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Sommario del 04/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: i confessori non siano di ostacolo alla misericordia di Dio

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I confessori sono strumenti della misericordia di Dio, non pongano ostacoli a questo dono di salvezza: è quanto ha detto Papa Francesco ai partecipanti al Corso promosso dalla Penitenzieria Apostolica a Roma per aiutare i nuovi sacerdoti ad amministrare bene il Sacramento della Riconciliazione. Il servizio di Sergio Centofanti

La misericordia – ha affermato Papa Francesco – “è la scelta definitiva di Dio a favore di ogni essere umano per la sua eterna salvezza” e “può gratuitamente raggiungere tutti quelli che la invocano”:

“Infatti la possibilità del perdono è davvero aperta a tutti, anzi è spalancata, come la più grande delle ‘porte sante’, perché coincide con il cuore stesso del Padre, che ama e attende tutti i suoi figli, in modo particolare quelli che hanno sbagliato di più e che sono lontani”.

La misericordia del Padre – ha proseguito – “può raggiungere ogni persona in molti modi: attraverso l’apertura di una coscienza sincera; per mezzo della lettura della Parola di Dio che converte il cuore; mediante un incontro con una sorella o un fratello misericordiosi; nelle esperienze della vita che ci parlano di ferite, di peccato, di perdono e di misericordia”. Ma la “via certa” della misericordia, “percorrendo la quale si passa dalla possibilità alla realtà, dalla speranza alla certezza” è “Gesù, il quale ha «il potere sulla terra di perdonare i peccati» (Lc 5,24) e ha trasmesso questa missione alla Chiesa (cfr Gv 20,21-23). Il Sacramento della Riconciliazione è dunque il luogo privilegiato per fare esperienza della misericordia di Dio e celebrare la festa dell’incontro con il Padre”. Quindi ha aggiunto a braccio:

“Noi dimentichiamo quest’ultimo, con tanta facilità: io vado, chiedo perdono, sento l’abbraccio del perdono e mi dimentico di fare festa. Ma, questa non è dottrina teologica – non c’entra – ma io direi, forzando un po’, che la festa è parte del Sacramento: è come se della penitenza è parte anche la festa che devo fare con il Padre che mi ha perdonato”.

Il Papa ha poi aggiunto:

“Quando, come confessori, ci rechiamo al confessionale per accogliere i fratelli e le sorelle, dobbiamo sempre ricordarci che siamo strumenti della misericordia di Dio per loro; dunque stiamo attenti a non porre ostacolo a questo dono di salvezza! Il confessore è, egli stesso, un peccatore, un uomo sempre bisognoso di perdono; egli per primo non può fare a meno della misericordia di Dio, che lo ha “scelto” e lo ha “costituito” (cfr Gv 15,16) per questo grande compito”.

“Ogni fedele pentito, dopo l’assoluzione del sacerdote – ha osservato - ha la certezza, per fede” che i suoi peccati sono stati cancellati:

“Ha la certezza che i suoi peccati non esistono più! Dio è onnipotente. A me piace pensare che ha una debolezza: una cattiva memoria. Una volta che Lui ti perdona, si dimentica. E questo è grande! I peccati non esistono più, sono stati cancellati dalla divina misericordia. Ogni assoluzione è, in un certo modo, un giubileo del cuore, che rallegra non solo il fedele e la Chiesa, ma soprattutto Dio stesso”.

Il Papa ha sottolineato l’importanza “che il fedele, dopo aver ricevuto il perdono, non si senta più oppresso dalle colpe, ma possa gustare l’opera di Dio che lo ha liberato, vivere in rendimento di grazie, pronto a riparare il male commesso e ad andare incontro ai fratelli con cuore buono e disponibile”.

In questo tempo “segnato dall’individualismo, da tante ferite e dalla tentazione di chiudersi – ha rilevato il Pontefice - è un vero e proprio dono vedere e accompagnare persone che si accostano alla misericordia. Ciò comporta anche, per noi tutti, un obbligo ancora maggiore di coerenza evangelica e di benevolenza paterna; siamo custodi, e mai padroni, sia delle pecore, sia della grazia”.

Papa Francesco, parlando a braccio, si è chiesto: “Cosa faccio se mi trovo in difficoltà e non posso dare l’assoluzione?”:

“Cosa si deve fare? Ma prima di tutto cercare se c’è una strada: tante volte si trova. Secondo: non legarsi soltanto al linguaggio parlato, ma anche al linguaggio dei gesti. C’è gente che non può parlare e con il gesto dice il pentimento, il dolore. E terzo: se non può dare l’assoluzione, parlare come padre: ‘Ma senti, tu, per questo io non posso, ma posso assicurarti che Dio ti ama, che Dio ti aspetta! Preghiamo insieme alla Madonna, perché ti custodisca, e vieni, torna, perché io ti aspetterò come ti aspetta Dio’, e dare la benedizione. Così questa persona esce dal confessionale: ‘Ho trovato un padre e non mi ha bastonato’ … Ma quante volte avete sentito le gente che dice: ‘Io mai mi confesso, perché una volta sono andato e mi ha sgridato’”.

E ha concluso:

“Anche nel caso limite, in cui io non posso assolvere, ma che senta il calore di un padre, eh? Che lo benedici. E semmai torni, torni… Anche che preghi un po’ con lui o con lei. Sempre questo: è il padre lì. E questa è festa pure e Dio sa come perdonare le cose meglio di noi, no? Ma, almeno noi, siamo l’icona del Padre”.

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Il Papa presiede in San Pietro la celebrazione penitenziale

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Questo pomeriggio, alle 17.00, Papa Francesco presiede nella Basilica Vaticana la celebrazione penitenziale per l'iniziativa "24 ore per il Signore", che si svolge in tutto il mondo per far riscoprire il Sacramento della Riconciliazione durante la Quaresima. Il Papa si confesserà e poi confesserà alcuni fedeli. In questa occasione, molte chiese resteranno aperte ininterrottamente per consentire le confessioni. Sulla nascita di questa celebrazione, che assume un significato particolare durante il Giubileo della misericordia, ascoltiamo, al microfono di Fabio Colagrande, don Luca Ferrari, consulente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione: 

R. - È stato desiderio del Papa, che si era confrontato con mons. Fisichella, dar vita a questa idea di celebrare il venerdì prima della Domenica Laetare - la quarta domenica di Quaresima - un momento dedicato all’adorazione eucaristica e all’incontro con il Signore nella Riconciliazione. Questa proposta fin dall’inizio ha avuto un’accoglienza assolutamente insperata. Possiamo dire che oggi è una realtà mondiale. È difficile poter contare quante diocesi abbiano aderito, praticamente la grande maggioranza delle diocesi di tutto il mondo. Abbiamo ricevuto telefonate anche dall’Alaska, da tutti i luoghi più dispersi nei quali i sacerdoti, i vescovi, ma anche i semplici fedeli, hanno richiesto sussidi, strumenti per poterla celebrare adeguatamente.

D. - E concretamente, come si svolgono queste celebrazioni nelle 24 ore?

R. - Qui a Roma l’inizio sarà dato con la liturgia presieduta del Papa, nella quale lui stesso, già alla prima edizione, ha voluto confessarsi per primo come segno, come testimonianza forte. Dopo la Celebrazione della penitenza in San Pietro, dove saranno presenti più di 60 confessori, nella città di Roma il Pontificio Consiglio ha voluto che in tre luoghi in particolare, tre chiese, fosse disponibile un numero sufficiente di confessori per tutti i fedeli che vorranno accostarsi al sacramento. Oltre a questo – ed è forse il segno più evidente che si vuole lasciare - collaboreranno con i sacerdoti tanti laici che andranno per le strade ad invitare fedeli penitenti, ma anche persone semplicemente incontrate. E si tratta di persone che sono normalmente molto attratte, interessate e disponibili ad avviare un percorso di riconciliazione. Questo è stato il segno che abbiamo raccolto in questi anni: il coraggio, la semplicità, la fiducia nel proporre il sacramento della Riconciliazione ha raccolto veramente tante persone da molto lontano per ricominciare un cammino.

D. - Lei ha un’esperienza in questo campo - potremmo dire di sensibilizzazione - nei confronti del sacramento della Riconciliazione perché a lei fu affidato il compito di organizzare l’evento dedicato alla Confessione durante il grande Giubileo del 2000 che si svolse al Circo Massimo con una grandissima partecipazione di giovani …

R. - Fu da allora, appunto, che sono stato coinvolto, quasi risucchiato - in questi anni in particolare - dalle tante domande di sacerdoti, di giovani di tutte le parti di Italia che mi chiedono di organizzare incontri simili.  Perché allora proponemmo di vivere il sacramento della Riconciliazione come un evento ecclesiale e come un momento di festa, così come vogliono evidentemente il Concilio Vaticano II e il Magistero della Chiesa, ma secondo una modalità che non è sempre così evidente nella celebrazione abituale della Confessione dove prevale magari un senso di mestizia, di isolamento, di solitudine. A partire dal quell’evento che riscosse un’incredibile partecipazione, già Giovanni Paolo II raccolse la voce di tanti cardinali e vescovi che si erano espressi proprio partecipando da vicino a questo evento, per rilanciare, riproporre il sacramento della Riconciliazione con maggiore fiducia, creatività -  un’espressione molto singolare utilizzata per questo sacramento - e perseveranza. È in questo modo che nella sua lettera apostolica Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II sigilla un po’ quell’esperienza. Da allora, di fatto, è stato richiesto un po’ dovunque di riproporre in questa modalità il sacramento della Riconciliazione, quindi coinvolgendo tutta la comunità che è destinataria e che è anche portatrice del dono della riconciliazione per tutti. Questo ancora oggi porta dei frutti molto significativi, pieni di fiducia e di speranza. I giovani che partecipano raccolgono molto di più di quello che hanno già nel cuore. Questo posso dirlo anch’io. L’altra sera per la prima volta in una diocesi è stata fatta questa esperienza: più di mille persone si sono accostate al sacramento con file interminabili. Anche i laici che hanno dato la loro disponibilità per il servizio, sono usciti pieni di commozione, proprio tra le lacrime per la gioia della riconciliazione a cui hanno aderito personalmente nel cammino dei fratelli.

