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Sommario del 31/05/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: cristiano serve subito e con gioia, non fa la faccia storta

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Se “imparassimo il servizio e ad andare incontro agli altri”, come “cambierebbe il mondo”. È la considerazione con cui Papa Francesco ha concluso l’omelia della Messa del mattino celebrata in Casa S. Marta. Il Papa ha dedicato la sua riflessione alla Madonna, nel giorno conclusivo del Mese mariano. Servizio e incontro, ha detto, fanno sperimentare una “gioia” che “riempie la vita”. Il servizio di Alessandro De Carolis

Coraggio femminile, capacità di andare incontro agli altri, mano tesa in segno di aiuto, sollecitudine. E soprattutto gioia, di quelle che riempiono il cuore e danno alla vita senso e direzione nuovi.

La gioia e la faccia storta
Sono tutti spunti che il Papa rintraccia nel brano del Vangelo che narra della visita di Maria a Santa Elisabetta. Brano che assieme alle parole del Profeta Sofonia nella Prima lettura e di San Paolo nella Seconda disegna, dice Francesco, una liturgia “piena di gioia”, che arriva come una ventata di “aria fresca” a riempire “la nostra vita”:

“Cosa brutta i cristiani con la faccia storta, i cristiani tristi. Cosa brutta, brutta, brutta. Ma non sono pienamente cristiani. Credono di esserlo, ma non lo sono pienamente. Questo è il messaggio cristiano. E in questa atmosfera di gioia, che la liturgia oggi ci dà come un regalo, io vorrei sottolineare soltanto due cose: primo, un atteggiamento; secondo, un fatto. L’atteggiamento è il servizio”.

Le donne coraggio della Chiesa
Un servizio, quello di Maria, che viene svolto senza tentennamenti, osserva il Papa. Maria, dice il Vangelo, “andò in fretta” e questo, rileva Francesco, nonostante fosse incinta e rischiasse lungo la strada di incappare nei briganti. “Questa ragazza di sedici anni, diciassette, non di più”, soggiunge, “era coraggiosa. Si alza e va”, senza scuse:

“Coraggio di donna. Le donne coraggiose che ci sono nella Chiesa: sono come la Madonna. Queste donne che portano avanti la famiglia, queste donne che portano avanti l’educazione dei figli, che affrontano tante avversità, tanto dolore, che curano gli ammalati… Coraggiose: si alzano e servono, servono. Il servizio è segno cristiano. Chi non vive per servire, non serve per vivere. Servizio nella gioia, questo è l’atteggiamento che io vorrei oggi sottolineare. C’è gioia e anche servizio. Sempre per servire”.

L’incontro è un segno cristiano
Il secondo punto sul quale si sofferma il Papa è l’incontro tra Maria e sua cugina. “Queste due donne – evidenzia – si incontrano e si incontrano con gioia”, quel momento è “tutta festa”. Se “noi imparassimo questo, servizio e andare incontro agli altri”, conclude Francesco, “come cambierebbe il mondo":

“L’incontro è un altro segno cristiano. Una persona che dice di essere cristiana e non è capace di andare incontro agli altri, di incontrare gli altri, non è totalmente cristiana. Sia il servizio che l’incontro richiedono di uscire da se stessi: uscire per servire e uscire per incontrare, per abbracciare un’altra persona. È con questo servizio di Maria, con questo incontro, si rinnova la promessa del Signore, si attua nel presente, in quel presente. E proprio il Signore – come abbiamo sentito nella prima Lettura: ‘Il Signore tuo Dio, in mezzo a te” – il Signore è nel servizio, il Signore è nell’incontro”.

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Papa ai detenuti: la misericordia di Dio liberi il vostro cuore

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Profondamente grato e “vicino con la preghiera” a chi compie “sforzi nel difendere la dignità umana di tutti coloro che si trovano in carcere”. Lo scrive Papa Francesco in un messaggio inviato, a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ai cappellani carcerari europei che partecipano al loro incontro in corso al Consiglio d’Europa di Strasburgo fino a domani.

Indulgenza giubilare ai detenuti
Nel ringraziare la Ccee e i promotori dell’incontro, intitolato “Radicalizzazione nelle carceri: una visione pastorale”, Francesco ringrazia in particolare i cappellani carcerari per la cura dei detenuti durante l’Anno della Misericordia. Nel messaggio viene citata la Lettera per la concessione delle indulgenze in occasione del Giubileo, nel passaggio riguardante gli ospiti degli Istituti di pena.

Misericordia, sbarre e libertà
“Nelle cappelle delle carceri – afferma la Lettera – potranno ottenere l’indulgenza, e ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre”. Possa “questo gesto – prosegue la Lettera – significare per loro il passaggio della Porta Santa, perché la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà”.

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Nomine episcopali di Francesco in Corea, Filippine, Usa, Ucraina

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In Corea, Francesco ha nominato Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di Daegu il Rev.do Sacerdote John Bosco Chang Shin-Ho, assegnandogli la sede titolare vescovile di Vescera.

Nelle Filippine, il Papa ha nominato Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di Lingayen-Dagupan il Rev.do Mons. Jose Elmer Imas Mangalinao, del clero della diocesi di Cabanatuan, finora ivi Vicario Generale, assegnandogli la sede titolare vescovile di Urusi.

Negli Usa, il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare di Philaldelphia Mons. Edward M. Deliman, del clero della medesima diocesi, Parroco della Saint Charles Borromeo Parish a Bensalem, assegnandogli la sede titolare vescovile di Sufes.

In Ucraina, il Papa ha nominato Amministratore Apostolico “sede vacante” della diocesi di Kyiv-Zhytomyr S.E. Mons. Vitaliy Skomarovskyi, Vescovo di Lutsk (Ucraina).

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Tweet Papa: mi unisco alle espressioni di devozione a Maria

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“Al termine del mese di maggio, mi unisco spiritualmente alle tante espressioni di devozione a Maria Santissima”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex, in 9 lingue.

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Fao. Card. Tagle: sprechi alimentari, ingiustizia per i poveri

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“Assicurare che i frutti del lavoro umano non vadano perduti è una questione di giustizia”, così il cardinale Luis Antonio Tagle, presidente della Caritas Internationalis, intervenuto ieri pomeriggio al Consiglio della Fao riunito a Roma per dibattere su come ridurre la perdita di alimenti. “Una sfida delle sfide più importanti” per "garantire la sicurezza alimentare”, ha sottolineato mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede, che ha promosso l’incontro insieme alla rappresentanza dell’Iran presso la Fao. Il servizio di Roberta Gisotti

Un terzo del cibo prodotto nel mondo si perde o si spreca lungo la filiera alimentare, 1,6 miliardi di tonnellate di alimenti sottratti a chi nel mondo soffre la fame. Il 40% avviene nelle fasi di post-raccolta e lavorazione nei Paesi in via di sviluppo e nella distribuzione o per mano dei consumatori nei Paesi industrializzati. La soluzione a questa ingiustizia non è solo una questione tecnica, ha spiegato il cardinale arcivescovo di Manila, Luis Antonio Tagle:

R. – Un problema così grande come la fame, come la distribuzione degli alimenti non è un problema tecnico solamente: è una crisi umana! E’ per questo che si deve cambiare la prospettiva, passando da una prospettiva puramente tecnica allo sviluppo integrale della persona umana e anche della società. Lo spirito di questo intervento è la solidarietà, la comunione del bene comune. Purtroppo, quanto l’approccio è puramente tecnico, il mercato e il profitto sono più importanti.

D. – Si dice spesso che sia il mercato che comanda su tutto. Ecco, come sovvertire questa logica? Devono essere i governi, devono essere i popoli, deve essere la società civile?

R. – Sì, questo è però un processo di conversione e proprio per questa ragione è molto difficile, perché ogni persona è il governo. Ogni famiglia deve fare un esame di coscienza: “Quali valori operano nella nostra vita?”. Papa Francesco ha già detto che il cibo scartato è un cibo rubato ai poveri. E’ vero, perché nella nostra cultura di scarto non soltanto il cibo, ma anche l’acqua, i vestiti e valori sono scartati e il bene degli altri non entra nella coscienza.

