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Sommario del 01/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: il perdono senza limiti di Dio che “dimentica” i peccati

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Il tempo di Quaresima “ci prepari il cuore” al perdono di Dio e a perdonare a nostra volta come Lui, cioè “dimenticando” le colpe altrui. Con questa preghiera, Papa Francesco ha concluso l’omelia della Messa del mattino celebrata a Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

La perfezione di Dio ha un punto debole esattamente dove l’imperfezione umana tende invece a non fare sconti: la capacità di perdonare.

Senza memoria
I pensieri di Papa Francesco all’omelia si lasciano condurre come sempre dalle letture della liturgia. Il Vangelo presenta la celebre domanda di Pietro a Gesù: quante volte devo perdonare un fratello che ha commesso una colpa contro di me? La lettura, tratta dal Profeta Daniele, è incentrata sulla preghiera del giovane Azaria che, messo a morire in un forno per essersi rifiutato di adorare un idolo d’oro, invoca tra le fiamme la misericordia di Dio per il popolo chiedendogli contemporaneamente perdono per sé. Questo, sottolinea Francesco, è il modo giusto di pregare. Sapendo di poter contare su un particolare aspetto della bontà di Dio:

“Quando Dio perdona, il suo perdono è cosi grande che è come se ‘dimenticasse’. Tutto il contrario di quello che facciamo noi, delle chiacchiere: ‘Ma questo ha fatto quello, ha fatto quello, ha fatto quello…’, e noi abbiamo di tante persone la storia antica, media, medievale e moderna, eh?, e non dimentichiamo. Perché? Perché non abbiamo il cuore misericordioso. ‘Fa con noi secondo la Tua clemenza’, dice questo giovane Azaria. ‘Secondo la Tua grande misericordia. Salvaci’. E’ un appello alla misericordia di Dio, perché ci dia il perdono e la salvezza e dimentichi i nostri peccati”.

L’equazione del perdono
Nel brano del Vangelo, per spiegare a Pietro che bisogna perdonare sempre, Gesù racconta la parabola dei due debitori, il primo che ottiene il condono dal suo padrone, pur dovendogli una cifra enorme, ed egli stesso incapace poco dopo di essere altrettanto misericordioso con un altro che gli deve solo una piccola somma. Osserva sul punto il Papa:

“Nel Padre Nostro preghiamo: ‘Perdona i nostri debiti come noi perdoniamo ai nostri debitori”. E’ un’equazione, vanno insieme. Se tu non sei capace di perdonare, come potrà Dio perdonarti? Lui ti vuole perdonare, ma non potrà se tu hai il cuore chiuso, e la misericordia non può entrare. ‘Ma, Padre, io perdono, ma non posso dimenticare quella brutta cosa che mi ha fatto…’. ‘Eh, chiedi al Signore che ti aiuti a dimenticare’: ma questa è un’altra cosa. Si può perdonare, ma dimenticare non sempre ci si riesce. Ma ‘perdonare’ e ‘me la pagherai’: quello, no! Perdonare come perdona Dio: perdona al massimo”.

Misericordia che “dimentica”
Misericordia, compassione, perdono, ripete il Papa, ricordando che “il perdono del cuore che ci dà Dio sempre è misericordia:”

“Che la Quaresima ci prepari il cuore per ricevere il perdono di Dio. Ma riceverlo e poi fare lo stesso con gli altri: perdonare di cuore. Forse non mi saluti mai, ma nel mio cuore io ti ho perdonato. E così ci avviciniamo a questa cosa tanto grande, di Dio, che è la misericordia. E perdonando apriamo il nostro cuore perché la misericordia di Dio entri e ci perdoni, a noi. Perché tutti noi ne abbiamo, da chiedere di perdono: tutti. Perdoniamo e saremo perdonati. Abbiamo misericordia con gli altri, e noi sentiremo quella misericordia di Dio che, quando perdona, ‘dimentica’”.

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Francesco esprime gratitudine ad Aiuto alla Chiesa che Soffre

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Gratitudine di Papa Francesco per l’attività della fondazione di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (Acs). Il Pontefice ha accolto stamattina a Casa Santa Marta il presidente, Alfredo Mantovano, il direttore, Alessandro Monteduro, e la portavoce, Marta Petrosillo, di Aiuto alla Chiesa che Soffre. L’associazione ha accompagnato mons. Joseph Coutts, presidente della Conferenza episcopale del Pakistan, che ha concelebrato con il Papa nella cappella della residenza.

Donata al Papa una copia della Bibbia del fanciullo ideata da padre van Straaten
A pochi giorni dal terzo anniversario della sua elezione alla Cattedra di Pietro, la Fondazione ha voluto donare al Papa una copia della Bibbia del fanciullo in ognuna delle lingue dei Paesi da lui visitati in questi tre anni. Si tratta di una Bibbia illustrata per bambini ideata nel 1979 dal fondatore di Acs, padre Werenfried van Straaten. Fino ad oggi la fondazione pontificia ne ha stampate oltre 51 milioni di copie in ben 178 lingue e dialetti.

A Buenos Aires, il legame del cardinale Bergoglio con "Aiuto alla Chiesa che Soffre"
Papa Francesco, informa un comunicato di “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, conosce da diversi anni l’associazione con la quale ha a lungo collaborato quando era arcivescovo di Buenos Aires. Nel 2007, in una lettera di auguri inviata ai vertici della Fondazione per il 60.mo anniversario di Acs, l’allora cardinale Bergoglio definì “Aiuto alla Chiesa che Soffre, un simbolo di comunione e fraternità con la Chiesa sofferente”. (A.G.)

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Gallagher a Londra: impegno comune su sviluppo e lotta alla tratta

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Al via a Londra la visita ufficiale di mons. Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati. Nel corso della visita, il presule avrà colloqui ufficiali con le massime autorità istituzionali del Paese e del Commonwealth. In programma anche un incontro ecumenico con l’arcivescovo anglicano Justin Welby e con i rappresentanti cattolici locali. Sull’importanza di questa visita, Philippa Hitchen ha intervistato mons. Paul Richard Gallagher: 

R. – I think, what I am hoping is that through the contacts I’ll have with Her Majesty’s Government …

Quello che mi auguro è che, attraverso i contatti che avrò con il governo britannico e con altre persone, anche con deputati, forse riuscirò a rendere un po’ più concreto quello che magari hanno compreso in teoria, ma che fanno fatica a mettere in pratica.

