Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 03/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: difendere la vita, no all'egoismo che traveste il vizio in virtù

◊  

Oggi la natura umana è sempre più ridotta a materia plasmabile secondo qualsiasi disegno, occorre salvarla dalle colonizzazioni ideologiche, da egoismo e menzogna che mascherano i vizi in virtù, gli interessi economici in bene comune: è l’accorato appello lanciato dal Papa durante l’incontro con i partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia per la Vita che si sta svolgendo sul tema delle virtù nell’etica della vita. Il servizio di Sergio Centofanti

Il rischio – ha affermato il Papa - è sempre quello “di chiamare bene il male e male il bene”. Così è vero che oggi ci sono molte istituzioni “impegnate nel servizio alla vita” ma “ci sono anche tante strutture preoccupate più dell’interesse economico che del bene comune”. “Nel nostro tempo”, infatti, “alcuni orientamenti culturali non riconoscono più l’impronta della sapienza divina nelle realtà create e neppure nell’uomo”:

“La natura umana rimane così ridotta a sola materia, plasmabile secondo qualsiasi disegno. La nostra umanità, invece, è unica e tanto preziosa agli occhi di Dio! Per questo, la prima natura da custodire, affinché porti frutto, è la nostra stessa umanità. Dobbiamo darle l’aria pulita della libertà e l’acqua vivificante della verità, proteggerla dai veleni dell’egoismo e della menzogna”.

Il Papa ribadisce l’urgenza di “accogliere e curare la vita umana, secondo la dignità che in qualsiasi circostanza le appartiene”:

“La cultura contemporanea conserva ancora le premesse per affermare che l’uomo, quali che siano le sue condizioni di vita, è un valore da proteggere; tuttavia, essa è spesso vittima di incertezze morali, che non le consentono di difendere la vita in maniera efficace. Non di rado, poi, può accadere che sotto il nome di virtù, si mascherino ‘splendidi vizi’”. 

Quindi, ha aggiunto a braccio:

"Io vorrei ripetere qui una cosa che ho detto parecchie volte: dobbiamo stare attenti alle nuove colonizzazioni ideologiche che subentrano nel pensiero umano, anche cristiano, sotto forma di virtù, modernità, atteggiamenti nuovi, ma sono colonizzazioni, cioè tolgono la libertà, e sono ideologiche, che hanno paura della realtà come Dio l'ha creata".

E’ “la dinamica del cuore indurito: più il cuore è inclinato all’egoismo e al male, più è difficile cambiare” e “quando il cuore si corrompe, gravi sono le conseguenze per la vita sociale”: si arriva – come dice il profeta Geremia - a cercare solo il proprio interesse, “a spargere sangue innocente, a commettere violenze e angherie”.

“Tale condizione – ha proseguito il Papa - non può cambiare né in forza di teorie, né per effetto di riforme sociali o politiche. Solo l’opera dello Spirito Santo può riformare il nostro cuore, se noi collaboriamo”. Parlare di virtù “non è una questione ‘cosmetica’, un abbellimento esteriore” ma “si tratta di sradicare dal cuore i desideri disonesti e di cercare il bene con sincerità”. “Anche nell’ambito dell’etica della vita – ha spiegato il Papa - le pur necessarie norme, che sanciscono il rispetto delle persone, da sole non bastano a realizzare pienamente il bene dell’uomo. Sono le virtù di chi opera nella promozione della vita l’ultima garanzia che il bene verrà realmente rispettato”:

“Oggi non mancano le conoscenze scientifiche e gli strumenti tecnici in grado di offrire sostegno alla vita umana nelle situazioni in cui si mostra debole. Però manca tante volte l’umanità. L’agire buono non è la corretta applicazione del sapere etico, ma presuppone un interesse reale per la persona fragile. I medici e tutti gli operatori sanitari non tralascino mai di coniugare scienza, tecnica e umanità”.

Questo l’invito conclusivo del Papa:

“Quanti si dedicano alla difesa e alla promozione della vita possano mostrarne anzitutto la bellezza. Infatti, come «la Chiesa non cresce per proselitismo ma “per attrazione”» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 14), così la vita umana si difende e promuove efficacemente solo quando se ne conosce e se ne mostra la bellezza. Vivendo una genuina compassione e le altre virtù, sarete testimoni privilegiati della misericordia del Padre della vita”.

inizio pagina

Francesco: riconoscersi peccatori per accogliere la misericordia di Dio

◊  

Solo se il cuore è aperto, si può accogliere la misericordia di Dio. E’ l’esortazione che Papa Francesco ha levato nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha messo l’accento sull’infedeltà del popolo di Dio che solo può essere vinta nel riconoscersi peccatori e così iniziare un cammino di conversione. Il servizio di Alessandro Gisotti

Un patto di fedeltà. Nelle letture del giorno, ha esordito Francesco, possiamo vedere la fedeltà del Signore e la “fedeltà fallita” del suo popolo. Commentando la Prima Lettura, tratta dal Libro di Geremia, il Papa ha così sottolineato che “Dio è sempre fedele, perché non può rinnegare se stesso”, mentre il popolo non presta orecchio alla sua Parola. Geremia, ha proseguito, ci racconta dunque le “tante cose che ha fatto Dio per attirare i cuori del popolo”, ma il popolo permane nella sua infedeltà.

Se il cuore è duro e chiuso, la misericordia di Dio non entra
“Questa infedeltà del popolo di Dio – ha ammonito – anche la nostra, la nostra propria infedeltà, indurisce il cuore: chiude il cuore!”:

“Non lascia entrare la voce del Signore che, come padre amorevole, ci chiede sempre di aprirci alla sua misericordia e al suo amore. Abbiamo pregato nel Salmo, tutti insieme: ‘Ascoltate oggi la voce del Signore. Non indurite il vostro cuore!’. Il Signore sempre ci parla così, anche con tenerezza di padre ci dice: ‘Ritornate a me con tutto il cuore, perché sono misericordioso e pietoso’. Ma quando il cuore è duro questo non si capisce. La misericordia di Dio soltanto si capisce se tu sei capace di aprire il tuo cuore, perché possa entrare”.

“Il cuore si indurisce – ha ripreso – e vediamo la stessa storia” nel passo del Vangelo di Luca, dove Gesù viene affrontato da quelli che avevano studiato le Scritture, “i dottori della legge che sapevano la teologia, ma erano tanto tanto chiusi”. La folla, invece, “era stupita”, “aveva fede in Gesù! Aveva il cuore aperto: imperfetto, peccatore, ma il cuore aperto”.

Chiedere perdono, non giudicare gli altri
Questi teologi, invece, ha soggiunto il Papa “avevano un atteggiamento chiuso! Sempre cercavano una spiegazione per non capire il messaggio di Gesù”, “gli domandavano un segno del cielo. Sempre chiusi! Era Gesù che doveva giustificare quello che faceva”:

“Questa è la storia, la storia di questa fedeltà fallita. La storia dei cuori chiusi, dei cuori che non lasciano entrare la misericordia di Dio, che hanno dimenticato la parola ‘perdono’ - ‘Perdonami Signore!’ - semplicemente perché non si sentono peccatori: si sentono giudici degli altri. Una lunga storia di secoli. E questa fedeltà fallita Gesù la spiega con due parole chiare, per mettere fine, per finire questo discorso di questi ipocriti: ‘Chi non è con me è contro di me’. Chiaro! O sei fedele, con il tuo cuore aperto, al Dio che è fedele con te, o sei contro di Lui: ‘Chi non è con me è contro di me!’”.

La fedeltà a Dio inizia con il sentirsi peccatori
Ma è possibile una via di mezzo, “un negoziato”?, si chiede il Papa. “Sì – è la sua risposta – c’è una uscita: confessati peccatore! E se tu dici ‘io sono peccatore’ il cuore si apre e entra la misericordia di Dio e incominci ad essere fedele”:

“Chiediamo al Signore la grazia della fedeltà. E il primo passo per andare su questa strada della fedeltà è sentirsi peccatore. Se tu non ti senti peccatore, hai incominciato male. Chiediamo la grazia che il nostro cuore non si indurisca, che sia aperto alla misericordia di Dio, e la grazia della fedeltà. E quando ci troviamo, noi, infedeli la grazia di chiedere perdono”.

inizio pagina

Papa incontra il premier di Timor Est, firmato Accordo

◊  

Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, Papa Francesco ha ricevuto in udienza il primo ministro della Repubblica Democratica di Timor Est, Rui Maria Araújo, il quale ha successivamente incontrato il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, accompagnato dal sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Antoine Camilleri. Nei cordiali colloqui, informa la Sala Stampa vaticana, sono stati evocati i buoni rapporti tra la Santa Sede e Timor Est “come pure il contributo storico della Chiesa all’edificazione della Nazione e la collaborazione esistente con le Autorità civili in vari ambiti sociali, quali l’educazione, la sanità e la lotta alla povertà”.

Scambio strumenti di ratifica dell'Accordo tra Santa Sede e Timor Est
Al termine dell’incontro con il segretario di Stato ha avuto luogo, nella Sala dei Trattati del Palazzo Apostolico Vaticano, lo scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Democratica di Timor Est, firmato a Díli il 14 agosto 2015. L’Accordo, composto da un Preambolo e 26 articoli, sancisce il riconoscimento della personalità giuridica della Chiesa e delle sue Istituzioni e garantisce alla Chiesa la libertà di svolgere la propria missione in favore della popolazione timorese.

