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Sommario del 14/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: quante “valli oscure”, ma il Signore è con noi

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Il barbone morto di freddo a Roma, le suore di Madre Teresa uccise nello Yemen, le persone che si ammalano nella “Terra dei fuochi”. Alla Messa mattutina a Casa Santa Marta, Papa Francesco rammenta alcuni fatti drammatici degli ultimi tempi. Davanti a queste “valli oscure” del nostro tempo, afferma, l’unica risposta è affidarsi a Dio. Anche quando non capiamo, come davanti alla malattia rara di un bambino, ha detto, affidiamoci nelle mani del Signore che mai lascia solo il suo popolo. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Susanna, una donna giusta, viene “sporcata” dal “cattivo desiderio” di due giudici, ma preferisce affidarsi a Dio e scegliere di morire innocente piuttosto che fare quello che volevano questi uomini. Francesco prende spunto dalla Prima Lettura, tratta dal Libro di Daniele, per sottolineare che, anche quando ci troviamo a percorrere “una valle oscura”, non dobbiamo temere alcun male.  

Quanti valli oscure, dove sei Signore?
Il Signore, ha detto il Pontefice, sempre cammina con noi, ci vuole bene e non ci abbandona. Di qui, Francesco ha volto lo sguardo alle tante “valli oscure” del nostro tempo:

“Quando noi, oggi, guardiamo tante valli oscure, tante disgrazie, tanta gente che muore di fame, di guerra, tanti bambini disabili, tanti … tanti che adesso, tu chiedi ai genitori: ‘Ma che malattia ha?’ – ‘Nessuno lo sa: si chiama malattia rara’. E’ quella che noi facciamo con le nostre cose: pensiamo ai tumori dalla Terra dei fuochi … Quando tu vedi tutto questo, ma dove sta il Signore, dove sei? Tu cammini con me? Questo era il sentimento di Susanna. Anche il nostro. Tu vedi queste quattro sorelle trucidate: ma, servivano per amore, e sono finite trucidate per odio! Quando tu vedi che si chiudono le porte ai profughi e li si lasciano fuori, all’aria, con il freddo … Ma, Signore, dove sei Tu?”.

Perché soffre un bambino? Non so perché, ma mi affido a Dio
“Come posso affidarmi a Te – riprende il Papa – se vedo tutte queste cose? E quando le cose succedono a me, ognuno di noi può dire: ma come mi affido a Te?”. “Soltanto, a questa domanda c’è una risposta”, ha detto Francesco: “Non si può spiegare, no io non ne sono capace”:

“Perché soffre un bambino? Non so: è un mistero, per me. Soltanto, mi dà qualcosa di luce – non alla mente, all’anima – Gesù al Getsemani: ‘Padre, questo calice, no. Ma si faccia la Tua volontà’. Si affida alla volontà del Padre. Gesù sa che non finisce tutto, con la morte o con l’angoscia, e l’ultima parola dalla Croce: ‘Padre, nelle Tue mani mi affido!’, e muore così. Affidarsi a Dio, che cammina con me, che cammina con il mio popolo, che cammina con la Chiesa: e questo è un atto di fede. Io mi affido. Non so: non so perché accade questo, ma io mi affido. Tu saprai perché”.

Il male non è definitivo, il Signore è sempre con noi
E questo, ha detto, “è l’insegnamento di Gesù: chi si affida al Signore che è Pastore, non manca di nulla”. Anche se va per una valle oscura, ha soggiunto, “sa che il male è un male del momento, ma il male definitivo non ci sarà perché il Signore, ‘perché Tu sei con me. Il Tuo bastone e il Tuo vincastro mi danno sicurezza’”. Questa, ha sottolineato, “è una grazia” che dobbiamo chiedere: “Signore, insegnami ad affidarmi alle Tue mani, ad affidarmi alla Tua guida, anche nei momenti brutti, nei momenti oscuri, nel momento della morte”:

“Ci farà bene, oggi, pensare alla nostra vita, ai problemi che abbiamo e chiedere la grazia di affidarci alle mani di Dio. Pensare a tanta gente che neppure ha un’ultima carezza al momento di morire. Tre giorni fa è morto uno, qui, sulla strada, un senzatetto: è morto di freddo. In piena Roma, una città con tutte le possibilità per aiutare. Perché, Signore? Neppure una carezza … Ma io mi affido, perché Tu non deludi”.

