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Sommario del 05/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: dolore per le suore uccise in Yemen, atto di violenza diabolica

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Papa Francesco ha espresso il suo profondo dolore per l’uccisione delle quattro Missionarie della Carità in Yemen assieme ad altre 12 persone, in un attacco terrorista. In un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, il Pontefice ha assicurato le sue preghiere per le famiglie delle vittime di questo “atto di violenza insensata e diabolica”. Ancora, il Papa prega che questa strage “svegli le coscienze, guidi ad un cambiamento dei cuori ed ispiri tutte le parti a deporre le armi e intraprenda un cammino di dialogo”. In nome di Dio, Francesco chiede a tutti di “rinunciare alle violenze, rinnovare il proprio impegno per la gente dello Yemen, in particolare i più bisognosi” che le missionarie di Madre Teresa "hanno cercato di servire". Il Papa impartisce infine la sua benedizione apostolica a quanti soffrono a causa della violenza e in particolare alle Missionarie della Carità. (A.G.)

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Yemen, suore uccise. Mons. Hinder: vera testimonianza di carità

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Ancora nessuna certezza sul movente e i mandanti del brutale assalto di ieri nei pressi di Aden in Yemen, nella casa di assistenza gestita dalle Missionarie della Carità. Quattro le religiose assassinate insieme ad altre 12 persone e un salesiano rapito mentre pregava in cappella. C’è inoltre massimo riserbo per motivi di sicurezza sulla superiora, unica sopravvissuta alla strage. Al Qaida nega ogni responsbilità. Il servizio di Gabriella Ceraso

Si chiama padre Tom Uzhunnalil il sacerdote salesiano indiano che viveva nella struttura e al momento dell’assalto era in cappella dove è stato rapito. Un suo confratello da Sana’a informa i Salesiani di tutto il mondo e li invita a pregare, mentre ancora non ci sono rivendicazioni, seppure circolino i nomi dell’estremismo islamico locale affiliato all’Is. Si chiamavano invece Anselm, Marguerite, Judit e Reginette le suore che dal Rwanda, dall’India e dal Kenya da anni su richiesta del governo accoglievano e curavano gli ultimi di Aden nella casa dove uomini armati e in uniforme le hanno cercate e uccise. Già nel "98 due di loro erano morte così, poi la distruzione della chiesa della Sacra Famiglia a Aden. Infine, la guerra civile che da oltre un anno, per mano dei ribelli Houthi, ha richiamato in Yemen, Iran e Arabia Saudita e ha reso il Paese un caos: 14 milioni di persone sono a rischio malnutrizione, seimila sono i civili morti. Sgomento per quanto accaduto c'è nel cuore del vicario apostolico dell’Arabia meridionale, mons. Paul Hinder, che più volte ha visitato la comunità di Aden e le suore. Sentiamo le sue parole: 

R. – La prima reazione è chiara: si rivolta il cuore quando si vede gente capace di uccidere queste suore, e forse anche nel nome di Dio: come ha detto il Papa è un atto, diciamo, diabolico! Io le ho visitate parecchie volte e ho visto con quanta dedizione, con quanto amore si siano prese cura di queste persone. Veramente una testimonianza di carità e di vicinanza a tutti coloro che sono lasciati sulla strada. Tanta gente, anche in Yemen, è ferita veramente nel profondo, vedendo cosa capita. Perché è poi la povera gente che ne soffre.

D. – Queste suore sapevano che stavano rischiando la vita, stando lì e donandosi in tutto e per tutto?

R. – Sì. Questa è stata una loro decisione profonda. Loro mi hanno detto – sin dall’inizio, un anno fa – quando è cominciata la guerra: “Noi dobbiamo rimanere con il popolo, con i nostri poveri, qualunque cosa succeda”. Veramente un sacrificio di vita, veramente una positiva controtestimonianza rispetto all’atto che hanno fatto questi criminali.

D. – Sono state invitate proprio dal governo yemenita a fare quello che facevano?

R. – Ma tanti anni fa, prima a Aden e poi a Sana’a, a Hodeidah a Taiss: sono lì e sono rimaste anche nelle altre tre comunità. E lo stesso anche questo padre che non sappiamo dove sia. Anche lui è tornato sapendo che fosse rischioso, però con questo spirito missionario, dicendosi: “Io devo essere lì in questo momento”. Ha chiesto al suo provinciale: “Mi dai il permesso di tornare?”, perché riteneva fosse importante avere qualcuno che testimoniasse la vicinanza, anche in quanto prete. Ora possiamo soltanto pregare il Signore che ci torni, speriamo… Ma non sappiamo.

D. – Se le religiose erano state incaricate dal governo e la gente si è sempre resa conto del servizio che loro fanno, a chi dà fastidio la loro attività e perché questo?

R. – Io non vedo una ragione. Non so il perché, se non l’odio di qualcosa che è "radicale". Ma se qualcuno credere veramente in Dio non può fare una cosa simile!

D. – Come si fa a restare in un Paese difficile, quanto tutto intorno, come per esempio nello Yemen, c’è una grande confusione e una guerra che non si è mai fermata del tutto?

R. – Finora c’è stata una protezione, ma è chiaro che non è assoluta e tocca anche altri. Soprattutto ad Aden la situazione è diventata ormai molto critica. Non sappiamo proprio come potrà continuare.

D. – Il Papa ha scritto che prega che questa strage svegli le coscienze e guidi ad un cambiamento dei cuori. Qual è il suo di auspicio?

R. – Io non vedo un’altra cosa. Ma non si può mai chiudere la porta al nemico. Questo non vuol dire che li lasciamo fare ciò che vogliono… Ma anche io prego per la conversione di questa gente, che fa così male. Prima di tutto io prego per coloro che sono stati uccisi e per coloro che sono stati risparmiati e che vivono nella paura.

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Francesco: il peccato toglie la gioia, il perdono di Dio ridona la bellezza

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La cecità dello spirito impedisce di vedere il bene. Le tentazioni annebbiano e rendono miope il cuore. Ritroviamo la vista, perché la vita non dipende da quello che si ha. Lo ha detto Papa Francesco, ieri pomeriggio, durante la celebrazione penitenziale nella Basilica Vaticana per l'iniziativa "24 ore per il Signore", che si è svolta in tutto il mondo per far riscoprire il Sacramento della Riconciliazione durante la Quaresima. Il Papa si è confessato e ha confessato alcuni fedeli. Molte le chiese che per questa occasione sono rimaste aperte anche tutta la notte. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

Che noi si possa vedere di nuovo dopo che i peccati ci hanno fatto perdere di vista il bene. E’ il Vangelo di Marco che Francesco ci dice di prendere quale testimonianza dal “grande valore simbolico” di come il peccato, così come fa la cecità che può condurre alla povertà e a vivere ai margini, possa impoverire e isolare, di come possa distogliere “dalla bellezza della nostra chiamata, facendoci invece errare lontano dalla meta”. La cecità dello spirito – ci dice il Papa – “impedisce di vedere l’essenziale, di fissare lo sguardo sull’amore che dà la vita; e conduce poco a poco alla volta a soffermarsi su ciò che è superficiale, fino a rendere insensibili agli altri e al bene”:

"Quante tentazioni hanno la forza di annebbiare la vista del cuore e di renderlo miope! Quanto è facile e sbagliato credere che la vita dipenda da quello che si ha, dal successo o dall’ammirazione che si riceve; che l’economia sia fatta solo di profitto e di consumo; che le proprie voglie individuali debbano prevalere sulla responsabilità sociale! Guardando solo al nostro io, diventiamo ciechi, spenti e ripiegati su noi stessi, privi di gioia e privi di libertà. E così brutto".

E’ la presenza vicina di Gesù, che si ferma, che ci fa capire che lontani da lui “ci manca qualcosa di importante”. Quella Luce gentile che ci guarda “ci invita a non rimanere rinchiusi nelle nostre scure cecità” la sua presenza “ci fa sentire bisognosi di salvezza, e questo è l’inizio della guarigione del cuore”:

"Purtroppo, come quei «molti» del Vangelo, c’è sempre qualcuno che non vuole fermarsi, che non vuole essere disturbato da chi grida il proprio dolore, preferendo far tacere e rimproverare il povero che dà fastidio (cfr v. 48)".

