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Sommario del 06/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: suore di Madre Teresa uccise in Yemen, martiri nell’indifferenza

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Le suore di Madre Teresa uccise nello Yemen sono i martiri di oggi, ma non fanno notizia. E’ quanto affermato da Papa Francesco all’Angelus in Piazza San Pietro dove, ancora una volta, ha denunciato la globalizzazione dell’indifferenza tra le cause che alimentano le guerre. I corridoi umanitari, ha poi affermato, sono un impegno concreto per chi fugge dai conflitti ed ha così incoraggiato l’iniziativa ecumenica avviata recentemente in Italia. Commentando il Vangelo domenicale, incentrato sulla parabola del figlio prodigo, Francesco ha quindi ribadito che Dio ci ama oltre ogni misura ed è sempre pronto a venirci incontro ed abbracciarci. Il servizio di Alessandro Gisotti

Segni di pace, segni di misericordia che, anche se arrivano al sacrificio della vita, non fanno notizia. All’Angelus, Papa Francesco ricorda con parole commosse le Missionarie della Carità uccise in un barbaro attacco nello Yemen, dove assistevano gli anziani. Assicura per loro e i familiari le sue preghiere, poi leva una denuncia vibrante:

"Questi sono i martiri di oggi! Non sono copertine dei giornali, non sono notizie: questi danno il loro sangue per la Chiesa. Queste persone sono vittime dell’attacco di quelli che li hanno uccisi e anche dell’indifferenza, di questa globalizzazione dell’indifferenza, a cui non importa… Madre Teresa accompagni in paradiso queste sue figlie martiri della carità, e interceda per la pace e il sacro rispetto della vita umana".

Sostenere i corridoi umanitari per chi fugge dalla guerra
Le missionarie di Madre Teresa erano un segno concreto per la pace e la difesa della vita. E Francesco cita, con “ammirazione”, un altro segno: l’iniziativa dei corridoi umanitari per i profughi, avviata ultimamente in Italia:

"Questo progetto-pilota, che unisce la solidarietà e la sicurezza, consente di aiutare persone che fuggono dalla guerra e dalla violenza, come i cento profughi già trasferiti in Italia, tra cui bambini malati, persone disabili, vedove di guerra con figli e anziani. Mi rallegro anche perché questa iniziativa è ecumenica, essendo sostenuta da Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche Italiane, Chiese Valdesi e Metodiste". 

Dio ci lascia liberi di sbagliare, ma sempre ci aspetta a braccia aperte
Due segni dell’amore per il prossimo che si legano con il Vangelo domenicale incentrato sulla parabola del figlio prodigo o meglio, annota il Papa, “del padre misericordioso”. In questa parabola, osserva, colpisce innanzitutto la tolleranza del padre “dinanzi alla decisione del figlio più giovane di andarsene di casa”, così “agisce Dio con noi: ci lascia liberi di sbagliare, perché creandoci ci ha fatto il grande dono della libertà”. Un dono, ha confidato, che “mi stupisce sempre”:

“Ma il distacco da quel figlio è solo fisico; il padre lo porta sempre nel cuore; attende fiducioso il suo ritorno; scruta la strada nella speranza di vederlo. E un giorno lo vede comparire in lontananza (cfr v. 20). Ma questo significa che questo padre, ogni giorno, saliva sul terrazzo a guardare se il figlio tornava! Allora si commuove nel vederlo, gli corre incontro, lo abbraccia, lo bacia. Quanta tenerezza! E questo figlio le aveva fatte grosse! Ma il padre lo accoglie così.”.

Gesù ci insegna ad essere misericordiosi come il Padre
Lo stesso atteggiamento, prosegue, il padre riserva anche al figlio maggiore, che è sempre rimasto a casa, e ora “è indignato e protesta perché non capisce e non condivide tutta quella bontà verso il fratello che ha sbagliato”. “Il padre – rammenta – esce incontro anche a questo figlio e gli ricorda che loro sono stati sempre insieme, hanno tutto in comune”:

“E questo mi fa pensare ad una cosa: quando uno si sente peccatore, si sente davvero poca cosa, o come ho sentito dire da qualcuno - tanti -: 'Padre, io sono una sporcizia!', allora è il momento di andare dal Padre. Invece quando uno si sente giusto – 'Io ho fatto sempre le cose bene...' –, ugualmente il Padre viene a cercarci, perché quell’atteggiamento di sentirsi giusto è un atteggiamento cattivo: è la superbia! Viene dal diavolo. Il Padre aspetta quelli che si riconoscono peccatori e va a cercare quelli che si sentono giusti”.

In questa parabola, commenta poi Francesco “si può intravedere anche un terzo figlio, nascosto”, Gesù. “Questo Figlio-Servo – rileva – è l’estensione delle braccia e del cuore del Padre: Lui ha accolto il prodigo e ha lavato i suoi piedi sporchi; Lui ha preparato il banchetto per la festa del perdono. Lui, Gesù, ci insegna ad essere misericordiosi come il Padre”.

Dio ci ama oltre ogni misura, ci viene incontro con la sua tenerezza
“La figura del padre della parabola – riprende ancora il Papa – svela il cuore di Dio. Egli è il Padre misericordioso che in Gesù ci ama oltre ogni misura, aspetta sempre la nostra conversione ogni volta che sbagliamo”. E’ un Padre, soggiunge, che “attende il nostro ritorno quando ci allontaniamo da Lui pensando di poterne fare a meno; è sempre pronto ad aprirci le sue braccia qualunque cosa sia successa”:

“Come il padre del Vangelo, anche Dio continua a considerarci suoi figli quando ci siamo smarriti e ci viene incontro con tenerezza quando ritorniamo a Lui. E ci parla con tanta bontà quando noi crediamo di essere giusti. Gli errori che commettiamo, anche se grandi, non scalfiscono la fedeltà del suo amore. Nel Sacramento della Riconciliazione possiamo sempre di nuovo ripartire: Egli ci accoglie, ci restituisce la dignità di figli suoi e ci dice: Vai avanti! Sii in pace! Alzati, vai avanti!”.

“In questo tratto di Quaresima che ancora ci separa dalla Pasqua – è dunque la sua esortazione – siamo chiamati ad intensificare il cammino interiore di conversione”. Al momento dei saluti ai pellegrini, tra cui la Confederazione nazionale ex alunni della Scuola cattolica, ha chiesto una preghiera particolare per l’inizio degli Esercizi spirituali che svolgerà assieme ai suoi collaboratori della Curia alla Casa del Divin Maestro ad Ariccia fino a venerdì prossimo.

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Papa: greco-cattolici ucraini esempio di fedeltà nelle tribolazioni

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Gratitudine e riconoscenza alla Chiesa greco-cattolica ucraina che, nelle tribolazioni, è sempre rimasta fedele alla Chiesa e al Successore di Pietro. E’ quanto scrive Papa Francesco in un messaggio a Sua Beatitudine, Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyč in occasione della triste commemorazione del 70.mo anniversario dello pseudo-Sinodo di Lviv che, nel 1946, mise fuori legge la Chiesa greco-cattolica ucraina. L’arcivescovo Shevchuk è stato ricevuto ieri in Vaticano dal Pontefice assieme ai membri del Sinodo Permanente della Chiesa greco-cattolica ucraina. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Settant’anni or sono – esordisce Papa Francesco nel suo messaggio ai greco-cattolici ucraini – il contesto ideologico e politico, nonché le idee contrarie all’esistenza stessa della vostra Chiesa, portarono all’organizzazione di uno pseudo-Sinodo a Lviv, provocando nei Pastori e nei fedeli decenni di sofferenze”. Nel triste “ricordo di tali eventi”, prosegue, “chiniamo il capo con profonda gratitudine di fronte a coloro che, anche a prezzo di tribolazioni e persino del martirio, nel corso del tempo hanno testimoniato la fede, vissuta con dedizione nella propria Chiesa e in unione indefettibile con il Successore di Pietro”.

