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Sommario del 08/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



P. Ronchi: la Chiesa non accenda riflettori su di sé ma su Cristo

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La Chiesa sappia “farsi da parte” perché nel suo annuncio faccia brillare sempre il volto di Dio e non se stessa. Lo ha affermato padre Ermes Ronchi nella quarta meditazione degli esercizi spirituali che il religioso sta predicando a Papa Francesco e alla Curia Romana, nella casa “Divin Maestro" di Ariccia. Lo spunto di riflessione della mattinata è stato tratto dal brano del Vangelo in cui Pietro fa la sua professione di fede su Cristo. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

La domanda che Gesù rivolge ai discepoli risuona al riparo del “luogo appartato” dove il Maestro li ha condotti. Per qualche momento niente assembramenti e il vociare della calca, ma solo “silenzio, solitudine, preghiera”. Solo un momento di intimità “tra loro e tra loro e Dio”. E in questo silenzio, quella domanda di Gesù che somiglia a un “sondaggio d’opinione”: “La gente chi dice che io sia?”.

L’affare migliore della mia vita
Nel silenzio analogo del ritiro di Ariccia, padre Ermes Ronchi, mette Papa Francesco e i suoi collaboratori di Curia di fronte alla stessa sollecitazione. E soprattutto a quel “ma” che Gesù soggiunge, che scava nell’anima: “Ma voi chi dite che io sia?”. Un modo per dire ai suoi, osserva padre Ronchi, di non accontentarsi di quello che dice la gente, perché “la fede non avanza per sentito dire”:

“La risposta che Gesù cerca non sono parole. Lui cerca persone. Non definizioni ma coinvolgimenti: che cosa ti è successo, quando mi hai incontrato? Gesù è il maestro del cuore, Gesù non dà lezioni, non suggerisce risposte, ti conduce con delicatezza a cercare dentro di te. E io vorrei poter rispondere: incontrare te è stato l’affare migliore della mia vita! Tu sei stato la cosa migliore che mi sia capitata”.

La fede si muove
“Chi sono io per te?” è una domanda da “innamorati”, dice il predicatore degli esercizi. E ciò che colpisce è che Gesù “non indottrina nessuno”. I discepoli non devono temere di dover dare risposte preconfezionate a quella domanda, “non c’è nessun Credo da comporre” , afferma padre Ronchi. A Gesù interessa sapere se i suoi hanno aperto il cuore. Affermare, come fa Pietro, che Cristo è “il figlio del Dio Vivente” è una verità che ha senso se Cristo “è vivo dentro di noi”. “Il nostro cuore – soggiunge padre Ronchi – può essere la culla o la tomba di Dio”:

“Volete sapere davvero qualcosa di me, dice Gesù, e al tempo stesso qualcosa di voi? Vi dò un appuntamento: un uomo in croce. Uno che è posto in alto. Prima ancora, giovedì, l’appuntamento di Cristo sarà un altro: uno che è posto in basso. Che cinge un asciugamano e si china a lavare i piedi ai suoi (...) Ha ragione Paolo: il cristianesimo è scandalo e follia. Adesso capiamo chi è Gesù: è bacio a chi lo tradisce. Non spezza nessuno, spezza se stesso. Non versa il sangue di nessuno, versa il suo  sangue. Non sacrifica nessuno, sacrifica se stesso”.

“Riflettori” su Cristo
Fino al momento di quella domanda fatta nel silenzio, i discepoli non hanno ancora compreso cosa stia per accadere al loro Maestro. Per questo Gesù è netto nell’imporre loro di non dire nulla alla gente. “Un ordine severo” che “raggiunge la Chiesa tutta”, sottolinea il predicatore, “perché talvolta abbiamo predicato un volto deformato di Dio”. Noi ecclesiastici, nota padre Ronchi, “sembriamo tutti uguali” – stessi gesti, parole, vestiti. Ma la gente ci chiede: “Dimmi la tua esperienza di Dio”. E Cristo, prosegue, “non è ciò che dico di Lui ma ciò che vivo di Lui”. “Non siamo noi i mediatori tra Dio e l’umanità, il vero mediatore è Gesù”, conclude padre Ronchi. Come Giovanni Battista, dobbiamo preparare la strada e poi “farci da parte”:

“Pensate la bellezza di una chiesa che non accende i riflettori su di sé – come in questi giorni qua raccolti – ma su di un Altro. Ne abbiamo ancora di strada da fare! Diminuire (…) Gesù non dice ‘prenda la mia croce’, ma la sua, ciascuno la sua (…) Il sogno di Dio non è uno sterminato corteo di uomini donne e bambini ciascuno con la sua croce sulla spalla. Ma di gente incamminata verso una vita buona, lieta e creativa. Una vita che costa un prezzo tenace di impegno e di perseveranza. Ma anche un prezzo dolce, di luce: Il terzo giorno risorgerà!”.

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P. Lombardi: Francesco sempre più leader morale del pianeta

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Ricorre domenica prossima il terzo anniversario dall’elezione alla Cattedra di Pietro di Jorge Mario Bergoglio. Anche questo terzo anno di Pontificato, iniziato con l’annuncio dell’indizione del Giubileo della Misericordia il 13 marzo scorso, è stato intensissimo e ricco di momenti di grande significato per la vita della Chiesa e non solo. Alessandro Gisotti ha chiesto al direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, di tracciare un bilancio con uno sguardo anche alle sfide che Francesco sta affrontando in questo momento: 

R. – Io ho l’impressione che cresca l’autorevolezza del Papa come maestro dell’umanità, della Chiesa e dell’umanità, in una prospettiva globale. Perché nel corso di quest’anno, il Papa ha toccato praticamente tutti i continenti, a parte l’Oceania. E’ presente su un orizzonte globale e tratta con autorevolezza le questioni dell’umanità e della Chiesa di oggi. Parla dei temi della pace e della guerra, che toccano veramente tutti; parla dei grandi temi delle società attuali nel contesto della globalizzazione, la “cultura dello scarto”, la giustizia e la partecipazione. Nell’Enciclica “Laudato si’”, in particolare, è riuscito a dare una visione complessiva delle domande urgenti e cruciali dell’umanità di oggi e dell’umanità di domani. Ecco, questo mi sembra l’aspetto che io noto e cioè che l’umanità guarda a Papa Francesco come ad una persona che l’aiuta a trovare l’orientamento, a trovare dei messaggi di riferimento in una situazione che - per molti aspetti - è di grande incertezza. Quindi un leader credibile, un maestro credibile, che – facendo il suo servizio, che è di carattere specificamente religioso e morale – dà però un aiuto efficace; viene ascoltato dai potenti di questa terra. E i potenti e i poveri sono ugualmente importanti e necessari per guardare al cammino dell’umanità verso il domani.

