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Sommario del 10/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa approva nuove norme per la gestione dei beni delle Cause di Beatificazione

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Papa Francesco ha approvato, ad experimentum per tre anni, le nuove “Norme sull’amministrazione dei beni delle Cause di beatificazione e canonizzazione”, abrogando quelle precedentemente approvate da San Giovanni Paolo II nel 1983.

Più trasparenza, maggiore coinvolgimento di promotori e vescovi
Il Rescritto - che riporta le nuove norme - ricorda che le Cause di beatificazione e canonizzazione per la loro complessità richiedono molto lavoro e comportano spese. Si intende adesso rendere ancora più trasparente, chiara e funzionale la gestione di tali beni. I promotori delle Cause e i vescovi diocesani competenti saranno maggiormente coinvolti.

Vigilanza su contenimento spese
Per quanto riguarda la fase romana, la Sede Apostolica, data la natura peculiare di bene pubblico delle Cause, ne sostiene i costi, a cui i promotori partecipano tramite un contributo, e vigila perché gli onorari e le spese siano contenuti e tali da non ostacolarne il proseguimento.

Contabilità regolarmente aggiornata
Il promotore costituisce un fondo di beni per le spese della Causa, proveniente da offerte sia di persone fisiche sia di persone giuridiche, che viene considerato, a motivo della sua natura particolare, “fondo di Causa pia”. L’amministratore del fondo deve rispettare scrupolosamente l’intenzione degli offerenti, tenere una contabilità regolarmente aggiornata, redigere annualmente i bilanci da presentare al promotore per la dovuta approvazione, inviare al postulatore copia dei bilanci.

Interventi disciplinari in caso di abusi
Qualora il promotore intenda utilizzare anche una sola parte dei beni per scopi diversi dalla Causa dovrà ottenere l’autorizzazione della Congregazione delle Cause dei Santi. Il promotore, ricevuto il bilancio, dopo averlo approvato tempestivamente, ne invia copia all’autorità competente perla vigilanza. In caso di inadempienze o di abusi di natura amministrativo-finanziaria da parte di quanti partecipano allo svolgimento della Causa, il Dicastero interviene disciplinarmente.

Cessazione del fondo
Celebrata la beatificazione o la canonizzazione, l’amministratore del fondo rende conto dell’amministrazione complessiva dei beni per la debita approvazione. Dopo la canonizzazione la Congregazione delle Cause dei Santi, a nome della Sede Apostolica, dispone dell’eventuale rimanenza del fondo, tenendo presenti le richieste di utilizzo da parte del promotore. Adempiuto quanto prescritto, il fondo della Causa e la Postulazione cessano di esistere.

Fondo di solidarietà
Presso la Congregazione delle Cause dei Santi è costituito un “Fondo di Solidarietà” che viene alimentato con offerte libere dei promotori o di qualsiasi altra fonte. Nei casi in cui vi sia reale difficoltà a sostenere i costi di una Causa in fase romana, il promotore può chiedere un contributo alla Congregazione delle Cause dei Santi per il tramite dell’ordinario competente. Questi, prima di inviare l’eventuale richiesta, verifichi la posizione economico-finanziaria del fondo e l’impossibilità di alimentarlo con il reperimento di ulteriori sussidi. La Congregazione delle Cause dei Santi valuterà caso per caso.

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Esercizi spirituali: la misericordia “tocca” le ferite di chi soffre

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La Chiesa e ogni cristiano abbiano per le ferite del mondo la compassione del buon samaritano, perché il prendersi cura di chi soffre migliora i rapporti sociali e argina la cultura dello scarto. È il pensiero di sintesi dell’ottava meditazione tenuta da padre Ermes Ronchi a Papa Francesco e alla Curia Romana, giunti al quinto giorno degli esercizi spirituali ad Ariccia. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

È l’alba della domenica e tre giorni sono trascorsi in un immenso senso di vuoto e molte lacrime. Anche la donna che si avvicina al sepolcro ne ha il volto rigato e la vista della pietra rotolata via aumenta l’angoscia. La ferma una voce: “Donna chi cerchi? Perché piangi?”. Padre Ermes Ronchi parte da questa scena per descrivere il comportamento di Dio verso il dolore dell’uomo.

I tre verbi della compassione
Gesù è risorto, osserva il predicatore, “è il Dio della vita” e si “interessa delle lacrime” della Maddalena. “Nell'ultima ora del venerdì, sulla Croce si era occupato del dolore e dell’angoscia di un ladro, nella prima ora della Pasqua si occupa del dolore e dell’amore di Maria”. Perché, sottolinea padre Ronchi, è questo lo stile di “Gesù, l’uomo degli incontri”: non “cerca mai il peccato di una persona, ma si posa sempre sulla sofferenza e sul bisogno”. E allora, si chiede il religioso, “come fare per vedere, capire, toccare e lasciarsi toccare dalle lacrime” degli altri?:

“Imparando lo sguardo e i gesti di Gesù, che sono quelli del buon samaritano: vedere, fermarsi, toccare, tre verbi da non dimenticare mai (...) Vedere: il samaritano vide ed ebbe compassione. Vide le ferite di quell’uomo, e si sentì ferire (...) La fame ha un perché, i migranti hanno dietro montagne di perché, i tumori della terra dei fuochi hanno un perché. Interrogarsi sulle cause è da discepoli. Essere presenza là dove si piange (...) e poi cercare insieme come giungere alle radici del male e strapparle”.

Non “passare oltre”
In molte scene del Vangelo Gesù vede il dolore umano e prova compassione. Questo vocabolo, dice padre Ronchi, nel testo greco si traduce con sentire “un crampo al ventre”. La vera compassione dunque non è un pensiero astratto e nobile ma un morso fisico. Quello che induce il buon samaritano a non “passare oltre” come fanno il sacerdote e il levita. Anche perché, chiosa padre Ronchi, “oltre non c’è niente, tantomeno Dio”:

“La vera differenza non è tra cristiani, musulmani o ebrei, la vera differenza non è tra chi crede o chi dice di non credere. La vera differenza è tra chi si ferma e chi non si ferma davanti alle ferite, tra chi si ferma e chi tira dritto (...) Se io ho passato un’ora soltanto ad addossarmi il dolore di una persona, lo conosco di più, sono più sapiente di chi ha letto tutti i libri. Sono sapiente della vita”.

La misericordia non è mai a “distanza”
Terzo verbo: toccare. “Ogni volta che Gesù si commuove, tocca”, ricorda il predicatore degli esercizi. “Tocca l’intoccabile”, un lebbroso, il primo degli scarti umani. Tocca il figlio della vedova di Nain e “viola la legge, fa ciò che non si può: prende il ragazzo morto, lo rialza e lo ridà a sua madre”:

“Lo sguardo senza cuore produce buio e poi innesca un’operazione ancor più devastante: rischia di trasformare gli invisibili in colpevoli, di trasformare le vittime – i profughi, i migranti, i poveri – in colpevoli e in causa di problemi (...) E se vedo, mi fermo e tocco. Se asciugo una lacrima, io lo so, non cambio il mondo, non cambio le strutture dell’iniquità, ma ho inoculato l’idea che la fame non è invincibile, che le lacrime degli altri hanno dei diritti su ciascuno e su di me, che io non abbandono alla deriva chi ha bisogno, che tu non sei gettato via, che la condivisione è la forma più propria dell’umano. (…) Perché la misericordia è tutto ciò che è essenziale alla vita dell'uomo. La misericordia è un fatto di grembo e di mani. E Dio perdona così: non con un documento, con le mani, un tocco, una carezza”.

