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Sommario del 07/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Ermes Ronchi: la Chiesa liberi i credenti dalla paura di Dio

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Seconda giornata di esercizi spirituali per il Papa e la Curia Romana nella Casa del Divin Maestro di Ariccia. Le meditazioni quaresimali, guidate da padre Ermes Ronchi, dell’Ordine dei Servi di Maria, sono centrate sulle domande del Vangelo. Stamattina  ha commentato il passo della tempesta sedata in cui Gesù chiede ai discepoli: «Perché avete paura, non avete ancora fede?» ( Mc, 4, 40). Il servizio di Sergio Centofanti

La paura è una mancanza di fiducia in Dio
“Paura e fede” – ha affermato padre Ermes Ronchi - sono “le due antagoniste che si disputano eternamente il cuore dell’uomo. La Parola di Dio, da un capo all’altro della Bibbia, conforta e incalza, ripetendo infinite volte: non temere. Non avere paura!”. La paura – sottolinea – non è tanto assenza di coraggio quanto “una mancanza di fiducia”. E’ paura di Dio perché abbiamo un’immagine sbagliata di Lui, come Adamo ed Eva che credono in “un Dio che toglie e non in un Dio che dona”:

“Credono a un Dio che ruba libertà, invece che offrire possibilità; credono a un Dio al quale importa più la sua legge che non la gioia dei suoi figli; un Dio dallo sguardo giudicante, da cui fuggire anziché corrergli incontro; un Dio, in fondo, di cui non fidarsi. Il primo di tutti i peccati è un peccato contro la fede. E dall’immagine sbagliata di Dio nasce la paura delle paure: dal volto di un Dio temibile discende il cuore impaurito di Adamo. E entrambi Gesù è venuto a riempire di luce, di  sole”.

Dio non ci salva dalla croce, ma nella croce
C’è la paura della tempesta, quando ci sentiamo abbandonati e “Dio sembra dormire” mentre “noi vorremmo che intervenisse subito”. Ma lui interviene, è lì, accanto a noi:

Dio non agisce al posto nostro, non ci toglie dalle tempeste ma ci sostiene dentro le tempeste. Mi aiuta tanto questa frase di Bonhoeffer: Dio non salva dalla sofferenza ma nella sofferenza, non protegge dal dolore ma nel dolore, non salva dalla croce, ma nella croce (…) Dio non porta la soluzione dei nostri problemi, porta se stesso e dandoci se stesso ci dà tutto. Forse pensavamo che il Vangelo avrebbe risolto i problemi del mondo o almeno che sarebbero diminuite le violenze e le crisi della storia, invece non è così. Anzi il vangelo ha portato con sé rifiuto, persecuzioni, altre croci: pensiamo alle 4 sorelle uccise a Aden”.

La Chiesa per lungo tempo ha trasmesso una fede impastata di paura
“Gesù – osserva padre Ermes Ronchi -  ci insegna che c’è un solo modo per vincere la paura: è la fede!”. E missione della Chiesa, anche al suo interno, è liberare dalla paura che ci fa indossare  maschere diverse con i nostri familiari, con i collaboratori, con i superiori. Chi trasmette la fede deve educare a non avere paura, non far paura e liberare dalla paura:

“Per un lungo tempo la Chiesa ha trasmesso una fede impastata di paura. Che ruotava attorno al paradigma colpa/castigo, anziché su quello di fioritura e pienezza. La paura è nata in Adamo perché non ha saputo neppure immaginare la misericordia e il suo frutto che è la gioia (...) La paura invece produce un cristianesimo triste, un Dio senza gioia. Liberare dalla paura significa operare attivamente per sollevare questo sudario della paura posato sul cuore di tante persone: la paura dell’altro, la paura dello straniero. Passare dall’ostilità, che può essere anche istintiva, all’ospitalità, dalla xenofobia alla filoxenia (…) e liberare i credenti dalla paura di Dio, come hanno fatto lungo tutta la storia sacra i suoi angeli: essere angeli che liberano dalla paura”.

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Esercizi spirituali: Dio è gioia, ma noi lo facciamo morire di noia nelle chiese

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Sono iniziati ieri pomeriggio, nella Casa del Divin Maestro di Ariccia, gli Esercizi spirituali di Quaresima per il Papa e la Curia Romana. A guidare le meditazioni è il sacerdote friulano Ermes Ronchi, dell’Ordine dei Servi di Maria. Gli esercizi - che si concluderanno venerdì prossimo - sono stati aperti dall’adorazione eucaristica.

Le domande di Gesù sono l'altro nome della conversione
“Le nude domande del Vangelo” è il tema delle meditazioni. La prima domanda affrontata dal religioso è tratta da un brano del Vangelo di Giovanni: «Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: Che cosa cercate?». "La proposta per questi giorni insieme - ha detto il padre servita - è di fermarci in ascolto di un Dio di domande: non più interrogare il Signore, ma lasciarci interrogare da Lui. E invece di correre subito a cercare la risposta, fermarci per vivere bene le domande, le nude domande del Vangelo. Amare le domande, esse sono già rivelazione". "Le domande sono (...) l’altro nome della conversione".

Le domande coinvolgono e lasciano liberi
"Gesù - ha detto padre Ronchi - educa alla fede attraverso domande, ancor più che attraverso parole assertive". I quattro vangeli - ha proseguito - riportano oltre 220 domande del Signore: “La domanda è la comunicazione non violenta, che non mette a tacere l’altro ma rilancia il dialogo, lo coinvolge e al tempo stesso lo lascia libero. Gesù stesso è una domanda. La sua vita e la sua morte ci interpellano sul senso ultimo delle cose, ci interrogano su ciò che fa felice la vita. E la risposta è ancora Lui”.

La passione per Dio nasce dallo scoprire la bellezza di Cristo
Gesù – ha rilevato il religioso - chiede quale sia il mio desiderio più forte: “non chiede innanzitutto rinunce o sacrifici, non chiede di immolarsi sull’altare del dovere o dello sforzo, chiede prima di tutto di rientrare nel cuore, di comprenderlo, di conoscere” che cosa desidero di più, cosa mi fa felice. Cercare la felicità è cercare Dio e “la passione per Dio – spiega padre Ermes - nasce dall’aver scoperto la bellezza di Cristo. Dio mi attira non perché onnipotente, non mi seduce perché eterno o perfetto” ma “mi seduce con il volto e la storia di Cristo, l’uomo dalla vita buona bella e beata, libero come nessuno, amore come nessuno mai. Lui è la bella notizia che dice: è possibile vivere meglio, per tutti. E il Vangelo ne possiede la chiave”.