D. – Lei pensa che sia possibile che i britannici non riescano a comprendere sempre questa sorta di diplomazia “morbida” che la Santa Sede rappresenta?

R. – I wouldn’t say that, actually; I think that the British Government acts in many parts of the world …
In realtà, non direi; penso che il governo britannico opera in diverse parti del mondo, che hanno un’influenza diversa nelle varie parti del mondo e che in alcune zone probabilmente anche loro fanno ricorso ad una diplomazia “morbida”; penso anche che sia in costante aumento la consapevolezza del fatto che il tipo di influenza della Santa Sede spesso può creare i presupposti sul terreno, e nel cuore e nella mente delle persone, che apra le persone stesse e le aiuti a collaborare alla risoluzione di alcuni dei problemi e dei conflitti maggiori che il mondo si trova a fronteggiare oggi.

 D. – Ci sono alcuni ambiti in cui il governo britannico e la Chiesa collaborano, anche in termini molto stretti; penso, ad esempio, all’iniziativa denominata “Santa Marta” contro il traffico delle persone. In quali altri ambiti lei vede la possibilità di progressi per i quali, magari, avrà colloqui nel corso di questa settimana?

R. – I’m going to meet the Secretary of State for International Development and, as you know, the …
Incontrerò il Ministro per lo Sviluppo Internazionale e, come è noto, attraverso la Caritas e altre organizzazioni, la Chiesa cattolica ha una splendida rete di persone che aiutano nel campo nello sviluppo e, per quanto riguarda la mia stessa esperienza, questa collaborazione può continuare così com’è. Ma lei fa bene a ricordare il gruppo “Santa Marta”, che è un’iniziativa molto cara al Santo Padre, che lui personalmente ha caldamente incoraggiato, perché la schiavitù moderna e il traffico delle persone che si fa oggi è veramente un grande problema, ed è un problema che origina dai tanti conflitti, dalle molte condizioni di degrado sociale, insieme alle tante sfide che nascono dal crimine organizzato.

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Libano. Card. Tagle tra i profughi siriani: porto l’amore della Chiesa

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E’ in corso in Libano, la visita del card. Luis Antonio Tagle, presidente di Caritas Internationalis per incontrare i rifugiati siriani e iracheni e i migranti che lavorano nel Paese dei Cedri. Oggi, il porporato filippino ha visitato un campo profughi nella Valle della Bekaa, dove i rifugiati in fuga dalla guerra in Siria sono assistiti dalla Caritas libanese. Alessandro Gisotti lo ha raggiunto telefonicamente per una testimonianza: 

R. – E’ molto chiaro che la sofferenza dei profughi ha una radice non solo economica, ma politica. Per me, la risposta molto urgente da parte della comunità internazionale è di cercare vie per risolvere i conflitti politici; serve uno sforzo, una campagna urgente per la pace perché la sofferenza dei popoli, dei profughi e dei rifugiati sia risolta!

D. – Lei ha potuto anche incontrare i tanti lavoratori migranti, con le loro famiglie, che si trovano in Libano. Anche loro nel cuore di Papa Francesco...

R. – Le famiglie dei lavoratori e dei rifugiati apprezzano molto la Chiesa, la Caritas e l’ispirazione data dal Pontefice Papa Francesco. Io anche voglio esprimere la gratitudine della Chiesa per tutti i volontari non solo della Caritas Libano, ma anche delle Caritas delle diverse nazioni che oggi danno una testimonianza di carità, che dà anche speranza ai poveri. Ho incontrato una famiglia proveniente dalla Siria, una famiglia musulmana. Il papà della famiglia gridava: “Viva la Caritas, viva la Caritas, viva la Chiesa!”. Mi ha colpito di cuore, molto, molto, non per orgoglio ma per la validità della testimonianza dell’amore verso gli altri.

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Vaticano: aperto il Corso della Penitenzieria sulla Confessione

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Un evento di formazione annuale sul quale il messaggio del Giubileo esercita una grande influenza. Si tratta  del 27.mo Corso sul Foro interno, organizzato dalla Penitenzieria Apostolica al Palazzo della Cancelleria, iniziato ieri e in programma fino al 4 marzo prossimo, giorno dell’udienza dei partecipanti con Papa Francesco.

Il penitenziere, maggiore, il card. Mauro Piacenza, ha aperto ieri nel pomeriggio i lavori, con un intervento che ha sollecitato i circa 450 partecipanti a porre “al centro con convinzione il sacramento della riconciliazione”.

Questo “grido” del Papa, contenuto nella Bolla di indizione dell’Anno Santo, Misericordiae Vultus, “è rivelatore di un pensiero – ha affermato il porporato – di un giudizio su questo mondo e sulla missione della Chiesa, la quale guarda permanentemente a Cristo nell’esercizio del proprio ministero”. Ogni giorno, ha osservato il card. Piacenza, la Chiesa ripete l’annuncio di conversione del Vangelo. “È questo l’annuncio – soggiunge – che, ogni giorno, attesta a noi stessi la novità, continua ed assoluta, che da duemila anni abita la storia e che ha conquistato, per sempre, le nostre vite: Dio è divenuto per noi l’Agnello immolato, ha portato su di sè il nostro peccato e, morto, regna ora vivo per sempre”.

Inoltre, tale annuncio della Chiesa, prosegue il penitenziere maggiore – “costituisce il più potente “antidoto” al veleno del serpente antico, il menzognero. Ben sappiamo come questa azione demoniaca, che Papa Francesco non ha tralasciato di segnalare apertamente, fin dal principio del Pontificato, si compie però nell’orizzonte, per il demonio, di una inesorabile disfatta”. E oggi, ha concluso, “come si concentra questa menzogna, che Cristo ha smascherato e sconfitto? La menzogna del principe di questo mondo tenta di rovesciare questo annuncio in ogni sua parte: l’Agnello, il mondo ed il peccato”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Parlare non è mai un segno di debolezza - Giampaolo Mattei sulla corrispondenza tra La Pira e Montini.