“Signore – ha concluso – non ti capisco. Questa è una bella preghiera. Ma senza capire, mi affido nelle tue mani”.

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Francesco prega per i morti dell'attentato in Turchia

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Papa Francesco ha espresso in un telegramma profondo dolore per le vittime del grave attentato che ieri ha colpito la capitale turca Ankara, dove l’attentato a un bus ha fatto 37 morti e 125 feriti. Nel testo a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, il Papa prega anche per i familiari delle vittime assicurando alla popolazione turca la sua “spirituale vicinanza e solidarietà”. Le forze di sicurezza hanno arrestato 14 persone sospettate di terrorismo e di legami con il Pkk, le cui postazioni sono state oggetto di raid aerei. Antonella Palermo ha chiesto un commento al vicario apostolico dell’Anatolia, mons. Paolo Bizzeti

R. – Il terrorismo in Turchia, come da altre parti, è piuttosto – a mio parere – un sintomo che non una causa, ragion per cui bisogna affrontare le cause profonde. Questo Paese, da sempre nella storia, ha una vocazione a essere un coacervo di popoli, di religioni, di culture. Sicuramente bisogna rispettare questa identità, che è un’identità costruita nei millenni e che è un’identità che corrisponde alla sua vocazione geografica. Quindi, a mio parere tutto quello che va in questa linea pacificherà gli animi.

D. – Perché Ankara è stata presa di mira, secondo lei?

R. – Perché Ankara è un luogo simbolico, è la capitale del Paese. Sono quei luoghi che colpiscono l’attenzione di tutti e quindi sono quelli che sono maggiormente al centro dell’interesse, dell’interesse anche mediatico. Tutte le grandi capitali sono minacciate…

D. – E però, lei lo stava dicendo, cioè la Turchia da antico ponte tra Oriente e Occidente, adesso cosa sta diventando?

R. – La Turchia è un luogo dove ci sono molte tensioni: tutto il Medio Oriente è in subbuglio, è in difficoltà, e dovunque nel Medio Oriente noi ci troviamo di fronte a una varietà di popolazioni, di religioni, di culture. Tutto quello che garantisce questa pluralità ha una possibilità di stabilire una pace, quella pace che tutti desiderano, perché poi non bisogna dimenticare che i terroristi sono una piccolissima parte delle persone … La stragrande maggioranza delle persone non vuole la violenza. Pertanto, il terrorismo va combattuto nelle sue radici, non nei suoi rami più esterni.

D. – Relativamente a quanto sta accadendo in Siria, la politica della Turchia dovrebbe essere più chiara?

R. – Ma, io credo che in Siria nessuno stia facendo un gioco chiaro. Stando qui ci si rende conto ancora di più che ci sono molti fattori, molte spinte diverse, molti interessi a livello mondiale e sicuramente i grandi di questo mondo devono mettersi d’accordo perché non possono continuare a permettere una strage che colpisce la popolazione. Quindi, è necessario, è indispensabile un accordo. Si fa fatica a capire perché non si arriva a questo accordo. Allora, probabilmente ci sono delle cose che non sono dette, ci sono degli interessi contrastanti e questo protrae la situazione in modo assurdo. Ma questo non è soltanto dalla Turchia: l’Europa, con la sua indifferenza, non sta giocando un gran ruolo positivo. La politica delle grandi potenze tradizionali – Stati Uniti, Russia – non sembra molto lineare. E’ l’insieme che lascia molto perplessi e fa interrogare su quali siano le reali intenzioni degli attori in gioco.

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Dolore del Papa per le vittime degli attacchi in Costa d'Avorio

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Papa Francesco ha espresso le sue condoglianze per le vittime degli attacchi ai resort turistici in Costa d’Avorio e ha assicurato, in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, la sua vicinanza spirituale ai feriti e alle famiglie colpite. Il Papa ha quindi condannato la violenza e l'odio in tutte le sue forme ed ha invocato la benedizione divina sul Paese africano. Intanto, Al Qaeda ha rivendicato l’attacco sulla spiaggia di Grand-Bassam che ha provocato la morte di 16 persone, fra le quali almeno un francese e un tedesco. Marco Guerra ha intervistato l’esperto dell’area Alberto Negri