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Padre Ermes Ronchi: il perdono di Dio spalanca il futuro

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Il perdono di Dio è “amore autentico” che incalza l’uomo a divenire “il meglio di ciò che può diventare”: è quanto ha affermato padre Ermes Ronchi nella sua settima meditazione in occasione degli esercizi spirituali ad Ariccia, cui partecipano Papa Francesco e i membri della Curia Romana. La riflessione del religioso è partita dalla domanda di Gesù all’adultera perdonata: «Allora Gesù si alzò e le disse: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?» (Gv, 8, 10).  Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Chi ama accusare, inebriandosi dei difetti altrui – sottolinea padre Ermes Ronchi - crede di salvare la verità lapidando coloro che sbagliano. Ma così nascono le guerre. Si generano conflitti “tra nazioni, ma anche nelle istituzioni ecclesiastiche, nei conventi, negli uffici” dove regole, costituzioni, decreti diventano sassi “per lapidare qualcuno”.

Ipocriti e accusatori mettono Dio contro l’uomo
Il brano dell’adultera per secoli è stato ignorato dalle comunità cristiane perché “scandalizzava la misericordia di Dio”. Il nome della donna adultera non è rivelato. “Rappresenta tutti”, è schiacciata da poteri di morte che esprimono l’oppressione degli uomini sulle donne. I farisei di ogni epoca mettono il peccato “al centro del rapporto con Dio” ma “la Bibbia non è un feticcio o un totem”: esige “intelligenza e cuore”. I poteri che non esitano a usare una vita umana e la religione “mettono Dio contro l’uomo”. E’ questa “la tragedia del fondamentalismo religioso”:

“Il Signore non sopporta ipocriti, quelli dalle maschere, dal cuore doppio, i commedianti della fede e non sopporta accusatori e giudici”.

Il genio del cristianesimo è invece nell’abbraccio tra Dio e l’uomo. “Non si oppongono più”, “materia e spirito si abbracciano”. La malattia che Gesù teme e combatte di più è “il cuore di pietra” degli ipocriti: “violare un corpo, colpevole o innocente, con le pietre o con il potere, è la negazione di Dio che in quella persona vive”.

Dove c’è misericordia, c’è Dio
Il giudizio contro l’adultera è diventato “un boomerang contro l’ipocrisia dei giudici”. “Nessuno può gettare la pietra, la scaglierebbe contro se stesso”. Dove c’è misericordia – scriveva S. Ambrogio – lì c’è Dio; dove c’è rigore e severità forse ci sono i ministri di Dio ma Dio non c’è”. Gesù si alza davanti all’adultera, “come ci si alza davanti ad una persona attesa e importante”. Si alza per esserle più vicino, nella prossimità, e le parla. Nessuno le aveva parlato prima. “La sua storia, il suo intimo tormento non interessavano”. Invece Gesù coglie l’intimo di quell’anima. “La fragilità è maestra di umanità”:

“E’ la cura dei fragili, è la cura degli ultimi, dei portatori di handicap e l’attenzione alle pietre scartate che indica il grado di civiltà di un  popolo, non le gesta dei forti e dei potenti”.

A Gesù non interessa il rimorso ma la sincerità del cuore. Il suo perdono è “senza condizioni, senza clausole, senza contropartite”. Gesù mette se stesso al posto di tutti i condannati, di tutti i peccatori. Spezza la “catena malefica” legata all’idea di “un Dio che condanna e si vendica, giustificando la violenza”.

L’amore di Dio cambia la vita
Il cuore del racconto non è il peccato da condannare o da perdonare. Al centro non c’è il male ma “un Dio più grande del nostro cuore” che non banalizza la colpa ma fa ripartire l’uomo da dove si è fermato. Apre sentieri, rimette sulla strada giusta, fa compiere un passo in avanti, “spalanca il futuro”. Gesù compie “una rivoluzione radicale” sconvolgendo il tradizionale ordine ad asse verticale con “sopra di tutti un Dio giudice e punitore”. “Un Dio nudo, in croce, che perdona, sarà il gesto sconvolgente e necessario per disinnescare la miccia delle infinite bombe sulle quali è seduta l’umanità”:

“Non il Dio onnipotente, ma l’Abbà onni-amante. Non più il dito puntato, ma quello che scrive sulla pietra del cuore: io ti amo”.

“Va e d’ora in poi non peccare più”. Sono le sei parole che bastano a cambiare una vita. Ciò che sta dietro non importa più. E’ il futuro ora a contare. “Il bene possibile domani conta più del male ieri”. Dio perdona “non come uno smemorato, ma come un liberatore”. Il perdono non è buonismo, “ma rimettere in cammino una vita”.

Il perdono libera dalle schiavitù del passato
Tante persone vivono “come in un ergastolo  interiore”, schiacciate dai sensi di colpa a causa di errori passati. Ma “Gesù apre le porte delle nostre prigioni, smonta i patiboli su cui spesso trasciniamo noi stessi e gli altri”. “Gesù sa che l’uomo non equivale al suo peccato”. Al Signore non interessa il passato. “E’ il Dio del futuro”. Le parole di Gesù e i suoi gesti spezzano lo schema buoni/cattivi, colpevoli/innocenti. Gesù, con la misericordia, “ci conduce oltre gli steccati dell’etica”. All’occhio che vede il peccato - conclude padre Ermes Ronchi - “è chiesto di vedere il sole: “la luce è più importante del buio”, “il grano vale più della zizzania”, “il bene pesa più del male”.

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Papa Francesco prega per le famiglie in difficoltà

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È dedicata alla famiglia l’intenzione universale di preghiera di Papa Francesco per il mese di marzo. “La famiglia – scrive il Papa – è uno dei beni più preziosi dell'umanità, ma non è forse anche uno dei più vulnerabili? Quando una famiglia non è protetta e ha difficoltà di tipo economico, per la salute o di qualsiasi altro tipo, i bambini crescono in circostanze difficili”.

Il video che da quest'anno accompagna il testo della preghiera papale mostra in questa occasione una scena in cui una bambina sente arrivare da dietro una porta chiusa rumore di colpi e di lamenti soffocati.

“Voglio condividere con voi e con Gesù – conclude Francesco – la mia intenzione per questo mese: che le famiglie in situazioni difficili ricevano il sostegno necessario e i bambini possano crescere in ambienti sani e sereni”.

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Il card. Woelki inviato speciale del Papa in Lussemburgo

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Papa Francesco ha nominato il cardinale Rainer Maria Woelki, arcivescovo di Köln in Germania, come suo inviato speciale in Lussemburgo in occasione della celebrazione conclusiva dell’Ottava di Nostra Signora Consolatrice degli Afflitti, nel 350.mo anniversario dell’elezione a Patrona della città di Lussemburgo, in programma il primo maggio 2016.

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Santa Sede: pensiero unico mina la libertà religiosa

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La Santa Sede è allarmata per l’aumento delle violazioni della libertà di religione e di credo in molti Paesi nel mondo. E’ quanto ha affermato mons. Richard Gyhra, incaricato d’affari ad interim vaticano presso l’Ufficio Onu di Ginevra, durante una sessione dedicata al rapporto tra libertà religiosa e libertà di espressione. Si tratta di una tendenza che “sembra indicare una mancanza di volontà politica da parte delle varie istituzioni della comunità internazionale di affrontare le cause di tale violenza”.

Libertà religiosa e libertà di espressione sono interdipendenti
Libertà religiosa e di espressione – ha precisato – “sono interdipendenti e unite”: il pericolo si presenta “quando i diritti umani vengono compresi secondo un approccio che considera la libertà come licenza o autonomia completa” e “l'esercizio della propria libertà senza alcun riferimento all'altro" e alla corrispondenza tra diritti e doveri .

Il pensiero unico
Mons. Gyhra ricorda che “minimizzare il ruolo essenziale che la religione ha in tutte le società non è la risposta alle sfide attuali”. Il mondo appare sempre più soggetto alla "globalizzazione del paradigma tecnocratico", che “mira consapevolmente ad una uniformità unidimensionale” cercando di “eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una ricerca superficiale di unità”. Invece, “un sano pluralismo, che davvero rispetti gli altri ed i valori come tali" è un "alleato prezioso nell’impegno a difendere la dignità umana”. Perciò, mentre questa tendenza a rendere tutti uguali, “distrugge l'individualità di ogni persona”, la libertà religiosa, “radicata nel rispetto della libertà di coscienza”, per la sua stessa natura trascende “la sfera privata degli individui e delle famiglie e cerca di costruire il bene comune di tutte le persone”.

