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Sommario del 02/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Chiesa non vuole soldi sporchi ma cuori aperti a Dio

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“La Chiesa, non ha bisogno di soldi sporchi, ha bisogno di cuori aperti alla misericordia di Dio”. Con questa affermazione forte Papa Francesco ha terminato la catechesi dell’udienza generale, tenuta in Piazza San Pietro sul tema della correzione misericordiosa che Dio adotta con l’uomo, anche se questi gli volta le spalle. Il servizio di Alessandro De Carolis

Può capitare di voler usare un’elemosina, magari cospicua, in una sorta di sbiancante per la coscienza per recuperare una dimensione spirituale a lungo ignorata.

Non il denaro ma il cuore
Papa Francesco chiude una catechesi tutta giocata sul rapporto tra la correzione amorevole di Dio per l’uomo, che spesso quell’amore tradisce, con una considerazione che smaschera con durezza quelli che pensano di sistemare le cose con Dio offrendogli il portafoglio invece che il cuore:

“Io penso alcuni benefattori della Chiesa che vengono con l’offerta: 'Prenda per la Chiesa questa offerta… È frutto del sangue di tanta gente sfruttata, maltrattata, schiavizzata con il lavoro malpagato! Io dirò a questa gente: ‘Per favore, portati indietro il tuo assegno, brucialo’. Il popolo di Dio, cioè la Chiesa, non ha bisogno di soldi sporchi, ha bisogno di cuori aperti alla misericordia di Dio”.

Non salvano i riti ma la misericordia
Poco prima il Papa aveva stigmatizzato questo comportamento affermando che la strada che porta a Dio “non è quella dei sacrifici rituali” ma della “giustizia” allo stesso modo in cui il culto non ha valore quando “invece di esprimere la conversione, pretende di sostituirla” e ci si inganna pensando “che siano i sacrifici a salvare, non la misericordia divina che perdona il peccato”:

“Per capirla bene: quando uno è ammalato va dal medico; quando uno si sente peccatore va dal Signore. Ma se invece di andare dal medico, va dallo stregone non guarisce. Tante volte preferiamo andare per strade sbagliate, cercando una giustificazione, una giustizia, una pace che ci viene regalata come dono dal proprio Signore se non andiamo e cerchiamo Lui”.

Il rifiuto di Dio annienta la vita
Il problema nasce quando – e Francesco lo descrive citando versi del Profeta Isaia – l’uomo rompe l’alleanza con Dio e si mette in contrasto per una “pretesa di orgoglio” che porta, dice, “all’illusione dell’autosufficienza”. Il rapporto Padre-figlio si spezza, anzi si snatura:

“Dove c’è rifiuto di Dio, della sua paternità, non c’è più vita possibile, l’esistenza perde le sue radici, tutto appare pervertito e annientato. Tuttavia, anche questo momento doloroso è in vista della salvezza. La prova è data perché il popolo possa sperimentare l’amarezza di chi abbandona Dio, e quindi confrontarsi con il vuoto desolante di una scelta di morte. La sofferenza, conseguenza inevitabile di una decisione autodistruttiva, deve far riflettere il peccatore per aprirlo alla conversione e al perdono”.

Dio non ci rinnega mai
Francesco intercala alle sue le parole di Isaia, che sprona a cercare la giustizia. “Pensate ai tanti profughi che sbarcano  in Europa e non sanno dove andare”, soggiunge il Papa, che conclude con il messaggio di sempre. “Il miracolo del perdono” di Dio, afferma, vince su ogni miseria umana:

“Dio mai ci rinnega: noi siamo il suo popolo. Il più cattivo degli uomini, la più cattiva delle donne, i più cattivi dei popoli sono suoi figli. E questo è Dio: mai, mai ci rinnega! Dice sempre: ‘Figlio, vieni’. E questo è l’amore di nostro Padre; questa  la misericordia di Dio. Avere un padre così ci dà speranza, ci dà fiducia”.

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Nomina episcopale in Brasile

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In Brasile, Papa Francesco ha nominato vescovo della diocesi di São Raimundo Nonato mons. Eduardo Zielski, trasferendolo dalla diocesi di Campo Maior. Il presule è nato a Brodnica, diocesi di Pelplin (Polonia), il 12 febbraio 1947. E’ entrato nel Seminario diocesano di Chełmno, dove ha frequentato gli studi di Filosofia e Teologia. Il 21 maggio 1972 è stato ordinato sacerdote. Dopo essere stato Vicario Parrocchiale a Osie Gdynia, nel 1980 è andato come sacerdote fidei donum in Brasile ed ha esercitato il suo ministero a Blumenau, Santa Catarina (1980-1983); è stato Parroco della Cattedrale di Irecê, Stato di Bahia (1983-1990) e Parroco della parrocchia di "Santo Antônio de Pádua" in Ibimirim, diocesi di Floresta, nello Stato di Pernambuco (1990-2000). Il 2 febbraio 2000 è stato eletto Vescovo di Campo Maior, ricevendo l’ordinazione episcopale il 7 maggio successivo.

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Diventa internazionale Click to Pray, l’App che aiuta a pregare col Papa

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Una nuova versione della piattaforma digitale “Click to Pray - Clicca per pregare”. È l’iniziativa che l’Apostolato della preghiera, la Rete mondiale di preghiera del Papa affidata ai Gesuiti, presenta alla Radio Vaticana venerdì prossimo, in occasione dell’evento “24 ore per il Signore”, con la celebrazione penitenziale presieduta dal Pontefice in San Pietro. “Click to Pray” è una rinnovata App, già operativa, per pregare secondo le intenzioni di preghiera mensili del Santo Padre, elaborata in collaborazione con l’agenzia La Machi. Dal mese di gennaio, lo ricordiamo, Francesco affida tali intenzioni ad un apposito videomessaggio, realizzato col contributo del Centro Televisivo Vaticano. Della App parla in anteprima il padre gesuita Frédéric Fornos, direttore internazionale dell’Apostolato della preghiera e del suo ramo giovanile, il Movimento eucaristico giovanile, intervistato da Giada Aquilino

R. – All’inizio si trattava di una iniziativa indirizzata ai giovani dell’Apostolato della preghiera del Portogallo, che ha ricevuto più di 80 mila adesioni per questa applicazione. Poi, durante la preparazione del Giubileo della Misericordia, nel quale – come sappiamo – si chiede ai pellegrini di pregare per le intenzioni del Santo Padre, abbiamo pensato di trasformarla in una applicazione internazionale per la rete mondiale di preghiera del Papa, così da aiutare i pellegrini a pregare con il Pontefice per le grandi sfide dell’umanità e della missione della Chiesa, in quest’Anno della Misericordia. Prima quindi era per i giovani, adesso è per tutti, essendo orientata alle sfide dell’umanità e della missione della Chiesa che Papa Francesco ci affida ogni mese.

D. – Come, di fatto, verrà usata dai fedeli e dagli utenti dei social network?

R. – Non è unicamente un’applicazione per iPhone, Android o Windows Phone, ma anche per Facebook, Twitter, Youtube. Avrà una newsletter ed anche un blog. Per il momento sarà in portoghese, spagnolo, francese ed inglese, ma stiamo già pensando per l’anno prossimo – grazie all’aiuto ad esempio dell’Apostolato della preghiera Italia – di renderla disponibile anche in italiano. E poi in cinese, indonesiano, coreano e probabilmente anche in altre lingue.

D. – Cosa ci sarà propriamente su questa App? Come i fedeli verranno aiutati a pregare?

R. – Ci saranno varie cose. La prima – quella essenziale – è rappresentata dalle intenzioni di preghiera del Papa: quindi la preghiera universale e la preghiera per l’evangelizzazione. Ci sarà la possibilità di pregare per tre volte al giorno: la mattina con Gesù, per disporre la nostra vita nel Signore e in comunione con tutta la Chiesa; a mezzogiorno, poi, una piccola preghiera per essere più aperti allo Spirito Santo; e al finire del giorno per guardare con il Signore come siamo stati disponibili alla missione di Cristo. Quotidianamente, inoltre, si può avere una notifica per ricordare che è l’ora della preghiera, che è il momento per stare in comunione con tutta la Chiesa e per pregare per le sfide tanto importanti evidenziate da Papa Francesco. C’è inoltre la possibilità di poter scrivere la propria preghiera, la propria intenzione: si può chiedere quindi ad altri di pregare con noi, per le preoccupazioni che possiamo avere. C’è infine anche la possibilità di poter ricevere dei commenti sulla via del cuore e sulla via spirituale proposte dall’Apostolato della preghiera per essere più vicini al cuore di Gesù, pregando per l’umanità.