Una lettera inedita di Giorgio La Pira all'arcivescovo Agostino Casaroli.

Speranze e paure nella giungla di Calais - Charles de Pechpeyrou sugli sgomberi dei migranti.

Il filo rosso della bellezza: Antonio Paolucci sull'autobiografia di Giulia Maria Crespi.

Edoardo Zaccagnini "La lezione di don Matteo".

Inserto mensile "Donne Chiesa Mondo" dedicato al tema delle donne che predicano.

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Oggi in Primo Piano



Tiene la tregua in Siria. Mons Zenari: appello alla responsabilità

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Regge anche se con alcune violazioni il quarto giorno di tregua in Siria. Il Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha ipotizzato la possibilità di una estensione del cessate il fuoco oltre le due settimane previste. Un appello alla responsabilità viene anche dal nunzio apostolico in Siria mons. Mario Zenari. Massimiliano Menichetti: 

In Siria è appesa ad un filo la tregua entrata in vigore sabato scorso, ma grande è la speranza. Il Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha ipotizzato la possibilità di una sua estensione oltre le due settimane previste. Anche il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg ha confermato la tenuta del cessate il fuoco ribadendo però le preoccupazioni per la massiccia presenza di truppe russe nel Paese. La guerra contro il sedicente Stato Islamico e al – Nusra infatti non si ferma. Mons. Mario Zenari nunzio apostolico a Damasco:

R. – Direi che in generale, a parte alcune violazioni, la tregua sembra tenere. Sappiamo tutti che è una tregua molto, molto fragile e complicata. Qualcuno dice che è una tregua “a macchia di leopardo”, perché non sono compresi l’Is e al-Nusra. Però c’è da sperare, da augurarsi, da pregare che tutti i firmatari di questa tregua siano coscienti e responsabili di questa fragilità e quindi abbiano una grande responsabilità, perché questa tregua - come ha anche accennato il Papa nel suo appello all’Angelus - deve rendere possibile la distribuzione degli aiuti umanitari soprattutto a quelle 450 mila persone che vivono in zone assediate e a quei cinque milioni  che vivono in zone di difficile accesso per gli aiuti umanitari. Se questa tregua si consolida dovrebbe portare al dialogo e al tavolo delle trattative.

Oltre 1.200 ribelli della provincia di Daraa hanno annunciato oggi l'intenzione di aderire al cessate il fuoco, punti caldi rimangono però Homs, Hama e Aleppo. Padre Ghassan Sahoui, direttore del Jrs di Aleppo, il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati:

R. - Ad Aleppo si attende da circa due mesi che torni l’acqua: l’acqua è quello che permette alla gente di vivere! E’ stata tagliata anche l’elettricità… Tutto questo fa sì che la nostra vita non sia facile. Al di là del cessate-il-fuoco qui continuano a mancarci tante cose… Ma non perdiamo le speranze!

In questo scenario le agenzie dell'Onu hanno annunciato un altro piano per soccorrere i civili intrappolati nelle zone sotto assedio. E il segretario di Stato americano John Kerry ha rivolto un appello al presidente siriano Bashar al-Assad esortandolo a non impedire la distribuzione degli aiuti.

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Emergenza migranti. Arcivescovo di Atene: sono persone non merce

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Sono 131 mila i migranti arrivati in Europa via Mediterraneo dall’inizio dell’anno, un numero aumentato di 30 volte rispetto allo stesso periodo del 2015. A fornire i dati sono stati oggi l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati e l’agenzia Frontex, mentre a Calais sono riprese le operazioni di sgombero delle baracche della cosiddetta 'giungla' dove, a migliaia, i richiedenti asilo aspettano di attraversare La Manica per arrivare in Gran Bretagna. Al confine tra Macedonia e Grecia, al campo di Idomeni, intanto, la situazione resta estremamente tesa dopo gli scontri di ieri. L’Unione europea esprime preoccupazione per quanto accaduto e richiama Skopje. Francesca Sabatinelli: 

Le choccanti immagini di ieri quando a colpi di lacrimogeni le autorità macedoni hanno respinto le migliaia di migranti ammassati al confine greco-macedone preoccupano Bruxelles. Anche oggi si registrano le proteste di chi intende passare in Macedonia, mentre la Commissione europea richiama Skopje ad agire in conformità alla legge internazionale, e ribadisce che l’unica strada da percorrere in questa crisi è la soluzione europea, parole che continuano però a scontrarsi con le decisioni unilaterali adottate dagli Stati della cosiddetta "Rotta balcanica". E’ il ministro degli Esteri macedone Poposki a difendere le operazioni di contenimento dei migranti, perlopiù siriani e iracheni, attuate ieri dalle forze dell’ordine. Ma è dalla Grecia che arriva il richiamo a non dimenticare che si tratta di persone e non di merci, ed è dell’arcivescovo cattolico di Atene, mons. Sevastianos Rossolatos:

R. – Certo, anche quei Paesi (Paesi dei Balcani ndr) hanno i loro problemi, però non si trovano nella situazione di avere loro nella loro patria i bombardamenti, la guerra, i rifugiati scappano per sopravvivere. Alcuni Paesi europei cercano di mantenere il loro progresso economico, forse l’integrità nazionale, io non so. Però, qui si tratta di persone, non di merci. Bisogna puntare sul fattore umanitario, pensare alle persone umane.