Card. Parolin: accordo per il bene del popolo di Timor Est
Nel corso della cerimonia, il cardinale Parolin ha sottolineato che l’accordo “è frutto di anni di negoziato, sostenuto da un comune spirito di dialogo, di collaborazione e di costante ricerca degli strumenti giuridici più idonei a sancire il riconoscimento da parte dello Stato del servizio che la Chiesa cattolica svolge in favore del popolo timorese”. Tale impegno, ha detto il porporato, “riguarda l’ambito spirituale, così come quello dell’educazione, della solidarietà, dell’assistenza ai più deboli e di molte altre attività che contribuiscono positivamente alla crescita integrale del vostro amato popolo”.

Chiesa non cerca privilegi ma offre contributo a progresso della società
“Grazie allo strumento giuridico dell’Accordo – ha spiegato il cardinale Parolin – la comunità cattolica potrà prodigarsi con sempre maggiore sollecitudine in favore del bene di tutti”. In tale cornice, ha aggiunto, conviene notare che “la Chiesa non ricerca privilegi particolari ma desidera offrire un contributo libero e creativo per l’edificazione di una società sempre più armoniosa, animata dalla giustizia e dalla pace”. Naturalmente, ha concluso, “la missione ecclesiale potrà essere ancora più fruttuosa e incisiva, se i principi contenuti in questo Accordo troveranno da ambo le Parti piena accoglienza e applicazione”. (A.G.)

inizio pagina

Altre udienze di Papa Francesco

◊  

Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: mons. Marek Solczyński, arcivescovo tit. di Cesarea di Mauritania, nunzio apostolico in Georgia, in Armenia e in Azerbaigian; il card. Josip Bozanić, arcivescovo di Zagreb (Croazia), vice presidente della Conferenza episcopale Croata, con mons. Želimir Puljić, arcivescovo di Zadar, presidente; mons. Đuro Hranić, arcivescovo di Đakovo-Osijek, Membro; mons. Dražen Kutleša, vescovo di Poreč-Pula, membro; mons. Carlos Humberto Malfa, vescovo di Chascomús (Argentina); Frère Alois, Priore di Taizé.

inizio pagina

Ouellet: indispensabile l'impegno dei laici cattolici nella vita pubblica

◊  

“L’indispensabile impegno dei laici nella vita pubblica” è il tema della Plenaria della Pontificia Commissione per l’America Latina, riunita in questi giorni in Vaticano, sotto la presidenza del cardinale Marc Ouellet. Atteso per domani, in chiusura dei lavori, l’incontro con il Papa. Il servizio di Roberta Gisotti

Un tema che è stato scelto dal Papa argentino per richiamare la necessità di riflettere sul ruolo dei laici nella vita pubblica, raccogliendo una preoccupazione pastorale delle Chiese latinoamericane, riguardo la carenza laicale nei settori della società civile nei loro Paesi. Spetta infatti soprattutto ai laici - ha evidenziato il cardinale Ouellet in apertura dei lavori – “ordinare la società secondo giustizia per mezzo della politica”, agendo in “libertà e responsabilità, guidati dalla dottrina sociale della Chiesa”. Non si lascino invece i vescovi intrappolare nei maneggi della politica, ha ammonito il porporato. Sappiano bene di non avere la vocazione al potere consapevoli della necessità di non affidare la salvezza alla politica. Dunque ‘no’ al protagonismo attivo dei presuli nella prassi politica. Ciò non significa – ha chiarito il presidente Ouellet che debbano disinteressarsi di questo ambito e non compromettersi nella costruzione di una convivenza civile e sociale più umana per tutti.

Per chiarire ruoli e mandati, la Pontificia Commissione per l’America Latina, insieme al Celam-Consiglio episcopale latinoamericano, convocherà per la prima volta un incontro tra vescovi e laici con responsabilità politiche governative, parlamentari o amministrative a livello locale o nazionale. Si tratterà di dare seguito al dibattito e alla raccomandazioni della Plenaria suscitando, formando, incoraggiando e sostenendo nuove forme di presenza cristiana laicale per aprire cammini di giustizia, pace, riconciliazione e integrazione, solidarietà e fraternità nella vita dei Paesi latinoamericani.

Nell’Anno giubilare, il cardinale Ouellet ha richiamato l’urgenza di opere di misericordia tradotte nella vita e nei programmi politici. Infine l’annuncio della celebrazione continentale del Giubileo, che si terrà dal 27 al 31 agosto a Bogotà in Colombia, promosso dalla Pontificia Commissione e dal Consiglio Celam in collaborazione con gli episcopati degli Stati Uniti e del Canada.

inizio pagina

Turkson: il razzismo rende le persone invisibili negandone la dignità

◊  

Verità, inclusione e riconciliazione: il razzismo si sconfigge così. Questo, in sintesi, il messaggio inviato dal card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, alla Conferenza “Nero e bianco in America”, in programma oggi e domani a Birmingham, in Alabama. Il servizio di Isabella Piro

Il razzismo rende le persone invisibili
“Ovunque ci sia una minoranza perseguitata ed emarginata a causa della sua etnia, il benessere dell’intera società viene danneggiato”: il messaggio del card. Turkson si apre con una citazione di Papa Francesco ed è proprio “a nome del Pontefice” che il porporato condanna “il male del razzismo nel mondo contemporaneo”. Poi, il suo sguardo si volge alla cultura africana e racconta: il popolo Zulu, per salutare, dice “Sawubona” che significa “Io ti vedo”. Il razzismo, invece, fa esattamente il contrario, spiega il porporato, perché “rende le persone invisibili, ne nega la dignità e provoca la perdita di identità, la disperazione, la sfiducia sociale e politica”.

Ripristinare e preservare i legami di reciprocità e fratellanza
Soprattutto – sottolinea il card. Turkson – “il razzismo esclude le sue vittime dalle risorse per i bisogni primari”, come l’abitazione, l’educazione, il lavoro, l’assistenza agli anziani. “Si tratta di barriere non immaginarie, ma fin troppo reali – ribadisce il porporato – e le enormi ingiustizie e sofferenze che esse causano devono essere abbattute e superate”. Ricordando, poi, la tragica “eredità della schiavitù” rimasta negli Stati Uniti, il card. Turkson esorta “tutti i popoli a ripristinare e preservare i legami fondamentali della reciprocità e della fratellanza” perché “la guarigione dal razzismo inizia dal cuore”. Diventa centrale, allora, l’esame di coscienza, in quanto – spiega ancora il porporato – “ammettere la propria incapacità di vedere l’altro come un essere umano significa iniziare già a combattere il razzismo inconscio”.

L’importanza della carità e dell’educazione
Ma cosa ci aiuta a vedere davvero l’altro? Il card. Turkson indica due strade: la prima è quella dell’amore, della carità capace di riportare “dentro il cerchio dell’attenzione umana gli emarginati e gli esclusi”. La seconda strada è quella dell’educazione che “gioca un ruolo fondamentale”, perché “i bambini sono in grado di accettare subito le differenze”. Per questo, il presidente di Giustizia e pace lancia un appello: “Lo smantellamento efficace del razzismo deve iniziare ora”, guardando al principio fondamentale ed essenziale secondo il quale “ciascuno è creato ad immagine e somiglianza di Dio”.

Ampliare le opportunità per tutte le persone di colore
“Una simile conversione interiore – spiega il card. Turkson – dovrà poi estendersi alle leggi, alla politica, all’educazione, al sistema sanitario, al lavoro, al contesto abitativo”, affinché “la guarigione interiore ed esteriore” della società “argini la crescente ondata di disperazione giovanile”. In particolare, il porporato sottolinea che “è giunto il momento di ampliare le opportunità per tutte le persone di colore che, per generazioni” sono state vittime di razzismo.

Promuovere cultura dell’incontro e del rispetto reciproco
Citando, poi, nuovamente Papa Francesco ed il suo richiamo a “rafforzare la convinzione che siamo tutti un’unica famiglia umana”, il porporato suggerisce quattro linee-guida da sviluppare nel corso del convegno: riflettere maggiormente su cosa la fede cattolica dice sul razzismo, pregando per il perdono e la riconciliazione; comprendere come gli atteggiamenti razzisti portino alla povertà ed alla violazione sistematica dei diritti umani fondamentali; lavorare alla rimozione delle barriere personali e sistematiche che ci impediscono di vedere nell’altro un fratello creato ad immagine e somiglianza di Dio. Infine, moltiplicare gli sforzi per promuovere la cultura dell’incontro, del rispetto, della comprensione e del perdono reciproco.

inizio pagina

Corso per confessori. Mons. Nykiel: favorire incontro con Cristo

◊  

“Approfittiamo del tempo di Quaresima" per ricevere il perdono di Dio nel Sacramento della Confessione: così il Papa, ieri, all’udienza generale. Francesco domani riceve i partecipanti al Corso sul Foro interno, organizzato a Roma dalla Penitenzieria Apostolica sul tema "Poniamo al centro con convinzione il Sacramento della Riconciliazione". Fabio Colagrande ne ha parlato con mons. Krzysztof Nykiel, reggente della Penitenzieria Apostolica:

Imparare a far toccare con mano la misericordia di Dio
R. - La Penitenzieria Apostolica è da sempre impegnata nell’aiutare i novelli sacerdoti e i seminaristi prossimi all’ordinazione presbiterale a formarsi correttamente per amministrare fruttuosamente il sacramento della Riconciliazione. La sua celebrazione  richiede infatti sempre più un’adeguata e aggiornata preparazione teologica, pastorale spirituale e giuridica, affinché quanti si accostano al confessionale possano, come chiede il Papa, “toccare con mano la grandezza della misericordia, fonte di vera pace interiore”. Il corso di quest’anno, infatti, - che ha registrato la presenza di circa 500 partecipanti - s’inserisce nella cornice dell’anno straordinario della Misericordia e, pertanto, ha come tema portante l’invito che Francesco ha rivolto alla Chiesa nella ‘Misericordiae Vultus’ a ridare centralità, “con convinzione”, al Sacramento della Riconciliazione.