Il nome di Dio è gioia, libertà, pienezza
La fede è cercare “un Dio sensibile al cuore, uno che fa felice il cuore, il cui nome è gioia, libertà e pienezza. Dio è bello. Sta a noi annunciare un Dio bello, desiderabile, interessante”. Forse – ha aggiunto - “abbiamo impoverito il volto di Dio, talvolta l’abbiamo ridotto in miseria, relegato a rovistare nel passato e nel peccato dell’uomo. Forse un Dio che si venera e si adora, ma non quello coinvolto e coinvolgente, che ride e gioca con i suoi figli”.

Dio può morire di noia nelle nostre chiese, restituiamogli il suo volto solare
“Ogni uomo – ha concluso padre Ermes Ronchi - cerca un Dio coinvolgente. Dio può morire di noia nelle nostre chiese. Restituiamogli il suo volto solare, un Dio da gustare e da godere, desiderabile. Sarà come bere alle sorgenti della luce, agli orli dell’infinito. Che cosa cercate? Per chi camminate? Cerco un Dio desiderabile, cammino per uno che fa felice il cuore”. (A cura di Sergio Centofanti)

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Papa, tweet: durante Giubileo promuovere il rispetto della vita

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Il Giubileo della Misericordia è occasione propizia per promuovere nel mondo forme di rispetto della vita e della dignità di ogni persona”.

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Mons. Bregantini: con Francesco, sinodalità dalla cattedra alla strada

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Tre anni con Papa Francesco. Ricorre domenica prossima il terzo anniversario dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio alla Cattedra di Pietro. Anche questo terzo anno di Pontificato è stato vissuto con straordinaria intensità da Francesco. Dal Sinodo sulla Famiglia alla Laudato si’, dai viaggi apostolici a ovviamente il Giubileo della Misericordia, il Pontefice prosegue sulla strada tracciata fin dalla sera dell’elezione: un pastore che cammina assieme al popolo verso l’incontro con il Signore. Alessandro Gisotti ne ha parlato con mons. Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano: 

R. – La cosa che ho apprezzato immensamente è la Laudato si’; sento che questo è un documento di  grandissimo valore e contemporaneamente la stabilizzazione sempre più intensa dell’Evangelii gaudium, anche dopo il suo intervento così magistrale a Firenze, al Convegno ecclesiale nazionale. Poi sul piano fattuale la meravigliosa esperienza della misericordia che entra nel vissuto e che ieri con la parabola del Padre misericordioso abbiamo veramente rigustato in pienezza e abbiamo detto: “Grazie a questo Papa, che ci ha fatto vedere che non è una parabola antica ma è una parola di oggi”. L’altro elemento, il terzo, è l’esperienza dei suoi viaggi.

D. - La misericordia è un po’ la lente attraverso cui possiamo guardare tutta l’azione di Francesco?

R. - Sì, certamente. Sentiamo la lente che ovviamente non è gelida, fredda, ma è il calore del sole che riscalda il mondo di oggi. Se non avessimo la Misericordia come potremmo affrontare il tema della Libia, della Siria e le dinamiche cosi complicate dell’Europa per la quale preghiamo oggi che i muri non si alzino, ma si cominci a ragionare in termini di misericordia!

D. - Papa Francesco ribadisce spesso la necessità di una Chiesa sinodale, una Chiesa che viva “la bellezza del camminare assieme”. Secondo lei che effetti potrà aver questa visone del Papa sulla vita della Chiesa?

R. - Credo che sarà grandissima, noi la stiamo preparando in diocesi. L’incoraggiamento che lui ci ha dato, soprattutto la modalità - che non sia tanto un documento, uno studio apposito - con cui entrare in sintonia tra i sacerdoti, con i fedeli, con i poveri, con il Creato, è una sinodalità allargata: è passata, con il suo appello, da una sinodalità di cattedra a una sinodalità “di strada” come indica veramente la sua parola originaria. Questo ha restituito all’evento del Sinodo nelle diocesi non più qualcosa di gigantesco che produce grossi volumi, ma quel sorriso, quella carezza, quell’accompagnare di cui abbiamo bisogno. Qui rientra la parola esortare, l’esortazione: non è possibile accompagnare senza la parola esortare, ed esortare produce l’accompagnare. Uno dei segni che avrà un impatto crescente è la riforma del tribunale diocesano per la verifica della nullità delle cause matrimoniali. È una modalità di approccio innovativa tra i fedeli e il vescovo tra le famiglie e la comunità, tra le ferite e chi le guarisce. Senti veramente dentro che la misericordia che, anche giuridicamente, diventa un volto nuovo: Misericordiae Vultus.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Martiri che non fanno notizia: all'Angelus il Papa ricorda le quattro suore uccise in Yemen.

Bandiere di una lotta: Emilio Ranzato sul film "Suffragette" con un commento di Giulia Galeotti dal titolo "Di coraggio ce ne volle tanto".

Gabriele Nicolò sulle battaglie di Julia Ward Howe: in un libro appena uscito negli Stati Uniti l'impegno dell'attivista per il diritto al voto.

Gender e vocazione cristiana: Kurt Appel sull'identità sessuale e gli "eunuchi per il Regno dei cieli".

Capolavori e carta da burro: Marcello Filotei ricorda il direttore d'orchestra Nikolaus Harnoncourt.

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Oggi in Primo Piano



Yemen. Le suore dopo la strage: restiamo, non abbandoniamo i poveri

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Le Missionarie della Carità non abbandoneranno la loro opera nello Yemen anche dopo il massacro di quattro loro consorelle e “continueranno a servire i poveri e i bisognosi”. “Madre Teresa - hanno ricordato - è sempre stata negli angoli più remoti del mondo, indipendentemente dalla situazione locale”. Lo riferisce l’Agenzia Fides. Intanto non si hanno ancora notizie di padre Tom Uzhunnalil, il sacerdote salesiano scomparso al momento dell’eccidio nel compound delle suore ad Aden. E’ invece in salvo e in buone condizioni la superiora che non è stata colpita quando, venerdì scorso, il commando di terroristi ha trucidato le 4 suore e 12 tra lavoratori e volontari. Sulla strage delle religiose, che ieri all'Angelus Papa Francesco ha definito martiri nell’indifferenza, Fausta Speranza ha raggiunto telefonicamente l’assistente del vicario apostolico per l’Arabia meridionale, padre Thomas Sebastian: 

R. – Nel convento di Aden c’erano 5 suore e 60 pazienti anziani e altri:  alcuni lavoratori e volontari provenienti dall’Etiopia e dallo Yemen. C’era un sacerdote indiano salesiano. Ora è scomparso, non sappiamo dove sia, se sia stato rapito o se magari si nasconde da qualche parte. Non abbiamo sue notizie. Delle cinque suore, quattro sono state uccise dai terroristi ed una – indiana - è riuscita a fuggire. Le quattro suore uccise provenivano da diversi Paesi: una suora dall’India, due dal Rwanda e una dal Kenya. Queste suore morte sono ancora in ospedale; si stanno organizzando i funerali. Forse i militari le seppelliranno dove sono state sepolte le suore uccise nel ’98. Ma non sappiamo quando, forse tra pochi giorni. L’altra suora che è scappata sta bene, è in buona salute; sarà fatta uscire dallo Yemen tra uno o due giorni e andrà in Oman dove si trova la casa provinciale di queste suore.