R. -  C’è da preoccuparsi del fatto che gli europei non capiscono che le loro frontiere sono cambiate non solo perché ormai confiniamo con questa Siria e questa Turchia, ma anche con quei Paesi che prima erano mille chilometri sotto Gheddafi. Caduta la Libia di Gheddafi queste frontiere sono sprofondate di mille chilometri. Oggi le frontiere dell’Europa sono sul Mali, sul Burkina Faso, sulla Costa d’Avorio, sulla Mauritania, tanto è vero che questo attentato in Costa D’Avorio è esercitato da Mokhtar Belmokhtar  personaggio che conosciamo da anni, che è stato appartenente ai gruppi armati islamici in Algeria negli anni ’90 e che poi è diventato uno dei grandi capi dell’area del Sahel dove, dopo la disgregazione della Libia, ha potuto in qualche modo avere una parola importante su quello che accadeva in Mali, in Burkina Faso. Che attentati porta? Porta attentati agli obiettivi occidentali di marca qaedista, perché è anche "in concorrenza" con lo Stato islamico; protegge in qualche modo, come dire, la preminenza di Al Qaeda in quella zona che significa anche controllo del narcotraffico, dei migranti, di vasti traffici. Questo rende quell’area assolutamente instabile e pericolosa, destinata probabilmente a restarlo ancora per molto tempo.

D. - Quindi c’è la stessa mano degli attacchi a Bamako di qualche mese fa …

R. - Non c’è dubbio. La rivendicazione è più o meno la stessa, perché si parla del gruppo di al Murabitun. Si tratta di un gruppo jihadista islamico che poi si è affiliato ad Al Qaeda nel Magreb di Belmokhtar Bene, questi hanno portato l’attacco a Bamako, a Ouagadougou e da ultimo in Costa d’Avorio mirando soprattutto ad obiettivi occidentali - perché è nella filosofia di Al Qaeda – e in particolare agli interessi di un Paese come la Francia che in quella zona ha fortissimi interessi dal punto di vista della sicurezza. Il Paese è dislocato con le sue forze in Mali e in altri Paesi africani e oltre tutto ha una preminenza economica: ricordiamoci che quella è la famosa area del Franco Cfa; 14 Paesi hanno l’ottanta percento delle loro riserve bancarie proprio a Parigi. Quindi è chiaro che l’obiettivo è molto vicino ad esser quello di destabilizzare la presenza francese.

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Papa: gli educatori, artigiani di umanità e costruttori di pace

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Si chiama Hanan Al Hroub la vincitrice del premio “Insegnante mondiale 2016”. Ad annunciare il suo nome, ieri sera, è stato Papa Francesco in persona, in un videomessaggio inviato al quarto Forum globale sull’educazione, svoltosi a Dubai, negli Emirati Arabi. L’evento, sul tema “Una maggiore responsabilità collettiva per l’educazione pubblica”, è stato organizzato dalla Fondazione Varkey, ente no-profit nato per migliorare gli standard educativi dei minori disagiati nel mondo. Il servizio di Isabella Piro

“Artesanos de humanidad y constructores…”
 “Artigiani di umanità, costruttori della pace e dell’incontro”: così Papa Francesco definisce gli educatori nel suo videomessaggio. Il Pontefice ringrazia la Fondazione Varkey perché incoraggia gli insegnanti di tutto il mondo nel loro sforzo di “creare una società globale sostenibile”, anche attraverso la collaborazione con le “Scholas Occurrentes”, la rete internazionale di scuole nata in Argentina per volere dell’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, e che opera “a favore dell’integrazione e della pace nel mondo”. “Insieme – dice il Pontefice – si potrà dare agli educatori il meritato riconoscimento per il grande impatto che hanno sulle nostre vite” e restituire alla loro professione la giusta posizione, come “la più rispettata della società”.

“Enseñar a jugar a los chicos…”
Poi, l’annuncio del premio ad Hanan Al Hroub. Docente palestinese, cresciuta in un campo-profughi, Hanan ha creato una metodologia di apprendimento basata sul gioco per aiutare i giovani a superare le situazioni traumatiche e per educare alla pace. Congratulandosi con lei per “il prestigioso premio ricevuto”, il Papa sottolinea che “un bambino ha il diritto di giocare e parte dell’educazione consiste nell’insegnare ai bambini a giocare, perché è nel gioco che si impara la socializzazione e la gioia di vivere”.

“Un pueblo que no es educado es un pueblo que decae…”
Per questo, sottolinea Francesco, “un popolo non educato, a causa della guerra o di altri motivi, è un popolo che decade” sempre di più, fino a sprofondare “a livello dell’istinto”. Infine, l’auspicio del Pontefice è che “i governi si rendano conto della grandezza” del compito che hanno i docenti. Al termine del videomessaggio del Papa, a Dubai è stato piantato un ulivo, simbolo della pace.