Riconoscenza ai greco-cattolici ucraini per la loro fedeltà
Al contempo, scrive il Papa, “con occhi illuminati dalla stessa fede, guardiamo al Signore Gesù Cristo, riponendo in Lui, e non nella giustizia umana, ogni nostra speranza. È Lui la fonte vera della nostra fiducia per il presente e per il futuro, essendo noi certi di essere chiamati ad annunciare il Vangelo anche in mezzo a qualsiasi sofferenza o difficoltà”. Francesco esprime dunque “profonda riconoscenza” per la fedeltà dei greco-cattolici ucraini e li incoraggia a farsi “instancabili testimoni di quella speranza che rende più luminosa l’esistenza nostra e di tutti i fratelli e sorelle intorno a noi”.

Solidarietà a pastori e fedeli in tempo di guerra e tribolazioni
Il Papa rinnova anche la sua “solidarietà ai Pastori e ai fedeli per quanto fanno in questo tempo difficile, segnato dalle tribolazioni della guerra, per alleviare le sofferenze della popolazione e per cercare le vie della pace per la cara terra ucraina”. “Nel Signore – conclude – stanno il nostro coraggio e la nostra gioia. È a Lui che mi rivolgo, attraverso l’intercessione della Beata Vergine Maria e dei martiri della vostra Chiesa, perché la consolazione divina illumini i volti delle vostre comunità in Ucraina e in altre parti del mondo”.

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Greco cattolici ucraini: piena comunione con Papa Francesco

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“Siamo venuti per riaffermare la nostra comunione col Papa e per chiedere il suo aiuto per il popolo ucraino”. Lo ha detto Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk dopo l'incontro del Sinodo Permanente della Chiesa greco-cattolica Ucraina con Francesco in Vaticano. “Il Papa ci ha ascoltato”, ha detto l'arcivescovo Shevchuk che ha ricordato come Francesco sia considerato un’"autorità morale che parla della verità, una voce molto importante per il popolo ucraino".

La Chiesa greco cattolica si è detta pronta a collaborare per il bene dell’intera nazione, in un piano che includa organismi internazionali e non. La guerra in Ucraina, causata dall’invasione russa, ha coinvolto 5 milioni di persone, provocato diecimila morti, migliaia di feriti e costretto due milioni di persone a vivere fuori delle loro case. Il conflitto ha provocato un pesante impoverimento della popolazione. “Facciamo si’ - ha affermato l'arcivescovo Shevchuk - che l’Anno della Misericordia diventi realtà anche per il popolo ucraino”.

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Ermes Ronchi: esercizi spirituali per vivere la bellezza del Vangelo

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Iniziano questa domenica pomeriggio, nella Casa del Divin Maestro di Ariccia, gli Esercizi spirituali di Quaresima per il Papa e la Curia Romana. A guidare le meditazioni sarà il sacerdote friulano Ermes Ronchi, dell’Ordine dei Servi di Maria. Il servizio di Sergio Centofanti

Partenza dal Vaticano alle 16.00 in pullman per il Papa e i membri della Curia. Si inizia alle 18.00 con il silenzio dell’adorazione eucaristica. “Le nude domande del Vangelo” è il tema delle meditazioni di padre Ermes Ronchi: Papa Francesco lo ha chiamato personalmente per telefono per chiedergli di guidare gli esercizi. Il religioso introduce le sue riflessioni partendo da un brano del Vangelo di Giovanni: «Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: Che cosa cercate?» (Gv, 1, 38).

A seguire, nei giorni successivi, le altre nove meditazioni che – una la mattina alle 9.00, la seconda nel pomeriggio alle 16.00 - cercheranno di rispondere ad altrettante domande evangeliche: «Perché avete paura, non avete ancora fede? » ( Mc, 4, 40), «Voi siete il sale della terra. Ma se il sale perde sapore, con che cosa lo si renderà salato?» ( Mt, 5, 13), «Ma voi, chi dite che io sia?» ( Lc, 9, 20), «E volgendosi verso la donna, disse a Simone: vedi questa donna?» ( Lc, 7, 44), «Gesù domandò ai discepoli: Quanti pani avete? » ( Mc, 6, 38; Mt 15, 34), «Allora Gesù si alzò e le disse: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? » ( Gv, 8, 10), «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» ( Gv, 20, 15), «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» ( Gv, 21, 16), «Maria disse all’angelo: Come avverrà questo?» ( Lc, 1, 34).

Gli Esercizi si concluderanno venerdì mattina. Come sempre, durante il periodo di ritiro, saranno sospese le udienze private e speciali, compresa l’udienza generale del mercoledì. Padre Ermes Ronchi ci dice cosa vuole dare con queste meditazioni:

R. – Cercherò di trasmettere le cose che mi hanno fatto bene, le cose che mi hanno affascinato, appassionato, della Parola di Dio. Cercherò di trasmettere il fascino che io ho subito dall’immagine, dal Volto di Gesù, dal Volto del Padre che è in Gesù e cercherò di tradurre questo calore, questa bellezza: il cuore semplice del Vangelo e la bellezza potente del Vangelo.  

Dunque, meditazioni centrate sulla positività, perché il Vangelo è la buona notizia, è la nostra speranza. Maria - afferma padre Ermes Ronchi - sarà l’immagine conduttrice delle meditazioni “perché è la prima dei discepoli, è la più vicina al Signore, è Colei che l’ha incarnato” e rappresenta il cristiano che “è un portatore di Dio, è gravido di Dio” e “passa nel mondo portando un’altra vita oltre alla sua vita” perché Gesù salvi il mondo.

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A Matera riapre la Cattedrale dopo un restauro durato 10 anni

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A Matera si è svolta ieri pomeriggio la celebrazione di riapertura al culto della Cattedrale dedicata a “Maria SS. della Bruna” a conclusione dei lavori di restauro durati dieci anni. A presiedere il rito che ha visto anche l’apertura della Porta Santa e la dedicazione del nuovo altare, è stato il cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin. Nel portare il saluto e la benedizione di Papa Francesco, il porporato nel corso dell’omelia ha ricordato che la cattedrale è il cuore della vita liturgica e che le sue sono porte di grazia. “Qui, ha detto, si entra per amare Dio, di qui si esce per amare gli uomini”. Riguardo poi all’apertura della “Porta dei Leoni”, quale porta giubilare, ha invitato i fedeli ad approfittarne per crescere nella fede e per imparare ad “offrire agli altri quella misericordia che riceviamo dall’Alto”. “Tuttavia - ha ricordato - è la porta santa interiore quella che, più di ogni altra, va spalancata a Cristo, in modo che possa entrare ed aprirci la strada verso una vera novità di vita”. Costruita in stile romanico pugliese nel XIII secolo sull'area dell'antico monastero benedettino di Sant'Eustachio, la Cattedrale era rimasta chiusa per tutto il tempo dei lavori. Al microfono di Adriana Masotti sentiamo don Michele Leone, direttore dell’Ufficio tecnico diocesano: 

R. – Era un giorno atteso veramente da tanto. Ecco, i dieci anni di lavoro non sono attribuibili soltanto ai lavori in se stessi, ma alla scarsità dei finanziamenti che sono stati dati negli anni precedenti, e anche a tanti aspetti legati al mondo burocratico. Quello che è importante è che nell’ultimo triennio, nel momento in cui la diocesi è entrata direttamente in azione, si è riusciti a risolvere tutti i problemi per completare il restauro.

D. – La Cattedrale risale al XIII secolo. Quali interventi sono stati realizzati nella lunga opera di restauro che, appunto, oggi la restituisce ai fedeli?

R. – Sono stati organizzati tre ordini di intervento. Un primo intervento, il più importante e anche quello che si vede di meno, è quello di consolidamento. La cattedrale presentava alcune criticità: una criticità seria era legata al fatto che le capriate spingevano verso la facciata principale, e quest’ultima era in una fase di leggero distacco, di quasi un centimetro. Allora è stato necessario riequilibrare tutto, mediante un intervento strutturale, studiato molto a lungo da esperti.