D. – La misericordia, ovviamente, è il cuore di questo terzo anno di Pontificato o forse dovremmo dire di tutto il ministero petrino di Francesco. Quali sono i tratti più forti che, secondo lei, il Papa sta imprimendo a questo Giubileo?

R. – Effettivamente io credo che questo tema dell’annuncio dell’amore di Dio, sotto questa parola specifica della misericordia, che questo annuncio della presenza e della vicinanza dell’amore di Dio sia la caratteristica del messaggio e del servizio che Papa Francesco dà all’umanità. E questo dall’inizio stesso del suo Pontificato. E ha trovato questa forma – diciamo – nuova e originale di un Giubileo che però è un Giubileo sparso per il mondo. Non è un Giubileo centralistico: Roma c’è come cuore naturale del cammino della Chiesa, ma la misericordia di Dio la si può incontrare passando attraverso porte che si trovano in tutti i luoghi del mondo. Il richiamo delle opere di misericordia materiali e spirituali dà anche una grande concretezza a quell’attenzione per i poveri, per le periferie, per le persone scartate e oggetto di emarginazione, cui il Papa ha sempre dedicato la sua attenzione perché sono al centro dell’attenzione di Cristo e del Vangelo. Quindi direi che con questo Giubileo siamo proprio nel cuore spirituale di questo Pontificato, che è un Pontificato di una spiritualità tutt’altro che disincarnata, perché si traduce immediatamente anche nelle opere della carità.

D.- Guardando ai momenti di questo terzo anno di Pontificato, molti sono rimasti colpiti dall’Angelus dell’8 novembre scorso, quando Francesco ha affermato che il cosiddetto “Vatileaks 2” non lo distoglie dal suo lavoro di riforma, che va avanti con fiducia. Perché per il Papa è così importante questo punto, la riforma?

R. – La riforma è un compito permanente nella Chiesa – “Ecclesia semper reformanda” -  e questo perché nessuno può pensare di essere perfettamente fedele stabilmente al Vangelo del Signore e alle sue esigenze così profonde e impegnative. Il Papa, in particolare, giungendo dalla fine del mondo, cioè da una prospettiva nuova, ha anche una capacità particolare per vedere e cogliere le attese di rinnovamento della Chiesa e delle sue strutture di governo in funzione della missione universale e andare incontro alle esigenze della Chiesa nelle diverse parti del mondo. Questo è un compito che il Papa sa che gli è stato anche affidato dai cardinali, quando lo hanno eletto Papa: nel corso delle Congregazioni, prima del Conclave, lo hanno detto e il Papa lo sa. Ma lo fa con una prospettiva spirituale molto caratteristica e molto importante per capire bene quello che fa: in un clima cioè di continua ricerca di obbedienza allo Spirito Santo che lo conduce nell’affrontare, volta per volta, i problemi di cui si tratta in spirito di obbedienza al Vangelo, con fiducia, con speranza e con grande libertà. I Sinodi sono caratteristici di questo atteggiamento e l’aver affrontato un tema centrale come quello della famiglia nei Sinodi significa proprio questo desiderio di andare con fiducia e con coraggio al cuore di grandi interrogativi pastorali sui punti qualificanti della vita cristiana, incarnata nella quotidianità, lasciandosi interrogare dai problemi posti dal tempo di oggi, ma sempre con la guida del Vangelo.

D. – Anche quest’anno, nonostante la grande popolarità, non sono mancate critiche al Papa, e al dire il vero anche da ambienti cattolici. Come lo spiega?

R. – Lo spiego abbastanza semplicemente con il fatto che il camminare in terreni nuovi, cercare di rispondere a questioni che vengono poste con grande urgenza da un mondo che sta cambiando è qualcosa che naturalmente provoca preoccupazione, provoca timore, provoca incertezza; si cammina in un campo che, per molti aspetti, è oscuro. Per cui il muoversi con coraggio, appoggiandosi fondamentalmente alla fede e alla speranza, alla convinzione che lo Spirito Santo accompagna la Chiesa nel mettere  in pratica la volontà di Dio nel tempo nuovo, non è così semplice. In questo Papa Francesco certamente è un maestro che ci guida, con coraggio e con realismo. Egli stesso dice molte volte che nel mettere in cammino la Chiesa non è che egli sappia con totale chiarezza qual è il punto di arrivo o qual è il disegno complessivo che va raggiunto. No, egli sa che ci si mette in cammino, ma spesso senza sapere esattamente per dove. Questa è la condizione anche di Abramo, la condizione del cammino nella fede da sempre.

D.  – Trai tanti momenti e immagini che ha di questo terzo anno di Pontificato, ce ne è uno che ricorda con particolare emozione?

R. – Ce ne sono talmente tanti… E’ un Pontificato così infinitamente ricco di gesti concreti e quindi anche di immagini particolari che identificarne uno… io no, non sono capace. Però c’è una categoria – se vogliamo – di esperienze, e quindi anche di gesti e di immagini, che mi tocca e che ritengo molto caratterizzante ed è quella dell’attenzione ai malati, è quella dell’abbracciare i sofferenti. Il fatto che il Papa sappia manifestare in un modo così concreto, così libero, anche con gesti fisici, la sua vicinanza è un segno che lascia trasparire la vicinanza di Dio. Sono dei gesti che parlano veramente a tutta l’umanità e ci toccano profondamente. Gliene siamo estremamente grati.

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Nomina epicopale negli Stati Uniti

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Negli Stati Uniti, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Metuchen, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Paul G. Bootkoski. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. James F. Checchio, del clero della diocesi di Camden, finora rettore dal Pontificio Collegio Americano del Nord a Roma. Il neo presule è nato il 21 aprile 1966 a Camden (New Jersey), nell’omonima diocesi. Ha frequentato la “Pope Paul VI High School” a Haddon Township (1980-1984) e si è laureato alla “University of Scranton” a Scranton (Pennsylvania) nel 1988. Ha svolto gli studi ecclesiastici presso il Pontificio Collegio Americano del Nord ed alla Pontifica Università San Tommaso a Roma ottenendo la Licenza in Diritto Canonico (1993). Successivamente, ha ottenuto il Dottorato in Diritto Canonico presso la medesima Pontificia Università (1998) e il “Master” in Economia Aziendale presso la “LaSalle University” a Philadelphia (2004). È stato ordinato sacerdote il 20 giugno 1992 per la diocesi di Camden. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto gli incarichi seguenti: Vicario parrocchiale della “Saint Peter Parish” a Merchantville (1992), della “Saint Agnes Parish” (1993-1995) e della “Saint Peter Celestine Parish” (1996); Difensore del Vincolo nel Tribunale di Camden (1997); Assistente Direttore dell’Officio diocesano dei Rapporti Pubblici e Comunicazioni (1997-1998); Segretario personale ai Vescovi Ordinari di Camden, S.E. Mons. James McHugh e S.E. Mons. Nicholas DiMarzio (1997-1999); Vice-Cancelliere (1997-2003); Direttore dell’Officio diocesano dei Rapporti Pubblici e di Comunicazioni (1998-2003); Moderatore della Curia (1999-2003); Amministratore parrocchiale della “Holy Spirit Parish” ad Atlantic City (2001-2003); Vicario Episcopale per l’Amministrazione della diocesi di Camden (2002-2003); Vice Rettore per l’Amministrazione del Pontificio Collegio Americano del Nord a Roma (2003-2006) e Rettore del medesimo Pontificio Collegio (2006-2016). Nel 2000 è stato nominato Capellano di Sua Santità e nel 2011 Prelato d’Onore. Oltre l’inglese, conosce l’italiano e lo spagnolo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Onore alle donne missionarie: la festa dell'8 marzo all'indomani della strage di Aden.