Non ci si improvvisa confessori
D. – Cosa sta emergendo dal Corso?

R. – I diversi relatori hanno messo in luce come principalmente attraverso il Sacramento della Confessione Dio si manifesta all’uomo come Padre che non si stanca mai di perdonare e di salvare. In particolare, sono state affrontate situazioni di rilevante e attuale delicatezza che interessano il ministero penitenziale. E’ stata privilegiata la parte relativa alla retta amministrazione del Sacramento della Penitenza e alla risoluzione di casi complessi e particolari che vengono sottoposti al discernimento e alla misericordia della Chiesa. Pertanto, è necessario che i sacerdoti imparino ad amministrare bene questo Sacramento perché non ci si improvvisa confessori! Il Corso sul Foro Interno ha proprio questo scopo: aiutare i sacerdoti a imparare l’arte di essere buoni e misericordiosi confessori! Infatti, si conclude con la partecipazione nel pomeriggio di venerdì 4 marzo alla Celebrazione penitenziale presieduta dal Papa nella Basilica di San Pietro. Per l’occasione, la Penitenzieria Apostolica metterà a disposizione per l’amministrazione del Sacramento della Confessione ben 60 confessori di cui la maggior parte sono penitenzieri ordinari e straordinari delle Basiliche papali dell’Urbe, ai quali si aggiungono lo stesso cardinale penitenziere maggiore, il reggente e gli officiali sacerdoti del Dicastero. Sarà un forte momento di grazia e un’occasione favorevole per riflettere sulla nostra chiamata alla conversione, a cambiare vita e mettere l’amore di Dio al centro del nostro cuore.   

Confessionale: luogo di incontro con Cristo
D. - Come rispondere, nel concreto, all'invito del Papa a rimettere al centro la Confessione?

R. - Com’è noto, il Sacramento della Confessione ha come finalità far sperimentare l’amore misericordioso di Dio che è più grande di ogni peccato. Perciò, chi si accosta al confessionale deve sperimentare l’incontro con Cristo misericordioso, un incontro vivo e vero. Dall’incontro vissuto scaturisce l’inizio di una vita rinnovata e riconciliata. Il Sacramento della Riconciliazione acquisisce così un significato di fede esistenziale, poiché il segno della riconciliazione non è in dissonanza con la quotidianità del credente. Per questo motivo i confessori hanno una grande responsabilità davanti a Dio: quella cioè di essere un vero segno del primato della misericordia del Padre, essere misericordiosi come il Padre. Ma potranno esserlo a condizione che essi stessi si riscoprano sempre di nuovo bisognosi del perdono di Dio, peccatori perdonati, penitenti come il pubblicano al tempio che si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Ai confessori è richiesto, quindi, un importante compito pastorale che è quello di favorire l’incontro tra i fedeli – specialmente i più lontani dalla grazia di Dio – e la misericordia di Dio. Essi devono essere sorgenti zampillanti di misericordia dove ogni cristiano potrà attingere in qualunque momento, e senza sosta, l’acqua del perdono e della salvezza.    

Riscoprire la grandezza dell’amore di Dio
D. - Qual è la sfida pastorale che i sacerdoti in cura d’anime e i confessori in modo particolare devono affrontare oggi?

R. - La sfida di aiutare le persone ad aprirsi sempre di più all’esperienza dell’amore di Dio! Viviamo infatti in un contesto sociale dove troppo spesso l’uomo cerca di fare a meno di Dio, lo avverte come presenza ingombrante, come l’antagonista della sua felicità e perciò tenta di sbarazzarsene illudendosi di potercela fare anche senza il suo aiuto. Perduta la strada che lo dirige verso Dio, l’uomo vive in riferimento a se stesso, diventa egoista, ripiegato su stesso, chiuso agli altri e al mondo che lo circonda. Pertanto, l’uomo contemporaneo, riscoprendo la grandezza dell’amore di Dio che si rivela soprattutto nel concedere il suo perdono, può ritrovare più fiducia in se stesso, nelle sue capacità e talenti, nel suo essere persona creata ad immagine e somiglianza di Dio. Prendere coscienza che Dio non è il concorrente dell’uomo, ma il suo più grande e vero sostenitore, diventa occasione favorevole per sperimentare la vera felicità dell’uomo e cioè l’essere amato incondizionatamente da Dio che gioisce quando ci perdona e quando lo cerchiamo con cuore sincero..  

Un convegno sulla ‘Misericordiae Vultus’
D. - Può anticiparci qualcosa sul convegno che state organizzando per fine marzo?

R. - In occasione del corrente Anno Giubilare Straordinario, la Penitenzieria Apostolica, accogliendo l’invito del Papa nella ‘Misericordiae Vultus’ a “vivere nella vita di ogni giorno la misericordia che da sempre il Padre estende verso di noi”, ha organizzato un convegno di riflessione e approfondimento sulla stessa Bolla di indizione che si svolgerà dal 31 marzo al 1° aprile nel Palazzo della Cancelleria. La peculiarità del Convegno consiste nel fatto che il titolo di ogni conferenza coinciderà con una citazione tratta dalla ‘Misericordiae Vultus’. Ogni relatore avrà così l’occasione di approfondire il tema della misericordia dal punto di vista biblico, liturgico, teologico, spirituale, sacramentale e pastorale. Destinatari sono i sacerdoti, i religiosi e le religiose, gli alunni delle facoltà teologiche, gli operatori pastorali e i laici impegnati nelle comunità parrocchiali di appartenenza.  

 

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Valore da proteggere: alla Pontifica Accademia per la Vita il Papa raccomanda che l’uomo sia sempre al centro della scienza e della tecnica.

Resoconto dell'udienza privata a un gruppo del cristianesimo sociale francese scritto dal  direttore del settimanale «La Vie» Jean-Pierre Denis.

Incontro nella storia: in prima pagina un editoriale di Ilarione di Volokolamsk sull'incontro tra Francesco e Cirillo.

Non si può restare in silenzio: prefazione di don Luigi Ciotti al libro "Vescovi e potere mafioso" di don Rosario Giuè.

In cerca di significato: Giulia Galeotti sull'ultimo romanzo di Marilynne Robinson.

Elogio di New York: Emilio Ranzato recensisce il film "Brooklyn".

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Siria, tregua fragile. Gesuita di Aleppo: torna la speranza

◊  

Al sesto giorno di cessate il fuoco la Siria tenta a fatica di tornare alla normalità. Nonostante siano ancora molte le violazioni della tregua, si registra la riapertura parziale delle scuole nel Sud del Paese ma, soprattutto, molti dei siriani sono tornati in piazza a dimostrare pacificamente contro il governo di Damasco. In altre zone, come ad Aleppo, si registrano ancora bombardamenti. Ce ne parla il padre gesuita Ghassan Sahoui, raggiunto telefonicamente nella città da Giancarlo La Vella

R. – Aleppo è divisa in due parti. Nella parte in cui noi abitiamo, controllata dal governo, non ci sono manifestazioni.

D. – In particolare, come si vive ad Aleppo, in questi giorni?

R. – La strada tra Aleppo e le altre zone, presa dall’Is, per fortuna è stata aperta da quasi due giorni; finalmente arrivano cibo e benzina.

D. – Anche i medicinali?

R. – Anche i medicinali, certamente. Però qui si rimane senza corrente elettrica, senza acqua, la gente sempre fatica a comprare l’acqua e a portarla alle case … quindi, non è facile la vita, qui. Però speriamo sempre che questa crisi non duri troppo a lungo …

D. – C’è la speranza che questa tregua possa cambiare la situazione anche in altre zone?

R. – Lo spero davvero. E’ un primo passo sulla via della riconciliazione e la gente qui è molto contenta: abbiamo la sensazione che ci sia maggiore sicurezza … E magari questi nostri politici si potranno incontrare al tavolo dei negoziati. Speriamo che ci sia un dialogo fruttuoso … Però, credo che non sia una cosa facile. Noi speriamo e preghiamo …

D. – Per far dialogare le fazioni siriane in questo momento c’è bisogno, secondo lei, di un intervento particolare della comunità internazionale?