D. – Lei diceva che ci sono stati anche altri interventi, però…

R. – Il secondo intervento è stato la pulitura di tutto l’esterno del monumento mediante la rimozione di tutta la patina dello sporco. Il terzo intervento è stato di restauro di tutto l’interno della Cattedrale.

D. – Nel nuovo altare, i frammenti di ossa di San Giovanni da Matera e di Sant’Eustachio, il patrono della città: si conservano le radici per guardare avanti?

R. – Sì, certamente. Il profondo legame con le origini racconta della perennità e della stabilità della Chiesa che cammina verso un futuro, con radici ben fondate nel passato. La Cattedrale rappresenta essenzialmente la Chiesa locale, che riunisce in sé tutte le cellule delle comunità parrocchiali. La Cattedrale è la sede dove il vescovo ammaestra, guida e santifica il popolo. È il punto di riferimento, è il simbolo più alto di tutta la Chiesa locale.

D. – La Cattedrale sarà anche una cattedrale giubilare, cioè una chiesa dove c’è una Porta Santa…

R. – Finora la nostra Porta Santa è stata nella Chiesa di San Francesco, che svolgeva funzioni cultuali e di cattedrale. Da questa sera si apre la Porta Santa proprio nella chiesa Cattedrale.

D. – Qual è il sentimento vissuto in questo momento dall’arcivescovo di Matera?

R. – L’arcivescovo neo-eletto e non ancora insediatosi nella Chiesa di Matera, mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, è ovviamente felicissimo di questo, e attende di essere immesso in questo dinamismo di chiesa locale. Ed è felice anche dell’esito dei lavori. L’arcivescovo, mons. Salvatore Ligorio, ora arcivescovo di Potenza, che ha seguito tutte le tappe, è anche lui felicissimo perché, oltre che condividere le pene, ha potuto anche apprezzare la bellezza e lo splendore dei risultati raggiunti.

D. – E così, immagino anche i fedeli…

R. – Il popolo è felicissimo, perché la Cattedrale di Matera è il monumento più significativo della città ed è anche il più rappresentativo. E quindi il popolo di Dio si è radunato già, festante, e continua ad esserlo perché ritrova la sua Cattedrale. E poi, in modo particolare, molti bambini e ragazzi entrano per la prima volta in questa chiesa che finora hanno visto soltanto dall’esterno, circondata dalle impalcature.

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Oggi in Primo Piano



Iraq: attentato suicida a Sud di Baghdad, almeno 45 morti

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È di almeno 45 morti e decine di feriti, di cui 11 versano in gravi condizioni, il bilancio ancora provvisorio dell’attentato avvenuto questa mattina a Hillah, città a Sud di Baghdad. L’attacco è stato rivendicato dallo Stato islamico, intanto l’esercito iracheno si dice pronto a lanciare un’offensiva per riconquistare la città di Mosul, nelle mani dell’Is dal giugno 2014. Il servizio di Marco Guerra: 

Un kamikaze lanciato con un camion bomba contro il checkpoint di uno degli ingressi alla città di Hillah, a circa 90 chilometri a Sud di Baghdad. Non è nuova la dinamica dell’attentato che questa domenica ha insanguinato l’Iraq. L’attacco è avvenuto alle ore 12 locali, in un orario in cui il posto di blocco era affollato da decine di auto, ha riferito un ufficiale di polizia. E dopo qualche ora è arrivata la rivendicazione dello Stato islamico. L’azione porta infatti tratti distintivi degli attacchi suicidi dell’Is contro le postazioni delle forze di sicurezza. Il mese scorso nel Paese si è registrato un picco di questi attacchi, con oltre 100 persone uccise.

Solo ieri però  le forze armate irachene si sono dette pronte a lanciare l'offensiva per strappare Mosul allo Stato Islamico. Lo ha affermato il comandante delle truppe di terra, il generale Riad Jalal Tawfiq, durante una visita Sudovest della città, dove sono state concentrate nelle ultime settimane le forze governative che dovrebbero partecipare all'attacco. Il colonnello americano Christopher Karfar ha confermato i preparativi parlando di oltre 30 mila i militari iracheni schierati per lanciare l'offensiva. Secondo altre fonti anche i miliziani jihadisti si stanno preparando alla battaglia.

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Oxfam: con El Niño 60 milioni di persone a rischio fame

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Nel 2016, saranno 60 milioni le persone nel mondo – 50 solo in Africa – a rischio fame a causa dei danni causati da El Niño. La denuncia è di Oxfam Italia, organizzazione che si occupa di aiuti umanitari e sostegno a progetti di sviluppo in tutto il mondo. Per comprendere meglio la gravità di questo fenomeno, Roberta Barbi ha intervistato Alessandro Cristalli, responsabile del Programma Oxfam Italia per il Corno d’Africa: 

R. – El Niño è un fenomeno climatico che ricorre ogni tre-sette anni. Comporta una siccità estrema in molti Paesi nella fascia tropicale, che va dai Caraibi fino all’Africa centrale e meridionale, comprendendo tutto ciò che c’è in mezzo, ovvero i Paesi del Pacifico e del Sud-Est asiatico. Causa una siccità estrema e quindi crea difficoltà, soprattutto alle popolazioni che già vivono in condizioni di estrema precarietà.

D. – Gli effetti di El Niño sono sempre più devastanti e agiscono in particolare in 19 Paesi: dal cosiddetto “corridoio arido” dell’America centrale alle isole del Pacifico, ma la situazione peggiore si registra in Africa. È corretto?

R. – Si registra in Africa perché già le condizioni di vita, in particolar modo nel Corno d’Africa e in Africa meridionale, sono molto dure. Ci sono cioè zone aride, che sono molto popolate, ci sono decine di milioni di persone che vivono di pastorizia o agricoltura dipendente da già scarse piogge, quindi, andare a colpire ulteriormente con una siccità che si aggiunge a queste condizioni davvero difficili, mette a rischio veramente un numero molto elevato di persone.

D. – Nel concreto cosa si può fare immediatamente per far fronte ai bisogni di queste popolazioni e a lungo termine per contrastare questo fenomeno?

R. – Nel concreto bisogna salvare vite. Ora è il momento dell’emergenza: El Niño è insorto a fine 2015 ed è nel pieno del suo impatto. Quindi, bisogna portare acqua, cibo alle popolazioni che sono in condizioni di emergenza e attivare l’aiuto umanitario. Bisogna anche suscitare l’interesse e le responsabilità dei governi dei Paesi che possono veramente donare e possono anche implementare una risposta umanitaria. Non solo i governi, ma anche le istituzioni internazionali e le Ong, Oxfam Italia è in prima linea per questo.

D. – L’appello che l’Oxfam ha lanciato alla comunità internazionale s’inserisce nella campagna “Sfido la fame”. In che cosa consiste?

R. – La fame è un problema ancora molto diffuso: ad oggi si calcola che siano quasi 800 milioni le persone al mondo che soffrono di fame. Soffrire di fame non vuol dire avere “un fastidio”, ma essere indeboliti, essere suscettibili alle malattie, morire prima, avere difficoltà a lavorare. La fame è tutt’oggi una realtà in questo mondo e bisogna sconfiggerla. Oxfam Italia chiede ai governi degli Stati del mondo una presa di responsabilità, perché il problema sia affrontato con donazioni, azioni e implementazioni di programmi. Abbiamo poi una serie di attività che vogliono anche informare i cittadini su quali sono le cause della fame. E abbiamo, poi, una serie di richieste che facciamo anche alle aziende e alle multinazionali che producono cibo affinché si seguano anche delle pratiche sostenibili ed eque nei confronti della popolazione. Noi chiediamo anche una donazione ad Oxfam Italia che può essere fatta andando a visitare il sito: http://donazioni.oxfamitalia.org/, un link facilmente reperibile dal nostro sito, in modo che possiamo veramente contribuire in prima persona ad alleviare le sofferenze delle persone colpite da El Niño.