Attrice non protagonista: in prima pagina, il vicedirettore sull'Ue dopo la trattativa con Ankara. 

Nessun buonismo: la prefazione del cardinale segretario di Stato e l'introduzione dell'autrice, Laura Badaracchi, alla guida "I santi della misericordia. Itinerari a Roma e dintorni".

Giubileo diffuso: Fabrizio Bisconti su mete dei pellegrini nell'antichità cristiana.

Sfide all'identità: Laura Palazzani sulle tecnologie emergenti e i percorsi della bioetica.

Quelle passeggiate con Ungaretti: Felice Accrocca ricorda Elio Filippo Accrocca a vent'anni dalla morte.

Don Filippo e il guscio magico: anticipazione della prefazione dell'autore, Aldo Maria Valli, a "C'era una volta la Crocifissione. Inchiesta su un Sacramento in crisi" e della postfazione di un parroco romano, Francesco Pesce.

Responsabilità globale: il cardinale Turkson in Germania.

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Oggi in Primo Piano



Siria. Colloqui pace, si entra nel vivo il 14 marzo

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Si avvicina la data della ripresa dei negoziati tra governo e opposizioni siriane. Si potrebbe iniziare già domani anche se, come fanno sapere fonti Onu, si entrerà nel vivo dei colloqui indiretti, il 14 marzo. Tanti i nodi ancora da sciogliere tra cui, l’effettiva riuscita della tregua ripetutamente violata, specie nel nord, e una situazione umanitaria disastrosa. Ma sono stati fatti passi in avanti che possono far ben sperare per questo nuovo appuntamento e come giudicare la strategia dell'Onu? Al microfono di Gabriella Ceraso sentiamo il parere di Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente: 

R. – L’elemento di novità è l’accordo tra Stati Uniti e Russia. Gli Stati Uniti hanno capito che la questione siriana non può essere risolta solamente dal cosiddetto “campo occidentale”, alleato all’area sunnita, ma che è necessario porsi come obiettivo una via di uscita della crisi siriana che includa tutte le componenti interne del Paese, tutti i "player regionali" e internazionali e che non sia la vittoria di una parte sull’altra. L’altro elemento è che non si è più posta come pregiudiziale la fuoriuscita di Assad. Sul terreno, oggi Assad è più forte, grazie all’intervento della Russia e degli Hezbollah e quindi dell’Iran, e dunque c’è uno stato di fatto che fa sì che la transizione sia una transizione realistica.

D. – La tregua sul terreno è comunque traballante, la situazione umanitaria rimane critica… Ecco, una situazione così ancora instabile non inficia la diplomazia che deve andare avanti? Sarà solo un piccolo tassello questo appuntamento? E’ normale che sia cosi?

R. – Credo proprio che sia normale, entro certi limiti, che sia così. Noi dobbiamo capire che si esce da anni di massacri terribili e quindi non possiamo pensare che questa "exit strategy" sia una cosa facile. Ci sono grandi odi e grandi fossati da colmare. E c’è il fatto che continua la guerra con l’Is e con le formazioni legate ad a-Qaeda, come al-Nusra. Quindi questi qui, tra le altre cose, possono utilizzare la tregua in atto con le altre componenti e con Assad per cercare di espandere la propria pressione, come è avvenuto con le esplosioni a Baghdad e altrove che sono state rivendicate da Is. Quindi, evidentemente cercano di giocare il loro ruolo in questo momento in cui le armi degli altri tacciono o dovrebbero tacere. Quindi, la situazione è molto complicata e tuttavia l’elemento di svolta è che si è passati da una visione in cui si doveva appoggiare l’insurrezione per sconfiggere il tiranno – l’unica cosa poteva essere la vittoria degli uni e la sconfitta degli altri – a una visione che veda un governo che includa tutte queste componenti, che dia garanzia a tutte queste componenti. Altrimenti non se ne esce, perché ognuna di queste componenti sa che la vittoria dell’altro significa la sua morte e quindi diventa una guerra senza fine. Certo, ci sono resistenze e ognuno tira dalla sua parte, ma credo che sia un passo fondamentale che consenta di andare da un lato a questo discorso di transizione e, dall’altro, a una lotta contro questa sacca dell’Is e delle formazioni legate al-Qaeda, che a questo punto risultano abbastanza isolate.

D. – Lei come giudica il lavoro dell’Onu in questa circostanza e il lavoro di Staffan De Mistura?

R. – E’ stato un lavoro paziente, certamente encomiabile. Devo dire che su questo ha giocato un ruolo estremamente positivo Federica Mogherini, che non si accodata alle posizioni più oltranziste, che ha facilitato ad esempio l’accordo fra Russia e Stati Uniti sulla questione delle armi chimiche. Credo sia prevalsa una visione che non si può far precedere le armi a quello che è l’obiettivo politico che si vuole conseguire: il processo deve essere l’inverso.

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Libia: a Tobruk nuove difficoltà per il governo unico

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In Libia, rischiano di allungarsi i tempi per il varo di un governo di unità nazionale, che dovrebbe mettere insieme le due realtà istituzionali di Tripoli e Tobruk. Ma proprio il parlamento di Tobruk, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale, non è riuscito neanche ieri a riunirsi per votare la fiducia all’esecutivo voluto fortemente dall'Onu. Su queste ultime difficoltà, Giancarlo La Vella, ha intervistato Gabriele Iacovino, responsabile analisti del Centro Studi Internazionali (Cesi): 

R. – In questo momento, si stanno facendo dei passi per cercare un compromesso. Questo ovviamente va a detrimento di alcuni profili istituzionali del governo riconosciuto a Tobruk ma, certo, qualche passo bisogna pure compierlo. Purtroppo, però, questo fa sì che non tutti abbiano il riconoscimento che vorrebbero in queste nuove istituzioni e questo rende il processo sempre più difficile.

D. – E’ lecito aspettare così tanto tempo a fronte di una presenza del cosiddetto Stato Islamico che non è solo ingombrante, ma anche pericolosa?