Ecco quindi la tentazione di andare “avanti come se nulla fosse”, continua Francesco, rimanendo distanti dal Signore e tenendo lontani da Gesù anche gli altri. Riconosciamo dunque “di essere tutti mendicanti dell’amore di Dio, e non lasciamoci sfuggire il Signore che passa”:

"Questo Giubileo della Misericordia è tempo favorevole per accogliere la presenza di Dio, per sperimentare il suo amore e ritornare a Lui con tutto il cuore… buttiamo via, cioè, quello che impedisce di essere spediti nel cammino verso di Lui, senza paura di lasciare ciò che ci dà sicurezza e a cui siamo attaccati; non rimaniamo seduti, rialziamoci, ritroviamo la nostra statura spirituale, in piedi, la dignità di figli amati che stanno davanti al Signore per essere da Lui guardati negli occhi, perdonati e ricreati. E la parola forse che oggi arriva nel nostro cuore, è la stessa della creazione dell’uomo: 'Alzati!'. Dio ci ha creati in piedi: Alzati!'".

Oggi, più che mai, soprattutto i Pastori – prosegue Francesco – sono “anche chiamati ad ascoltare il grido, forse nascosto, di quanti desiderano incontrare il Signore”:

"Siamo tenuti a rivedere quei comportamenti che a volte non aiutano gli altri ad avvicinarsi a Gesù; gli orari e i programmi che non incontrano i reali bisogni di quanti si potrebbero accostare al confessionale; le regole umane, se valgono più del desiderio di perdono; le nostre rigidità che potrebbero tenere lontano la tenerezza di Dio".

Non si devono “sminuire le esigenze del Vangelo”, avverte il Papa, ma non si può correre il rischio di “rendere vano il desiderio di riconciliarsi con il Padre, perché il ritorno a casa del figlio è ciò che il Padre attende prima di tutto”:

"Siamo mandati ad infondere coraggio, a sostenere e condurre a Gesù. Il nostro è il ministero dell’accompagnamento, perché l’incontro con il Signore sia  personale, intimo, e il cuore si possa aprire sinceramente e senza timore al Salvatore. Non dimentichiamo: è solo Dio che agisce in ogni persona. Nel Vangelo è Lui che si ferma e chiede del cieco; è Lui a ordinare che glielo portino; è Lui che lo ascolta e lo guarisce. Noi siamo stati scelti, noi pastori, per suscitare il desiderio della conversione, per essere strumenti che facilitano l’incontro, per tendere la mano e assolvere, rendendo visibile e operante la sua misericordia. Che ogni uomo e donna che si accosti al confessionale trovi un padre, trovi un padre che lo aspetta. Che trovi il padre che perdona".

“Chi crede, vede” e va avanti con speranza, “perché sa che il Signore è presente, sostiene e guida”. "E dopo l’abbraccio del Padre, il perdono del Padre - conclude Francesco -  facciamo festa, nel nostro cuore, perché Lui fa festa!".

Numerosi i fedeli che hanno partecipato ieri pomeriggio alla celebrazione penitenziale nella Basilica di San Pietro. Tra loro anche tanti sacerdoti, che nei prossimi giorni saranno impegnati a confessare nelle parrocchie. Ascoltiamo alcuni commenti raccolti da Marina Tomarro: 

R. – Sapere che Dio ti ha perdonato, che c’è un Padre che veramente ti perdona, sempre e comunque, che è comunque disposto ad accompagnarti, ti cambia la vita: ti cambia radicalmente la vita! Sapere che tu puoi ricominciare, che ci sono delle braccia aperte che ti aspettano e degli occhi che ti amano, anche se hai sbagliato, è importantissimo!

R. – Non dobbiamo mai stancarci di chiedere perdono per i nostri errori. Questo deve darci lo sprone per poter fare della nostra vita un lavoro sempre più bello.

D. – Come ti chiami?

R. – Alice.

D. – Alice, quanti anni hai?

R. – 11.

D. – Cosa vuol dire, per te, confessarsi?

R. – Per me è molto bello, perché quando mi confesso mi sento più vicina a Gesù e mi sento anche più buona con gli altri.

D. – Il Papa ci ha invitato a non avere paura quando sbagliamo, ma ad avvicinarci sempre di più, perché il Signore passa sempre… Allora, in che modo rispondere a questo suo incoraggiamento?

R. – Non aver paura di sbagliare, perché tanto è la nostra realtà. Per cui di che aver paura? Certo l’affidamento al Signore richiede anche la fede: fidarsi di Lui, fidarsi del fatto che sia buono.

R. – Parole bellissime, che ci danno speranza. Perché, qualche volta, uno guarda dentro di sé e dice “ho fatto dei peccati, ho sbagliato”, ma sapere che si può sempre ricominciare e che non è mai troppo tardi. Questa è una cosa bellissima.

D. – Quanto è importante vivere davvero la misericordia nella Confessione?

R. – E’ fondamentale la misericordia nella Confessione. Se non vivessi io da penitente l’abbraccio d’amore, l’incoraggiamento, la forza, che viene anche da quel riconoscere il tuo peccato, non avrebbe senso.

R. – E’ fondamentale per tutta la vita. Proprio domani celebro i 50 anni di sacerdozio e concludo questi miei 50 anni dicendo: “Confido nella tua misericordia, perché ne abbiamo bisogno. Senza, non possiamo andare avanti!”.

D. – Il Papa vi ha invitato a donare tempo ai penitenti. In che modo rispondere a questa sua esortazione? “Non essere frettolosi”, vi ha detto…

R. – Dobbiamo trovare il tempo per ascoltare. Oggi più che mai manca la dimensione dell’ascolto. Nelle nostre parrocchie mettiamo degli orari generalmente di servizio per questo ministero. Però, quando le persone vengono da noi, dobbiamo sempre tenere le porte aperte all’ascolto, per donare la misericordia di Dio.

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Messico, crolla tetto cattedrale: 4 morti. Il cordoglio del Papa

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Cordoglio del Papa per la morte di quattro operai, in Messico, a causa del crollo, giovedì scorso, di un tetto in costruzione della nuova Cattedrale di San Giovanni Battista a Tuxtepec, nello Stato di Oaxaca. 19 persone, tra cui il parroco, sono rimaste ferite. In un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e indirizzato al vescovo Tuxtepec, José Alberto González Suárez, il Papa  assicura le sue preghiere “per il riposo eterno dei defunti” e la sua vicinanza ai loro familiari e ai feriti. Quindi “imparte di cuore la Benedizione Apostolica ai fedeli di questa amata Chiesa particolare come segno di speranza in Cristo risorto”.

Il vescovo di Tuxtepec ha manifestato il suo sostegno incondizionato ai familiari delle vittime, offrendo la piena disponibilità della Diocesi a collaborare alle indagini per far luce sul tragico incidente. Secondo le autorità locali, circa 50 persone stavano lavorando alla costruzione della nuova cattedrale quando un frammento del tetto è crollato trascinando con sé la gigantesca impalcatura che sosteneva tutta la struttura. 

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Papa riceve Tavola Valdese e il Sinodo greco-cattolico ucraino

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, l’ambasciatore del Giappone, in visita di congedo, Nagasaki Teruaki, la delegazione della Tavola Valdese e del Sinodo delle Chiese Valdesi e Metodiste e i membri del Sinodo Permanente della Chiesa Greco-cattolica Ucraina.

Papa Francesco ha nominato amministratore apostolico sede plena et ad nutum Sanctae Sedis dell’arcidiocesi di Mbandaka-Bikoro, nella Repubblica Democratica del Congo, mons. Fridolin Ambongo Besungu, francescano cappuccino, vescovo di Bokungu-Ikela.

Il Pontefice ha accettato la rinuncia di mons. Antonius Lambertus Maria Hurkmans all’ufficio di Vescovo di ‘s-Hertogenbosch, nei Paesi Bassi, in conformità al can. 401 – par. 2 del Codice di Diritto Canonico. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Gerard Johannes Nicolaas De Korte, trasferendolo dalla sede di Groningen-Leeuwarden. Il presule è nato il 13 giugno 1955 a Vianen (allora arcidiocesi di Utrecht, ora diocesi di Rotterdam). Ha compiuto gli studi filosofici e teologici presso la Facoltà Teologica di Utrecht, concludendoli con il Dottorato di Teologia. È stato ordinato sacerdote il 5 settembre 1987, incardinandosi nell’arcidiocesi di Utrecht. In seguito ha ricoperto l’incarico di Vice-Rettore dell’Ariënskonvikt a Utrecht, divenendone Rettore nel 1992. In pari tempo è stato Parroco della Cattedrale di Utrecht. Nel 1999 è stato nominato Decano del Salland e Canonico del Capitolo Cattedrale di Utrecht. L’11 aprile 2001 è stato eletto Ausiliare di Utrecht, ricevendo la consacrazione episcopale il 2 giugno successivo. Il giorno 18 giugno 2008 è stato nominato Vescovo di Groningen-Leeuwarden.