R. – Abbiamo bisogno di tutte le buone volontà di tutte le parti in gioco in questa crisi siriana, cioè di tutti i Paesi coinvolti; certamente della comunità internazionale e certamente di tutti coloro che in un qualche modo hanno influito, affinché ci sia davvero un intervento efficiente ed efficace nell’aiutare ad arrivare ad una possibile riconciliazione, a un dialogo fruttuoso…

inizio pagina

Libia, Farnesina: uccisi due ostaggi italiani

◊  

In Libia sono stati uccisi, nella regione di Sabrata, due dei quattro tecnici italiani rapiti nel Paese lo scorso mese di luglio. Lo ha reso noto la Farnesina precisando che potrebbe trattarsi di Fausto Piano e di Salvatore Failla. Intanto, sembra sempre più probabile l’ipotesi di un ulteriore intervento militare internazionale in Libia a guida italiana. Il servizio di Amedeo Lomonaco

In Libia, le milizie del sedicente Stato islamico controllano diverse aree del Paese tra cui varie zone della città di Sirte. Il tempo dunque stringe ed è sempre più forte la pressione degli Stati Uniti per un intervento in Libia con un ruolo di guida da affidare all’Italia. Il ministro degli Esteri libico, Ali Ramadan Abuzaakouk, condivide la strategia di attribuire un ruolo cruciale all’Italia ma chiede che qualsiasi azione militare sia minuziosamente concordata con il governo del Paese nordafricano. Se così non fosse – ha spiegato in una intervista al Corriere della Sera - verrebbe violata la sovranità nazionale libica. Il principale obiettivo - ha ribadito inoltre il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni - resta la creazione di un governo libico di unità nazionale per sconfiggere le milizie del cosiddetto Stato islamico e contrastare il traffico dei migranti. Sono infine in corso le verifiche per appurare se due italiani, dipendenti della società di costruzioni “Bonatti” e rapiti lo scorso mese di luglio in Libia, sono morti - come si evincerebbe da un filmato - in seguito ad una sparatoria. Secondo un testimone, i due ostaggi sarebbero stati usati come scudi umani da miliziani del sedicente Stato islamico durante scontri con forze libiche. Nel pomeriggio, sulla situazione in Libia, è in programma una riunione del Copasir.

La drammatica notizia dell’uccisione dei due tecnici italiani può influenzare la politica estera dell’Italia in un momento in cui sembra sempre più probabile, in Libia, l’ipotesi di un ulteriore intervento militare internazionale a guida italiana? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Lucio Caracciolo, direttore di Limes: 

R. – Certamente questa notizia - se confermata - darà ancora più il senso dell’urgenza di un’operazione che però, così come è stata posta, mi pare estremamente complessa. Non è ben chiaro né  l’obiettivo finale né quali forze si possano effettivamente schierare per raggiungere quell’obiettivo. In realtà, un intervento militare internazionale non a guida italiana ma di forze speciali britanniche, francesi e americane è in corso da molti mesi ed è destinato a colpire lo Stato islamico, a mettere in protezione alcune strutture energetiche e a cercare di capire che cosa stia succedendo in un Paese che non esiste più, essendo frammentato e conteso da mille milizie.

D. - In questo Paese così frammentato è possibile, come è auspicato anche dal ministro Gentiloni, la creazione di un governo libico di unità nazionale?

R. – Mancano le premesse. Innanzitutto manca la nazione libica. In secondo luogo, mancano dei leader credibili. In questo momento le fazioni, Tobruk e Tripoli, sembrano effettivamente inconciliabili. Ci sono operazioni di guerra che sono in corso ad opera di forze speciali e adesso anche le forze speciali italiane stanno affluendo.

D. – Qualsiasi decisione comunque è urgente anche perché si prevede a breve un’operazione militare a Mossul, in Iraq, e questo porterebbe molti miliziani dello Stato islamico verso la Libia …

R. – In realtà alcuni sono già in Libia, anche se non bisogna esagerare la presenza del sedicente Stato islamico, concentrata, per ora, nella zona di Sirte. E’ formata in buona parte da elementi locali che si sono ribattezzati appartenenti allo Stato islamico. Di questo e di tutto quello che è collegato parleremo tra l’altro al Festival di Limes a Genova “La Terza Guerra mondiale”, che parte dalla frase di Papa Francesco e che ammonisce sul pericolo che questi spezzoni di guerra in corso tra Siria, Iraq, Libia ed altri Paesi possono congiungersi in un conflitto di proporzioni incontrollabili.

D. - Nello specifico, che pezzo di questa “Terza Guerra mondiale a pezzi” - come ha detto Papa Francesco - è questa guerra in Libia?

R. - È un pezzo per ora minore rispetto a quello siro-iracheno che ha prodotto più di 300 mila morti. Potenzialmente, però, potrebbe diventare un pezzo di un certo rilievo soprattutto se dovesse collegarsi alla guerra in corso nel Levante e se lo Stato islamico cercasse e riuscisse a ripresentarsi come difensore del popolo libico contro i nuovi colonialisti, i "nuovi crociati" che vengono a riconquistare la Libia.

inizio pagina

La Corea del Nord spara in mare sei proiettili a corto raggio

◊  

Nuova provocazione della Corea del Nord che ha sparato in mare 6 proiettili a corto raggio. Il lancio, denunciato dalla Sud Corea, è avvenuto poche ore dopo le nuove sanzioni Onu contro Pyongyang per il test nucleare di inizio anno e il lancio di un missile il 7 febbraio scorso, le più dure da 20 anni a questa parte. Gli spari – secondo Seul - sono arrivati dalla città costiera di Wonsan. Il lancio ha riguardato proiettili particolari, che hanno percorso dai 100 ai 150 chilometri prima di arrivare in mare, ma non è escluso che si sia trattato di artiglieria o razzi. In questo clima, la Cina ha chiesto di attuare “pienamente e seriamente” la risoluzione del Palazzo di Vetro. Della strategia di Pyongyang Giada Aquilino ha parlato con Romeo Orlandi, vice presidente dell’Osservatorio Asia: 

R. – La strategia è tipica, nel senso che si risponde mostrando i muscoli, facendo vedere che non si ha paura della comunità internazionale e stringendo anche l’unità nazionale all’interno contro un nemico forte, immaginario e totale all’esterno. La vera novità è che alla fine la Cina si sta impegnando in risoluzioni sempre più vicine a quelle della comunità internazionale e comunque degli Stati Uniti, senza porre il diritto di veto. Perché la Cina percepisce che la situazione in Nord Corea ormai è sfuggita al suo controllo. Fino ad ora Pechino aveva utilizzato la Corea del Nord come leva negoziale e come capacità di controllo su un settore strategico del Pacifico del nord. Ora questa capacità di controllo si allenta, la Corea del Nord diventa sempre più imprevedibile, il suo leader diventa sempre più inscrutabile. È un rischio.

D. - Quindi si può dire che la Corea del Nord sta perdendo quello che era il tradizionale alleato o è presto per affermarlo?

R. - È presto per dirlo perché possiamo avere numerose valutazioni di quello che la Corea del Nord sta facendo: si tratta comunque di uno Stato di difficile comprensione. Ad un estremo concettuale c’è l’idea che il regime stia giocando con il fuoco ma all’interno di una logica: alza il tiro della posta, fa vedere che senza la Corea del Nord quella regione non diventa mai pacificata e quindi mostra i muscoli, spara i missili per ottenere di più al tavolo negoziale. All’estremo opposto di questo ventaglio di analisi c’è la possibilità che il regime sia totalmente incontrollato e incontrollabile, si potrebbe essere alla vigilia di una resa dei conti all’interno del regime, il giovane Kim Jong un al potere, in realtà potrebbe far questo per stringere anche le maglie contro la dissidenza.

D. - Tra l’altro in maggio ci sarà il congresso del Partito dei lavoratori…

R. – Sì, questo è previsto. Però non sappiamo se sarà la “solita” parata trionfale e propagandistica oppure se si andrà ad una resa dei conti con una minoranza o maggioranza, non sappiamo di altri schieramenti politici. È probabile però che questo non avvenga perché i dissenzienti ricevono altre sorti in altre situazioni. Quindi è verosimile che non vedremo uno showdown di contrasti. Ma ciò non significa che non ci siano.

D. - Le sanzioni varate dall’Onu includono l’ispezione obbligatoria di tutti i cargo in entrata ed in uscita dalla Corea del Nord, il bando alla vendita di armi di piccolo calibro a Pyongyang, l’espulsione dei diplomatici colpevoli di attività illegali. Che provvedimenti sono nel concreto?

R. - Sono provvedimenti ancora più restrittivi di quelli che già c’erano. Le sanzioni ci sono per le esportazioni di materiale fissile, per tecnologia dual use, civile o militare. Bisognerà vedere se queste sanzioni colpiranno la società o - cosa della quale dubito - colpiranno anche i dirigenti del regime. E bisognerà vedere se la Cina, che è sempre stato l’unico sfogo dei rifornimenti della Corea del Nord, questa volta farà il suo compito e regolerà queste sanzioni.

inizio pagina

Ucraina: il conflitto dimenticato, vertice a Parigi

◊  

Vertice a Parigi, oggi, dei ministri degli Esteri dei Paesi del "Quartetto di Normandia" (Russia, Francia, Germania e Ucraina) per fare il punto sul conflitto nel Donbass nell’Est dell’Ucraina. Un conflitto quasi dimenticato, ma mai sopito, che da due anni affligge il Paese dell’ex blocco sovietico e le regioni al confine con la Russia, in bilico tra indipendenza e guerra civile. Quale è la situazione oggi? Stefano Pesce lo ha chiesto a Luigi Geninazzi, esperto dell’area del quotidiano Avvenire: 

R. - È una situazione di conflitto a bassa intensità. Anche nel mese di febbraio ci sono stati almeno una quindicina di morti. I distretti di Donetsk e Lugansk sono sempre sotto il controllo dei separatisti filorussi.