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In Sud Sudan l'impegno di Medici con l’Africa Cuamm

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Rimane critica la situazione sanitaria in Sud Sudan: la presenza di 14 mila sfollati in precarie condizioni igieniche nelle località di Lozoh e Witto ha portato a un aumento del numero di casi di malaria e dissenteria. Un funzionario dell’Onu ha parlato di 50 mila morti e 2,2 milioni di rifugiati e sfollati dall’inizio della guerra civile. Maria Laura Serpico ha intervistato don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, Ong che porta assistenza sanitaria agli sfollati di queste aree: 

R. – La situazione sanitaria è aggravata dal fatto che il Paese non abbia ancora trovato una stabilizzazione. Quando dico “grave” intendo dire che il Sud Sudan si ritrova a non avere alcun ginecologo e una sola ostetrica per 20 mila mamme che partoriscono…

D. – Cosa fate, nel concreto, per migliorare la situazione sanitaria in queste aree nel breve periodo?

R. – Abbiamo un team di 4-5 persone che sono concentrate attualmente in quattro ospedali – quello di Yirol, quello Cuibet, quello di Lui e quello di Maper – per dare risposte sia in termini di prevenzione, sia in termini di assistenza e cura: in particolare per i parti della mamme, perché c’è un’altissima mortalità materna; e per i neonati e i bambini, perché c’è un’altissima mortalità infantile.

D. – Chi sono i cosiddetti “gunshot” ossia gli “sparati”?

R. – Quando un Paese come il Sud Sudan, specie nella parte Nord, si ritrova ad avere kalashnikov, fucili di vari tipo in mano a ragazzi di 13-14 anni – e li ho visti con i miei occhi – è inevitabile che chi fa assistenza sanitaria si ritrovi ad avere anche questi “sparati”. Ti sparano perché hanno bevuto la birra e ti vogliono rubare la motoretta; ti sparano perché non hai dato loro una mancia; ti sparano per qualsiasi situazione, come sta capitando…

D. – In cosa consistono le campagne di cliniche mobili?

R. – Quando c’è un alto livello di insicurezza, com’è quello attuale attorno all’ospedale di Lui – faccio un esempio – dove hai 14 mila sfollati, è ovvio che i presidi normali del sistema sanitario saltano completamente: la gente lascia la casa, si concentra in una certa aerea che considera più sicura e vive là. Allora sono necessarie queste cliniche mobili, cliniche cioè che partono dall’ospedale e vanno fuori, che vanno direttamente nelle aree in cui questi sfollati si sono raccolti. Attraverso queste cliniche mobili riesci a continuare – seppur con tanta fatica – tutto il sistema di vaccinazione, perché se lo salti vuol dire che fra due anni o tre anni risalta fuori la poliomielite o altre malattie… Facendo in questo modo, invece, riesci a raggiungere direttamente le persone, dando loro quell’assistenza sanitaria che altrimenti non saresti in grado di dare.

D. – Come si può intervenire sulla questione a livello internazionale?

R. – A livello internazionale io credo che vada posta l’attenzione in ogni tavolo e in ogni modo, perché non c’è dubbio che il Sud Sudan adesso abbia bisogno di tanto aiuto a livello diplomatico, che è però solo un livello: lì le diplomazie devono fare la voce pesante, devono condizionare gli aiuti ad una pace che deve essere trovata. E poi l’altro livello - se uno è quello diplomatico e istituzionale - è quello degli aiuti per la povera gente, perché non c’è dubbio che mentre i grandi Salva Kiir e Machar, i generali di turno e chi ha il potere in mano combattono, discutono e fanno la guerra, quella che invece soffre e rischia di essere abbandonata è la povera gente… Quindi un invito alla Comunità internazionale di avere a cuore queste popolazioni, perché sono quelle che stanno davvero, davvero soffrendo, soffrendo tanto e sono piene di paure.

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Ortodossi riconoscono Casa di Loreto. Gennadios: grande gioia

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Sono arrivate da Albania, Georgia, Grecia, Romania, Russia e Serbia, le autorità ortodosse che ieri a Loreto si sono ritrovate in preghiera comune attorno alla Santa Casa di Loreto. Un evento eccezionale, che segna il riconoscimento ufficiale da parte del mondo ortodosso della più antica reliquia mariana. Presente anche il delegato pontificio, mons. Giovanni Tonucci. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

E’ già stata definita una giornata storica: a Loreto la preghiera delle autorità ortodosse di tutta Europa presso la Santa Casa, in occasione del settimo centenario della fondazione dell’attuale Basilica Pontificia. Un momento che segna il riconoscimento ufficiale della più antica reliquia mariana da parte del mondo ortodosso. A condurre la preghiera rivolta alla Madonna Theotokos, il metropolita Zervos Gennadios, arcivescovo ortodosso d’Italia e Malta del Patriarcato Ecumenico:

“È una tappa gloriosa, perché succede dopo tanti incontri importantissimi in questo periodo, a Gerusalemme come a Roma. Il patriarca Bartolomeo e Sua Santità Papa Francesco a Costantinopoli; Sua Santità Bartolomeo a Roma; l’incontro tra Kirill, Patriarca di tutta la Russia, e Francesco. È un periodo di grande importanza, veramente glorioso, perché vediamo che questi due mondi, quello latino occidentale e quello bizantino orientale, vogliono veramente uscire dalla crisi, mostrare a tutti l’unità e la prosperità dell’umanità. Con Loreto abbiamo la protezione della Madonna, la più antica reliquia mariana, in questo luogo sacro ed ecumenico, che noi preghiamo e consideriamo. E allora questo periodo è veramente glorioso, perché tutti vogliono incontrarsi per portare al mondo il messaggio della speranza: l’unico tesoro che può dare all’uomo la forza e la felicità è il nostro Salvatore, Gesù Cristo”.

E’ definitivamente accertato dagli studi di padre Giuseppe Santarelli e dell’accademico greco Haris Koudounas, che la Santa Casa, abitata dalla famiglia della Vergine a Nazaret, fu traslata nel 1294 a Loreto dalla Famiglia degli Angelo-Comneno Ducas, imperatori di Bisanzio e successivamente despoti di Epiro e Tessaglia. “Le sorelle Chiese Orientali vantano dei vincoli storici con la Casa di Loreto”, ha detto il delegato pontificio mons. Giovanni Tonucci, che ritiene “opportuno e provvidenziale che l’incontro di studio e preghiera avvenga nella Basilica della Santa Casa, in uno spirito di fede e di fraternità”. Ancora Gennadios:

“Questo è lo spirito che dà la Chiesa di Cristo, ma non le divisioni della Chiesa di Cristo. Le divisioni sono umane, ma la Chiesa di Cristo è sempre indivisa. E’ questa Chiesa che noi dobbiamo unire, dobbiamo realizzare il testamento del nostro Salvatore, Gesù Cristo: che tutti siano una cosa sola. E la Chiesa dà questo grande messaggio, il messaggio dell’amore, della pace e dell’unità. L’uomo deve essere fratello del prossimo, e credo che questa Sacra Casa di Loreto trasmetta questo tesoro inestimabile, perciò è gloriosa... messaggi eterni della Chiesa. Questa Casa fa conoscere tutti i messaggi dell’unità, della pace, della speranza e dell’amore per tutta l’umanità. Noi dobbiamo pregare e sentire fortemente nel nostro cuore che forse il più grande peccato dell’umanità è la divisione della Chiesa, le nostre divisioni che Dio non vuole. E Dio soffre, il nostro Salvatore, perché non abbiamo ancora realizzato il Suo testamento, che è la Sua volontà: che tutti siano una cosa sola.

E’ convinzione comune che questo riconoscimento darà un forte impulso al turismo religioso tra le due sponde dell’Adriatico, così come in Armenia, in Georgia e nell’Italia meridionale.