D. – L’intenzione di preghiera di marzo riguarda le famiglie in difficoltà e i cristiani discriminati o perseguitati. Come si traduce sulla App?

R. – Ogni giorno ci sono tre momenti in cui si possono ricevere tre possibilità di preghiera per questa specifica intenzione, attraverso una citazione biblica, attraverso un esercizio per la nostra vita, per esempio pensando alle famiglie in difficoltà che si conoscono. Ogni giorno è una finestra aperta sul mondo.

D. – Il lancio avviene per le “24 ore per il Signore”, con la celebrazione penitenziale del Papa in San Pietro. L’anno scorso, in questa occasione, annunciò il Giubileo della Misericordia. Il Pontefice è stato informato di questa iniziativa? Quale incitamento avete ricevuto?

R. – Gli abbiamo presentato questo progetto con il Movimento eucaristico giovanile, durante una udienza in agosto, affinché potesse conoscere questa applicazione con la quale i giovani e non solo possono pregare con lui ed uscire dall’indifferenza nella quale si può entrare molto facilmente, aprendo così il cuore alle sfide dell’umanità. Sembrava molto contento di questa applicazione, proprio perché permette alle persone che lo desiderano di pregare più facilmente in comunione con le preoccupazioni che ha per il mondo e per la Chiesa. Ha detto che era molto contento di questa applicazione, che ci appoggiava e ci incoraggiava a continuare così. In una occasione successiva, il preposito generale della Compagnia di Gesù, il padre Adolfo Nicolás, ha parlato con Papa Francesco di questo progetto: il Papa gli ha confermato di essere molto contento della rifondazione, della ricreazione della Rete mondiale dell’Apostolato di preghiera e del fatto che potesse aiutare, in questo Anno della Misericordia, a pregare in comunione con lui.

D. – Il Papa, nel messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali del 2016, sottolinea come la comunicazione abbia “il potere di creare ponti” tra le persone e tra i popoli, anche nell’ambiente digitale. Qual è il contributo della App?

R. – È una App in relazione con la Rete mondiale di preghiera, attiva in tutti i continenti: siamo presenti in quasi 100 Paesi del mondo, in tutte le culture, per pregare insieme per la missione della Chiesa. 

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Una porta sempre aperta: all'udienza generale il Papa parla del perdono di Dio e ribadisce che la Chiesa non accetta offerte sporche di sangue.

Fratel Alois sull’esempio di comunione seguito a Taizé.

Dalle sponde del Nilo - Rossella Fabiani sull'esposizione "Egitto-Pompei".

Il voto di Pio XII - un concerto per rendere omaggio a Papa Pacelli nella chiesa di sant'Ignazio.

Ci sono i bambini al centro del regno di Dio - Donatella Coalova sulla Giornata mondiale di preghiera.

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Oggi in Primo Piano



Migranti, 700 milioni da Ue. Unicef: basta violare diritti bimbi

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Saranno 700 i milioni di euro messi a disposizione dalla Commissione europea per portare sostegno ai Paesi europei toccati dalla crisi dei profughi e con gravi conseguenze umanitarie già visibili, come la Grecia. Intanto, però, mentre i Servizi segreti parlano di allarme terroristi tra i migranti, al confine greco-macedone è ancora molto alta la tensione. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Trecento milioni subito, gli altri 400 divisi in due anni. E’ il piano di stanziamento del budget umanitario di 700 milioni di euro da destinare ai Paesi esposti alla crisi dei migranti che la Commissione europea sottoporrà al Consiglio e al Parlamento europei per il via libera dei Ventotto. Non si deve perdere più tempo, è questa la preoccupazione di Bruxelles di fronte alla crisi umanitaria che in questo momento sta schiacciando soprattutto la Grecia, dove si continuano ad ammassare migranti bloccati dalla chiusura delle frontiere con la Macedonia. Mentre a Calais si è arrivati al terzo giorno di sgombero del campo denominato la "giungla", presidiato da decine di poliziotti in assetto antisommossa, al campo di transito di Idomeni, alla frontiera greco-macedone, la tensione resta molto alta. Le autorità di Skopje hanno aperto le frontiere per circa quattro ore oggi, in due diverse finestre, permettendo l’ingresso di 170 profughi, una goccia in un mare fatto di migliaia di persone: si parla di 10 mila tra siriani e iracheni, accampate nel nulla, sottoposte a condizioni difficilissime. Di ieri la denuncia dell’Unicef, che ha raccontato di bambini, sono circa 2.500 i minori a Idomeni, costretti a dormire all’aperto senza cibo, senza accesso ai servizi igienici, in situazione di gravissimo stress e sottoposti al rischio di violenze e abusi. Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia:

R. – Voglio ricordare un antefatto: da dove vengono tutti questi bambini? Nessuno forse ne parla, nessuno forse lo ricorda, ma questi bambini fuggono da una guerra, quella siriana, che dura da cinque anni e che la comunità internazionale non è stata in grado di risolvere. Quando oggi l’Europa si trova di fronte a un dramma come questo dimentica di interrogarsi su come mai e dove fosse cinque anni fa, quando è iniziato il focolaio di questo conflitto in Siria, quando i rifugiati sono diventati quattro milioni e mezzo, quando i morti sono diventati 300 mila e quando queste grandi masse umane, dopo aver lasciato la rotta del Mediterraneo, sono arrivate su quella dei Balcani. Noi abbiamo fatto appello più volte che questa situazione sarebbe esplosa e siamo stati inascoltati e oggi i bambini sono costretti a vedere i propri genitori malmenati, sono vittime di violenze, assistono a scene alle quali non dovrebbero assistere, oltre a tutti i traumi a cui sono già stati sottoposti in patria perché magari le bombe hanno completamente rovinato la loro infanzia. Ecco perché ho parlato con forza di una violazione palese della Carta fondamentale dei diritti dell’infanzia - la Convenzione dell’89 - perché tutti i Paesi del mondo, compresi quelli che oggi hanno chiuso le frontiere, compresi quelli che  hanno alzato dei muri antistorici senza senso e fuori da ogni realtà, hanno firmato quella Carta e si sono impegnati su tre cose fondamentali: proteggere i bambini, seguire il loro percorso in qualsiasi situazione e superare qualsiasi steccato di natura razziale, personale e umana. Oggi, invece, questi bambini non sono protetti e si trovano all’interno di uno scenario che ricorda, purtroppo, scene già viste negli Anni ’40. Questo secondo me, nel 2016, nell’Europa della solidarietà, nell’Europa unita, non può e non deve accadere.

D. – Oltre, appunto, a denunciare questa evidente violazione, l’Unicef ha però anche detto: “Chi viola questa carta se ne assuma le proprie responsabilità”. Che cosa significa? Quanto può interessare questo a quei Paesi che hanno deciso di lasciar fuori queste persone?

R. – Iniziamo da un presupposto: la Carta sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza è la carta più ratificata al mondo, ma è anche la carta più violata al mondo. Basti pensare alle guerre che continuano, ai continui abusi, alle violenze, alle situazioni nelle quali si trovano questi bambini in qualsiasi parte del pianeta. Assodato che questa Carta subisce delle violazioni, spesso per mancanza di leggi o di atteggiamenti corretti da parte degli Stati nazionali, è chiaro che assumersi le proprie responsabilità significa che nelle sedi opportune – ieri ho fatto un appello all’Italia affinché venga sollevata questa questione – questi Paesi vanno messi di fronte al fatto che hanno preso degli impegni come europei, degli impegni all’interno dei Trattati che hanno firmato per diventare dei Paesi membri e, soprattutto, degli impegni rispetto a questo Trattato. Naturalmente, oggi questi Trattati vengono superati, non vengono rispettati... Però, non dimentichiamoci che questi sono dei crimini contro l’umanità e di fronte a questi dovranno rispondere.