D. – E’ molto importante questo incontro promosso dalla Santa Sede insieme all’Iran. Ed è anche molto importante che la Chiesa possa entrare in dialogo con le istituzioni politiche?

R. – Sì, sì! E’ molto importante, ma non come un attore politico, ma come coscienza. Noi abbiamo i tesori dalla Parola di Dio, dalla grande tradizione cristiana e anche dalla Dottrina Sociale della Chiesa. Per me, è una grande gioia questo incontro con la Santa Sede e l’Iran: è anche una testimonianza per il mondo, per il mondo diplomatico e anche per il mondo della vita quotidiana e delle persone ordinarie. Quando si tratta di una questione di cibo, di fame, tutti noi – in questo mondo comune – dobbiamo lavorare insieme, musulmani, buddisti, induisti, cattolici e cristiani, perché la vittima della fame è una persona umana.

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P. Chagas: entusiasmo e impegno per la Gmg di Cracovia

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Saranno ben 183 i Paesi del mondo rappresentati alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia, dove Papa Francesco si recherà il prossimo 28 luglio. A due mesi dal grande evento nella terra dell’ideatore delle Gmg, San Giovanni Paolo II, Silvonei Protz ha chiesto di fare un punto sull’organizzazione a padre João Chagas responsabile della Sezione giovani del Pontificio Consiglio per i Laici e tra gli organizzatori della Gmg: 

R. – Sono stato in Polonia circa dieci giorni fa. Lì, quello che si vede è una preparazione intensa. Tu vai lì, al "Campus Misericordiae", questo campo dove si svolgeranno gli eventi del week-end, la veglia con il Santo Padre e anche la Messa finale: lì sono in corso lavori intensi. Fanno veramente un buon lavoro, in grande sintonia tra la Chiesa che prepara l’evento, anche con il sostegno delle autorità pubbliche, e un tempo anche in cui il terreno, i campi si stanno preparando. Nei giorni in cui io ero a Cracovia, era appena arrivata la Croce della Gmg dopo aver peregrinato attraverso i Paesi dell’Est europeo e per tutta la Polonia: è arrivata, finalmente, a Cracovia e la croce e l’icona di Maria Salus Populi Romani segnano questa preparazione ultima, degli ultimi due mesi, prima della Gmg di Cracovia.

D. – Si parla di due milioni di giovani in una città che non arriva a un milione di abitanti: perciò sarebbe il doppio…

R. – Quello che noi non possiamo fare, e dove vedo invece che i polacchi sono a buon punto, è che non possiamo sottovalutare la sfida e loro non la sottovalutano. Sono consapevoli della sfida e la stanno affrontando. Di recente, ho visto anche nel sito della Gmg gli accordi che hanno preso con la rete ferroviaria: sono molto consapevoli delle sfide e si stanno preparando per affrontarle. Ovviamente, tutti coloro che andranno alla Gmg devono andare in spirito di pellegrinaggio: non sto andando in crociera; è un’avventura che ha anche le sue sfide. Ci saranno i momenti di stanchezza, ci saranno i momenti – anche – in cui non ci saranno tutte le comodità che ho a casa mia… Però, di solito sono questi i momenti che i giovani ricordano di più: il fatto di aver superato le sfide. Perché questo fa vedere anche il valore della nostra gioventù. Di solito, coloro che si lamentano di più nelle Gmg non sono i giovani: sono i responsabili, perché ovviamente loro hanno tutta la responsabilità, cercano di dare il meglio ai giovani… Però, i giovani in generale non sono coloro che si lamentano di più. E questo ci insegna tanto.

D. – Abbiamo all’attenzione, in questo periodo, anche la questione della sicurezza…

R. – Il Comitato di organizzazione della Gmg e anche i Servizi di sicurezza polacchi prendono tutte le misure necessarie, così come si fa anche nei grandi eventi.Vediamo che i polacchi sono attentissimi a questo, non possiamo in nessun momento mettere in dubbio questa capacità loro di prendere tutte le misure necessarie.

D. – Non soltanto i giovani polacchi aspettano Francesco, ma tutta la Polonia. Quale Polonia troverà il Papa?

R. – Una Polonia che nel contesto europeo ci presenta anche una fede popolare, una fede di popolo molto radicata e molto presente. Tu vai nelle chiese in Polonia, anche per le Messe feriali: c’è tanta gente. Dov’è che vediamo questo, oggi? E allora, si vede che è un Paese che, nonostante viva il suo processo di secolarizzazione, è però un Paese in cui si trova ancora una fede molto viva, una gioventù ancora molto presente e che partecipa tanto, ancora, della vita della Chiesa.

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Oggi in Primo Piano



Siria: bombe su ospedale di Idlib, almeno 27 i morti

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In Iraq e Siria si sta sviluppando la massiccia controffensiva degli eserciti locali contro il sedicente Stato Islamico coinvolgendo anche la popolazione civile. Nella città siriana di Idlib sono morte almeno 27 persone, tra cui anche bambini, sotto i raid delle forze aree russe in un ospedale della città. A denunciarlo è l’Osservatorio nazionale siriano per i diritti umani. Intanto in Iraq continuano gli scontri tra l’esercito e i combattenti dell’Is per il controllo sulla roccaforte jihadista. Il servizio di Daniele Gargagliano

L'aviazione russa avrebbe usato bombe a grappolo nei suoi ultimi attacchi a Idlib, dove nelle scorse ore sono stati colpiti due ospedali, con un bilancio che parla di oltre 25 morti e di 200 feriti, per la maggior parte donne e bambini. A denunciarlo sono gli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani che hanno rivelato come tra gli obiettivi dei raid russi ci fossero anche l'ospedale nazionale e quello di 'Avicenna'. L’aviazione russa, secondo gli attivisti, avrebbe concorso all’uccisione di 2100 civile negli ultimi 8 mesi: di cui 500 erano bambini. Accuse respinte al mittente dal ministero della Difesa russo che smentisce gli attacchi aerei sul nosocomio di Idlib. “Chiediamo di trattare più criticamente qualsiasi storia terribile”, hanno fatto sapere fonti ufficiali del ministero.

Intanto sull’altro fronte, quello iracheno, continua la battaglia per liberare Falluja dai combattenti del sedicente Stato islamico. Quattro ore di scontri con l’esercito regolare nella parte Sud della città i militanti hanno usato tunnel, cecchini e autobombe nell'assalto lanciato ma sono stati fermati prima di raggiungere il loro obiettivo. Intanto il Patriarca caldeo Louis Sako ha lanciato un appello per la riconciliazione e la pace nella regione in occasione dell'Anno giubilare della Misericordia e del Ramadan, il mese sacro di digiuno e preghiera islamico.

Sui conflitti in corso in Siria ed Iraq il commento del ricercatore del Cesi, Gabriele Iacovino

R. – In questo momento le forze russe stanno cercando di supportare le operazioni terrestri dell’esercito lealista siriano contro gli insorti, soprattutto nella regione Nord. Se da una parte la strategia russa è chiara ed è cioè quella di sostenere il regime di Assad, dall’altra utilizza dei metodi poco ortodossi se vogliamo: quelli cioè di andare a colpire indiscriminatamente sia le milizie che combattono contro il regime, sia i civili che rimangono intrappolati in questa guerra civile, che tormenta il Paese da ormai troppo tempo. Dall’altra parte, abbiamo visto - negli ultimi giorni - come anche l’impegno americano sia incrementato in Siria a supporto di fazioni che sono, più o meno, contro il regime… Lo scacchiere siriano si sta ancora di più complicando e quello che sembrava in passato un tentativo di cercare di risolvere la crisi attraverso un negoziato, sembra sempre più lontano.

D. – L’Osservatorio siriano per i diritti umani denuncia la violazione degli accordi alle risoluzioni da parte delle forze russe…

R. – Sono di fatto dei metodi militari che non corrispondono a tutta la dottrina di diritto internazionale che dovrebbe – appunto – regolare i conflitti. Questo perché la guerra siriana è, sempre di più, una guerra in cui tutti i mezzi sono leciti per cercare di far prevalere la propria posizione rispetto a quella dell’avversario. In questo senso non aiuta un immobilismo della Comunità internazionale, che – volente o nolente – non riesce a trovare un filo conduttore per portare avanti un processo di dialogo compiuto. Anche perché l’opposizione al regime di Assad è così sfaccettata, così divisa anche al proprio interno e caratterizzata da diverse problematiche, come la presenza di gruppi jihadisti, che è difficile cercare un reale negoziato.

