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Sommario del 11/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Esercizi spirituali: Maria ricorda che la fede o è gioia o non è

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Dio è sempre vicino all’uomo, di una prossimità “domestica”, accanto ai suoi bisogni quotidiani. Questa è stata l’esperienza di Maria nei suoi 30 anni a Nazareth, “senza clamori” né “visioni”. Lo ha ricordato padre Ermes Ronchi nell’ultima meditazione degli esercizi spirituali predicati a Papa Francesco e alla Curia Romana, terminati in mattinata ad Ariccia. La riflessione del predicatore è stata incentrata sul brano evangelico dell’Annunciazione. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

“Un giorno qualunque, in un luogo qualunque, una giovane donna qualunque”. La scena di un evento “colossale”, l’angelo che visita Maria a Nazareth, avviene in un contesto di normalità disarmante. Perché è la semplicità la cifra di Dio.

“Dio è in cucina”
Per la meditazione conclusiva degli esercizi spirituali padre Ermes Ronchi propone al Papa e alla Curia un viaggio dentro i versetti dell’Annunciazione, l’evento che, nota il predicatore, “accade nel quotidiano, senza testimoni, lontano dalle luci e le emozioni del tempio”. “Il primo annuncio di grazia del Vangelo è consegnato nella normalità di una casa”, ovvero – dice padre Ronchi – nel luogo dove ognuno è se stesso. Ed è lì che “Dio ti sfiora e ti tocca”:

“Santa Teresa d’Avila ne ‘Il Libro delle Fondazioni’ (…) ha scritto per le sue monache una lettera tra cui queste parole: sorelle ricordatevi, Dio va fra le pentole, in cucina. Ma come, il Signore dell’universo che si muove nella cucina del monastero, fra brocche, pentole, stoviglie, casseruole e tegami (...) Dio in cucina, significa portare Dio in un territorio di prossimità (...) Se non lo senti domestico, cioè dentro le cose più semplici, non hai ancora trovato il Dio della vita. Sei ancora alla rappresentazione razionale del Dio della religione”.

Promessa di felicità
A Maria guardiamo, afferma il predicatore, proprio “per tentare di ricucire lo strappo più drammatico della nostra fede”: il “Dio della religione” che "si è separato dal Dio della vita”. La donna di Nazareth, prosegue, “come donna di casa, ci lancia una sfida enorme: passare da una spiritualità che si fonda sulla logica dello straordinario ad una mistica del quotidiano”. E in questo quotidiano il sentimento prevalente è la gioia. Lo sono le prime parole dell’Annunciazione: “Rallegrati Maria”. Perché quando Dio si avvicina “porta una promessa di felicità":

“A noi che siamo ammantati di gravità e di pesantezze, ammantati di responsabilità anche, Maria ricorda che la fede o è gioiosa fiducia o non è (...) Maria entra in scena come una profezia di felicità per la nostra vita, come una benedizione di speranza, consolante, che scende sul nostro male di vivere, sulle solitudini patite, sulle tenerezze negate, sulla violenza che ci insidia ma che non vincerà, perché la bellezza è più forte del drago della violenza, assicura l’Apocalisse. E l’angelo con questa prima parola dice che c’è una felicità nel credere, un ‘piacere’ di credere”.

All’opera nelle nostre case
Maria poi, indica padre Ronchi, “entra in scena come una donna che crede nell’amore”. “L’Angelo – si legge nel Vangelo – fu mandato a una vergine, promessa sposa di un uomo chiamato Giuseppe”. Secondo l’evangelista Luca, rileva il predicatore, l’annunciazione è fatta a Maria, secondo Matteo invece a Giuseppe:

“Ma se sovrapponiamo i due Vangeli vediamo con gioia che l’annuncio è fatto alla coppia, allo sposo e alla sposa insieme, al giusto e alla vergine innamorati (...) E Dio è all’opera nelle nostre relazioni, parla dentro le famiglie, dentro le nostre case, nel dialogo, nel dramma, nella crisi, nei dubbi, negli slanci (…) Ecco che Dio non ruba spazio alla famiglia, non invade, non ferisce, non sottrae, cerca un sì plurale, che diventa creativo perché è la somma di due cuori, la somma di molti sogni e moltissimo lavoro paziente”.

Fede granitica o fragile, purché autentica
Infine, Maria sa chiedere a Dio, chiede come potrà accadere ciò che le è stato prospettato. “Avere perplessità, porre domande è un modo per stare davanti al Signore con tutta la dignità umana”, sostiene padre Ronchi. “Accetto il mistero, ma al contempo uso tutta la mia intelligenza. Dico quali sono le mie strade e poi accetto strade al di sopra di me”:

“Da nessuna parte è detto che la fede granitica sia meglio della fede piccola intrecciata a domande. Basta che sia autentica (…), quella che nella sua piccolezza ha ancora più bisogno di Dio. E infatti quello che mi dà speranza è vedere come nel popolo di Dio continuano a crescere le domande, nessuno si accontenta più di risposte… di parole già sentite, di risposte da prontuario, vogliono capire, andare più a fondo, vogliono fare propria la fede. Un tempo quando tutti tacevano davanti al sacerdote era un tempo di maggior fede? Credo sia vero il contrario e se questo è più faticoso per noi, è anche un alleluia, un finalmente”.

Il pensiero conclusivo è sulla maternità di Dio. “Senza il corpo di Maria il Vangelo perde corpo”, è la considerazione finale di padre Ronchi. E tutti i cristiani “sono chiamati a essere madri di Dio, perché Dio ha sempre bisogno di venire al mondo”.

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Cantalamessa: difendere l'ideale biblico di matrimonio e famiglia

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Il progetto divino su matrimonio e famiglia e il suo apporto alla soluzione di problemi attuali, dalla cosiddetta “gender revolution” allo “scempio del dono della sessualità”. Questi i temi della quarta predica di Quaresima tenuta stamattina da padre Raniero Cantalamessa nella cappella "Redemptoris Mater" in Vaticano. Alla luce della Gaudium et Spes, il padre francescano ha ribadito il valore del matrimonio come comunione di vita tra uomo e donna, uniti e distinti a immagine di Dio Uno e Trino: un Sacramento fondato sul dono reciproco che, non è atto passeggero, ma “permanente”. Il servizio di Gabriella Ceraso

Serve dialogo e anche autocritica, metodo inaugurato dal Concilio Vaticano II, nel confronto con la “contestazione apparentemente globale” del progetto biblico su sessualità, matrimonio e famiglia cui assistiamo oggi. Padre Raniero, nella sua meditazione, cerca le istanze positive da accogliere nelle critiche odierne e rilancia l’invito non solo a difendere tale progetto biblico, ma anche a “riscoprirlo e viverlo in pienezza con i fatti più che con le parole”:

“Aprirsi all’altro sesso è il primo passo per aprirsi all’altro che è il prossimo, fino all’Altro con la lettera maiuscola che è Dio. Il matrimonio nasce nel segno dell’umiltà, è riconoscimento di dipendenza e quindi della propria condizione di creatura. È un farsi mendicante e dire all’altro: 'Io non basto a me stesso, ho bisogno di te'".