D. – Ricordiamo che con quello che sta accadendo al campo di Calais, dove sono centinaia i minori, non sono meno colpevoli né la Francia né la Gran Bretagna…

R. – Comprendo davvero le difficoltà interne dovute a tutto quello che è accaduto in questi mesi in Francia e capisco le preoccupazioni della Gran Bretagna, però credo che i grandi Paesi dell’illuminismo, i grandi Paesi dei diritti civili come loro, non possano assolutamente chiudere e voltare le spalle ai bambini. Questi bambini non sono terroristi: questi bambini hanno bisogno di protezione perché fuggono da guerre che questi stessi Paesi, in quanto parte della comunità internazionale, purtroppo non hanno risolto. È una questione di cui dobbiamo farci carico tutti. Ho chiesto all’Italia più volte di portare questa vicenda in tutte le sedi opportune. Ieri, il ministro degli Esteri Gentiloni ha parlato di "baratro", quindi non dico nulla di nuovo. Però, mi auguro che sia Cameron che Hollande, in qualche modo, tengano presente che sta accadendo ciò che fu negli Anni ’40, ancora situazioni che purtroppo non riusciamo a risolvere. Noi, ripeto, non siamo riusciti a risolvere. Il problema nasce dalla nostra impotenza.

Intanto, continuano ad arrivare dai servizi di intelligence i richiami al rischio di infiltrazione terroristiche, soprattutto lungo la rotta balcanica, considerata transito privilegiato di "foreign fighters".

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Primarie Usa: nel "Supertuesday" vincono Clinton e Trump

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Stati Uniti, Nella corsa alla Casa Bianca si va verso un testa a testa tra Hillary Clinton e Donald Trump. Nel "supermartedì", nel quale ieri si è votato in 14 Stati, in campo democratico l’ex first lady si è aggiudicata 8 Stati, 4 sono andati a Bernie Sanders. Nel Partito repubblicano, Trump primeggia in 7 Stati, 3 per Cruz, un solo Stato a Rubio. Possiamo, dunque, dire che Clinton e Trump abbiano messo una seria ipoteca sulla candidatura alla presidenza? Giancarlo La Vella lo ha chiesto all’americanista, Paolo Mastrolilli, del quotidiano La Stampa, raggiunto telefonicamente a New York: 

R. – Per quanto riguarda la parte democratica, Bernie Sanders intende competere fino alla convention per cercare, qualora non fosse scelto come candidato, come ormai è altamente probabile, per cercare di condizionare comunque il programma del partito cercando di spingere la sua politica più a sinistra e comunque rimanere alla guida dell’area progressista del Partito democratico. Dalla parte repubblicana, Cruz e Rubio sostengono che resteranno in corsa perché l’establishment del Partito repubblicano ritiene in realtà che Trump non sia eleggibile a novembre e, quindi, sta cercando di individuare un candidato alternativo. Il problema è che non hanno ancora trovato questo candidato unico alternativo e quindi la divisione tra le varie fazioni favorisce Trump. Tanto Cruz quanto Rubio, però, stanno chiedendo agli altri candidati di ritirarsi, per fare in modo che uno di loro possa emergere come alternativa a Trump. Quindi, continueranno ad andare avanti anche se adesso naturalmente il vantaggio che ha acquisito il costruttore miliardario in termini di Stati vinti, ma soprattutto di delegati che ha raccolto, rende molto difficile questo tentativo di fermarlo.

D. – L’opinione pubblica internazionale, come è naturale, guarda con molta attenzione all’elezione del capo della Casa Bianca. Quali ricadute a livello di politica estera dall’elezione del candidato democratico o repubblicano?

R. – Questa naturalmente è un’attenzione giustificata, perché gli Stati Uniti continuano a essere Paese leader mondiale, lo Stato fondamentale per risolvere e affrontare le tante crisi globali che minacciano la stabilità del pianeta. Proviamo a fare questo discorso però provando ad analizzare le reazioni che ci sono all’interno degli stessi partiti americani. Il fatto che l’establishment repubblicano non sia convinto di eleggere Trump e che, appunto, lo ritenga una persona che a novembre perderebbe e comunque non sarebbe abbastanza affidabile per gestire il Paese, dice già qualcosa sulla preoccupazione che questo candidato crea all’interno dei suoi stessi compagni di partito. Naturalmente, questo giustifica le preoccupazioni per le posizioni che ha preso sull’immigrazione, sui rapporti con gli altri Stati, come la Cina  e la Russia. Tutto questo crea naturalmente preoccupazione sul fatto che la sua elezione possa provocare instabilità invece che risolvere i problemi. Nel caso di Hillary Clinton, ci sarebbe una soluzione di maggiore continuità. È stata il aegretario di Stato durante l’amministrazione Obama per quattro anni, alle spalle ha l’establishment del Partito democratico e molte persone che lavorano per lei già hanno fatto esperienza alla Casa Bianca, sia durante la presidenza del marito Bill, che con l’amministrazione in corso. Quindi, non ci sarebbe da aspettarsi dei grandi cambiamenti sulla linea di politica estera.

D. – Hillary Clinton potrebbe diventare il primo presidente americano donna. Anche questo è un aspetto che conta in queste elezioni?

R. – Hillary Clinton spera di diventare il primo presidente donna, però è significativo un fatto: finora, durante le primarie democratiche il candidato che ha ottenuto più voti tra l’elettorato femminile è stato Sanders, soprattutto tra le donne più giovani. Quindi, in realtà Hillary deve ancora  portare avanti un lavoro più significativo per convincere le donne che lei sia la candidata migliore. Molte di queste donne hanno detto che per loro essere donna non basta per scegliere il candidato e quindi il fatto che Hillary sia una donna non è sufficiente per avere il loro voto. Deve convincerle sui programmi. Finora non ci è riuscita. La speranza naturalmente è di conquistare questo elettorato e riuscire in questa maniera a diventare la prima donna ad entrare alla Casa Bianca.

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Le monarchie del Golfo contro Hezbollah: sono "terroristi"

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Le sei monarchie del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG) mettono ufficialmente nella lista nera dei terroristi il gruppo sciita libanese Hezbollah. L’annuncio è del segretario generale, Abdellatif Zayani. Gli Stati sunniti di Arabia Saudita, Bahrein, Qatar, Emirati Uniti, Oman e Kuwait spiegano la presa di posizione con “l’intensificarsi delle azioni ostili e dell’impegno a reclutare giovani nei Paesi del Golfo da parte di esponenti di Hezbollah”. Del contesto in cui si pone la decisione e delle conseguenze, Fausta Speranza ha parlato con Valeria Talbot, docente di Medio Oriente e Penisola Arabica all’Università Luiss: 

 R. – Questa decisione del Consiglio di Cooperazione del Golfo si inserisce nel più ampio contesto della guerra in Siria. In particolare, l’Arabia Saudita, che è il Paese leader dell’organizzazione, si trova su un fronte contrapposto rispetto a Hezbollah. Hezbollah è sostenuto dall’Iran, sostiene a sua volta il regime di Bashar al-Assad, mentre l’Arabia Saudita, con le altre monarchie del Golfo, è impegnata da quasi cinque anni a sostenere le milizie e i gruppi di opposizione al regime di Damasco.

D. – La destabilizzazione dell’area per i conflitti, l’accordo tra Iran e Usa: tutto questo sta ricompattando il gruppo delle monarchie del Golfo?

R. – Ha un effetto e una ricaduta importante sulla ridefinizione e sul riaggiustamento degli equilibri di potenza nell’area. L’Arabia Saudita, in primis, da anni gioca un ruolo di guida del mondo sunnita: ruolo che vuole e che sta rafforzando in questi ultimi anni, in contrapposizione alla crescente influenza dell’Iran nell’area. E l’accordo sul nucleare, che riabilita in un certo qual modo da un punto di vista internazionale l’Iran, non è stato visto di buon occhio dall’Arabia Saudita, anche per gli effetti che quest’ultimo ha anche nelle relazioni con gli Stati Uniti. Quindi, è un gioco che si svolge sul piano geopolitico più ampio del contesto mediorientale: un riaggiustamento che ha nel confronto tra Arabia Saudita e Iran, e tra campo sunnita e campo sciita, il suo pivot principale, il perno.