D. – Intanto il presidente turco Erdogan attacca la Russia, accusandola di aver inviato armi al Pkk…

R. – In questo scenario così complesso della crisi siriana, c’è anche l’incognita curda che viene utilizzata da alcuni attori piuttosto che da altri, per portare avanti le proprie istanze. I turchi sono sempre attenti affinché le posizioni curde non vengano troppo rafforzate. Tutto questo può andare a complicare ulteriormente la crisi perché, in questo momento, sì c’è una lotta tra il regime e l’opposizione, ma nel momento in cui una posizione prevarrà sull’altra ci sarà poi la questione curda da risolvere, che è un ulteriore punto interrogativo sul futuro del Paese.

D. – A proposito di curdi, parliamo di Iraq: le forze curde sono in espansione e stanno cingendo l’assedio, assieme all’esercito iracheno, a Falluja; ma sono anche spinte a Mosul e continua la battaglia: quale ruolo potranno avere?

R. – Soprattutto per la battaglia di Mosul, un ruolo importante perché di fatto Mosul è sempre stato il confine tra l’autorità curda e l’autorità del governo centrale di Baghdad. Quindi anche la ripresa, la futura possibile ripresa di Mosul sarà un ulteriore probabile territorio se non di scontro, comunque di frizione tra Erbil, la capitale curda, e Baghdad, la capitale irachena. Anche per questo, in questo momento, l’avanzata irachena contro il sedicente Stato Islamico a Mosul è, in un qualche modo, messa in stand-by: il governo centrale non vuole che l’avanzata sia condotta dai peshmerga, dalle truppe curde, ma vuole aspettare che il proprio esercito sia pronto per intraprendere una operazione così difficile.

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Amnesty: oltre un milione di sfollati dimenticati in Afghanistan

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Di guerre si parla soprattutto in termini di scontri armati, di morti e feriti e di negoziati di pace che falliscono. E’ il caso della guerra che insanguina l’Afghanistan, Paese tormentato dalla nascita della prima Repubblica nel 1973 all’abbandono nel 1989 dell’Unione Sovietica, che lo aveva invaso 10 anni prima, all’intervento nel 2001 degli Stati Uniti a capo di una coalizione internazionale per debellare il regime dei Talebani - ad oggi, senza mai ritrovare stabilità politica. Protagonisti involontari di questo dramma sono le persone che fuggono da insicurezza e violenza, come evidenzia un rapporto diffuso oggi a Kabul da Amnesty International. Roberta Gisotti ha intervistato Riccardo Noury, portavoce in Italia dell'organismo umanitario: 

R. – Violenza e instabilità che, negli ultimi tre anni, hanno più che raddoppiato il numero dei profughi interni: erano mezzo milione nel 2013 e quest’anno abbiamo registrato un totale di un milione e 200 mila, che vivono in condizioni miserevoli, dimenticati da tutti, in una situazione – quella complessiva dell’Afghanistan – che sembra essere sempre meno prioritaria per la comunità internazionale.

D. – Sappiamo, poi, che un numero rilevante è fuggito all’estero…

R. – Si calcola che siano 2 milioni e 600 mila gli afghani che vivono oltre confine: molti di loro vivono in Iran, altri – quelli che riescono ad arrivare ad ottenere asilo – trovano riparo in Europa, ma sono piccoli numeri. Sommati con il milione e 200 mila di profughi interni abbiamo quasi 4 milioni di afghani che non sono più nelle loro case, con prospettive di futuro decisamente scarse.

D. – Lei ha detto che sembra non interessare più la situazione di questo Paese alla comunità internazionale. Qual è l’ipotesi?

R. – Certamente la comunità internazionale, al di là degli aiuti economici che sono stati dati, non è sembrata preoccuparsi dei gruppi più vulnerabili. Penso a quante volte durante i negoziati tra il governo afghano e i talebani è stata usata proprio la condizione delle donne come merce di scambio: la pace in cambio di un ruolo sempre più subordinato delle donne. Per quanto riguarda i profughi interni, c’è la sensazione che essi siano abbandonati a loro stessi. Il governo di Kabul - nel 2014 - aveva adottato un piano nazionale per i profughi interni, salutato con grande entusiasmo dalla comunità internazionale: un piano che è fallito anche a causa della corruzione, ma che è fallito nei suoi obiettivi di dare un lavoro, di dare istruzione a tutti. Oggi nelle città afghane troviamo bambini che mendicano per trovare qualcosa di cui sopravvivere e tornare la sera con quei pochi spiccioli nel campo profughi…

D. – Non bisogna stancarsi di denunciare realtà che sono proprio all’ordine del giorno, anche se lontane…

R. – Oggi pare che l’unico obiettivo sia quello di assicurare il fatto che l’Afghanistan abbia una sua stabilità e non costituisca una minaccia per l’esterno. Il problema è, invece, la minaccia che continua a incombere su questo milione e 200 mila profughi interni, a cui dobbiamo aggiungere quei 2 milioni e 600 mila che stanno all’estero e che vorrebbero tornare nel Paese, ma che non ci trovano le condizioni per poter tornare.

D. – Forse l’alleanza tra organizzazioni umanitarie che lavorano sul campo e media dovrebbe essere più forte?

R. – Sì, perché quando si fa conoscere un dramma dopo l’altro di questi ‘dimenticati’ in parti di mondo che sono una ‘periferia buia’ si ottiene già un risultato… Certo, l’idea che alla fine siano gli organismi per i diritti umani e i mezzi di informazione a dover assumere l’onore di dover risolvere una situazione, dopo averla portata alla luce, questo sarebbe veramente eccessivo!

D. – Intendevo più forte per fare le giuste pressioni sulla politica, che dovrebbe essere al servizio dei popoli…

R. – Sì, queste sono pressioni che è importante fare e per questo naturalmente il ruolo dell’informazione è rilevante, così come quello delle tante organizzazioni per i diritti umani, anche quelle locali, quelle afghane, quelle partner di Amnesty International, che sono poi quelle che vanno incontro ai bisogni fondamentali come cibo, acqua da parte dei profughi.

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Nel mondo 46 milioni di schiavi moderni, 18 in India

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46 milioni: è il numero di schiavi moderni nel mondo rilevato dal Global Slavery Index, elaborato dalla Organizzazione non governativa australiana, Walk Free Foundation. Francesca Sabatinelli: 

Lavoratori forzati, costretti ad elemosinare, a prostituirsi, ad arruolarsi anche se minorenni. Sono 45,8 milioni gli schiavi nel mondo, come riportato dal Global Slavery Index, un report che mette in cima alla classifica dei Paesi con il maggior numero di schiavi moderni India, Cina, Pakistan, Bangladesh e Uzbekistan. Con la posizione dell’India che varia, a seconda che si prenda il numero di schiavi in relazione alla percentuale di popolazione, e in questo caso troviamo in prima posizione la Corea del Nord, seguita da Uzbekistan e Cambogia, oppure in relazione al numero assoluto di persone coinvolte nel drammatico fenomeno, ed è qui che l’India, con i suoi 18 milioni,  guadagna il primo posto, tenendo presente anche che – spiega Grace Forrest, una delle fondatrici della ong – in India “esistono tutte le forme di moderna schiavitù, compresi il lavoro coatto inter-generazionale e quello dei bambini, lo sfruttamento sessuale, l'obbligo di mendicare, il reclutamento in movimenti armati irregolari, ed i matrimoni forzati di donne e bambine". Quantificare il numero reale dei cosiddetti nuovi schiavi nel mondo resta comunque molto difficile, come spiega Chiara Cattaneo, Program manager della campagna di Manitese, contro la schiavitù moderna, “I Exist”:

R. – E’ un fenomeno sommerso, ovviamente, e quindi difficilmente quantificabile, per due ragioni principali: la prima è che non tutti gli Stati adottano le stesse rilevazioni e le raccolgono nello stesso modo e quindi abbiamo dati discrepanti; la seconda è che la raccolta di questi dati, per quanto riguarda soprattutto le agenzie delle Nazioni Unite e le fonti degli Stati, si basa su una legislazione che data oltre 50 anni fa. Nonostante sia stata poi nel tempo aggiornata, è una legislazione che fatica a stare al passo con la situazione attuale.