Tirannia moderna che cerca di sopprimere la libertà religiosa
Il rappresentante pontificio cita Papa Francesco, quando dice che “in un mondo dove le diverse forme di tirannia moderna cercano di sopprimere la libertà religiosa o cercano di ridurla a una subcultura senza diritto di espressione nella sfera pubblica o ancora cercano di utilizzare la religione come pretesto per l’odio e la brutalità, è doveroso che i seguaci delle diverse tradizioni religiose uniscano le loro voce per invocare la pace, la tolleranza e il rispetto della dignità e dei diritti degli altri".

Una libertà che non offenda gli altri
“Per la Santa Sede, la libertà di religione e la libertà di espressione – ha osservato l’incaricato d’affari - sono chiamate a convivere come diritti umani fondamentali. C'è una verità, tuttavia, che non deve essere trascurata; vale a dire, che ognuno ha il diritto di praticare la propria religione liberamente, senza offendere gli altri". Mai fare la guerra o uccidere in nome della propria religione, dice mons. Gyhra, che cita nuovamente Papa Francesco quando afferma: “Uccidere in nome di Dio è un’aberrazione”, e ancora: “Ognuno non solo ha la libertà, il diritto, ha anche l’obbligo di dire quello che pensa per aiutare il bene comune. Abbiamo l’obbligo di dire apertamente, avere questa libertà, ma senza offendere. Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri, non si può prendere in giro la fede".

Equilibrio delicato tra libertà religiosa e d'espressione
In questo senso - ha sottolineato mons. Gyhra - c'è un equilibrio delicato “tra questi due diritti fondamentali che deve essere conservato con cura nel rispetto della libertà di coscienza degli altri, esercitando la nostra libertà in modo responsabile e rispettoso, non come una totale autonomia o licenza, ma piuttosto come la libertà di scegliere ciò che è veramente buono per l'individuo, la sua comunità e il bene comune e trattando gli altri come vorremmo essere trattati noi”.

Legislazioni che non consentono il pieno esercizio della liberta religiosa
L’incaricato d’affari denuncia poi “la limitazione che alcune forme di legislazione nazionale impongono, non consentendo un esercizio pieno della libertà di religione, diritto umano fondamentale come espresso nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Per una diminuzione delle violazioni di questo diritto fondamentale, è imperativo che tutte le persone di tutte le convinzioni religiose o di nessuna religione vengano trattate allo stesso modo come cittadini in senso pieno, senza discriminazione e persecuzione a causa della loro convinzioni o credenze”.

Le società non hanno perso il sentimento religioso
La libertà di religione o di credo – afferma mons. Gyhra – “è un diritto umano fondamentale che non può essere semplicemente messo da parte, come se le nostre società fossero andate al di là di ogni credo o sentimento religioso”. Per il fatto che molte violenze di oggi sono opera “di alcuni estremisti", c'è chi vorrebbe estirpare la religione "dalla modernità attraverso il bisturi della libertà di espressione”. Si tratta – conclude il rappresentante pontificio – di un tentativo non solo sbagliato, ma “contrario alla natura della persona umana”.

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Mons. Boccardo: il card. Pironio uomo di fede e di tenerezza

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Un amico della gente e per tutta la gente. Così nel 2002 l'allora cardinale Bergoglio aveva ricordato in una commemorazione il cardinale Eduardo Francisco Pironio, deceduto nel 1998 e tra gli ideatori delle Giornate mondiali della gioventù. Domani mattina a Roma, nel palazzo del Vicariato il cardinale vicario Agostino Vallini, presiederà la sessione di chiusura della fase diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio Pironio. Per la parte attrice della Causa – la Conferenza episcopale argentina – sarà presente monsignor Carlos Malfa, vescovo di Chascomús. Nato in Argentina nel 1920 da emigrati friulani e ordinato sacerdote nel 1943, il cardinle Pironio è stato vescovo di Mar del Plata dal 1972. Giovanni Paolo II nel 1984 lo volle come presidente del Pontificio Consiglio per i Laici. E’ sepolto nel Santuario di Nostra Signora di Lujan, in Argentina. Il ricordo del porporato nelle parole di mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto, che ha lavorato per diversi anni con il cardinale Pironio. L'intervista è di Marina Tomarro

R. – Il primo ricordo, la prima definizione che mi viene spontanea è quella di un uomo di Dio. Il cardinale era un uomo che sapeva trarre dai diversi eventi, anche da quelli più semplici, un rapporto con la Parola del Signore. Ricordo bene che a ogni incontro che si faceva al Pontificio Consiglio per i Laici lui arrivava con il lezionario e iniziava con un tempo di preghiera sulla lettura biblica del giorno ed era questo mettersi nella luce della Parola del Signore quello che gli dava la capacità poi di interpretare, di orientare anche le riflessioni e il lavoro comune. La seconda immagine è un’immagine di paternità. Il cardinale aveva una grande umanità e la sapienza del cuore per orientare, accompagnare, consolare. Quante lettere ha mandato nel mondo intero a quelle persone che si rivolgevano a lui per le cause più diverse.

D. – Il cardinale Pironio è stato anche tra gli ideatori delle Giornate mondiali della gioventù. Cosa ricorda di questo?

R. – Il cardinale raccolse l’intuizione di San Giovanni Paolo II proprio agli inizi della realizzazione delle Giornate mondiali. Quando lui terminò il suo servizio al Pontificio Consiglio per i Laici scrisse: “Io ho la gioia di essere stato, non per merito mio, ma perché il Papa mi ha voluto, il cardinale dei giovani”. Andando in giro per il mondo nelle Giornate mondiali lui riusciva a entrare in sintonia e a colloquiare con ragazzi che venivano da ogni parte del mondo, che si sentivano accolti, riconosciuti, e si creava un dialogo che era particolarmente eloquente, cioè un feeling spontaneo, immediato, gratuito che permetteva ai giovani di considerare il cardinale davvero un padre buono.

D. – Secondo lei, qual’è l’eredità spirituale del cardinale Pironio?

R. – Il cardinale è stato un uomo di speranza. In ogni suo intervento parlava sempre della speranza: non di una speranza superficiale o sentimentale, ma di una speranza sicura, fondata sulla Resurrezione del Signore. E, dunque, questo sguardo di amore sulla realtà, anche sulla realtà più triste, sulla realtà ferita del nostro mondo. Lui sempre aveva questa chiave interpretativa: la gioia del Signore risorto che fonda la nostra speranza. Mi pare che questo sia il messaggio sintesi di tutta l’opera del cardinale: la speranza cristiana che affonda le sue radici nel sepolcro vuoto. Tutte immagini che il cardinale ha sempre utilizzato nei suoi interventi.

D. – Qual è il suo ricordo personale invece?

R. – Questa profonda spiritualità e questa umanità ricca. Direi che questo sia l’insegnamento che custodisco nel cuore di questa grande figura di sacerdote, di pastore. Una umanità che nasce dall’incontro con il Signore e che costituisce il cuore e la ricchezza vera di ogni cristiano, di ogni prete.

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Le risposte del Papa ai bambini. Il libro presentato a Roma

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Presentato questa mattina all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma il libro “L’amore prima del mondo. Papa Francesco scrive ai bambini”. Il volume curato da padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, raccoglie le risposte del Papa alle domande e ai disegni di bambini di tutto il mondo. Il servizio di Paolo Ondarza

Un libro di relazione. Domande profonde che ogni adulto vorrebbe fare, ma che solo un bambino è in grado di rivolgere senza filtri e risposte altrettanto dirette e spontanee: quelle del Papa, raccolte da padre Antonio Spadaro:

“Il Papa si rende conto che le domande dei bambini sono le più profonde, perché le più semplici, e quindi il Papa è sfidato e accetta la sfida. Questo libro, in realtà, mi sono reso conto, è per tutti: raccoglie tutte le domande che anche io mi sono sempre posto quando ero bambino e che però poi alla fine ho nascosto dentro l’anima, perché sono cresciuto e mi sono cresciuti i muri attorno”.