D. - Due anni sono tanti. Qual è la situazione economica e sociale del Paese?

R. - Purtroppo è molto brutta. I problemi cronici dell’Ucraina post–sovietica continuano a persistere e ad aggravarsi. Dico purtroppo perché le speranze della rivolta di Maidan erano tante, soprattutto contro un potere politico corrotto. Queste cose, invece continuano ancora. Proprio il mese scorso c’è stato un braccio di ferro durissimo tra il presidente Poroshenko e il primo ministro Yatsenyuk; Poroshenko voleva che Yatsenyuk desse le dimissioni. Poi è stato salvato all’ultimo momento dal parlamento, ma la lotta politica continua. Il problema è che questa lotta politica va avanti sullo sfondo di un crollo drammatico del Pil perché l’anno scorso è stato del dieci percento, l’inflazione è a due cifre, il debito è altissimo, per cui la gente dice: “Abbiamo fatto la “rivoluzione arancione” 12 anni fa e poi i politici non hanno fatto nulla. Abbiamo fatto la rivoluzione di Maidan due anni fa, ma non sembra che le cose cambino”. Questa è la cosa veramente triste.

D. - A due anni dallo scoppio delle ostilità, possiamo dare una lettura obiettiva dei fatti? 

R. - La Russia è stata colpita da queste rivoluzioni colorate. Putin ha deciso di intervenire militarmente con l’occupazione - proprio un anno fa, in Crimea, il primo marzo, in grande maggioranza abitata da popolazione russa - e poi con azioni di disturbo e con occupazione nei distretti dell’Est. Io credo che abbia voluto fare un’azione di guerra ibrida, un modello di azione che ha fatto in Georgia, sta facendo un po’ in Moldavia. Quindi è un modello per mettere in crisi questo Paese che ha cercato di avvicinarsi all’Occidente proprio il primo gennaio di quest’anno firmando l’accordo di libero scambio con l’Europa. Diciamo che l’Ucraina è un po’ un Paese in ostaggio; non è cosi vero che l’Unione Europea abbia voluto strappare l’Ucraina dall’influenza russa; è stato un movimento genuino di popolo. Il problema vero è che con questo ricatto di Putin continuo da un lato, questa situazione di estremo caos politico e di degrado sociale ed economico, le prospettive, a due anni dalla rivoluzione di Maidan, non sono molto rosee.

D. - C’è il vertice a Parigi del quartetto Normandia, ossia Russia, Francia, Germania e Ucraina, per discutere la situazione nel Donbass. C’è una soluzione del conflitto all’orizzonte?

R. - Nel Donbass e a Lugansk, i due distretti controllati dai separatisti, ci dovrebbero essere le elezioni in questo mese; magari saranno ancora rinviate. C’è ovviamente un palleggio di responsabilità: i separatisti dicono che Kiev non ha approvato lo schema dell'autonomia, quindi sono inadempienti; Kiev dall’altra parte sottolinea – a ragione – che anche la Russia e i separatisti non hanno implementato l’accordo perché il confine orientale fra Russia e Ucraina è ancora controllato da loro e non dal governo centrale. Quindi diciamo che la situazione è congelata e, a questo punto, non credo che si riuscirà a sbloccare. 

inizio pagina

Grave carestia in Etiopia: aiuti umanitari dall'Italia

◊  

“Italia e Etiopia tra siccità e buone pratiche di cooperazione”, è questo il titolo della conferenza tenuta alla Camera per presentare un resoconto della recente missione parlamentare italiana in Etiopia. La presenza del Niño, nella sua forma più intensa, ha portato alla perdita di diversi raccolti, decimato il bestiame e affamato milioni di persone. Secondo le Nazioni Unite, 10 milioni di persone hanno bisogno di aiuti alimentari immediati. Il servizio di Alessandro Filippelli

Cooperazione internazionale, salute globale e Aids. Sono questi i punti di un importante progetto dell’Italia in Etiopia, dove è in atto una grave crisi umanitaria, con milioni di persone in balia di siccità e carestia. A seconda dell'andamento del clima, da qui ai prossimi 4 mesi questa cifra potrà raggiungere i 15 milioni, su un totale di 100 milioni di etiopi. I bambini sono i più vulnerabili ma patiscono i contadini, i pastori, patisce anche chi vive nelle città, perché la carenza di derrate alimentari, di carne e latte, sta provocando una forte inflazione anche nelle zone urbane. Fabio Melloni dell’Ufficio emergenze stati fragili dell’Agenzia italiana per la cooperazione:

“La siccità porta con sé tutta una serie di questioni collegate ad essa: l’abbandono dei bambini a scuola; la nutrizione; problemi sanitari: veterinari, di malattie, ai quali bisogna dare per forza una risposta. Noi abbiamo subito attivato dei fondi di emergenza, perché si tratta di un’emergenza e quindi dovevamo rispondere immediatamente, attraverso i nostri partner istituzionali: la Fao e il World Food Programme. Questo per l’Etiopia. E poi stiamo attivando una risposta sul breve, medio e lungo periodo – sono temi che ricorrono e sui quali dobbiamo investire – sempre sull’Etiopia, sul Corno d’Africa, ma anche su tutta l’Africa dell’Est. Io sto partendo proprio adesso, perché abbiamo attivato questo Fondo di sei milioni di euro per investire sul tema della riduzione della vulnerabilità e sul rafforzamento della capacità di risposta di questi Paesi, a partire dal Mozambico per finire a tutto il Corno d’Africa”.

“Abbiamo avuto una preziosa opportunità di toccare con mano la sfida complessa di questo Paese”, lo ha detto Lia Quartpelle, coordinatrice del Gruppo interparlamentare sulla cooperazione internazionale, “riscontrando - ha aggiunto - uno straordinario impegno politico”:

“Il governo italiano ha un impegno multiplo: l’Etiopia è un Paese prioritario della nostra Cooperazione. Ci sono vari progetti in ambito soprattutto sanitario, del water and sanitation, quindi delle infrastrutture idriche. Ma c’è un impegno particolare sul fronte dell’emergenza: un milione di euro per far fronte all’emergenza del Niño e venti milioni di euro per far fronte invece alle vicende migratorie. Il Trust Fund europeo che attraverso la Cooperazione italiana fa il primo progetto di tutto il Trust Fund per assorbire i rifugiati eritrei in Etiopia. In realtà l’Etiopia è un Paese molto più complesso di una semplice emergenza umanitaria come quella della siccità. È un Paese che ha ricevuto circa un milione di rifugiati dall’Eritrea e che li ospita con grande disponibilità. È un Paese dove dieci milioni di persone soffrono del cambiamento climatico e della recrudescenza del Niño, con un impegno però del governo a risolvere insieme ai partner internazionali le condizioni di fragilità alimentare e agricola a cui queste persone sono effettivamente esposte. La missione parlamentare è servita a rendersi conto di tutti questi aspetti della vicenda etiopica”.

In Etiopia, inoltre, persistono forti problematiche sanitarie e relative ai diritti delle donne: il 74.3%, fra i 15 e i 49 anni, ha subito la pratica delle mutilazioni genitali femminili e l'Hiv/Aids che colpisce molte di esse. Stefania Burbo, Focal point dell’Osservatorio Aids-Aidos:

“Per quanto riguarda gli aspetti sanitari abbiamo visto il grande sforzo del governo etiope. L’Etiopia è catalogata come un Paese a basso reddito dalle istituzioni internazionali, che sta investendo per costruire centri sanitari, dispensari e formare degli operatori che sono a metà tra l’operatore comunitario e quello sanitario, che devono realizzare una rivoluzione culturale per avvicinare le popolazioni dei villaggi a questi centri sanitari. Lo sforzo è immane, però questa strategia è efficace e oltretutto in maniera congiunta con altri attori, perché l’Etiopia non ce la può fare da sola”.

inizio pagina

Fusione "Stampa" - "Repubblica". Pluralismo a rischio?

◊  

Accende i mercati l’accordo siglato ieri da Cir, la holding della famiglia De Benedetti, e Fiat Chrysler Automobiles che prevede la fusione di Itedi, società che possiede La Stampa e il Secolo XIX con il Gruppo Editoriale L’Espresso. Dopo oltre 40 anni Fiat esce dal capitale di Rcs. Il nuovo polo coprirà circa il 20% della informazione italiana, ma in un comunicato i due soggetti interessati spiegano che le testate manterranno piena indipendenza editoriale. Un incontro con i vertici è stato chiesto dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana che chiede garanzie sul fronte occupazionale. Ma quanto l’intesa mette a rischio il pluralismo nell’informazione? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Ruben Razzante, docente di Diritto dell’Informazione all’Università Cattolica di Milano: 

R. – Il pluralismo dell’informazione è garantito sia sul piano quantitativo che sul piano qualitativo dalla presenza di numerosi operatori, che competono ad armi pari sul mercato editoriale e che diffondono notizie secondo criteri di neutralità, di trasparenza, di rispetto della verità ed omaggio all’interesse pubblico dell’informazione. Adesso si tratta di capire se questa integrazione, che è una integrazione industriale e che non dovrebbe annullare l’autonomia delle singole testate, possa poi alla lunga produrre effetti negativi sul pluralismo, annullando le diversità che queste testate - La Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, i 18 giornali locali del Gruppo L’Espresso, ma anche Radio Dj e le emittenti che sono coinvolte in questa fusione - hanno incarnato per anni.