D. – Viene specificato che si tratta di schiavi moderni. Cosa significa?

R. – Significa, innanzitutto, lavoro forzato, come vediamo anche in alcuni dei Paesi che emergono con forza dal Report, in alcuni dei quali il lavoro forzato è imposto dallo Stato,  come nel caso della Corea del Nord. Significa lavoro minorile, significa trafficking, quindi sfruttamento delle vittime di trafficking in primis per sfruttamento sessuale. La cosa interessante di questo Report, al di là dei numeri, mi sembra sia lo sforzo che fa per misurare quella che chiamano la vulnerabilità, che è sicuramente un punto che trova concordi tutte le varie organizzazioni che si occupano di schiavitù moderna. La vulnerabilità, quindi, prima di tutto dettata dalla povertà, dalle condizioni politiche, dalla questione del genere. Ci sono categorie di popolazione molto più vulnerabili, che sono le donne e i minori.

D. – Il Rapporto sottolinea il fatto che sia l’India a detenere il titolo di Paese leader mondiale della schiavitù moderna...

R. – In realtà, il trend che viene evidenziato, sia in questo Report che nei Report precedenti, è un trend in diminuzione. L’India sta facendo molto per affrontare questo problema. La prevalenza è in aumento, nel senso che il numero assoluto aumenta, ma la percentuale di persone schiave sul totale della popolazione è in diminuzione. Ovviamente ragioniamo su grandissimi numeri, quindi è un problema che l’India sta cercando di affrontare da diversi angoli. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un nettissimo progresso sulla legislazione dedicata all’istruzione. Riconoscono, quindi, che mantenere i bambini a scuola è un fattore chiave per affrontare, ad esempio, il lavoro minorile. Il dato ha molto impatto (18 milioni di schiavi ndr), ma bisogna inserirlo in un trend che è comunque in diminuzione.

D. – Qual è la situazione che più vi preoccupa?

R. – Più che identificare un singolo Paese, la cosa che più ci preoccupa è quando questo diventa sistema. All’interno del nostro programma, abbiamo identificato tre macro manifestazioni della schiavitù moderna, che sono lo sfruttamento del lavoro minorile, il trafficking, quindi il traffico di esseri umani, e lo sfruttamento del lavoro nelle filiere, quindi nelle attività produttive. Quello che ci preoccupa è che queste forme di schiavitù vengano messe a sistema, quindi che entrino a far parte del sistema di produzione, del sistema di consumo, del sistema “normale”. La nostra preoccupazione è che venga affrontata questa chiave di sistema e che si facciano degli sforzi perché a cambiare sia il sistema, nel suo complesso. Quello che invitiamo a fare è una riflessione anche su quanto i nostri beni di consumo quotidiano possano essere frutto del lavoro schiavo e quindi invitiamo pure ad una maggiore consapevolezza dei cittadini, dei consumatori, parallelamente ovviamente degli Stati e degli attori economici, che devono fare in modo che nelle loro catene di produzione non venga sfruttato il lavoro schiavo. Sembra una cosa distante da noi, perché abbiamo parlato appunto di India, Cambogia e Corea del Nord. In realtà, però, buona parte di questo lavoro schiavo va poi a produrre beni che per noi sono beni quotidiani. E’ un fenomeno, dunque, da cui l’Italia non è completamente esente:  dallo sfruttamento della prostituzione minorile ai pomodori che vengono coltivati nei nostri campi con il lavoro schiavo, ai gamberetti, al pesce che viene pescato con il lavoro schiavo nel Sud-Est asiatico. La cosa importante, quindi, è non relegare questo fenomeno ad un mondo distante da noi, completamente estraneo a noi.

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Uccisione Sara. Parsi: delitto che chiede serio cambiamento

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“Non sopportavo che fosse finita”: si sarebbe "difeso" così Vincenzo Paduano, dopo aver confessato il barbaro omicidio a Roma di Sara Di Pietrantonio, la sua giovane ex fidanzata. Un delitto che lascia sgomenti per la violenza e la determinazione e dimostra, ancora una volta, l’immaturità di un uomo di fronte al fallimento di una relazione, immaturità che si trasforma in rabbia, frustrazione e, in un numero di casi rilevante, vendetta fino all’omicidio. Sentiamo, al microfono di Adriana Masotti la scrittrice, psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi

R. – Sono miliardi di anni, dacché ci sono culture e civiltà, che le donne patiscono queste persecuzioni; è che però adesso queste persecuzioni non possono più essere perpetrate: non si può più, non si deve più! Noi siamo arrivati a un punto decisivo sulle leggi, sui diritti umani, sulla legalità dal quale non si può tornare indietro. Invece, questi delitti – giustificati dal fatto: “Mi voleva lasciare, sono impazzito di dolore” – questi tipi di violenze, vanno denunciati, vanno limitati e vanno penalizzati. Sono persone che intanto devono espiare quello che hanno fatto, comprendendo le ragioni per cui l’hanno fatto, e poi devono essere curate. Quindi, un’assoluta severità per queste situazioni: abbiamo avuto, fino a 40 anni fa, il delitto d’onore! Da miliardi di anni, gli uomini non accettano il rifiuto da parte delle donne; soprattutto la perdita del controllo sui loro corpi, sulla loro sessualità: bisogna che i maschi riflettano su questa loro fragilità e si comportino di conseguenza, non abusando del potere.

D. – Immagino che qualcosa si potrebbe fare per cambiare: sul piano educativo, culturale …

R. – Io credo che da sempre le donne abbiano tentato una strada per esprimersi. Negli ultimi 100 anni, di più, lottando per i loro diritti. E poi ci sono tanti uomini di buona volontà che questo lo sanno benissimo, perché le donne le amano. Ecco, da quel maschilismo maligno, da quel narcisismo maligno gli uomini e le donne si possono riscattare unendo le loro forze per considerarsi paritari nei rapporti rispetto alla legge, rispetto alla vita. E con la considerazione, però, che le donne meritano – proprio perché danno vita alle forme della vita – un’attenzione particolare, e non in nome di una fragilità falsamente intesa, ma in nome di una possibilità: quella di mettere al mondo dei figli. Non solo come madri, ma anche come persone capaci di dare vita a tanti pensieri, a tante idee, così come fanno gli uomini.

D. – Alle ragazze, all’inizio di una relazione, che cosa possiamo consigliare? Per esempio a riconoscere i segnali di un’eventuale violenza …

R. – Indubbiamente, fare attenzione a questi segnali: quando vengono picchiate, quando vengono insultate, quando c’è una gelosia e una possessività. Queste sono figure da evitare immediatamente. E’ molto importante per le donne, soprattutto, capire bene che tipo di scelte sono disposte a fare e che tipo di contesto culturale c’è ancora, nel nostro Paese.

D. – Si dice spesso che la donna deve chiedere aiuto subito, in caso di necessità, non sperare che l’altro cambi. Ma è sufficiente, poi, l’aiuto che ricevono?

R. – No! Ricevono consigli inversi: “Se lo denuncia lo rovina”, “Faccia attenzione”, “E’ proprio convinta di farlo?” … Poi si incomincia a fare una serie di cose per cui vieni contro-denunciata quindi devi dimostrare che sei stata perseguitata… No. Io penso che si debba cambiare, collegarsi con le associazioni delle donne, parlare con donne che hanno avuto queste esperienze, mettersi in rete: il “Telefono rosa” … ci sono delle realtà con le quali si può lavorare. Quando c’è un problema di questo genere, oltre che alla famiglia, oltre che alle forze di polizia – alle quali andrebbe fatto un cambiamento – è importante rivolgersi a realtà che tutelano le donne e operano su tutto il territorio nazionale: almeno c’è una forza maggiore.