D. - Cosa dire dell’eco tra la popolazione di questo eccidio?  

R. – Nei giornali indiani ho visto immagini di una manifestazione, una protesta davanti all’ufficio delle forze di sicurezza, per non aver provveduto ad una sicurezza sufficiente  per salvare le suore e le persone che si trovavano nel convento. Questo significa che la gente ha saputo dell’accaduto anche lì. Non so se ci sono testimoni che hanno visto esattamente cosa è successo. Ciò che  sappiamo lo apprendiamo dai giornali dei vari Paesi e dalla televisione. Ma tutto quello che noi leggiamo non è sempre la verità!

D. - Perché colpire delle suore così dedicate agli ultimi, secondo lei?

R. - Questa è la domanda che si pongono tutti. Forse ci sono nemici dei cristiani che non vogliono la presenza delle suore. Questa è la nostra impressione, perché per il governo non creava nessun problema la presenza dei nostri missionari, suore e sacerdoti. Anche i ribelli che lottano contro il governo non hanno mai avuto problemi con i nostri missionari. Allora chi ha fatto questo? Forse, oltre ai ribelli ci sono altri gruppi che non vogliono la presenza dei sacerdoti e delle suore. Il sacerdote è stato rapito forse per denaro, non lo so; per avviare dei negoziati, non lo so …

D. - La preghiera che ha nel cuore …

R. - Trovare il sacerdote che è stato rapito o che magari si sta nascondendo da qualche parte e portarlo fuori dallo Yemen. Questa è la nostra preoccupazione e il nostro desiderio. Preghiamo per questo.

D. - Pensando a  padre Tom, qual è la caratteristica della sua personalità, del suo impegno?

R. - Questo sacerdote salesiano è un uomo santo. Lui era l’unico sacerdote in quella parte dello Yemen, ad Aden. Aiutava le suore, celebrava la Messa, si prendeva cura di chi aveva bisogno. Celebrava la Messa per le famiglie indiane e cattoliche. Era responsabile anche di altre tre chiese che sono state chiuse durante la guerra. In queste chiese non viene celebrata nessuna cerimonia liturgica. Ad Aden invece il sacerdote risiedeva nel campo delle suore,  dove c’è il Centro per gli anziani, abitava lì ed aiutava come direttore spirituale. E’ un uomo santo: questo è quello che ho sentito dire dalle suore e l’ho anche conosciuto perché lavora nella nostra missione. L’ho visto qui più di una volta, siamo dello stesso Paese e apparteniamo alla stessa diocesi. Viene dall’India, dal Kerala, dalla diocesi di Palai. Lui però è salesiano mentre io sono cappuccino.

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L'Iraq travolto da Is, crisi politica ed economica

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Un nuovo sanguinoso attentato di matrice jihadista - oltre 60 morti  e decine i feriti - ieri nella città di Hilla, un centinaio di chilometri a sud di Baghdad, riporta l’Iraq in primo piano nell’infuocato scenario mediorientale e asiatico, dove massima attenzione è posta, anche giustamente, sulla Siria. Roberta Gisotti ha intervistato Paolo Maggiolini, analista dell’Ispi-Istituto per gli studi di politica internazionale: 

D. – Dott. Maggiolini, possiamo dire che l’Iraq è un po’ dimenticata dalle diplomazie internazionali rispetto alla Siria?

R. – Io credo che dal punto di vista della comunità internazionale l’attenzione sull’Iraq in realtà ci sia. È in corso da mesi l’operazione per espellere il cosiddetto Stato islamico dal territorio iracheno. Sappiamo che nel novembre 2015 è stata liberata Sinjar, dando avvio a questa operazione per tagliare le linee di rifornimento a Mossul e quindi alle varie postazioni dello Stato islamico in Iraq. Si è poi proseguito nel corso dei mesi fino anche a liberare la città di Ramadi nel febbraio scorso. In questo momento, si sta discutendo quale sarà la strategia migliore e le varie operazioni necessarie per arrivare poi alla sede di Mossul e alla liberazione della città, tutt’altro che semplice. È anche per questo che bisognerà mantenere l’attenzione sul Paese. Dall’altra parte, quello che abbiamo visto ieri, e che poi in realtà è parte di altri fatti terroristici che si sono susseguiti nell’ultimo periodo, è probabilmente la reazione dello Stato islamico che cerca di distrarre un po’ le forze e impedire questa concentrazione contro le postazioni più strategiche.

D. – L’Iraq oggi è un Paese travolto dalla lotta all’Is, dalle difficoltà economiche e dalla crisi politica…

R. – Sicuramente. Il problema si pone su molti livelli. Da un certo punto di vista, l’Is stesso ha potuto svilupparsi all’interno dell’Iraq insinuandosi nelle varie pieghe e fratture del Paese. Quindi, l’operazione militare in sé ha un significato politico molto forte riguardo a come verranno gestite la presenza e l’attività delle milizie sciite, a chi effettivamente verrà coinvolto nella liberazione dei territori, con quale patto politico si prometterà o si riuscirà ad avere questo supporto. Dall’altra parte, il rapporto tra il governo centrale e l’Unione del Kurdistan rimane sempre problematico. E su questa linea c’è tutta la questione effettiva di come vengono ripartiti i fondi e le finanze dello Stato centrale. Quindi, in realtà la situazione è tutt’altro che semplice e la questione militare non risolve semplicemente il problema che è prettamente politico, come è all’origine di questa crisi.

D. – Uno scenario completamente aperto. Gli interrogativi sono ancora tutti lì, da avere una risposta…

R. – Lo scenario è aperto. Purtroppo, ci porta a come si intende definire e mantenere lo Stato iracheno, quindi il rapporto tra le sue diverse anime ed interessi tra il governo centrale e le varie istanze locali. È chiaramente all’interno di questo contesto che anche la presenza jihadista si è potuta inserire, ha beneficiato delle fratture e delle incomprensioni. Quindi, una volta risolta la questione militare – non facile perché chiaramente riprendere Mossul è complesso anche in termini di costi, che questa operazione richiederà – c’è anche tutta la questione politica che già adesso vediamo, che ben si conosce e che chiaramente impiegherà le energie più importanti.