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Parolin all’Ucsi: giornalismo dia voce a chi non ce l'ha

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Superando slogan e ideologie, mettere sempre la persona al centro delle notizie. E’ quanto affermato dal cardinale Pietro Parolin intervenuto a Matera al 19.mo Congresso dell’Ucsi, l’Unione Cattolica Stampa Italiana – incentrato sul tema "Le sfide del giornalismo ai tempi di Francesco" – che domani eleggerà il suo nuovo presidente. Il segretario di Stato vaticano ha sottolineato che una buona informazione può fare molto per la democrazia ed ha chiesto ai giornalisti cattolici di dare voce a chi non ne ha ed essere al servizio di tutti i cittadini. Il servizio di Alessandro Gisotti

Servite la verità dei fatti e “le persone che non hanno voce”. E’ l’esortazione del cardinale Pietro Parolin all’Ucsi e, in un orizzonte più ampio, a tutti i comunicatori cattolici. Quando si disconosce la verità, ha osservato il segretario di Stato vaticano, “si finisce col dissolvere la stessa notizia. E’ vera la notizia che mette al centro la persona”. Il porporato ha quindi messo in guardia dagli slogan e dalle ideologie osservando che “c’è una ricerca da compiere nello spazio pubblico per difendere ciò è umano e denunciare ciò che invece è disumano”. Le parole, ha annotato, “non sono mai neutre, orientano la comprensione e dunque influiscono sui nostri atteggiamenti”.

Missione del giornalismo è dare voce a chi non ne ha
La più “nobile missione del giornalismo – ha ripreso – è quella di dar voce a chi non l’ha, perché la credibilità si fonda sull’integrità, l’affidabilità, l’onestà e la coerenza del giornalista”. Per la cura della democrazia, ne è convinto il cardinale Parolin, “una buona informazione può fare molto: serve a creare luoghi per ascoltarsi e garantire il pluralismo”. E sottolinea che “un’informazione libera da interessi parziali ha il compito di costruire giorno dopo giorno sentieri di integrazione”. Di qui la richiesta di approfondire gli aspetti antropologici del giornalismo, la definizione di “servizio pubblico”, il rapporto tra democrazia e comunicazione.

Giornalisti laici proseguano dialogo voluto dal Concilio Vaticano II
Il cardinale Parolin ha quindi citato gli insegnamenti di Benedetto XVI e Papa Francesco sulla comunicazione al tempo dei social network ed ha affermato che “nell’era del web il compito del giornalista non è più arrivare primo ma arrivare meglio”. Ed ha soggiunto che “nella comunicazione prima di portare un’idea, si è chiamati a comunicare se stessi”. Il porporato ha dunque rammentato il “ruolo sociale” che l’Ucsi ha svolto nella sua storia basandosi sempre “sui principi di laicità e di cittadinanza” e portando avanti “come laici impegnati soprattutto in testate laiche, il dialogo Chiesa-mondo voluto dal Concilio Vaticano II”.

Offrire una rinnovata visione cristiana sulla comunicazione
“La vostra professione e le vostre competenze – ha proseguito il cardinale Parolin all’Ucsi – siano un servizio ecclesiale al servizio di tutti i cittadini”. Questo nuovo impegno, ha detto, “valorizzerà la vostra laicità e la vostra indipendenza”. Ed ha affermato che “la garanzia per creare sinergie, sia all’interno del mondo ecclesiale, sia in quello sociale è ripartire da un investimento nella formazione culturale”. “Insieme ai gesuiti di oggi della Civiltà Cattolica – a cui siete storicamente legati e che vi hanno accompagnato attraverso figure come il cardinale Roberto Tucci, il padre Bartolomeo Sorge, il padre Pasquale Borgomeo – e a quanti hanno a cuore il tema della comunicazione come servizio pubblico – ha concluso – avete i mezzi per entrare nel dibattito pubblico con una rinnovata visione cristiana sui temi della comunicazione”.

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Viganò: volontariato custodisce riserva di dono e profezia

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“Per un’etica del volontariato” è il titolo del volume di Giuseppe Chinnici e Marco Ivaldo, edito da Studium Roma e presentato ieri all’Università Lumsa. Si tratta di un’attenta analisi del fenomeno del volontariato sociale che in Italia coinvolge oltre sei milioni di persone, un’attività che ha in sé profondi significati sia nella prospettiva cristiana che laica. Giancarlo La Vella ne ha parlato con uno dei relatori alla presentazione, mons. Dario Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede: 

R. - In particolare il libro esprime come il volontariato viva e richieda, in qualche modo, l’etica della responsabilità, l’etica del dono, l’etica – potremmo dire – del servizio, che ci richiama spesso Papa Francesco, l’etica della formazione permanente e l’etica della speranza: in altre parole il volontario è colui che non solo custodisce la speranza, ma ricostruisce orizzonti in cui si può davvero progettare un futuro colmo di speranza.

D. – Un dibattito che dura da sempre: una società che ha bisogno di volontari è una società in crisi o una società che mette, invece, in evidenza valori importanti?

R. – No. E’ una società che, credo, custodisca una riserva, appunto, interessante di profezia, perché i volontari non vengono remunerati non perché non valgano nulla o perché valgano poco, ma proprio perché sono inestimabili. E’ per questo che abbiamo una eccedenza nel loro servizio, che non può essere retribuita, perché è troppo alto il carico del dono e della responsabilità e quindi diventa davvero una riserva per richiamare tutta l’umanità a scelte fondamentali e importanti.

D. – Il volontario - e quindi la solidarietà - è la via comune su cui ci si può incontrare?

R. – Questo assolutamente sì! Anche se per i credenti il volontariato diventa la strada, l’occasione, la via nella quale vivere come Gesù ha vissuto: quindi il nostro riferimento è Cristo.

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Aumentano i cattolici soprattutto in Africa e Asia, calo in Europa

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I cattolici nel mondo sono cresciuti di circa 160 milioni di unità tra il 2005 e il 2014, arrivando a sfiorare il miliardo e 300 milioni. Calano le consacrazioni e i candidati al sacerdozio soprattutto nell’ultimo triennio, con l’Africa che registra una costante crescita di battezzati, al contrario dell’Europa, “fanalino di coda”. Sono i dati dell’ultima edizione dell’Annuario curato dall’Ufficio Centrale di Statistica della Chiesa, pubblicati assieme a quelli dell’Annuario Pontificio 2016. Il servizio di Alessandro De Carolis

Il "Vecchio Continente" vecchio lo è davvero, frenato da un “netto invecchiamento” e da “bassi tassi di natalità”, in una parola “statico”. È il vocabolario che usano i redattori dell’Annuario statistico per spiegare come il calo demografico dell’Europa abbia dirette conseguenze sulla vita ecclesiale del continente una volta punto di riferimento anche quantitativo. Viceversa, Africa e poi Asia sono il presente e il futuro, grazie a un fermento che non conosce momenti di stanca.

Africa, culla di nuovi battezzati
I dati elaborati dagli statistici della Chiesa si basano su un arco di tempo di nove anni, dal 2005 al 2014. In questo periodo, i battezzati in Africa sono cresciuti del 40%, ovvero il doppio esatto dell’Asia (20%) e tre volte e mezzo dell’intero continente americano, che ha registrato l’11% di aumento. L’Europa, nonostante ne ospiti quasi il 23% su scala mondiale, ha visto il numero dei cattolici crescere solo del 2%. La metà totale dei cattolici del mondo continua a vivere nelle Americhe, mentre al 2014 la presenza della Chiesa in Asia si aggira attorno all’11% e quella in Oceania al 16%.

Vescovi e sacerdoti
Dal 2005 al 2014, i vescovi sono cresciuti globalmente dell’8%, arrivando a oltre 5 mila 200 unità. Anche qui, Asia (14,3%) e Africa (12,9%) hanno visto aumentare il numero dei pastori in misura doppia rispetto all’America e tripla rispetto a Europa e Oceania. Per quanto riguarda i sacerdoti – sia i diocesani che i religiosi – se ne contano oggi circa 416 mila. Ma ad analizzarne i trend, bisogna spezzare il periodo di riferimento in due tronconi. Dal 2005 al 2011 la loro crescita è stata progressiva, poi dal 2011 al 2014 l’aumento di fatto è stato “nullo”. Le defezioni, rileva l’Annuario, sono andate in questo segmento “restringendosi” mentre sono cresciuti i decessi. Importante anche il dato da cui si evince, rispetto ai diocesani, il “declino” numerico dei sacerdoti religiosi, specie in America, Europa e Oceania.