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Almaviva: accordo raggiunto, salvi tremila lavoratori

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Accordo raggiunto al Ministero dello Sviluppo italiano sulla vertenza "Almaviva Contact". Salvati dal licenziamento circa tremila lavoratori dell’azienda di call center. Previsto l'utilizzo di 18 mesi di ammortizzatori sociali, con sei mesi di contratti di solidarietà e poi Cig straordinaria per un anno. Confermati i siti logistici di Napoli e Palermo. Soddisfazione dal governo. Una buona notizia anche secondo le parti sociali, che però annunciano: la battaglia continua. Paolo Ondarza

E’ stata una lunga notte di trattativa al Ministero dello sviluppo quella che ha portato, all’alba dopo 17 ore, all’accordo su Almaviva e a evitare così circa tremila licenziamenti. L’intesa è arrivata in extremis visto che tra cinque giorni sarebbero partite le lettere di licenziamento, dopo lo scadere oggi dei contratti di solidarietà in vigore da quattro. Grande soddisfazione dai sindacati, che ora lanciano al governo la sfida della regolamentazione dei call center e del contrasto alle delocalizzazioni. Il segretario generale della Fistel Cisl, Vito Vitale:

R. – La trattativa mette in sicurezza i 3 mila licenziamenti e quindi non dobbiamo preoccuparci in modo immediato di questo tema. Questi lavoratori sono da quattro anni in contratto di solidarietà, con punte che hanno raggiunto il 45 per cento della riduzione dei loro salari e io sfido chiunque che prende uno stipendio di circa 7-800 euro a vivere così per quattro anni… E’ gente con famiglia; sono uomini e donne che hanno una età avanzata e che sicuramente, perdendo questo lavoro, sarebbero stati espulsi totalmente dal mercato del lavoro. Quindi era una drammaticità unica.

D. – Oggi questi 3 lavoratori potranno finalmente tirare un sospiro di sollievo…

R. – Un sospiro di sollievo che noi dobbiamo cercare di portare un po’ a lungo nel tempo e in cui ognuno deve fare la propria parte. Il governo deve mettere in piedi elementi di controllo che danno una condizione di ripresa del lavoro dei Call Center già attuando l’art. 24 bis, sulle delocalizzazioni e togliendo dal sistema albanese, che non fa parte dell’Unione Europea, tutto quel lavoro - e sono tra i 9 mila e i 10 mila unità - che viene sottratto all’Italia .

D. – Lei dice: non ci saranno in modo immediato i licenziamenti. Vale a dire che potrebbe, comunque, riaffacciarsi questa minaccia?

R. – Guardi, nel mondo nel lavoro – soprattutto nei call center – se non diamo delle regole ben precise al settore nei comportamenti sia dei committenti, sia istituzionali, sia anche di natura sindacale, rischiamo che i temi ritornino sempre a bomba. Fondamentale è una grande azione ispettiva da parte degli enti preposti a togliere di mezzo qualsiasi call center che non abbia le caratteristiche legali…

D. – E ce ne sono molti?

R. – Ma tantissimi, tantissimi sottoscala: con pochi euro mettono a lavorare la gente che ha bisogno e che accetta qualsiasi proposta pur di portare a casa qualche soldino per vivere…

D. – Le proposte di regolamentazione saranno affrontate al Tavolo previsto al Mise il prossimo 17 giugno…

R. – Non credo che il 17 giugno troveremo tutte le soluzioni. Adesso abbiamo 18 mesi a disposizione – di cui 6 di Cds (Contratto di solidarietà) e 12 di cassa integrazione – che mettono in sicurezza i tremila licenziamenti. Ma questi 18 mesi non è che servono a dire che ormai abbiamo superato il problema: no! La battaglia continua e deve continuare con più attenzione.

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Veglia a Forcella. Card. Sepe: il futuro è responsabilità

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Un appello a non voltare lo sguardo davanti alla violenza e allo spargimento di sangue che sta distruggendo la città di Napoli e dire sì al rispetto della vita. E’ questo l’invito del cardinale Crescenzio Sepe rivolto a credenti e non credenti, a partecipare alla veglia mariana a cui farà seguito una marcia che partirà da Forcella e arriverà alla Cattedrale. Un modo per far sentire la voce vera di Napoli, che è anche e soprattutto gioia di vivere e accoglienza, ricordando che "il futuro della città è resposnabilità di cittadini e istituzioni" come nota il cardinale Sepe. Al microfono di Valentina Onori l' arcivescovo di Napoli ha parlato dei problemi più urgenti che vive da anni la Chiesa e la società nella città, tra cui il più grave, la mancanza di lavoro dei giovani reclutati sempre più spesso dalla criminalità organizzata. 

R. – Il motivo è la recrudescenza delle tante violenze che si stanno avendo, soprattutto negli ultimi tempi, dovuta a una forza continua da parte di questi giovani che ormai non hanno più nessun limite di efferatezza nei loro delitti. Di fronte a un fenomeno che cresce sempre di più e che da un’immagine così violenta di una città che invece ha tante di quelle cose belle, di quelle cose positive, noi non possiamo stare a guardare. Di fronte al sangue, di fronte alla sopraffazione, la Chiesa non può tacere, in nome della dignità dell’uomo, in nome di quel Vangelo che invece predica pace, giustizia e fraternità. Anche attraverso questa sensibilizzazione di tutti gli uomini di buona volontà, si possono creare quelle condizioni per mettere un freno a questo aumento della violenza che ormai sembra dominare tutte le cronache di giornali, di radio e di televisione.

D. – Quali sono i problemi della società a Napoli?

R. – La mancanza di lavoro. Questi ragazzi che non vanno più a scuola, questi ragazzi che non riescono a trovare un lavoro che in qualche maniera li occupi e li soddisfi, è chiaro che poi si buttano nelle mani di queste organizzazioni malavitose e diventano feroci nel cercare di dominare, nel cercare anche di appropriarsi dei territori.

D. – Quali sono le iniziative e le proposte che la Chiesa fa, proprio per superare questi problemi?

R. – Le nostre armi per combattere queste situazioni sono nella preghiera. Però, non è che ci ripariamo, ci mettiamo dietro al muro della preghiera e diciamo: “Vedetevela voi!”. Scendiamo in campo attraverso tanti progetti. Ad esempio, il progetto degli oratori con i quali cerchiamo di togliere i ragazzi dalla strada; attraverso la fondazione di bande musicali per dare uno strumento ai giovani di un’inclusione in quella che è la vita civile, sociale e culturale della nostra città.

D. – Ultimamente, il problema è diventato più consistente

R. – E’ da impegnarci a tutti i livelli: la Chiesa per quello che può fare, ma anche le varie istituzioni, quelle che sono preposte a risolvere i problemi ideali dei nostri ragazzi, affinché si cerchi di vincere questa realtà così nefanda. Atti concreti, reali, veri: non solo parole, ma la concretizzazione di qualcosa che aiuti a dare un contenuto alle proposte e ai bisogni dei giovani.

D. – Quindi una Chiesa attiva che esce nelle piazze, che esce dalle sagrestie, che è partecipe del tessuto sociale?

R. – Queste realtà sono una parte costitutiva della nostra pastorale sociale; però, quando ci troviamo di fronte a un fenomeno così forte come quello che stiamo vivendo negli ultimi tempi, vogliamo dare anche una risposta concreta, reale.

D. – Napoli ha una situazione molto delicata rispetto alle altre città...

R. – Quando si vive in un momento di crisi – e Napoli viveva questa realtà di crisi da tanto tempo, una crisi nella crisi – è chiaro che il fenomeno qui si sente ancora di più e può causare questa realtà così malavitosa. Però, la stragrande maggioranza dei napoletani presenta anche degli aspetti estremamente belli, positivi: dal punto di vista culturale, sociale ci sono delle eccellenze. Non dobbiamo chiudere gli occhi di fronte al male che esiste, dobbiamo cercare di combatterlo con il bene. Il futuro dipende anche dalla buona volontà dei napoletani che hanno tutte le possibilità e le potenzialità per riscattarsi e per migliorare la propria realtà sociale, religiosa e culturale.

