affidata a una organizzazione umanitaria che si occupa del salvataggio e dell’assistenza ai profughi.

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Mauritius. Mons. Piat: combattere droga con "sanzione pedagogica"

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Prevenzione tra i giovani e sostegno alla riabilitazione: la tossicodipendenza si sconfigge così. A dichiararlo, in questi giorni, è stato mons. Maurice Piat, arcivescovo di Port-Louis, nelle Isole Mauritius, intervenendo presso la Commissione nazionale di inchiesta sulla droga. “Riconoscere che la tossicodipendenza è una malattia – ha sottolineato mons. Piat – significa non trattare solamente la sua sintomatologia, ma risalire alle cause. Occorre, dunque, iniziare a chiedersi perché le persone assumono stupefacenti”.

Giro di vite contro i trafficanti
E le ragioni possono essere tante, ha spiegato il presule, indicando ad esempio “la fragilità umana o psicologica, la povertà materiale, i problemi familiari o lavorativi”. Ricordando, poi, l’impegno della Chiesa nella lotta contro la droga, mons. Piat ha chiesto leggi più severe, in grado di reprimere davvero il narcotraffico. “Occorre un giro di vite contro i trafficanti – ha spiegato – con leggi più mirate e più rigide”.

No alla legalizzazione della cannabis
Quanto alla legalizzazione dell’uso della cannabis, l’arcivescovo di Port-Louis si è detto contrario, “poiché ciò che diventa legale, diventa anche morale”, mentre la “depenalizzazione” sottrarrebbe alla legge “le sue sanzioni”. Al contrario, mons. Piat ha proposto di introdurre, nella normativa attuale, il principio di “sanzione pedagogica” per i consumatori di droga. Tale nozione eviterebbe la detenzione in carcere e permetterebbe di scontare la pena, ad esempio, praticando “lavori socialmente utili”.

Prevenire tossicodipendenza giovanile
Il presule ha ribadito, inoltre, la necessità di prevenire la tossicodipendenza tra i giovani, che spesso cedono alla droga “per una curiosità morbosa” o “per essere come tutti gli altri”. “Gli spacciatori – ha sottolineato l’arcivescovo – sanno sfruttare molto bene queste debolezze umane”. Di qui, la priorità da dare ad una prevenzione che non solo tenga lontano i ragazzi dalle “conseguenze disastrose del consumo di stupefacenti, ma soprattutto ripristini nei giovani la fiducia in se stessi, mettendo in luce il loro valore, introducendoli ad una vita sana di comunità, di amicizie, di sostegno reciproco e responsabilità condivise, ed offrendo anche possibilità lavorative che corrispondano al loro vero potenziale”.

Investire sui centri di riabilitazione
Centrale anche il richiamo ad investire di più sui centri di riabilitazione che – ha evidenziato mons. Piat – “danno risultati migliori rispetto alla prigione dove, dato il clima di repressione, i tossicodipendenti tendono a sprofondare nelle sabbie mobili dei farmaci, piuttosto che ad uscirne”. In questo ambito, il presule ha richiamato la necessità di una maggiore collaborazione tra lo Stato e le ong che operano nel campo, ciascuno nel rispetto delle proprie competenze: “Lo Stato fa le leggi e deve vigilare sulla loro applicazione – ha spiegato l’arcivescovo – Ma le ong sono in grado di avere un approccio umano, di prossimità, al problema della tossicodipendenza”.

Piano globale per combattere la droga
Di qui, l’appello conclusivo ad “un piano globale sostenuto ttere la drogada una volontà politica”, strumento essenziale per combattere la droga, attraverso “un approccio integrato che preveda il coordinamento tra le diverse autorità ministeriali”. (I. P.)

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Regno Unito. Anglicani e presbiteriani, storico accordo

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Un passo storico verso una più profonda unità tra anglicani e presbiteriani. È quanto ha dichiarato l’arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, Justin Welby, dopo la l’approvazione all’unanimità, da parte degli oltre 700 deputati del Sinodo presbiteriano, della dichiarazione di Colombano: l’accordo in base al quale la Chiesa di Scozia e la Chiesa d’Inghilterra si riconoscono reciprocamente come Chiese e si impegnano a proseguire nel cammino dell’unità visibile. A rendere ancora più solenne il momento – riporta L’Osservatore Romano - è stata la partecipazione al dibattito del primate Welby, il primo arcivescovo di Canterbury a presenziare a un’assemblea generale della Chiesa di Scozia.

Il documento frutto di un lavoro ultradecennale
Il documento ha richiesto un lavoro ultradecennale. Esso prevede tra l’altro l’accoglienza reciproca dei membri delle due comunità e, in prospettiva, la piena interscambiabilità dei ministri di culto, oggi possibile su base ristretta. La dichiarazione di Colombano, intitolata al monaco irlandese tra i padri del cristianesimo celtico, definisce poi i passi per approfondire i temi che dividono ancora la Church of Scotland e la Chiesa d’Inghilterra, come per esempio l’episcopato, e per rafforzare la collaborazione e la comune testimonianza nella società.

Un impulso verso una più profonda comunione
“Riconoscersi reciprocamente come Chiese è un passo importante dal quale non può che derivare un grandissimo impulso verso una più profonda comunione, non soltanto con la Chiesa di Scozia, ma con le Chiese presbiteriane nel mondo intero”, ha detto nel suo intervento l’arcivescovo di Canterbury. La dichiarazione di Colombano “è un invito a riflettere sulla necessità di superare i confini, sia nazionali sia teologici”, ha la affermato da parte sue la pastora presbiteriana Alison McDonald, presidente, per parte scozzese, della commissione che ha stilato il documento e ha istruito la sua presentazione all’assemblea generale. “Pur essendo la nostra una Chiesa nazionale — ha concluso— la nostra missione non è limitata al servizio degli scozzesi, ma si inserisce nell’opera di testimonianza resa dai cristiani in ogni parte del mondo”. (L’Osservatore Romano)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 149

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.