Seminaristi
Anche nel caso dei candidati al sacerdozio (diocesani e religiosi), i dati sono lo specchio dei sacerdoti: aumento di consacrazioni fino al 2011 e poi “lenta e continua discesa”. In termini assoluti, i seminaristi maggiori sono oggi 117 mila e la loro diminuzione ha interessato tutti i continenti tranne l’Africa, dove invece sono aumentati del 4%. Interessante leggere il dato della “sostituibilità generazionale”, che rende evidente il dinamismo già accennato. Su 100 sacerdoti, l’Africa e l’Asia con 66 e 54 nuovi candidati mostrano una grande capacità di ricambio, mentre l’Europa registra solo 10 candidati su 100 sacerdoti, l’America 28 e l’Oceania 22.

Religiose, diaconi permanenti, religiosi non sacerdoti
I numeri dicono che le suore professe al 2014 erano 683 mila, i religiosi professi non sacerdoti oltre 54 mila e i diaconi permanenti 44 mila 500. È quest’ultima categoria, afferma l’Annuario, a costituire il “gruppo più forte in evoluzione” nel tempo: dai 33 mila nel 2005 ai 45 mila del 2014. E ancora più singolare è l’indicazione del continente con un notevole tasso di crescita dei diaconi permanenti, ovvero l’Europa, che assieme all’America ne conta il numero globale maggiore. “La vivace dinamica evidenziata da questi operatori – si sottolinea nell’Annuario – non è certamente riconducibile a motivazioni temporanee e contingenti, ma sembra esprimere nuove e differenti scelte nell’esplicazione dell’attività di diffusione della fede”.

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Card Ouellet: durante il Giubileo religiosi portino pace ai cuori

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“Siate educatori, testimoni e missionari della misericordia, consapevoli che il perdono e la riconciliazione sono più forti dell’azione demoniaca della divisione e della violenza tra fratelli”. Questo l’incoraggiamento che il cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina (Cal), rivolge a tutti i missionari e missionarie spagnole, oltre novemila, che oggi sono presenti nelle Chiese locali ispanoamericane. Tra questi, circa mille sono sacerdoti diocesani e oltre 300 sono partiti tramite l’Opera di Cooperazione sacerdotale gestita direttamente dalla Conferenza episcopale spagnola. “Testimoni della misericordia” è il tema della Giornata Ispanoamericana 2016, loro dedicata, che ricorre domenica 6 marzo. Si tratta di “scelta indovinata – afferma il card. Ouellet - perché rappresenta la risposta di tutti coloro che prestano un servizio missionario all’appello del Papa a lasciarsi abbracciare come discepoli, testimoni e missionari dalla misericordia di Dio”.

Un amore senza limiti
Nel suo messaggio, il card. Ouellet ricorda che l’amore misericordioso di Dio, che si diffonde nell’esistenza umana attraverso la grazia ed il perdono, è il messaggio della Chiesa universale che deve arrivare a ogni missionario e missionaria al servizio delle Chiese e dei popoli latinoamericani, scrive il porporato invitando poi i missionari ad attraversare la Porta Santa in ogni cattedrale e santuario locale. Il porporato canadese esorta i missionari spagnoli a una conversione personale, ad aprire il cuore ad un “amore attivo” che guarisce e che perdona. “Questa esperienza giubilare – afferma il presidente della Cal – ci pacifica il cuore, ci mette nuovamente in cammino nonostante gli ostacoli e le cadute, ci riempie di gioia e speranza, ci incoraggia di fronte alle difficoltà ed alle sconfitte e ci fa diventare testimoni di misericordia laddove la Provvidenza di Dio ci ha destinato a servire Lui nei suoi figli più bisognosi”.

Accogliere senza condizioni
Il messaggio sottolinea anche che i missionari sono chiamati ad accogliere tutti senza imporre condizioni morali, per rendere partecipi tutti dell’amore di Dio che perdona, cura e salva, che dà senso alla vita e dona felicità, ricordando  i “feriti nel corpo e nell’anima” – persone sole, donne maltrattate e abbandonate, anziani considerati di intralcio, i bambini privi di affetto e di educazione, i migranti e i rifugiati, disoccupati, le vittime della droga e della violenza

Siate educatori e testimoni della misericordia
Tre consigli chiudono il messaggio del card. Ouellet ai missionari spagnoli di servizio nell’America Latina: in primo luogo, essere disponibili, soprattutto nei confessionali per accogliere tante persone che si accostano al Sacramento del perdono e della riconciliazione. In secondo luogo, rafforzare la propria convinzione che predicare e offrire il perdono in un mondo così violento ed egoista non è un qualcosa di “angelico o illusorio”, come può sembrare, ma è una forza profetica, che trasforma il tessuto sociale e familiare, che suscita l’incontro e impregna di verità e d’amore i rapporti umani e le strutture sociali. Infine, il presidente della Cal chiama i missionari spagnoli a rinnovare l’amore filiale per la Madonna, Madre di Misericordia. (A cura di Alina Tufani)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Dalla violenza al dialogo: sconvolto e rattristato il Papa auspica che il massacro nello Yemen risvegli le coscienze del Paese.

Siamo tutti mendicanti: nella celebrazione penitenziale Francesco invita i fedeli a sperimentare l'amore misericordioso di Dio.

Le parole non sono mai neutre: il cardinale segretario di Stato sulle sfide del giornalismo ai tempi di Francesco.

Anticipazione dell'intervento, a Parigi, della storica Silvie Barnay sulle opere di ieri che resteranno domani: lungo il confine tra immagine vivente e immagine inerte.

Venezia salva: Giancarlo Gaeta su Simone Weil e la tragedia dello sradicamento.

Chiesa dinamica nel mondo in trasformazione: pubblicati l'Annuario pontificio 2016 e l'Annuarium statisticum ecclesiae 2014.

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Oggi in Primo Piano



Tante incognite su ostaggi e missione italiana in Libia

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Un eventuale intervento militare in Libia potrebbe avvenire solo su richiesta di un governo libico legittimato e con l’ok del Parlamento italiano. Così questa mattina il premier Renzi secondo il quale rientreranno in patria ad ore i due ostaggi liberati Gino Pollicardo e Filippo Calcagno. Tante le incognite sul loro sequestro e sulla morte dei compagni Fausto Piano e Salvatore Failla le cui salme oggi a Tripoli saranno sottoposte ad autopsia. Paolo Ondarza: 

Ancora fitta la nebbia sulla liberazione dei due tecnici italiani in Libia. Un blitz – racconta il capo del Consiglio militare di Sabrata – ha consentito il rilascio di Gino Pollicardo e Filippo Calcagno. L’operazione avrebbe provocato la morte di nove persone, tra cui due donne kamikaze. "Stiamo discretamente bene, ma psicologicamente devastati. Abbiamo bisogno di tornare urgentemente a casa”, fanno sapere i due. In un videomessaggio il loro volto appare provato, ma la barba incolta non nasconde sentimenti contrastanti: il sollievo di chi è fuggito da un incubo e l’angoscia per chi non ce l’ha fatta: la morte dei due colleghi, Fausto Piano e Salvatore Failla, sequestrati con loro a Mellitah nel luglio scorso in Libia, resta avvolta nel buio: forse giustiziati o usati come scudi umani. Oggi i loro corpi a Tripoli saranno sottoposti ad autopsia, poi il rientro in patria. Le tante incognite sul sequestro riflettono il caos della situazione libica. “lavorare per il successo del nuovo governo in Libia” è l’unica priorità per l’Italia fanno sapere fonti di Palazzo Chigi. Sull’ipotesi di  un eventuale intervento militare Roma invita alla prudenza, alla responsabilità e dice “no” ad accelerazioni giornalistiche.

Sull’efficacia e sulla natura di una eventuale missione italiana in Libia, Paolo Ondarza ha intervistato il generale Leonardo Tricarico, già capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare: 

R. – Oggi mi sentirei di sconsigliare qualsiasi tipo di intervento organizzato secondo le forme classiche dell’impiego dello strumento militare perché è semplicemente impossibile. Oggi noi non sapremmo che coordinate dare ai nostri aeroplani, missili o droni perché semplicemente non ci sono obiettivi conosciuti. La situazione sul terreno è molto fluida, molto mutevole e molto sfuggente; avremmo solamente la certezza di combinare dei grossi pasticci. Se invece per “intervento” volessimo definire la protezione di qualche interesse specifico con piccoli nuclei di forza speciali, con l’intervento di qualche drone, per esempio per proteggere un interesse italiano, per fare attività di sorveglianza, allora in quel caso lo si potrebbe fare, ma non bisogna andare oltre questi obiettivi puntiformi, molto peculiari e molto pragmatici.

D. - Dunque l’intervento che forse si va delineando potrebbe avere molto probabilmente una natura economica, di interesse economico commerciale da parte dell’Italia?