Perché la sofferenza? Perché la morte dei nostri cari? Le persone cattive hanno un angelo custode? I bambini vanno all’essenziale e Francesco li incoraggia a porsi domande, a non avere paura di piangere, a ballare per non “ammalarsi di serietà” quando saranno grandi. Cosa faceva Dio prima di creare il mondo? Amava, risponde Francesco. Perché non ci sono più i miracoli? Chiede Joaquin dal Perù. “Non è vero i miracoli ce ne sono tanti” – spiega il Papa pensando ai martiri del Medio Oriente ai tanti miracoli della vita quotidiana. "Caro Papa se potessi fare un miracolo cosa faresti?" chiede William. “Guarirei i bambini”, la risposta di Francesco, che senza imbarazzo spiega: “Non sono riuscito a capire perché i bambini soffrano, è un mistero, non so dare una spiegazione”. Significativo che il colorato libro sia stato presentato al Bambino Gesù, l’ospedale del Papa. La casa editrice Rizzoli ha donato 500 copie al nosocomio, come spiega la  direttrice Mariella Enoc:

“Doneremo queste copie ai nostri bambini ricoverati qua e poi un numero di copie andrà invece ai bambini delle periferie romane, che sono in povertà di salute. Noi andiamo da loro per fare attività di prevenzione, di vaccinazione. Forse, davvero, tra le mani un libro così importante non l’hanno mai avuto”.

E così i bambini del Bambino Gesù hanno voluto salutare il Papa:

R. – Se fossi Papa salverei tutto il mondo.

R. – Se fossi Papa direi di inquinare meno.

R. – Se fossi Papa farei fare le cose giuste ai politici.

R. – Vorrei tanto che le persone scegliessero il bene e non il male.

R. – Darei da mangiare ai più poveri.

R. – Andrei a trovare tutti i bambini in ospedale.

R. – Se fossi Papa mi affaccerei alla finestra di San Pietro e farei il giro del mondo.

R. – Mi piacerebbe che in tutti i negozi i giocattoli e il cibo fossero gratis.

R. – Un miracolo che ci vorrebbe quest’anno è far vincere lo scudetto alla Roma!

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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La responsabilità della condanna nel processo a Gesù: Lucetta Scaraffia sul libro di Aldo Schiavone su Ponzio Pilato.

Un articolo di Marcello Semeraro dal titolo "Glosse sulla sinodalità": tra gli scritti paolini e gli anni del Concilio.

Alla sorellina che danza: la prefazione di Guy Jospeh Consolmagno, gesuita direttore della Specola Vaticana, al libro di Enrico Medi "Cantico di frate sole".

Cose stranissime e visioni di un genio: Gabriele Nicolò sulla mostra di Hieronymus Bosch per i cinquecento anni della morte.

Amico per tutti gli uomini: Edoardo Francisco Pironio nel ricordo del cardinale Bergoglio.

Un clic per pregare: intervista di Nicola Gori al direttore internazionale della Rete mondiale, il gesuita Frédérc Fornos.

Le cause dei santi sono un bene pubblico: rescritto "ex audentia sanctissimi" per l'approvazione di nuove norme sull'amministrazione.

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Oggi in Primo Piano



Chiusa la rotta balcanica: timori per riflusso su Adriatico

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Cinque persone, tra cui un neonato di 3 mesi, sono annegate la scorsa notte nel mar Egeo mentre cercavano di raggiungere le coste dell'isola greca di Lesbo dalla Turchia. Lo riferisce l'agenzia statale Anadolu, secondo cui nove migranti sono stati tratti in salvo dalla Guardia costiera turca. A bordo c'erano persone di nazionalità afghana e iraniana. Dopo la chiusura della porta dei Balcani occidentali al flusso dei migranti, si accentuano i timori tra i Paesi europei per l'attivazione di nuove rotte, in particolare di quella adriatica. Fausta Speranza ne ha parlato con Francesco Cherubini, docente di Organizzazioni internazionali e Diritti umani all'Università Luiss: 

R. – Esternalizzare i controlli, delegando Stati terzi con l’aiuto degli Stati membri dell’Unione Europea o di altre organizzazioni, nel caso della Turchia è stata tirata in ballo anche la Nato, può impedire che i flussi arrivino da lì – tra l’altro così facendo si violano una serie di norme internazionali – ma è abbastanza difficile che attraverso questo stratagemma si riesca a determinare una chiusura totale dei flussi su tutti i confini dell’Unione Europea. Probabilmente, queste rotte poi seguono altre strade e più si intensificano i controlli, normalmente, più diventano pericolose le strade alternative.

D. – Tanti dibattiti e prese di posizione, ma si sta facendo abbastanza contro i trafficanti di esseri umani?

R. – Non mi pare si stia facendo moltissimo. La ragione non è tanto di mancanza di volontà politica quanto di coinvolgimento, appunto, dei Paesi terzi limitrofi. Sono quelli, infatti, i Paesi nei quali prevalentemente questi trafficanti operano. La prima misura è togliere, per così dire, il lavoro al trafficante e il modo migliore è quello di creare dei canali regolari di ingresso di questi richiedenti asilo. Ovviamente, però, questo spaventa notevolmente gli Stati dell’Unione Europea, perché renderebbe molto più semplice per i richiedenti asilo, per i richiedenti protezione internazionale, arrivare in Europa.

D. – L’accordo sulla Turchia: tante attese, tanti dettagli da definire, ma che cosa aspettarsi?

R. – Mi sembra di capire che l’accordo vada esattamente nella direzione in cui la politica di migrazione dell’Unione Europea è andata negli ultimi anni, cioè appunto quella di delegare – quasi in bianco, però – Stati terzi limitrofi nei controlli sulla immigrazione irregolare, in cambio ovviamente di una serie di aiuti. Non è che la Turchia abbia questa posizione all’interno di questo scenario da oggi. La Turchia è il Paese che riceve più aiuti allo sviluppo dall’Unione Europea in assoluto in tutto il mondo. Ha un "Source migration" – che letteralmente vuol dire proprio porre i controlli sulle migrazioni al di fuori dei confini dell’Unione Europea – ormai da molto tempo. In questa situazione, ovviamente, la Turchia ha un potere contrattuale abbastanza forte e lo stiamo vedendo in questi giorni, perché sta continuando a rilanciare sull’accordo per ottenere ovviamente qualcosa in più.

D. – Peraltro, Ankara ha sottolineato che saranno alcune migliaia e non milioni i migranti che accetterà…

R. – Il punto non è tanto quello dei migranti che la Turchia accetterà. Il vantaggio, il beneficio che l’Unione Europea tende ad ottenere è che la Turchia blocchi l’ingresso dalla Turchia verso la Grecia dei migranti. E quelli sono tantissimi. Poi, che cosa ne farà la Turchia, questo ovviamente non lo sappiamo. Ma uno dei problemi è proprio che in questa "delega in bianco" sia possibile che lo Stato terzo che coopera finisca per violare in maniera abbastanza plateale, per così dire, alcune fondamentali norme sui diritti umani, come il divieto di "refoulement", il divieto di respingimento. Questo divieto di respingimento impone, appunto, di analizzare la situazione personale di ogni singolo individuo per stabilire se può essere rimandato nel Paese di origine o di ultimo transito, oppure no. Se lo fanno gli Stati europei, tutto ciò comporta una serie di costi, di problemi, di vincoli di solidarietà, se invece lo fanno fare alla Turchia, si troverebbe a gestire in una situazione meno complicata dell’Unione Europea per una serie di ragioni questi flussi. Anche se avrebbe comunque dei problemi. La politica del delegare sta accadendo adesso, ma accade in realtà ormai da tempo. Non è l’unico Paese, la Turchia, con cui l’Unione Europea coopera in relazione allo spostamento dei controlli, della lotta all’immigrazione irregolare fuori dai confini dell’Unione Europea.