Esperienza-pilota delle Scholas Occurrentes
Da ricordare che lo scorso 3 febbraio, in Vaticano, durante l’udienza concessa da Francesco alle “Scholas Occurrentes”, il ministro di Gabinetto degli Emirati Arabi, Mohammed Al Gergawi, e il presidente della Fondazione Varkey, Sunny Varkey, hanno invitato le Scholas a organizzare un’esperienza-pilota con i giovani di Dubai, prima esperienza della rete educativa argentina in un Paese musulmano.

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Il Papa in visita alla Congregazione per la Dottrina della Fede

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Papa Francesco ha compiuto stamani una visita alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Successivamente, il Pontefice ha padre Michael Anthony Perry, ministro generale dell’Ordine Francescano dei Frati Minori, con il vicario generale Padre Julio César Bunader e il signor Franco Zeffirelli.

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Papa, tweet: la Riconciliazione dà fiducia nel perdono di Dio

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Il Sacramento della Riconciliazione permette di accostarci con fiducia al Padre per avere la certezza del suo perdono”.

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Fisichella: quasi 3 milioni di fedeli nei primi 100 giorni di Giubileo

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Quasi 3 milioni i pellegrini giunti a Roma dall’inizio dell’Anno Santo. Questo il bilancio dei primi 100 giorni di Giubileo della Misericordia tracciato questa mattina a Roma da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione e dal prefetto di Roma, Franco Gabrielli. Il servizio di Paolo Ondarza: 

2.802.000 le presenze solo nella zona di San Pietro dall’inizio dell’Anno Santo, 1 milione e mezzo di pellegrini hanno partecipato finora ai grandi eventi giubilari. Ora il calendario ne prevede di nuovi: la Domenica delle Palme, Pasqua, la festa della Divina Misercordia. Attese circa 150 mila persone e l’organizzazione del Giubileo raccomanda ai grandi gruppi di pellegrini di registrarsi prima dell’arrivo a Roma. Un bilancio molto positivo quello tracciato da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Conisglio per la Nuova Evangelizzazione:

“È veramente emozionante vedere quante persone si sono messe in cammino attraverso Via della Conciliazione con la Croce del Giubileo, pregano e hanno pazienza ai controlli. Il tema della misericordia che Papa Francesco ha desiderato e voluto corrisponde veramente a un’esigenza del Popolo di Dio”.

Abbiamo fatto un primo tratto di strada, ci attendono ancora circa 250 giorni, spiega il prefetto di Roma, Franco Gabrielli:

R.- “Dobbiamo ancora essere attenti, affinare gli aspetti organizzativi. Per adesso è andata come speravamo, però abbiamo ancora un bel tratto di strada da fare”.

D.- Resta alta la minaccia terrorismo?

R.- Le recenti operazioni dell’arma dei Carabinieri e della Polizia di Stato dimostrano come esistano degli apparati di sicurezza che stanno facendo il loro lavoro con grande dedizione, portando a casa dei risultati significativi. La minaccia c’è; sarebbe estremamente complicato dire il contrario, ma esistono anche degli apparati di sicurezza che stanno facendo il loro lavoro.

Fondamentale il ruolo delle 3579 unità dell’ordine pubblico impiegate nella zona di San Pietro così come quello dei circa 800 volontari di ogni età che finora si sono alternati nell’assistenza ai pellegrini. Quanto la minaccia terroristica ha pesato finora sull’afflusso dei fedeli nella Città Eterna. Ancora mons. Fisichella:

“Nei primi giorni sì, ma prevedo che la presenza dei pellegrini sarà sempre più grande”.

Per i dati definitivi bisognerà attendere novembre, Si calcola che siano state aperte già diecimila porte sante, nelle 2.089 diocesi del pianeta, ma in questo Giubileo diffuso Roma si conferma cuore del cristianesimo. Mons. Fisichella:

“Qui c’è la Tomba di Pietro dove si viene a professare la fede per poterla vivere in maniera più intensa quando si riorna poi nelle proprie comunità, nei propri Paesi, nelle proprie associazioni”. 

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Mani disarmate: all'Angelus il Papa ricorda l'episodio dell'adultera e chiede ai fedeli il coraggio di far cadere a terra le pietre.