R. - È evidente che in Libia ci sono degli interessi di natura economica commerciale importanti; uno su tutti l’Eni. Quindi forse, proteggere quello che c’è o le prospettive che si possono aprire, è un movente necessario e sufficiente non per un intervento militare su larga scala, ma per una protezione specifica di questi interessi. Guardi per esempio la diga di Mosul in Iraq: quello è un tipo di attività che potrebbe essere compatibile, ossia una ditta italiana – la Trevi – che sta facendo una grande opera di manutenzione su una diga il cui crollo farebbe morire un milione e mezzo di persone.

D. - Però lei dice: “una missione a guida italiana anti-Is in Libia in questo momento non porterebbe dei risultati, anzi aggraverebbe la situazione” …

R. - Intanto questa guida italiana non ho capito cosa significhi, a cosa si riferisca e se chi deve essere guidato è stato informato. Credo di no: leggevo stamattina una dichiarazione del presidente francese Hollande che diceva: “Dobbiamo agire in coordinamento con l’Italia”. Il coordinamento è una cosa, “guida” implica invece una gerarchia, di altro tipo, e già vedo che i francesi potrebbero cominciare a “tirare calci”. Quindi anche questo va tutto ridimensionato e chiarito, cosa che non è stata mai fatta.

D. - Quindi la condizione dovrebbe essere un mandato internazionale ben delineato e poi anche una richiesta da parte delle istituzioni libiche che in questo momento mancano…

R. - Ci vuole un governo nel pieno dei suoi poteri; un governo legittimo - che non si sa se ci sarà o non ci sarà nel prossimo futuro - che debba chiedere l’aiuto a Paesi, vedremo quali, per stabilizzare una situazione tuttora precaria. Su questa base l’Onu dovrebbe formulare una risoluzione con il suo Consiglio di sicurezza e chiarire i termini dell’intervento e su quella base poi edificare una missione.

D. - Secondo lei quale eventuale legame potrebbe esserci tra un intervento italiano in Libia e i risvolti legati alla sicurezza nazionale, all’emergenza terrorismo?

R. - C’è una connessione diretta di cui è stata data ampia prova anche di recente per cui un ruolo più attivo nel combattere il terrorismo comporta dei rischi domestici; lo abbiamo visto con la Russia, con la Turchia. Però direi che in Italia si può essere più confidenti che non succedano catastrofi come quelle che abbiamo visto, perché c’è sicuramente una rete di protezione più adeguata costituita dalla nostra organizzazione per combattere il terrorismo, per individuarlo, per fare prevenzione e quindi c’è da aspettarsi qualcosa, ma non certamente un tracollo del sistema.

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Turchia. Polizia irrompe nella sede del giornale Zaman

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La Commissione europea segue con preoccupazione quanto sta avvenendo in Turchia. Ieri sera, la polizia ha fatto irruzione nella sede del giornale "Zaman", in seguito alla decisione di un tribunale di commissariare il gruppo editoriale che controlla il quotidiano d'opposizione più diffuso del Paese. L’accusa è di propaganda terroristica. Il servizio di Eugenio Bonanata

Cannoni ad acqua e gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti che si erano radunati all’esterno della struttura, dopo la decisione del tribunale. In questo modo, la polizia è entrata nella sede del gruppo editoriale Feza, a Istanbul, con l’obiettivo di scortare i nuovi manager nominati dai giudici e allontanare i dipendenti del quotidiano. Il provvedimento si basa sull’accusa di “propaganda terroristica” a favore del presunto “Stato parallelo” creato dal magnate Fethullah Gulen, ex alleato del presidente turco Erdogan poi diventato suo nemico giurato. Una mossa che ha scatenato le proteste dei partiti di opposizione e della stampa indipendente turca, già sotto pressione in questi mesi. E sono arrivate condanne anche dall'estero, con il Consiglio d'Europa che parla di grave interferenza nella libertà dei media, che non dovrebbe avere luogo in una società democratica. Eppure, in Turchia non è la prima volta che succede una cosa del genere. Alla vigilia delle elezioni anticipate di novembre, sempre per i legami con Gulen, è toccato ad altri due giornali e due emittenti televisive del gruppo Ipek. Sotto l'amministrazione controllata hanno assunto una linea editoriale filogovernativa.

Per un commento sulla situazione nel Paese, Eugenio Bonanata ha intervistato Alberto Rosselli, esperto di area mediorientale e anatolica:

R. – Purtroppo, Erdogan negli ultimi cinque anni ha manifestato una politica fortemente accentratrice e non solo politicamente, ma anche fortemente intollerante nei confronti delle voci del dissenso. Diciamo che è un ulteriore passo indietro rispetto ai principi laicisti di Ataturk, che in un certo modo avevano cercato di modificare il vecchio assetto islamico per portarlo verso una sponda più occidentale.

D. – Come ne esce il concetto di democrazia e di pluralismo?

R. – È un episodio di intolleranza nei confronti di quella che è una voce "contro". Ma sappiamo bene che nel gioco democratico è naturale che un leader o un presidente di una nazione così importante e grande come la Turchia debba in qualche modo fare fronte anche a quella che è una contestazione civile interna. Al di là di ogni considerazione, questo è un passo indietro che ha conseguenze anche circa la possibilità di un’entrata della Turchia in Europa, come è stata ventilata più volte. I parametri democratici non vengono ormai rispettati da anni, lo si è visto nelle manifestazioni di piazza dell’anno scorso e nella repressione da parte della polizia. E' un regime che si sta avviando verso una fisionomia sempre più autoritaria.

D. – A cosa possono servire le prese di posizione della comunità internazionale?

R. – Le pressioni internazionali possono servire nella misura in cui possono condizionale Erdogan a non agire in un certo modo, cioè ad agire con maggiore chiarezza soprattutto nella politica internazionale. Queste pressioni però fanno riscontro a continui e ripetuti appelli circa la necessità che la Turchia debba entrare in Europa, lo ha detto recentemente anche  il ministro Gentiloni. E sono affermazioni contrastanti perché se è vero che la Turchia ha raggiunto determinati parametri dal punto di vista economico, che possono in qualche modo avvicinarla a quello che è il panorama europeo, la situazione è diversa per quello che riguarda i diritti civili e quelli dell’individuo. Quindi, le nazioni soprattutto quelle europee che hanno degli interessi molto specifici con la Truchia – interessi di tipo economico e finanziario – certamente fanno delle pressioni ufficiali, ma in realtà nella sostanza si continua a dire che tutto sommato la Turchia può rimanere un partner affidabile, soprattutto nell’ambito della guerra contro il terrorismo.

D. – Dopo questo atto della magistratura turca, quali possono essere le conseguenze sulla politica interna?

R. – Sono gravissime, perché se la magistratura turca avalla quella che è la politica e la volontà dell’esecutivo ordinando la chiusura di un giornale e sostituendo addirittura sia la direzione che i giornalisti stessi che ci lavorano, mi sembra un fatto di una gravità eccezionale.

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Elezioni presidenziali in Benin per rilanciare lo sviluppo

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Questa domenica i cittadini del Benin, piccolo Paese dell'Africa Occidentale, sono chiamati al voto per le elezioni presidenziali. La data, inizialmente prevista per il 28 febbraio, è stata spostata per la mancata distribuzione di tutte le schede elettorali. In lizza 33 candidati, tra i quali il premier Lionel Zinsou. L’attuale presidente, Boni Yayi, in accordo con la Costituzione del 1990, non potrà essere nuovamente eletto avendo già sostenuto due mandati consecutivi. Maria Laura Serpico ha intervistato il giornalista beninese Jean-Baptiste Sourou, fondatore e presidente dell’associazione “Il Cedro onlus”: 

R. – Ci sono 33 candidati per un posto di presidente della Repubblica. Quindi, in questo momento è molto difficile fare previsioni. Quello che si teme è che i voti vadano sperperati, perché con 33 candidati non è facile sapere chi può vincere: è difficile capirlo. Solo gli elettori decideranno chi vincerà. Ci sono delle persone, delle figure abbastanza di spicco, che si pensa potranno vincere o almeno andare al secondo turno. Gli elettori decideranno domenica a chi affidare questo compito gravoso e importante: quello di guidare dieci milioni di abitanti del Benin per i prossimi cinque anni.

D. – Quali saranno le sfide della nuova presidenza?

R. – Il Benin da 25 anni vive una bellissima esperienza democratica, perché ci sono elezioni presidenziali e legislative regolari nel Paese. Ma il problema grosso è che la democrazia non basta: non basta la libertà di stampa, la libertà di circolare, di dire quello che uno pensa e non basta neanche la possibilità di eleggere i propri candidati. La democrazia deve essere accompagnata dall’educazione, da un sistema sanitario efficiente, dalla disponibilità di acqua per tutti, dallo sviluppo, dal lavoro per i giovani.

D. – Molti giovani del Benin emigrano in Europa: com’è possibile fare in modo che questi rimangano in Benin e contribuiscano allo sviluppo del Paese?