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P. Cantalamessa: solo chi ama Cristo sa annunciarlo con forza

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Non c’è missione nella Chiesa “senza uscita”, ma “la prima porta da cui uscire” non è quella della sacrestia: è quella “del nostro io”. È stato questo uno dei passaggi della terza predica di Quaresima, tenuta stamattina da padre Raniero Cantalamessa al Papa e alla Curia Romana sul tema dello Spirito Santo, “principale agente dell’evangelizzazione”. Il servizio di Alessandro De Carolis

Non si comunica in modo credibile se non si è appassionati di ciò che si sta dicendo. Trasposto sul piano missionario: se non si nutre per Gesù un amore sconfinato. Padre Raniero Cantalamessa affronta alla terza predica quaresimale l’aspetto dell’evangelizzazione e del ruolo fondante che in questa dinamica gioca lo Spirito Santo.

Lo Spirito è il messaggio
Ispirandosi alla celebre affermazione del massmediologo, Marshall McLuhan, “il mezzo è il messaggio”, il predicatore pontificio osserva che il “mezzo primordiale e naturale” con cui si trasmette la parola è il “fiato”. Ma questo vocabolo, in ottica di evangelizzazione, assume un senso che supera di molto la meccanica naturale del semplice emettere dei suoni:

"E' la legge fondamentale di ogni annuncio e di ogni evangelizzazione. Le notizie umane si trasmettono o a viva voce, o via radio, stampa, internet e via dicendo; la notizia divina, in quanto divina, si trasmette via Spirito Santo. Lo Spirito Santo ne è il vero, essenziale mezzo di comunicazione, senza del quale non si percepisce, del messaggio, che il rivestimento umano. Le parole di Dio sono ‘Spirito e vita’ e non si possono perciò trasmettere o accogliere che ‘nello Spirito’".

Si annuncia bene se si ama molto
Si può annunciare Cristo per tanti motivi – dal proselitismo alla “legittimazione” di una Chiesa di recente fondazione – ma una sola è la cosa che un missionario deve sempre aver presente nel suo ministero, afferma padre Cantalamessa:

“Il Vangelo dell'amore non si può annunciare che per amore (...) Amore, dunque, per gli uomini. Ma anche e soprattutto amore per Gesù. È l'amore di Cristo che ci deve spingere. ‘Mi ami tu? - dice Gesù a Pietro – Pasci le mie pecore’. Bisogna amare Gesù, perché solo chi è innamorato di Gesù lo può proclamare al mondo con intima convinzione. Non si parla con trasporto se non di ciò di cui si è innamorati”.

Sempre "in uscita"
Citando esempi tratti dalla Bibbia e aneddoti riguardanti pensatori e studiosi, il predicatore cappuccino ricorda che il modello dell’evangelizzatore è Abramo e la sua reazione alla richiesta di Dio – “Esci dalla tua terra e va”:

“Non c’è missione e invio senza una previa uscita. Parliamo spesso di una Chiesa ‘in uscita’. Dobbiamo renderci conto che la prima porta da cui uscire, non è quella della Chiesa, della comunità, delle istituzioni, delle sacrestie; è quella del nostro ‘io’. Lo ha spiegato bene, in una occasione, Papa Francesco: ‘Essere in uscita, diceva, significa innanzitutto uscire dal centro per lasciare al centro il posto a Dio’”.

L'acqua della preghiera
Altro aspetto ineludibile del ministero dell’annunciatore del Vangelo, la preghiera. Si può essere missionari febbrili, ma senza un contatto con Dio, spiega:

“Sarebbe anche questo un votarsi al fallimento. Più aumenta il volume dell'attività, più deve aumentare il volume della preghiera. Si obietta: Ma come starsene tranquilli a pregare, come non correre, quando la casa brucia? E' vero anche questo. Ma immaginate questa scena: una squadra di pompieri ha ricevuto un allarme e si precipita a sirene spiegate sul luogo dell’incendio; ma, arrivata sul posto, si accorge di non avere nei serbatoi neppure una goccia d'acqua. Così siamo noi, quando corriamo a predicare senza pregare”.

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Saranno Santi Elisabetta della Trinità e Emanuele González García

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La Chiesa avrà presto due nuovi Santi, due nuovi Beati e otto nuovi Venerabili Servi di Dio. Papa Francesco ha ricevuto ieri pomeriggio il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, autorizzando il dicastero a promulgare i relativi decreti.

Sarà proclamato Santo il vescovo spagnolo di Palencia, Emanuele González García, fondatore dell’Unione Eucaristica Riparatrice e della Congregazione delle Suore Missionarie Eucaristiche di Nazareth. Soprannominato il “vescovo dei Tabernacoli abbandonati” per aver diffuso la devozione all’Eucaristia, ha vissuto il tragico periodo della guerra civile in Spagna.

Sarà canonizzata anche la grande mistica francese Elisabetta della Trinità, carmelitana scalza, morta a soli 26 anni nel Carmelo di Digione tra indicibili dolori provocati dal morbo di Addison. Ha offerto tutta la sua sofferenza per la salvezza delle anime, in un unione con Gesù crocifisso: “Bisogna amare le anime – diceva - ricercarle con vera passione. E' grande la loro bellezza. Se avessimo visto la bellezza di un'anima pura, crederemmo di aver visto Dio”. Visse la notte oscura dei mistici, provando l’abbandono totale da parte di Dio. Fu anche tentata dal suicidio. Vinse ogni tentazione: “Non scoraggiarsi mai – ebbe a scrivere - E' più difficile liberarsi dallo scoraggiamento che dal peccato. Non inquietarsi se non si costatano progressi nello stato della propria anima. Spesso Dio permette questo per evitare un sentimento di orgoglio. Egli sa vedere i nostri progressi e contare ogni nostro sforzo”.

I prossimi due nuovi Beati sono il carmelitano scalzo francese Maria-Eugenio di Gesù Bambino, fondatore dell’Istituto Secolare di Nostra Signora della Vita (1894-1967) e la religiosa argentina Maria Antonia di San Giuseppe, Fondatrice del Beaterio degli Esercizi Spirituali di Buenos Aires (1730-1799).

Gli otto nuovi Venerabili sono:

- mons. Stefano Ferrando, della Società Salesiana di San Giovanni Bosco, Arcivescovo titolare di Troina, già Vescovo di Shillong, Fondatore della Congregazione delle Suore Missionarie di Maria Ausiliatrice dei Cristiani; nato il 28 settembre 1895 e morto il 20 giugno 1978;

- mons. Enrico Battista Stanislao Verjus, della Congregazione dei Missionari del Sacratissimo Cuore di Gesù, Vescovo titolare di Limyra, Coadiutore del Vicariato Apostolico della Nuova Guinea; nato il 26 maggio 1860 e morto il 13 novembre 1892;

- don Giovanni Battista Quilici, Sacerdote diocesano, Parroco, Fondatore della Congregazione delle Figlie del Crocefisso; nato il 26 aprile 1791 e morto il 10 giugno 1844;

- don Bernardo Mattio, Sacerdote diocesano, Parroco; nato il 2 gennaio 1845 e morto l’11 aprile 1914;

- padre Quirico Pignalberi, Sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali; nato l’11 luglio 1891 e morto il 18 luglio 1982;

- suor Teodora Campostrini, Fondatrice della Congregazione delle Suore Minime della Carità di Maria Addolorata; nata il 26 ottobre 1788 e morta il 22 maggio 1860;

- Bianca Piccolomini Clementini, Fondatrice della Compagnia di Sant’Angela Merici di Siena; nata il 7 aprile 1875 e morta il 14 agosto 1959;

- suor Maria Nieves Sánchez y Fernández (in religione: Maria Nieves della Sacra Famiglia), Religiosa professa delle Figlie di Maria delle Scuole Pie; nata il 2 maggio 1900 e morta il 1° maggio 1978.