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Pyongyang minaccia attacchi nucleari contro Usa e Corea del Sud

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La Corea del Nord minaccia “attacchi nucleari preventivi e offensivi” contro Stati Uniti e Corea del Sud che oggi hanno dato il via ad esercitazioni militari congiunte. L’esercito nordcoreano è in stato di massima allerta. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

La Corea del Nord si dichiara pronta ad usare, in qualsiasi momento, armi nucleari. La gravissima minaccia arriva dopo le nuove sanzioni – le più dure degli ultimi 20 anni – decise all'unanimità dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, con il via libera anche di Russia e Cina, e nel giorno dell’inizio della più grande esercitazione militare congiunta nella storia della penisola coreana. Le manovre, condotte da Stati Uniti e Corea del Sud, proseguiranno fino al 30 aprile coinvolgendo, a partire da oggi, 17 mila soldati americani e quasi 300 mila militari sudcoreani. L’imponente esercitazione, quasi in contemporanea con il settimo Congresso del Partito dei lavoratori nordcoreano, il primo in oltre 30 anni, è una risposta al recente test nucleare – il primo con bomba all’idrogeno secondo le autorità nordcoreane – e al lancio di razzi e satelliti, nelle ultime settimane, da parte del regime di Pyongiang. La Corea del Sud ha infine reso noto che, nelle prossime ore, annuncerà nuove sanzioni contro la Corea del Nord.

Per un commento sull’ultima mossa della Corea del Nord, Eugenio Bonanata ha intervistato Romeo Orlandi, docente di Economia dell’Estremo Oriente all’Università di Bologna: 

R. – Si tratta di una escalation, forse prevedibile. Il regime di Kim Jong Un se ha una strategia di far salire la tensione, rilanciando costantemente come un giocatore di poker, questa ne è l’affermazione più eclatante, più evidente. Insomma, si tratta di mettere paura, si tratta di mostrare i muscoli per poi sedersi al tavolo delle trattative e strappare condizioni migliori, come è successo tanti anni fa. C’è tuttavia pericolo che questa strategia, criticabile ovviamente ma razionale, stia lasciando invece il passo a un incontrollato precipitare degli avvenimenti e allora la situazione è più preoccupante di quanto lo sia stata, rispetto alle schermaglie che in qualche maniera erano controllabili.

D. – Queste esercitazioni militari da parte di Stati Uniti e Corea del Sud sono necessarie? A cosa servono?

R. – Servono a dimostrare che la Corea del Nord non mette paura, che i nuovi armamenti sono disponibili. Servono a dimostrare che i 40 mila militari statunitensi di stanza in Corea del Sud non sono lì in vacanza o, come in Giappone, hanno minori preoccupazioni militari. E’ chiaro che è una escalation di tensione e una escalation di pericolosità. E’ evidente però che, di fronte a certe affermazioni di Kim Jong Un e a certe manifestazioni, la comunità internazionale – gli Stati Uniti e la Corea del Sud in modo particolare – non possono rimanere inermi.

D. – L’altra strada è quella delle sanzioni…

R. – Sì, che però hanno dimostrato la loro scarsa efficacia. E’ chiaro che colpiscono il Paese e spesso colpiscono più la popolazione che non le classi dirigenti. La novità è che questa volta la Cina ha dato il suo ok alle sanzioni, perché la Corea del Nord in questa sua imprevedibilità sta diventando un problema anche per la Cina. La Cina prima controllava la Corea del Nord – l’adoperava come leva negoziale per gli effetti nel Pacifico. Ora, la Corea del Nord sembra sfuggire anche al controllo di Pechino. Se questa è la situazione, se l’imprevedibilità è il maggior ostacolo alla continua crescita cinese, si capisce anche perché la Cina abbia concordato con gli Stati Uniti le nuove sanzioni più restrittive al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

D. – Cosa dire in relazione all’imminente Congresso del Partito dei lavoratori nord coreano, cioè cosa può venire fuori da questo appuntamento?

R. – A mio parere, possono esserci molti scenari, ma concettualmente i due estremi sono: un’unità di facciata e tutti schierati dietro al leader Kim Jong Un, oppure che vengano fuori delle posizioni diverse e che ci sia per la prima volta nella storia una maggioranza e una minoranza e, come spesso succede in quelle situazioni, la minoranza paghi le conseguenze anche a livello personale. Credo ci siano delle grandi tensioni all’interno del Partito del lavoro nordcoreano e se non esplodono è per un problema di convenienza personale, di tatticismo. Sono convinto, però, che non tutti siano d’accordo con questa crescita della tensione, che sicuramente non serve al Paese.

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A Sansepolcro fa tappa "Privata", mostra contro il femminicidio

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Il Museo Civico di Sansepolcro, in provincia di Arezzo, ospita dal 5 fino al 20 marzo la mostra d'arte contemporanea itinerante “Privata”. Ideata dall'artista Federica Amichetti, l'esposizione è parte di un più ampio progetto culturale, sociale e didattico sul tema della violenza sulle donne e del femminicidio, un fenomeno di triste attualità. Per saperne di più, Adriana Masotti ha intervistato la stessa Amichetti: 

R. – E’ una mostra di arte contemporanea ed essendo di arte contemporanea troveremo molte istallazioni, video e fotografie. La mia opera è un lavoro che si chiama “Saluti e baci” ed è un lavoro sugli stupri di guerra. Credo che in questo momento sia un argomento, ahimè!, molto attuale: di violenza se ne parla tantissimo, ma forse quella che succede in guerra rimane ancora un po’ in sordina. Attraverso l’arte, ci sarà una riflessione riguardo alle dinamiche in cui spesso scaturiscono determinate forme di violenza, specie nell’ambito familiare. C’è un lavoro molto bello di Mandra Stella Cerrone, che è un’artista di Pescare, che si intitolata “Genealogical Love”, e che attraverso la performance, la fotografia e anche il video ha ricreato delle dinamiche familiari, che poi sono anche vere… Un altro lavoro è quello di Giancarlo Marcali, che si intitolata “Cronaca della rasatura”: qui viene fatto riferimento alle violenze sulle donne durante al Seconda Guerra Mondiale.

D. – Il tema è complesso, ha tanti aspetti e il progetto comprende tanti momenti diversi di riflessione e di sensibilizzazione per adulti e giovani…

R. – Assolutamente sì. Questo è un progetto culturale e sono già due anni che è in giro per l’Italia: è un progetto culturale perché noi crediamo assolutamente che il cambiamento passi attraverso una formazione culturale. Tant’è che a questo progetto si sono affiancati poi professionalità, che vanno dal criminologo fino al giornalista, al sociologico, alle consigliere di parità, a tutti i centri antiviolenza. Con loro, nell’arco di questo periodo della mostra, si tengono anche dei convegni e delle tavole rotonde anche nelle scuole. Tutto questo progetto è accompagnato da un libro importante, in cui ci sono anche dei punti di vista, ad esempio, della direttrice del carcere di Ancona, Santa Lebboroni, che danno delle sfaccettature complesse e diverse sulla violenza.

D. – Il Museo Civico di Sansepolcro è l’ultima tappa del progetto “Privata”. Che cosa potete dire di aver raccolto, diciamo, dal vostro impegno in questi due anni?