R. – Una prima risposta è l’educazione: aiutare questi ragazzi a trovare delle alternative serie sul posto. Perché quando io, nelle città, nelle scuole, incontro i ragazzi e parlo con loro dicendo che ci sono delle difficoltà e dei pericoli ad andare via, a lasciare il proprio Paese per sognare l’Europa. Questi ragazzi del Benin mi chiedono: “Quali alternative ci offri? Qual è l’alternativa che ci poni davanti per dirci di non andare via?”. E questo vuol dire che bisogna trovare delle alternative serie; che chi è al potere deve pensare a come fare affinché i ragazzi abbiano la possibilità di rimanere sul posto, trovare un lavoro, fare un apprendistato ben programmato: è necessario un sistema che prenda a cuore la gioventù. Parlo di alternative serie, possibilità di realizzare i propri sogni lì dove uno è nato.

D. – In passato, la sua Associazione “Il Cedro onlus” ha dato vita a numerose iniziative: quali sono al momento i progetti in corso?

R. – Il nostro progetto faro è il poter costruire un centro polivalente di studi per ragazzi in Benin. Nel senso che ci sono molti ragazzi che non riescono ad avere gli strumenti necessari per lo studio. Vogliono studiare ma non hanno i mezzi per poterlo fare. Quindi con “Il Cedro onlus” stiamo cercando di donare a questi ragazzi delle alternative serie all’immigrazione. Rimanete lì. Cosa possiamo offrirvi? Vi offriamo la possibilità di avere a disposizioni un centro dove chi vuole studiare, chi vuole formarsi, chi vuole pensare al proprio futuro e partecipare allo sviluppo del Benin e dell’Africa, possa prepararsi ed avere gli strumenti necessari per farlo. E anche chi vuole imparare un mestiere: il nostro centro vuole essere proprio un laboratorio per preparare i protagonisti del futuro del Benin e anche dell’Africa. Perché è un centro aperto a tutta l’Africa: noi partiamo dal Benin, ma il centro accoglie tutti e prepara tutti i ragazzi dell’Africa, affinché siano davvero loro stessi a prendere in mano il loro futuro. Come ha sempre desiderato San Giovanni Paolo II: che gli africani prendano in mano, da protagonisti, il loro sviluppo economico e sociale.

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Amnesty: "Mai più spose bambine". Voci dal Burkina Faso

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“Mai più spose bambine” è la campagna di Amnesty International contro i matrimoni precoci e forzati. Ogni anno secondo le Nazioni Unite, le minorenni costrette a sposarsi con uomini molto più anziani di loro sono 13,5 milioni. A questo si aggiungono pratiche come la mutilazione degli organi genitali femminili, le violenze domestiche e gli abusi, le accuse di stregoneria. Nell’ambito delle iniziative per la celebrazione della prossima Giornata internazionale delle donne, sono intervenute ieri a Roma due attiviste per i diritti umani nel Burkina Faso: Hortence Lougué e Kiswendsida Noelie Kouragio. Il servizio di Eugenio Murrali

Una battaglia in difesa dell’infanzia, una sfida culturale per scardinare le pratiche disumane che costringono bambine a sposarsi, anche a 11 anni, con uomini molto più anziani di loro. Spiega Hortence Lougué che con la sua Associazione d’appui et d’eveil (Pugsada) aiuta molte ragazze vittime di matrimoni precoci:

“In Burkina Faso, il matrimonio precoce e forzato è ancora oggi una realtà. Si tratta di una pratica tradizionale nefasta, ma, con il passare del tempo, ci rendiamo conto di quanto il fenomeno delle spose bambine persista ancora oggi nel Paese. Vediamo bambine – ragazzine – prive d’istruzione o che lasciano la scuola per essere date in sposa. Quelle che hanno il coraggio di venire da noi per chiedere aiuto cerchiamo di ascoltarle, di sostenerle, anche da un punto di vista psicologico, di indirizzarle verso centri di accoglienza o di orientarle verso altre strutture in grado di supportarle. Una bambina che è costretta a sposarsi avrà una gravidanza precoce. E se avrà una gravidanza precoce, il suo corpo non sarà pronto ad accogliere un bambino. La ragazza  potrà quindi avere problemi di salute, rischiare la morte e subire conseguenze anche dal punto di vista ginecologico: le fistole ostetriche, ad esempio. Il neonato stesso avrà problemi di salute, perché sarà figlio di una madre a sua volta bambina. Che tipo di educazione potrà dargli? Quali cure?”.

Dietro questi matrimoni si nascondono spesso interessi economici delle famiglie, alleanze tra clan, ma soprattutto una mentalità che si è cristallizzata. Osserva ancora Hortence Lougué:

“La tradizione in sé non è il problema, ma le pratiche sì: la cattiva interpretazione della tradizione. Anche la religione ha un ruolo, ma non la religione cattolica, perché la Chiesa cattolica in Burkina Faso è pioniera nella lotta contro i matrimoni precoci e forzati. Sin dall’approvazione del decreto Mandel, la Chiesa ha affrontato questa problematica: l’uguaglianza e l’età in cui una ragazza può sposarsi. E molti centri che accolgono queste bambine, che lì cercano rifugio, sono stati creati dalla Chiesa cattolica”.

In Burkina Faso, le leggi per combattere il fenomeno delle spose bambine esistono, ma la maggior parte dei matrimoni viene celebrata con riti tradizionali che lo Stato non riconosce da un punto di vista giuridico e che quindi non può perseguire. Sottolinea la coordinatrice nazionale dell’attivismo giovanile per Amnesty International Burkina Faso, Kiswendsida Noeli Kouragio:

"Come Amnesty International Burkina Faso agiamo in tre modi: sulla popolazione, sul governo e sul piano internazionale e regionale per fare pressione. Nella questione delle spose bambine e in quella della pianificazione familiare giocano un ruolo molti aspetti culturali e tradizionali. E’ necessario perciò lavorare sul cambiamento di mentalità. E’ opportuno porre l’accento sull’educazione: il cambiamento deve venire dalla base. Bisogna che lo Stato possa perseguire i matrimoni precoci e forzati che vengono celebrati in modo tradizionale. Più del 52% delle bambine che sono date in moglie prima dell’età di 17 anni sono sposate con un rito tradizionale che non avendo riconoscimento legale non può essere perseguito dallo Stato. Infatti, se il matrimonio non è celebrato sul piano civile e giuridico in Burkina Faso non è riconosciuto".

Hortence Lougué ci racconta invece uno degli ultimi casi che si è trovata ad affrontare con la sua Associazione:

"Di recente, ho conosciuto una ragazza di un quartiere di Ouagadougou che nel 2015 è stata vittima di matrimonio precoce. Frequentava il primo anno di liceo: aveva solo 15 anni. Era molto brava e andava bene a scuola. A novembre 2015 è stata costretta a interrompere gli studi per raggiungere un’altra città, dove è andata in moglie a un uomo più anziano e già sposato. E’ stato davvero uno choc per questa ragazzina e anche per noi che l’abbiamo vista andare via. Ma, grazie a Dio, siamo state contattate da un operatore dei servizi sociali e da un’amica della mamma che voleva salvare questa ragazza. E insieme, con l’aiuto della polizia, abbiamo di nascosto preso e portato via la giovane dalla scuola, l’abbiamo sistemata in un centro di accoglienza e abbiamo trattato con le persone a lei vicine perché potesse continuare gli studi. Allo stesso tempo, abbiamo cercato di relazionarci con il padre per negoziare con lui".

Ma il fenomeno delle spose bambine non riguarda solo il Burkina Faso, tutti i Paesi della regione ne sono afflitti e, probabilmente, aggiunge Hortence Lougué, buona parte dell’Africa.

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Presentato ddl per le celebrazioni del 150.mo di Rossini

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E’ stato presentato al Senato della Repubblica Italiana il disegno di legge per la celebrazione dei centocinquanta anni dalla morte di Gioachino Rossini, avvenuta nel novembre del 1868. Un progetto culturale di ampio respiro coordinato da un apposito Comitato Nazionale, che toccherà numerose città e coinvolgerà la vita musicale italiana. Il servizio di Luca Pellegrini

Rossini: la sua musica, le sue opere. Un patrimonio dell’umanità, un intellettuale inafferrabile, un personaggio popolarissimo, amato, che a 150 anni dalla morte l’Italia e Pesaro hanno deciso di ricordare con una serie di celebrazioni che culmineranno nel 2018, sostenute da un’apposita legge, toccando tutte le città “rossiniane”, da quella ove è nato alla Parigi dove scomparse nel novembre del 1868. E’ proprio il Sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, che tiene molto alla vocazione musicale della città marchigiana, a presentare questa iniziativa:

“Significa dare un apporto importantissimo al nostro Paese, perché Rossini è uno dei testimonial principali che l’Italia ha nel mondo: una vera e propria popstar per la sua epoca. E le sue musiche non solo sono famose in tutti i teatri dove viene recitata l’opera, ma sono famose nei film, attraverso le colonne sonore, nei telefilm. E quindi, di conseguenza, nella vita e nei sogni di milioni di persone. Noi dobbiamo fare in modo che questo grande testimonial dell’Italia sia per noi un’occasione per festeggiare l’Italia nel mondo. E ovviamente, come città, per dimostrare che siamo città della musica grazia a Rossini, ma ovviamente grazie anche a una serie di investimenti culturali ed economici che stiamo facendo in questa direzione”.