 D. – Lottare – come ha detto lei – contro l’assuefazione, il cinismo, l’indifferenza e, soprattutto, il silenzio: l’iniziativa serve anche per smuovere qualcosa nel senso civico più intimo di ogni cittadino?

 R. – Assolutamente sì! Questa processione diventa indirettamente un aiuto a vivere in maniera sempre più autentica la propria dignità personale. Non si può pensare di risolvere un problema dando solo le pressioni; bisogna andare a monte. Se noi ci impegniamo nel formare, nel responsabilizzare, nel valorizzare quelli che sono i grossi valori che vengono dal Vangelo, da Cristo, dalla Chiesa, possiamo dare un grosso contributo alla nostra comunità.

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Bambino Gesù: nuovo reparto per trapianti midollo e terapie oncologiche

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Da oggi l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, il primo in Europa con 140-150 trapianti annui di midollo, ha un nuovo reparto ad alta tecnologia. 7 posti letto in cui piccoli pazienti di tutto il mondo potranno trovare cura, assistenza, e ricerca specifica per affrontare gravi tumori e malattie genetiche attraverso il trapianto di cellule emopoietiche e le terapie cellulari. Il ministro della Salute Lorenzin ha inaugurato i nuovi spazi e ha incontrato medici e famiglie. C’era per noi Gabriella Ceraso: 

Sette ampie stanze, con un’anticamera, un bagno e uno spazio per i genitori anche con cucina; poi grandi porte affacciate su un corridoio colorato di verde e bianco e tanti animali disegnati un pò ovunque. E’ accogliente il nuovo reparto del Bambin Gesù dedicato ai piccoli affetti da patologie ematologiche, oncologiche e immunologiche che necessitano di trapianto, ma è anche ad alta tecnologia, monitorato e riservato, come una terapia intensiva. Ogni letto ha multiple prese d’aria compressa, aspirazione e ossigeno e l’isolamento ambientale fondamentale, per l’alto rischio infezioni, è garantito da un percorso apposito per i genitori.Franco Locatelli dirige il Dipartimento di Onco-ematologia pediatrica e Medicina trasfusionale

“E’ un reparto che ha alta complessità tecnologica, con tutte le caratteristiche migliori per garantire la sicurezza dei pazienti. L’obiettivo è soprattutto quello di garantire la protezione contro le infezioni di pazienti che nei prima 40 giorni dopo il trapianto, sono profondamente immunodepressi, soprattutto per la tipologia di trapianti che viene realizzata al Bambino Gesù e cioè a dire i trapianti più difficili, più impegnativi e più complicati, impiegando come donatore uno dei due genitori uguale solo per metà dal punto di vista immunogenetico con i pazienti”.

Qui si usano le cellule staminali emopoietiche, prese dal sangue periferico, dal midollo o dal cordone ombelicale e si fa ricerca d’eccellenza tanto che entro il 2016 si prevede una nuova cura per la talassemia, e, con cellule linfocitarie geneticamente modificate un protocllo per i tumori più gravi. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin:

“Qui si stanno facendo delle sperimentazioni cliniche importantissime, dalla ricerca di base alla ricerca applicata, con dei risultati straordinari a livello mondiale. I nuovi trials si faranno qui, negli Stati Uniti e forse in un'altra struttura nel mondo. Un progresso scientifico che ci sta portando guarigione fino al 90 per cento.

Abbracciando famiglie e bambini il ministro ha ricordato quanto tutto il sistema creato da volontari infermieri medici e ricercatori al Bambino Gesù abbia a cuore la persona nel suo insieme fisico e psichico, individuale e famigliare, in un approccio a 360 gradi, unico. Anche per questo qui arrivano pazienti da tutto il mondo. Lo racconta anche il prof Franco Locatelli:

“In Italia, ogni anno, vengono realizzati 550 trapianti e un quarto di questi vengono realizzati al Bambino Gesù: quindi il 25 per cento abbondante. Al Bambino Gesù vengono trattati non solo bambini del Lazio, ma anche bambini provenienti da altre regioni italiane e soprattutto da Paesi meno fortunati dell’Italia - sia dall’Ucraina, sia dalla Macedonia, sia dal Libano. - mettendo sempre e comunque a disposizione 24 ore al giorno un mediatore culturale per far sì che ogni esigenza, ogni istanza dei genitori venga prontamente portata alla nostra attenzione”.

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Via Francigena: aumentano risorse e pellegrini

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Valorizzare cammini storici, di fede e di natura. E’ questa la finalità del Festival europeo “Via Francigena Collective Project 2016”, presentato stamani a Roma. Su questa iniziativa, promossa dall’Associazione Europea delle Vie Francigene e dall’Associazione Civita, il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Nell’edizione del 2016 sono oltre 700 le iniziative legate al Festival e più di 300 gli enti promotori. Questa sesta edizione si concluderà il prossimo 20 novembre, giorno in cui terminerà il Giubileo della Misericordia. Alla rassegna partecipano tra gli altri l’Unione Nazionale delle Pro Loco italiane e l’Opera Romana Pellegrinaggi che promuove il “Cammino della Pace da Betlemme a Gerusalemme”. Il Festival è un occasione per riscoprire attraverso la Via Francigena, la più estesa infrastruttura culturale e relazionale d’Europa, paesaggi di straordinaria bellezza e attrattiva. La Via Francigena è infatti la spina dorsale di un cammino spirituale secolare, ma è anche una delle leve privilegiate di un turismo alternativo. L'antica Via, che nel Medioevo univa Canterbury a Roma, è stata riscoperta dai moderni pellegrini. Negli ultimi anni migliaia di persone hanno cominciato il loro cammino da Canterbury a Roma, alcuni decidendo di proseguire il loro percorso fino a Gerusalemme. In occasione del Giubileo della Misericordia è cresciuto il numero di pellegrini che hanno percorso questo cammino millenario.

Il Festival europeo della via Francigena, giunto alla sesta edizione, valorizza dunque questo straordinario patrimonio culturale e di fede attraverso un ricco programma di iniziative. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco il direttore artistico del Festival, Sandro Polci

R. - A  volte sono piccoli eventi, a volte molto grandi, ma sono tutti legati dagli stessi valori di spiritualità e in molti casi religiosi, di valorizzazione dei territori. Tutto questo fa vedere che ci sono modelli di crescita, di sviluppo e di vita nuovi che possono aver un futuro stabile, ottimistico e positivo per il nostro Paese. Proprio in un momento in cui sembra prevalere il pessimismo, si ritorna alle parole di Papa Francesco, alla qualità dei luoghi nel cui rispetto si trova una regola e una molla per poter fare ancora meglio. Poi, diciamolo: la Via Francigena è aniticiclica, porta le persone a camminare, crea microeconomie turistiche proprio nelle stagioni e nei luoghi più desueti. Tutto questo fa del fatto turistico un’espressione molto più completa e compiuta, dunque economicamente importante.

D. - I modelli di crescita sono incastonati in questo itinerario di fede e cultura che può essere anche percorso riflettendo sulle parole nell’Enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco…

R. - È un punto di partenza e un punto di sintesi perché non c’è conflitto tra chi crea buona economia nei luoghi utilizzando le parole della condivisione e cercando di essere anello di una catena e non di mettere il cappello a qualcosa. Ecco perché il Festival gode di più 700 adesioni: ognuno si sente rispettato nella propria capacità di proposta.

D. - Ci sono anche molte iniziative; ce ne sono alcune in particolare che vogliamo ricordare …

R. - Una giovane coppia che si sposa e che crea visite guidate in un piccolo borgo rurale, fino a itinerari di pellegrinaggio come da Macerata a Loreto con centomila persone che dal tramonto all’alba con le parole del Papa al momento della partenza camminano insieme. C’è poi il numero zero di un’idea alla quale tengo personalmente molto e che l’anno prossimo diventerà europea che quest’anno sperimentiamo con il senese: la Notte Bianca degli ostelli in occasione della chiusura del Giubileo. Durante questa iniziativa, il 20 novembre, tutti potranno essere ospitati gratuitamente prestando una piccola opera. Un segno di misericordia, di ospitalità, di futuro e anche di economia buona.