R. – In questi due anni, abbiamo fatto un po’ il giro d’Italia. Sicuramente, il lavoro più importante, e anche più soddisfacente, è stato l’avvicinarsi dei ragazzi e devo dire anche delle famiglie delle vittime di violenze e di femminicidi. Proprio perché forse se ne parla poco, stiamo cercando di dar voce a chi tanta voce non ne ha. Perché poi, al di là della cronaca del momento, tutto va un po’ nel dimenticatoio. Continuare a tener viva una voce è sicuramente l’impegno più grande. Diciamo che gli stereotipi sono molto radicati ancora e si fa ancora un po’ di fatica a non liquidare il discorso in maniera superficiale. E’ molto più complicato chiedersi il perché e approfondire il discorso.

D. – Per concludere, una spiegazione sul titolo del progetto “Privata”...

R. – “Privata” ha una duplice sfaccettatura. Questo progetto nasce da un sentire molto forte e comune sulla violenza: la violenza non è un fatto propriamente privato, ma - allo stesso tempo - ci priva della nostra dignità e spesso anche della vita. Quindi, “Privata” ha questo duplice significato: il primo perché vogliamo che la violenza non rimanga un fatto privato e il secondo è che, ahimé, ci priva di qualcosa.

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Claudia Koll: la mia conversione alla scuola di Santa Faustina

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Tornano da oggi per tre lunedì consecutivi, nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma, i "Ritratti di Santi" affidati alla voce di attori professionisti. Le figure scelte quest’anno sono legate al Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco. Stasera si inizia con la vita di Santa Faustina Kowalska, apostola della Divina Misericordia, letta dall’attrice Claudia Koll. Paolo Ondarza l’ha intervistata: 

R. – Io ho iniziato a partecipare alla rassegna “Ritratti di Santi” leggendo la vita di San Giovanni Paolo II, quando ancora non era canonizzato. Con la lettura di Santa Faustina è come se, in qualche modo, si incontrassero due Santi che sono più o meno sulla stessa lunghezza d’onda. “Il più grande attributo di Dio”, dice Santa Faustina nel suo Diario, è “quello della misericordia”: è il grande messaggio della Divina Misericordia che il Signore ha voluto consegnare attraverso questa suora polacca tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, quando l’umanità stava soffrendo particolarmente. E San Giovanni Paolo II ha accolto questo grande messaggio, non solo scrivendo la “Dives in Misericordia”, ma anche canonizzando la suora e istituendo la Festa della Divina Misericordia.

D. – Una Santa che è attuale anche per i nostri tempi?

R. – Certo, perché l’uomo di oggi è smarrito, ha perduto la relazione con Dio e quindi è nella disperazione. Il compito della Chiesa, come diceva San Giovanni Paolo II, è quello di innalzare il grido al Signore per impetrare la misericordia, non solo per sé stessi, ma per il mondo intero. Così è la preghiera che Gesù ha consegnato a Santa Faustina.

D. – C’è una prossimità particolare che la lega a Faustina Kowalska…

R. – Sì, è profondamente legata a me. Io sono ritornata al Signore nell’anno 2000, l’Anno del Giubileo, quindi sono una figlia del Giubileo del 2000. E questo mio ritorno è stato anche un ritorno sofferto, attraversato da diverse contraddizioni. Perché ritornare a Dio non è sempre semplice, non è una magia: richiede la collaborazione dell’uomo, un camminare cercando la verità. In questo mio percorso ho avuto uno scontro frontale con il Maligno. Ricordo che un giorno nella mia stanza mi sentivo tentata dal Maligno, pregai il Padre Nostro stringendo fra le mani un crocifisso che mi aveva regalato pochi giorni prima un amico. Da quel momento, ho scoperto la potenza, non solo della preghiera, per arrivare al cuore di Dio, ma di questa particolare preghiera: cioè rivolgersi al Padre con l’intercessione dei meriti della Passione e morte di Cristo, perché quel giorno stringevo tra le mani il Crocifisso. Quindi, di conseguenza, quando ho incontrato il messaggio della Divina Misericordia, così come viene presentato da Santa Faustina Kowalska nel suo Diario, mi sono riconosciuta e ho visto che alcuni passaggi della mia conversione erano come messi a fuoco nel Diario. Allora, nella mia piccola esperienza, dopo essere stata toccata dall’amore di Dio, ho sentito il bisogno di restituire questo amore alle persone che il Signore mi metteva davanti attraverso un’Associazione che si chiama “Le opere del Padre”, dedicate a Dio Padre, che hanno questa spiritualità della Divina Misericordia. Nel Diario di Santa Faustina, Gesù le dice: “Se si medita la Passione di Cristo con il cuore, si ottengono molte grazie”. E io dico che la grazia principale per me è già quella di meditare da tanti anni la Passione e di non essere mai stanchi di meditarla. Il Signore opera sempre liberando l’uomo dal buio.

D. – Oggi, dopo quell’incontro del 2000, come Santa Faustina Kowalska continua ad accompagnarla nella sua vita di artista, di attrice?

R. – Ho sentito il bisogno per questo Giubileo di produrre un Cd (“Pace a voi” pubblicato dalle edizioni San Paolo; ndr). Faustina dice che si commuove quando vengono cantati in Quaresima i Quaresimali, questi canti paraliturgici dove si medita la Passione di Cristo. Allora ho detto: “Io voglio andare ad ascoltare questi canti”, canti che sono ancora cantati nella liturgia polacca. Così ho pensato a un Cd da mettere in macchina quando si viaggia oppure la sera quando si rientra a casa o quando si ha un momento di tranquillità, per poterlo ascoltare ed immergersi con lo spirito nella preghiera: una preghiera che però ci avvicini al Signore con il cuore, non una preghiera con le labbra.

D. – E con il cuore avverrà la lettura della vita di Santa Faustina questa sera a Santa Maria della Vittoria, una lettura particolarmente sentita da lei dunque…

R. – Sì e come sempre, ogni volta che ho partecipato a queste letture c’è sempre stato un pubblico attento, che si è lasciato coinvolgere.

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Nella Chiesa e nel mondo



Yemen. Vescovi indiani: dopo il massacro continua impegno per i poveri

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“Preoccupazione, sdegno e dolore per il vile attacco”: lo esprimono i vescovi indiani, riuniti nella loro Assemblea plenaria a Bangalore, riferendosi al massacro avvenuto il 4 marzo a Aden, in Yemen, dove sono morte 16 persone e tra loro quattro suore. Le quattro religiose appartengono alla Congregazione delle Missionarie della Carità, e una di loro è suor Anselma, indiana, della diocesi di Gumla, nello Stato indiano di Jharkhand.