Quanto possono contribuire queste celebrazioni a far conoscere l’opera di Rossini? Ci risponde un suo grande cultore, il presidente emerito della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano:

“Credo che il quanto già lo si conosce e sta a dimostrare quanto importante è farlo conoscere ancora meglio, ancora di più. E questa è una grande occasione, questi anniversari lo sono. E poi c’è una struttura solida, che è sia la Fondazione sia il Conservatorio sia il Festival, su cui poggiare le nuove iniziative. E credo che dobbiamo sapere che quello che si farà in Italia è soltanto parte di quello che si farà nel mondo, perché Rossini non appartiene solo al nostro Paese”.

La senatrice Camilla Fabbri è tra le promotrici della legge. Che per lei assume una particolare importanza:

R. – Essendo concittadina di Gioacchino Rossini, ho avuto l’onore di poter presentare il disegno di legge, che peraltro contiene l’idea di dedicare il 2018 e di chiamarlo e di definirlo “anno rossiniano”, compresa ovviamente la valorizzazione del genio, dell’artista, dell’uomo, dell’autore.

D. – Che cosa prevede questa legge?

R. – Il disegno di legge prevede tutta una serie di misure che riguardano la valorizzazione dei luoghi di origine, ma una serie di eventi a livello nazionale e internazionale di promozione della figura di Rossini, della sua memoria e della sua opera. Abbiamo previsto una serie di finanziamenti che verranno destinati appunto alle azioni che abbiamo previsto nel presente disegno di legge.

Naturalmente, il “Rossini Opera Festival”, una manifestazione tra le più conosciute e seguite al mondo, si inserirà a pieno titolo nelle celebrazioni rossiniane, come precisa il Sovrintendente, Gianfranco Mariotti

“All’interno di questo nuovo clima, continueremo a fare il nostro lavoro: non faremo niente di diverso da quello che già facciamo. Tutte le nostre edizioni sono speciali, perché la nostra non è una rassegna di spettacoli, ma è un’operazione fortemente ideologica. Detto questo, quindi, noi non siamo chiusi in una nostra autoreferenzialità: semplicemente continuiamo a fare quello che abbiamo fatto fino adesso, solo che non siamo più soli, ma abbiamo attorno tutto un fervore che ci riempie di soddisfazione”.

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Il commento di don Gianvito Sanfilippo al Vangelo della Domenica

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Nella quarta Domenica di Quaresima, la liturgia ci propone il Vangelo in cui i farisei e gli scribi mormorano contro Gesù perché accoglie i pubblicani e i peccatori. Il Signore racconta allora la parabola del figlio prodigo che sperpera il patrimonio paterno in modo dissoluto. Il perdono del padre provoca lo sdegno del figlio maggiore. Il padre gli dice:

“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

Peccatori e pubblicani sono attratti da Cristo, si avvicinano per ascoltarlo, i farisei e gli scribi invece si scandalizzano e mormorano, come il fratello maggiore della parabola condannano il peccato assieme al peccatore, preferiscono la giustizia piuttosto che aiutare chi è caduto. Ma il Padre non la pensa così, il suo amore, commuovendosi per la gioia del ritorno del figlio, rivela il volto della Misericordia, vero nome dell’amore divino; per lui il figlio vale più di ogni cosa, la sua dignità  supera di gran lunga ogni esigenza pur legittima di giustizia, il suo tornare in vita dalla perdizione è motivo irrefrenabile di festa e di letizia. Questa è la parabola che san Giovanni Paolo II ha scelto nella sua enciclica sulla misericordia su cui Papa Francesco ci invita a meditare in quest’anno giubilare. Cristo vuole fare di noi nuove creature, mediante la circoncisione del cuore, ovvero il desiderio di rompere con le opere morte che distruggono la comunione e umiliano l’uomo e ci offre la possibilità dell’umile confessione, vera fonte di allegria e pace. Entreremo così nella terra dove scorre latte e miele, varcando a piedi asciutti il fiume delle passioni, ci nutriremo dei suoi frutti squisiti di unità e perdono.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vallini: donne povere nel turpe mercato dell'utero in affitto

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"Il desiderio non può essere eretto a diritto. Ciò che deve essere messo in primo piano è l’interesse del bambino, non la volontà di due persone di avere un figlio. I figli non si costruiscono". È quanto afferma il cardinale vicario Agostino Vallini a “Roma Sette”, il settimanale di informazione della diocesi di Roma. Al centro le adozioni delle coppie omosessuali e il mercato dell’utero in affitto, fulcro del dibattito politico di questi giorni.

Ddl unioni civili, compromesso al ribasso
Il disegno di legge sulle unioni civili – afferma il porporato – appare come “il frutto di un compromesso al ribasso. È vero che la ‘stepchild adoption’ è stata tolta dal provvedimento, ma rischia di rientrare attraverso un’altra strada legislativa allo studio; senza contare le possibilità di intervento da parte della magistratura, di cui si è avuto già qualche esempio. Inoltre, sono rimaste diverse sovrapposizioni con l’istituto del matrimonio, al contrario di quanto era stato assicurato. Una confusione – sottolinea - che si sarebbe potuto evitare”.

Non ha vinto l'amore. Voto di fiducia contro libertà di coscienza
Dopo il varo della legge è stato detto che «ha vinto l’amore»: “Una frase retorica e fuori luogo – ha osservato il cardinale Vallini - non si fanno leggi sull’amore”. Invece, “ha vinto una volontà politica che puntava a un certo risultato a tutti i costi, tanto da volerlo ottenere con il voto di fiducia che ha impedito un voto di coscienza. Quella coscienza ‘ben formata’ cui ha fatto appello Papa Francesco. Mi domando – aggiunge il cardinale vicario - se non si sia avuto paura della coscienza dei parlamentari tanto da bloccare la discussione su un  provvedimento così delicato”.

Non si ha a cuore la famiglia
“Esistevano altre vie – rileva - per regolare i diritti individuali delle persone che compongono le unioni civili, anche dello stesso sesso, ma senza svilire la famiglia, che invece avrebbe bisogno di interventi di politica familiare che attendiamo da tanto tempo. Sembra che non si abbia a cuore il futuro della famiglia, in particolare dei soggetti più deboli, che sono i figli”.

Donne costrette dalla povertà al turpe mercato dell’utero in affitto
I figli sembrano i grandi assenti nel dibattito di questi giorni: “Non ci sono adulti da tutelare nel loro desiderio di un bambino – afferma il porporato - sono da tutelare  i bambini, a cominciare da quelli che non hanno famiglia e che hanno il diritto ad avere una mamma e un papà, come nel caso dei minori adottabili. E poi sono da tutelare  le donne - soprattutto dei Paesi del Sud del mondo - costrette dalla povertà al turpe mercato dell’utero in affitto. È su questo mercato che bisogna intervenire”. 

Figli non si costruiscono
Quindi aggiunge: “La definizione di ‘gestazione per altri’ è un tentativo ipocrita di nobilitare qualcosa che non lo è. I figli non si costruiscono, sono frutto di un atto d’amore di un uomo e una donna e hanno diritto a una mamma e a un papà. In casi come questi la mamma non ci sarà. Credo che anche l’opinione pubblica sia in maggioranza contraria  o  non  sufficientemente informata”.

L’obiettivo vero sia il bene dei bambini
Per quanto riguarda la proposta di riforma della legge 184 sulle adozioni che potrebbe riguardare anche coppie gay e single, il cardinale Vallini afferma: “Sono decenni che la  legge sulle adozioni attende di essere riformata  nel senso di facilitare le condizioni di adottabilità dei bambini, privi di una famiglia con un padre e una madre. Ben venga, dunque, una riforma al riguardo, ascoltando tutti i soggetti interessati. Ma non si dimentichi l’obiettivo vero: il bene dei bambini. Altra cosa è invece la ‘stepchild adoption’. In questi giorni parlando della legge da riformare mi pare che si stia partendo con il piede sbagliato. È il caso di sottolinearlo ancora: non è compito dello Stato ergere a diritti i desideri delle persone”.