D. – Soprattutto i Paesi della rotta balcanica hanno però fatto capire molto chiaramente qual è la loro posizione: loro, queste persone, non le vogliono …

R. – Sì, e questo è il guaio. La Grecia, da una parte cerca di scoraggiare questi profughi, però quando entrano nelle barche poi bisogna accoglierli. Ci sono continuamente, ogni giorno, navi che girano per salvare i naufraghi. Certo, i profughi che si trovano adesso in Grecia forse sono 25 mila, il governo cerca di distribuirli in diverse zone per potere avere un servizio più umano per quanto riguarda la distribuzione del cibo, per le condizioni d’igiene e anche per non creare difficoltà con la popolazione locale. Soprattutto le isole che ricevono questi profughi sono isole da un lato turistiche, dall’altro con poche persone, e i rifugiati sono in numero maggiore rispetti agli abitanti delle isole. Per il momento, la gente fa il possibile per aiutare queste persone. C’è la paura per gli atti di xenofobia, perché ci sono gruppi di estrema destra che cercano di approfittare di questa situazione. Io vedo che la gente resiste ancora, a questo estremismo però, quando non avremo più i soldi per sostenere queste persone, ho paura che possa scoppiare qualche reazione brutta. Per fortuna i mezzi di comunicazione contribuiscono a creare uno spirito aperto di accoglienza verso questa gente sofferente. Da parte della Chiesa cattolica, facciamo il possibile, da diversi mesi ci stanno aiutando le Caritas di molte nazioni. Ci sono anche altre organizzazioni private, della Chiesa ortodossa, che aiutano però, a lungo andare, non so come andremo a finire. Loro arrivano continuamente, sono migliaia che arrivano ogni giorno, con questo flusso di profughi, con le frontiere bloccate, tutta questa gente deve rimanere in Grecia. Quindi, il governo sta preparando, con l’aiuto delle forze armate greche, campi di accoglienza con il progetto di aprire a 50 mila persone, con l’idea di arrivare, verso la fine dell’anno, a poterne accogliere anche 100 mila, campi di accoglienza per 100 mila persone, fortunatamente la Germania e alcuni altri Paesi, come l’Italia, ci sostengono. Quindi, la Grecia è decisa ad affrontare la questione umanitaria non respingendo la gente.

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Supertuesday Usa: riflettori puntati su Trump e Clinton

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Negli Stati Uniti la corsa per la nomination alla Casa Bianca entra oggi nel vivo con il cosiddetto “Super Tuesday” giornata in cui il maggior numero di Stati vota contemporaneamente il proprio candidato per le presidenziali. E’ il primo vero test nazionale per i rappresentanti democratici e repubblicani che aspirano a diventare il candidato unico del proprio partito. Hillary Clinton e Donald Trump sembrano, secondo i sondaggi, i favoriti per la sfida finale, ma sulle loro reali possibilità sentiamo l’americanista Alia K. Nardini, docente associata di relazioni internazionali allo Springhill College di Bologna. L’intervista è di Fabio Colagrande: 

R. – Credo che la candidatura di Trump venga sovrastimata da parte dei media. Sicuramente come candidato è un “good entertainment”, sono molto interessanti, anche a livello sociale, lo stile e la campagna elettorale che il magnate sta portando avanti. Tuttavia, il fatto che negli ultimi giorni il partito repubblicano si sia mosso per contrastare questa candidatura in modo più deciso e sicuramente più coeso di quanto fatto finora è importante: ci dice che il ‘Grand Old Party’ ha paura di vedere Trump come il proprio candidato alla presidenza. Il problema più grande per i repubblicani è che la sua nomination vorrebbe dire quasi sicuramente consegnare la vittoria ad Hillary Clinton, in un anno in cui i repubblicani avrebbero buone chance di conquistare la Casa Bianca, poiché si viene da due presidenze democratiche; in America l’alternanza politica vuole spesso che ci sia questo tipo di cambiamento, quindi che dopo due presidenze democratiche si abbia un candidato di segno opposto che si insedia alla Casa Bianca. Poi ricordiamo che molti personaggi del ‘Grand Old Party’ si sono già espressi prospettando uno scenario nel quale se Trump avrà la nomination lascerebbero addirittura il partito per appoggiare Hillary Clinton.

D.  - Come spiegare però questa ascesa nei risultati elettorali delle primarie e poi nei sondaggi di Donald Trump?

R. - Sicuramente all’interno del partito repubblicano si è peccato di disattenzione verso quanto stava accadendo internamente all’elettorato conservatore negli Stati Uniti e nel mondo; tutta una serie di scenari internazionali, come l’acuirsi di conflitti nella zona del Medio Oriente, del Nord Africa, il flusso dell’immigrazione, le problematiche di sicurezza nazionale ed internazionale, hanno fatto sì che se non si prestasse sufficiente attenzione a quanto la gente comune si senta ormai sempre più lontana dalla politica. La sensibilità verso questo aspetto è invece ben dimostrata dal parlare schietto di Trump, dalla sua vocazione anti-establishment; in questo senso lo aiuta il fatto di non essere un uomo politico, di essere anzi un magnate dell’industria in grado di proporre soluzioni concrete, quindi di benessere, di denaro; la sua capacità di gestire aziende colpisce cittadini che si sentono messi da parte e non compresi dal mondo della politica. D’altro canto c’è anche un problema interno a quello che è il partito repubblicano oggi, un partito frammentato con diversi candidati. Se tra i democratici assistiamo ad un duello, ad una contrapposizione - che ormai sembra quasi giunta al termine - tra Hillary Clinton e Bernie Sanders, tra i repubblicani abbiamo visto una pletora di candidati con idee differenti, stili differenti intenti ad attaccarsi l’un l’altro. Questo chiaramente ha fatto sì che la sfiducia dell’elettore comune americano verso il mondo della politica e specialmente verso il partito che finora si è dimostrato il più litigioso, portasse ad emergere il candidato che invece chiedeva di portare l’America ad essere di nuovo grande, quindi a superare queste contrapposizioni con una sorta di orgoglio nazionale.

D. - Dunque è invece indiscutibile che sul fronte democratico, alla fine di queste primarie, quest’estate vedremo Hillary Clinton conquistare la nomination?