Nel Vangelo di Cristo, spiega il predicatore della Casa pontificia, sono ricapitolate e unite le due immagini della creazione uomo-donna proposte dalla Genesi. Una che pone l’accento sulla distinzione reciproca, entrambi creati a immagine di Dio col fine di riempire la terra, l’altra sul fattore unitivo, uomo e donna in una comunione di vita che ne fa una sola carne nel matrimonio, che Dio, con la sua presenza, rende indissolubile e fedele:

Diversi gli “oscuramenti” subiti nel tempo dal progetto biblico, fino all’“attuale contestazione” da affontare con dialogo e autocritica, spiega padre Cantalamessa. Solo così possiamo accoglierne due istanze - senza le conseguenze negative che alcuni ne hanno tratto - perché già nel cuore del progetto originario di Dio: il matrimonio come comunione d’amore tra gli sposi, bene primario accanto alla procreazione, e la pari dignità della donna rispetto all’uomo:

“Nei rappresentanti della cosiddetta ‘Gender revolution’, rivoluzione dei generi, questa istanza ha portato a proposte folli, come quella di abolire la distinzione dei sessi e sostituirla con la più elastica e soggettiva distinzione dei 'generi' (maschile, femminile, variabile), o quella di liberare la donna dalla ‘schiavitù della maternità’ provvedendo in altri modi, inventati dall’uomo, alla nascita dei figli. In questi ultimi mesi è un rincorrersi di notizie di uomini che fra poco potranno diventare incinti e dare alla luce un figlio. 'Adamo dà alla luce Eva', si scrive sorridendo, mentre ci si sarebbe da piangere. Gli antichi avrebbero definito tutto ciò con un termine: hybris, arroganza dell’uomo nei confronti di  Dio".

Tra due persone che si amano - e nel matrimonio è il caso più forte voluto dal Dio - si riproduce, aggiunge ancora padre Raniero, qualcosa che avvicina alla Trinità, dove Padre e Figlio amandosi producono lo Spirito che li fonde, il "noi divino", la "prima persona plurale della Trinità". Questo dovrebbe essere il modello degli sposi nel matrimonio, Sacramento del "dono totale e reciproco di sè", non "atto passeggero" ma " permanente". Una valenza religiosa, questa, che "lo scempio del dono di Dio della sessualità in atto nella cultura e nella società di oggi" ha completamente perso:

“La spiegazione è che l’unione sessuale non è vissuta nel modo e con l’intenzione intesa da Dio. Questo scopo era che, attraverso questa estasi e fusione d’amore, l’uomo e la donna si elevassero al desiderio e avessero una certa pregustazione dell’amore infinito, si ricordassero da dove venivano e dove erano diretti”.

Sia il carisma degli sposati come quello dei consacrati, è la conclusione di Padre Raniero Cantalamessa, messo a servizio degli altri e nella comunità cristiana: le due vocazioni si edifichino a vicenda.

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Tre anni con Francesco, il Pontificato della misericordia

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Tre anni con Francesco, tre anni di Pontificato accompagnati dalla Misericordia di Dio. Un amore senza misura che il Papa ha testimoniato in ogni momento: dagli eventi in mondovisione come il discorso all’Onu o l’avvio del Giubileo a quelli intimi, negati agli occhi delle telecamere, come gli incontri con i carcerati e i tossicodipendenti. Nella ricorrenza del terzo anniversario dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio alla Cattedra di Pietro, domenica 13 marzo, Alessandro Gisotti ritorna a momenti, discorsi, immagini, di questi ultimi 12 mesi rannodati con il filo della misericordia: 

“Il nome di Dio è misericordia”, afferma Papa Francesco, ma misericordia – sempre di più – sta diventando anche il nome del suo Pontificato. La misericordia è nel motto episcopale di Bergoglio, alla misericordia ha voluto dedicare il suo primo Angelus da Pontefice, misericordia è tra le parole che più ricorrono nelle omelie mattutine a Casa Santa Marta. Segnali sul bordo di una strada che ha portato a quell’annuncio, traguardo sorprendente ma al tempo stesso quasi atteso, di un anno fa:

“Ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della parole del Signore: ‘Siate misericordiosi come il Padre’” (13 marzo 2015, Basilica di San Pietro)

Un Giubileo che inizia dalla periferia, la Porta Santa a Bangui
Sono convinto – afferma Francesco – che tutta la Chiesa “ha tanto bisogno di ricevere misericordia”. Il Giubileo, dunque, non avrà solo Roma come centro, ma tanti centri quanti sono le comunità ecclesiali nel mondo. Un Giubileo “diffuso”, cattolico nel senso proprio del termine: universale quindi e non solo “romano”. Ecco allora che per sottolineare questa dimensione, Francesco non apre la prima Porta Santa nella Basilica Petrina, ma nella cattedrale di Bangui, capitale di uno dei più poveri Paesi della Terra. La periferia diventa il centro:

“Bangui diviene la capitale la spirituale del mondo. L’Anno Santo della Misericordia viene in anticipo in questa terra. Tutti noi chiediamo pace, misericordia, riconciliazione, perdono, amore”. (Apertura Porta Santa di Bangui, 29 novembre 2015)

Se il Giubileo inizia l’8 dicembre, preceduto appunto dalla tappa africana del 29 novembre, in realtà illumina e orienta già tutti i momenti successivi all’annuncio del 13 marzo scorso.

Guardare alle famiglie di oggi con lo sguardo misericordioso di Dio
La parola misericordia diventa protagonista nella conversazione comune dei fedeli e approda nelle Reti sociali dove si afferma tra i temi più ricorrenti nella comunicazione digitale. A fare da catalizzatore è naturalmente il magistero del Papa che dalla misericordia prende linfa per restituirla poi in molteplici frutti. Un esempio eloquente, al riguardo, è il discorso che Francesco pronuncia alla chiusura del Sinodo per la Famiglia:

“L’esperienza del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia”. (Discorso 24 ottobre 2015, chiusura Sinodo)

Dalla diplomazia della misericordia allo storico incontro con Kirill
Grazie a Francesco, la misericordia diventa anche il codice inedito di una diplomazia che il Pontefice mette in campo per risolvere conflitti, avviare dinamiche di pace, far incontrare chi da troppo tempo ormai non si stringeva più la mano. Il pensiero va immediatamente a Cuba e Stati Uniti, alla Colombia e al Centrafrica dove, con la sua visita audace, Francesco pianta semi di riconciliazione che frutteranno già nei giorni successivi al ritorno a Roma.

Il segno più straordinario della misericordia divina, una vera sorpresa di Dio di questo terzo anno di Pontificato, è però l’incontro con il Patriarca ortodosso Kirill. Incontro tra fratelli in Cristo, come Francesco stesso racconterà con parole emozionate poche ore dopo sull’aereo che da Cuba lo conduce in Messico:

“Io mi sono sentito davanti a un fratello e anche lui mi ha detto lo stesso. Due vescovi che parlano della situazione delle loro Chiese e sulla situazione del mondo, delle guerre, dell’ortodossia, del prossimo Sinodo panortodosso … Io vi dico, davvero, io sentivo una gioia interiore che era proprio del Signore”. (Conferenza stampa 12 febbraio 2016)

No alla guerra, Francesco a difesa dell’uomo e del Creato
Sullo spartito della misericordia, colpiscono i diversi registri che Francesco utilizza: tenero e accogliente nell’abbraccio ai più bisognosi, duro e sferzante nel denunciare il male. Impressionanti le parole che riserva ai mercanti di guerra, a chi schiaccia il più debole per il suo interesse:

“C’è una parola del Signore: ‘Maledetti!’ Perché Lui ha detto: ‘Benedetti gli operatori di pace!’. Questi che operano la guerra, che fanno le guerre sono maledetti, sono delinquenti”. (Omelia a Santa Marta, 19 novembre 2015)

Il terzo anno di Pontificato è anche l’anno della Laudato si’. Un’Enciclica che, inserendosi nel solco della Dottrina Sociale, indica l’urgenza della cura della Casa comune. Ancora una volta, Francesco allarga il compasso del ragionamento e di fronte alle interpretazioni anguste che valutano questo documento come meramente “ecologista”, evidenzia che cura dell’ambiente e difesa dell’umanità sono le facce di una stessa medaglia:

“Questa nostra casa si sta rovinando e ciò danneggia tutti, specialmente i più poveri. Il mio è dunque un appello alla responsabilità, in base al compito che Dio ha dato all’essere umano nella creazione: coltivare e custodire il giardino in cui lo ha posto”. (Udienza generale, 17 giugno 2015)

Le critiche al “Papa comunista”, “se serve, recito il Credo!”
Il Papa chiede di accogliere “con animo aperto questo documento” e tuttavia non mancano – anche in ambienti cattolici – le critiche. C’è chi intravede nel magistero di Francesco un’eccessiva concentrazione sui temi della povertà e dell’emarginazione, chi arriva addirittura a definirlo “Papa comunista”. A costoro Francesco rammenta che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo, non è un’invenzione del comunismo. E non rinuncia a usare l’arma disarmante dell’ironia:

“La mia dottrina su tutto questo, la Laudato si’ e sull’imperialismo economico, è nell’insegnamento sociale della Chiesa. E se è necessario che io reciti il Credo sono disposto a farlo”. (Conferenza stampa aereo verso gli Stati Uniti, 23 settembre 2015)

Come nei primi due anni di Pontificato, ma in realtà durante tutta la sua vita di pastore, Francesco continua dunque a essere megafono di chi ha una voce troppo flebile per essere ascoltata. Con lo sguardo fisso al popolo dei migranti in fuga da guerre e carestie, chiede di costruire ponti, non erigere muri e dà l’esempio ospitando in Vaticano due famiglie di rifugiati. Lo sentono vicino i giovani disoccupati, le donne vittime della tratta, i movimenti popolari che lottano per la terra, la casa, il lavoro. Il Papa condanna ripetutamente il circolo vizioso generato dalla “cultura dello scarto” che espelle gli anziani e serra la porta della vita ai bambini. “L’aborto – ammonisce – non è un male minore. E’ un crimine. E’ fare fuori uno per salvare un altro. E’ quello che fa la mafia”. E proprio in una terra prostrata dalla criminalità, quale è Scampia, Francesco denuncia con forza il morbo della corruzione:

“Se noi chiudiamo la porta ai migranti, se noi togliamo il lavoro e la dignità alla gente, come si chiama questo? Si chiama corruzione! Si chiama corruzione e tutti noi abbiamo la possibilità di essere corrotti… la corruzione ‘spuzza’. E la società corrotta ‘spuzza’”. (Discorso a Scampia, 21 marzo 2015)

La riforma della Curia e la riforma del cuore
D’altro canto, non ha paura di riconoscere - come fa parlando con i giovani in Kenya - che la corruzione esiste pure in Vaticano. Su questo fronte, Francesco – coadiuvato dal cosiddetto Consiglio dei Nove – continua senza sosta l’opera di riforma della Curia per renderla sempre più al servizio della Chiesa universale. Dopo la nascita della Segreteria per l’Economia è la volta del dicastero per la Comunicazione, mentre procede il lavoro per la redazione di una nuova Costituzione che sostituisca la Pastor Bonus. La riforma non si ferma né rallenta, rassicura il Papa, nonostante l’esplodere del cosiddetto “Vatileaks 2”:

“Voglio assicurarvi che questo triste fatto non mi distoglie certamente dal lavoro di riforma che stiamo portando avanti con i miei collaboratori e con il sostegno di tutti voi. Sì, con il sostegno di tutta la Chiesa, perché la Chiesa si rinnova con la preghiera e con la santità quotidiana di ogni battezzato. Quindi vi ringrazio e vi chiedo di continuare a pregare per il Papa e per la Chiesa, senza lasciarvi turbare ma andando avanti con fiducia e speranza”. (Angelus 8 novembre 2015)

Se dunque Francesco porta avanti con passione la riforma delle istituzioni vaticane, c’è una riforma a cui tiene ancora di più: quella del cuore. Un cuore che, per accogliere la misericordia di Dio che ci viene incontro, deve essere aperto alla conversione. Un’apertura che, come evidenzia la Misericordiae Vultus, inizia con il sentirsi peccatore:

“Se tu non ti senti peccatore, hai incominciato male. Chiediamo la grazia che il nostro cuore non si indurisca, che sia aperto alla misericordia di Dio, e la grazia della fedeltà. E quando ci troviamo, noi infedeli, la grazia di chiedere perdono”. (Omelia a Santa Marta, 3 marzo 2016)

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Santa Sede: lotta all'Aids, interessi economici colpiscono i poveri

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Gli interessi economici non calpestino il diritto alla salute di quanti sono colpiti dall’Aids, soprattutto nei Paesi più poveri. Lo chiede la Santa Sede alla comunità internazionale. In un intervento presso l’Ufficio Onu di Ginevra, l’incaricato d’affari vaticano ad interim, mons. Richard Gyhra, ha lanciato un appello a rispettare il diritto alla salute delle persone come riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.

Nessuna discriminazione nell'accesso alle cure sanitarie
In particolare, si chiede il diritto di accesso alle cure sanitarie in modo non discriminatorio, la fornitura di farmaci essenziali, una distribuzione equa dei servizi sanitari e l'adozione di strategie nazionali per prevenire e combattere l’Aids.

No a priorità profitto
Nonostante tutte le iniziative positive messe in atto negli ultimi dieci anni per porre fine all’epidemia di Hiv-Aids - ha affermato mons. Gyhra - c'è ancora molto da fare. Tra le sfide principali c’è quella di non considerare prioritario il profitto offerto da farmaci e strumenti diagnostici, con la conseguenza di prezzi proibitivi per i malati che non ha mezzi.    

Sofferenze indicibili
Per più di trenta anni – ricorda l’incaricato d’affari – l’Aids ha causato morte e sofferenze indicibili per milioni di bambini e adulti, ha lasciato milioni di piccoli orfani, portando famiglie e comunità al collasso sociale, economico ed emotivo.

Non smantellare protezione sociale esistente
Mons. Gyhra conclude citando Papa Francesco: "L’interdipendenza e l’integrazione delle economie non devono comportare il minimo danno ai sistemi sanitari e di protezione sociale esistenti; al contrario, devono favorire la loro creazione e il funzionamento. Alcuni temi sanitari … richiedono un’attenzione politica prioritaria, al di sopra di qualsiasi altro interesse commerciale o politico” (Discorso all'Ufficio Onu a Nairobi, 26 novembre 2015).

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Nomine episcopali in Venezuela e Rwanda

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In Venezuela Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di San Felipe, presentata da mons. Nelson Antonio Martinez Rust, in conformità al can. 401 – par. 2 del Codice di Diritto Canonico. Al suo posto, il Papa ha nominato il sacerdote Víctor Hugo Basabe, del clero della diocesi di El Vigía-San Carlos del Zulia, finora segretario generale della Conferenza Episcopale del Venezuela. Il neo presule è nato a Bobures, diocesi di El Vigía – San Carlos del Zulia, il 17 dicembre 1961. Prima di entrare in Seminario compì studi in Giurisprudenza ed esercitò la professione di Avvocato. Ha compiuto la formazione sacerdotale presso il Seminario Maggiore “Juan Pablo II” di Barquisimeto e l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma. Ottenne la Licenza in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 19 agosto 2000, incardinandosi nella diocesi di El Vigía – San Carlos del Zulia. Ha svolto successivamente i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale della Cattedrale di El Vigía, Cancelliere della Curia diocesana, Moderatore della Curia diocesana, Parroco della Parrocchia “Nuestra Señora del Carmen”, Parroco della Parrocchia “San Pedro Apóstol”, Parroco della Parrocchia “Santa Bárbara”, Sottosegretario della Conferenza Episcopale del Venezuela e, dal 2015, Segretario Generale della Conferenza Episcopale del Venezuela .