Non capisco ma mi fido: Messa a Santa Marta.

Atene e Gerusalemme: Manlio Simonetti su filosofia e teologia tra il quarto e il quinto secolo.

Un ritorno a quella casa intravista da lontano: Ferdinando Cancelli su Carlo Magno e l'Europa.

Cristiana Dobner sull'emiro che salvò gli infedeli: in difesa dei cristiani nella Damasco del 1860.

Vero umanesimo contro ogni emergenza: la prolusione del cardinale Angelo Bagnasco al Consiglio permanente della Cei.

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Oggi in Primo Piano



Siria: confermato uso armi chimiche, riprende il negoziato

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Armi chimiche usate almeno 161 volte durante i 5 anni di guerra siriana: dopo anni di denunce e indiscrezioni, arriva il rapporto della Syrian American Medical Society, che elenca i drammatici episodi costati la vita a 1.500 persone. Da almeno due settimane sul piano militare la tregua sembra reggere, considerando che non aderiscono né il sedicente Stato islamico, né al-Nusra, la fazione jihadista legata ad al-Qaeda. E questa mattina è ripartito il negoziato a Ginevra per una soluzione del conflitto siriano, costato la vita finora a 250 mila persone. Il servizio da Ginevra di Stefano Marchi: 

I negoziati per la pace in Siria sono ricominciati oggi al Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra con un incontro tra l’inviato speciale dell’Onu Staffan de Mistura, e la delegazione del governo siriano. Queste trattative, almeno per ora, sono indirette, e de Mistura, definitosi “facilitatore e stimolatore”, presto si riunirà separatamente anche con la delegazione dell’Alto Consiglio Negoziale, che rappresenta l’opposizione siriana “moderata”, seppur in modo incompleto. Questi difficilissimi negoziati erano falliti due volte. Stamani de Mistura ha affermato che “questo è il momento della verità” e ha avvertito le parti che se non constatasse una loro volontà di negoziare, farebbe appello alle potenze influenti, innanzitutto a Stati Uniti e Russia. I negoziati sono basati su un piano delle Nazioni Unite, reso vincolante da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza. De Mistura ha programmato nei prossimi mesi tre sessioni di trattative, al termine delle quali ritiene che le parti debbano accordarsi almeno su una road map. Il piano di pace dell’Onu per la Siria prevede entro sei mesi un nuovo governo inclusivo, composto da esponenti dell’opposizione e dell’attuale regime. Poi una nuova Costituzione e, entro diciotto mesi, elezioni libere, parlamentari e presidenziali. De Mistura ha smentito ancora l’esistenza di un "piano B" per la Siria e ha affermato che questo consisterebbe nella continuazione della guerra civile nel Paese.

L’inviato Onu, De Mistura, precisa che le Nazioni Unite sono i mediatori e che i veri "operatori di pace" sono il Gruppo internazionale di sostegno sulla Siria (Isgg), i membri del Consiglio di sicurezza e, aggiunge, si spera le parti siriane. Nell’intervista di Fausta Speranza la valutazione di Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento: 

R. –  Il fatto che siano seduti intorno ad un tavolo è un fatto positivo. Quello che non è ancora chiaro è come si comporteranno le parti che si trovano davanti. Mi spiego meglio: ci troviamo, per esempio, con una posizione statunitense fortemente contraria al governo di Assad, ma allo stesso tavolo si trova il governo di Assad, oltre alle altre formazioni politiche. La questione non è secondaria: il governo legittimo al momento, il governo legittimo di Assad, sa che la controparte non lo vuole a quel tavolo e che aspira alla sua caduta, con l'appoggio degli Usa. Questo naturalmente crea dei seri problemi di conversazione tra le parti.

D. – Che dire del ruolo che continuano a giocare, nella partita più generale, altri attori? Penso subito alla Russia…

R. – Il ruolo della Russia è assolutamente fondamentale. Non dobbiamo dimenticare che questo cessate-il-fuoco, a quanto ha detto il segretario Kerry, ha portato a una riduzione del conflitto tra l’80 e il 90% e questo cessate-il-fuoco è stato voluto, è stato determinato soprattutto dall’intervento diretto della Russia sul terreno. A questo punto, gli Stati Uniti hanno ben accettato il cessate-il-fuoco ma, ripeto, è stato soprattutto grazie al ruolo giocato dalla Russia.