D. – Da un punto di vista economico, c’è chi ha espresso anche la preoccupazione che questo accordo possa configurarsi come una sorta di cartello a svantaggio di una maggiore libertà di informazione…

R. – Il rischio indubbiamente c’è… Probabilmente siamo soltanto agli inizi di un processo di unificazione, ma si parla anche di altre fusioni: per esempio tra il Corriere e Il Sole 24 Ore; addirittura tra il Corriere e Il Messaggero, tra Il Tempo e QN… Si va ormai verso concentrazioni editoriali con economie di scala che dovrebbero ridurre i costi, favorire l’integrazione e le sinergie e quindi ridurre anche le voci. E questo sarà inevitabilmente un effetto che produrrà minore pluralismo, io credo, anche da un punto di vista qualitativo, perché è evidente che se tutte queste voci che si fondono saranno orientate prevalentemente verso determinate aree culturali, politiche e sociali, questo di fatto produrrà un impoverimento. Io pavento anche il rischio per il mercato giornalistico: temo che molti giornalisti che andranno in pensione non verranno rimpiazzati e questo creerà anche una sorta di imbuto nell’accesso alla professione giornalistica, che dovrà un po’ reinventarsi e che dovrà puntare molto di più sulla “rete” che non sui media tradizionali.

D. – La polemica sul conflitto di interessi ruotata negli anni scorsi attorno alla figura di Silvio Berlusconi, alla luce di questo accordo, si ripropone?

R. – I conflitti di interessi sono stati e sono sempre diversi in Italia. Nel caso di Berlusconi, quando ha ricoperto incarichi di governo, l’imbarazzo c’era e c’è stata una volontà politica insufficiente nel voler risolvere questo imbarazzo. Adesso non vedo conflitti di interesse altrettanto eclatanti ed incisivi sul mercato editoriale: non li vedo per la politica. Vedo, invece, altri conflitti di interesse che riguardano i poteri finanziari: l’invadenza delle banche nella gestione dei media; il fatto che i media siano con bilanci sofferenti e che quindi dipendano sempre più dai prestiti bancari è un’altra limitazione di libertà ed è un conflitto di interesse; così come ci sono degli editori che hanno dei business in altri mercati, come nel mercato energetico, nel mercato assicurativo, nel mercato delle costruzioni… L’Italia è un Paese che nel mondo editoriale ha dei conflitti di interesse evidenti.

D. – In attesa di una normativa nel merito si può dire che il web oggi garantisca una libertà di informazione che invece manca per quanto riguarda il giornalismo cartaceo?

R. – La garantisce in buona misura, perché aprire degli spazi di pluralismo nel web è relativamente più facile ed è soprattutto infinitamente più economico. C’è il problema del filtro di credibilità delle informazioni sul web: non tutto quello che esce sul web viene filtrato con criteri di deontologia giornalistica, di rispetto della verità dei fatti. Tuttavia ci sono moltissimi siti di informazione, ma anche moltissimi siti di controinformazione, che nel web veicolano delle notizie che nei media tradizionali non vengono diffuse, e questo perché rimangono fuori da questi circuiti dei media tradizionali, che sono condizionati dagli interessi che citavo prima.

inizio pagina

Dossier Idos: in Italia 5 milioni di stranieri, decisivi per l'economia

◊  

In Italia gli stranieri residenti in Italia sono circa 5 milioni e contribuiscono alla ricchezza del Paese producendo l’8,8% del Pil. Aumentano gli sbarchi, ma in proporzione diminuiscono le denunce penali nei loro confronti. Sono questi alcuni dei dati del “Dossier Statistico Immigrazione 2015”, realizzato dall’Idos con la collaborazione della rivista interreligiosa “Confronti”. Il volume, che raccoglie i dati del 2014, è stato presentato ieri a Roma al Pontificio Istituto di Studi Arabi e di Islamistica. Il servizio di Michele Raviart

Sono pari al numero degli italiani che vivono all’estero e provengono principalmente da Romania, Albania, Marocco, Cina e Ucraina. Gli stranieri in Italia aumentano di 92 mila unità nel 2015, mentre in 30 mila hanno acquisito la cittadinanza e sono ormai italiani a tutti gli effetti. Il loro numero, 5 milioni è destinato ad aumentare, come spiega Franco Pittau, dell’Idos:

“Si prevede che questo numero raddoppierà nel 2050, perché abbiamo un andamento demografico molto sbilanciato, c’è bisogno di avere una certa quota di popolazione giovane. Ad esempio, nel 2050, gli ultra sessantacinquenni saranno un terzo della popolazione, e per mantenere un terzo della popolazione ci vogliono un po’ di giovani che lavorano. Quindi, molte volte si pensa che gli immigrati siano una maledizione, ma gli immigrati sono invece la risorsa che la storia ci sta mettendo a disposizione, come una volta eravamo noi italiani quando andavamo in giro per il mondo”

Decisivo il contributo all’economia. Sono circa 20 mila le nuove aziende aperte dagli stranieri, che sono anche il 10% della forza lavoro del Paese. Partecipano al prodotto interno lordo con 123 miliardi di euro l’anno, fornendone altri 3 al sistema previdenziale. Nessuna emergenza criminalità, con le denunce verso di loro ridotte del 6% e, al contrario di quanto è generalmente percipito, il numero di stranieri musulmani è minoritario. Claudio Paravati, direttore della rivista interreligiosa “Confronti”

“Più della metà dei migranti residenti in Italia sono cristiani, innanzitutto. E all’interno della famiglia cristiana molti, moltissimi sono gli ortodossi: parliamo di più di un milione di persone, per lo più dalla Romania. Quindi è una pluralità religiosa che non ci può permettere di dire che noi siamo di fronte a un’invasione dell’Islam: questo è un dato che il dossier con i numeri smentisce immediatamente. D’altra parte, emerge ancora una volta quanto l’immigrazione sia il maggior fattore di pluralizzazione della religiosità in Italia, e da qui quanto sia importante lavorare su questa pluralità”.

Un lavoro che si concretizza in programmi come “ero forestiero e mi avete ospitato”, realizzato dalla Caritas per formare le comunità all’accoglienza. Tra i relatori c’è don Francesco Baronchelli, segretario Pontificio Istituto di Studi Arabi e di Islamistica

“Con la Caritas stiamo costruendo questo itinerario di accoglienza dei migranti, e uno dei sei incontri riguarda proprio l’Islam. Quindi, questo momento di integrazione con la comunità cristiana che ha accolto i profughi e i migranti è estremamente gratificante. C’è una curiosità positiva. Non ho ancora incontrato quella diffidenza che si legge invece in televisione o sui mezzi di comunicazione, su internet. Nelle nostre parrocchie - per lo meno romane - c’è voglia di capire, di comprendere, anche semplicemente di costruire insieme, di parlare con queste persone. E questo secondo me è molto, molto positivo”

Gli arrivi via mare di profughi ed altri migranti sono stati oltre 170 mila, mentre le richieste d’asilo sono state 64 mila nel 2014 e altre 30 mila nei primi sei mesi del 2015.

inizio pagina

Audiolibro su Romero, ucciso per la fedeltà al Vangelo

◊  

Nel Salvador scosso da violenze e rapimenti, l'arcivescovo Oscar Arnulfo Romero trasmise a tutto il popolo la sua fiducia nella riconciliazione. Quei momenti sono rievocati nell’audiolibro “L’ultima parola”, curato da Caritas Italiana e Rerum, e presentato nelal sede della nostra emittente. Il servizio di Alessandro Guarasci

Il Beato Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, pagò la sua fedeltà al Vangelo. Per il suo impegno negli anni ’80 nel denunciare le violenze della dittatura militare, fu ucciso da un cecchino degli squadroni della morte mentre stava celebrando la Messa. Ma i suoi nemici non erano solo tra i militari, dice il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga:

“Papa Francesco ha parlato chiaramente, dicendo: ‘Sentite, Romero ebbe due martìri'. E  uno dei due martìri - e il Papa è stato molto coraggioso a dirlo, ma era la verità - è stato che c'erano anche alcuni vescovi che gli erano contrari". 

La riconciliazione era il primo passo verso una vera giustizia sociale, di cui c’è ancora oggi bisogno, sottolinea il direttore di Caritas italiana, don Francesco Soddu:

“L’attenzione nei confronti degli ultimi deve essere sempre al primo posto, ma non tanto come rivendicazione di diritti, ma come una riproposizione attuale, nel mondo, del messaggio di salvezza”.