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Proteggere i minori: nota di padre Lombardi

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Sulla vicenda del cardinale Pell e l'impegno della Chiesa nella lotta contro gli abusi su minori, pubblichiamo una nota del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi:

Le deposizioni del Card. Pell davanti alla Commissione Reale d’inchiesta in collegamento in diretta fra l’Australia e Roma, e la contemporanea assegnazione dell’Oscar per il miglior film a Spotlight, sul ruolo del Boston Globe nel denunciare le coperture dei crimini di numerosi sacerdoti pedofili a Boston (soprattutto negli anni 1960-80), sono state accompagnate da una nuova ondata di attenzione dei media e dell’opinione pubblica sulla questione drammatica degli abusi sessuali su minori, in particolare da parte di membri del clero.

La presentazione sensazionalistica di questi due eventi ha fatto sì che, per gran parte del pubblico – soprattutto se meno informato o di memoria corta – si pensi che nella Chiesa non si sia fatto nulla o assai poco per rispondere a questi drammi orribili e che bisogna ricominciare daccapo. Una considerazione obiettiva mostra che non è così. Il precedente Arcivescovo di Boston ha rinunciato nel 2002 in seguito alle vicende di cui parla appunto Spotlight (e dopo una famosa riunione dei cardinali americani convocata a Roma dal Papa Giovanni Paolo II nell’aprile 2002), e dal 2003 (cioè da 13 anni) l’Arcidiocesi è governata dal Card. Sean O’Malley, universalmente noto per il suo rigore e la sua saggezza nell’affrontare le questioni degli abusi sessuali, tanto da essere stato nominato dal Papa fra i suoi consiglieri e Presidente della Commissione da lui costituita per la protezione dei minori.

Anche le tragiche vicende di abusi sessuali in Australia sono oggetto di indagini e procedimenti legali e canonici da molti anni. Quando il Papa Benedetto XVI si trovava a Sydney per la Giornata Mondiale della Gioventù nel 2008 (cioè 8 anni fa) incontrò un piccolo gruppo di vittime nella stessa sede dell’Arcidiocesi governata dal Card. Pell, dato che la vicenda era già allora di forte attualità e l’Arcivescovo riteneva molto opportuno un tale incontro.

Solo per dare un’idea dell’attenzione con cui sono stati seguiti questi problemi, la sola sezione del Sito vaticano dedicata a “Abusi su minori. La risposta della Chiesa”, avviata circa 10 anni fa, contiene oltre 60 documenti o interventi.

L’impegno coraggiosamente dedicato dai Papi ad affrontare le crisi manifestatesi successivamente in diversi paesi e situazioni – come Stati Uniti, Irlanda, Germania, Belgio e Olanda, Legionari di Cristo…- non è stato piccolo né indifferente. Le procedure e norme canoniche universali rinnovate; le linee-guida richieste e formulate da parte delle Conferenze episcopali, non solo per rispondere agli abusi commessi ma anche per prevenirli adeguatamente; le visite apostoliche per intervenire nelle situazioni più gravi; la profonda riforma della Congregazione dei Legionari, sono state tutte azioni destinate a rispondere in profondità e con lungimiranza a una piaga che si era manifestata di gravità sorprendente e devastante, soprattutto in alcune regioni e in alcuni periodi. La Lettera di Benedetto XVI ai fedeli irlandesi del marzo 2010 rimane probabilmente il documento di riferimento più eloquente, ben aldilà della sola Irlanda, per comprendere l’atteggiamento e la risposta giuridica, pastorale e spirituale dei Papi a questi drammi della Chiesa del nostro tempo: riconoscimento dei gravi errori commessi e domanda di perdono, attenzione prioritaria e giustizia per le vittime, conversione e purificazione, impegno di prevenzione e rinnovata formazione umana e spirituale.

Gli incontri di Benedetto e di Francesco con gruppi di vittime hanno accompagnato questa ormai lunga strada con l’esempio dell’ascolto, della domanda di perdono, della consolazione e del coinvolgimento in prima persona dei Papi.

In molti Paesi i risultati dell’impegno di rinnovamento sono confortanti, i casi di abuso sono diventati molto rari e quindi la maggior parte di quelli di cui oggi si tratta e che continuano a venire alla luce appartengono a un passato relativamente lontano di diversi decenni. In altri Paesi, di solito a motivo di situazioni culturali molto diverse e ancora caratterizzate dal silenzio, c’è ancora molto da fare e non mancano resistenze e difficoltà, ma la strada da percorrere è diventata più chiara.

La costituzione della Commissione per la protezione dei minori annunciata da Papa Francesco nel dicembre 2013, costituita da membri di ogni continente, indica la maturazione del cammino della Chiesa cattolica. Dopo aver impostato e sviluppato al suo interno una decisa risposta ai problemi di abuso sessuale su minori (da parte di sacerdoti o altri operatori ecclesiali), si pone sistematicamente il problema non solo di come rispondere bene al problema in ogni parte della Chiesa, ma anche di come aiutare più ampiamente le società in cui la Chiesa vive ad affrontare i problemi degli abusi e delle violazioni compiute su minori, dato che – come tutti devono sapere, anche se vi è spesso ancora una notevole ritrosia ad ammetterlo – in ogni parte del mondo la stragrande maggioranza dei casi di abuso non avviene in ambiti ecclesiali, ma fuori di essi (in Asia si può parlare di decine e decine di milioni di minori abusati, non certo in ambito cattolico…).

Insomma, la Chiesa, ferita e umiliata dalla piaga degli abusi, intende reagire non solo per il suo proprio risanamento, ma anche per mettere a disposizione la sua dura esperienza in questo campo, per arricchire il suo servizio educativo e pastorale alla società intera, che generalmente ha ancora un lungo cammino da fare per rendersi conto della gravità dei problemi e per affrontarli.

In questa prospettiva gli eventi romani degli ultimi giorni possono alla fine essere letti in una prospettiva positiva.

Si deve dare atto al Card. Pell di una testimonianza personale dignitosa e coerente (una ventina di ore di dialogo con la Commissione Reale!) da cui risulta una volta di più un quadro obiettivo e lucido degli errori compiuti in molti ambienti ecclesiali (in questo caso in Australia) nei decenni passati. E questa è un’acquisizione non inutile nella prospettiva della comune “purificazione della memoria”.

Si deve dare anche atto a diversi membri del gruppo delle vittime venuto dall’Australia di aver dimostrato la disponibilità a stabilire un dialogo costruttivo con lo stesso Cardinale e con il rappresentante della Commissione per la protezione dei minori – il P.Hans Zollner S.I., della Pontificia Università Grgeoriana – con cui hanno approfondito prospettive di impegno efficace per la prevenzione degli abusi.

Se dunque gli appelli seguiti a Spotlight e alla mobilitazione di vittime e organizzazioni in occasione delle deposizioni del Card. Pell contribuiranno a sostenere e intensificare la lunga marcia della lotta contro gli abusi su minori nella Chiesa cattolica universale e nel mondo di oggi (dove la dimensione di questi drammi è sconfinata), siano benvenuti.

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Padre Zollner incontra tre vittime di abusi da parte del clero in Australia

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Negli ultimi due giorni, il padre gesuita Hans Zollner, membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, ha incontrato in due occasioni David Ridsdale, Andrew Collins e Peter Blenkiron, vittime di abusi sessuali da parte del clero a Ballarat (Australia), giunti a Roma in occasione della deposizione che il cardinale George Pell ha reso alla Royal Commission. Rispondendo al desiderio di queste persone di incontrare un membro della Pontificia Commissione, il cardinale Pell - riferisce un comunicato della Commissione - ha chiesto di organizzare tale incontro. Spiegando le motivazioni della loro richiesta, Ridsdale, Collins e Blenkiran, hanno affermato: "Vorremmo discutere le nostre idee riguardo alla guarigione e alla futura tutela dei minori dagli abusi commessi da membri di istituzioni. Sappiamo che tale problema è più ampio dell’ambito della Chiesa Cattolica, ma è in tale ambito che sono avvenute le nostre esperienze di abuso. Desideriamo sviluppare rapporti con il vostro gruppo perché si tratta di una questione di ampiezza mondiale”.

"Le vittime di abusi - prosegue il comunicato - hanno parlato di modelli educativi rivolti ai minori, ai genitori e agli insegnanti in modo tale da effettuare cambiamenti strutturali nell’ambito della Chiesa e della società per l’effettiva salvaguardia di bambini e adolescenti. Questa discussione giunge in un tempo in cui la Pontificia Commissione, nel corso dell’Assemblea Plenaria del febbraio 2016, ha deciso che l’Assemblea del settembre 2016 abbia come punto centrale strategico la tutela dei minori nelle scuole cattoliche".

Padre Zollner "ha molto apprezzato le preoccupazioni espresse dalle vittime e le loro proposte di misure preventive, e le presenterà agli altri membri della Commissione Pontificia, in modo che tutti i membri possano apprendere dall’esperienza delle vittime per migliorare il lavoro della Commissione riguardo alle attuali forme di guarigione e alla comprensione del modo più efficace di prevenire gli abusi sessuali da parte di persone al servizio della Chiesa, al fine di impedire che si verifichino nuovamente in futuro".