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Venezuela: atenei cattolici impegnati a creare spazi di dialogo

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Nell’attuale situazione sociale del Venezuela, le università cattoliche devono cercare di essere uno spazio per l’incontro e per il dialogo. Così il prof. Rixio Portillo, preside della Facoltà di Comunicazione Sociale dell’Università Cattolica “Cecilio Acosta” di Maracaibo che, recentemente, ha tenuto un corso con la partecipazione di vescovi, sacerdoti e laici di diversi Paesi latinoamericani sull’importanza dell’evangelizzazione nel web per cercare di comunicare il Vangelo anche nelle Reti Sociali. La riflessione del prof. Portillo al microfono di Alvaro Vargas Martino: 

R.- Abbiamo tenuto un corso con circa venti partecipanti, tra vescovi, sacerdoti e anche alcuni laici e abbiamo parlato di questa autenticità di vita e come dobbiamo proclamare che Gesù è vivo nella vita di ciascuno e anche nella realtà sociale. Questo è molto importante perché la Chiesa cammina insieme al suo popolo e vive i problemi che colpiscono tutti.

D.- A questo proposito, la situazione sociale in Venezuela in questo momento è molto complessa. Qual è il lavoro che si sta facendo nelle università cattoliche in questo senso?

R.- Prima di tutto, trovare meccanismi di dialogo e d’incontro. L’università e anche la Chiesa sono degli attori molto importanti nella società, e vogliamo prima riconoscere gli altri come differenti, ma anche che siamo un solo Paese. E penso che in questa situazione di crisi e di tanta difficoltà sia molto importante trovare spazi per il dialogo e anche per la fraternità. Noi, per esempio, facciamo parte di una rete di università che studiano la fraternità e la politica, e abbiamo organizzato diverse attività. In questo momento stiamo preparando un incontro per studiare la fraternità e il dialogo e cercare di individuare come possiamo mettere in pratica questo in tutti i settori: politici, sociali e anche economici. E penso che l’università possa essere uno spazio per l’incontro e per il dialogo.

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Ucsi. De Luca neopresidente: comunicare senza temere la prossimità

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La giornalista Vania de Luca, vaticanista di Rainews24, è stata eletta stamani a Matera presidente dell’Ucsi, l’Unione Cattolica Stampa Italiana. De Luca è la prima donna ad essere eletta presidente dell’associazione in quasi 60 anni di storia. L’assemblea dei delegati la eletta a larga maggioranza. Succede ad Andrea Melodia che ha completato due mandati consecutivi. L’assemblea ha inoltre eletto due vice presidenti: Donatella Trotta dell’Ucsi Campania e Antonello Riccelli dell’Ucsi Toscana. E' stato inoltre eletto segretario Maurizio Di Schino, dell'Ucsi Lazio. Alessandro Gisotti ha intervistato Vania De Luca subito dopo l’elezione a presidente Ucsi: 

R. – La sigla dell’Ucsi è una sigla storica. Questa associazione è stata fatta da uomini e donne che hanno avuto non solo visibilità, ma una grossa credibilità, sia nel panorama cattolico che nel panorama pubblico, relativamente agli organismi di categoria, al mondo del giornalismo italiano. Il fatto di essere la prima donna presidente, forse in questo momento, è una responsabilità in più. Ho a cuore quello che Papa Francesco ha chiesto recentemente e cioè che le donne dicano come vedono la realtà, perché loro guardano da una ricchezza differente! Le donne giornaliste, che a questo sguardo particolare e diverso devono accompagnare poi la parola, in tempi come questi - l’Anno Santo della Misericordia - possono costruire ponti, occasioni di incontro e di dialogo con tutti. Ecco, forse, questa è una responsabilità in più: essere testimoni di una volontà di dialogo con tutti.

D. – Fin dal suo primo messaggio per le Comunicazioni Sociali, Francesco ha sottolineato che per lui il potere della comunicazione è nella prossimità. Come accogliere questa sfida nel concreto di un lavoro giornalistico e di comunicatore?

R. – Noi oggi corriamo un grosso rischio: di fare cioè i giornalisti di desk, di fare i giornalisti dietro le scrivanie, perché le tecnologie ci portano in casa le notizie, ci portano in casa le immagini. Invece di Papa Francesco, tra le cose che mi piacciano, ci sono quelle suole delle scarpe un po’ consumate, quell’andare cioè sempre fuori, in giro, camminare, andare anche nei posti più lontani della terra, nelle periferie, rendendole così centrali. Questo è quello che dobbiamo fare anche noi giornalisti: dobbiamo, in qualche modo, non aver paura di quella prossimità, che vuol dire esserci fisicamente nell’incontro con le realtà, con le situazioni, con le storie, con quei fatti che dobbiamo poi raccontare attraverso il nostro lavoro.

D. – Parlando all’Ucsi, il cardinale Parolin ha detto che il compito "più nobile" della comunicazione e del giornalismo è "dare voce a chi non ne ha”. Poi ha aggiunto che nell’era di Internet "non è tanto importante arrivare prima, ma arrivare meglio”…

R. – Sono le sfide del nostro lavoro! Forse bisogna fare tutte e due: cercare di arrivare presto, però bisogna anche arrivare bene. E allora se si deve scegliere, la cosa più importante è comunque arrivare bene. Noi lavoriamo con le parole, sono il nostro strumento, sia per chi scrive, sia per chi racconta a voce; e noi sappiamo come le parole possano ferire, ma sappiamo anche come le parole possano costruire e possano, a volte, essere un balsamo per le tante ferite dell’umanità di oggi. Penso alle guerre, penso a conflitti di ogni genere, penso anche ai giovani che non hanno prospettive; penso a quella fascia di esclusione così larga che vede tanti al di fuori dei circuiti in qualche modo... Ecco, noi con le nostre parole, con il nostro sguardo, con il nostro lavoro possiamo aiutare percorsi di inclusione a tutti i livelli.

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Al cinema, "Suffragette, le donne che hanno cambiato il mondo"

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E’ arrivato nei cinema “Suffragette - Le donne che hanno cambiato il mondo”, il film della regista Sarah Gavron dedicato alle attiviste inglesi che nei primi decenni del secolo scorso lottarono, anche con gesti eclatanti e molti sacrifici, a favore del suffragio elettorale alle donne. Il servizio di Luca Pellegrini: 

Clip del film
(Emmeline Pankhurst)
“Non sottovalutate mai il potere che abbiamo di essere artefici del nostro destino. Non ci hanno lasciato alternative! Ribellatevi a questo governo!”
(Una attivista)
“Voto alle donne!”

Negli occhi abbiamo ben altre immagini, più allegre e spensierate. Non certo quelle di un gruppo di donne molto determinate e di grande forza nel sopportare violenze, arresti e umiliazioni. Sono le suffragette del 1903, donne inglesi che danno vita a una lotta senza quartiere per ottenere uno dei diritti universali loro negato, quello del voto. Nelle strade e nelle case, nei palazzi e nelle fabbriche, le attiviste dell'"Unione sociale e politica delle donne", creata da Emmeline Pankhurst - nel film interpretata da Meryl Streep -, seppero catalizzare l'attenzione della società e dei media, dei detrattori e dei politici. Nel 1918 fu loro finalmente concesso, dopo aver testimoniato valore e coraggio durante le tragedie della Grande Guerra, di entrare in un seggio elettorale, ma al compimento del trentesimo compleanno, mentre il suffragio universale arriverà dieci anni dopo e in Italia soltanto nel 1945, mentre in molti Paesi di cultura araba è ancora totalmente ignorato. Il bel film di Sarah Gavron innesta queste vicende e questo clima nella storia di Maud - bravissima Carey Mulligan -, che lavora sfruttata in una lavanderia, si avvicina al movimento, ne diventa protagonista e assiste al sacrificio risolutore di Emily durante il derby di Epson, colpita dal cavallo di re Giorgio V, gesto eclatante che ebbe risonanza mondiale, cui seguirono le commoventi esequie della ragazza a Londra, il 14 giugno 1913. Incontrando la regista inglese, le abbiamo chiesto che cosa secondo lei dice alle donne di oggi il suo film:

R. – I think it’s a reminder of how a hundred years ago these women, how hard they fought …
Credo che sia un richiamo per ricordare quanto sia stata dura la lotta delle donne, un centinaio di anni fa, per ottenere il diritto di voto e come da poco questo voto esiste in tutto il mondo e quanto sia importante usare questo voto. Spero che questo film sollevi molti dibattiti sulla società attuale, nella quale in alcuni luoghi le donne hanno molto diritti e in alcun luoghi hanno molti pochi diritti. Ecco, spero che stimoli una serie di discussioni …

D. - Certo l'immagine delle suffragette è davvero sorprendente...

R. – I know, I too was surprised. I mean, I wasn’t taught about them at school and I knew Mary Poppins …
Lo so, anche io ne sono stata sorpresa. Non lo abbiamo imparato a scuola e io conoscevo soltanto il film di Mary Poppins, dove c’è la signora Banks che è una suffragetta – ovviamente, lei è una caricatura di suffragetta … Io non sapevo che le donne erano finite in prigione, avevano fatto lo sciopero della fame e nemmeno che erano state alimentate a forza; non sapevo che avevano dovuto affrontare tanta brutalità da parte della polizia. Tutto questo mi era nuovo, quanto si erano spinte oltre, fino a commettere veri atti di disobbedienza civile. Tutto questo è stato sorprendente e scioccante e dimostra fino a dove sarebbero state disposte ad arrivare.

D. - Secondo lei ha ancora un significato la festa dell'8 marzo dedicata alla donna?

R. - I think March 8th is a great opportunity to have some media attention on women’s rights, …
Credo che l’8 marzo sia una buona occasione per richiamare un po’ l’attenzione dei media sui diritti delle donne, per ricordare ai giovani la loro storia. La mia speranza è che la gente si senta incoraggiata a compiere azioni piccole e grandi: se vedono intorno a sé ineguaglianza, che si sentano incoraggiati a denunciarla; che si tratti di impostare una società e mettere insieme un gruppo. In qualunque modo si faccia, credo che sia utile diffondere queste idee in maniera più silenziosa o più forte. Fondamentalmente, credo che la cosa più importante sia l’idea che i governi possono cambiare la legislazione, che le cose possono cambiare e si possono aiutare le donne in maniera molto profonda. Ma anche le piccole azioni contano tanto.

D. - Come è stata l'accoglienza del film da parte del pubblico femminile?

R. – It’s been very positive. I also hope that men see it. I think it’s as important that men see it as women. …
E’ stata molto positiva. Spero tanto che anche gli uomini lo vedano. Credo che sia altrettanto importante, che lo vedano gli uomini, oltre che le donne. Lei sa che molti studi affermano ormai che l’uguaglianza tra i sessi fa bene a tutti, non solo alle donne. Spero anche che il film riesca ad andare al di là dell’eguaglianza tra i sessi e che parli delle disuguaglianze in tutti i sensi, perché nel film c’è un concetto universale di uguaglianza. Intanto, sì, le donne hanno risposto molto positivamente a questo film.

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Nella Chiesa e nel mondo



Suore uccise in Yemen. Mons. Ballin: non si uccide in nome di Dio

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“Più la Chiesa è vicina a Gesù Cristo, più partecipa della sua passione”. Così mons. Camillo Ballin, vicario apostolico per l’Arabia Settentrionale, commenta l’uccisione di quattro Missionarie della Carità avvenuta due giorni fa in Yemen, nel corso di un attacco terroristico sferrato contro una residenza per anziani e disabili affidata alle cure delle suore di Madre Teresa di Calcutta. Nel corso degli scontri, sono rimaste uccise anche altre dodici persone. Si tratta di “un segno che questa Congregazione è molto vicina è Gesù Cristo, perché chi si avvicina a Gesù Cristo si avvicina anche alla sua Croce”, sottolinea mons. Ballin, citato dall’agenzia Sir.

Uccidere in nome di Dio è inaccettabile
“Le suore trucidate - aggiunge il presule - stavano dando la loro vita per servire anziani e disabili. Già nel 1998 tre Missionarie della Carità erano state massacrate a bastonate. Ho potuto vedere i loro volti sfigurati dai colpi di bastone. Vuol dire che davvero questa Congregazione segue Gesù da vicino, e può indicare la strada anche per noi che apparteniamo ad altre famiglie religiose”. Riguardo alla matrice della strage, il Vicario dell’Arabia Settentrionale invita a non cedere alle manipolazioni di chi punta a criminalizzare tutto l’Islam in maniera indistinta: “Uccidere in nome di Dio - ripete mons. Ballin - è una cosa tremenda che nessun musulmano autentico può accettare. A compiere questi crimini disumani sono individui dominati da una ideologia che squilibra la persona umana”.

Apprensione per il sacerdote salesiano Tom Uzhunnalil
Intanto, è alta l’apprensione per il sacerdote salesiano indiano Tom Uzhunnalil, forse rapito dallo stesso commando che ha ucciso le quattro suore. “La situazione è ancora incerta e non siamo in grado di fornire dettagli più specifici”, spiega in una nota il vicario del Rettor maggiore dei Salesiani, don Francesco Cereda. “Siamo in costante contatto con le autorità locali e con la sua Ispettoria di riferimento - aggiunge - per ricevere gli aggiornamenti relativi alle indagini, con nel cuore il sentimento di poter presto riabbracciare il nostro confratello”. “La preghiera sentita e profonda è per padre Tom Uzhunnalil nella speranza che possa essere rapidamente tra noi a continuare il prezioso servizio che svolgeva presso la sua missione”, scrive ancora don Cereda”. 

Ogni goccia di sangue versato sia seme di pace
Il pensiero della Famiglia salesiana va, poi, “alle quattro Missionarie della Carità e ai civili che hanno visto la loro vita stroncata da una violenza insulsa, nella speranza fondata che in Cristo ogni goccia di sangue versato sia seme di frutti di pace per il popolo che stavano servendo”. “Come don Bosco e Madre Teresa hanno fatto del servizio agli ultimi la missione della propria vita e la strada per la propria santità - conclude don Cereda - così il nostro restare in luoghi segnati dalla divisione e dalla povertà testimonia la fede nel messaggio cristiano che da ogni croce sgorga la Risurrezione”. Intanto, un comunicato diffuso dalla rete di al Qaeda nella penisola arabica e rilanciato dai media arabi nega ogni coinvolgimento del gruppo jihadista nella strage nella casa di cura di Aden. (I.P.)

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Elezioni Slovacchia: socialdemocratici primo partito, ma in netto calo

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I socialdemocratici (Smer) del premier uscente Robert Fico si confermano come primo partito con il 28% dei voti, alle elezioni politiche svoltesi sabato in Slovacchia. Il partito di governo esce però fortemente ridimensionato e i risultati complessivi delle elezioni consegnano un Parlamento frammentato che renderà difficile la formazione di una maggioranza.

I socialdemocratici dovrebbero avere 49 seggi su 150, mentre nella precedente legislatura ne avevano 83. Seguono i liberali di SeS con 21 seggi, i conservatori di Olano-Nova con 19 seggi, i nazionalisti di Sns con 15 seggi e l'estrema destra "Nostra Slovacchia" entra per la prima volta in Parlamento con 14 seggi, la minoranza ungherese 11 seggi, i conservatori di Sme-Rodina 11 seggi, i centristi di Siet hanno 10 seggi. Non entrano in Parlamento i democristiani Kdh, che non hanno superato per pochi voti lo sbarramento del 5%. "Lo Smer ora è obbligato a formare un governo stabile e che funzioni, ma non sarà facile", ha detto Fico. (M.G.)

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Primarie Usa: Ted Cruz emerge come l'avversario di Trump

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Ted Cruz emerge come l’avversario di Donald Trump fra i repubblicani, quest’ultimo ha vinto in due Stati su quattro mentre fra i democratici Bernie Sanders non molla. Queste sono le indicazioni venute dal “Super sabato” delle primarie in America, nella corsa alla nomination dei due partiti. 