In Rwanda, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Nyundo presentata per raggiunti limiti di età da mons. Alexis Habiyambere, gesuita. Al suo posto, ha nominato il sacerdote Anaclet Mwumvaneza, del clero di Kigali, finora segretario generale di Caritas Rwanda. Il Rev.do Anaclet Mwumvaneza, è nato il 4 dicembre 1956 a Murambi, parrocchia di Rulindo, nell’Arcidiocesi di Kigali. Ha frequentato le scuole primarie a Rulindo (1963-1969), per passare poi al Seminario minore Saint Léon di Kabgayi (1969-1973). All’età di 25 anni fu accolto nel cosiddetto “Séminaire des Aînés” di Kabgayi. Dopo 4 anni di formazione è entrato nel Seminario Propedeutico di Rutongo, nell’Arcidiocesi di Kigali (1984-1985), per completare poi gli studi di Filosofia (1985-1987) e Teologia (1987-1991) nel Seminario Maggiore di Nyakibanda, nella diocesi di Butare. È stato ordinato sacerdote il 25 luglio 1991. Dopo l’Ordinazione ha ricoperto i seguenti incarichi: 1991-1992: Vicario parrocchiale ed economo a Kabuye; 1992-2000: Parroco della Parrocchia Sainte Famille a Kigali; dal 1993 è membro del Consiglio dei Consultori e del Consiglio finanziario nell’Arcidiocesi di Kigali; 2000-2004: Studi a Roma, con un Dottorato in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana; 2004-2005: Parroco di Kicukiro e professore invitato di Diritto Canonico nel Seminario di Nyakibanda; 2005-2013: Direttore diocesano della Caritas  e Presidente della Commissione “Giustizia e Pace” per l’Arcidiocesi di Kigali; 2013: nominato Difensore del Vincolo al Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano di Rwanda; dal 2013: Segretario Generale di Caritas Rwanda. La Diocesi di Nyundo (1959), è suffraganea dell’Arcidiocesi di Kigali. Ha una superficie di 4.000 kmq e una popolazione di 1.597.496 abitanti, di cui 615.118 sono cattolici. Ci sono 23 parrocchie. Vi lavorano 78 sacerdoti diocesani e 44 religiosi. Vi sono, inoltre,  152 Religiose e 65 seminaristi maggiori.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il coraggio di sognare: il Papa conclude gli esercizi spirituali.

La visita in Gran Bretagna, dall'1 al 4 marzo, dell'arcivescovo segretario per i Rapporti con gli Stati.

Passatore tra l'oriente e l'occidente: Rossella Fabiani sull'insegnamento spirituale di padre Sofronio.

Un articolo di Silvia Guidi dal titolo "Borges il fratello di Norah": il mondo dell'arte riscopre l'opera della sorealla del grande scrittore argentino.

Per capirsi: Rocco Ronzani sul cardinale Girolamo Seripando e la Riforma cattolica.

L'attimo che cambia tutto: Claudio Toscani recensisce il libro di Virginia Baily "Una mattina di ottobre". 

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Oggi in Primo Piano



Siria. De Mistura: elezioni entro 18 mesi. Oxfam: guerra peggiora

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Elezioni presidenziali e legislative in Siria sotto l'egida dell'Onu entro 18 mesi: è quanto auspica l'inviato speciale dell'Onu per la Siria, Staffan De Mistura, che coordinerà i colloqui sulla Siria in programma a Ginevra dal 14 al 24 marzo. All’ordine del giorno – ha detto – ci saranno tre questioni: un nuovo governo inclusivo, una nuova Costituzione e, appunto, nuove elezioni tra un anno e mezzo. Intanto, a cinque anni dall'inizio della guerra, Oxfam ha pubblicato un rapporto su quanto accaduto nel 2015. Fausta Speranza ne ha parlato con Riccardo Sansone, di Oxfam Italia: 

R. – L’ultimo anno ha registrato il numero più alto di morti dall’inizio del conflitto. E’ difficile quantificare esattamente il numero complessivo: le Nazioni Unite stimano intorno alle 50 mila perdite nel 2015, per un totale complessivo di 250 mila vittime dall’inizio del conflitto, ma si dice che siano anche di più.

D. – Che dire del ruolo della comunità internazionale proprio in relazione ai civili?

R. – Noi oggi usciamo con un Rapporto, insieme ad altre organizzazioni non governative internazionali e siriane, che analizza un po’ quelle che sono state le richieste dell’ultimo anno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e le mette a confronto con quella che è stata la realtà sul campo e anche con quello che è stato poi il comportamento e l’atteggiamento dei singoli Stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Abbiamo fatto l’analisi in tre ambiti principali, che sono appunto la protezione dei civili, l’accesso umanitario e le comunità che vivono sotto assedio. Per ognuno di questi tre ambiti, il Consiglio di Sicurezza si era espresso chiedendo un’attuazione di azioni concrete per migliorare la condizione, sostanzialmente, alla fine, dei civili, e in tutti e tre gli ambiti purtroppo abbiamo rilevato, dati alla mano, che c’è stato un netto peggioramento, segnando appunto il 2015 come l’anno peggiore dall’inizio della crisi.

D. – L’Oxfam lancia un’iniziativa particolare a questo punto…

R. – Dopo cinque anni pensiamo che sia giunto il momento di dire “basta”, “adesso basta” e abbiamo lanciato unitamente a questo Rapporto una campagna, appunto “Adesso basta”, in cui chiediamo l’impegno sostanziale, ai tre attori principali - tutte le parti in conflitto, compresi i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza che sono a tutti gli effetti coinvolti nel conflitto - di fermare immediatamente gli attacchi sui civili e fare in modo che l’accordo per il cessate-il-fuoco raggiunto recentemente possa reggere e possa portare ad una soluzione di pace duratura e permanente; chiediamo anche al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di intraprendere i passi necessari affinché coloro che sono responsabili di violazioni, di crimini di guerra, siano ritenuti a tutti gli effetti responsabili; e sostanzialmente chiediamo coerenza con quanto viene richiesto ed emanato dal Consiglio di Sicurezza. Non può essere che un organo che fa delle richieste così puntuali e necessarie per la sopravvivenza dei civili in Siria, poi venga smentito dagli stessi Stati membri che lo compongono attraverso azioni militari dirette o supporti gruppi armati.

D. – A 5 anni dallo scoppio del conflitto, il Rapporto ha un titolo singolare “Benzina sul fuoco”, perché?

R. – Volevamo richiamare l’attenzione al fatto che nonostante siano state emanate diverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, poi chi effettivamente avrebbe il potere di applicarle, di metterle in pratica, non lo fa affatto, anzi, se andiamo ad analizzare le azioni dei singoli Stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, ognuno di essi nel 2015 ha iniziato operazioni militari, producendo un aumento della difficoltà, ad esempio, nel rifornimento degli aiuti umanitari nelle zone sotto assedio: è aumentato il numero delle persone in fuga; sono aumentati i morti civili. Tutto questo si è mosso in una direzione contraria a quelle che erano state appunto le richieste del Consiglio di Sicurezza.