D. – Poi, c’è il discorso del terrorismo curdo e delle scelte di Ankara: abbiamo visto anche l'attentato in queste ore in Turchia…

R. – Sì, la questione del terrorismo curdo è abbastanza preoccupante, perché per un discreto periodo la Turchia e le grandi città turche non erano state toccate. Però, con gli interventi militari che la Turchia ha sviluppato contro le postazioni curde – con la scusa del terrorismo internazionale, ma fondamentale per colpire le postazioni curde – ha portato a una recrudescenza del terrorismo curdo in Turchia. L’episodio dei 37 morti di queste ore è assolutamente illuminante sul nuovo ruolo delle postazioni curde, su come il movimento curdo si stia organizzando. Quindi, credo che ci dovremo attendere una risposta, una forte risposta curda, per tamponare questa avanzata del terrorismo curdo.

D. – Oggi, il rapporto abbastanza dettagliato sulle armi chimiche. Ma che altro ancora non sappiamo di questa guerra?

R. – Non sappiamo molto. Ma anche sull’utilizzo delle armi chimiche. Sappiamo che l’Is è riuscita sicuramente a raccoglierne dai magazzini sia in Siria che in Iraq e quindi negli Stati che al momento sono più sottoposti alla guerra civile. Quindi, molte delle postazioni militari sono cadute nelle mani dell’Is e l’Is non si fa alcun problema a utilizzare le armi chimiche e utilizza soprattutto le armi chimiche nel suo progetto di guerra civile all’interno dell’Islam. Non dimentichiamo che è di un paio di giorni fa la notizia dell’attacco di alcune località intorno alla città di Kirkuk: ci troviamo in area sciita e quindi praticamente l’Is colpisce e tenta di risolvere la questione della guerra civile all’interno dell’Islam contro gli sciiti anche utilizzando armi profondamente e particolarmente sporche come sono le armi chimiche.

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Germania: vola destra populista, Merkel paga apertura a migranti

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In Germania vola la destra populista nei tre lander, dove ieri 12 milioni di tedeschi, chiamati alle urne, hanno decretato l’ascesa del Partito Alternativa per la Germania (Afp), che ha superato ovunque il 12 per cento e la vittoria dei Verdi nel ricco e popoloso Baden Wurttenberg, ai danni della Cdu della Merkel, in calo insieme al Partito Socialdemocratico (Spd) anche nella Renania Palatinato e nella Sassonia-Anhalt. Roberta Gisotti ha intervistato Antonio Villafranca analista dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). 

D. – Dottor Villafranca, se la Merkel tre mesi fa veniva nominata sul giornale “Time” “persona dell’anno”, a cosa si deve questo declino? In coro - si dice - alla politica di apertura in ambito di emigrazione …

R. – Guardi, io credo che sia una sconfitta annunciata. Sarebbe un grave errore pensare che l’esito di questa tornata elettorale sia geograficamente limitata ai Länder in cui si è votato. Sono tre Länder, di cui uno soprattutto è molto importante: il Baden Württemberg, perché è un po’ il motore – anche industriale – della Germania; poi c’è la Renania Palatinato che è una regione diremmo noi in Italia “progressista”, quasi “radical-chic”; e poi la Sassonia Anhalt, che è un’ex regione della Ddr, in cui alcuni cambiamenti positivi ci sono stati ma che resta sostanzialmente povera, con una disoccupazione vicina al 10 per cento. Quindi tre regioni piuttosto diverse ma che danno il senso di dove sta andando la Germania: un Paese in cui permangono ancora sacche di povertà, di indigenza, addirittura nella stessa Berlino, nella capitale, e in molti Länder dell’Est Europa, cui soprattutto nel più ricco Sud, si teme l’afflusso degli immigrati. Non dimentichiamo che in Germania ci sono un milione e 200 mila rifugiati, in questo momento, e si teme l’impatto sul welfare tedesco. Queste sono preoccupazioni che riguardano la Germania intera.

D. – Quali mosse potrebbero seguire da parte della cancelliera Merkel, per recuperare in vista delle elezioni federali nel novembre 2017?