R. – Purtroppo il tempo in Libia si è perso e si è continuato a perdere nel corso dell’ultimo anno e mezzo. In questo momento le pressioni internazionali sono tante e sono forti. Francia, Gran Bretagna, gli Stati Uniti, ma anche l’Italia stanno spingendo per supportare le Nazioni Unite, che in questo ultimo anno e mezzo hanno compiuto più passi falsi che passi positivi per raggiungere un compromesso. Il tempo per la Libia era scaduto già un anno e mezzo fa, figuriamoci oggi. La pressione poi proveniente dalla presenza del sedicente Stato Islamico incrementa i timori per una sempre più instabile situazione nel Paese. Certo è che in questo momento la minaccia dello Stato Islamico è forte, ma non è l’unica minaccia per la stabilità della Libia.

D. – Si sta parlando di un intervento straniero a guida italiana, ma la comunità internazionale ha una posizione univoca per la soluzione della crisi libica?

R. – Gli interessi sono molteplici. Il focus principale è la stabilizzazione del Paese. La divisione in zone di influenza – Tripolitania, Cirenaica e Fezzan – di fatto rappresenta i vari interessi in campo. Forse il processo di nuove istituzioni libiche che vedano uno Stato unitario libico, al cui interno ci siano ampie autonomie di queste regioni, è l’unica soluzione che può essere perseguita per cercare di stabilizzare il Paese. Quindi, diciamo una federalizzazione all’interno di uno Stato unico. Senza questo processo, che vada in un certo senso a riconoscere da una parte l’autonomia e dall’altra i poteri locali, forse non ci potranno essere soluzioni per la Libia.

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Unhcr sui migranti: preoccupante l'intesa tra Ue e Turchia

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All’indomani del vertice a Bruxelles tra Ue e Ankara, dalla Turchia arriva un nuovo mandato di arresto per Fethullah Gülen, in esilio negli Usa, e per suo fratello: entrambi sono accusati far parte di una organizzazione terroristica, di violazione della Costituzione e di truffa aggravata. E si parla di un altro colpo alla libertà di stampa. Per l'Unhcr è intanto molto preoccupante il possibile accordo tra Ankara e Ue "per la riduzione del flusso dei migranti verso l'Europa". Il servizio di Francesca Sabatinelli

L’imam e magnate Gülencontrollava il principale quotidiano d’opposizione "Zaman", commissariato giorni fa da Erdogan e ora tornato in edicola in versione filogovernativa. Di ieri sera la presa di controllo anche dell’agenzia di stampa "Cihan"’, anch’essa della società editrice guidata da Gülen, accusato di cospirare per rovesciare il governo, il quale continua a difendersi dall’accusa di impedire la libertà di stampa. “E’ un nostro valore comune – ha detto  il premier turco Davutoglu – che continuerà a essere protetto”. Ma è stato proprio questo il punto che ieri ha pesato a Bruxelles al vertice tra Ue e Ankara sulla crisi dei migranti, con il premier italiano Renzi che chiede di vincolare l’accordo tra Unione Europea e Turchia alla libertà di stampa. Raffaele Marchetti, docente di Relazioni internazionali alla Luiss-Guido Carli:

R. – Tutto questo si inquadra nella involuzione autoritaria della Turchia, che non riguarda soltanto i rapporti con il movimento di  Gülen, ma anche tutti gli altri partiti politici, pensiamo al partito filo-curdo. E’ chiaro che questo pone molta preoccupazione all’interno dell’Unione Europea. E’ un tema che va affrontato e bene ha fatto Renzi ha sollevarlo ieri all’interno della trattativa, però non è l’unico problema. Io direi che altrettanto importante, anzi forse di più, è tutto l’atteggiamento ambiguo che il governo turco ha avuto nei confronti della crisi siriana. Lo spalleggiamento che Ankara ha messo in pratica, favorendo e lasciando passare per esempio alcuni jihadisti attraverso il confine turco, comprando in parte il petrolio che veniva rivenduto nel mercato nero dall’Is, favorendo lo spostamento di alcuni guerriglieri dell’Is dalla Siria alla Libia, che sappiamo essere passati attraverso il territorio turco. Insomma, tutti fatti molto gravi, che hanno un immediata ricaduta in termini di violenza e di vittime.

D. – L’Unione Europea, però, sta trattando proprio con questa Ankara per la questione migranti…

R. – Certo, qui l’Unione Europea non può far altro che trattare, però tratta, come si dice in questi casi, con le mani legate. La Germania ha una necessità impellente di bloccare il flusso, essendo la destinazione principale dei rifugiati. Ma anche gli altri governi dell’area centrale europea, a iniziare dall’Ungheria di Orban fino ad arrivare all’Austria, per motivi di politica interna stanno cavalcando la paura e la xenofobia per chiudere i confini e avere un atteggiamento inflessibile, intransigente. Sono tutte dichiarazioni che naturalmente hanno una valenza soprattutto di politica interna, ma che contribuiscono anche a far sì che l’Unione Europea debba andare a sedersi al tavolo della negoziazione con la Turchia in una posizione di grande debolezza, perché ha la necessità assoluta di far sì che la Turchia, in qualche modo, contenga questa emorragia dei rifugiati.

D. – Comunque, resta la volontà palese di Ankara di voler accelerare il processo di adesione. Come è pensabile questo?

R. – E’ chiaro che la situazione attuale lo rende difficile. L’Unione Europea ha bisogno di trattare e quindi dovrà fare nella concessioni e immagino che, a parte la questione economica del finanziamento, sul tappeto ci sarà la questione della liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi per l’ingresso nell’Ue. Ma, allo stesso tempo, è chiaro che bisogna reimpostare e riaprire alcuni dossier che erano stata “congelati”, nel senso di spingere e di esigere dalla Turchia la riattivazione dei processi di democratizzazione interna. Devo dire che, però, l’involuzione autocratica e autoritaria della Turchia ha a che vedere anche con il fatto che l’Unione Europea ha chiuso la porta in faccia alla Turchia e l’ha tenuta chiusa per tutti questi anni. Il fatto di non aver dato seguito e soddisfazione alle aspirazioni sia dei cittadini turchi che della leadership turca – aspirazioni nel senso di una maggiore integrazione all’interno dell’Unione – ha fatto sì che si sia sviluppato un forte senso di disillusione nei cittadini, oltre ad aver in qualche modo dato la possibilità politica al governo di accentuare i caratteri dell’autoritarismo. Un processo di negoziazione con l’Unione Europea, continuo ed effettivamente sostanziale, probabilmente avrebbe prevenuto alcuni di questi cambiamenti di politica. Per dirne una: se il processo fosse stato in corso, l’Unione Europea avrebbe avuto un peso negoziale molto più forte e quindi probabilmente Erdogan non si sarebbe potuto permettere queste fortissime censure alla libertà di stampa, che invece ha messo in pratica in questi giorni.