Nel corso dell’incontro, padre Zollner "ha spiegato ai suoi interlocutori gli scopi della Commissione e in particolare, in qualità di Presidente del 'Centro per la Tutela dei Minori' dell’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana, ha parlato del suo lavoro e delle iniziative intraprese per prevenire gli abusi all’interno e al di fuori della Chiesa. Le vittime di abusi di Ballarat hanno anche incontrato alcuni degli studenti che frequentano il corso di studi per il Diploma sulla Tutela dei Minori, offerto presso la Pontificia Università Gregoriana".

La Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori è stata istituita da Papa Francesco nel marzo del 2014. Il Chirografo del Santo Padre Francesco stabilisce che: “Compito specifico della Commissione sarà quello di propormi le iniziative più opportune per la protezione dei minori e degli adulti vulnerabili, sì da realizzare tutto quanto è possibile per assicurare che crimini come quelli accaduti non abbiano più a ripetersi nella Chiesa. La Commissione promuoverà la responsabilità locale nelle Chiese particolari, unendo i suoi sforzi a quelli della Congregazione per la Dottrina della Fede, per la protezione di tutti i minori e degli adulti vulnerabili”.

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Dal Papa il presidente del Consiglio delle Chiese Evangeliche Svizzere

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il reverendo Gottfried Locher, presidente del Consiglio delle Chiese Evangeliche della Svizzera, il cardinale Agostino Vallini, vicario generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, e mons. Andrés Carrascosa Coso, Arcivescovo tit. di Elo, nunzio apostolico in Panamà.

Nel pomeriggio di ieri, il Papa aveva ricevuto in udienza il cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, Arcivescovo di San Cristobál de La Habana.

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Papa nomina mons. Borgia assessore per gli Affari Generali

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Papa Francesco ha nominato Assessore per gli Affari Generali della Segreteria di Stato il mons. Paolo Borgia, consigliere di Nunziatura. Nato a Manfredonia, in provincia di Foggia, il 18 marzo 1966 è stato ordinato sacerdote nel 1999. Laureato in diritto canonico, è entrato nel Servizio Diplomatico della Santa Sede nel 2001. Ha lavorato nelle nunziature nella Repubblica Centrafricana, in Messico, in Israele e Libano. Nel 2013 è stato trasferito alla Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato e l’anno dopo alla Sezione per gli Affari Generali, dove è stato nominato consigliere di 1.a classe nel dicembre del 2014.

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Tweet Papa: "Apriamo il nostro cuore alla misericordia!"

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"Apriamo il nostro cuore alla misericordia! La misericordia divina è più forte del peccato". E' il tweet di Papa Francesco pubblicato sull'account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

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Mons. Ruiz: Click to pray, una App per pregare con i fratelli nel mondo

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Si chiama “Click to Pray - Clicca per pregare” ed è una App per pregare secondo le intenzioni di preghiera mensili di Papa Francesco. Si tratta di un’iniziativa lanciata dall’Apostolato della Preghiera, la Rete mondiale di preghiera affidata ai Gesuiti, e presentata stamani alla Radio Vaticana, in occasione dell’evento “24 ore per il Signore”. Alla conferenza stampa, nel corso della quale è stata data lettura di un messaggio del preposito generale dei Gesuiti, padre Adolfo Nicolás, è intervenuto anche il segretario del Dicastero per la Comunicazione vaticana, mons. Luicio Ruiz, che ha sottolineato - al microfono di Stefano Leszczynski - l’importanza dei nuovi media nella Chiesa: 

R. – La Chiesa non può non farsi storia, non farsi cultura, non può non incarnarsi nella realtà concreta dell’uomo. Quindi, se l’uomo di oggi vive anche in questo spazio di virtualità, dove la comunicazione, le reti sociali, i dispositivi digitali offrono spazi di incontro, di scambio di pensieri, di sentimenti e di ritrovo, se questa è la realtà dell’uomo di oggi, proprio per la legge della Incarnazione del Verbo, la Chiesa non può essere assente. Certamente, come tutte le realtà, bisogna usare prudenza, affinché questo strumento sia ben utilizzato. Non basta che il telefonino abbia una App con le preghiere: io devo pregare con il mio cuore. Deve essere un aiuto, un accompagnamento; ed è veramente una cosa bellissima che un’istituzione così antica, come quella dell’Apostolato della Preghiera, che ha accompagnato l’umanità per tanti anni nella preghiera per le intenzioni del Santo Padre, oggi entri nel mondo digitale e faccia sì che uno smartphone, un telefonino, possa farsi strumento per aiutare a pregare, ad essere uniti nella preghiera con Dio, e con tanti altri fratelli nel mondo. 

D. – Uno strumento come questo, che invita a una preghiera corale e quindi globale, può essere visto come uno strumento attivo da parte dei fedeli per rafforzare il valore e la forza della preghiera?

R. – Sì, sicuramente penso che tutti coloro che veramente vogliono poter pregare e poter scandire la giornata con la presenza di Dio, possano trovare in una realtà come questa – una App per il telefonino – un aiuto veramente importante e buono: piccole preghiere che scandiscono la giornata con la presenza di Dio.

D. – Lei ha sottolineato l’importanza della tecnologia nell’aiutare anche i fedeli più anziani nel poter leggere e gestire più facilmente gli strumenti della preghiera…

R. – Rendere disponibile in un dispositivo degli strumenti che possono aiutare a far pregare le persone assieme è molto bello. Per esempio, io ho l’esperienza di malati che fanno catene di preghiera attraverso delle video-conferenze. Pregano il Rosario, ciascuno nel proprio letto. Che allora uno dice: “Ma perché non lo fanno da soli?”. Ma perché è bello farlo insieme! Non si possono muovere perché sono in ospedale; allora chiamano attraverso il dispositivo e si mettono a pregare. Sono esperienze veramente meravigliose che fanno pensare come questi strumenti possono veramente essere una catena. E fare rete in informatica si traduce in fare comunione in termini di fede. Quindi veramente aiutano.

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Misericordia e amore: così la Chiesa accoglie gli omosessuali

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“Vivere la verità nell’amore” è il tema della giornata di formazione pastorale per accogliere le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso, svoltasi questa mattina a Roma alla Pontificia Università Lateranense. L’iniziativa, è stata promossa dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II e da "Courage Italia", una associazione cattolica americana che offre sostegno spirituale e psicologico agli omosessuali in difficoltà. Il servizio di Marina Tomarro

Misericordia, amore e attenzione queste le tre parole chiave che vanno a riassumere la Giornata di formazione pastorale per l’accoglienza verso le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso. Ascoltiamo Robert Gahl, docente presso la Pontificia Università della Santa Croce:

R. – La Chiesa può accogliere queste persone come accoglie tutti: cioè, non devono esserci categorie a parte, anche se possono esserci attività specifiche per le persone che sperimentano attrazione verso persone dello stesso sesso. E queste altre attività possono aiutarle anche a trovare senso di vita vocazionale. Quindi la Chiesa offre loro soprattutto i sacramenti, e quindi la Confessione – il Sacramento della Penitenza – e l’Eucaristia – la Santa Comunione – sono un grandissimo aiuto, come lo sperimentiamo tutti, per lottare, per cercare la santità.

D. – In che modo si può aiutarli a superare anche le loro paure, soprattutto quella della discriminazione?

R. – Alcuni hanno paura di essere guardati male quando svelassero questa loro tendenza. Però, la Chiesa – e penso che la Chiesa stia facendo grandi passi avanti in questo senso – deve far capire che tutti sono accolti, tutti sono benvenuti. C’è la questione delle coppie omosessuali, che hanno anche figli che sono stati affidati loro o che sono stati adottati, e così via. Alcuni di questi si avvicinano alla Chiesa e chiedono l’aiuto della Chiesa, per esempio, perché i loro figli vengano formati nella Chiesa, che vengano battezzati. Questo offre al tempo stesso una sfida, ma anche un’opportunità alla Chiesa per manifestare che è veramente Madre e che vuole offrire la santità anche ai figli di queste coppie.

E fondamentale diventa soprattutto l’ascolto dell’esperienza umana vissuta. Alberto Corteggiani, responsabile di "Courage Italia" l’associazione cattolica nata in America nel 1980, con l’obiettivo di far sentire la propria vicinanza alle persone omosessuali.

R. - L’ultimo Sinodo sulla famiglia ci chiede di approfondire la tematica della cura pastorale delle persone che provano un’attrazione per lo stesso sesso. In quanto rappresentante dell’Associazione “Courage” in Italia, ho sperimentato una diffusa inadeguatezza, riconosciuta da parte di molte delle diocesi, ad accogliere le persone che provano attrazione per lo stesso sesso e che chiedono di poter intraprendere un cammino che le aiuti a vivere le virtù, in particolar modo la virtù della castità.