D. – Quali possono essere le conseguenze di questa presa di posizione: Hezbollah uguale “terroristi”?

R. – Questa decisione avrà delle ricadute sul piano interno e sui rapporti tra monarchie e tra Arabia Saudita nello specifico e il governo libanese. Quindi, è una decisione che avrà senz’altro delle conseguenze che vedremo nelle prossime settimane sul piano concreto, che si inserisce anche all’interno di quella decisione saudita di sospendere il finanziamento di tre miliardi di dollari all’esercito libanese per l’acquisto di forniture militari dalla Francia.

D. – Quali possono essere le prossime mosse?

R. – Le monarchie vogliono affermare il loro ruolo e la loro posizione e avere anche una parte importante nei negoziati per la soluzione della crisi siriana. 

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Family day: dalla protesta al movimento organizzato per la famiglia

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"Dal Family day al Family Italia?". E’ il tema del Convegno tenutosi stamani a Roma con i rappresentati del Comitato "Difendiamo i nostri figli", promotore del Family day. L’iniziativa ha fatto il punto sulla possibile articolazione di un movimento di massa che sappia rappresentare un’Italia ignorata dal pensiero dominate. Un popolo che ha saputo dare rilevanza a temi, come l’utero in affitto, sui quali si acceso un vasto dibattito in tutti i partiti e anche negli ambienti più laici. Marco Guerra ha seguito l’evento: 

Utero in affitto, teoria del gender, adozioni per coppie dello stesso sesso e diritti del nascituro. L’agenda politica di questi ultimi mesi ha visto imporsi temi di natura antropologica avanzati da un popolo senza voce che ha preso forma nei due grandi Family day di giugno e di gennaio scorso. Ma dopo l’approvazione del Ddl Cirinnà sulle unioni civili, come si articolerà l’impegno del movimento di massa  pro-family italiano? Gli organizzatori del Circo Massimo ne hanno parlato oggi a Roma. Simone Pillon, membro del Comitato promotore del Family day ed esponente del Forum famiglie Umbria:

R. – Noi vogliamo un’Italia in cui la persona sia rispettata nella sua integralità, noi vogliamo un’Italia in cui la famiglia sia riconosciuta nella sua immensa e insostituibile funzione social. Nnoi vogliamo un Paese in cui l’economia prenda finalmente atto che sono le piccole imprese familiari il vero tessuto economico. Questo è quello che abbiamo in mente: un’idea di antropologia che attualmente non è rappresentata. Contiamo di attrezzarci…

D. – Quindi, una rappresentanza che vada al di là di questi appuntamenti che riguardano temi antropologici?

R. – Assolutamente sì. Noi siamo convinti che da un’idea, da un’impostazione appunto di essere umano, sia possibile declinare questa modalità in tutti gli aspetti della società: sto pensando alle famiglie senza lavoro, sto pensando al sostegno alle famiglie numerose, sto pensando alla politica economica, sto pensando alla politica bancaria… Ecco, tutto questo dice che al momento c’è una visione che vuole prescindere dai tessuti, dai corpi intermedi e porre l’individuo in diretta relazione con il Moloch dello Stato. Noi, invece, crediamo nella sussidiarietà e crediamo nei corpi intermedi.

E sui temi antropologici come l’utero in affitto si allarga una convergenza trasversale di molti esponenti di tutti partiti. Non ultimo il leader del Movimento Cinque stelle, Bebbe Grillo. Non è dunque un terreno per soli cattolici come sottolinea, Costanza Miriano, giornalista ed esponente del Family day:

 “Io credo che la visione del mondo cristiana sia messa in gioco in qualsiasi sfida, in qualsiasi questione che riguardi l’umano in senso lato. Io però personalmente mi auguro che ci siano non politici cattolici, ma cattolici che fanno politica. Credo che sia appunto una battaglia né legata alla fede e neanche alla fede politica, ma veramente a ciò che è di più radicalmente umano e intimo”.

Ma la difesa dei bambini e del diritto naturale e passa anche attraverso le aule dei tribunali. Di ieri la sentenza che consente un’adozione incrociata di due bambine ad una coppia di lesbiche. Il commento di Filippo Savarese, portavoce di "Generazione Famiglia - Manif Pour tous Italia":

“Questa è una sentenza che ha interpretato in modo evolutivo le leggi italiane, sostanzialmente inventandosi cose che nelle leggi non sono scritte. Abbiamo discusso per mesi e mesi di 'stepchild adoption' nelle aule parlamentari, e, una volta stralciata, ce la ritroviamo introdotta da sentenze che noi chiamiamo 'sovversive' dell’ordine democratico. Questa è chiaramente una strategia evidentissima, di tipo ideologico, che la Corte di Cassazione deve immediatamente stoppare, ristabilendo l’ordine dello stato di diritto in Italia. Inoltre, queste sentenze riconoscono il diritto degli adulti di far nascere bambini costituzionalmente senza il papà o la mamma. Questa è una lesione dei diritti umani”.

E’ dunque partita una nuova sfida del popolo del Family day, con l’ambizione di continuare a incidere nel dibattito politico e nel corpo sociale del Paese, difendendo, in modo trasversale, le istanze di una maggioranza silenziosa che chiede di mettere la famiglia al centro dell’azione del legislatore.

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Casa, Rapporto Caritas-Cisl: esiste un'emergenza abitativa

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Sempre più famiglie in Italia soffrono il disagio abitativo, con difficoltà ad accedere al bene casa e situazioni di caro affitti sempre meno sostenibili. E’ quanto emerge dal rapporto “Un difficile abitare”, stilato da Caritas italiana, Cisl e sindacato inquilini Sicet. Il dossier relativo al 2015 è stato presentato questa mattina a Roma. Il servizio di Elvira Ragosta

I costi dell’abitare incidono sempre di più nella gerarchia delle famiglie italiane, soprattutto quelle con reddito medio-basso. Un disagio acuito dalla crisi economica. I dati relativi al campione - 1000 utenti che nel 2015 si sono rivolti a Caritas e al Sindacato inquilini Sicet della Cisl - indicano che l’11% delle famiglie che vivono in affitto sono prive di contratto, oltre il 26% non ottiene ricevuta e il 32% circa riceve dai proprietari una ricevuta inferiore alla rata d’affitto. Annamaria Furlan, segretario generale Cisl:

“Tante famiglie non riescono a pagare l’affitto, tante famiglie non riescono a pagare il mutuo. Quindi, c’è una vera emergenza, un’emergenza povertà che ormai ha davvero raggiunto i livelli di guardia nel Paese, e il tema fortissimo del lavoro”.

Critico il livello della mancanza di alloggi o della loro inadeguatezza. Ma quali sono le necessità espresse da chi si rivolge alla Caritas per un disagio abitativo? Don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana:

“Ciò che emerge maggiormente, anche nei confronti di coloro che in tutti i casi possono avere anche un’abitazione, è un problema di relazione, che è determinato naturalmente dalle fasce di povertà. Anche coloro che hanno un tetto sotto cui stare più di una volta si rivolgono ai centri Caritas per usufruire del pasto, della doccia e quant’altro. Non riescono a sostenere completamente la loro esistenza”.

Sulle soluzioni, il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, punta sul recupero entro due anni di oltre 15 mila alloggi vuoti grazie ai fondi destinati alle Regioni dalla Legge Finanziaria:

“Bisogna fare in modo di dare anche un’offerta abitativa come l’housing sociale: di diffonderla di più, perché anche questa è una risposta ai bisogni delle persone, delle giovani coppie, di tutti coloro che hanno diritto ad avere un’abitazione dignitosa. Bisogna fare una vera alleanza con i Comuni e con le Regioni perché - come sapete - la disponibilità del patrimonio pubblico è relativamente bassa rispetto agli altri Paesi europei e quindi c’è il problema anche di incrementare questa disponibilità, non solo recuperando gli alloggi sfitti, ma anche costruendone magari di nuovi con regole e caratteristiche differenti”.