Continua il servizio a poveri ed ammalati
I circa 180 vescovi presenti all’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale indiana (Cbci) si sono riuniti in una speciale preghiera per le vittime, esprimendo profonde condoglianze alla congregazione fondata da Madre Teresa di Calcutta. “Questi attacchi brutali ai missionari cristiani da parte di menti malvagie non scoraggeranno il nostro impegno a servire i poveri e gli ammalati” hanno aggiunto. I vescovi hanno anche espresso preoccupazione e auspicato il pronto rilascio del Salesiano indiano padre Tom Uzhunnalil, sequestrato e tuttora nelle mani dei terroristi che hanno compiuto il massacro. (P.A.)

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Coree: al confine con il Nord la Chiesa lancia un appello di pace

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Un appello ai governanti di Seoul e Pyongyang, alle nazioni che confinano con la Corea e al popolo, affinché si torni subito sul sentiero della pace e si dia alla penisola il potere di auto-determinare il proprio futuro. Lo firmano due vescovi cattolici – mons. Lazzaro You Heung-sik e mons. Pietro Lee Ki-heon – che guidano le commissioni episcopali per la Giustizia e la pace e per la Riconciliazione del popolo coreano. I due presuli hanno celebrato insieme ieri una Messa sul confine, nella diocesi di Uijeongbu, e hanno poi presentato l’appello.

Le ferite di un conflitto che provocano nuove tensioni e problemi sociali
Per 60 anni - scrivono i vescovi - abbiamo vissuto un armistizio, che non è la fine della guerra, e portiamo ancora addosso le ferite di questo conflitto nella nostra società. Queste a loro volta provocano nuove tensioni e nuovi problemi sociali. Se dovesse esplodere ancora una volta la guerra in Corea, con le nuove e potentissime armi a disposizione, il Sud e il Nord non potrebbero sopravvivere. Il Papa Pio XII ha detto che la pace non fa perdere nulla mentre la guerra fa perdere tutto. Perciò, affinché la Corea possa trovare la pace, la Chiesa cattolica coreana lancia tre appelli.

Il primo appello è rivolto ai governanti di Nord e Sud
Fermatevi, per favore! La situazione sembra non avere fine ma cercate, per favore, la via della forza e della sapienza per la pace! La sicurezza nazionale che sottolineate entrambi è la sicurezza dei popoli. Secondo questa interpretazione, dunque, la sicurezza migliore dovrebbe essere la sicurezza per entrambi. Per diventare simboli della pace e non del conflitto, in Corea si dovrebbero svolgere incontri, conversazioni, scambi e collaborazioni tra il Sud e il Nord. Per ottenere queste cose, però - sottolineano i vescovi - si dovrebbero rispettare le dichiarazioni e gli accordi che nonostante le difficoltà i due lati hanno già contratto. Questi vanno mantenuti e poi sviluppati. Si deve ripensare alla chiusura della zona industriale di Kaesong, che è il segno dello scambio, della collaborazione, dell’unificazione e della pace tra il Sud e il Nord. Non dobbiamo dimenticare che l’unificazione della Corea che tutti vogliamo è il frutto che nasce dalla pace.

Il secondo appello è alle nazioni confinanti
La nostra nazione è stata colonizzata dal Giappone e dopo la II Guerra mondiale è stato divisa senza che venisse interrogata la nostra volontà. A causa di questo trattamento abbiamo subito dolori e ferite per decine di anni. Al contrario la Germania, dopo aver perso la guerra, è stata sì divisa come la Corea, però sta festeggiando il 26mo anniversario dell’unificazione nazionale. È chiaro che il problema della Corea non è un problema della nostra razza - osservato i presuli sudcoreani - ma è collegato con le nazioni che la circondano. Speriamo che vogliate riaprire i “Colloqui a sei sul disarmo nucleare”. Ci appelliamo a tutti voi: riconoscete che la pace della Corea contribuirà alla pace nell’Asia del Nord-Est e partecipate in maniera positiva al nostro viaggio verso la pace.

Il terzo appello è al popolo della Corea e ai cristiani
La pace vera è possibile solo attraverso il perdono e la riconciliazione (cfr. S. Giovanni Paolo II, XXXII Giornata Mondiale della Pace). Dobbiamo allontanarci dal pensiero della guerra fredda, che ci porta alla rovina - scrivono i vescovi - e aprire un nuovo periodo per le generazioni future. Lasciamo il campo consunto delle ideologie, accettiamo la varietà nell’ordine della fondazione democratica, e troviamo la strada della pace sul sentiero della verità e della giustizia. Gesù ha detto ai suoi apostoli, prima della sofferenza e della morte sulla Croce: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.” (Gv 14,27). La pace che il nostro Signore ci ha promesso non è mai la situazione incerta e costrittiva che viene dalla forza delle armi. La pace che il Signore ci chiede è la pace della tolleranza e della convivenza sulla base della giustizia di Dio e dell’amore di Dio.

Il primo dovere è la preghiera
Attraverso la preghiera, la Chiesa partecipa all’impegno per la pace. Con la preghiera dobbiamo trovare la volontà di Dio e chiedere l’aiuto del Signore. In un periodo come quello attuale, in cui il Paese ha tante difficoltà, dobbiamo far ripartire il movimento di preghiera che tante volte ha già salvato la Corea. Gli scambi e le collaborazioni tra il Sud e il Nord sono un “dovere dell’amore” per noi fedeli, che non possiamo rifiutare. Se con la forza delle preghiere - conclude l'appello dei vescovi sudcoreani - anche la misericordia del Signore solidarizziamo insieme e agiamo e anche conseguiamo, potrà realizzare “la tua volontà, come in cielo così in terra.” (Traduzione a cura di AsiaNews)

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India: vandali in una chiesa pentecostale nel Chhattisgarh

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Nelle prime ore di questa mattina la polizia di Raipur, nello Stato del Chhattisgarh, ha arrestato sette persone coinvolte nell’assalto alla chiesa pentecostale del villaggio di Kachna, vandalizzata ieri durante la preghiera della domenica. Circa 20 radicali hindù vestiti con il copricapo color zafferano avevano fatto irruzione nella chiesa al grido di “Jai Shri Ram” (“Vittoria al dio Ram” ndr), interrompendo la funzione, malmenando i circa 65 fedeli presenti, comprese le donne, e devastando qualsiasi cosa sul loro cammino. Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), denuncia all'agenzia AsiaNews: “Il Gcic condanna l’attacco di elementi di estrema destra nello Stato governato dal Bjp (Bharatiya Janata Party, nazionalisti hindù). I ripetuti attacchi contro la minoranza cristiana sono una clamorosa violazione delle garanzie costituzionali, dei diritti umani e di quelli delle donne”.

Violenze contro donne e bambini
​Dopo l’aggressione - riferisce AsiaNews - si è scatenata una massiccia caccia all’uomo per identificare i colpevoli, che si sono dileguati sulle motociclette all’arrivo della polizia. Neeraj Chandrakar, sovrintendente locale, ha dichiarato: “Gli estremisti hanno danneggiato sedie, ventilatori e altri articoli presenti nei locali. Hanno poi picchiato i fedeli radunati per la preghiera”. Una di loro, la signora Sahu, afferma con agitazione che gli assalitori hanno “usato violenza anche contro le donne”. Alcuni testimoni hanno riferito che i radicali sono entrati nella chiesa intorno alle 12, intonando slogan che inneggiavano al rispetto della divinità indù. Il sovrintendente aggiunge: “Gli assalitori hanno strappato le vesti delle donne e gettato a terra anche un bambino”. 