D. – Quali sono gli aiuti maggiori che vi chiedono?

R. – Anzitutto, provano un forte senso di solitudine e sono alla ricerca di una comunità che si in grado di accoglierli senza giudicarli. Sicuramente, in molte persone che provano un’attrazione omosessuale c’è questa percezione di diversità rispetto al mondo che le circonda. Il percorso promosso dall’Apostolato “Courage” aiuta a restituire senso a questa forma di fragilità, a questa sofferenza, e in questo modo le persone vedono con occhi nuovi il loro percorso e gli attribuiscono un nuovo significato.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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La festa del perdono: il Papa parla della riconciliazione ai partecipanti al corso promosso dalla Penitenzieria apostolica

“Dottore che non tramonta” - Inos Biffi sull’affascinante complessità del pensiero di san Tommaso d’Aquino

Pablo d’Ors sulla Quaresima – “Meravigliarsi è un dovere”

Riccardo Di Segni sul cosiddetto “utero in affitto” nella Genesi in un intervento apparso sul portale dell’ebraismo italiano «moked»

Angelo Sodano sulla raccolta di testi e interventi del cardinale Lajolo – “Visione di speranza”
Un articolo di Luca Possati “Sfida africana” sul crescente traffico della droga

“Tappa gloriosa di un cammino comune” - Il mondo ortodosso riconosce la Santa Casa di Loreto

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Oggi in Primo Piano



Migranti: dall'Ue piano per salvare Schengen. Idomeni nel caos

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Oggi giornata di incontri e colloqui in Europa in vista del vertice sull’emergenza migratoria di lunedì prossimo. A Parigi è arrivata la cancelliera tedesca Merkel mentre il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk fa tappa a Istanbul per vedere il capo dello Stato Erdogan. Intanto arriva dall’Ue la road map per salvare Schengen entro novembre. Il servizio di Gabriella Ceraso

Tappe e scadenze precise per "il ripristino del pieno funzionamento del sistema di libera circolazione entro la fine del 2016”, il cui fallimento costerebbe 1400 miliardi in dieci anni. E’ quanto compreso oggi dalla Commissione europea, una road map che approderà sul tavolo dei capi di Stato e di governo lunedi' a Bruxelles. Parola del commissario all'Immigrazione Avramopoulos che promette anche ad aprile un nuovo sistema di immigrazione economica legale e entro il 16 marzo la riforma del regolamento di Dublino che impone ai Paesi di primo di arrivo l'obbligo di valutare le richieste di asilo. Intanto la road map c'è: premessa, è la sicurezza delle frontiere esterne da gestire in modo condiviso, poi, entro giugno, la realizzazione con risorse comuni di un corpo europeo di guardia costiera e di confine. Da attuare subito è il piano d’azione con la Turchia con una massiccio sistema di rimpatri mentre al bando sono messe le azioni unilaterali alle frontiere, considerate "illegali". Occorre più solidarietà e più Europa è quanto emerge in sintesi anche dal vertice franco-tedesco di oggi a Parigi, mentre l’emergenza più scottante resta al confine tra Grecia e Macedonia con oltre 12mila migranti intrappolati, tra rabbia e speranza. Tra loro c’è Sara Creta di Medici Senza Frontiere, che ci racconta come è al situazione: 

R. – In questo momento la situazione a Idomeni è molto complicata: possiamo parlare di una crisi umanitaria, perché in un campo di transito, che è stato costruito per ospitare 1500 persone, troviamo più 10-11.000 persone intrappolate, schiacciate a questo confine, che non le lascia passare. Pochissimi di loro ce la fanno; ci sono decisioni che vengono prese in modo arbitrario; bambini molto piccoli, famiglie, uno attaccato all’altro, a volte anche costretti a dormire all’aperto perché senza tende. Vicino al confine troviamo proprio persone schiacciate, una sull’altra, che si accalcano per cercare di arrivare dall’altra parte e continuare il loro viaggio verso l’Europa.

D. – Sanzioni per chi chiude i confini, ha detto Atene, perché c’è bisogno di solidarietà. Dal tuo punto di vista, quali sono le cose più urgenti da fare?

R. – La Grecia in questo momento non ce la fa. Un campo come quello di Idomeni non può continuare ad ospitare così tante persone, per motivi di igiene e di ordine pubblico. Ieri, ad esempio, durante la distribuzione dei servizi igienici, le persone sono rimaste in coda per ore. Persone che hanno affrontato un viaggio pericoloso si trovano adesso accalcate in un posto che non è adatto ad ospitare bambini anche molto piccoli. Non possono rimanere bloccati in Grecia, devono continuare il loro viaggio: sono persone che hanno voglia di ricostruirsi un futuro.

D. – Quindi più procedure snelle, più spazi di accoglienza idonei?

R. – Dobbiamo dare a queste persone l’accoglienza e la dignità che meritano. Sono donne che hanno studiato; a Damasco, ad Aleppo, erano insegnanti. Ho incontrato degli ingegneri civili che non avrebbero lasciato il loro Paese se non fosse stato per la guerra. Sono persone che hanno bisogno di un posto idoneo dove poter riscostruire la loro vita e il loro futuro insieme alle loro famiglie.

D. – Cosa dicono loro delle loro storie, e soprattutto di quello che si aspettano anche al di là di quella frontiera?

R. – Sono tutti molto confusi, tutti molto preoccupati. Non ci sono informazioni chiare su quello che succederà. Le persone iniziano a diventare anche molto nervose e ansiose. Alcuni di loro sono qui da due, tre settimane, hanno già provato a passare il confine e sono stati respinti. E questo succede anche attraverso i Balcani: ad esempio se andiamo in Serbia o in Macedonia, troviamo altre persone bloccate, da settimane, che non sanno e non capiscono perché non possono passare. Stamattina, mentre attraversavo il campo di Idomeni, la strada che porta al campo era piena ancora di persone che camminavano, una attaccata all’altra, con le valigie, le coperte in testa, le sedie a rotelle…

D. – Quanti di loro hanno documenti e soprattutto, secondo te, esiste il problema di capire se ci sono infiltrazioni terroristiche?

R. – Molti di loro, ad esempio, si fanno mandare i documenti dalla Siria per poter attraversare il confine. Ogni mattina al campo arrivano dei postini. Quindi, più che parlare di terrorismo, dobbiamo pensare che queste persone scappano da Paesi che sono insicuri. Vedi proprio nei loro occhi la disperazione e la paura: la paura di dover tornare in un Paese che hanno lasciato, dove non hanno più nulla. Quando parli con queste persone, ti dicono: “Noi non possiamo ritornare, non abbiamo più nulla! Potremo solo pensare al nostro futuro, e chiediamo all’Europa di darcene uno”.

D. – Qualche storia che rende l’idea della drammaticità del momento…

R. – Ho incontrato ieri una donna siriana che mi raccontava di quando hanno dovuto lasciare la loro casa per partire. E mi diceva: “Quando siamo partiti, i miei bambini mi chiedevano: ‘Mamma ma dove andiamo?’”. E lei li rassicurava dicendo: “Non vi preoccupate, stiamo cercando una nuova casa, dobbiamo prendere il minimo indispensabile”. Ma li ha rassicurati dicendo loro: “Non vi preoccupate, quando saremo nella nuova casa, avremo nuovi giochi, nuovi libri”. E mi raccontava che in questi giorni i bambini continuavano a chiederle quando sarebbero andati nella “nuova casa”, e se fosse questa la “nuova casa”. Ma allora dov’erano i loro giochi e perché non c’erano i libri? Si chiedevano i bambini, che pensavano di andare in una “vera casa”, e invece: “Perché siamo in una tenda?”. Quindi questo dimostra anche quanto i bambini si trovino in una condizione di completa instabilità. E, del tutto impreparati, i Paesi non riescono a dare a queste persone l’accoglienza e la dignità che meritano.

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Libia: liberati due italiani, cordoglio per i colleghi uccisi

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In Libia, sono stati liberati i due ostaggi italiani rapiti a luglio scorso insieme ad altri due colleghi purtroppo rimasti uccisi in uno scontro a fuoco a Sabrata, nell'Ovest del Paese. Forze armate francesi e britanniche stanno convergendo sulla Libia, mentre gli Usa guardano con favore ad un intervento internazionale coordinato dall’Italia. Massimiliano Menichetti

La portaerei francese “Charles De Gaulle” ha superato il Canale di Suez e sta navigando nel Mediterraneo, ufficialmente per esercitazioni militari congiunte con l'Egitto, mentre a Sabrata nell'Ovest della Libia, fonti militari confermano che soldati britannici hanno preso direttamente contatto con le milizie presenti. Si ipotizza una prossima offensiva contro il sedicente Stato Islamico, in un Paese frammentato e diviso. Per ora l’Italia a fronte della mancanza del governo di unità nazionale esclude che ci siano i presupposti per un intervento armato internazionale. L'Is avrebbe a Sirte tra i 3 mila e i 5 mila combattenti, tra cui tunisini, nigeriani, yemeniti e sudanesi. A Bengasi comunque le brigate dell'Esercito libico fedele al generale Khalifa Haftar, capo di Stato maggiore e ministro della Difesa del governo transitorio di Tobruk, continuano a conquistare posizioni. In questo scenario è giunta la notizia della liberazione degli italiani Gino Pollicardo e Filippo Calcagno rapiti in Libia nel luglio scorso. Cordoglio invece per la morte di Fausto Piano e Salvatore Failla dipendenti, sempre della ditta Bonatti, rimasti uccisi in uno scontro a fuoco a Sabrata.