Gli elettori repubblicani hanno votato in quattro Stati: Kansas, Maine, Kentucky e Lousiana, oltre alle Samoa americane. Nei primi due ha vinto in maniera piuttosto netta Cruz, mentre i secondi due sono andati a Trump, con margini minori. Rubio è andato male su tutti i fronti, al punto che alla fine della serata Donald lo ha apertamente sollecitato a ritirarsi. Mentre Cruz ha invitato tutti gli altri candidati repubblicani a ritirarsi per concentrare le forze su di lui: “Dobbiamo essere uniti contro Trump”, ha affermato. Trump ha risposto dicendo che anche lui vorrebbe sfidare da solo Cruz, per questo motivo: “Ted ha vinto qualche Stato, ma non mi batterebbe mai in quelli grandi, come New York, Florida, New Jersey, Pennsylvania, California. Non vedo l’ora di scontrarmi solo contro di lui”.

I democratici, invece, sono andati alle urne in Kansas, e Nebraska, dove ha vinto Sanders, e in Louisiana, che invece è andata a Hillary Clinton, la quale mantiene il suo sostanziale vantaggio su Bernie Sanders. (M.G.)

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Libia: rientrati in Italia i due ostaggi liberati

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Sono rientrati alle cinque di questa mattina in Italia i due tecnici italiani rapiti in Libia, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno. I due sono stati accolti all’aeroporto di Ciampino dall’abbraccio dei loro familiari e in mattinata sono stati sentiti dai pm di Roma, titolari dell'inchiesta sui fatti avvenuti in Libia. Le indagini sono state aperte a luglio quando gli ex ostaggi insieme ai colleghi Failla e Piano, tragicamente uccisi il giorno prima del rilascio di Pollicardo e Calcagno, furono rapiti nel terminale Eni di Mellita.

La moglie di Salvatore Failla, uno degli ostaggi uccisi i corpi dei quali sono ancora in Libia, ha lanciato forti accus: "Lo Stato italiano ha fallito: la liberazione di Pollicardo e Calcagno è stata pagata con il sangue di mio marito". “La Libia non tocchi il corpo – ha aggiunto la signora Failla -, l’autopsia in Italia”. Infine il governo di Tripoli ha detto che non accetterà mai alcun intervento militare straniero in Libia. In un’intervista al "Sole 24 Ore", il ministro degli Esteri italiano Gentiloni frena a sua volta su un intervento militare nel Paese africano. (M.G.)

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Caritas svizzera moltiplica gli aiuti per i rifugiati in Grecia

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Ammontano a 500 mila franchi, pari a circa 460 mila euro, i fondi che la Caritas Svizzera ha donato in aiuto ai rifugiati e agli sfollati che arrivano in Grecia. Tale stanziamento porta, così, a 2,5 milioni di franchi (ovvero 2,3 milioni di Euro) il totale del sostegno offerto finora dall’organismo caritativo elvetico ai tanti profughi che sbarcano sulle coste elleniche, in fuga da guerre e situazioni di povertà estrema.

Particolare attenzione per madri, anziani, malati e disabili
La Caritas elvetica sta distribuendo i suoi aiuti in cooperazione con gli omologhi organismi di Lesbo, Atene e Idomeni. “I soccorsi – informa una nota – sono destinati in particolare alle persone più vulnerabili, come le madri, le donne incinte, i malati e gli anziani”. Secondo le stime delle autorità locali, a causa del blocco delle frontiere sulla rotta dei Balcani, circa 30 mila rifugiati si sono diretti verso la Grecia. Ma si tratta di cifre destinate ad aumentare ogni giorno e che potrebbero vedere fino 100 mila persone rifugiarsi nel Paese ellenico.

Caritas operativa a Lesbo, Atene e Idomeni
Sull’isola di Lesbo, in particolare, la Caritas Svizzera opera in un albergo, nel quale presta aiuto nei confronti dei disabili e delle famiglie con figli piccoli. Ad Atene, invece, la Caritas gestisce due centri di accoglienza destinati a gruppi di rifugiati particolarmente vulnerabili, mentre a Idomeni, al confine tra la Grecia e la Macedonia, l’organismo caritativo si occupa delle infrastrutture sanitarie e igieniche e sostiene le missioni di primo soccorso. (I.P.)

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Vescovi della California: sì a cittadinanza immigrati

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Aiutare i latinoamericani residenti in modo permanente negli Stati Uniti ad ottenere la cittadinanza: questo l’obiettivo della campagna lanciata dai vescovi della California, al temine della loro riunione svoltasi, a fine febbraio, ad Anaheim. “La Chiesa cattolica negli Stati Uniti – ha spiegato l’arcivescovo di Los Angeles, mons. José Gomez – ha sempre aiutato gli immigrati privi di documenti e sappiamo che milioni di latinoamericani potrebbero già ottenere la cittadinanza statunitense”.

Appello per una riforma migratoria integrale
Di qui, l’incoraggiamento lanciato dal presule a tutti i migranti affinché non abbiano timore e si avvicinino alla Chiesa dove, tramite la Caritas, potranno ricevere la giusta assistenza legale e riuscire, così, ad ottenere la cittadinanza. Da ricordare, inoltre, che la campagna per la cittadinanza si somma agli sforzi che la Chiesa cattolica sta compiendo da tempo per intercedere in favore di una riforma migratoria integrale negli Stati Uniti, così da regolarizzare la situazione di circa 11 milioni di persone prive di documenti.

Ogni persona, con o senza documenti, ha valore davanti di Dio
"Ogni persona, con o senza documenti – ha sottolineato mons. Gomez – vale molto agli occhi di Dio. Per questo, insistiamo tanto con il governo degli Stati Uniti affinché trovi una soluzione al problema migratorio”. Dal suo canto, mons. David O’Connell, vescovo ausiliare di Los Angeles, ha ricordato che, seguendo le esortazioni lanciate da Papa Francesco durante il suo recente viaggio apostolico in Messico, lo scorso febbraio, “i cattolici degli Stati Uniti lavorano per edificare ponti e non per costruire muri che dividono”.

Chiesa cattolica accompagna i migranti nelle loro sofferenze
“Le persone senza documenti – ha aggiunto il presule – devono sentire che la Chiesa cattolica le sta accompagnando, nelle loro sofferenze”. Di qui, l’invito rivolto a tutti i possessori di green card, ovvero del permesso di soggiorno, a recarsi nelle parrocchie dove “potranno ricevere le giuste informazioni per ottenere la cittadinanza”. (I.P.)

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Grande Concilio e rifugiati al centro del Sinodo ortodosso di Creta

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Il Concilio panortodosso e la questione dei migranti: sono stati questi i temi principali al centro del Sinodo della Chiesa ortodossa di Creta, svoltosi il 3 marzo ad Heraklion. In particolare, i partecipanti all’incontro hanno riflettuto sui preparativi del grande Concilio che si terrà proprio sull’isola dal 16 al 27 giugno prossimo. Lo riferisce il sito web Orthodoxie.com

Offrire assistenza ai rifugiati, a prescindere da razza o religione
Riguardo al tema dei rifugiati, gli ortodossi di Creta lo hanno definito “una questione scottante e dalle dimensioni inquietanti”, considerata anche la portata che tale fenomeno ha per l’isola. Per questo, è stato lanciato un appello alle autorità e agli organi competenti affinché facciano “fronte comune” nei riguardi di tale problema, con “azioni e decisioni necessarie”. Dal canto loro, gli organismi ecclesiali, “come già avvenuto in passato, offriranno assistenza ai fratelli e alle sorelle così duramente provati e sofferenti, indipendentemente dalla loro razza e dalla loro religione”.

Annunciata enciclica sul tema della cremazione dei defunti
Centrale, durante i lavori sinodali, anche la questione della cremazione dei defunti: il parlamento ellenico, infatti, ha recentemente votato una legge che consente questa pratica. A tal proposito, la Chiesa ortodossa ha ricordato al popolo cretese, “conosciuto per la sua fede ed il suo amore verso la tradizione ortodossa, che l’inumazione dei defunti costituisce un elemento della propria civiltà e della propria identità, oltre a esprimere il rispetto verso il carattere sacro del corpo umano”. Per questo, il sinodo ha deciso di dedicare a questo argomento un’enciclica specifica, così da “informare il popolo di Dio al riguardo”.