Lanciate accusa di conversione forzata
Il presidente del Gcic afferma: “Gli assalitori hanno accusato i presenti di essere stati convertiti al cristianesimo. Durante la cerimonia religiosa sono state lanciate accuse di conversione forzata. La nota legge anti-conversione, che ironicamente è stata chiamata ‘legge sulla libertà di religione’ (Chhattisgarh Religion Freedom Act 2006), nega i valori laici della Costituzione”. (N.C.)

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Pakistan: pubblicato il Catechismo della Chiesa in urdu

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“Dopo 13 anni di intenso lavoro, il Catechismo della Chiesa Cattolica, interamente tradotto in urdu, è stato approvato dalla Santa Sede, dato alle stampe e appena pubblicato in Pakistan. Siamo felici che quest'opera sia stata completata nell’Anno del Giubileo. Sarà un testo utile ai cristiani ma anche ai musulmani”: con queste parole padre Robert Mc Culloch, oggi Procuratore generale della Società di San Colombano, per 34 anni missionario in Pakistan, annuncia all'agenzia Fides che la Chiesa in Pakistan ha portato a compimento questa preziosa opera.

Uno strumento fruttuoso anche per il dialogo interreligioso
“La prima edizione del Catechismo, approvata dalla Santa Sede e dalla Conferenza episcopale del Pakistan, viene ora diffuso in tutte le diocesi e in tutte le parrocchie della nazione a un prezzo molto contenuto (l'equivalente di cinque dollari Usa), e sarà uno strumento molto utile per la catechesi, a tutti i livelli, per bambini, giovani e adulti. Sarà anche fruttuoso per il dialogo interreligioso: molti leader musulmani pakistani si sono felicitati e lo useranno per comprendere meglio la fede e la Chiesa cattolica” aggiunge il missionario, che si è impegnato nel lungo e difficile lavoro di traduzione accanto al laico cattolico pakistano Emmanuel Neno, segretario della Commissione episcopale per la catechesi.

Il sostegno della Cei e di Aiuto alla Chiesa che Soffre
L'opera è frutto anche dell’impegno di mons. Sebastian Shaw, arcivescovo di Lahore e responsabile della Commissione per la Catechesi della Conferenza episcopale del Pakistan, che ne ha caldeggiato e seguito il completamento e la pubblicazione, avvenuta grazie al sostegno finanziario di enti come la Conferenza episcopale italiana e la sezione internazionale della Fondazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”.

Per l'occasione coniate nuove parole in lingua urdu
Padre Robert Mc Culloch spiega a Fides anche lo sforzo a livello terminologico: “Nessun termine del Catechismo è stato lasciato in latino o in altra lingua. C’è stato, dunque, anche un lavoro creativo: abbiamo coniato nuove parole in lingua urdu, come quella che traduce un concetto come ‘transustanziazione’ o altri concetti propri della fede cattolica”.

Il Catechismo una vera e propria opera di Misericordia per i cattolici pakistani
L’arcivescovo Shaw, felice per l’avvenuta pubblicazione, auspica“un rinnovamento della catechesi, impegno che tocca e coinvolge sacerdoti, religiosi, missionari e laici: questo sarà possibile grazie alla nuova edizione del Catechismo della Chiesa cattolica in urdu”. Il Catechismo, conclude, “è uno strumento che aiuta a crescere verso la santità e nell’Anno giubilare è una vera e propria opera di misericordia per la comunità cattolica in Pakistan”. (P.A.)

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Sudafrica. Proteste universitarie: vescovi invocano il dialogo

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"Non si è fatto abbastanza per promuovere un ambiente che consenta un dialogo aperto e sincero. Chiediamo un dialogo sincero sulle questioni sollevate dagli studenti nei diversi campus” afferma un comunicato della Commissione Giustizia e Pace della Southern African Catholic Bishops Conference (Sabc) sulle proteste studentesche in Sudafrica.

Politiche chiare per porre fine a razzismo e modelli coloniali nelle università
“Dialogo sincero significa essere chiari e trasparenti sulla tempistica con cui l'università e il governo rispondono alle domande degli studenti, compresa la richiesta di un’istruzione superiore gratuita. Dialogo onesto significa avere politiche chiare circa la trasformazione delle nostre università per porre fine al razzismo e ai modelli coloniali su come era concepita l’università", ha affermato mons. Abel Gabuza, vescovo di Kimbarley e presidente della Commissione Giustizia e Pace.

Preoccupazione dei vescovi per aumento della violenza
“Come Chiesa, sosteniamo con forza la campagna degli studenti per porre fine alle barriere finanziarie per l'accesso e il completamento all’istruzione superiore” continua il comunicato, che esprime però la preoccupazione dei vescovi per il livello di violenza e vandalismo associato alle proteste degli studenti.
"L'escalation di violenza e vandalismo nei campus fa il gioco di coloro che cercano di screditare la legittimità di questa importante campagna" ha detto mons. Gabuza. "I partiti politici sono una parte del problema della violenza nei campus. Possono anche essere una parte della soluzione. I partiti politici devono astenersi da discorsi che scoraggiano il dialogo sincero e invece incitano la violenza nei campus”.

Invito al dialogo per governo e studenti
Giustizia e Pace ha inoltre invitato il governo e la dirigenza delle università a coinvolgere i leader della Chiesa nei processi di mediazione tra gli studenti e le università. "Chiediamo al governo, ai dirigenti universitari, ai partiti politici e ai leader della Chiesa di sedersi intorno al tavolo e affrontare le questioni nelle diverse istituzioni accademiche che sono segnate dalle violenza” ha esortato mons. Gabuza.

Non aumentate le tasse e fondi per studenti meno abbienti
Le proteste studentesche riguardano almeno quattro università, tra le quali l'Università di Pretoria, l'Università di Città del Capo e l'Università dello Stato Libero.  Ad ottobre il Presidente sudafricano Jacob Zuma ha accolto le richieste degli studenti di non aumentare le tasse nel 2016 e ha promesso che il governo avrebbe aumentato i fondi per gli studenti meno abbienti. (L.M.)

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America: preoccupazione della Chiesa per deportazione migranti

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“Siamo preoccupati per la deportazione di migranti, in crescita negli ultimi anni”: è quanto si legge nel comunicato finale dell’ottavo Incontro regionale della Pastorale per i migranti ed i rifugiati svoltasi a Panama dal 29 febbraio al 3 marzo. Vi hanno preso parte vescovi, sacerdoti, religiosi e laici provenienti da Canada, Stati Uniti, Messico e Paesi dell’America Centrale. Nella nota conclusiva dei lavori, si sottolineano innanzitutto “le sofferenze di tanti fratelli e sorelle” costretti a lasciare la propria patria, in cerca di un futuro migliore.