R. - Io credo di sì e lo dico già da molto tempo guardando ad alcuni dati concreti, quindi a prescindere poi da quella che può essere l’analisi delle politiche. Ci sono due elementi fondamentali: la solidità di Hillary Clinton di fronte ai vari scandali che potevano diventare sue debolezze; l‘altro elemento riguarda il fatto che la Clinton non è mai scesa sotto il 40 percento delle preferenze. Questo è un dato importante, è un dato aggregato ovviamente, quindi che guarda a diversi sondaggi. Però, il fatto è che il candidato democratico principale che fin dall’inizio si prospettava come quello più forte - quindi Hillary Clinton - ha sempre mantenuto un profilo di gradimento altissimo e con il Super Tuesday a suo favore questo vantaggio sembra desinato a consolidarsi.

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5 anni fa l'assassinio di Bhatti: ancora persecuzioni in Pakistan

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Il 2 marzo di 5 anni fa, a Islamabad, veniva ucciso Shahbaz Bhatti, il politico pakistano cristiano che è stato ministro delle Minoranze. Un Ministero nato e morto con lui e che il fratello Paul Bhatti cerca di far rinascere a difesa dei gruppi più perseguitati, a partire dai cristiani. Il Pakistan lo ricorda con la Messa presieduta dal vescovo Rufin Anthony nella cattedrale di Islamabad e una cerimonia di commemorazione a più voci con vescovi cattolici, leader musulmani e di altre religioni, oltre a rappresentanti civili provenienti da tutto il Paese.  Della figura di Shahbaz Bhatti e delle sfide ancora aperte in Pakistan, Fausta Speranza ha parlato con Mobeen Shahid dell’Associazione Pakistani cristiani che ha sede in Italia: 

R. – Shahbaz Bhatti era un laico consacrato, che si è speso fino in fondo per difendere e promuovere le minoranze religiose del Pakistan, tra cui I suoi confratelli in fede, altri cristiani. La figura carismatica di Shahbaz è emersa sia negli anni della scuola, quando  era a capo degli studenti e rappresentava i ragazzi cristiani, sia dopo all’università, quando, anche a costo di ricevere varie accuse, ha continuato a testimoniare Cristo in ogni suo gesto e in ogni sua parola. Ma in particolare, collaborando insieme e sotto la guida del vescovo Anthony Lobo, Shahbaz ha avvertito la necessità di mirare il suo operato allo sviluppo e alla protezione dei cristiani e delle minoranze religiose del Pakistan, come cittadini del Pakistan: perché le minoranze, e in particolare i cristiani, sono cofondatori del Pakistan. Proprio il fondatore del Pakistan, Mohammad Ali Jinnah, parlava di uno status “laico” dello Stato, dove la religione non avrebbe avuto niente a che fare con le questioni relative allo Stato. Oggi, purtroppo, lo Stato del Pakistan è diventato islamico, anche con delle ricadute molto negative, non solo per le minoranze religiose, ma anche per alcuni gruppi islamici, come per esempio gli sciiti, che si trovano in una situazione peggiore rispetto a quella dei cristiani e delle altre minoranze del Pakistan.

D. – Il ministero per la Difesa delle Minoranze è nato con lui, è morto con lui...

R. – Il ministero per gli Affari religiosi a livello federale è nato con lui e ha avuto una morte lenta, perché dapprima fu trasformato in struttura per l’Armonia nazionale e poi per l’Armonia interreligiosa. E oggi è ridotto ad un dipartimento del ministero federale per gli Affari religiosi, che è stato sempre il Ministero per la legislazione islamica, e anche dell’operato islamico a livello nazionale e internazionale, per le varie dinamiche che il ministero comporta.

D. – Sono tante le commemorazioni: ma che cosa davvero si continua a fare per combattere contro le persecuzioni?

R. – La situazione dei cristiani e delle minoranze religiose in Pakitsan, dopo la morte di Shahbaz Bhatti, è peggiorata. La soluzione potrebbe essere quella di ricostituire il ministero federale; ma, al tempo stesso, è solo una goccia in questa direzione, perchè bisogna fare ancora molto lavoro. A livello effettivo - diciamo - l’esempio della esecuzione, della condanna a morte di Mumtaz Qadri, l’omicida di Salman Taseer, è - anche se non si può essere favorevoli alla condanna a morte - un passo fermo della giustizia e del sistema giudiziario del Pakistan, in qualche modo una denuncia a livello sociale del fanatismo che è presente nella società. Può essere un esempio importante per scoraggiare l’abuso della legge della blasfemia. Per cui, il sistema giudiziario del Pakistan ha dato un esempio concreto in questa direzione. Poi le Forze armate stanno combattendo il fenomeno del terrorismo nelle varie città del Pakistan anche per sradicare il fanatismo religioso di cui esse stesse sono state vittime in prima persona: l’anno scorso ci fu l’attacco alla scuola militare dove studiano i figli degli ufficiali militari. In questa direzione, un certo tipo di militanza armata si riduce ma, al tempo stesso, non si interrompe il fenomeno del fanatismo presente nella società.

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In Italia, adozioni in crisi: è ora di riformare la legge 184

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Il recente dibattito in Italia sulle unioni civili, con l’articolo poi stralciato della cosiddetta stepchild adoption dal ddl Cirinnà, ha riportato in qualche modo in primo piano il tema delle adozioni. Nello stesso tempo ha offerto alle associazioni familiari l’occasione per richiamare l’attenzione del Parlamento sulla situazione critica in cui versa oggi la pratica adottiva sia nazionale, sia internazionale, e per chiedere una riforma generale della legge 184 ormai inadeguata. Mai così poche infatti le richieste di adozione da parte delle coppie quanto oggi. Adriana Masotti ne ha chiesto il perché a Elena Cianflore, presidente dell’Ufai, Unione famiglie adottive italiane: 

R. – L’adozione in questo momento è in crisi ed è una crisi non solo economica ma è un problema semmai, forse, di disaffezione delle coppie al progetto adottivo che, devo dirlo, è un percorso bellissimo. Il problema è che questo è un percorso veramente ad ostacoli nel quale la coppia è spesso lasciata da sola ed i tempi sono lunghissimi. Per quanto riguarda l’adozione nazionale non esiste una banca dati e non esiste neanche un’unità di criteri per quanto riguarda i giudici. L’adozione internazionale è ancora più complessa perché abbiamo a che fare con dei Paesi che non sempre hanno degli accordi bilaterali con il nostro governo. Spesso sono Paesi che hanno situazioni politiche molto complesse per cui ci sono dei cambi di rotta, dei blocchi, delle chiusure. Le famiglie rimangono in attesa per anni, a volte anche dopo aver conosciuto il figlio.