Restano però forti i dubbi sull’accordo di principio raggiunto nella notte a Bruxelles tra Ue e Turchia sulla crisi dei migranti, laddove Ankara si sarebbe impegnata a riprendere gli immigrati irregolari che partono dalle sue coste alla volta di quelle greche, se l’Unione Europea si farà però carico dei costi di rimpatrio. E’ anche di questo che parlano oggi a Smirne il premier turco Davutoglu e quello greco Tsipras. L’Alto commissario Onu per i Rifugiati, Filippo Grandi, intanto esprime forti preoccupazione “per tutte le disposizioni che implicheranno il rientro indiscriminato di persone da un Paese all'altro". La bozza dell'accordo, ha aggiunto il capo dell’Unhcr, "non fornisce garanzie di protezione ai rifugiati in virtù del diritto internazionale".

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8 marzo: troppe ancora le donne vittime di violenza

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Nella Giornata internazionale della donna, voluta ogni anno l’8 marzo dall’Onu, l’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche (Umofc), rivolge il suo pensiero alle tante donne che nel mondo non vedono ancora riconosciuti dignità e rispetto dei diritti fondamentali. Un ricordo va alle quattro suore della Congregazione fondata da Madre Teresa di Calcutta, uccise nei giorni scorsi in Yemen da un gruppo di terroristi. Al microfono di Adriana Masotti, le parole di Maria Giovanna Ruggieri, presidente dell’Unione: 

R. – Sì, queste suore di Madre Teresa potremmo considerarle una sorta di punta dell’iceberg di tante persone, di tanti cristiani in generale. Ma, nel caso specifico, voglio ricordare le donne che in nome della propria fede vengono perseguitate, subiscono violenze di tutti i generi. Quindi, come diceva anche il Papa, proprio domenica scorsa all’Angelus, sono martiri del nostro tempo il cui sangue diventa la linfa vitale della Chiesa. Questa disponibilità, questo non chiudere le porte… Sono come un’icona di tanti sconosciuti che quotidianamente testimoniano la propria fede che spesso, troppo spesso oserei dire, sono vittime di stupri, di violenza, di assassinio.

D. – Quante donne, sia religiose che laiche, nel mondo effettivamente danno la loro vita giorno per giorno. Se pensiamo alle scuole, agli ospedali, ai distretti sanitari per le madri, in quanti posti è proprio la donna in particolare che dà il suo contributo…

R. – Assolutamente, proprio forse anche per questo suo senso della vita, che si porta dentro, questo senso di maternità, chiaramente è più pronta a chinarsi, come il buon samaritano, a prescindere da chi abbia davanti. Questo però non sempre le viene riconosciuto come un bene che viene fatto e, purtroppo, a volte si reagisce. E, anzi, forse proprio per questo bene danno fastidio e vengono perseguitate o direttamente eliminate.

D. – Accanto a loro ci sono tutte le altre donne che voi volete ricordare, che ancora non vedono riconosciuti i loro diritti, che subiscono violenza, le donne vittime di tratta…

R. – Sicuramente. Adesso poi c’è questa cosa sciaguratissima dell’utero in affitto, che è pure una forma di violenza. Ancora una volta, infatti, con il denaro – in nome di diritti monodirezionali, vorrei dire – vengono usate queste donne. Mi sembra anche questa una forma di violenza molto forte. Ogni tanto viene fuori un altro ambito nel quale si riescono a schiavizzare le persone o, comunque, si riescono a sfruttare le persone per fini che non rispettano la dignità della persona.

D. – E come si svolge l’impegno dell’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche a favore appunto delle donne? Qualche esempio…

R. – Intanto, c’è il discorso educativo di base. Il nostro obiettivo, infatti, è quello della promozione del protagonismo delle donne sia nella Chiesa che nella società. Poi, però, a ogni assemblea generale che facciamo ci diamo degli obiettivi specifici. In questo mandato c’è un’attenzione specifica alla promozione della famiglia, delle generazioni più giovani – mi riferisco alle donne – e poi ai poveri. A livello locale, questi contenuti vengono messi in atto secondo le diverse necessità e urgenze. Siccome noi siamo presenti in tutte le parti del mondo, è chiaro che ciascuno risponde poi anche a emergenze immediate sul posto. Sto pensando alle donne nelle Isole Fiji, ad esempio, che ultimamente hanno vissuto un ciclone e che ci hanno mandato un’informativa dicendo che stanno lavorando, stanno aiutando le famiglie che hanno perso le case nei villaggi.

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Al Regina Apostolorum scuola e famiglia contro discriminazioni

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Offrire ad insegnanti, genitori ed educatori gli strumenti per rispondere alle sfide del bullismo e dell’educazione alla differenza a scuola. Questo lo scopo di “Sapere per educare”, il seminario organizzato da “Comitato Articolo 26”, “Non si tocca la famiglia” in collaborazione con "Scienza e Vita" per la giornata di sabato 12 marzo presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (per informazioni e iscrizioni: sapereducare@gmail.com). “La giornata,  nata dall’idea di quattro donne impegnate nel mondo dell’educazione, vedrà a confronto scienziati, pedagogisti e famiglie”, spiega Chiara Iannarelli, tra le organizzatrici, al microfono di Paolo Ondarza

R. – L’idea nasce dall’iniziativa di quattro donne – mamme, insegnanti – che si sono sentite provocate, interpellate dal dibattito che si è acceso negli ultimi mesi intorno alla problematica dell’educazione contro le discriminazioni.

D. – A quali situazioni pensate, in particolare?

R. – Noi abbiamo pensato a questo seminario come una risposta concreta all’insegnante che si trova tutti i giorni nella sua classe la realtà di bambini di etnie diverse, con disabilità oppure provenienti da situazioni familiari complesse e fragili. Ecco, il senso del seminario è dare in positivo degli strumenti pedagogici e didattici per rispondere a tutte queste situazioni, anche con l’intento di fare chiarezza sui possibili equivoci legati al concetto di eguaglianza, e costruire un’autentica cultura delle differenze, attingendo anche al grande patrimonio pedagogico di cui l’Italia può già vantarsi.

D. – Oggi la scuola affronta già questi temi in modo esaustivo, o si può fare di più?

R. – E’ molto di più quello che si può e si deve fare, e per questo è urgente incominciare a progettare in positivo, perché tutti noi siamo educatori, nel momento stesso in cui bambini e ragazzi ci guardano. Ma serve “sapere per educare”: purtroppo, molte segnalazioni che giungono da tante situazioni scolastiche reali, fanno intendere che mancano in alcuni casi gli strumenti per “costruire” in maniera fondata un discorso sull’integrazione e si dà luogo a interpretazioni restrittive del concetto di educazione alle differenze:  tale visione  spesso tende ad annullare le differenze anziché valorizzarle; oppure, si tiene conto solo di alcuni aspetti e non di altri: così ad esempio nel discorso che attiene al bullismo, noi dobbiamo assolutamente trovare delle strategie per affrontarlo nel suo complesso, non solo focalizzandoci su un certo tipo di problematica, come il bullismo omofobico, ma inserire questo discorso e anche il discorso del “gender”, che tanto ci interpella in questi tempi, in un discorso più ampio su come educare contro le discriminazioni. Bisogna tenere conto di tutte le realtà attraverso strumenti scientificamente fondati. Noi faremo questo: faremo delle proposte in positivo che sono suffragate dalla scienza e che si fondano sul riconoscimento dei diritti dei bambini così come riconosciuti dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Unicef.