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Migranti. Chiusa la rotta dei Balcani, la Grecia al collasso

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Dopo la chiusura della rotta balcanica, si aggrava l’emergenza umanitaria dei migranti in Grecia. Ai 40 mila già presenti si aggiungono ogni giorno tremila persone. Al Pireo i profughi hanno dormito all’addiaccio. In Europa è scontro: Atene e Berlino condannano lo sbarramento delle frontiere da parte dell'Austria e di Macedonia, Slovenia, Croazia, Serbia e Ungheria. Il primo ministro greco, Alexis Tsipras, inoltre, attacca il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, che su Twitter ha espresso il suo plauso alla chiusura della rotta. Eugenio Murrali ha intervistato Andrea Oskari Rossini dell’Osservatorio Balcani e Caucaso che ha visitato, in Grecia, il campo di Idomeni, dove la situazione è sempre più critica: 

R. – Idomeni è un paesino di poche decine di abitanti, al margine del quale è cresciuto questo campo che in origine doveva essere semplicemente un campo di transito e ospitare meno di duemila persone: è arrivato invece a ospitare 15-16 mila profughi che avrebbero voluto continuare verso nord, ma che sono rimasti bloccati appunto nella piana di Idomeni, che a seguito delle piogge di questi giorni è diventata una grande palude. Questa mattina ho sentito che alcune centinaia di profughi hanno accettato l’offerta delle autorità elleniche di spostarsi verso sud. Teniamo presente che la maggioranza della popolazione dei profughi è composta da donne e bambini, che hanno già affrontato un viaggio molto faticoso, molto pericoloso e che provengono da Paesi come la Siria, nei quali il sistema sanitario è collassato da anni. Sono quindi persone che hanno bisogno di protezione: non sono persone che possono essere abbandonate in una pianura nel nord della Grecia, in mezzo al fango.

D. – Si parla anche di nuove rotte che i migranti potrebbero prendere e Save the Children fa anche riferimento, con preoccupazione, ai trafficanti...

R. – E’ chiaro che la chiusura della rotta balcanica non vuol dire fermare il flusso dei migranti. Vuol dire costringere i migranti a continuare il loro percorso, mettendo a rischio ancora di più le proprie vite, perché devono affidarsi alla criminalità organizzata che, come dire, ha già in appalto il trasporto dei profughi dalle coste della Turchia a quella Grecia. Dalla Grecia in poi – attraverso Macedonia, Serbia, Croazia, Slovenia e Austria – i profughi potevano giungere in Germania in maniera abbastanza sicura, fino a quanto funzionava la rotta balcanica.

D. – Berlino e la Grecia hanno condannato come unilaterali queste scelte di alcuni Paesi di chiudere la rotta balcanica...

R. – Sono decisioni unilaterali. E’ inutile nasconderselo. Sono decisioni che non sono state concordate a livello europeo e rappresentano una violazione delle normative internazionali, in particolare del diritto internazionale umanitario. Non si può decidere di respingere le persone in base alla loro nazionalità, come è stato fatto negli ultimi giorni, prima della chiusura definitiva. Le persone che chiedono asilo devono essere messe in grado di poter fare la loro domanda. Inoltre, io non riesco a capire bene il piano europeo di scambio di profughi tra la Grecia e la Turchia: “Noi ne mandiamo indietro uno e poi ne prendiamo uno che ci mandate voi”. Ma di cosa stiamo parlando? Di traffico di esseri umani fatto a livello istituzionale?

D. – Questo nuovo muro tra Romania e Ungheria, che è stato annunciato, che conseguenze potrebbe avere?

R. – Le conseguenze che hanno avuto i muri fino a ora: non fanno cioè che spostare il flusso da un Paese ad un altro. I muri rappresentano simbolicamente la sconfitta della capacità europea di gestire in maniera comune la crisi.

D. – Lei che soluzione vede?

R. – La soluzione è il dialogo internazionale per arrivare alla pace in Siria. Non ci sono altre soluzioni.

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Misure Bce: tasso zero per riavviare l'economia europea

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Negli ambienti economici si discute sulle nuove straordinarie misure dalla Banca Centrale Europea, annunciate ieri dal governatore Mario Draghi con l’obiettivo di rilanciare l'economia. L'azzeramento dei tassi di interesse e l'ampliamento del Quantative Easing, cioè la creazione di moneta, si propongono di dare un forte impulso alla ripresa, incentivando investimenti, acquisto di titoli di Stato e finanziamento. Giancarlo La Vella ha raccolto il commento dell’economista Angelo Baglioni, docente all’Università Cattolica di Milano:  

R. – Per le banche sicuramente c’è una misura importante, che è quella di un nuovo round di operazioni di prestiti mirati, con tassi che potrebbero diventare addirittura negativi. Molte banche si sono lamentate del fatto che i soldi che depositano presso la Bce hanno ormai una remunerazione negativa: cioè le banche pagano per tenere soldi presso la Bce. Adesso questo potrebbe essere compensato dal fatto che le banche potranno prendere a prestito soldi dalla Bce a tassi che potrebbero addirittura diventare negativi. E questo potrebbe essere, oltre che un vantaggio per le banche, anche uno stimolo poi a prestare questi soldi all’economia, alle imprese, alle famiglie. Quindi aumentare in qualche modo l’offerta di credito. Per le famiglie poi presumibilmente si assisterà a un’ulteriore discesa dei tassi sui mutui ipotecari.

D. – Ci sarà però anche un calo del rendimento del denaro depositato nelle banche?

R. – I conti correnti – insomma i depositi – ormai rendono pressoché zero, già adesso. Naturalmente ci sarà un ulteriore calo dei rendimenti di alcuni titoli, come i titoli di Stato. D’altra parte, bisogna anche tener conto che siamo in una condizione di quasi deflazione, per cui questo compensa un po’ il fatto che i tassi nominali siano ormai allo zero.

D. – Far circolare di più il denaro – questo l’obiettivo delle misure di Draghi – poi sarà effettivamente un’azione positiva per l’economia europea?

R. – La direzione è sicuramente positiva. Il problema casomai è che le banche possono avere tantissimi soldi da offrire alle imprese; però, se l’attività di investimento continua a stagnare, sono le imprese poi che non chiedono prestiti. Quindi sicuramente, anche gli altri devono fare la loro parte: le imprese dovrebbero ricominciare a investire. E poi, finché la politica fiscale rimane sostanzialmente restrittiva, questo rappresenta un ulteriore problema. 

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Giappone. Cinque anni fa la tragedia di Fukushima

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Con un minuto di silenzio alle 14.26 locali – l’ora in cui fu registrata la prima scossa – e diverse manifestazioni in tutto il Paese, il Giappone ha celebrato oggi il quinto anniversario dell’incidente nella centrale nucleare di Fukushima, causato da un fortissimo terremoto e da un devastante tsunami. Con oltre 18 mila vittime è considerato il disastro atomico più grave dopo Chernobyl. Roberta Barbi ne ha parlato con Romeo Orlandi, vicepresidente dell’Osservatorio Asia: 

R. – Veramente, è una bomba a orologeria, quella che è stata innescata. Quello che a cinque anni di distanza possiamo rilevare è che il popolo, la nazione giapponese, ha dato segni di maturità, di compostezza, di capacità di sopportare il dolore e anche di ricostruzione e questo torna a merito del Giappone che non ha diffuso scene di panico, che ha dimostrato senso di solidarietà interna: è significativo. Meno riuscita sembra essere la ricerca delle responsabilità e anche, forse, la via d’uscita da questa situazione di impasse che il blocco del nucleare ha determinato per il Giappone: il Giappone è un Paese povero di risorse energetiche, come sappiamo, ed è costretto a importare energia – soprattutto petrolio – e cercava di alleviare questa dipendenza dall’estero attraverso l’energia nucleare.

D. – Lo smantellamento dell’impianto di Fukushima prosegue senza sosta, ma l’opinione pubblica è divisa e c’è il governo di Abe deciso a un riavvio del programma nucleare, pur nel rispetto di standard di sicurezza più elevati…

R. – Il Giappone è famoso per la qualità dei suoi prodotti, per la sicurezza, per gli standard, però questo quadro è stato drammaticamente smentito dall’incidente di Fukushima: sembra che la qualità della sicurezza ci sia fino a quando non venga smentita dai fatti. Il governo, dopo lo shock, dopo l’emozione dell’incidente, ha dato dimostrazione di voler riconsiderare il bando. Effettivamente, ci sono problemi effettivi: il Giappone ha bisogno di energia, è una potenza economica straordinaria – è il terzo Pil al mondo – e quindi deve energizzare le proprie fabbriche, deve scaldare le proprie case, deve far marciare le proprie automobili. Quindi, una riconsiderazione del primo ministro sull’energia nucleare, magari ponendo l’attenzione su maggiori standard di sicurezza, non mi sorprende insomma. Era forse nell’ordine delle cose, una volta passata l’emozione.