D. - E quindi voi dite che la legislazione che regola tutta questa materia andrebbe riformata…

R. – Assolutamente, nel senso che la legge, che ha un buon presupposto, è però una legge datata, quindi non tiene conto di tanti fattori, primo fra tutti di questa cosiddetta “banca dati”. Quindi già questo è uno dei motivi sul quale la riforma dovrebbe mettere mano e poi rivedere tutta la posizione delle Case-famiglie, aprire eventualmente quella che viene definita “l’adozione aperta”, cioè la possibilità da parte di un bambino di essere adottato da una famiglia pur mantenendo quei legami biologici - che non garantiscono che il bambino possa tornare nella famiglia d’origine perché, evidentemente, i genitori non hanno quelle caratteristiche di affidabilità per quanto riguarda la crescita del bambino - ma nello stesso tempo non spezza un legame prezioso. Tutti questi aspetti potrebbero essere risolti in un altro modo e creare un’adozione che sia trasparente, più sostenibile e quindi una strada percorribile con più serenità.

D. - Un’eventuale apertura da parte della legislazione italiana delle adozioni anche alle coppie omosessuali potrebbe avere delle conseguenze sulle famiglie che sono in attesa di adottare un bambino?

R. - Per quanto riguarda la Federazione Russa sicuramente potrebbero esserci delle implicazioni se dovesse passare una legge, perché è già successo con altri Paesi: non vedendo di buon occhio questo tipo di adozione Putin le bloccherebbe come ha già fatto. Quindi questo è sicuramente un rischio per quelle famiglie che in questo momento sono in attesa, nel caso dovesse passare la legge. Però - se posso aggiungere una cosa - mi sembra che ultimamente si parli parecchio di questo aspetto, ma si perda un po’ di vista quello che è il senso dell’adozione. Adozione è dare una famiglia ad un bambino che non ha famiglia, non è dare un figlio a chi lo desidera! Su questa cosa si basa tutto il concetto di adozione.

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Istat: aumentano occupati, risale disoccupazione giovanile

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In Italia aumentano i posti a tempo indeterminato, risale la disoccupazione giovanile, torna a crescere il Pil. E’ quanto emerge dagli ultimi dati diffusi dall’Istat. Per il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Giuliano Poletti, l’aumento in particolare degli occupati – 70mila in più a gennaio - è “un grande risultato”. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Rimane invariato il tasso di disoccupazione, pari all’11,5%, ma il mercato del lavoro, in base agli ultimi dati dell’Istat, ha due volti contrapposti.

Aumentano gli occupati
Uno, incoraggiante, riguarda l’incremento dell’occupazione. A gennaio gli occupati sono 70mila in più.  Cresce in particolare di 99mila unità, su dicembre 2015, il numero di dipendenti assunti a tempo indeterminato. Sono invece 28mila in meno quelli a termine. A completare il quadro la tendenza stabile degli occupati indipendenti.

Risale la disoccupazione giovanile
L’altro volto, preoccupante, si riferisce alla disoccupazione giovanile. Il tasso a gennaio è risalito portandosi al 39,3%, il valore più alto dallo scorso mese di ottobre. E’ disoccupato un giovane su 10.

Aumentano Pil e debito
Il Pil torna a crescere, dello 0,8%, dopo 3 anni di cali. I consumi interni, in aumento dello 0,5%, hanno compensato, in parte, la caduta della domanda estera. La pressione fiscale nel 2015 si attesta al 43,3% del Pil, il livello più basso dal 2011. Il debito italiano si attesta al 132,6% del Pil, il massimo dal 1995, circa 2.170 miliardi di euro.

L'incremento del numero di occupati dimostra che la riforma del mercato del lavoro sta producendo effetti positivi. E' quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, l'economista Giacomo Vaciago

R. – Soprattutto, il dato di gennaio è significativo perché c’è un primo gradino di riduzione della cosiddetta “decontribuzione” e, ciò nonostante, si riscontra un aumento di occupazione.Questo vuol dire che gli aspetti strutturali di miglior funzionamento del mercato del lavoro prevalgono sugli aspetti monetari che inducevano le imprese ad assumere persone.

D. – Ma risale la disoccupazione giovanile: gli occupati, di fatto, crescono soprattutto tra gli over 50 …

R. – Questo è un dramma: se i giovani rimangono disoccupati a lungo, poi non troveranno più lavoro! La quota di cui la disoccupazione è in aumento arriva fino ai 24 anni, cioè sono quelli che escono dalle scuole. Qui non è tanto il mercato del lavoro. E' la buona scuola, la riforma del sistema scolastico con l’alternanza fabbrica-scuola, che dovrebbe in futuro – ma ci vorrà tempo – migliorare l’accessibilità al mercato del lavoro da parte dei giovani. Al momento, stiamo scaricando sui nostri figli tutti i problemi di inefficiente funzionamento del Paese.

D. – Il Pil, secondo gli ultimi dati dell’Istat, torna a crescere dello 0,8% dopo tre anni di cali. Come spiegare questo dato che, in realtà, presenta aspetti non così positivi?