D. – Non a caso voi parlate di “bellezza dell’educazione”, questa importante meta che coinvolge tutti: insegnanti e genitori …

R. – Saranno moltissimi gli interventi di scienziati come Paola Binetti, Paolo Scapellato, Elvira Lozupone e Giorgia Brambilla, e scrittori come Enzo Pennetta e personalità del mondo della cultura e della scuola. Con Franco Nembrini, ospite d’eccezione, si andrà alla scoperta del senso e della bellezza dell’educazione che noi vogliamo assolutamente rilanciare come messaggio per i docenti e per gli educatori. Quindi, dopo una serie di relazioni molto ricche che si svolgeranno la mattina, nel pomeriggio si andrà a lavorare nei laboratori: si cercherà di capire come costituire progetti, come comprendere a livello scientifico quali siano i progetti inaccettabili proprio perché non fondati su basi scientifiche, come posso crescere come genitore competente – sia nel mio ruolo di educatore a casa, sia nel mio ruolo di genitore che sa interloquire con le istituzioni scolastiche – per affermare  l’importantissima responsabilità educativa delle famiglie. Per questo, invitiamo quanti più genitori, docenti, educatori e dirigenti scolastici a passare questa giornata di lavoro – anche intensa – insieme a noi, per il bene di tutti i bambini e ragazzi.

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Papa Francesco: quando la misericordia diventa diplomazia

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La misericordia, uno dei concetti chiave del magistero di Papa Francesco, può essere considerata anche un processo politico e il filo conduttore della politica estera del Pontefice. E’ quanto è emerso dall’incontro “la diplomazia della misericordia”, che si è svolto ieri a Roma a Palazzo Marescotti per presentare l’ultimo numero della rivista geopolitica Limes dedicato alla “terza guerra mondiale”, secondo la definizione del Papa. Il servizio di Michele Raviart: 

L’abbraccio con il Patriarca Kyril a Cuba. La preghiera al confine tra Messico e Stati Uniti a Ciudad Juàrez. I gesti dell’ultimo viaggio apostolico di Papa Francesco continuano un percorso iniziato l’8 luglio 2013, quando, per la sua prima visita ufficiale fuori dalla diocesi di Roma scelse l’isola di Lampedusa. Uno sguardo rivolto agli ultimi, agli “scartati” dalla società e in cui la misericordia è tanto un criterio dell’azione politica quanto una guarigione dell’anima. Padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica e autore dall’articolo “la diplomazia di Francesco”.

“L’elemento fondamentale del significato della misericordia è che mai niente e nessuno deve considerarsi come perduto, come perso: questo né nella vita delle persone, ma neanche nei rapporti tra le nazioni, tra gli Stati e tra i popoli. Papa Francesco ha toccato frontiere, barriere, intese come ferite: ricordiamo a Betlemme il Muro; la divisione tra le due Coree per lui intesa come una ferita aperta; più di recente la guarigione del confine tra Stati Uniti e Cuba; Ciudad Juarez e il viaggio nel Messico. Tutte le frontiere per lui sono un luogo in cui la misericordia di Dio si deve manifestare in funzione terapeutica, come guarigione”

Una narrativa che è anche un antidoto alla retorica dei fondamentalismi, per cui il mondo sarebbe a un passo dalla fine e in cui è necessario schierarsi “armi in mano” contro chi è diverso da noi. Lucio Caracciolo, direttore della rivista “Limes”:

“Il Papa ci invita a valutare la realtà del mondo per quella che è, senza abbellimenti, ma non per rassegnarci: per intuirla e ribellarsi a questa ideologia della guerra e della morte quasi come una forma di necessità storica. Si sta diffondendo una ideologia per cui saremmo alla fine del mondo e dovremmo quindi prepararci alla battaglia finale: una battaglia violenta è quella che per esempio il sedicente Stato Islamico propaganda nelle sue riviste patinate. Questa è una ideologia deterministica, violenta, nulla a che vedere con quella misericordia di cui parla il Papa”

La “Terza guerra mondiale a pezzi” di cui ha parlato Papa Francesco di ritorno dalla Corea sarà inevitabile solo se si continuerà ad affrontare le crisi in modo “egoista, divisivo e disumano”, come ha spiegato il presidente del Senato Pietro Grasso:

“Il ruolo del Papa è un ruolo importantissimo, perché la diplomazia della misericordia è quella che veramente può far riconciliare il mondo. Questo è il messaggio che riceviamo: in un mondo pieno di conflitti dobbiamo cercare di costruire – come dice lui – ‘ponti e non muri’. Alla misericordia del Papa, laicamente dobbiamo far ricorso alla solidarietà”.

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S. Giovanni Dio, l'uomo della "follia d'amore" per Dio

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Riscoprire il valore della misericordia nella vita di San Giovanni di Dio. Lo scrive il priore generale dell’Ordine dei Fatebenefratelli, Fra Jesús Etayo, nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria del loro fondatore. La svolta vocazionale che portò San Giovanni di Dio al suo straordinario servizio in favore dei malati nasce da un episodio particolare accaduto nella vita del Santo portoghese. Lo ricorda Fra Marco Fabello, direttore generale dell’Istituto Fatebenefratelli di Brescia, specializzato in malattie psichiatriche. L’intervista è di Alessandro De Carolis

R. – Nel 1539, quando San Giovanni di Dio ascolta una predica di San Giovanni d’Avila dà in escandescenze perché si sente molto peccatore ed è così male in arnese che lo portano al manicomio reale di Granada. Lì, dopo un po’ di giorni, decide che la gente non può essere trattata così e che deve fare un ospedale nel quale i malati siano trattati come lui vorrebbe che fossero trattati.

D. – San Giovanni di Dio in che modo contagia voi, oggi, che continuate la sua opera quasi 500 anni dopo?

R. – E’ chiaro che noi abbiamo come riferimento la sua figura ma anche l’ospedale come luogo di salute e di salvezza. Di conseguenza, il carisma dell’ospedalità ci porta a immedesimarci nella sua azione e quindi a vedere nei poveri e nei malati quell’immagine che lui ha visto un giorno quando, lavando i piedi a un malato, vide il volto di Gesù. Ora, nella pratica attuale – che è forse molto più complicata che a quel tempo – da un certo punto di vista dobbiamo rispolverare i suoi valori fondamentali perché a volte, con il tempo, si possono un po’ annebbiare. Ma credo che abbiamo ancora tutta la possibilità, soprattutto con i collaboratori, di potere ri-esprimere in modo adeguato il carisma dell’ospitalità.