D. – C’è poi l’aspetto umanitario: si calcola che 57 mila persone vivano ancora in strutture prefabbricate…

R. – Esistono dei nodi strutturali, uno dei quali è anche la disciplina della popolazione che non dà luogo a manifestazioni di ribellione. C’è una disciplina di fondo, un’obbedienza anche di stampo socioreligioso, che fa sì che questi problemi vengano demandati al governo che però non sempre è in grado di risolverli, e 57 mila persone che vivono ancora in alloggi di fortuna è una cosa che stride con l’immagine altamente tecnologica e innovativa del Giappone.

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Ue: olio tunisino senza dazi. Coldiretti: minaccia il made in italy

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Nei Paesi dell’Unione Europea saranno importati, senza dazi, 35 mila tonnellate in più all’anno di olio d’oliva prodotto in Tunisia. La misura, decisa dal Parlamento europeo, è stata adottata per sostenere l’economia tunisina messa in crisi dai recenti attentati al museo del Bardo e sulla spiaggia di Susa che hanno fortemente condizionato soprattutto l’industria turistica del Paese nordafricano. La decisione dell’Europarlamento è un grave colpo al made in Italy. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo: 

R. – Questo è un grande rischio che noi abbiamo, tenendo conto che questa decisione viene dopo un 2015 che ha visto aumentare del 480% le importazioni dalla Tunisia verso l’Italia. Le frodi scovate dalle nostre forze dell’ordine sono quadruplicate e, quindi, è evidente che queste nuove agevolazioni all’ingresso non potranno far altro che mettere ulteriormente a rischio i consumatori e far aumentare le frodi. Oltre a questo c’è una beffa: gli stessi produttori di olio tunisini ci raccontano che non è questa misura che li aiuterà a stare meglio. Quindi a guadagnarci saranno evidentemente alcune multinazionali, alcuni soggetti che si occupano di import-export di olio e che tenteranno di lucrare poi con l’immagine del nostro Paese per spacciare però per italiano ciò che italiano non è.

D. – Una misura che avrà un impatto negativo sulla filiera dell’olio d’oliva, un settore strategico del “made in Italy” che vale circa due miliardi di euro l’anno...

R. – Avrà un impatto negativo su un settore che ha questi numeri – 2 miliardi di euro l’anno – ma che riguarda oltre un milione di ettari di terra e 250 milioni di piante. Sono 533 le varietà di olio – siamo il Paese con la maggiore biodiversità da questo punto di vista – e c'è un rischio anche per i 50 milioni di giornate lavorative annue che portano lavoro nelle nostre campagne durante le diverse fasi della coltivazione, della raccolta e della molitura delle olive.

D. – Oltre ai produttori, anche i consumatori non sono esenti da rischi, come quello concreto del moltiplicarsi delle frodi. Servono dunque maggiori controlli, per evitare anche che vengano mescolati olii nazionali con altri prodotti di dubbia provenienza?

R. – Sicuramente è importante un’azione forte di controlli, è importante rendere attuativa fin da subito, al 100%, la legge cosiddetta “salva-olio” del 2013 che dà alle forze dell’ordine nuovi strumenti, nuove possibilità, anche test organolettici, che consentono di scovare le frodi e, quindi, di capire quando un olio viene spacciato per extravergine di oliva ma, in realtà, non è extravergine di oliva.

D. – Sono dunque fondamentali i controlli; ma cosa possono fare i consumatori proprio per tutelarsi?

R. – E’ importante fare molta attenzione quando si va ad acquistare l’olio. Intanto, cercare di comprare quanto più possibile direttamente dagli agricoltori italiani attraverso – ad esempio – il circuito di “Campagna amica” di Coldiretti con 1.500 mercati e 20 mila produttori coinvolti. Quando non si può comprare direttamente dai produttori, dare priorità all’olio con denominazione di origine, alle “dop”(denominazione di origine protetta) e alle “igp” (identificazione geografica protetta) dell’olio italiano, e soprattutto di diffidare da quei marchi che richiamano l’italianità ma che poi non trovano nella dicitura che riguarda l’origine delle olive, la voce “100% olio italiano”. Altro ulteriore e ultimo consiglio, il prezzo: a prezzi troppo bassi non possono corrispondere veri olii extravergine d’oliva italiani. A  meno di 6-7 euro al litro, è impossibile trovare un vero e sano e buon olio extravergine di oliva italiano.

D. – Oltre al rischio di frodi, c’è anche quello per la salute?

R. – Sì, perché queste frodi spesso vedono miscele di olii che poi possono essere sofisticati e adulterati per renderli simili a un olio extravergine d’oliva, quando poi in realtà non lo sono.

D. – C’è dunque anche il timore che non vengano realmente aiutati i produttori tunisini: quali, allora, secondo la Coldiretti, le misure che possano invece sostenere più efficacemente l’economia della Tunisia, in particolare il settore agricolo di questo Paese?

R. – Occorre andare a vedere nel dettaglio come funziona il mercato di quel Paese e non sono certe queste le misure che possono aiutarlo. Sono gli stessi produttori tunisini a dircelo. Lì dobbiamo andare a vedere, tra l’altro, quali sono le norme a tutela dell’ambiente, le norme a tutela della salute dei lavoratori in quel Paese. Scopriamo che sono norme assolutamente nemmeno confrontabili con quelle che utilizziamo noi che, invece, sono sicuramente molto più sostenibili dal punto di vista della qualità dell’ambiente e anche, ovviamente, della tutela dei lavoratori.

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Nella Chiesa e nel mondo



Sud Sudan: l'Onu denuncia spaventosi crimini contro l'umanità

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Crimini di guerra e contro l’umanità devastano la popolazione civile in Sud Sudan: lo denuncia l'Onu in un agghiacciante rapporto reso noto oggi a Ginevra. Il documento dell'Alto commissariato Onu per i diritti umani afferma che nel Paese la situazione è tra le più "orrende nel mondo, con l'utilizzo massiccio dello stupro come strumento di terrore e come arma da guerra": si descrivono "in dettaglio" terribili violazioni, inclusa una politica della "terra bruciata" condotta dall’esercito governativo e dai suoi alleati, e la presa di mira deliberata di civili per uccidere, stuprare e saccheggiare. Azioni legittimate dal governo per non pagare gli stipendi dei militari.

Resoconti strazianti
Il rapporto contiene resoconti strazianti di civili sospettati di sostenere l'opposizione, compresi bambini e persone disabili, assassinati, bruciati vivi, soffocati in contenitori, impiccati ad alberi o tagliati a pezzi. Anche le forze dell'opposizione – afferma il rapporto - hanno commesso atrocità, ma a un livello inferiore.

Guerra civile a sfondo etnico
Sono decine di migliaia le persone uccise e oltre due milioni gli sfollati in seguito alla guerra civile esplosa nel  dicembre del 2013, quando il presidente Salva Kiir ha accusato il suo  ex vice, Riek Machar, di aver tentato un colpo di Stato. Il conflitto ha assunto subito una connotazione etnica, dato che Kiir appartiene alla tribù dei Dinka e Machar a quella dei Nuer. Ad agosto i due leader hanno concordato la formazione di un governo di transizione, che però  non è stato ancora formato. (S.C.)