Per una testimonianza dalla Libia, Antonella Palermo ha raggiunto telefonicamente a Tripoli Domenico Quirico, inviato del quotidiano "La Stampa": 

R. – Descrivere il caos è una cosa semplice e nello stesso tempo assai complicata. Allora: la Libia è un arcobaleno che va dai banditi comuni che cercano di far denaro con sequestri, rapini e via dicendo, a coloro che hanno in mano le chiavi della cassaforte petrolifera e in mezzo tutta un’infinita varietà di gradazioni che è persino difficile raccogliere …

D. – Il capo delle forze speciali dell’esercito libico ha dichiarato che la battaglia decisiva a Bangasi è vicina e che non appena avrà preso tutta la città ci sarà la fine della guerra …

R. – Speriamo che sia così … Il problema è che lei ha citato il capo delle forze speciali, sì, ma di uno dei due governi di questo Paese. Poi deve aggiungere tutte le altre milizie che non c’entrano niente con i governi, e poi c’è l’Is, ci sono i salafiti e poi ci sono i tuareg e altri gruppi … Insomma, come dire: non è la guerra tradizionale, a Waterloo, una battaglia, un mattino e alla sera i francesi sono sconfitti, gli anglo-prussiani hanno vinto e la guerra è finita. Qua le guerre civili sono cose che si dilatano, sono delle metastasi e tagliare la metastasi non sempre è così semplice …

D. – L’Is che ruolo ha? E’ davvero l’unico, esclusivo pericolo?

R. – Guardi, il problema dell’Occidente, secondo me, è che non ha ancora compiuto l’atto fondatore… Si parla già di guerra e non ha ancora compiuto l’atto iniziale di questa storia, cioè stabilire chi sono i buoni e chi sono i cattivi. Uso una terminologia volutamente ottocentesca: prima definiamo, nella tribù di queste sigle, di questi gruppi, di queste persone, eccetera eccetera, chi sono i buoni e chi sono i cattivi, e poi procediamo. Nel senso che sicuramente le forze dell’islam totalitario sono tra i cattivi e sono tra coloro che vogliono nuocerci – ma dichiaratamente: non è che lo nascondono! – però, poi, prima di riuscire a trovare i buoni – ammesso che ci siano – bisogna fare una classificazione di tutti gli altri, ed è molto complesso.

D. – Concorda sul fatto che al momento mancherebbero i presupposti per un intervento militare in Libia da parte dell’Italia?

R. – Io non lo so, quanto l’Italia possa impiegare su un teatro di questo genere. Certamente, non credo che questo sia un posto dove puoi mandare quello che – come si dice oggi, va molto di moda – le forze speciali; una guerra è una cosa complicata, complessa, per cui ci va una logistica, ci vanno i mezzi finanziari, ci va una catena di comando, ci va tutta una serie di cose: la conoscenza del terreno, degli alleati locali … Cioè, nel 1912 siamo sbarcati qui, arrivando un mattino: una flotta immensa, le corazzate; prima hanno bombardato i forti turchi e poi i marinai dell’Ammiraglio Cagni sono scesi a terra, hanno messo un bandierone sul forte di Tripoli ed è finita lì. Non funziona più così … E comunque, nel 1912 avevamo un’armata gigantesca: gigantesca per l’epoca!, e anche bene attrezzata – cosa strana … Oggi, ce le abbiamo, queste possibilità? E con chi la facciamo, questa operazione?

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Yemen: uccise 4 suore di Madre Teresa in un attacco terroristico

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In Yemen quattro Suore Missionarie della Carità, la Congregazione fondata da madre Teresa di Calcutta, sono state trucidate da un commando di uomini armati che ha attaccato questa mattina il loro convento, nella città di Aden. Oltre alle suore, sono rimasti uccisi durante l'attacco terrorista altri 10 collaboratori locali della comunità, mentre è scampata alla morte la superiora del convento. Il servizio di Roberto Piermarini

Due delle suore uccise erano ruandesi, una  indiana e la quarta veniva del Kenya. Al momento, la superiora del convento sta fornendo informazioni alla polizia, che tiene in custodia i corpi delle povere suore e delle altre vittime.

Sono tutti vivi anche gli anziani e i disabili ospitati presso la comunità, mentre gli assalitori avrebbero sequestrato padre Tom Uzhunnalil, un sacerdote salesiano indiano che viveva nella struttura, il quale al momento dell’assalto “era nella cappella a pregare”. Il sacerdote si trovava nel convento dopo che la sua chiesa della Sacra Famiglia ad Aden era stata saccheggiata e data alle fiamme da uomini armati non identificati, lo scorso settembre.

Per mons. Paul Hinder vicario apostolico dell’Arabia meridionale che ha dato la notizia, il “segnale è chiaro: si tratta di un qualcosa che ha a che fare con la religione”. “Noi sapevamo che la situazione era difficile - prosegue il prelato - e che le suore già in passato oggetto di attacchi mirati correvano un certo rischio”. Tuttavia, aggiunge, “avevano deciso di rimanere qualsiasi cosa capitasse, perché questo fa parte della loro spiritualità. Del resto era chiaro che “la zona non era sicura”, anche se non vi erano state particolari avvisaglie ed “è difficile avere notizie”.

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Ong per i diritti umani ricordano Berta Caceres, uccisa in Honduras

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“Trovare con ogni mezzo i responsabili di questo crimine abominevole”: è il mandato del presidente dell’Honduras, Hernandez, alle Forze dell’ordine dopo l’uccisione ieri di Berta Caceres, l’attivista indigena che nel 2015 aveva ottenuto il massimo riconoscimento mondiale per le lotte ambientaliste, il "Goldman Environmental Prize". A ottobre 2014, aveva partecipato all’Incontro dei Movimenti popolari con Papa Francesco in Vaticano, spendendo parole sull’urgenza di prendersi cura del creato. Il servizio di Fausta Speranza

Nonostante le tante minacce ricevute, Berta Caceres non aveva scorta. Erika Guevara-Rosas, responsabile per le Americhe di Amnesty International afferma: “L’uccisione di Berta si poteva prevedere da anni”. La donna, esponente di punta dell’etnia lenca, era tra i fondatori, nel 1993, del Consiglio nazionale delle Organizzazioni popolari e indigene dell'Honduras (Copinh), istituito per migliorare le condizioni di vita  delle popolazioni locali, combattendo in particolare le attività di disboscamento illegale. Già altri tre membri del Consiglio erano stati uccisi. Berta Caceres sosteneva che il progetto della diga Agua Zarca con lo sbarramento sul fiume Gualcarque poneva a rischio “l’approvvigionamento di acqua, alimenti e medicine di centinaia di indigeni”. Nel ricevere il Premio Goldman, aveva dichiarato: “In Honduras il 30% del territorio è stato consegnato alle multinazionali dell’industria mineraria per progetti guidati da un’ottica neoliberale, secondo la quale l’energia non è più un diritto fondamentale per l’umanità”.

Billy Kyte di Global Witness, l’organizzazione internazionale che denuncia i legami tra abusi ambientali, corruzione, conflitti, aveva lavorato con Berta Caceres. Ricordandola con dolore, ci parla del suo insegnamento e di poteri forti e interessi:

R. – Yes I did: I met her on numerous occasions, I knew her well; we wrote together a lead up to a report…
Sì. L’avevo incontrata in diverse occasioni, la conoscevo bene. Avevamo scritto insieme l’introduzione a un rapporto che era stato pubblicato l’anno scorso sull’uccisione di attivisti ambientali in Honduras, uno degli ultimi posti al mondo nel quale un attivista vorrebbe trovarsi … Ero con lei anche alla presentazione del “Goldman Environmental Prize”, che lei aveva vinto e che è il più prestigioso riconoscimento nel campo della difesa dell’ambiente. La sua morte è una grande perdita.

D. – Quale eredità lascia Berta Cáceres?

R. – So, she leaves behind a legacy of…
Lascia l’eredità di lotta per i diritti degli indigeni in Honduras e non solo. Rimane un’icona e un faro di questa lotta in un Paese nel quale, purtroppo, i diritti degli indigeni non sono riconosciuti, né applicati e nemmeno diffusi. Nonostante l’Honduras abbia firmato diverse Convenzioni a livello internazionale che garantiscono alle popolazioni indigene il diritto di decidere delle loro terre, in pratica questo non è mai accaduto. La notizia della sua morte ha già fatto il giro del mondo. La causa che lei sosteneva è ormai conosciuta nel mondo. Noi come organizzazione chiediamo un’inchiesta internazionale e indipendente sulla sua morte e la protezione legale per la sua famiglia e per i suoi colleghi.

D. – Cosa si può dire degli interessi illeciti che Berta ha sempre cercato di combattere?

R. – One of the biggest causes she led was against the construction of a hydroelectric dam project…
Una delle cause più importanti che stava combattendo era l’opposizione alla costruzione di una diga idroelettrica sul Rio Blanco, nelle terre degli indigeni. Era riuscita a ottenere di eliminare dal progetto una compagnia, ma recentemente la costruzione della diga era ripresa. Nelle ultime settimane, aveva ricevuto di nuovo minacce di morte perché aveva ripreso la sua lotta per difendere il fiume sacro del popolo Lenca, unica fonte di acqua potabile per molti. La sua lotta era ripresa forte: insieme con altri attivisti, protestavano ancora, e ancora, contro questa diga, che si vuole costruire sulla loro terra senza consultare minimamente la popolazione del posto.