D. – Il vostro priore generale ha invitato tutto l’Ordine dei Fatebenefratelli a rileggere, nell’anno del Giubileo, le pagine in cui San Giovanni di Dio parla della misericordia divina. Che cos’era la misericordia, per il vostro fondatore?

R. – Lui l’ha sperimentata su se stesso e l’ha sperimentata anche sugli altri quando, ad esempio, è riuscito a convertire un assassino e quando è riuscito a convertire un tenutario di case chiuse. Se non ci fosse stata la misericordia del Signore in quel momento, né lui sarebbe stato San Giovanni di Dio, né le altre due persone – che poi sono stati i primi due compagni – si sarebbero convertiti.

D. – Una domanda personale: cosa le ha toccato il cuore, del carisma di San Giovanni di Dio, quando ha sentito la chiamata ha seguirlo e in che modo quella fiamma oggi alimenta il suo servizio personale?

R. – E’ una confidenza che faccio a pochi, ma comunque la faccio in questa occasione. Mio padre ha sempre ospitato in casa sua, ogni venerdì, un povero e lo teneva fino al giorno dopo, lasciandolo andar via con un poco di farina, il poco che aveva perché eravamo poveri. E allora da lì nasce tutto il resto, e il resto sono 54 anni di vita religiosa. Come si manifestano oggi? Credo con l’entusiasmo, forse non più spontaneo di un tempo, e con la ragionevolezza che questa sia una vita che vale la pena di essere vissuta e che dispiace altri non vogliano farlo o non riescano a farlo, perché veramente la riscoperta dei poveri e dei malati è anche la scoperta di se stessi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Lione: inchiesta su abusi. Card. Barbarin collaborerà con la giustizia

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“Il card. Barbarin e la diocesi di Lione collaboreranno con serenità e fiducia con la giustizia e forniranno agli inquirenti tutte le informazioni a loro disposizione per far luce su questi eventi la cui complessità e lontananza storica richiedono un approccio prudente”. È quanto si legge in un comunicato diffuso dalla diocesi di Lione e rilanciato dalla Conferenza episcopale francese in merito all’indagine preliminare aperta dalla procura di Lione per mancata denuncia di crimine e messa in pericolo della vita degli altri.

Il card. Barbarin al momento dei fatti non era arcivescovo di Lione
L’indagine - riporta l'agenzia Sir - fa seguito a una segnalazione di vittime, minorenni all’epoca dei fatti, ed è relativa ad atti compiuti fino al 1991 da padre Bernard Preynat, sacerdote della diocesi di Lione. “Consapevole della estrema gravità delle accuse imputate al prete incriminato, il cardinale Barbarin – si legge nel comunicato – desidera ricordare che al momento dei fatti non era arcivescovo di Lione e che non ha mai coperto alcun fatto di pedofilia. Si è trovato nel 2007/2008 informato del passato di questo sacerdote, le cui azioni precedenti al 1991 sono state trattate, nelle rispettive epoche, dai suoi tre predecessori. Convinto che il prete avesse rotto con il passato, è stato poi rinnovato nella missione che gli avevano dato i suoi predecessori”.

Il sacerdote sospeso prima ancora della denuncia della vittima alla giustizia
Grazie al collettivo delle vittime della ‘Parole Libérée’, il cardinale ha preso atto che “i fatti sono più numerosi e più gravi di quanto sembrasse nel 2007/2008” ma torna a ribadire che “nessun fatto di nostra conoscenza è successiva al 1991”. La diocesi di Lione aggiunge che è nel 2014 che per la prima volta il cardinale “riceve la testimonianza diretta di una vittima di fatti prescritti e decide, dopo aver ottenuto il parere di Roma, di sospendere il sacerdote nel maggio 2015, prima ancora della denuncia della vittima alla giustizia”.

 Il card. Barbarin ha agito con ‘estrema responsabilità’
Il comunicato conclude: “Il card. Barbarin rinnova il suo sostegno alle vittime e alle loro famiglie e porta nella preghiera tutti coloro che sono stati feriti da questi eventi dolorosi. Esprime la speranza che la giustizia possa agire nella serenità necessaria per comprendere e accertare la verità. Il card. Barbarin ha agito con ‘estrema responsabilità’, come ha ricordato il 19 febbraio scorso il portavoce vaticano”.

Dai vescovi francesci sostegno alle vittime e solidarietà al card. Barbarin
​“La Conferenza dei vescovi di Francia – si legge in un comunicato dell'episcopato – ha preso atto dell’apertura di un’inchiesta preliminare da parte della Procura della Repubblica di Lione e desidera primo di tutto ribadire il suo profondo dolore e il suo sostegno alle vittime di tali atti. Ribadisce la politica di fermezza condotta dai vescovi di Francia per oltre 15 anni su questioni di pedofilia”. La Conferenza episcopale ribadisce quanto affermato in un comunicato stampa diffuso dalla diocesi di Lione e “ripete, con il card. Barbarin, piena collaborazione con la giustizia. Assicura sostegno e preghiere al card. Barbarin”. (R.P.)

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Iraq. Patriarca Sako: no a milizie cristiane contro l'Is

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“Pensare che il nostro trionfo possa dipendere dalla creazione di fazioni armate isolate per combattere a difesa dei nostri diritti potrebbe condurre a un altro 'olocausto',” come è già successo in passato, quando milizie cristiane “hanno combattuto le guerre degli altri”. Mentre la strada da seguire è quella di “imparare la lezione della storia”, e eventualmente sostenere le forze armate regolari. Così il Patriarca caldeo Louis Raphael I esprime la sua netta e definitiva presa di distanza rispetto ai gruppi che nelle comunità cristiane sire, assire e caldee sostengono la necessità di difendere i propri diritti comunitari e combattere le forze jihadiste anche attraverso la formazione di gruppi armati organizzati su base confessionale.

Sako invita ad arruolarsi nelle forze armate regolari
In un ampio messaggio a tutti i caldei, diffuso attraverso i canali ufficiali del Patriarcato e ripreso dall'agenzia Fides, il Primate della Chiesa caldea dice a chiare lettere che in realtà tali milizie confessionali sono “sponsorizzate e sostenute dagli stessi poteri che hanno scatenato il conflitto”, mentre l'unica soluzione legittima e efficace – sostiene il Patriarca nel suo intervento, pervenuto all'agenzia Fides – è quella di arruolarsi nelle forze armate regolari, come l'esercito iracheno o quello che fa capo alla Regione autonoma del Kurdistan iracheno, per “collaborare con loro alla liberazione della terra occupata. Noi – prosegue il Primate ella Chiesa caldea “dobbiamo prendere atto che che il nostro destino è legato a quello di tutti gli iracheni, e questo è l'unico modo per garantire il nostro futuro insieme, dove gli sciiti sono chiamati a offrire la propria vita insieme ai curdi, ai sunniti, ai cristiani e ai turkmeni”.