Migrazioni infrangono unità familiare
La migrazione, infatti, “infrange l’unità familiare e rende le persone deportate, vittime di violenze sistematiche”: estorsioni, tratta di esseri umani, crimini che “raddoppiano la sofferenza” della migrazione stessa. Al contempo, la Pastorale americana chiede che i rifugiati “siano riconosciuti come tali, perché sono costretti a migrare ed andare in cerca di salvezza per la propria vita”. Il documento finale ricorda, poi, quanto Papa Francesco, in diverse occasioni, abbia insistito sia sul “diritto che ha ogni persona a migrare per cercare condizioni di vita migliori, ma anche sul diritto che si ha a “non migrare”.

Tutelare diritti fondamentali di ogni uomo
Per questo, i partecipanti all’incontro chiedono che “gli Stati rispettino i diritti fondamentali delle persone, ovvero il diritto al cibo, all’educazione, ad un lavoro dignitoso, alla sicurezza”. Riconoscendo, inoltre, “l’indipendenza e la sovranità di tutti i Paesi ed il diritto a proteggere le proprie frontiere”, si denunciano, al contempo, “gli abusi commessi contro i migranti ed i rifugiati”, ai quali, invece, va garantito “il rispetto della vita e della dignità”.

Promuovere cultura dell'incontro e accoglienza
Pertanto, nell’ottica della “solidarietà”, i partecipanti all’evento suggeriscono alcune raccomandazioni: promuovere la cultura dell’incontro e dell’accoglienza fraterna; evitare discriminazioni, razzismo, nazionalismi estremi e xenofobia; trovare alternative valide alla detenzione e deportazione dei minori migranti; ammettere che la violenza generalizzata è una delle principali cause delle migrazioni irregolari; stabilire protocolli regionali per la cura, l’assistenza e la tutela dei minori migranti; garantire agli immigranti l’unità familiare, le dovute tutele sul lavoro e un giusto processo in caso di detenzione.

Costruire una sola famiglia umana
​Il comunicato si conclude con il richiamo a tutti i fedeli a “rispettare e costruire una sola famiglia umana” e con l’esortazione, ai migranti e rifugiati, a non sentirsi soli “in difficile cammino”, perché Dio è con loro e desidera per loro “una vita degna e felice”. (I.P.)

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Movimenti cattolici Honduras: giustizia per Berta Cáceres

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Dura condanna per l’assassinio di Berta Cáceres, ecologista, attivista per i diritti umani e rappresentante degli indigeni in Honduras, è stata espressa, in una nota, dalla Rete ecclesiale pan-amazzonica (Repam) e il Movimento cattolico mondiale per il clima (Mcmc). “Uniamo la nostra voce – si legge nel documento, ripreso dall’agenzia Sir – a quella di migliaia di persone e istituzioni che reclamano giustizia di fronte a questo fatto esecrabile e doloroso che ci priva in modo violento di una donna valorosa, madre, sposa e attivista dei diritti umani”.

Uccisa per il suo impegno sociale
La leader ambientalista è stata uccisa all’alba di giovedì 3 marzo a La Esperanza, a circa 200 chilometri da Tegucigalpa, nella parte occidentale del Paese. La Cáceres era leader della comunità indigena Lenca. Secondo fonti locali, gli assassini sono entrati violentemente in casa per commettere il reato, anche se la polizia parla di un tentativo di rapina. “Noi tutti sappiamo che è stato per la sua lotta”, hanno detto i membri della famiglia.

Porre fine a violenze ed intimidazioni
Berta Cáceres, infatti, riceveva minacce di morte ormai da dieci anni. Da quando, insieme al Consiglio dei popoli indigeni dell’ Honduras (Copinh) da lei fondato, aveva coordinato la battaglia dei Lenca contro la maxi-diga di Agua Zarca sul fiume Gualcarque. Nell’ottobre 2014 aveva partecipato all’incontro dei movimenti popolari convocato da Papa Francesco in Vaticano, dove aveva preso la parola. La nota congiunta di Repam e Mcmc si conclude facendo una appello “agli organi di giustizia internazionali e al Governo honduregno perché vengano sanzionati i colpevoli” e perché cessino episodi di violenza e intimidazione contro gli attivisti sociali. (I.P.)

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Alla Gmg di Cracovia anche 5 giovani di Gaza

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Ci saranno anche 5 giovani di Gaza, tre cattolici e due ortodossi, tra i partecipanti alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù che si svolgerà a Cracovia, in Polonia, dal 25 al 31 luglio 2016. A confermarlo all'agenzia Sir è padre Mario da Silva, parroco brasiliano della parrocchia latina della Sacra Famiglia, l’unica della Striscia, un “piccolo gregge” formato da poco più di 130 cattolici. Tuttavia, avverte il religioso, “tutto è lasciato alla decisione delle autorità israeliane, se ci daranno o meno il permesso di uscire da Gaza. Se ciò accadesse, e preghiamo ogni giorno per questa intenzione, sarebbe la prima volta che giovani cristiani gazawi partecipano a una Gmg”.

Testimoni della sofferenza
Per questi giovani, dice il sacerdote, “sarebbe un’occasione importante di crescita e di conoscenza, loro che non sono mai usciti dalla Striscia. Potranno testimoniare la loro sofferenza. Questa partecipazione sarebbe un dono grande per tutti i cristiani di Gaza”. Secondo mons. William Shomali, vicario generale del Patriarcato latino di Gerusalemme, che accompagnerà il gruppo a Cracovia, “arriveremo facilmente a oltre 600 partecipanti, ambasciatori di misericordia dalla terra di Gesù. Ai giovani palestinesi, dei diversi riti presenti in Terra Santa, se ne aggiungeranno altri da Israele e Giordania oltre a quelli del Cammino neocatecumenale della Galilea. A Cracovia saranno presenti giovani di tutte le Chiese”.

In programma, visita al campo di sterminio di Auschwitz
I giovani della Terra Santa partecipanti alla Gmg faranno anche visita al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, come confermato al Sir dal parroco del villaggio cristiano di Beit Sahour, padre Iyad Twal: “Sarà un momento forte per i nostri giovani. In quell’occasione ribadiremo tutta la nostra opposizione al male, alla sofferenza, al dolore, all’ingiustizia, e tutto il nostro sostegno alla vita, al diritto, alla giustizia, alla libertà, per tutte le persone, senza nessuna distinzione. Siamo contro il male e la guerra e a favore della pace. Anche noi abbiamo diritto alla nostra indipendenza e libertà. La memoria del passato deve servire per costruire un presente e un futuro migliore e più giusto per tutti gli uomini”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 67

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.