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Femministe francesi contro Consiglio d’Europa per l'utero in affitto

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La maternità surrogata al centro di un dibattito nell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, che potrebbe portare a regolamentare l’utero in affitto, ovvero a renderlo legale a certe condizioni. A lanciare l’allarme in Francia è stato il fronte femminista che chiede l’abolizione universale della maternità surrogata, mentre in Italia la denuncia è stata rilanciata l’8 marzo in un incontro alla Camera, promosso da deputate di diversi partiti e da associazioni familiari e per la promozione della donna. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Un tema tanto scottante sottaciuto nella stampa e all’opinione pubblica. Il 15 marzo sarà discusso, a porte chiuse, nella Commissione Affari sociali del Consiglio d’Europa, a Parigi, un controverso progetto di risoluzione, dal titolo “Diritti umani e questioni etiche legate alla maternità surrogata”, che sarà poi votato nell’Assemblea di Strasburgo del 18-22 aprile. Relatrice del testo, Petra De Sutter, ginecologa belga, docente universitaria, nota nel suo Paese come prima parlamentare transessuale, di cui è stato sollevato un conflitto d’interesse in materia, quale responsabile di un Centro per la riproduzione assistita, dove - in assenza di legge nazionale - viene praticata la maternità surrogata. 

La risoluzione in esame non è pubblica, ma ciò che propone è di regolamentare la maternità surrogata, a patto che non vi sia commercio, ad evitare – si dice - lo sfruttamento di donne povere e rischi d’identità del bambino, ma non si capisce come se l’utero in affitto sarà permesso a certe condizioni. Da sottolineare che lo stesso Parlamento europeo il 18 dicembre 2015 ha chiaramente condannato la maternità surrogata, in tutte le sue forme, come pratica lesiva della dignità umana della donna, e dobbiamo aggiungere dei diritti del nascituro progettato orfano di uno o entrambi i genitori biologici. Appare chiara la strategia di far riammettere da una porta secondaria, ciò che è stato bandito dalla porta principale, con l’alibi di dover legiferare a livello internazionale per proteggere i più deboli nei quadri legislativi nazionali. Uno scivolone indietro rispetto alla consapevolezza raggiunta che la maternità surrogata non va regolamentata ma va bandita a livello universale.

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Al Gemelli i corpi di Failla e Piano. Dibattito su intervento in Libia

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Dopo lunghe trattative nella notte sono rientrate in Italia le salme di Salvatore Failla e Fausto Piano, i due tecnici italiani rapiti e poi uccisi in Libia. I corpi sono stati portati al Policlinico Gemelli di Roma per gli esami autoptici. Il quadro delle indagini è ancora molto confuso e uno degli ostaggi liberati, Filippo Calcagno, ha detto che nessuno dei sequestratori parlava italiano, come invece sostenuto dalla vedova di Failla che ora rifiuta i funerali di Stato. Intanto il governo Italiano, tramite il ministro Gentiloni, ha ribadito l’indisponibilità ad un intervento militare sul suolo libico, come invece ventilato da Parigi e Washington. Marco Guerra ha intervistato Stefano Torelli, ricercatore dell’Ispi-Istituto per gli studi di politica internazionale: 

R. – Chiaramente la vicenda ha ancora dei contorni – diciamo – abbastanza oscuri, a partire dal fatto che non abbiamo alcuna conferma e non sappiamo ancora effettivamente benissimo in mano a chi fossero i nostri connazionali; non sappiamo se si tratta di persone legate alla criminalità comune locale o di gruppi jihadisti; è da chiarire anche per quali motivi: infatti solitamente lo Stato Islamico, quando rapisce ostaggi, non è tanto per ottenere riscatti ma – ahimè! – abbiamo visto che era per ben altro. E' da chiarire anche un po’ quale sia il ruolo delle autorità di Tripoli, per come è stata gestita dopo, e quindi per il fatto che vi siano state delle resistenze iniziali per consegnare le salme delle due persone uccise… Insomma, vi sono ancora questi elementi da chiarire.

D. – Roma con quali autorità libiche può interloquire per far luce su tutto questo?

R. – Attualmente in Libia vi sono due governi, se non tre, perché ve ne è anche un terzo incaricato dalle Nazioni Unite e che ancora non è riuscito ad insediarsi proprio perché trova gli ostacoli di due governi che attualmente sono sul campo. Per quanto riguarda questa vicenda, le autorità - se così possiamo chiamarle - con cui il nostro governo ha parlato sono quelle del governo di Tripoli - e quindi non con quello internazionalmente riconosciuto - ma che di fatto controlla la maggior parte dell’area della Tripolitania e sappiamo che il nostro governo ha dei contatti con queste autorità.

D. – Alfano ha ribadito che la Libia va stabilizzata, ma Gentiloni ha detto: “No ad avventure inutili e pericolose”. Quali sono le posizioni degli alleati dell’Italia? Quali cancellerie spingono per l’intervento?

R. – Gli Stati Uniti hanno più volte chiesto all’Italia un appoggio, un sostegno e anche proprio un intervento, anche se non è ben chiaro poi che tipo di intervento. Sicuramente, tra i vari nostri alleati, è la Francia quella che più di tutte sta spingendo per un intervento un po’ più massiccio.

D. – Ma a che punto è il processo di pacificazione e aggregazione per un governo di unità nazionale libico?

R. – Questo è un po’ il nodo da sciogliere. Il nuovo inviato delle Nazioni Unite Kobler era riuscito all’inizio dell’anno a incaricare un nuovo governo, che per il momento è a Tunisi. Il problema è che le due parti presenti sul campo – quindi il governo di Tobruk e quello di Tripoli – non hanno ancora riconosciuto la legittimità di questo governo. Il vero punto chiave è la figura del generale Haftar, che è il capo  - l’eminenza grigia diciamo così - delle forze di Tobruk. Finché il generale Haftar, che indirettamente vuol dire anche l’Egitto – perché ricordiamo che Haftar è fortemente sostenuto dall’Egitto - non vorrà scendere a compromessi e riconoscere questo governo, difficilmente riusciremo a vedere la creazione di un governo di unità nazionale.

D. – L’ipotesi di una divisione del Paese è ancora sul tappeto?

R. – Più volte si è profilato questo tipo di scenario e cioè quello un intervento esterno, dopo il quale la Libia sostanzialmente possa essere divisa in tre: la Tripolitania, più di influenza italiana; la Cirenaica, di influenza britannica; e la Francia che ha, invece, storicamente i suoi interessi nella fascia più a sud del Fezzan. Devo dire, però, che questa – per il momento – è veramente soltanto un’ipotesi ventilata e non vi sono quindi conferme che si stia procedendo per attuare questo tipo di piano.

D. – Mentre la minaccia dello Stato Islamico continua a pesare sui destini della Libia...

R. – Sì, sicuramente continua a pesare. Personalmente, però, non credo che questo sia l’elemento che più di tutti porti destabilizzazione: come abbiamo detto, ci sono tantissime divergenze interne in Libia, proprio tra le forze locali, che fanno sì che non si riesca a trovare un accordo che possa portare alla creazione di un governo nazionale e a un minimo di stabilizzazione. Quindi lo Stato Islamico - l’Is - è un elemento che aggiungere chiaramente destabilizzazione, ma non penso si possa dire che tutto dipenda dalla presenza dello Stato Islamico.

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Bangladesh: forse l'Islam non sarà più religione di Stato

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In Bangladesh, la Corte Suprema sta valutando la possibilità di eliminare dalla Costituzione l’ottavo emendamento che definisce l’Islam “religione di Stato”, tornando così ad essere uno Stato laico. Una decisione non semplice da prendere in un Paese al 90% di fede musulmana e dove continuano le violenze contro le minoranze religiose ad opera dei fondamentalisti islamici. Stefano Pesce ha intervistato padre Bernardo Cervellera, direttore di Asia News: 

R. – La Corte Suprema del Bangladesh sta decidendo una cosa importantissima: sta valutando di togliere l’Islam come religione di Stato. Questa terminologia – che l’Islam è la religione di Stato – non era presente nella Costituzione del Bangladesh del 1971. E invece è stata poi messa dentro da due generali, Ziaur Rahman e il generale Ershad, che hanno cercato di dare attraverso l’Islam compattezza alla nazione. In realtà, si sta manifestando il contrario: questo fatto di avere l’Islam come religione di Stato sta creando molta più violenza nel Paese.