R. – Gran parte di quell’aumento è avvenuto nella prima metà dell’anno. Il dato annuo nasconde il fatto che in corso d’anno la tendenza è per aumenti sempre minori: il quarto trimestre è il peggiore dei quattro del 2015. In altre parole, l’economia italiana inizia l’anno – un anno fa – in ripresa e questa ripresa s’affloscia nel corso dell’anno perché importiamo problemi irrisolti dal resto del mondo. Pensiamo alla Cina, le cui borse crollano nell’agosto del 2015, e che da allora fa da freno all’economia mondiale. Il 2016 è iniziato con una nota di pessimismo maggiore …

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Messico: "Grazie Papa Francesco per la tua testimonianza"

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“Consapevoli  che la gratitudine deve tradursi in impegno” i vescovi del Messico hanno invitato i fedeli e le persone di buona volontà a riflettere sulle parole che Papa Francesco ha rivolto al Paese durante la sua visita dello scorso febbraio. In una lettera a nome di tutti i presuli, il presidente della Conferenza episcopale messicana, l’arcivescovo di Guadalajara, card. José Francisco Robles Ortega, ha ringraziato il Pontefice per la sua visita compiuta come “missionario della misericordia e della pace”. “Grazie Santo Padre - si legge nel testo - per le sue preghiere, per i suoi gesti, per le sue parole e per la sua testimonianza, che ci hanno trasmesso la tenerezza di Dio”

Grazie al Papa per aver mostrato la grandezza della nostra nazione
L’episcopato messicano ringrazia il Santo Padre per aver condiviso le sofferenze e per aver messo in luce il patrimonio, le radici, la cultura e l’identità della popolazione locale, perché possa guardare al futuro. “Grazie per averci fatto vedere che il Messico è un grande Paese – si legge nel messaggio - e per averci fatto capire che, nonostante la notte ci appaia enorme e buia, esistono tante luci che annunciano la speranza”. Un ulteriore ringraziamento viene rivolto al Pontefice anche per “aver incoraggiato la costruzione di un futuro di fiducia e di impegno in nome del bene comune, con giustizia, onestà e solidarietà”. Per questo, i vescovi messicani si impegnano a riflettere sulle parole e le sfide che Papa Francesco ha rivolto loro, sempre intenti a diffondere a tutti la tenerezza di Dio.

Grazie al popolo gioioso e responsabile che ha accolto al Papa
La Chiesa messicana ha anche  ringraziato il capo dello Stato, le autorità federali e municipali ed i volontari che hanno collaborato all’organizzazione del viaggio apostolico. “Ringraziamo gli oltre 10 milioni e mezzo di persone che hanno partecipato alle celebrazioni, agli incontri e dietro le transenne, dando esempio di come i messicani sanno esprimersi, condividere, celebrare ed agire con ordine e responsabilità. Infine, un riconoscimento ai mezzi di comunicazione che hanno reso possibile che milioni di persone in tutto il mondo potessero seguire la visita papale in Messico ed in oltre 140 nazioni”. Quindi, fiduciosi dell’aiuto di Dio e dell’intercessione della Madonna di Guadalupe, i vescovi chiedono tutti di pregare per il Santo Padre. (A cura di A.Tufani)

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Vescovi africani: giovani non perdete la speranza

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Insicurezza, terrorismo, persecuzioni dei cristiani, fenomeni migratori, corruzione e malgoverno, manipolazione delle Costituzioni da parte di leader politici per conservare il potere; mancanza di rispetto della libertà religiosa. Sono queste le preoccupazioni espresse dai vescovi dell’Africa occidentale al termine della 2.a Assemblea plenaria della Conferenza episcopale regionale dell’Africa occidentale (Recowa-Cerao) che si è conclusa ieri ad Accra, in Ghana.

I vescovi hanno analizzato tutti i mali dell'Africa occidentale
Nel comunicato finale, ripreso dall’agenzia Fides, si denunciano: “la crescente insicurezza, in particolare gli attacchi terroristici, che hanno colpito alcuni dei nostri Paesi: Nigeria, Mali, Burkina Faso, Camerun e Ciad”; “Le persecuzioni contro i cristiani” e “il non rispetto della libertà religiosa e l’imposizione da parte dello Stato di una religione a tutti i cittadini”; “i fenomeni migratori che portano un numero importante di giovani africani verso orizzonti incerti, spesso a rischio della loro vita”; “il malgoverno, la corruzione, le ingiustizie sociali e i loro corollari”.

I rischi per la famiglia, il dialogo interreligioso la disoccupazione e la povertà
Tra le sfide sul piano pastorale, i vescovi di lingua inglese, francese e portoghese dell’Africa occidentale, hanno indicato: “la famiglia colpita da sconvolgimenti di ogni natura, in particolare l’unione omosessuale, la legalizzazione forzata dell’aborto”; “il dialogo interreligioso, la formazione dei fedeli cristiani”; “il sincretismo religioso e la defezione dei fedeli verso nuovi gruppi e movimenti religiosi; “lo sfruttamento commerciale della religione”; “la disoccupazione giovanile e il depauperamento delle popolazioni”.

I vescovi esortiamo i fedeli cattolici a perseverare nella fede
​“Di fronte a queste sfide - affermano i vescovi - esortiamo i fedeli cattolici a perseverare nella fede”. Esortano poi i politici a “promuovere il buon governo e l’equità nella gestione del bene comune” e i giovani a “non perdere la speranza, ma a credere nella possibilità di realizzare la propria vita e il proprio benessere sul continente africano”. (L.M.)

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Chiesa Sudafrica: disordini alle università retaggio dell'apartheid

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Le violente contestazioni e gli atti di vandalismo in atto nelle università del Sudafrica sono una reazione alle disuguaglianze sociali ereditate dall’apartheid. Così mons. William Slattery, arcivescovo di Pretoria e portavoce della Conferenza episcopale sudafricana (Sacbc) commenta i disordini a ripetizione che continuano a verificarsi in diversi atenei del Paese, dopo le proteste studentesche dello scorso autunno contro l’aumento delle tasse  scolastiche.

Il mondo accademico ancora dominato dalla cultura bianca
La settimana scorsa Mafikeng, città del nord-ovest del Sudafrica, la polizia è dovuta intervenire con gas lacrimogeni contro gli studenti della locale università, che hanno messo a ferro e a fuoco l'edificio per degli accesissimi contrasti con colleghi rappresentanti del Consiglio degli studenti. Contestazioni e disordini sono all’ordine del giorno anche in altre sedi universitarie, comprese quelle più prestigiose, come la University of the Free State a Bloemfontein, l’Università di Città del Capo e quella di Pretoria. Uno dei motivi ricorrenti delle proteste è l’uso esclusivo nelle università dell’afrikaans, lingua associata al passato regime segregazionista.  Tra gli studenti neri sudafricani - spiega mons. Slattery all’agenzia Cns - vi è la diffusa sensazione che le loro lingue materne siano discriminate, confermando l’impressione di “un razzismo istituzionalizzato non ancora superato nel Paese, ancora dominato da una cultura bianca”.