Un problema, quello abitativo - ricorda il Rapporto “Un difficile abitare” - aggravato anche dalla mancanza di risorse destinate all’edilizia residenziale pubblica. L’Italia, infatti, è terzultima in Europa in termini di peso delle abitazioni sociali sul patrimonio abitativo. Il curatore dell’indagine Walter Nanni, di Caritas italiana:

“C’è un disagio abitativo molto forte sia tra gli italiani che tra gli stranieri. E questo tipo di disagio evidenzia diversi livelli: sicuramente c’è una difficoltà di accedere al bene casa e una situazione di caro-affitti quasi insostenibile, se pensiamo anche che secondo i dati Eurostat il 40% delle persone sotto la soglia di povertà ha un problema di sofferenza abitativa e di indebitamento abitativo. Quindi, in questo senso la situazione è grave: ci sono 650 mila domande di edilizia residenziale pubblica inevase in Italia e una percentuale di sfratti che sale di anno in anno. Il dato poi che colpisce è la difficoltà di accedere alle misure abitative, alle misure di protezione e di welfare: solamente il 23% delle persone che abbiamo intervistato, che sono tutte in situazione di difficoltà abitativa, è riuscito ad accedere a una misura di contrasto a questo tipo di fenomeni. Vuol dire che il welfare che abbiamo a disposizione non è sufficiente”.

Inoltre, nel 2015 il “problema casa” si è esteso anche a gruppi sociali e territori non connotati prima da gravi marginalità. Guido Piran, segretario generale Sicet, Sindacato inquilini casa e territorio:

“C’erano una serie di iniziative di welfare, che nelle piccole città coprivano tutte le esigenze. La mancanza totale di questi sistemi di protezione sociale è andata a toccare anche chi vive in comunità piccole, in comunità che erano in grado di assorbire le emergenze anche gravi. Ma di fronte al fatto che l’emergenza è generalizzata, nulla possono”.

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Manuale "salva-cibo" per combattere la cultura dello spreco

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Nel mondo la Fao calcola poco meno di 800 milioni di persone che soffrono la fame. Solo in Italia, secondo l’Istat, si contano 5,5 milioni di soggetti in stato di povertà alimentare e il 14,5% delle famiglie faticherebbe a procurarsi un pasto proteico ogni due giorni. Nasce allora il manuale “salvacibo”. Presentata oggi a Roma, è una nuova iniziativa della Fondazione Banco alimentare, in collaborazione con la Caritas italiana e il sostegno del Ministero della Salute. Il testo indicherà alle associazioni caritative la via migliore per recuperare il cibo, in particolare quello deperibile. Il Banco prevede che in tre anni saranno salvate 30 mila tonnellate di alimenti. Il servizio Eugenio Murrali

Il cibo che si spreca è come se si rubasse alla mensa dei poveri, scrive Papa Francesco nell’Enciclica "Laudato Si’". E per combattere la cultura dello spreco vede la luce il manuale delle corrette prassi operative, redatto dal Banco alimentare e dalla Caritas italiana. Proprio il direttore della Caritas don Francesco Soddu spiega:

"La cultura dello spreco è una risemantizzazione di quella che è la cultura dello scarto. Dalla cultura dello scarto nascono e si producono le nuove povertà: mentre al Sud si muore di fame, lo sappiamo, al Nord ci si ammala di eccessi alimentari. A fronte di una popolazione mondiale di oltre sette miliardi, si produce cibo per 12 miliardi di persone. La fame non è quindi causata dall’insufficienza, ma dalla cattiva distribuzione del cibo e dal suo spreco. Non dimentichiamo mai che accanto agli sforzi doverosi per aiutare chi ha bisogno e ridurre gli sprechi è necessaria la messa in discussione profonda della rotta che si sta seguendo nel progredire dell’umanità e un cambiamento nel modello di sviluppo".

Una nuova via, questo prontuario sulla raccolta, la conservazione e la distribuzione del cibo destinato ai più bisognosi, che rafforzerà l’operato dei molti volontar. Un’opera di misericordia e un impegno che danno gioia, come osserva il direttore generale della Fondazione Banco Alimentare, Marco Lucchini:

"E’ un lavoro quotidiano, che ho cominciato 26 anni fa, che mi stupisce sempre perché le persone di fronte al cibo hanno una attenzione particolare: perché è un bisogno di tutti e non solo dei poveri. I nostri volontari vanno a recuperare il cibo tutte le mattine, nelle mense, negli eventi, e quando poi lo portano a una struttura caritativa vedono queste persone che sono felici di poter mangiare anche beni e alimenti che sono un po’, per così dire, di lusso. La gioia e il sorriso di queste persone è la più grande soddisfazione che possiamo avere". 

Nell’attesa di una legge contro lo spreco, l’iniziativa mira a ridurre la folla degli affamati di giustizia e di carità.

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Cinema. "Human", la splendida opera di Yann Arthus-Bertrand

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Oggi è l’ultimo giorno in cui rimane in sala lo splendido documentario del regista e fotografo francese, Yann Arthus-Bertrand, “Human”, nel quale l’umanità si racconta. Una esperienza non solo visiva, che nelle testimonianze di tanti intervistati interroga la coscienza e la riflessione sul mondo in cui viviamo oggi. Il servizio di Luca Pellegrini

Ti guardano dritto negli occhi, con i loro. Non hai scampo: le loro parole, i loro racconti ti inchiodano alla realtà del mondo e della vita, a quella verità che ti sfugge, a quel senso che fai fatica a trovare perché oscurato dalla malattia, dalla fame, dall'ingiustizia, dalla povertà, dalle guerre, dalle insopportabili diseguaglianze che dividono l'umanità. Sono i volti di uomini e donne d'ogni età, etnia e religione, colti nelle più diverse realtà sociali e geografiche del mondo, che hanno accettato di raccontarsi in "Human", che per soli tre giorni, e oggi è l’ultimo, è rimasto in sala e che avrebbe invece il diritto e il dovere di essere visto dal più ampio pubblico possibile, dai giovani soprattutto. Nel film, girato in 60 Paesi, i protagonisti offrono storie autentiche, belle e terribili, sulla condizione umana. "Human" è un'esperienza indimenticabile e senza confini, come lo sono anche le stupende immagini del nostro pianeta intercalate alle testimonianze. La coscienza si solleva, talvolta l'impotenza annichilisce. Il regista Yann Arthus-Bertrand tiene a precisare che nessuno si deve sottrarre dall’impegno di rendere il mondo migliore, oggi sconvolto da tragedie e incertezze. Lo conferma ai nostri microfoni:

“Nous sommes tous responsables de ce qui se passe sur terre…
Siamo tutti responsabili di ciò che avviene sulla terra, e possiamo sempre rifiutare ciò che ci dà fastidio. Questo film, in fin dei conti, ci mostra bene che queste persone sono uno specchio: le persone che parlano, siamo noi. Oggi, è la prima volta nella storia del mondo che le persone sono così insicure. Non era mai successo prima, perché anche nei momenti più terribili dici: 'Ne possiamo uscire, un futuro diverso è possibile'. Oggi, il futuro è davvero a una impasse: il cambiamento climatico - che è molto importante - la crisi economica, la crisi dei rifugiati: tutto ciò fa sì che il mondo di domani sarà un mondo nel caos. E tutti lo sanno, anche se oggi viviamo in una sorta di negazione: non vogliamo credere che quello che sappiamo sia vero. E quindi, se davvero c’è una cosa a cui bisogna dare priorità è la nostra umanità, la possibilità che l’uomo ha da sempre di aiutarsi, di aiutarsi vicendevolmente, e di amarsi. Ognuno di noi ha in sé un lato brutto, egoista, difficile, ma abbiamo anche un lato empatico. E questo film parla di questo: in fin dei conti è un film sull’amore".

Ma perché ha voluto girare un film così affascinante e particolare?