D. – Possiamo vederla come una reazione dello Stato del Bangladesh alle violenze dei mesi scorsi ad opera dei fondamentalisti islamici? Ricordiamo l’uccisione a settembre del cooperante, Cesare Tavella, e il tentativo di assassinare il sacerdote, Pietro Parolari, lo scorso ottobre…

R. – Sì, certo, c’è una crescita di fondamentalismo islamico. Teniamo presente che il rendere l’Islam religione di Stato è stato fatto su pressione dell’Arabia Saudita, una grande donatrice di fondi al Bangladesh che è un Paese poverissimo. E trasportare, portare lì, anche tanti predicatori di tipo wahabita: tutto ciò naturalmente fa crescere il fondamentalismo, che crea violenze verso i cooperatori, verso i sacerdoti, ma anche verso tante persone hindu o i cosiddetti “atei”, che non si riconoscono nell’Islam. Molti giovani blogger, per esempio, che si dichiaravano atei proprio in contrasto con l’Islam, la religione di Stato, sono stati massacrati, tagliati a fette con il macete…una cosa terribile!

D. – Però c’è un fatto: il 90 per cento della popolazione è di fede islamica. Come potrebbe essere presa questa decisione?

R. – Per adesso è in discussione; il fatto già che si stia discutendo è una cosa importantissima. Penso che in Bangladesh è un Islam per lo più molto moderato, che ha vissuto per secoli con l’induismo e con i cristiani: quindi non è fondamentalista. Si può sperare che una società civile di Islam moderato possa fare pressione. Il grosso problema trovo che sia l’uso politico che in Bangladesh si fa dell’Islam: attualmente tutto questo sta avvenendo perché è al potere l'Awami League, che è il partito laico del Bangladesh; ma c’è il partito nazionalista, che appunto, per riuscire a vincere le elezioni e a far pressioni nella società, sfrutta tantissimo anche il fondamentalismo islamico. Quindi il problema - la cosa fondamentale - è trovare una riconciliazione tra questi due partiti.

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Giornata del rene, ma la gente non sa chi è il nefrologo

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Ricorre oggi la Giornata mondiale del rene, un'occasione anche per illustrare sul territorio i progressi della ricerca scientifica e per effettuari controlli gratuiti. Oltre 160 gli appuntamenti nelle principali città italiane per promuovere la diagnosi precoce delle malattie nefrologiche. Ma cosa fare per prevenire queste patologie? Alessandro Guarasci ha sentito il prof. Alessandro Balducci, presidente della Fondazione Italiana del Rene: 

R. – Negli adulti è fondamentale effettuare un controllo – soprattutto dopo i 65 anni – almeno una volta l’anno: almeno un controllo dell’esame urine, la misurazione della pressione arteriosa e un esame della creatinina nel sangue, che è una cosa banalissima e che non costa assolutamente niente. Le malattie renali, come è noto, generalmente o molto spesso non danno né segni né sintomi.

D. – Professore, le sembra che ci sia abbastanza sensibilizzazione nella sanità italiana su questi temi?

R. – Assolutamente zero! Il grave scoglio è che la gente non sa che vuol dire “nefrologo”. Quindi se non si sa chi è lo specialista che cura le malattie dei reni e delle vie urinarie, siamo proprio all’età della pietra…

D. – Ma che cosa si sente di suggerire ai cittadini?

R. – Di fare prevenzione, di aiutare anche la nostra Fondazione – noi abbiamo questo sito www.fondazioneitalianadelrene.org – per diffondere la consapevolezza delle malattie renali, che in realtà riguardano almeno il 6-7 per cento della popolazione adulta, che ha una qualche tipo di compromissione della funzione renale. Quindi non sono assolutamente rare ed eccezionali, ma sono misconosciute.

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Nella Chiesa e nel mondo



Brasile: ucciso francescano. Aveva partecipato al Sinodo sulla famiglia

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È stato ucciso ieri mattina a Petrópolis, nello Stato di Rio di Janeiro, il padre francescano Antonio Moser. La sua morte è avvenuta durante un tentativo di rapina sulla strada statale Washington Luiz, all’altezza di Duque de Caxias (RJ). Nato a Gaspar (Stato di Santa Catarina) 75 anni fa – riferisce l’agenzia Fides - fra Moser, dell'Ordine dei Frati Minori (ofm), era direttore della casa editrice Vozes e aveva preso parte all'ultimo Sinodo dei Vescovi sulla famiglia come collaboratore del segretario speciale.

Una vita fruttuosa, al servizio della Chiesa
Nel comunicato della Conferenza Episcopale Brasiliana (Cnbb), firmato dal segretario generale, mons. Leonardo Steiner, si ricorda che “la vita di fra Antonio Moser era ricca e fruttuosa”. Ricordando l’impegno del religioso all’interno della Cnbb, mons. Steiner cita il suo apporto “nella preparazione di testi e nella riflessione teologica, soprattutto in teologia morale”. Dal suo canto, il vescovo di Petrópolis, mons. Gregório Paixão Neto, ha espresso profondo dolore e costernazione per il terribile crimine, invitando alla preghiera la parrocchia di Santa Clara, dove padre Moser era stato parroco negli ultimi anni.

Nel 2015, presente al Sinodo sulla famiglia
Da ricordare che nel 2015 fra Antonio Moser è stato l’unico teologo brasiliano scelto dal Papa per partecipare al Sinodo generale ordinario dei vescovi sulla famiglia. Il 12 e 13 dicembre scorsi, aveva celebrato nella sua città natale, Gaspar, i 50 anni di sacerdozio. Aveva scritto molti libri e offerto un grande contributo alla Chiesa locale. Dopo i funerali, oggi nella Cattedrale di Petrópolis, fra Moser verrà sepolto presso il mausoleo dei Frati Francescani nel cimitero comunale.

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Quaresima: campagna di Acs per sacerdoti perseguitati

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Raccogliere le intenzioni delle Sante Messe per sostenere i sacerdoti perseguitati in tutto il mondo: questa la campagna lanciata da Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) in questo tempo di Quaresima. “Laddove la povertà e la persecuzione mettono a dura prova anche il semplice svolgimento dell’apostolato – si legge in una nota – i sacerdoti continuano con coraggio a operare anche nelle situazioni più difficili, rimanendo in molti casi l’unico punto di riferimento, non soltanto delle comunità cristiane ma dell’intera popolazione”.

Nel 2014, celebrate oltre un milione di Messe secondo le intenzioni di Acs
Per questo, Acs da sempre destina una parte importante delle offerte ricevute a sostenere l’opera del clero nei Paesi in cui la Chiesa è povera o perseguitata. E lo fa affidando loro le intenzioni di Sante Messe dei propri benefattori. “Nel 2014 – prosegue la nota – ben 1.219.063 Messe sono state celebrate secondo le intenzioni dei benefattori di Acs: una ogni 26 secondi. Il contributo ha permesso di sostenere 35.214 sacerdoti, ovvero uno ogni nove nel mondo”.

La Chiesa resta accanto alla popolazione anche dove c’è guerra
“Non abbiamo niente e viviamo un momento profondamente difficile”, racconta ad Acs mons. Théophile Kaboy Ruboneka, vescovo di Goma in Repubblica Democratica del Congo, dove persiste una grave crisi politica da oltre cinque anni. “Eppure – conclude il presule – perfino lì dove imperversa la guerra, la Chiesa resta accanto alla popolazione”.