La risposta della politica finora debole
​Per l’arcivescovo di Pretoria, questa disuguaglianza, che ha alimentato negli anni le frustrazioni dei giovani sudafricani sfociate nelle proteste dell’anno scorso, “deve essere risolta in tutto il Paese”. La risposta delle forze politiche - osserva – è stata finora debole, anche se adesso sembra che ci sia il tentativo di recuperare il terreno perduto. (L.Z.)

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Chiesa libanese: canale tv d'informazione per costruire la pace

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Un nuovo canale satellitare dedicato interamente all'informazione, con notizie presentate “alla luce dei precetti della Chiesa”, teso a “costruire ponti di pace”, per offrire punti di riferimento a chi vuole “operare per il bene comune” e fare “guerra alla guerra”, nel cuore del Medio Oriente dilaniato da conflitti sanguinari. E' questo il programma ambizioso che si prefigge il nuovo canale satellitare all-news del network televisivo Noursat-Tele Lumiere, inaugurato ieri nella sede di Dora, sobborgo nord-orientale di Beirut, nel corso di una cerimonia a cui hanno preso parte anche l'arcivescovo Gabriele Caccia, nunzio apostolico in Libano, e l'arcivescovo maronita di Beirut, Boulos Matar.

La Tv rappresenta una finestra sulla pace
Durante l'incontro – riferisce la stampa libanese – l'arcivescovo Caccia ha affermato che Noursat-Tele Lumiere rappresenta “una finestra per la pace”, mentre l'arcivescovo Matar ha elogiato la nobile missione perseguita con la creazione del nuovo canale satellitare. Dal canto suo Jacques Kallassi, direttore generale di Noursat-Tele Lumiere, ha spiegato che l'obiettivo della nuova rete è quello di "trasmettere la verità così com'è”, e ha ricordato che tutti gli operatori della rete nel loro lavoro mantengono fede anche al proposito di "rispettare gli spettatori”, evitando di trasmettere immagini e scene cruente e che possono traumatizzare soprattutto i minori. (G.V.)

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Vescovi Costa Rica: misericordia, antidoto alla violenza

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La misericordia è il vero antidoto alla violenza: questo, in sintesi, il messaggio della Conferenza episcopale del Costa Rica, in occasione della 111.ma Assemblea ordinaria. Nel messaggio diffuso dai presuli in questi giorni, intitolato “Misericordia o violenza?”, si parte da un dato specifico: nel 2015, nel Paese, si sono contati 560 omicidi, una cifra che – sottolineano i vescovi – rappresenta una vera “epidemia”, soprattutto considerando che “un quarto di tali assassinii sono stati associati al narcotraffico”.

Allarme per violenze sui minori e povertà per un milione di persone
Altri dati “gravi e molto dolorosi” riguardano “la violenza contro l’infanzia”, si legge nel messaggio episcopale: “In meno di dieci anni, dal 2006 al 2015, infatti, le morti tra i minori si sono praticamente raddoppiate”, tanto che “nel 2014, l’Ospedale nazionale dell’infanzia ha medicato 2.400 bambini vittime di aggressioni, mentre nel 2015 ne ha accolti 3.100”. Senza dimenticare, aggiungono i presuli, le violenze domestiche o il bullismo che “ha spinto molti studenti al suicidio”, insieme ad altri atti di ingiustizia che devastano il Paese, come “la fame, la mancanza di una vita dignitosa e della debita assistenza medica, la povertà che attanaglia più un milione di persone” e “la crescente ed apparentemente incontrollabile insicurezza sociale”.

No a sviluppo economico lontano da bene comune
Quindi, la Chiesa cattolica di San José si sofferma sulle cause della violenza nel Paese e punta il dito contro “la disuguaglianza; un modello di sviluppo economico che non si pone, come obiettivo, l’essere umano ed il bene comune; la programmazione indebita di alcuni mass media; la debole testimonianza di autentici valori umani nei centri educativi; la sfiducia nelle istituzioni pubbliche; i numerosi casi di corruzione”. Tutto questo, evidenziano i  presuli, rimanda ad “un problema etico fondamentale che riguarda la concezione stessa della persona umana”.

Misericordia anima la cultura della pace
Tuttavia, il Costa Rica non ha solo ombre, bensì anche luci: i vescovi, infatti, ricordano che il Paese possiede “un’importante riserva di cultura pacifista, profonda e radicata” che richiede, però “un radicale cambiamento nella cultura e nel comportamento, con grande impegno da parte di tutti”. In questo Anno Santo, quindi, i vescovi sottolineano che “la misericordia è l’anima della cultura della pace” ed esortano a praticarla “in tutti gli ambiti della società, così da vincere la violenza con la pace, l’indifferenza con la solidarietà”. “Apriamo i nostri occhi – ribadiscono i presuli - per guardare con cuore compassionevole i tanti fratelli e sorelle privati della dignità”, praticando le opere di misericordia corporali e spirituali. “Seminiamo nelle case la pace – è ancora l’esortazione dei presuli – affinché siano scuole di convivenza armoniosa”.

Educare i giovani alla misericordia per rompere le catene dell’odio
Infine, nella parte conclusiva del messaggio, la Chiesa del Costa Rica lancia “un vibrante appello” a tutte le istituzioni, ai mass media, alle famiglie, affinché “non si aspetti ancora ad educare i giovani alla misericordia, così da rompere le catene dell’odio e dell’indifferenza che alimentano la cultura della violenza”. “Sta a noi – concludono i presuli – ricostruire il Costa Rica come una società in cui brillino la pace ed il pieno rispetto di ogni vita umana”. (A cura di Isabella Piro)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 61

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.