Il governo italiano ha stanziato, nell’ambito del Piano Strategico Turismo e Cultura, un miliardo di euro del Fondo Sviluppo e Coesione 2014 – 2020. Oltre 60 milioni, di cui più di 20 per la Via Francigena, sono destinati alla valorizzazione di cammini religiosi e di tracciati storici. Su questo impegno si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, il sottosegretario al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Antimo Cesaro: 

R. – Il Ministero pone grande attenzione ai cammini, che rappresentano un turismo di qualità e che, oltre alla fruizione turistica, rappresentano un’esperienza di vita, distinguendo tra il percorso del pellegrino e quello del turista. Entrambi sono aspetti che possono convergere. Non necessariamente devono convergere, ma sono entrambi interessanti per il nostro Ministero, che punta ad una fruizione di qualità dei nostri beni culturali. Tutto questo, però, deve essere messo a sistema. Il tema è come conciliare la ricchezza straordinaria dei cammini, in primis quello della Via Francigena - ma c’è un percorso francescano, una Via Appia da rivalutare e tanti, tanti altri cammini - nella consapevolezza che la moltiplicazione delle offerte culturali, se non riescono a fare sistema, crea tanti rivoli che possono complicare i percorsi, anziché semplificarli e renderli più agevoli. Il Ministero vuole assumere la veste di cabina di regia, investendo risorse economiche, ma anche umane, nella razionalizzazione di questi percorsi, trasformandoli in una straordinaria opportunità. Abbiamo la consapevolezza che il turismo religioso, che interseca la via dei cammini, sia un turismo che in Italia è già considerevole, ma può aumentare in qualità e quantità i numeri, con una ricaduta anche economica ed occupazionale certamente non trascurabile.

D. – Questo cammino, intessuto anche in un contesto di preghiera e di meditazione, è supportato da una rete adeguata per gestire questo tipo di turismo?

R. – Non ancora, per quelle che sono le potenzialità. Penso alla possibilità di tanti conventi, eremi, che potrebbero e dovrebbero offrire una ospitalità di qualità. Vogliono farlo, devono essere messi in condizione di poter operare. Spesso Papa Francesco ha detto di aprire i nostri conventi ad un’ospitalità, che può essere un’ospitalità solidale, ma può essere anche un’ospitalità culturale e una fruizione turistica, nel senso più alto del termine. Tutto questo, se adeguatamente supportato da tutti gli operatori del settore, con una cabina di regia istituzionale e significativa, sarà facilitato e ci consentirà di diversificare i nostri percorsi, destagionalizzare il nostro turismo, valorizzare le aree interne e quindi avere una crescita quantitativa e qualitativa del nostro Pil turistico.

L’itinerario della Via Francigena è anche una straordinaria opportunità per cogliere aspetti caratteristici e fondanti del Continente europeo. Ma quali sono le peculiarità che caratterizzano questo Festival? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Nicola Maccanico, vice presidente dell’Associazione Civita: 

R. - 700 eventi sul territorio della Francigena, istituzioni che collaborano tra di loro, la capacità di fare rete. E poi la capacità – in un anno importante come questo, perché il 2016 è stato dichiarato dal ministro Franceschini l’“Anno dei Cammini” – di dimostrare che il Festival della Francigena cresce, che l’idea della Francigena, che muove da una spiritualità profonda, riesce ad andare oltre e può diventare un asset fondamentale anche per lo sviluppo turistico del nostro Paese.

D. – Nel corso degli anni che tipo di benefici ha portato, da un punto di vista del turismo, questa iniziativa?

R. – La capacità di territori, che non sono naturalmente la prima scelta del turismo internazionale e nazionale, di diventare oggetto di attenzione proprio perché attraversati dalla Francigena. Il problema strutturale che ha il turismo nel nostro Paese, pensando al turismo non collegato alle principali città d’arte, è proprio quello di trovare una ragione di esistere, perché le bellezze in Italia sono in ogni angolo… La Francigena offre una opportunità di visitare luoghi che, senza la connessione della Francigena stessa, non riuscirebbero a generare interesse. Quindi la grande forza della Francigena e del Festival della Via Francigena è di creare delle occasioni per scoprire dei posti meravigliosi in un modello molto democratico: anche da un punto di vista dei costi complessivi questo turismo lento è un turismo che non implica grandi investimenti e quindi a tutti accessibile.

D. – Quali le sfide nel futuro?

R. – L’accresciuta responsabilità che deriva dal fatto che il Ministero abbia deciso di investire in maniera significativa nella Via Francigena e nei cammini. In qualche modo, la più grande responsabilità continua ad essere la stessa: far crescere la Via Francigena e gli eventi ad essa collegati. Ma nel momento in cui le istituzioni danno una apertura di credito, questa opportunità è vicina, ma al tempo stesso implica ancora una maggiore coesione: nel momento in cui ci sono dei soldi a disposizione, spesso è più difficile essere uniti.  La vera sfida è questa. Tutti gli operatori, le istituzioni, i soggetti che hanno fatto crescere la Via Francigena lo hanno fatto con un quantità di risorse limitate. Adesso che sembrano esserci più risorse, non devono perdere la stessa coesione.

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Nella Chiesa e nel mondo



Nigeria, vescovo: in atto tentativo di eliminare i cristiani

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Oltre undicimila cristiani uccisi, altri 1,3 milioni sfollati e 13 mila chiese distrutte o abbandonate: è il drammatico bilancio delle violenze perpetrate tra il 2006 e il 2014 da Boko Haram nel Nord della Nigeria. Ad illustrare questi dati, forniti da uno studio dell’Associazione cristiana della Nigeria (Can), è stato il vescovo nigeriano di Kafanchan, mons. Joseph Bagobiri, ospite di una conferenza sulla libertà religiosa e le atrocità contro i cristiani e le minoranze religiose nel mondo presso il quartier generale l’ONU a New York. L’evento è stato organizzato dalla fondazione cristiana spagnola CitizenGo in collaborazione con la Santa Sede.

Cristiani vittime di Boko Haram e dei pastori Fulani
Nella sua relazione intitolata “L’impatto della persistente violenza sulla Chiesa nel nord della Nigeria”, il presule ha parlato di un tentativo sistematico di eliminare la presenza cristiana nel nord della Nigeria e ha sollecitato l’intervento della comunità internazionale per fermarlo. Le comunità più colpite dalla violenze della setta islamista Boko Haram – ha spiegato - sono quelle degli Stati settentrionali di Adamawa, Borno, Kano e Yobe. Gli abitanti cristiani costretti alla fuga si sono spostati più a sud negli Stati a maggioranza cristiana della cosiddetta Middle Belt: Plateau, Nassarawa, Benue, Taraba e la parte meridionale di Kaduna. Ma in questi ultimi mesi queste aree sono colpite dalle incursioni ed occupazioni dei pastori musulmani Fulani.  “Questa è una palese invasione di terre ancestrali dei cristiani e di altri comunità minoritarie”, ha affermato. “In queste aree, i pastori Fulani terrorizzano incessantemente diverse comunità, cancellandone alcune, e in posti come Agatu nello Stato di Benue e Gwantu e Manchok in quello di Kaduna, tali attacchi hanno assunto il carattere del genocidio”, ha denunciato.

Appello alla comunità internazionale a premere sul governo nigeriano
Il presule ha quindi rivolto un pressante appello alla comunità internazionale ad intervenire su sei fronti: esercitando pressioni sul Governo nigeriano affinché si impegni a garantire la piena libertà di culto dei cristiani e delle altre minoranze in Nord Nigeria; promuovendo strategie efficaci per contrastare le minacce nei loro confronti; affrontando la crisi umanitaria dei cristiani nella regione e in alcune aree del Middle Belt;  monitorando la situazione; premendo sulle autorità nigeriane perché garantiscano la sicurezza a tutti i cittadini nigeriani e chiedendo neutralità ed equidistanza dello Stato da tutte le religioni nel Paese.