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Vescovi svizzeri: no diagnosi pre-impianto, apre a eugenetica

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“Sì all’essere umano, no alla diagnosi pre-impianto”: scrive così la Conferenza episcopale svizzera (Ces) nella nota conclusiva della 311.ma Assemblea ordinaria, svoltasi a Lugano dal 7 al 9 marzo. La dichiarazione fa riferimento al referendum del prossimo 5 giugno, quando i cittadini svizzeri saranno chiamati a votare sulla revisione della legge relativa alla riproduzione assistita e in particolare sull’attuazione della diagnosi pre-impianto.

Diagnosi pre-impianto rischia di aprire all’eugenetica
Da ricordare che già a giugno 2015 tale pratica – che implica l’esame dell’embrione prima che venga impiantato nell’utero, per verificarne eventuali patologie o handicap – era stata sottoposta a referendum, ottenendo il 61,9% dei consensi. Il 5 giugno prossimo, quindi, i cittadini svizzeri dovranno esprimersi sulla legge di attuazione di tale pratica. Naturalmente, in tante occasioni la Ces si è schierata contro la diagnosi pre-impianto, mettendo in guardia dal rischio di derive eugenetiche. “Con tale diagnosi – dicevano i vescovi un anno fa – non si curano le malattie, ma le si evitano sopprimendo l’embrione portatore di una patologia. E questo è ingiustificabile”.

Tutelare la dignità dell’essere umano
Ora, anche nella nota conclusiva della 311.ma Assemblea ordinaria, i vescovi elvetici ribadiscono che la diagnosi pre-impianto “non rispetta la dignità dell’essere umano” e informano che, in vista della votazione, la Commissione episcopale di bioetica pubblicherà una dichiarazione ufficiale. Il prossimo 31 ottobre, invece, a Zurigo, la medesima Commissione terrà una giornata di studi sul trapianto di organi e sulle relative questioni sia tecniche che etiche.

I preparativi per la Gmg di Cracovia
Altro tema all’ordine del giorno della riunione è stata la 31.ma Giornata mondiale della gioventù che si terrà a Cracovia, in Polonia, dal 26 al 31 luglio, con il motto "Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia" (Mt 5,7). Attualmente – informa la Ces – sono oltre 1.500 i giovani svizzeri che si recheranno a Cracovia, accompagnati da tre vescovi. L’evento polacco sarà inoltre preparato da tre Giornate nazionali dei giovani che avranno luogo dall’8 al 10 aprile a Schaffhausen per i ragazzi di lingua tedesca; il 16 aprile a Vevey per i giovani francofoni ed il 19 aprile a Lugano per coloro che parlano italiano.

Ad aprile, giornata di studio sul Corano
Infine, il 19 e 20 aprile è in programma una giornata di studio dedicata al tema “Il Corano, le sue interpretazioni e le sue sfide”. L’evento è preparato dal Gruppo di lavoro “Islam” che opera all’interno della Conferenza episcopale elvetica. (I.P.)

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Card. Vallini: brutale omicidio a Roma è segnale allarmante

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Il cardinale Agostino Vallini, vicario del Santo Padre per la diocesi di Roma, esprime «dolore e preoccupazione di fronte al brutale omicidio di un giovane avvenuto pochi giorni fa in un quartiere romano. Fatti così crudeli - afferma il cardinale - rappresentano un segnale allarmante, non nuovo, anche se sconcertante per le modalità efferate e per l’assenza di un movente, ridotto alla curiosità del vedere “l’effetto” della morte ma a danno degli altri. Inoltre, la constatazione che anche la droga e l’alcol figurino tra i protagonisti della vicenda - continua il cardinale Vallini - dimostra quanto sia ormai offuscata la cultura della vita e il rispetto per se stessi e per gli altri. C’è al fondo la fatica di individuare un senso autentico per la propria vita, un male di vivere che si manifesta in un individualismo potente e a volte prepotente, un profondo narcisismo, un consumismo esasperato, la ricerca di un sesso sfrenato, l’idea che tutto sia possibile perché è l’individuo stesso a definire i confini stessi del bene e del male, la negazione di ogni speranza».

«Di fronte all’umiliazione della vita umana e alla profonda violazione inferta alla dignità dell’uomo - sottolinea il cardinale vicario -  la comunità cristiana non può restare indifferente, ma direi che tutti sono chiamati ad un sussulto di responsabilità: le istituzioni, le agenzie educative, i mezzi di comunicazione. C’è un “di più” da mettere in gioco nel proprio impegno di ogni giorno sul terreno dell’educazione delle nuove generazioni, in una corale azione che veda impegnati la Chiesa, le famiglie, la scuola e ogni uomo e donna di buona volontà».

«L’educazione alla “vita buona” - per usare un’espressione che i vescovi italiani hanno coniato  per gli Orientamenti pastorali del decennio - non è una questione che interessi solo la Chiesa. Ma, come la realtà ci dimostra, un terreno comune per chiunque coltivi la passione per l’uomo. Restare inerti significherebbe assecondare  la deriva di una cultura del nulla che manifesta sempre più i suoi segnali di morte».

«Invertire la rotta si può, si deve, sostenendo i genitori nel cammino dell’educazione. La Chiesa di Roma ne avverte la grande responsabilità, e non mancherà di tenere alta l’attenzione sui temi educativi, anche in questo Anno giubilare. Educare a una “vita buona” è una speciale opera di misericordia. A questo tema il nostro settimanale diocesano Roma Sette dedicherà domenica prossima una ulteriore riflessione».

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Vescovi Paraguay: Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti

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 “Favorire l’integrazione e la vicinanza tra vescovi e religiosi è essenziale per la missione”: con questa premessa si è svolta nei giorni scorsi l’Assemblea congiunta tra i vescovi della Conferenza episcopale ed i superiori generali della Conferenza di religiosi e religiose del Paraguay che per due giorni hanno analizzato la realtà sociale ed economica nazionale, alla luce dell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium di Papa Francesco e delle sfide attuali della Chiesa. Nella Casa della famiglia salesiana di Ypacaraì, che dal 10 marzo ospita anche la 209° Assemblea Plenaria dell’episcopato, vescovi e religiosi hanno cercato risposte concrete per migliorare il servizio alla missione, in sintonia con il magistero di Papa Francesco che invita a prediligere i più poveri e gli esclusi ed a portare il Vangelo fino alle periferie esistenziali.

Ascoltare il grido dei poveri
Attraverso gli interventi di economisti e sociologi, l’Assemblea ha potuto riflettere sull’attuale situazione nel Paese sudamericano dove la disuguaglianza e l’esclusione sono “patologiche”.  Mons. Adalberto Martínez, Ordinario militare, nel suo intervento incentrato sulla dimensione sociale dell’evangelizzazione, ha ricordato che nella Evangelii Gaudium, il Papa denuncia le idolatrie del mondo di oggi ponendo, tra le sfide da affrontare, il rifiuto di un’economia di mercato, dell’idolatria del denaro e dell’iniquità che genera violenza. “L’opzione preferenziale per i poveri – ha detto mons. Martínez – implica l’ascoltare il grido dei poveri, dare loro voce e lavorare decisamente per cambiare le strutture che ne impediscono la piena integrazione nella società”.

Mancanza di equità del sistema tributario
Nello specifico, l’Ordinario militare ha denunciato la mancanza di equità nella redistribuzione della ricchezza, risultato di una struttura tributaria che dovrebbe cambiare per far sì che coloro che guadagnano di più paghino più tasse. “Ci sono settori privilegiati che non pagano neanche quello che dovrebbero per giustizia”, ha sottolineato il presule, spiegando poi che nella composizione del Pil il settore agroindustriale rappresenta circa il 25 per cento, ma il suo contributo allo Stato, in termini tributari, è solo del 5 per cento. D’altro canto - ha aggiunto – l’Iva, che rappresenta il 60 per cento delle entrate tributarie dello Stato, viene pagata dai più poveri che non fatturano e che sono solo utenti finali. “È urgente e prioritario anche il tema dell’alimentazione” ha sottolineato mons. Martinez, ricordando che non si tratta solo di assicurare il cibo, come afferma Papa Francesco, bensì di garantire prosperità e, con essa, l’educazione, la salute e il lavoro.