Per il leader della Fiom Maurizio Landini oggi troppo spesso le ingiustizie hanno il nome di una finanza che non crea:

“Credo che sia un modo importante per mettere in campo, nella nostra vita normale, tutto l’impegno per combattere questa ingiustizia sociale che in realtà si è allargata”.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Il card. Pell incontra un gruppo di vittime di abusi

◊  

Il cardinale George Pell ha incontrato oggi, all’Hotel Quirinale di Roma, un gruppo di vittime di abusi sessuali provenienti dalla diocesi di Ballarat in Australia. Al termine dell’incontro, il prefetto della Segreteria per l’Economia ha letto una dichiarazione ai giornalisti presenti, assicurando il suo impegno a lavorare con la gente di Ballarat, sua città di nascita, affinché questa possa diventare “un centro e un esempio di sostegno concreto per tutti coloro che sono stati feriti dal flagello degli abusi sessuali”. Il porporato australiano si è, inoltre, impegnato ad aiutare il gruppo di sopravvissuti con le istituzioni presenti nella Chiesa “e in special mondo con la Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori”.

inizio pagina

Vescovi maroniti: abbraccio Francesco-Kirill un passo profetico

◊  

L'abbraccio avvenuto a Cuba lo scorso 12 febbraio tra Papa Francesco e il Patriarca di Mosca Kirill, insieme alla Dichiarazione congiunta da loro firmata, rappresentano “un passo ecumenico e profetico” che i due Vescovi hanno compiuto “spinti da un senso di responsabilità comune”. Lo sottolineano i vescovi della Chiesa maronita, nel comunicato diffuso alla fine della loro Assemblea mensile, svoltasi ieri presso la sede patriarcale di Bkerkè, sotto la guida del Patriarca Bechara Boutros Rai. Nel comunicato, ripreso dall'agenzia Fides, i vescovi maroniti ringraziano Papa Francesco per la sollecitudine mostrata dal Vescovo di Roma riguardo alla presenza dei cristiani in Medio Oriente, e alla difesa della “comune civiltà costruita da cristiani e musulmani nell'area mediorientale”.

Preoccupazione per la ripresa del conflitto tra sunniti e sciiti
Durante i lavori dell'Assemblea mensile - a cui ha preso parte anche il card. Luis Antonio Tagle in qualità di Presidente di Caritas Internationalis in visita in Libano – i vescovi maroniti hanno anche espresso preoccupazione per la recente riemersione in Libano delle polarizzazioni settarie connesse al conflitto regionale tra sciiti e sunniti, e hanno rivolto un appello vigoroso a mantenere le forze armate al di fuori delle tensioni di ordine politico e religioso.

Con la mancata elezione del Presidente si rischia un "crollo” del sistema libanese
Riguardo alla paralisi istituzionale che dal maggio 2014 impedisce l'elezione di un nuovo Presidente, il sinodo maronita ha di nuovo lanciato l'allarme sul rischio di un "crollo” dell'intero sistema libanese, richiamando i blocchi politici e parlamentari ad assumersi le proprie responsabilità nazionali, senza sottomettere il destino del Libano “agli interessi stranieri”. Nel comunicato, i vescovi maroniti hanno anche deplorato la campagna diffamatoria scatenata contro presunte “ambiguità amministrative” della passata gestione di Caritas Libano, ribadendo che il "servizio amorevole” svolto dalla Caritas nel Paese dei Cedri “è più forte di tutti i tentativi di diffamarlo agli occhi dell'opinione pubblica". (G.V.)

inizio pagina

India: la risposta della Chiesa alle sfide attuali

◊  

Di fronte a una lunga serie di violenze e attacchi nei confronti della comunità cristiana ad opera dei fondamentalisti indù, i vescovi dell’India riaccendono il dibattito sulla laicità del Paese.  Ciò avviene in occasione della 32ma Assemblea plenaria della Conferenza episcopale indiana (Cbci), che si è aperta ieri a Bangalore e terminerà il 9 marzo. Prima dell’inizio dei lavori - riferisce l'agenzia AsiaNews - il card. Baselios Cleemis Thottunkal, presidente della Cbci e arcivescovo di Trivananthapuram, ha dichiarato che la maggioranza degli indù è laica. “La politica è una cosa buona – ha detto – ma non quella basata sul voto. Se l’intera comunità indù in India avesse deciso di essere settaria, i cristiani, musulmani e sikh non sarebbero stati al sicuro. Invece grazie a Dio la maggioranza degli indù è laica. La virtù della laicità deve essere proclamata da tutti”. 

I pericoli di una minoranza aggressiva
Anche se in generale concorda con quanto espresso dal card. Cleemis, mons. Thomas Menamparampil, amministratore apostolico di Jowai e sostenitore dell’armonia tra le religioni, afferma ad AsiaNews: “È vero che la società in generale rispetta gli altri punti di vista ed è tollerante con le minoranze. Ma esiste di certo una minoranza aggressiva che cerca di mantenere vivo il ricordo delle ferite storiche che la società indù ha sofferto in passato e di prendere nelle proprie mani le posizioni di rilievo del Paese. Lo sbaglio dell’attuale governo è di essere influenzato in modo eccessivo da questa minoranza, e a volte di soccombere ad essa, in particolare quando i leader sanno di dipendere dallo sforzo di queste persone per guadagnare voti”.

Al via la Plenaria dei tre riti cattolici dell’India, quello latino, siro-malankarico e siro-malabarico 
Al St. John’s Medical College Campus di Bangalore sono riuniti 180 vescovi provenienti da tutto il Paese, assistiti da 20 sacerdoti e da gruppi di esperti, sia religiosi che laici. Il tema di quest’anno è “La risposta della Chiesa in India alle sfide attuali”. L’incontro, che si svolge ogni due anni, ha come obiettivo quello di affrontare vari aspetti della vita della Chiesa locale, e ragionare su come “rivitalizzare la comunità cattolica per renderla più efficace nel suo servizio ai membri della società”. Sono anche previsti dei momenti di condivisione con la Conferenza dei religiosi dell’India (Cri) e il Consiglio cattolico dell’India (Cci).

Gli attacchi alle minoranze sono diminuiti ma aumentano le provocazioni
Durante la conferenza stampa, il card. Cleemis ha detto che “gli attacchi alle minoranze sono diminuiti, ma sono le dichiarazioni provocatorie che stanno creando problemi”. “Per ognuno in India – ha aggiunto – c’è uno spazio dignitoso per credere, professare e diffondere la propria fede. Ma quando il tessuto laico è sotto attacco, tutti dovremmo unirci in quanto nazione e fronteggiarlo insieme”.

La Chiesa in India è vigilante
A proposito dell’atteggiamento da tenere negli episodi di intolleranza da parte dei radicali indù, mons. Menamparampil dice ad AsiaNews: “Dobbiamo trattarli con intelligenza, piuttosto che affrontarli in modo aggressivo. Io ritengo che un’auto-difesa ‘aggressiva’ può diventare aggressione. L’ingiustizia non deve essere affrontata con l’ingiustizia o l’esagerazione. Non dobbiamo fare nulla che possa portare entrambe le parti a posizioni radicali o agire in modo da perdere la simpatia della maggioranza. Non dobbiamo emergere ai loro occhi come un ‘gruppo litigioso’”. Tale atteggiamento conciliante, continua, “non vuol dire che dobbiamo rinunciare ai nostri diritti di minoranza o chiudere gli occhi di fronte ai modi nascosti di fare pressione per gli interessi della comunità dominante ai danni delle minoranze. Deve essere evidente a queste persone con interessi personali che noi siamo vigili”.

Invito al dialogo continuo ed ai rapporti ad ogni livello
​Mons. Menamparampil delinea anche un percorso da seguire: “Dobbiamo ottenere il sostegno delle persone imparziali e giudiziose attraverso un dialogo continuo, o ‘il ragionamento pubblico’, come direbbe Amartya Sen (premio Nobel per l’economia, tra le voci internazionali più autorevoli e impegnate nella lotta alla povertà e alla disuguaglianza – ndr). Dobbiamo invitare gli intellettuali ad aprire un dibattito energico sul pericolo di abbandonare il futuro del Paese agli elementi aggressivi della società. La soluzione è il dialogo e i rapporti ad ogni livello”. (N.C.)

inizio pagina

Malaysia: l’incontro fra il vescovo di Penang e il muftì

◊  

Questi incontri “servono a incrementare il dialogo interreligioso e a spezzare la visione di odio e di sospetto che c’è stata per molti anni, anche se non hanno ancora il potere di cambiare qualcosa nella vita di tutti i giorni dei cristiani. Per questo ci vorrà molto tempo”. Il padre gesuita Lawrence Andrew, direttore del settimanale cattolico The Herald, descrive così il senso dell’incontro avvenuto il primo marzo fra il vescovo di Penang e il muftì locale Datuk Dr Wan Salim Mohd Noor. “Si tratta di portare pace alle persone – spiega padre Andrew –. La Chiesa cattolica sta dicendo ai musulmani: ‘Siamo fratelli, siamo amici’. È quello che fa sempre Papa Francesco quando incontra leader di altre religioni”.