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I consumatori: bene modifiche sui mutui ma bisogna fare di più

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In Italia la maggioranza sta continuando a lavorare sul decreto mutui. L’opposizione però chiede che la normativa sia ritirata. Intervengono anche i consumatori che accolgono positivamente le modifiche, ma auspicano altre garanzie per i cittadini. Alessandro Guarasci

Salirà da 7 a 18 il numero delle rate non pagate perché si possa dare il via alla procedura di vendita della casa del debitore inadempiente senza percorrere la strada delle aste giudiziarie. Il giorno dopo le modifiche annunciate dalla maggioranza, le associazioni dei consumatori fanno bilanci. E il tema assume ancora più valore considerato che nel 2015 i mutui concessi sono aumentati del 20%, ma al contempo sono cresciuti i pignoramenti: del 160% dal 2006 al 2014. I consumatori continuano a chiedere che l’ultima parola sia sempre data al giudice. Pietro Giordano, presidente Adiconsum

“Il giudice non può avere la parola, e quindi i ricorsi sono un po’ improbabili. E, seconda cosa, ancora non è chiaro perfettamente su che valore viene venduto l’appartamento. Qual è il valore? Quello che determina la banca o quello che determina l’Agenzia del Territorio? Se la banca fa tutto, a quel punto, lo fa certamente non per favorire il consumatore, ma sé stessa”.

Il fatto è che anche le banche hanno le loro colpe, avendo concesso, soprattutto tra il 2000 e il 2010 mutui a chi non ne aveva la capacità reddituale. Ancora Giordano:

“Una cosa è la manica larga – e quindi le banche devono assumersi anche le responsabilità di quanto hanno fatto nel passato – una cosa è perdere il posto di lavoro, e quindi tenere conto nella normativa, negli atti che si faranno di questa realtà. Quando si perde il posto di lavoro, si mette in crisi una famiglia e quindi anche la possibilità di poter ripagare i propri debiti diminuisce di molto”.

La prossima settimana sarà fondamentale per eventuali altre correzioni.

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Ravasi: grati a Galilelo per aver distinto scienza e fede

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A quattro secoli di distanza dal primo processo a Galileo, la Commissione Cultura della Camera dei Deputati e il Pontificio Consiglio della Cultura hanno rievocato stamani quella storica pagina con un convegno a Roma, al quale hanno partecipato, tra gli altri, anche religiosi e autorevoli studiosi. L’incontro, intitolato “Il quattrocentenario del primo processo a Galileo”, è stato inoltre l’occasione per un appassionante dibattito sul rapporto tra scienza e fede. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Sono passati 400 anni dal decreto dalla Congregazione dell’Indice del 5 marzo 1616 che proibiva la diffusione di alcuni testi a sostegno della teoria eliocentrica introdotta da Copernico. E’ questo il primo episodio critico del caso Galileo, accusato di aver rilanciato la concezione copernicana. Il decreto è la premessa della condanna, emessa diciassette anni dopo, ma soprattutto un fondamentale snodo della storia, ha affermato mons. Melchor Sanchez De Toca, sottosegretario al Pontificio Consiglio della Cultura:

“È  il quarto centenario di un decreto che ha segnato nel bene e nel male la storia della nostra civiltà. Vogliamo rileggere il passato in un clima che cento anni fa sarebbe stato impensabile”.

Sulla natura di questo decreto si è soffermato il prof. Ugo Baldini:

“Comunemente, il decreto del 5 marzo 1616, emanato dalla Congregazione dell’Indice - e non dal Sant’Uffizio, come qualche volta capita di trovare scritto - viene presentato come un decreto di proibizione del copernicanesimo, dell’eliocentrismo. Questo non è esatto: l’Indice non aveva titolo per qualificare ereticamente qualsiasi idea. Questo spettava al Sant’Uffizio. La dottrina viene qualificata come 'falsa e del tutto contraria alla Sacra Scrittura'. L’Indice sta attento a non usare la parola 'eresia': Non gli competeva”.

Ravasi: grati a Galileo per la distinzione tra scienza e fede 
Il rapporto tra fede e scienza ha vissuto, proprio a partire dal caso Galileo, travagliate tappe. Ora questo percorso è segnato dal dialogo che fiorisce nella distinzione e non nella separatezza. Proprio Galileo - ha affermato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura - è tra gli artefici di questa operazione di distinzione:

“Noi dobbiamo essere grati a lui come teologi, perché ha distinto chiaramente i due livelli, i due percorsi, consapevole della polimorfia della conoscenza. La conoscenza umana non è soltanto instradata su un canale che sia pure nobile come quello scientifico”.

La teoria eliocentrica e la centralità dell'uomo
Al centro dello scontro legato alla teoria copernicana rilanciata da Galilelo – ha ricordato il prof. Paolo Galluzzi - non c’era solo una questione tecnica di astronomia, ma la concezione della centralità dell’uomo che escludeva un sistema eliocentrico:

“A creare smarrimento era innanzi tutto l’idea che la Terra, sede del  genere umano fine ultimo della creazione, venisse sbalzata dalla nobile posizione al centro dell’Universo in una dimensione priva di connotazioni privilegiate e, per giunta, costretta a ruotare come una trottola sul proprio asse mentre compie un enorme percorso annuo intorno al Sole”.

I 'nuovi' perimetri di scienza e fede
Galileo - ha aggiunto il prof. Michele Camerota - delimita chiaramente il “perimetro” di riferimento delle Sacre Scritture:

“L’autorità delle Sacre Lettere concerne, secondo Galileo, solo il dominio di quei discorsi che esulano dalla nostra capacità di riscontro empirico e razionale”.

Per questo Galielo – ha spiegato il prof. Massimo Bucciantini - indica l’esigenza di una autonomia della ricerca scientifica:

“Per lui aveva un unico significato: porre i fenomeni della natura sotto l’esclusivo potere conoscitivo dei matematici, lasciando all’autorità dei teologi le sole questioni di fede e di morale”.

Il caso Galileo e il Concilio Vaticano II
La legittima autonomia delle scienze e la controversia legata a Galileo è stata al centro dell’intervento di mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, che ha ricordato tra l’altro quanto scritto, su tale questione, dai Padri del Concilio Vaticano II:

“Nel testo della Costituzione Gaudium et spes scrissero infatti: 'Ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non sono mancati nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, suscitando contese e controversie. Essi trascinarono molti spiriti, fino al punto di ritenere che scienza e fede si oppongono tra loro'".

Caso Galileo emblematico per la relazione tra Chiesa e storia
La scienza ha dunque una sua legittima autonomia, ma scienza e tecnologia – ha osservato il prof. Massimo Firpo, membro dell’Accademia dei Lincei – pongono serissime questioni morali. Il caso Galileo – ha aggiunto – è anche emblematico per comprendere la relazione tra Chiesa e storia:

"Il caso Galileo mi pare di riproporre ancora una volta la sua straordinaria modernità non solo nell’ambito - oggi più vivo che mai – del rapporto tra scienza e fede, ma in quello non meno sensibile del rapporto tra Chiesa e storia, tra una Chiesa che ovviamente è e non può non essere storia che si muove dentro la storia. Una Chiesa che cambia, evolve, talora si contraddice e, come nel caso di Galileo, sbaglia. È una Chiesa che in nome della verità di cui si sente depositaria, che giudica la stessa storia, cerca di indirizzarla, guidarla secondo i suoi criteri e i suoi valori. La bimillenaria durata storica della Chiesa è senza dubbio una ragione dell’autorevolezza delle Chiesa e del suo prestigio, della sua forza, della sua penetrazione sociale, della sua identità. Ma quella bimillenaria storia è anche un fardello che rischia, qualche volta, di diventare troppo pesante per traghettarlo tutto verso il futuro".

Galileo simbolo della passione intellettuale
La passione per la conoscenza ha dunque segnato l’opera di Galileo. La sua non è la “vita raccolta di un pensatore assorto ma quella intensa e combattiva dell’innovatore che, conscio di una missione scientifica, deve sgombrare il campo dai pregiudizi e scontrarsi con istituzioni che rappresentano dottrine tradizionali”. Galileo – ha detto Flavia Piccoli Nardelli, presidente della Commissione Cultura della Camera – è l’emblema di una via nuova che si apre al metodo scientifico moderno:

“Galileo non è solo il simbolo della fisica moderna, di cui è unanimemente riconosciuto come uno dei padri fondatori, ma anche quello della passione intellettuale, dei suoi culmini e dei suoi limiti”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Kenya: preoccupazione della Chiesa per la corruzione

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Un arcivescovo keniano ha ricordato al Presidente Uhuru Kenyatta l’esortazione di Papa Francesco nel corso della sua visita nel Paese africano di combattere la corruzione. “Durante l’incontro con i giovani al Kasarani Stadium, il Papa ha chiesto ai giovani di resistere alla corruzione ed ha anche chiesto al Capo dello Stato di domare questo peccato” ha detto mons. Peter Kairo, arcivescovo di Nyeri, durante la cerimonia di avvio dei lavori per la costruzione del santuario presso la chiesa di Nostra Signora della Divina Provvidenza, dedicato alla Beata suor Irene Stefani. 