Vivere la Grande Quaresima con vero pentimento
La pubblicazione del documento è prevista per la terza domenica di Quaresima che, nella Chiesa ortodossa, ricorrerà il 17 aprile prossimo. Infine, in vista della Grande Quaresima, il sinodo di Creta ha esortato i fedeli a vivere con vero pentimento tale periodo, affinché tutti possano essere “trovati degni di festeggiare nella gioia spirituale e nella speranza la risurrezione di nostro Signore”, che la Chiesa ortodossa celebrerà domenica 1.mo maggio. (I.P.)

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Arcivescovo Toronto: no eutanasia, promuovere cure palliative

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“Morire non è la stessa cosa di essere uccisi”: si apre così la dichiarazione diffusa dal cardinale Thomas Collins, arcivescovo di Toronto, in Canada, riguardante il dibattito nazionale sull’eutanasia. Lo scorso 25 febbraio, infatti, il “Comitato speciale del governo canadese sull’aiuto medico a morire” ha pubblicato un rapporto intitolato “L’aiuto medico a morire: un approccio incentrato sul paziente”.

Uccidere non è una cura medica 
In tale rapporto governativo si raccomanda che “il suicidio assistito sia accessibile alle persone affette da patologie psichiatriche; che le sofferenze psicologiche rientrino tra i criteri che danno diritto a tale pratica; che, nell’arco di tre anni, il suicidio assistito sia accessibile anche ai minori di 18 anni; che tutti i professionisti del settore sanitario siano obbligati ad orientare correttamente i pazienti che chiedono il suicidio assistito; che tutte le strutture sanitarie sovvenzionate dallo Stato canadese offrano tale pratica”. Di conseguenza, sottolinea il cardinale Collins, “a breve, uccidere un paziente non sarà più considerato un crimine, bensì sarà visto come una sorta di cura medica, approvata e regolamentata dalla legge”.

Non permettere obiezione di coscienza significa discriminazione religiosa
Non solo: il porporato evidenzia come “la richiesta, per un medico che rifiuti di uccidere un paziente, di garantire che qualcun altro lo faccia al posto suo, è una grave violazione della coscienza che non si verifica in nessun altro Paese al mondo”. “È ingiusto – ribadisce l’arcivescovo di Toronto – forzare le persone ad agire contro la propria coscienza” perché è un atto di “intolleranza e di discriminazione religiosa che punisce coloro che si mettono al servizio dei bisognosi”. In questo caso, “uno Stato che oltrepassa il suo legittimo ruolo – aggiunge il porporato – è uno Stato che sopprime i diritti della coscienza”.

Cure palliative siano accessibili a tutti
Poi, il cardinale Collins richiama l’importanza delle cure palliative: al momento, “esse sono accessibili solo al 30 per cento della popolazione” e questa è “la vera tragedia, inaccettabile”. “Invece di trovare i modi per accelerare la morte, allora – è il richiamo del porporato – bisognerebbe far sì che le cure palliative siano accessibili a tutti i canadesi, in particolare a coloro che soffrono di malattie mentali o che sono tentati dal suicidio”.

Tutelare dignità umana intrinseca in ogni persona
Quindi, il porporato si sofferma sul valore intrinseco della persona che “non deriva da cosa può fare, ma dalla sua dignità intrinseca in quanto essere umano”. Se invece, che “si fa dipendere la dignità della persona dalle sue capacità funzionali, la società entra in un territorio pericoloso in cui le persone vengono considerate meri oggetti, da scartare se ritenuti inutili”. La nota del porporato si conclude, quindi, con l’appello a “tenere a mente la dignità inerente ad ogni persona” ed a “comprendere fino in fondo le implicazioni distruttive di simili proposte normative”, di fronte alle quali bisogna offrire “alternative di vero amore e di vera misericordia”. (I.P.)

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Ccee: per l'Europa nuove sfide nella catechesi

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Le nuove sfide della catechesi in Europa, tra nuovi media, preparazione ai Sacramenti e l’aumento di catecumeni connesso al fenomeno migratorio. Sono questi i temi principali su cui si sono confrontati a Malta, dal primo al 4 marzo, venticinque responsabili nazionali per la catechesi di 18 Conferenze episcopali del Vecchio Continente. Durante l’incontro - promosso dalla sezione “catechesi” della Commissione Ccce “Catechesi, Scuola e Università” – si è discusso innanzitutto di catecumenato e si è constatato che in questo ambito, sempre più la distinzione tra primo annuncio e ri-evangelizzazione tende ad attenuarsi.  

Aumento dei catecumeni connesso a fenomeno migratorio
In alcuni Paesi, l’aumento di catecumeni è strettamente connesso al fenomeno migratorio e a quello delle conversioni. In effetti, è in aumento il numero di migranti e/o rifugiati di religione musulmana che chiedono il Battesimo o di accostarsi semplicemente al cristianesimo. Il fenomeno è molto complesso e ha radice molto profonde da rintracciare nella formazione della propria identità religiosa. La sfida in questi casi sta anche nel discernere il vero cammino di fede, dalla giusta volontà d’integrazione o addirittura dalla speranza che la nuova “identità cristiana” possa favorire l’ottenimento di documenti o lo status di rifugiato.

La catechesi non sia limitata nell'ambito della parrocchia
Altro tema ricorrente è stato quello della relazione tra catechesi e identità ecclesiale: oltre alla preparazione ai Sacramenti e alla trasmissione del contenuto di fede, la catechesi è chiamata oggi a investire di più sul senso e le modalità di appartenenza ecclesiale. Spesso evocato è stato inoltre il tema del Battesimo dei bambini alla luce del documento Pastoralis Actio. In molti rapporti è stato poi sottolineato il ruolo che hanno i media nella catechesi, nella trasmissione e nell’annuncio cristiano, così come la catechesi alle persone con diverse abilità che ha compiuto molti passi negli ultimi anni. Se la parrocchia è il luogo privilegiato dove si svolge la catechesi, è emerso anche l’enorme sforzo della Chiesa di svolgere la catechesi in altri luoghi.

Spazio alla pastorale giovanile nel mondo digitale
A Malta è stato centrale anche il tema della pastorale giovanile nel mondo digitale e multimediale. Su questo è intervenuta suor Nathalie Becquart, responsabile del servizio nazionale per l’evangelizzazione dei giovani e le vocazioni (Conferenza episcopale francese). La relatrice ha messo in evidenza la varietà e la creatività dei giovani-adulti, i “digital native”, a favore della pastorale dei propri coetanei. I social media e le nuove tecnologie permettono infatti lo sviluppo di un modello di pastorale partecipativa che tiene conto dei cambiamenti in atto. L’operatore pastorale è chiamato ora a comprendere la sua presenza nella Rete come parte integrante della sua missione.
Dal punto di vista pastorale, la pervasività dei nuovi media e l’importanza che assumono presso i giovani, definiti ‘individualisti solidali e collaborativi’ richiede una vera e propria opera di inculturazione, basata innanzitutto sull’ascolto, e uno stile evangelico 2.0 che privilegia la co-partecipazione, la co-produzione e la co-responsabilità, dove il rapporto tra catechista e giovane non è solo verticale, ma soprattutto orizzontale.

Prossimo appuntamento a Barcellona nella primavera del 2017
Infine, i lavori hanno visto un lungo tempo di riflessione attorno al documento di lavoro per il prossimo Simposio sull’accompagnamento dei giovani nel loro cammino di fede che si svolgerà a Barcellona nella primavera del 2017. I lavori, guidati da don Michel Remery, Vice Segretario Generale del Ccee e da padre Luc Mellet, segretario della sezione “Catechesi” della Commissione Ccee, hanno visto anche la partecipazione di mons. Franz-Peter Tebartz-van-Elst, responsabile per la catechesi del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, e di mons. Charles Scicluna, Arcivescovo di Malta. (M.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 66

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.