R. – Io non credo che riuscirà a recuperare del tutto; non so neanche se la Merkel punti alla propria rielezione: non ha chiarito bene la questione. Sicuramente, quello che ci aspetteremo nei prossimi mesi è una maggiore legittimazione proprio di questo partito – l’Alleanza per la Germania – una sua crescita, anche se non ci sarà una rappresentazione istituzionale, perché in pratica si cercherà sempre, in tutti i Länder, un accordo che metta insieme il partito della Merkel, la Cdu, con la Spd, i socialisti, e con i Verdi laddove sia possibile. Non credo che la Merkel a brevissimo cambierà politica: conosciamo una donna forte, che non ha paura di prendere delle decisioni, ma probabilmente si è resa conto che effettivamente questa sua apertura verso i rifugiati è stata troppo repentina e non sostenibile per il suo Paese. Quindi, quello che vedremo è un graduale cambiamento – e di spostamento verso destra – delle posizioni della Cdu e della Merkel, anche se non con strappi improvvisi.

D. – Un risultato che rappresenta anche un segnale di monito per la stessa stabilità dell’Unione Europea?

R. – Questo, in realtà, viene già da prima: i segnali verso una incomprensione che ormai esiste in Europa vengono già dalla crisi greca. Noi Paesi del Sud, ovviamente, continuiamo a criticare la Germania e i Paesi del Nord per le loro posizioni sull’austerity, ma basta fare un viaggio in Germania per rendersi conto che la maggioranza della gente non si fida dei Paesi del Sud e della loro capacità di rispettare le regole. Il crollo di fiducia che la crisi economica, in particolar modo la gestione della crisi greca, ha generato, purtroppo è il pericolo più grave per l’Unione Europea. Si dovrebbe avere il coraggio, effettivamente, di rilanciare il progetto europeo ma su basi nuove, cercando di spiegare a cosa veramente può servire l’Unione Europea nei prossimi anni. Il tema dell’immigrazione è uno di questi, ovviamente quello della crescita economica sarebbe il principale; però, veramente non riesco a vedere né un leader politico – inclusa la Merkel – né un’iniziativa che possa effettivamente bloccare questo “trend” di sfiducia, tanto più che molti partiti politici – troppi partiti politici, ormai – in giro per l’Europa, sia tradizionali sia di nuova formazione, hanno capito che stare sull’euroscetticismo, puntare sulla lotta all’emigrazione rappresenta ormai una gallina dalle uova d’oro, che porta tanti voti.

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Calais, gli immigrati della "giungla" visti da una fotografa

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Sono spesso giovanissimi i ragazzi migranti che si trovano a Calais, non si rassegnano sperano di trovare un futuro migliore. La loro vita quotidiana è fatta anche di sorrisi, anche se in situazioni drammatiche. La fotografa Ludovica Anzaldi, è andata proprio a Calais e al microfono di Maria Cristina Montagnaro descrive ciò che ha visto: 

R. – Questa situazione è critica, anche perché Calais è uno dei posti più freddi in Francia. Sono riusciti a costruire una “cittadella”, dove i bambini vanno a scuola, vanno al corso di teatro organizzato dai volontari... Gli adulti, chi cucina, chi ha aperto una specie di negozietto e tutti aspettano lì di riuscire a passare in Inghilterra. Io ho cercato di fare un lavoro non troppo drammatico, di vedere la parte umana di queste persone, quindi la loro simpatia, la loro voglia di vivere, la loro voglia di trovarsi un lavoro… Qui hanno tutti studiato: parlano tutti almeno due lingue…

D. – Ci può descrivere visivamente le foto che ha scattato?

R. – C’è una foto con un bambino sulla bici che guarda indietro: gli avevamo appena rimesso la catena nella bici e quindi era felicissimo, in mezzo a chili e chili di fango, sempre… Ragazzi con cui ho preso svariati tè e caffè nelle loro casette nella “giungla”… Ti raccontano tutti le loro storie. Le persone che ho conosciuto lì sono diventate amici miei… L’importante è andare lì, far vedere loro che non li abbiamo dimenticati, che non sono stati dimenticati, e questo fa loro comprendere che non sono stati abbandonati a loro stessi. E poi, secondo me, per ritrovare noi un minimo di umanità.

D. – Qual è la vita di queste persone?

R. – Ci sono questi bravissimi volontari inglesi che hanno costruito un teatro e quindi fanno fare loro attività, dallo sport all’improvvisazione, la musica… C’è la scuola che è aperta a tutti, adulti e bambini, poi c’è chi cucina, chi si è fatto un piccolo ristorantino… Giocano molto a palla a volo…

D. – Che età hanno?

R. – Hanno tutti intorno ai 23 anni, ma sono anche più piccoli.

D. – Sono riprese le operazioni di sgombro della tendopoli di Calais, la cosiddetta “giungla dei migranti”, nel Nord della Francia. Che cosa è cambiato negli occhi dei migranti che ha fotografato?