Una nuova stagione di dialogo tra le due religioni
Quello di due giorni fa - riferisce l'agenzia AsiaNews - è il secondo incontro fra leader cattolici e musulmani in due mesi, dopo il faccia a faccia avvenuto l’8 gennaio fra l’arcivescovo di Kuala Lumpur e il muftì dei Territori federali, che ha aperto la strada ad una nuova stagione di dialogo fra le due religioni. Negli anni precedenti, i leader islamici si rifiutavano di incontrare le altre confessioni, in quanto consideravano l’islam su un altro livello, essendo religione di Stato.

Rapporto sharia-legge civile e preoccupazione per terrorismo jihadista
Come riporta il quotidiano locale The Star, i temi della discussione fra mons. Francis e il muftì Wan Salim sono stati il rapporto fra sharia e legge civile e la preoccupazione comune nei confronti del terrorismo di matrice islamista: “Abbiamo parlato – ha detto Wan Salim – della mancanza di una piattaforma comune per discutere le misure legislative prese dalle corti civili e della sharia. Abbiamo trattato inoltre della questione che riguarda i figli di un genitore musulmano e uno non musulmano”. Negli ultimi tempi in Malaysia ha fatto scalpore l’episodio di una madre induista, sposata ad un musulmano, che si vede negato l’affido dei figli dopo che il marito li ha abbandonati. Alla nascita, i figli di coppie miste vengono infatti registrati in modo automatico come musulmani. “Siamo qui per costruire ponti fra le due fedi – ha detto mons. Francis – e ci sono molte cose su cui siamo d’accordo, come ci sono molte questioni che vanno prese in considerazione. Lo saranno a tempo debito”.

Il problema dell’appartenenza all’islam dei figli di coppie miste
In proposito padre Andrew ritiene che sia “un problema molto vasto. È una faccenda familiare che si è trasformata in una discussione nazionale, e credo che nessuno al momento abbia una chiara visione della possibile soluzione”. “Quel che è certo – prosegue – è che negli ultimi tempi tutti i vescovi si stanno impegnando per incontrare i muftì delle varie provincie, per costruire insieme migliori relazioni tra musulmani e cristiani e per iniziare a considerarsi amici e non più nemici. La Chiesa si sta impegnando molto in questo”. A febbraio, la Commissione per la pastorale giovanile dell’arcidiocesi di Kuala Lumpur (Asayo) ha tenuto un seminario insieme al corrispettivo islamico, il Movimento per i giovani malaysiani (Abim). (R.P.)

inizio pagina

Giornata Ispanoamericana sul tema "Testimoni di Misericordia"

◊  

Domenica prossima, 6 marzo, si celebra la "Giornata Ispanoamericana" con il tema "Testimoni di Misericordia", promossa dalla Commissione episcopale per le Missioni della Conferenza episcopale spagnola e dall’Ocsha (Opera di Cooperazione Sacerdotale Ispanoamericana), organizzazione - riferisce l'agenzia Fides - che raccoglie un gran numero di sacerdoti diocesani che lavorano nel continente americano.

Una Giornata per ricordare tutti i missionari spagnoli in America Latina
In questa giornata le Chiese dell'America Latina e della Spagna si uniscono per rafforzare la comunione, la collaborazione e la solidarietà tra i popoli e le nazioni sorelle. E' anche l'occasione per ricordare tutti i missionari spagnoli in America Latina. Secondo le notizie diffuse per la circostanza, sono attualmente 970 i sacerdoti fidei donum spagnoli che prestano il loro servizio missionario in America Latina.

Toledo è la diocesi spagnola con il più alto numero di missionari in America Latina 
Pertanto, in questo giorno, "esprimiamo la nostra rinnovata gratitudine ai 31 sacerdoti toledani che sono a servizio della Chiesa in America Latina, raccolti dall' Ocsha, e a tutti gli spagnoli, religiosi e religiose, sacerdoti, laici che collaborano nelle missioni come fidei donum, per l'evangelizzazione in quelle terre. Dal 1959, e in questa speciale celebrazione e Giornata, ricordiamo tutti quei missionari con la nostra preghiera e in comunione ecclesiale, che è resa esplicita nella cooperazione tra le Chiese" afferma la nota. (C.E.)

inizio pagina

Cina: Parola di Dio e misericordia nel cammino quaresimale

◊  

La bolla di indizione del Giubileo straordinario, Misericordiae Vultus, la Parola di Dio, le opere di carità, stanno accompagnando il cammino quaresimale dei cattolici nelle diverse comunità della Cina continentale. Secondo le informazioni raccolte dall’agenzia Fides, la Misericordiae Vultus è stato il tema centrale del ritiro spirituale della parrocchia di Xuan Hua, nella provincia dell’He Bei. Durante 4 giorni di condivisione spirituale, dal 24 al 27 febbraio, i sacerdoti hanno spiegato la storia del Giubileo, il significato della misericordia di Dio e l’insegnamento del Papa, perché i fedeli si possano riconciliare con il Signore misericordioso e con il prossimo, vivendo così l’Anno della Misericordia, nel cammino verso la Pasqua.

L'ordinazione di due diaconi
Nel giorno della festa della cattedra di Pietro, 22 febbraio, che è anche la festa tradizionale delle lanterne che conclude i festeggiamenti del capodanno cinese, mons. Wu Qin Jing, vescovo della diocesi di Zhou Zhi della provincia di Shaan Xi, ha ordinato due diaconi davanti a migliaia di fedeli. I nuovi operai della vigna del Signore sono ulteriore motivo di gioia e fiducia per la diocesi che sta vivendo un periodo fruttuoso di impegno pastorale e di evangelizzazione.

Scrutini per 10 catecumeni
Nella parrocchia di Santa Teresina a Pechino, la seconda domenica di quaresima si sono svolti gli scrutini per 10 catecumeni, che si preparano a ricevere i sacramenti della iniziazione cristiana a Pasqua. Tra di loro il più anziano è ottantenne e il più giovane trentenne. Tutti hanno seguito costantemente gli incontri di catechismo e approfondito la Parola di Dio, accompagnati dalla intensa preghiera della comunità.

Corso di formazione quaresimale per giovani
​La comunità di Xi Chang della provincia di Si Chuan, ha organizzato un corso di formazione quaresimale per i giovani durante le vacanze per il capodanno cinese, dal 10 al 22 febbraio, sul tema “Misericordia”. Alla conclusione del corso, nel giorno della festa della Cattedra di Pietro, hanno celebrato una solenne Eucaristia, durante la quale il sacerdote ha sottolineato lo stretto legame tra la fede e la vita quotidiana, tra la spiritualità della misericordia e le opere della carità. (N.Z.)

inizio pagina

Terra Santa: nasce il partenariato Betlemme-Lourdes

◊  

Lourdes e Betlemme condividono un “destino comune”, visto che "senza pellegrinaggi, Betlemme sarebbe in Palestina un piccolo villaggio dimenticato, come Lourdes”. Con queste parole cariche di realismo, il sindaco di Lourdes, la signora Josette Bourdeu, ha voluto connotare il particolare legame che unisce la città natale di Gesù e il villaggio-santuario sui Pirenei. Lo ha fatto durante la visita che la delegazione francese da lei guidata ha appena compiuto in Terra Santa per sottoscrivere un accordo di partenariato tra il municipio francese e quello palestinese, che d'ora in poi renderà concreta e dinamica la collaborazione tra le due città.

Con l'accordo nuovi posti di lavoro nel turismo
L'accordo – riferiscono i media ufficiali del Patriarcato latino di Gerusalemme – è stato perfezionato il primo marzo, e mira soprattutto a creare nuovi posti di lavoro nel settore del turismo, anche attraverso la compravendita di oggetti religiosi fabbricati da artigiani cristiani palestinesi. La collaborazione permetterà di sviluppare progetti nel campo dell'economia sociale, favorendo la commercializzazione dei manufatti palestinesi nella rete dei luoghi di pellegrinaggio più frequentati dai fedeli cattolici in tutto il mondo, che comprende, tra gli altri, i santuari di Fatima, Czestochowa, Guadalupe e Aparecida. Già dal 2012, il "rosario ufficiale" del Santuario mariano di Lourdes è realizzato in legno di ulivo da una famiglia di Betlemme, e se ne vendono circa 25 mila ogni anno. (G.V.)

inizio pagina

Unesco: raddoppia nel mondo numero di bambine non scolarizzate

◊  

Quasi 16 milioni di bambine nella fascia di età tra 6 e 11 anni non andranno mai a scuola, il doppio rispetto al numero dei bambini, se si continuano a mantenere le tendenze attuali. A diffondere questo allarme è l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco) che, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, ha evidenziato questo grave divario esistente in particolare nel mondo arabo, nell’Africa subsahariana, nell’Asia meridionale e occidentale.

Discriminazioni più evidenti in Africa subsahariana e Asia meridionale
Nell’Africa subsahariana - riferisce l'agenzia Fides - saranno 9 milioni e mezzo le bambine che non entreranno mai in un’aula scolastica, rispetto ai 5 milioni di bambini. In questa regione, più di 30 milioni di minori in età scolastica primaria non sono scolarizzati e, nonostante alcuni inizieranno a studiare più tardi, molti non lo potranno mai fare, in particolare le bambine. Questa discriminazione, tuttavia, è maggiormente pronunciata in Asia meridionale e occidentale, dove risultano 4 milioni di bambine che non riceveranno mai una istruzione formale, rispetto a quasi 1 milione di bambini. (A.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 63

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.