Nel segno della Beata suor Irene Stefani
Suor Stefani è stata beatificata il 23 maggio 2015 in una cerimonia presieduta dal card. Polycarpo Pengo, arcivescovo di Dar-es-Salaam a Nyeri di fronte a 100.000 fedeli provenienti da diverse parti del mondo ed altri milioni in collegamento televisivo. Suor Irene Stefani, delle Missionarie della Consolata, era soprannominata “Nyaatha”, “madre misericordiosa” per la sua tenerezza soprattutto verso gli ammalati.

Preoccupazione della Chiesa per i casi di corruzione
Mons. Kairo ha scelto questa occasione per manifestare la preoccupazione della Chiesa di fronte alle continue rivelazioni di casi di corruzione, che vanno dall’appropriazione indebita di fondi a livello locale e nazionale, al pagamento di tangenti a pubblici ufficiali, compresi quelli giudiziari, a frodi sugli appalti pubblici. Gli ultimi casi riguardano la sparizione di 7,9 milioni di dollari dal fondo per la gioventù, uno scandalo che è stato definito “come solo la punta dell’iceberg del livello di corruzione del Paese”; la malversazione di un prestito in Eurobond di 2,5 miliardi di dollari e le presunte tangenti pagate da un’azione britannica per fornire il materiale per le elezioni del 2013.

La corruzione in Kenya
​Secondo l’Indice di Trasparenza Internazionale, il Kenya è uno dei Paesi più corrotti del mondo, avendo raggiunto il 139.mo posto su 168 Paesi (al primo posto vi sono i Paesi “virtuosi” a scalare via via i più corrotti). (L.M.)

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Benin: per le presidenziali, Carovana interreligiosa per la pace

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Risvegliare le coscienze dei cittadini, affinché le imminenti elezioni presidenziali siano davvero libere, eque e pacifiche: con questo obiettivo, si è svolta nei giorni scorsi, in Benin, una “Carovana per la pace pace”. A lanciare l’iniziativa è stata la Caritas diocesana di Natitingou, con il sostegno del vescovo locale, mons. Antoine Sabi Bio. Ma oltre a numerosi sacerdoti, religiosi e consacrati, alla carovana hanno preso parte anche l’Imam della Moschea centrale della città, alcuni pastori metodisti e moltissimi cittadini che hanno sfilato in corteo dalla sede dell’arcivescovato fino alla cattedrale di Natitingou, dedicata a San Salvatore.

Pace e coesione regnino sempre nel Paese
Qui, i fedeli cattolici hanno recitato insieme la preghiera del Padre Nostro ed hanno ricevuto la benedizione da parte di mons. Sabi Bio. Dal suo canto, il presule ha esortato la popolazione a “non far scorrere il sangue in Benin durante il periodo elettorale” e ad operare affinché “la pace e la coesione regnino sempre nelle famiglie, nei posti di lavoro ed in ogni angolo del Paese”.

Elezioni rinviate al 6 marzo per ritardi nelle procedure
Previste, inizialmente, per il 28 febbraio scorso, le elezioni presidenziali in Benin sono state rinviate a domenica prossima, 6 marzo. A causare la dilazione, ha spiegato la Corte costituzionale, sono stati i ritardi nella distribuzione delle schede elettorali. I candidati alla poltrona di Capo di Stato sono ben 33: tra loro, gli elettori dovranno scegliere il successore di Thomas Yayi Boni, non più rieleggibile dopo due mandati consecutivi di cinque anni l’uno.

Valutare i candidati in base a rispetto del sacro e spirito di giustizia
​Da ricordare che già nei mesi scorsi la Conferenza episcopale locale aveva lanciato numerosi appelli per elezioni giuste e pacifiche. I primi di febbraio, ad esempio, era stata diffusa una lettera pastorale in cui si esortavano i fedeli a valutare i candidati anche in base al loro rispetto nei confronti del sacro ed allo spirito di giustizia e pace dimostrato. Infine, lo scorso 5 febbraio si è tenuta una Giornata di preghiera, indetta dai vescovi, per invocare votazioni trasparenti ed un sereno svolgimento della campagna elettorale. (I.P.)

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Vescovi Thailandia: no a estremismo religioso

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“Le diverse fedi religiose devono essere vissute in modo corretto, senza estremismi” e senza causare “guerre e divisioni”: è quanto affermato da mons. Joseph Chusak Sirisuthi, segretario generale della Conferenza episcopale thailandese, intervenuto ad un seminario sul ruolo della religione nell’educazione scolastica, Il convegno si è tenuto in questi giorni a Bangkok ed ha visto la presenza di amministratori scolastici e professori provenienti da tutto il Paese.

Tutte le religioni invitano alla pace
Obiettivo del seminario – riferisce l’agenzia AsiaNews - è stato quello di formare le nuove generazioni ad accettare le differenze religiose. “Credere di essere sempre nel giusto porta alla controversia e alla violenza” ha sottolineato mons. Chusak Sirisuthi, ricordando che tutte le religioni invitano alla pace. Al convegno ha partecipato anche Weera Rojphochanarat, ministro locale della Cultura, il quale ha evidenziato: “La religione è un fondamento importante, uno strumento per costruire buone persone e una buona società”.

La responsabilità educativa dei docenti
Sul ruolo degli insegnanti si sono soffermati, invece, i rappresentanti protestanti e buddisti: i primi hanno ribadito che “i docenti devono essere responsabili nel loro lavoro educativo per formare nel modo migliore i giovani, che rappresentano il futuro della nazione”. I buddisti, invece, hanno evidenziato come gli insegnanti giochino “un ruolo fondamentale nel guidare gli studenti, educandoli alla bontà ed alla felicità”. Da segnalare che la presenza dei cattolici in Thailandia - nazione a larga maggioranza buddista – è molto esigua, pari allo 0,1% su una popolazione totale di 66,7 milioni di abitanti.

Chiesa cattolica thailandese: piccola, ma molto attiva nel settore educativo
​Tuttavia, la Chiesa è molto attiva soprattutto nei settori del sociale e dell’istruzione. Le scuole cristiane, infatti, vengono frequentate anche da studenti buddisti. Nel 2015, inoltre, la Chiesa cattolica thai ha celebrato due eventi giubilari: i 350 anni del Sinodo di Ayuthaya, nell’antico regno del Siam, dove i missionari francesi hanno gettato le basi dell’evangelizzazione del Paese, ed il 50.mo anniversario dell'elevazione del vicariato apostolico di Bangkok al grado di "diocesi", voluta da Paolo VI il 18 dicembre 1965. (I.P.)

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Argentina: allarme per aumento del narcotraffico

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Una pandemia che attanaglia la società argentina: così l’Università cattolica di Buenos Aires (Uca) definisce il narcotraffico e la tossicodipendenza dilaganti nel Paese. L’Ateneo ha pubblicato, infatti, in questi giorni il secondo “Barometro sul narcotraffico e le dipendenze”, il rapporto periodico realizzato dall’Ateneo insieme all’Osservatorio sul disagio sociale. I dati che emergono sono allarmanti – riferisce l’agenzia Sir - poiché rivelano un aumento esponenziale, anche nell’ultimo anno, della vendita di droga, soprattutto nei quartieri periferici delle città argentine.

Narcotraffico cresciuto del 15% in 4 anni
“Si tratta – ha spiegato il rettore dell’Uca, mons. Víctor Manuel Fernández - di un fenomeno che è in cima alle preoccupazioni di Papa Francesco, tanto che anche nel recente viaggio in Messico, svoltosi dal 12 al 18 febbraio, il Pontefice ha usato parole fortissime contro il narcotraffico”. Di qui, il richiamo del presule a “lavorare con qualsiasi governo” per ridurre questa piaga sociale. Dal suo canto, il ricercatore capo dell’Osservatorio sul disagio sociale, Agustin Salvia, ha spiegato che l’evoluzione dello spaccio di droga in periferia è passata dal 30% delle famiglie nel 2010 al 45% nel 2014.

Cresce alcolismo: colpisce 48% della popolazione
A pesare sulla diffusione degli stupefacenti sono spesso problemi come la disoccupazione, che toglie speranze di futuro ai giovani, e la mancanza di controllo da parte delle forze di sicurezza. Per questo, Salvia parla di un vero e proprio “flagello” e ricorda come l’Argentina sia non solo “un Paese di consumo, ma anche di produzione e di transito di stupefacenti”. Ed allarmante è anche la diffusione dell’alcolismo che ormai è arrivato a colpire il 48% della popolazione.

Legame tra dipendenze e vulnerabilità sociale
​Lo studio presentato dall’Uca è stato realizzato tra il 2010 ed il 2014 su un campione di  5.680 famiglie urbane. Il rapporto è suddiviso in quattro sezioni che affrontano: l'evoluzione dello spaccio di droga nei quartieri periferici urbani; il rapporto tra la tossicodipendenza grave ed alcuni fattori sociali strutturali; i problemi di salute delle persone affetta da dipendenza ed infine, una nota intitolata "Nessuno nasce tossicodipendente", che presenta il dramma della droga legandolo ai contesti di maggiore vulnerabilità sociale. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 64

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.