L'estremismo islamista, fenomeno “anomalo e politicamente telecomandato”
​Nello stesso intervento, il Patriarca caldeo definisce l'estremismo di marca islamista che sta sconvolgendo gli scenari mediorientali come un fenomeno “anomalo e politicamente telecomandato”, e ripete con forza la sua certezza che “niente espellerà la cristianità dal Medio Oriente, nonostante le difficoltà, fino a quando ci saranno cristiani decisi a rimanere nella propria terra d'origine, fieri della propria identità e della propria missione in questa parte del mondo”. (G.V.)

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Pakistan. A Lahore chiese a rischio demolizione per nuova linea metro

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Diversi edifici e siti di valore storico, artistico e religioso, nonché diverse chiese, sono a rischio demolizione a Lahore, per far posto alla nuova linea del treno metropolitano progettata e avviata dall’amministrazione comunale, per adeguare la città alla mutate esigenze del trasporto pubblico. Come riportano all'agenzia Fides associazioni locali, cristiane e non, la nuova linea metropolitana avrà come conseguenza, inoltre, lo sfollamento di migliaia di persone dalle loro case.

A rischio chiese e cimiteri
Sono almeno 25 i siti storici interessati , che potranno essere demoliti anche se protetti come beni artistici. Vi sono, tra questi, diversi luoghi di culto, come le chiese cristiane presbiteriane di Sant’Andrea e Naulakha, la chiesa anglicana della Resurrezione e il cimitero di Mominpura, di particolare importanza per la comunità musulmana sciita di Lahore.

Per le case espropriate non è previsto nessun indennizzo
L'Istituto per bambini svantaggiati, che serviva 180 famiglie con i bambini con handicap mentale, è stato demolito e le famiglie sono in attesa di trasferire i bambini in un'altra scuola. Secondo il piano approvato, scuole, edifici, ospedali, case, spazi verdi lungo il tracciato individuato saranno distrutti. Il progetto della linea arancione di treno metropolitano, lunga 27 km, dovrebbe essere completato entro ottobre 2017. Le organizzazioni della società civile sostengono che il governo del Punjab non ha preso in considerazione nemmeno il costo umano di spostare migliaia di persone che vivono in zone centrali densamente popolate: per loro non è previsto alcun indennizzo.

La demolizione delle opere d'arte lede i diritti delle persone
Farida Shaheed, ex relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti culturali, ha rimarcato che “la distruzione di questi siti viola il diritto dei cittadini e lede in modo significativo il patrimonio culturale della città”. Secondo l’Ong “Christian Solidarity Worldwide” “nella costruzione di questa linea ferroviaria, il governo del Punjab infrange le convenzioni internazionali che tutelano i diritti delle persone”. (P.A.)

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Chiesa indiana: promozione dei laici e impegno nel dialogo

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“Vi è la necessità di una costante formazione dei laici perché possano comprendere e vivere il loro ruolo nella Chiesa. Nello scenario sociopolitico di oggi, è fondamentale riconoscere la dignità dei laici e la loro partecipazione alla missione della Chiesa. Inoltre la testimonianza cristiana in una società pluralistica significa impegnarsi in un dialogo fecondo con persone di diverse fedi, religioni e culture”: lo ha detto l’arcivescovo Salvatore Pennacchio, nunzio apostolico in India e Nepal, intervenendo all’Assemblea plenaria dei vescovi latini dell’India, in corso a Bangalore dal 2 al 9 marzo.

In India migliora il rapporto con le altre Chiese
Come riferisce l'agenzia Fides, mons. Pennacchio ha rimarcato all’Assemblea che “nel contesto dell'India, il rapporto tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese cristiane sta migliorando. Tuttavia diversi fattori ancora ci separano. In un tempo di crescente secolarizzazione e di discriminazioni religiose, i cristiani devono essere uniti tra loro e donare alla nazione una comune testimonianza di unità e fedeltà a Cristo”.

Ricordato il martirio delle quattro suore in Yemen
Il card. Oswald Gracias, presidente della Conferenza dei vescovi di rito latino (Ccbi), ha lanciato un appello a pregare per i cristiani perseguitati nel mondo, soprattutto per i cristiani in Medio Oriente, ricordando le quattro suore uccise nel recente massacro in Yemen: “Tutte – ha ricordato – hanno cercato di vivere il carisma di Madre Teresa, donandosi totalmente, e in questo servizio hanno perso la vita. Questo omicidio è senza senso, ma darà i suoi frutti. Preghiamo perché il sangue versato porti pace in una zona lacerata”.

Chiesto il rilascio del sacerdote indiano rapito dai jihadisti in Yemen
I vescovi hanno anche chiesto alle autorità di adottare misure immediate per il rilascio del sacerdote salesiano indiano padre Tom Uzhunnalil, originario del Kerala, rapito dai terroristi in Yemen. La Conferenza dei vescovi latini dell'India (Ccbi), con circa 180 vescovi, è la più grande Conferenza episcopale in Asia e la quarta più grande del mondo. (P.A.)

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Comece: nominati due nuovi vicepresidenti

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Due nuovi vicepresidenti e un nuovo segretario generale: novità rilevanti alla Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea), organismo ecclesiale europeo con base a Bruxelles. Al termine dell’Assemblea plenaria svoltasi dal 2 al 4  marzo, i vescovi hanno proceduto ad alcune nomine delle quali il segretariato ne ha dato notizia ieri. I vicepresidenti supplementari – riferisce l’agenzia Sir - sono mons. Czeslaw Kozon, vescovo di Copenaghen, che alla Comece rappresenta la chiesa scandinava, e mons. Rimantas Norvila, vescovo di Vilkaviškis (Lituania).

Padre Poquillon nuovo segretario generale
L’Assemblea ha inoltre nominato nuovo segretario generale per un mandato di tre anni padre Olivier Poquillon, attualmente priore del convento dei Domenicani Saint Pierre Martyr a Strasburgo, che però entrerà in carica solo “tra alcuni mesi”. Nel frattempo la funzione è stata assegnata – a partire dal 16 maggio – all’assistente del segretario generale, Michael Kuhn. I vescovi “hanno tenuto a ringraziare padre Patrick Daly”, segretario generale uscente, “per il lavoro svolto in questi quattro anni”.  Olivier Poquillon, classe 1966, nato a Maison-Laffitte, dopo studi giuridici è entrato in convento nel 1994, ha studiato teologia ed è stato ordinato sacerdote nel 2001. Ha acquisito un bagaglio di conoscenze europee e internazionali alla Missione della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, ha quindi insegnato all’università di Mosul in Iraq; dal 2008 al 2013 è stato delegato dell’Ordine dei Domenicani presso le Nazioni Unite a Ginevra. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 68

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.