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Chiesa siro-ortodosso: cristiani emigrati mantengano loro identità

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La cultura in cui sono cresciuti i cristiani in Oriente “è senza dubbio diversa da quella che trovano in Occidente. Questa differenza si nota nella difficoltà che i profughi trovano a integrarsi nelle società occidentali”. Tenendo conto di questo, conviene che i battezzati orientali spinti a emigrare nei Paesi occidentali, custodiscano la propria identità di cristiani d'Oriente, evitando che essa sia dissipata nell'impatto con la cultura occidentale. Sono questi alcuni suggerimenti eloquenti contenuti nella Lettera enciclica rivolta ai fedeli dal Patriarca Mar Ignatius Aprhrem II, primate della Chiesa siro-ortodossa, in occasione dell'inizio della Quaresima.

Evitare di essere contagiati dalla cultura atea e laica dell'Occidente
“Noi” insiste il Patriarca siro-ortodosso nel testo ripreso dall'agenzia Fides “abbiamo anche bisogno di lavorare su come conciliare molti aspetti della nostra cultura con quella della società occidentale, senza essere contagiati dall’ateismo e dal laicismo occidentale, che possono entrare in conflitto con i nostri valori cristiani”.

Il Patriarca condanna le chiusure xenofobe e demagogiche contro i migranti
Nell'enciclica patriarcale, Mar Ignatius I Aphrem II esamina con acutezza i meccanismi di chiusura e le reazioni demagogiche con tinte xenofobe che stanno prevalendo in vari Paesi occidentali davanti all'emergenza globale dei flussi migratori. Funzionari e leader politici – avverte il Patriarca - hanno messo mano a “leggi e vincoli per organizzare e controllare l'emigrazione. Essi lo fanno perché l'emigrazione è diventata uno strumento per esercitare pressione sui Paesi che ricevono gli immigrati. Alcuni rifugiati stanno creando problemi ai Paesi che li ospitano, e questo viene usato per alimentare l'estremismo etnico e un crescente senso di fanatismo nazionale. Alcuni puntano a politicizzare la questione e a trasformarla in uno strumento di pressione sui Paesi, dimenticando il carattere umanitario di questo problema e la necessità di affrontare i rifugiati e gli immigrati come persone bisognose di aiuto, di accoglienza e di attenzione”. 

Patriarca denuncia persecuzioni religiose nei campi profughi in Europa
​Nella sua Lettera enciclica, il Patriarca siro-ortodosso denuncia anche “maltrattamenti e discriminazioni” subiti dai profughi, e dichiara anche di essere a conoscenza di “casi di persecuzione basata sulle differenze religiose all'interno dei campi profughi in Europa”. (G.V.)

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Vescovi Austria: più risorse per i migranti. Metà seguiti dalla Chiesa

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Se è necessaria a livello globale “una maggiore giustizia economica”, nei Paesi ricchi “occorre una maggiore disponibilità a condividere”, scrivono i vescovi austriaci in un articolato comunicato che oggi sintetizza le conclusioni della loro Assemblea plenaria a Linz (7-10 marzo). Tema di fondo: migrazioni e rifugiati; assunto di partenza: “I motivi che spingono alla fuga e alla migrazione vanno affrontati con la solidarietà”; la denuncia: “Per gli aiuti di emergenza e la cooperazione allo sviluppo c’è bisogno di più risorse, che in Austria e in moltissimi altri Stati sono molto inferiori a quanto previsto dagli accordi internazionali”. 

Metà dei migranti assistiti da enti ecclesiali. Ora la fase dell'integrazione
​Dei 90mila rifugiati accolti nel Paese nel 2015 - riporta l'agenzia Sir - circa 41mila sono stati accompagnati in vario modo dalle istituzioni ecclesiali. Ora si apre la fase dell’integrazione, “che si gioca nella reciprocità” tra chi accoglie e chi invece deve accettare i valori sociali e “rispettare le leggi del Paese in cui è accolto, collaborando al bene comune”. Lo Stato deve “creare le condizioni perché ciò possa avvenire”. 

Vescovi denunciano il silenzio dell'occidente sulle persecuzioni anti-cristiane
Quanto al tema della persecuzione dei cristiani i vescovi, che hanno ricordato “il brutale assassinio delle quattro suore in Yemen”, denunciano “l’incomprensibile silenzio” dell’Austria e della maggioranza delle nazioni occidentali di fronte alla “più vasta persecuzione dei cristiani che si sia mai verificata nella storia”. A Linz è stato presentato anche il resoconto del lavoro della Commissione per la protezione delle vittime degli abusi sessuali. (R.P.)

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Pakistan: fedeli cristiani in preghiera per Asia Bibi

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Hanno risposto in massa i fedeli cristiani del Pakistan all’appello lanciato dalla Chiesa cattolica locale che ha chiesto di pregare per Asia Bibi, la donna cristiana rinchiusa da sette anni in carcere con l’accusa di blasfemia. I momenti di preghiera si sono tenuti il 9 marzo a Rawalpindi, Jhelum, Lahore e Sialkot. Arrestata il 19 giugno 2009 e condannata a morte in primo grado nel novembre 2010, Asia Bibi è da allora sottoposta a regime di isolamento per motivi di sicurezza.

Promuovere la pace e la tolleranza
Inoltre, dopo che la Corte suprema del Pakistan ha deciso di giustiziare, lo scorso 29 febbraio, Mumtaz Qadri,  l’assassino di Salman Taseer, governatore del Punjab che aveva difeso Asia Bibi, nel Paese si sono moltiplicate le proteste da parte di estremisti musulmani che chiedono l’impiccagione della donna cristiana. “Digiuniamo e preghiamo per Asia Bibi – ha detto all'agenzia AsiaNews padre Arshed John, sacerdote di Jhelum, partecipando al momento di preghiera - Preghiamo per tutti coloro che sono in carcere, preghiamo per la loro sicurezza e per la loro liberazione. E preghiamo anche affinché la tolleranza e la pace prevalgano nel nostro Paese”.

Commemorare attacco del 2013 contro quartiere cristiano a Lahore
​La giornata di preghiera indetta dalla Chiesa pakistana, ha aggiunto poi padre John, ha avuto anche un altro scopo, ovvero quello di commemorare il terzo anniversario dell’attacco contro il quartiere cristiano di Joseph Colony, vicino Lahore, avvenuto il 9 marzo 2013. Tre anni fa, infatti, un devastante incendio distrusse decine di abitazioni cristiane, lasciando centinaia di famiglie senza casa. A scatenare la violenza, era stata l’accusa di blasfemia nei confronti di un cristiano residente proprio a Joseph Colony. (I.P.)

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Comece: documento sulle cure palliative

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Le cure palliative sono frutto “di grande umanità, manifestano la solidarietà della società con i suoi membri provati, la presa in carico della loro vulnerabilità e il riconoscimento della loro dignità”. Così si legge nel documento “Le cure palliative nell’Ue” che il gruppo di lavoro sull’etica nella ricerca e nella medicina della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) ha appena pubblicato. “In una società che invecchia e in cui un numero sempre maggiore di persone con malattie croniche necessitano di tali cure” – riferisce l’agenzia Sir - occorre che queste siano “attivamente supportate affinché possano svilupparsi ulteriormente e soddisfare le esigenze crescenti”.

Terapie di supporto ed accompagnamento nella sofferenza del malato
Le 30 pagine del documento ritracciano la genesi di questo ramo della medicina a partire dall’esperienza della dottoressa inglese Cicely Saunders che nel 1967 aprì il primo “hospice” per malati di tumore terminale. Riconosciute come “servizio essenziale per la popolazione” nel 2003, dal 2008 esse sono un servizio presente in tutti gli Stati membri dell’Ue, anche se a volte si tratta di “una manciata di iniziative ampiamente insufficienti in relazione alla popolazione”. Prendendo come riferimento l’articolata definizione di cure palliative fornita dall’Oms, inoltre, il documento della Comece sottolinea come oggi esse non siano “riducibili alle cure terminali”, ma vadano considerate “terapie di supporto” in cui, oltre ad alleviare il dolore fisico, si offre un “accompagnamento” per la sofferenza interiore ed esistenziale.