“J’ai pas besoin de voir ce film pour comprendre la réalité du monde…
Non ho bisogno di vedere questo film per capire la realtà del mondo: la differenza sta nel fatto che, siccome sono le persone che ti parlano, provi più emozioni. Penso che nel film ci siano anche molti messaggi d’amore, messaggi molto positivi: tutti noi abbiamo una missione da compiere sulla terra. Penso che non sia ridicolo pensare che abbiamo una missione. Penso che ci troviamo all’interno di una enorme musica, di un’enorme sinfonia della vita. E tutti noi suoniamo uno strumento, ognuno di noi deve suonare una bella musica. Penso sia importante essere uniti in questa stessa sinfonia della vita e suonare la stessa musica. Oggi, noi non suoniamo la stessa musica: ci sono persone che suonano la musica dell’odio… E penso che, in questo mondo difficile, l’empatia naturale che abbiamo dentro sia la sola speranza che abbiamo: l’unica! Perché il cambiamento climatico è in arrivo, le crisi arriveranno, i rifugiati arriveranno in numero sempre maggiore. E l’unica cosa che avremo per vivere insieme sarà l’empatia: la capacità di saper condividere, di saper donare. Altrimenti sarà il caos totale. E’ importante, quindi, guardare il mondo con meno cinismo, meno scetticismo e con più benevolenza".

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Nella Chiesa e nel mondo



Chiesa francese in difesa dei migranti di Calais

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“Non possiamo, né dobbiamo dimenticare che gli esseri umani non possono essere spostati come pezzi di un gioco strategico”: è quanto afferma mons. Jean-Paul Jaeger, vescovo di Arras, in Francia. In una nota diffusa sul sito web diocesano, il presule fa riferimento allo smantellamento, che avviene in queste ore per decisione delle autorità francesi, della così detta “giungla di Calais”, la baraccopoli in cui alloggiano migliaia di migranti provenienti soprattutto da Siria, Afghanistan e Sudan.

In Quaresima, non dimenticare di pregare per i profughi
In questo tempo di Quaresima, sottolinea mons. Jaeger, “mancherebbe una dimensione alla nostra preghiera se non vi includessimo i nostri fratelli e sorelle rifugiatisi vicino a noi”. “Sappiamo, purtroppo – scrive il presule – che il dramma di Calais non è che il riflesso di una tragedia che colpisce altrettanti uomini e donne in tutto il mondo”. Di qui, la sottolineatura forte della “incapacità dimostrata dalle forze internazionali, europee e nazionali, nel risolvere efficacemente le situazioni che costringono le persone a sradicarsi dal proprio Paese per cercare la sicurezza e la sopravvivenza altrove”.

L’avvenire passa attraverso il rispetto dell’umanità
Il vescovo di Arras mette, inoltre, in risalto “la capacità di accoglienza” dei profughi stessi, che lottano per conservare la “loro umanità” anche “in condizioni di vita incredibilmente precarie”. “Ho pregato – racconta il presule – in una chiesa costruita dalla sola fede di fratelli cristiani che, nelle avversità, credono sempre che Dio non li abbandona”. Di qui, l’appello del presule a tutelare, in particolare, i bambini e le donne bisognose, perché “l’avvenire passa certamente attraverso il rispetto dell’umanità”. Infine, mons. Jaeger rende omaggio ai cittadini di Calais ed alla loro generosità, capace di andare incontro “alle sofferenze del mondo” e di “superare gli ostacoli” per salvaguardare “la dignità” del prossimo. (I.P.)

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Usa. Card. O'Malley su "Spotlight": Chiesa riconosce i crimini

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“Un film importante per tutti coloro che sono stati colpiti dalla tragedia degli abusi sessuali perpetrati dal clero”: così il card. Sean O’Malley, arcivescovo di Boston e presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori, definisce la pellicola “Spotlight”, vincitrice del premio Oscar 2016 come miglior film e migliore sceneggiatura originale. L’opera, diretta dal regista Tom McCarthy, racconta l’indagine giornalistica del quotidiano “The Boston Globe” che, nei primi anni del 2000, portò alla scoperta dei casi di abuso su minori commessi all’interno della diocesi di Boston.

La Chiesa riconosce i crimini commessi
“Raccontando in modo dettagliato la storia di questa crisi – scrive in una nota ufficiale il card. O’Malley – i mass media hanno portato la Chiesa a riconoscere i crimini ed i peccati commessi dai suoi membri e ad affrontare le sue debolezze, il danno arrecato alle vittime ed alle loro famiglie, le esigenze dei sopravvissuti”. “In una democrazia come la nostra – sottolinea il porporato – il giornalismo è essenziale al nostro modo di vivere” perché “il ruolo dei media nel portare alla luce i casi di abusi ha aperto una porta che la Chiesa ha attraversato per rispondere ai bisogni dei sopravvissuti”.

Tutela dei  minori e trasparenza, priorità della Chiesa
Di qui, il richiamo dell’arcivescovo di Boston a quella che “deve essere una priorità della vita della Chiesa in tutti i suoi aspetti”, ovvero “proteggere i bambini ed assistere le vittime e le loro famiglie”. Il porporato sottolinea anche l’impegno della Chiesa nel portare avanti “politiche e procedure di vigilanza per prevenire il ripetersi di tali tragedie”. In particolare, vengono citati programmi educativi sulla tutela dei minori, l’obbligo della verifica dei precedenti, della segnalazione e della collaborazione con le autorità civili per chi viene accusato di abusi, la cura ed il sostegno per le vittime e le loro famiglie.

Perdono e preghiera
​“Continuiamo a chiedere perdono per tutti coloro che sono stati feriti dalla tragedia degli abusi sessuali commessi da alcuni membri del clero – conclude il card. O’Malley -  e preghiamo affinché, ogni giorno, il Signore ci guidi sul cammino della guarigione e del rinnovamento”. (I.P.)

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Isole Fiji: missionari ospitano i bambini colpiti dal ciclone

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Il passaggio del ciclone tropicale Winston, abbattutosi il 20 febbraio sull’arcipelago delle isole Fiji, ha colpito il 40% della popolazione. Attualmente 62 mila persone sono ospitate in Centri di emergenza nel Paese. Tra le presenze religiose, i missionari di San Colombano (Società di San Colombano per le Missioni Estere) sono nelle Fiji da oltre 60 anni.

Inziative di solidarietà per le vittime del ciclone
In una nota ripresa dall’agenzia Fides, l’Uscma (United States Catholic Mission Association) invita alla solidarietà esortando a sostenere i religiosi e le vittime del ciclone con diverse iniziative. Tra queste una preghiera comunitaria che si celebrerà il prossimo 5 marzo e una Campagna di solidarietà promossa dal Global Catholic Climate Movement. “Le tre scuole della parrocchia di Ba sono state gravemente danneggiate, il dormitorio è stato distrutto, e i piccoli sono ora alloggiati nella chiesa” si legge nella nota. 

Il governo ha dichiarato lo stato di calamità naturale
​Il ciclone, il primo di categoria 5 ad aver mai colpito lo Stato insulare, ha devastato l’arcipelago di 300 isole nel Pacifico con raffiche di vento fino a 325 chilometri all'ora, distruggendo case e tagliando le linee elettriche. Il governo ha dichiarato lo stato di calamità naturale per 30 giorni. Le comunicazioni stanno a poco a poco tornando, ma la maggior parte delle case fuori della capitale sono ancora senza elettricità. (A.P.)

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Tensione tra le due Coree: a rischio 1.500 malati di tbc

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In Corea del Nord sono in pericolo di vita centinaia di malati di tubercolosi a causa della nuova tensione tra le due Coree per le provocazioni militari del regime di Pyongyang e la chiusura del governo sudcoreano. Dopo l’aggravarsi delle relazioni bilaterali e l’interruzione di ogni canale di dialogo, infatti, Seoul sembra non voler concedere alla Fondazione Eugene Bell il permesso di inviare il regolare carico di medicinali destinati ai sanatori della parte Nord. I circa 1.500 pazienti seguiti dalla Ong rischiano dunque l'interruzione delle cure, la possibilità di infettare i propri familiari e la morte.   