L’annuncio del Vangelo senza rinvii e senza  paure
Dal suo canto, il frate cappuccino Mariosvaldo Florentino ha parlato della “conversione radicale” della Chiesa proposta da Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, che ha come fondamento il ritorno a Cristo e al Vangelo, la misericordia, la conversione e l’urgenza di andare incontro alla “pecorella smarrita”. In questo senso, il religioso cappuccino ha ricordato che il vero cristiano non deve “copiare lo stile del Maestro” semplicemente per assomigliare a Lui, ribadendo come la Chiesa debba, invece, approfondire la consapevolezza di se stessa e meditare sul mistero che le è proprio. “Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, dappertutto, in ogni occasione, senza rinvii, senza insofferenza e senza paura”.

L’episcopato dedica un triennio ai giovani
Le conclusioni dell’assemblea tra vescovi e religiosi saranno riportate in un documento che sarà presentato al termine della Plenaria, venerdì 11 marzo. Intanto, il Nunzio Apostolico, mons. Eliseo Ariotti, ha accompagnato l’episcopato nell’apertura dei lavori. Tra i temi in discussione, anche il Protocollo per i casi di abusi contro i minori, i rapporti sulla situazione del Seminario Maggiore nazionale e della Facoltà ecclesiastica di Teologia e infine la revisione del progetto per il Triennio della Gioventù, presentato dalla Commissione per la Pastorale dei giovani. (A cura di Alina Tufani)

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Consiglio permanente Cei su riforma clero e accoglienza rifugiati

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Si svolgerà a Genova dal 14 al 16 marzo la sessione primaverile del Consiglio episcopale permanente della Chiesa italiana (Cei). Ad aprire l'incontro, alle 17.00, la prolusione del presidente, il cardinale Angelo Bagnasco, L’intervento del porporato, informa una nota della Cei, avrà il suo fulcro attorno alla “Riforma del clero a partire dalla formazione permanente”.

In agenda accoglienza rifugiati, Gmg e Congresso eucaristico
All’ordine del giorno, anche la verifica dell’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati nelle diocesi italiane, nonché informazioni sulla Giornata mondiale della gioventù che si terrà a Cracovia, in Polonia, dal 26-31 luglio prossimi. Ulteriori riflessioni riguarderanno i preparativi del 26.mo Congresso eucaristico nazionale, in programma a Genova, dal 15 al 18 settembre, sul tema “L’Eucaristia, sorgente della missione”.

18 marzo, conferenza stampa di mons. Galantino
La conferenza stampa conclusiva dei lavori si terrà venerdì 18 marzo, alle ore 12, presso la sede della Radio Vaticana. Interverrà il  segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, che presenterà il comunicato finale dell’incontro. (I.P.)

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Ad aprile, riunione del Consiglio Consultivo Anglicano

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Vescovi, sacerdoti e laici anglicani provenienti da tutto il mondo si riuniranno a Lusaka, in Zambia, il mese prossimo per la 16.ma riunione del Consiglio Consultivo Anglicano (Acc-16). L’evento, in programma dall’8 al 19 aprile, avrà per tema “Il discepolato intenzionale in un mondo di differenze”. Obiettivo dell’incontro – informa una nota del Servizio informativo anglicano – è quello di comprendere “come i cristiani possono essere fedeli al Vangelo in tutti gli aspetti della loro vita e nelle diverse situazioni e culture in cui si trovano”.

Questioni ambientali e dialogo ecumenico tra in temi in agenda
Tra i temi in esame, ampio spazio sarà dedicato alle questioni ambientali che sono “tra le principali preoccupazioni per molti anglicani, specialmente per coloro che vivono in quelle parti del mondo in cui la sopravvivenza è minacciata dagli effetti del cambiamento climatico”. Ma la riunione affronterà anche “i recenti e significativi sviluppi nelle relazioni ecumeniche”, tra cui il dialogo anglicano-metodista e il dialogo anglicano-ortodosso.  

Riflessione in vista del 500.mo anniversario della Riforma
Inoltre, in vista del 500.mo anniversario della Riforma luterana, che si terrà nel 2017, la Commissione permanente interanglicana su Unità, fede e costituzione proporrà che l'Acc-16 accolga e affermi la sostanza della “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione” siglata dalla Federazione luterana mondiale e la Chiesa cattolica il 31 ottobre 1999.

Previsto incontro internazionale di giovani africani
Durante l’Acc-16, si terrà anche un incontro tra i membri dell’organismo anglicano e i rappresentanti delle parrocchie di Lusaka per discutere sul tema “Seguire e annunciare Gesù in un mondo di differenze”. Non solo: prima della riunione, si prevede un incontro internazionale tra i giovani provenienti da tutte le Chiese anglicane dell’Africa centrale e meridionale, per riflettere sulla leadership del discepolato. I ragazzi avranno l’opportunità di confrontarsi con il primate della Comunione anglicana e arcivescovo di Canterbury, Justin Welby. L’Acc-16 provvederà anche a eleggere il nuovo presidente e vicepresidente ed i sette membri del Comitato permanente.

Coordinamento e promozione di azioni comuni
Da ricordare che il Consiglio Consultivo Anglicano è un organismo di coordinamento tra le Chiese anglicane che, nel mondo, sono in comunione con l’arcivescovo di Canterbury. In particolare, tale ente si occupa dello scambio di informazioni e della promozione di azioni comuni, cercando di sviluppare soprattutto i settori della missione e del dialogo ecumenico. (I.P.)

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Roma. Mercato Nomentano, la cultura per battere il degrado

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Per molto tempo i mercati rionali sono stati sinonimo di luoghi malandati, non di rado messi in fondo alla lista delle priorità di riqualificazione da parte delle amministrazioni locali. A Roma il progetto “Mercati d’autore – La genuinità firmata Roma” ha voluto invertire la rotta. Apripista di questa opposta tendenza è stata la presentazione del rinnovato Mercato Nomentano, primo esempio di restyling di un mercato rionale. Il progetto è nato nel 2015 da un’iniziativa di “APRE ROMA” e “SuLLeali Comunicazione Responsabile”, con il patrocinio della Regione Lazio, del Comune di Roma e dell’Assessorato alle Attività Produttive del Municipio II, con il free press “Leggo” come media partner.

Da luogo di degrado a centro di cultura
Il progetto nasce nel giugno 2015 da un'idea della società di servizi "APRE ROMA" che lavora a fianco delle realtà mercatali romane e agli operatori del settore dal 1959. “Abbiamo voluto – affermano – accogliere le difficoltà che nel tempo stanno portando questi luoghi dall’essere cuore pulsante dei quartieri, a luoghi di degrado, in stato di progressiva decadenza”. Un impulso determinante alla realizzazione del progetto è stato dato dall’agenzia SuLLeali. Così è nato il marchio "Mercati d'Autore", la Carta dei Valori e la Carta dei Servizi che tutti i mercati aderenti devono sottoscrivere, il blog ed il profilo Facebook, e una serie di eventi che hanno animato alcuni mercati durante le festività natalizie.

Un rinnovamento rivoluzionario
“Siamo entusiasti e orgogliosi di portare avanti un progetto di questo tipo – sostiene Mascia Consorte, socia fondatrice di SuLLeali – e crediamo fermamente che questo tipo di trasformazione possa avvenire, con il coinvolgimento virtuoso di tutti i soggetti, dalle AGS, alle Istituzioni, alle Asl”, fino “ai singoli operatori”. L’obiettivo, si precisa ancora, è quello di avviare “un percorso di rinnovamento visionario e rivoluzionario”, così come già accade in altre città italiane e all’estero, dove il mercato sta tornando ad assumere “un ruolo di scambio e condivisione e diventando luogo di aggregazione e cultura, in risposta alle nuove esigenze dei cittadini”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 70

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.