Prudenza nella sedazione in fase terminale e nell’uso di ansiolitici
Se nel contesto delle cure palliative, quindi, si fa ricorso alla “sedazione in fase terminale di una malattia” occorre vigilare che non si tratti “di pratiche sedative che non evitano solo le sofferenze, ma accelerano deliberatamente la morte, cosa che meriterebbe loro la qualifica di atti di eutanasia”, precisa il documento. Il testo prende in esame anche il tema dell’uso degli ansiolitici per “alleviare l’inquietudine e l’angoscia” invitando ad un “uso prudente e ragionato” di tali farmaci, “senza impedire che il paziente possa esprimersi e si possa restare in relazione con lui”.

Cure palliative non sono accanimento terapeutico
Ricordando, poi, che le cure palliative si distinguono dall’accanimento terapeutico e dall’eutanasia, la Comece sottolinea la necessità che “nella legislazione di ogni Stato membro dell’Ue sia inserito il diritto di accesso a tali cure”, con un’attenzione speciale “per i gruppi di persone particolarmente vulnerabili”. È necessario inoltre che gli Stati sviluppino istituzioni sufficienti ed adatte a tale scopo, curando  la formazione di personale che, oltre ad essere dotato di “competenze nel controllo del dolore”, riceva anche una formazione adeguata riguardo “ai bisogni sociali, emotivi, spirituali” dei malati. (A cura di Isabella Piro)

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Colombia: Settimana per la famiglia sul tema della misericordia

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“Famiglia, casa di misericordia”: con questo tema si terrà in Colombia, dall’8 al 15 maggio, la Settimana per la famiglia 2016. L’iniziativa, promossa dal Dipartimento per il matrimonio e la famiglia della Conferenza episcopale locale (Cec), si svolgerà all’interno del periodo denominato “Tempo di famiglia” che riguarderà l’intero mese di maggio.

Approfondire il tema del perdono
“In questo Anno Santo della Misericordia – informano i vescovi colombiani – si vuole approfondire, in particolare, il tema del perdono”. Per questo, aggiunge mons. Pablo Emiro Salas Anteliz, presidente della Commissione episcopale per il matrimonio e la famiglia, la Chiesa locale desidera che “l’esperienza della misericordia, del perdono reciproco, della riconciliazione e della pace si vivano in famiglia e che tutti, nell’ambito familiare, si avvicinino a Gesù in atteggiamento di pellegrinaggio”. 

Promuovere autentica cultura della famiglia
​“Indubbiamente, tutte le iniziative realizzate nel periodo di maggio – conclude il presule – aiuteranno sensibilmente a generare non solo una maggiore cura nella Pastorale per il matrimonio e la famiglia, ma anche ad accrescere l’interesse per una cultura rinnovata ed autentica della famiglia”. (I.P.)

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Senegal: Giornata africana dello scoutismo

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Sarà una giornata per fare un bilancio delle proprie attività e per pensare a partenariati che abbiano un maggiore impatto sociale. E’ la Giornata Africana dello Scoutismo che sarà celebrata in Senegal il 13 marzo sul tema “Rafforzare gli scout per lo sviluppo dell’Africa”. Diverse, riferisce il portale della Chiesa senegalese, le iniziative in programma, tra le quali propagande per il reclutamento di nuovi membri, animazioni ed attività ludiche per giovani che vivono situazioni difficili, campagne di sensibilizzazione per la riforestazione e per le donazioni di sangue, incontri con le autorità sull’Unione Africana.

L’impegno degli scout in programmi alimentari, di igiene, sanità ed educazione
“Lo scoutismo senegalese ha intrapreso con successo progetti di sviluppo comunitario – si legge in un comunicato che annuncia la Giornata Africana dello Scoutismo – soprattutto in materia di produzione alimentare, sanità, igiene, programmi di alfabetizzazione e ha così direttamente contribuito allo sviluppo delle condizioni di vita delle popolazioni”. Proprio per il loro contributo nell’eduzione due giovani scout senegalesi, Alphonse Sène Abdoulaye Sène, hanno ricevuto l’Elefante d’Africa, la più alta onorificenza dello scoutismo africano.

L’iniziativa istituita nel 1995
​La Giornata dello Scoutismo Africano è stata istituita nel 1995 con una risoluzione del Consiglio dei Ministri dell’Organizzazione dell’Unità Africana (Oua), oggi Unione Africana. Tale risoluzione riconosce il movimento scout come il più grande movimento giovanile in Africa, che ha contribuito particolarmente nel campo dell’educazione e della formazione di giovani e adulti. (T.C.)

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Congo: prima pietra di un ospedale diocesano a Brazzaville

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Al via la costruzione di un ospedale diocesano nell’arcidiocesi di Brazzaville. La struttura offrirà assistenza alle donne in gestazione, avrà un reparto maternità e garantirà cure ai bambini. Ai neonati sarà assicurato un programma di vaccinazione, ma saranno possibili anche visite di prevenzione, corsi di educazione alla salute e sostegno psicologico.

Il progetto grazie alla collaborazione dell’Associazione Missioni Faa Di Bruno
La prima pietra dell’ospedale è stata posta alcuni giorni fa dall’arcivescovo di Brazzaville mons. Anatole Milandou. Il progetto, riferisce il portale la Semaine Africaine, è nato nel 2012, durante l’inaugurazione a Moukondo del Centro dentistico intitolato a “Francesco Faa Di Bruno” – fondatore delle Suore minime di Nostra Signora del Suffragio la cui Casa madre si trova a Torino, in Italia – e grazie alla collaborazione dell’Associazione Missioni Faa Di Bruno e l’economato diocesano di Brazzaville.

Saranno realizzati lotti autonomi
​Con il contributo di donatori e benefattori italiani sono stati raccolti dei fondi, mentre l’ex ministro degli Sport, Jean-Claude Ganga, ha offerto il terreno per la costruzione dell’ospedale. La realizzazione del progetto coinvolgerà professionisti congolesi e professionisti volontari italiani e procederà in lotti autonomi con finanziamenti privati in modo da garantire un’esecuzione dei lavori graduale senza che si debba attendere il completamento dell’intero ospedale. (T.C.)

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Vescovi Regno Unito: il lavoro domenicale danneggia la famiglia

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È stata respinta dal Parlamento inglese la proposta del Cancelliere George Osborne di estendere gli orari di lavoro domenicali oltre l’attuale limite di sei ore. La proposta è stata bocciata dalla Camera dei Comuni con 317 voti contrari e 286 voti favorevoli. Soddisfazione per l’esito della votazione è stata espressa dalla Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles.

Riconoscere l’importanza della domenica
“Sono lieto – ha commentato mons. Peter Smith, arcivescovo di Southwark e responsabile del Dipartimento per la responsabilità cristiana e la cittadinanza – che i parlamentari abbiano deciso di proteggere gli accordi esistenti, che soddisfano le esigenze dei consumatori pur riconoscendo l’atmosfera unica e importante di domenica”. Il presule ha inoltre ribadito che  “esistono poche prove” per attestare che un ulteriore prolungamento dell’orario lavorativo domenicale porterebbe un reale “beneficio tangibile al Regno Unito”. Al contrario, ha concluso mons. Smith, la votazione parlamentare ha evidenziato come lavorare la domenica per molte ore “avrebbe un impatto negativo sul tempo da dedicare alla famiglia, sulla coesione della comunità e sui gruppi religiosi”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 71

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.