Lo scontro tra i due Paesi verrà pagato dalla popolazione più vulnerabile
Uno dei volontari che opera all’interno della Fondazione spiega all'agenzia AsiaNews che la situazione è disperata: “Lo scontro fra i due governi verrà pagato dalla parte più vulnerabile della popolazione civile. Rischiamo di assistere impotenti a una strage annunciata e senza senso. Motivata tra l’altro soltanto dalla politica: è vero che la situazione in Corea è tesa, ma di certo non al punto da poter impunemente condannare a morte degli ammalati soltanto in nome dell’intransigenza”.

Interrotti tutti i punti di contatto tra le due Coree
La tensione fra le due Coree è esplosa all’inizio di febbraio con una serie di provocazioni militari che hanno portato alla chiusura del complesso industriale inter-coreano di Kaesong. Insieme ai tour sul monte Kumgang, alla “linea rossa” telefonica diretta e al “villaggio della pace” di Panmunjon, il complesso è stato per anni uno dei pochi ponti fra le due nazioni. Nonostante le relazioni siano state sempre altalenanti, non è mai successo che tutti i punti di contatto venissero interrotti contemporaneamente. Per questo il governo di Seul guidato da Park Geun-hye ha fatto capire che non permetterà più alcun interscambio – compresi quelli umanitari – fino a quando Pyongyang non si impegnerà a rinunciare al programma nucleare e missilistico. E ha quindi bloccato il permesso di esportare i medicinali al Nord che da circa 20 anni veniva concesso con cadenza regolare alla Fondazione Eugene Bell.

La Fondazione Bell gestiste 11 Centri per i malati di tbc in Nord Corea
L’attività della Fondazione si snoda su due binari. Da una parte c’è l’invio dei medicinali necessari alle cure continuate e continuative dei malati di tbc; dall’altra la gestione di diversi Centri dedicati ai casi più gravi. I Centri gestiti dalla Fondazione – racconta ad AsiaNews padre Gerard Hammond, missionario che ha dedicato la vita alla Corea – “al momento sono 11, ma il governo ci ha concesso la possibilità di costruirne altri cinque. Ognuno di questi può ospitare fino a 20 malati di tubercolosi”.

Le missioni in Nord Corea di padre Hammond
Il padre Hammond lavora da circa 25 anni con la Corea del Nord. Superiore regionale dei missionari Maryknoll, ha compiuto più di 50 viaggi nel Paese: nel 2014 ha ottenuto la cittadinanza sudcoreana, un onore rarissimo per un occidentale, proprio in considerazione del suo impegno umanitario e cattolico. Oltre a padre Hammond, della delegazione fanno parte diversi sacerdoti: “Non ci nascondiamo e non truffiamo nessuno. Io celebro la Messa in Corea del Nord, certo all’interno dell’ambasciata polacca, ma sempre comunicandolo al governo”. Il Paese ha circa 22 milioni di abitanti, di cui la metà sotto la soglia della povertà. La tubercolosi, come spiega padre Hammond, "si propaga per via aerea e colpisce coloro che soffrono di malnutrizione o di generica debolezza organica. Stiamo cercando di fare il possibile per fermare il contagio”.

Il rischio che si infranga il clima di fiducia con Pyongyang
Anche la Eugene Bell ha una lunga storia di aiuti al Nord. Nata nel 1995 per volontà di Stephen Linton, comprende una delegazione che due volte l'anno (di recente salite a tre) può visitare alcune zone della Corea del Nord. Lo stop imposto da Seoul rischia di vanificare tutti questi sforzi. Oltre al disastro immediato per i malati in cura, infatti, il rischio è che vada in frantumi il clima di fiducia e di collaborazione che la Fondazione e i suoi membri hanno con fatica costruito in questi decenni con il governo di Pyongyang. (R.P.)

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Chiesa Centrafrica: grazie a visita del Papa, pace più vicina

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Il felice e pacifico esito delle recenti elezioni presidenziali nella Repubblica Centrafricana, vinte al ballottaggio del 20 febbraio dall’ex Primo Ministro Faustin-Archanhe Touadéra, si deve molto alla visita di Papa Francesco dello scorso novembre. Un’opinione espressa da diverse personalità e organizzazioni e pienamente condivisa dall’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga.

Un clima nuovo
“Dalla visita del Santo Padre abbiamo sentito soffiare un vento di cambiamento, c’è stata una totale inversione di rotta”, ha detto all’agenzia Cns il presule, uno dei principali protagonisti, insieme ad esponenti islamici ed evangelici, della riconciliazione del Paese africano, teatro fino a pochi mesi fa di una nuova sanguinosa guerra civile tra gruppi identificati, a volte arbitrariamente, come “musulmani” e “cristiani.  “Il Papa è venuto come messaggero di misericordia e ha esortato alla riconciliazione nelle nostre comunità. Questo appello alla pace e al perdono è stato ascoltato dagli ex nemici e combattenti e adesso si è concretizzato, dando al nuovo Presidente una vera opportunità per la pace”.

L’importante contributo dei leader religiosi musulmani e protestanti
L’arcivescovo di Bangui ha anche sottolineato l’importante contributo al successo della visita di Papa Francesco dei leader religiosi musulmani e protestanti: “Da quel momento la campana del dialogo e del negoziato ha continuato a suonare forte e chiaro, insieme alla campana del compromesso, del consenso e dello sviluppo e questo è quello per cui abbiamo votato”, ha detto.

Touadéra la persona più indicata per riconciliare il Paese
Quanto all’elezione di Touadéra, già primo ministro dell’ex presidente François Bozizé, deposto il 24 marzo 2013 dai ribelli Séléka, secondo mons.  Nzapalainga si tratta della persona più indicata per riconciliare e riunificare il popolo centrafricano e dare giustizia alle vittime delle violenze settarie di questi anni.

Il vescovo di Bangassou: la pace minacciata dalle milizie ugandesi del Lra
​Di “speranza” e “luce in fondo al tunnel”  dopo l’elezione di Touadéra, parla anche il vescovo di Bangassou, mons. Juan José Aguirre Muño che, per altro verso, si dice preoccupato per le perduranti aggressioni nel territorio della sua diocesi delle milizie del Lra (Esercito di resistenza del Signore), la guerriglia ugandese che imperversa anche in  Sud Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo.  (L.Z.)

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Africa. Vescovi Recowa: no a persecuzioni religiose

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Il dramma delle persecuzioni religiose, la necessità di tutelare la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, il richiamo a promuovere il dialogo interreligioso e la pace: questi i temi principali emersi dalla seconda Assemblea plenaria della Recowa, la Conferenza episcopale regionale dell’Africa occidentale, riunitasi ad Accra, in Ghana, dal 22 al 29 febbraio. Due, in particolare, i documenti diffusi dai vescovi al termine dei lavori: le Proposizioni finali e un Messaggio pastorale.

Democrazia, chiave dell’integrazione tra i popoli
Dal primo testo, suddiviso in dieci punti programmatici, emerge in particolare il bisogno di promuovere, tra la popolazione, il principio della democrazia “ed i suoi ideali di giustizia e sviluppo”. “Dobbiamo continuare ad incoraggiare i nostri leader politici – affermano le Proposizioni – a vivere il potere in modo libero ed equo, così da diffondere la cultura della tolleranza e del rispetto per lo Stato di diritto”. “La democrazia – continua il documento – è la chiave dell’integrazione tra i popoli”, “lo strumento per costruire ponti in grado di raggiungere la pace e la giustizia”. Di qui, l’appello ai politici affinché “imparino a rispettare la volontà popolare”, invece di “ostentare stili di vita che allontanano le persone”.

Estremismo religioso, cancro che distrugge le comunità
Altro tema scottante analizzato dai vescovi africani è quello del crescente estremismo religioso, in particolare quello perpetrato da Boko Haram: si tratta di “un terribile cancro che ha distrutto le nostre comunità”, spiegano i presuli, esortando i governi a “garantire il ritorno della pace tra la popolazione”. Da questa proposizione ne scaturisce poi un’altra dedicata alla “inevitabilità del dialogo interreligioso”: “Il dialogo è diventato imperativo – scrive infatti la Recowa – per fare in modo che la religione sia sempre uno strumento di pace e non di guerra”. In quest’ottica, la Chiesa dell’Africa occidentale ricorda il proprio ruolo ed il proprio impegno nella promozione della riconciliazione.