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Yemen, suore uccise. Gracias: testimoni dell’amore di Cristo

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“Il raccapricciante omicidio delle quattro Missionarie della Carità ha gettato la Chiesa dell'India e dell'Asia in una profonda tristezza. Siamo in lutto per questa tragedia”: così il card. Oswald Gracia, presidente della Conferenza episcopale indiana, commenta l’uccisione avvenuta in Yemen di quattro suore Missionarie della Carità, la Congregazione fondata da Madre Teresa di Calcutta. Le religiose sono state trucidate da un commando di uomini armati che ha attaccato il loro convento, nella città di Aden.

Religiose in aiuto disinteressato delle persone più svantaggiate
“Le Missionarie della Carità – scrive il card. Gracias in una nota pubblicata dall’agenzia AsiaNews – hanno continuato a spegnere la sete di Gesù in Aden attraverso l'amore, la gentilezza, la compassione e servendo in maniera disinteressata, senza alcuna considerazione per la loro sicurezza, le vittime più svantaggiate”. Si è trattato di “un servizio fatto per amore personale nei confronti di Gesù, attraverso il loro servizio per il popolo dello Yemen”, sottolinea il porporato, auspicando che il sangue versato dalle religiose porti “frutti di pace per il popolo che servivano”.

In preghiera anche per padre Tom, salesiano operante ad Aden
Il pensiero del porporato va, infine, a padre Tom Uzhunnalil, salesiano originario del Kerala, anch’egli operante ad Aden: “La Chiesa in India e in Asia prega per il ritorno sicuro di questo suo figlio”, conclude il card. Gracias, informando che un’Adorazione eucaristica verrà offerta in nome del sacerdote. (I.P.)

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Africa. Amecea ai laici: siate spina dorsale della Chiesa

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Accogliere la chiamata del Signore a diffondere il Vangelo: il compito dei laici è proprio questo. A ricordarlo, nei giorni scorsi, è stata l’Amecea, l’Associazione dei membri della Conferenze episcopali dell’Africa orientale, nell’ambito di un incontro di cinque giorni organizzato dal Consiglio dei laici e svoltosi a Lusaka, in Zambia, a fine febbraio.

Dovere dei laici: diffondere la pace e testimoniare la comunione
Ai lavori ha preso parte, tra gli altri mons. Clement Mulenga, vescovo di Kabwe e direttore della Pastorale per i laici in Zambia. Nel suo intervento, in particolare, il presule si è soffermato sulla “missione di pace” dei laici cattolici ed ha sottolineato: “I laici non devono perpetrare violenze in famiglia o in comunità, bensì devono dedicare la loro fede a combattere ogni forma di sopruso”. “Il loro dovere – ha aggiunto – è quello di aiutare le comunità a porre fine alla violenza ed a diffondere la pace di Cristo, dando testimonianza dello spirito di comunione”.

Annunciare Parola di Dio anche ad emarginati ed esclusi
“Tutti siamo chiamati a proclamare la Buona Novella di Cristo – ha ribadito mons. Mulenga – annunciando la Parola anche a coloro che sono esclusi” dalla società, perché “il dovere dei cristiani è quello di riabilitare” gli emarginati. Sulla stessa linea si è posto padre Cleophas Lungu, segretario generale della Conferenza episcopale in Zambia, il quale ha esortato i laici ad essere “la spina dorsale della Chiesa e ad irradiare la gioia cristiana in famiglia, nel matrimonio e nella società”. Di qui, l’invito a mettere in pratica le opere di misericordia, in occasione del Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco e in corso fino al 20 novembre prossimo.

Trenta delegati provenienti da nove Paesi
Ospitato dalla Parrocchia di San Mattia Mulumba, il Consiglio dei laici dell’Amecea ha visto la presenza di 30 delegati regionali, provenienti dalle Conferenze episcopali di Malawi, Kenya, Sudan, Tanzania, Eritrea, Zambia, Uganda, Gibuti ed Etiopia. (I.P.)

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Plenaria Comece. Marx: Europa costruisca la pace nel mondo

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"L’Europa ha bisogno di operare in modo costruttivo per la pace nel mondo”: si pare così il comunicato diffuso dalla Comece, Commissione degli episcopati della Comunità europea, diffuso nell’ultimo giorno della sua Assemblea plenaria, in programma a Bruxelles dal 2 al 4 marzo. L’incontro – riferisce l’agenzia Sir – ha affrontato diversi temi, ma i vescovi si sono concentrati soprattutto sul ruolo dell’Ue per la costruzione della pace, sul compito delle religioni in tale direzione e sull’accoglienza di chi fugge dal Medio Oriente e dall’Africa a causa di guerre e povertà.

Cardinale Max: questione della pace, più importante che mai
In particolare, in vista del Consiglio europeo straordinario sull’emergenza profughi, in programma il 7 marzo a Bruxelles e che vedrà la partecipazione di capi di Stato e di governo, insieme al premier turco Davutoglou, il presidente della Comece, cardinale Reinhard Marx, ha sottolineato: “Spero vivamente che i leader si mostrino solidali e affermino chiaramente che l’Unione Europea ha i mezzi per agire” sul versante delle migrazioni e dell’accoglienza ai rifugiati. Quanto ai conflitti in atto, il porporato ha evidenziato che “la questione della pace è più importante che mai. Occorre riflettere sul modo in cui l’Europa possa svolgere un ruolo costruttivo per la pace nel mondo, in particolare in Medio Oriente, Africa e in Ucraina”.

Mogherini: ruolo della Chiesa è cruciale contro le radicalizzazioni
Ai lavori della Comece ha preso parte anche Federica Mogherini, Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la sicurezza, la quale “ha espressamente sottolineato che il dialogo e la riconciliazione a livello nazionale e regionale sono essenziali per un’efficace educazione alla pace”. La Mogherini e si è poi detta convinta del “ruolo cruciale delle Chiese nella prevenzione delle radicalizzazioni”, esprimendo il desiderio di dialogare su questi temi con le comunità religiose.

A fine marzo, documento sulla promozione della pace
Infine, la Comece informa che a fine marzo verrà diffuso un rapporto intitolato “La vocazione dell’Europa per la promozione della pace nel mondo”. Esso rappresenterà il contributo dei vescovi alla definizione di una strategia globale dell’Unione nel settore della politica estera e della sicurezza comune. Il documento – che conterrà raccomandazioni concrete per la politica estera – verrà preparato congiuntamente dal segretariato Comece e dalla commissione Giustizia e pace Europa. (I.P.)

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Colombia: Chiesa cattolica, istituzione più gradita alla gente

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È la Chiesa cattolica l’istituzione maggiormente apprezzata dalla popolazione colombiana, con una percentuale del 68%. Il dato, riferisce l’agenzia Sir, emerge da un’indagine dell’istituto "Gallup", che ha raccolto le impressioni dell’opinione pubblica sul gradimento delle istituzioni, delle principali personalità e dei temi di attualità. Soddisfazione per il risultato è stato espresso da mons. José Daniel Falla Robles, segretario generale della Conferenza episcopale colombiana.

Chiesa soddisfatta, ma ribadisce: il nostro agire è disinteressato
Al contempo, il presule ha ricordato che la Chiesa non opera per cercare riconoscimenti: “Il nostro è un agire disinteressato – ha detto – siamo presenti dove ci sono i poveri, i profughi, gli esclusi”. Subito dopo la Chiesa – che spera per il 2017 una visita di Papa Francesco, come dallo stesso Pontefice auspicato  – tra le istituzioni più apprezzate c’è l’esercito (66%). Negativo, invece, in questo momento, il parere dei colombiani sull’operato del presidente Juan Manuel Santos (69% lo disapprova, a fronte di un 24% che lo approva). In generale, le istituzioni con il minor grado di approvazione sono i partiti politici (14%) e i guerriglieri delle Farc (6%).

Popolazione sfiduciata sugli accordi di pace tra governo e Farc
L’inchiesta dimostra anche che la popolazione colombiana appare disorientata e più sfiduciata, rispetto a qualche mese fa, sul processo di pace tra il governo e le Forze armate rivoluzionarie, proprio mentre queste ultime hanno fatto sapere che, con ogni probabilità, non sarà rispettata la data prestabilita del 23 marzo per la firma definitiva dell’accordo di pace con il governo. Se a dicembre 2015, infatti, il 52% delle persone pensava che il processo di pace fosse sulla buona strada, ora la percentuale è scesa al 36%. Tuttavia, la maggioranza dei colombiani resta favorevole alla prosecuzione degli accordi ed il 53% si dice disponibile a votare "sì" al probabile plebiscito dopo la firma della pace. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 65

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.