Contro le persecuzioni anticristiane necessario un nuovo ordine mondiale
Riferendosi infine alle persecuzioni anti-cristiane nel mondo, mons. Bagobiri ha invocato “un nuovo ordine mondiale, in cui la famiglia umana possa vivere in pace, libertà, armonia e amore, libera  dalla violenza e in particolare da quella ispirata e motivata dalla religione”. (L. Z.)

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Mons. Migliore nunzio in Russia, soddisfazione Patriarcato Mosca

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Il Patriarcato di Mosca saluta con soddisfazione la nomina, annunciata il 28 maggio scorso, di mons. Celestino Migliore a nunzio apostolico presso la Federazione Russa e auspica che contribuisca alla promozione di interventi comuni con i cattolici per proteggere i cristiani perseguitati e difendere i valori morali nel mondo.

Un diplomatico con grande esperienza
“Si tratta di uno dei più esperti diplomatici vaticani che ha prestato servizio in diversi Paesi e in molte posizioni di responsabilità nel dicastero degli Esteri del Vaticano”,  ha affermato all’agenzia Interfax citata da Asianews lo ieromonaco Stefan Igumnov, segretario per i rapporti inter-cristiani presso il Dipartimento Relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca. Il rappresentante ortodosso si è detto fiducioso che il nuovo nunzio porti “un contributo significativo allo sviluppo dei rapporti tra la Chiesa ortodossa russa e quella cattolica di Roma, che si stanno intensificando, soprattutto dopo l’incontro del Patriarca Kirill con Papa Francesco all’Avana”.

L’auspicio di una più stretta collaborazione tra Patriarcato e Santa Sede
“Il risultato di questo incontro ha determinato l’attuale contesto delle relazioni bilaterali, che speriamo possano svilupparsi anche con la collaborazione del  nuovo nunzio”, ha aggiunto. A suo dire, la parte più importante di questo contesto è rappresentata dagli sforzi comuni delle Chiese russa e cattolica per il “sostegno ai cristiani che soffrono in Medio Oriente, così come per la difesa dei valori morali tradizionali, che oggi affrontano sfide serie”.

Successore di mons. Ivan Jurkovic
Finora nunzio in Polonia e già sottosegretario vaticano per i rapporti con gli Stati e Osservatore Permanente all’Onu a New York, mons. Migliore succede a mons. Ivan Jurkovic, che pochi giorni dopo lo storico incontro a Cuba, ha terminato il suo mandato per andare a ricoprire il posto di Osservatore Permanente presso le Nazioni Unite a Ginevra.

Il ringraziamento dei vescovi polacchi
Parole di stima e apprezzamento al presule – riferisce l’agenzia Sir - sono state espresse anche dall’Episcopato polacco. “La missione di mons. Celestino Migliore si è caratterizzata in maniera particolare per il suo impegno pastorale”, ha rilevato il presidente della Conferenza episcopale polacca, mons. Stanislaw Gadecki, ringraziando il nunzio uscente per gli anni passati in Polonia. “La Chiesa polacca e ognuno di noi vescovi è grato a mons. Migliore per lo stile della sua missione: fraterno e al contempo concreto e chiaro”, ha sottolineato, da parte sua, il primate di Polonia mons. Wojciech Polak, auspicando che il nuovo rappresentante diplomatico della Santa Sede a Mosca “possa sostenere il dialogo delle Chiese polacca e russa così come il dialogo tra entrambi i popoli affinché possa continuare sulla strada intrapresa”. (L.Z.)

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Mons. Twal a Ue: quello a Cremisan non è muro di protezione

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Una delegazione dell’Unione Europea ha visitato nei giorni scorsi in Terra Santa la regione di Beir Onah, nei pressi della valle di Cremisan. La “St. Yves” Society, Centro cattolico per i diritti umani, che difende i proprietari terrieri di Beir Onah e di Cremisan, ha illustrato ai componenti della delegazione la questione della costruzione del Muro di Separazione. La delegazione è stata accompagnata da padre Aktham Hijazin, parroco di Beit Jala, che ha informato i rappresentanti Ue della minaccia che grava sulle terre di Beit Jala, tra l’insediamento di Gush Etzion e quello di Har Gilo. L’espansione degli insediamenti potrebbe infatti portare alla confisca delle terre appartenenti alla città di Beit Jala. Padre Hijazin ha anche ricordato le preghiere quotidiane e le manifestazioni pacifiche tenute nella Valle di Beir Onah, che, si legge sul portale del Patriarcato Latino di Gerusalemme, vengono ogni volta duramente represse dall’esercito israeliano.

Le missioni Ue e il Muro nella valle di Cremisan
Le diverse missioni dell’Ue non hanno mai smesso di condannare la costruzione del muro di separazione e l’espansione degli insediamenti oltre i confini del 1967, esprimendo preoccupazione per il tracciato del muro e per l’illegittimità di quest’ultimo sulla base al diritto internazionale. Incontrando il capo delegazione del Servizio europeo per l’assistenza ai palestinesi Ralph Tarraf, il patriarca Fouad Twal ha osservato che non è la sicurezza il vero motivo della costruzione del muro  nella Valle di Cremisan, “c’è infatti più violenza sull’altro lato del muro di Gerusalemme. Questo muro non è un muro di protezione”. (T.C.)

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Congo: consiglio dei laici invoca clima politico più sereno

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Il Consiglio dell’Apostolato dei laici cattolici del Congo (Calcc) ha lanciato la settimana scorsa un appello al mondo politico, maggioranza e opposizione, a osservare una tregua fino al 30 giugno - anniversario dell’indipendenza della Repubblica Democratica del Congo - esortando a deporre le armi che distruggono la patria e impediscono la realizzazione delle promesse fatte per il Paese. In un messaggio, diffuso dal periodico on line La Prospérité, l’associazione - costituita allo scopo di sensibilizzare alla responsabilità nella vita familiare e pubblica - auspica che l’organizzazione delle elezioni presidenziali si svolga in un clima sereno.

Dialogo e libertà per i detenuti politici
L’invito è anche a non prevedere pubblici eventi politici fino alla fine del mese prossimo e a non reprimere le libertà fondamentali. Al presidente, Joseph Kabila, è stato chiesto poi di liberare quanti sono detenuti per le loro opinioni politiche e la collettività è stata esortata a collaborare e a impegnarsi perché ci siano le condizioni psicologiche e morali propizie per un dialogo politico nazionale, presupposto fondamentale per un processo elettorale pacifico. Il Consiglio dell’Apostolato dei laici cattolici del Congo sollecita i congolesi a difendere la verità, il diritto e la giustizia attraverso vie pacifiche, a coltivare il dialogo per risolvere le problematiche politiche e a pregare perché lo Spirito Santo illumini quanti lavorano per l’avvenire della nazione. (T.C.)

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Malesia: prima versione audio della Bibbia in lingua tribale

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A volte una semplice innovazione può avvicinare e rendere il testo sacro della Bibbia uno strumento alla portata di tutti, anche delle etnie minori. E’ quanto è accaduto nello stato di Sabah in Malesia, dove è stata presentata una versione audio della Bibbia in Kadazan, lingua tribale ufficiale locale.

L’arcivescovo Joseph Marino, nunzio apostolico in Malaysia, ha presentato il progetto – all’agenzia Fides – definendolo un “evento significativo per la vita della Chiesa a Kota Kinabalu”. Secondo il presule, “questo strumento audio permetterà a molte più persone di avere accesso alla Bibbia, che è la sorgente delle storie della nostra fede, relative alla storia della salvezza. È la sorgente della nostra vita, della Chiesa che esce da sé stessa per incontrare il mondo ed essere missionaria”.

Il progetto durato un anno e mezzo di lavoro è frutto di ricerche condotte dai fedeli di Kota Kinabalu, i quali si sono resi conto che non esisteva ancora una versione del Nuovo Testamento nelle lingue Kadazan e Dusun. Pertanto, coordinati da Louise Rose del Fcbh, hanno prodotto 10 mila testi dei Vangeli in Kadazan, letti e drammatizzati da 30 persone che hanno prestato la propria voce. Le registrazioni in Dusun non sono ancora terminate e dovrebbero essere completate entro la fine dell’anno.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 152

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.