Giovani siano agenti di pace e di riconciliazione
Due ulteriori proposizioni vengono dedicate, quindi, alla famiglia ed ai giovani: nel primo caso si sottolinea che “la famiglia è scuola di pace” e che “la sua armonia è strumento di speranza per la riconciliazione della società e delle nazioni”. Per i giovani, invece, che rappresentano “il 65%” della regione occidentale africana, i vescovi chiedono un maggior impegno da parte delle istituzioni affinché possano sviluppare ciascuno il proprio talento, diventando così “agenti di pace e di riconciliazione”, lontani da “crimine, violenza e tossicodipendenza”. Le proposizioni si concludono con un richiamo all’Anno Santo della misericordia.

Diventare missionari della misericordia di Dio
Di più ampio respiro pastorale è, invece, il Messaggio conclusivo della Plenaria della Recowa, che si apre con una lunga riflessione sulla nuova evangelizzazione. In particolare, i presuli sottolineano che “la nuova evangelizzazione si pone l’obiettivo di intraprendere una trasformazione culturale” della società, il che implica che tutti i battezzati debbano essere “non solo evangelizzati, ma anche evangelizzatori”, vivendo “una vita di autentica conversione e di servizio all’umanità” in tutti gli ambiti: famiglia, società civile, politica. Per questo, la Recowa evidenzia l’importanza che tutti i fedeli diventino “missionari della misericordia di Dio” e “ambasciatori di pace in ogni parte della regione, andando oltre le tensioni, le crisi, i conflitti e le guerre”.

Solidarietà ai cristiani perseguitati
A tale proposito, il messaggio non dimentica il dramma delle persecuzioni religiose: “Ribadiamo la nostra solidarietà con i fratelli cristiani vittime di varie forme di persecuzione religiosa sia in Africa che in altre parti del mondo. Preghiamo per loro e chiediamo che venga garantito il rispetto di tutti i diritti fondamentali”, incluso quello alla libertà di religione. Al contempo, la Chiesa africana riafferma il proprio impegno nel dialogo tra le fedi, “per una pacifica coesistenza con i fratelli e le sorelle di altre tradizioni religiose”. Centrale, poi, l’esortazione a tutelare il matrimonio tra uomo e donna e la famiglia, “nucleo fondamentale dell’umanità”, poiché là dove non è garantito il suo “sviluppo pacifico – mettono in guardia i vescovi –la società è condannata all’instabilità socio-politica, culturale e morale”.

Sostenere e tutelare matrimonio tra uomo e donna e famiglia
“Sosteniamo e difendiamo che il matrimonio è un dono di Dio creato per l’uomo e la donna – si legge ancora nel messaggio – che la vita umana è sacra in tutte le sue fasi e che va rispettata, sostenuta, protetta e difesa dal concepimento e fino alla morte naturale”. “Difendiamo la cultura della vita – incalzano i presuli – e siamo pronti a ribadirlo pubblicamente, contro la dilagante cultura della morte”. Infine, nell’ultimo paragrafo del messaggio, la Recowa sottolinea la necessità di una migliore “formazione alla fede per i membri della Chiesa e per tutti gli agenti pastorali”, esortando i cattolici ad assumersi le proprie responsabilità in ambito sociale, culturale e politico, sempre “nello spirito di Cristo che è venuto per servire, non per essere servito”.

120 partecipanti provenienti da 16 Paesi
Dedicata al tema “La Nuova evangelizzazione e le sfide specifiche della Chiesa, famiglia di Dio in Africa occidentale: riconciliazione, sviluppo e famiglia”, la seconda Plenaria della Recowa  ha visto la presenza di circa 120 cardinali, arcivescovi, vescovi e rappresentanti di varie istituzioni ecclesiali di 16 Paesi: Benin, Nigeria, Burkina Faso, Togo, Costa d’Avorio, Guinea, Gambia, Liberia, Mali, Mauritania, Niger, Guinea Bissau, Capo Verde, Senegal e Sierra Leone. (A cura di Isabella Piro)

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Kuwait: amnistia per lavoratori filippini. Plauso della Chiesa

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“Un gesto compassionevole e misericordioso”: così mons. mons. Ruperto Santos, presidente della Commissione episcopale filippina per i migranti, commenta la decisione dell’emirato del Kuwait di concedere un’amnistia parziale ai lavoratori filippini irregolari. D’ora in poi, essi potranno presentarsi alle autorità per regolare la loro situazione, oppure, se lo desiderano, tornare in patria senza essere iscritti alla “lista nera” che vieta la concessione di un nuovo visto di ingresso.

Lavorare tutti per il bene comune
Al contempo, mons. Santos esorta tutti i lavoratori filippini del Kuwait a “mettersi in regola, perché è importante essere sempre nella legalità”. “Lavorare per il bene comune, infatti – spiega il presule – significa, all’atto pratico, fare in modo che i lavoratori all’estero siano sempre al di sopra di ogni sospetto, perché purtroppo sono numerosi in tutto il mondo i casi di abuso contro i nostri connazionali”. Per porre fine a situazioni simili, dunque, sottolinea mons. Santos, è necessaria “la cooperazione” dei filippini stessi.

L’opera della Chiesa cattolica in Kuwait
Poi, il presidente della Commissione episcopale per i migranti ribadisce che “l’ottimo risultato” ottenuto in Kuwait è anche frutto dell’impegno della Chiesa cattolica. Nel Paese del Golfo, infatti, ci sono “tre grandi chiese: la cattedrale della Santa Famiglia a Kuwait City, la chiesa di Santa Teresa a Salamiya e quella di Nostra Signora dell’Arabia ad Alhmadi”. “In tutte queste chiese – sottolinea mons. Santos -  la comunità filippina è viva e rappresenta un motore importante di animazione pastorale”. Infine, mons. Santos ricorda la missione evangelizzatrice portata avanti dai filippini che lavorano all’estero: “In ogni Chiesa del pianeta – spiega – si può ascoltare una messa in filippino. È come se questa lingua fosse il nuovo latino!”.

La missione evangelizzatrice dei lavoratori filippini all’estero
​“I lavoratori filippini all’estero – aggiunge - sono davvero i nostri missionari migliori, perché insegnano e testimoniano la fede ogni giorno e in ogni situazione”. “Il governo deve aiutarli – conclude il presule - ma anche loro devono aiutare i governi per evitare abusi e soprusi”. Da ricordare che, secondo gli ultimi dati, attualmente sono circa 10 milioni i lavoratori filippini all’estero. Di essi, due milioni risiedono nei Paesi del Golfo, tra cui 6mila in Kuwait. (I.P.)

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Giornata mondiale della preghiera: iniziativa ecumenica

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“Chi accoglie un bambino, accoglie me” è il tema dell’edizione 2016 della Giornata mondiale della preghiera, iniziativa ecumenica nata e sostenuta da donne di diverse confessioni cristiane. L’evento – riferisce l’agenzia Sir - si tiene, dal 1927, il primo venerdì di marzo. Quest’anno, la Giornata coinciderà con l’inizio dell’iniziativa quaresimale “24 ore per il Signore”. Numerosi i Paesi che vi aderiranno: a Mosca, si pregherà ecumenicamente nella Chiesa luterana di Pietro e Paolo; in Austria, sono previste iniziative di preghiera in oltre 400 comunità, su iniziativa di organizzazioni cristiane femminili, così come in Svizzera, nel Regno Unito, in Francia e altri 170 Paesi.

Sussidio di preghiera preparato a Cuba
Per il 2016, lo schema di preghiera dell’iniziativa  è stato preparato a Cuba e guarda da vicino alla situazione di sofferenza che vivono le donne nel Paese. In ogni celebrazione si raccoglieranno fondi, ma saranno le singole realtà a decidere a quale progetto di solidarietà destinarli. È infatti uno dei principi-guida di questa iniziativa il “partecipare a iniziative responsabili”, a partire dall’uso creativo dei propri talenti personali, in uno spirito di “sorellanza ecumenica” che sia “inclusivo” e “attento al contesto multi-religioso”, per garantire l’unità nella differenza delle diverse realtà che partecipano all’iniziativa. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 62

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.