R. – C’è molta più tensione, loro sono molto meno speranzosi, c’è molta più tristezza.

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Partita la missione europea su Marte. Inaf: un sogno che si realizza

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E’ partita oggi, in Kazakistan, la missione “ExoMars” delle agenzie spaziali europea e russa che vede l’Italia in prima linea con tecnologie di altissima avanguardia messe a disposizione. L’obiettivo è di effettuare nuove analisi per trovare tracce di vita, presente o passata, sul pianeta rosso. ExoMars avrà anche il compito di individuare ostacoli e rischi per pianificare possibili missioni con equipaggi umani. Il servizio di Amedeo Lomonaco

L’Europa, con un eccezionale bagaglio tecnologico anche italiano, ha compiuto oggi il primo, suggestivo passo verso Marte. La sonda, lanciata oggi, raggiungerà il pianeta rosso tra sette mesi. Tre giorni prima di entrare in orbita marziana, si staccherà dalla navicella un modulo battezzato “Schiapparelli” in onore dell’astronomo italiano Giovanni Virginio Schiapparelli, l’astronomo italiano noto per i suoi studi su Marte. Una volta sbarcato sul suolo marziano – un arrivo previsto il prossimo 19 ottobre - il modulo effettuerà varie misurazioni tra cui la pressione atmosferica, l’umidità e l’elettricità dell’aria. Saranno anche scattate delle fotografie e verranno realizzate mappature in 3d. Nel 2018 è in programma una seconda missione europea che prevede, tra l’altro, l’utilizzo di un rover equipaggiato con un trapano per perforare il suolo fino a due metri di profondità. Ma uno degli obiettivi più ambiziosi resta quello dell’invio di un equipaggio umano che potrebbe avvenire dopo il 2030. In termini di costi, le due missioni europee su Marte comportano un investimento complessivo di circa 1.300 milioni di euro. L’Italia contribuisce con circa il 32%.

Oggi oltre ad un razzo è stato lanciato un sogno, quello europeo, di conoscere meglio Marte. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il vicepresidente dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), Enrico Cappellaro

R. –  E’ un sogno che dura da molti anni! L’Europa compie la sua prima missione con discesa su Marte e, quindi, è sicuramente un momento cruciale di tutta l’avventura europea nello spazio. In realtà, questa missione va vista assieme alla sua gemella, che avverrà fra due anni. In questa prima fase viene lanciata questa sonda, che arriverà su Marte. Ha un modulo di discesa per dimostrare che siamo in grado di atterrare. Poi, nel 2018, ci sarà una seconda missione e atterrerà invece un vero e proprio rover che si muoverà sulla superficie di Marte. Quindi il complesso di queste due missioni speriamo ci porti a significativi progressi sulla nostra comprensione di Marte.

D. – Quali forme di vita, presenti o passate, sono compatibili con le condizioni di questo Pianeta? Cosa si può trovare?

R. – Al momento non abbiamo evidenza di alcuna forma di vita: potrebbe anche essere che non c’è. Si parte per gradi. Il primo passo è verificare se esiste acqua in forma liquida. Sappiamo che c’è acqua sotto forma di ghiaccio, sappiamo che non c’è acqua sotto forma liquida sulla superficie, se non forse occasionalmente. Potrebbe, però, esserci sotto la superficie o potrebbero esserci segni che ci sia stata in passato. In questo senso l’evento, fra un paio d’anni, quando si perforerà la superficie di Marte, sarà decisivo.

D. – C’è il rischio che il pianeta Marte venga, in qualche modo, contaminato - ad esempio – con batteri presenti sulla sonda partita oggi?

R. – Questo è un aspetto molto importante, naturalmente, perché se vogliamo cercare forme di vita, non vogliamo assolutamente contaminare. Quindi c’è una cura veramente particolare per assicurarsi che tutto quello che mandiamo sia completamente sterile, nonostante probabilmente lo diventerebbe lungo il viaggio… Quello che viene mandato è comunque sottoposto ad analisi e test molto, molto dettagliati per assicurarsi che questo non succeda.

D. – Una missione con equipaggio umano su Marte sarà possibile, forse, tra 20 anni. Sarà eventualmente questa una missione che sposterà di molto i limiti della conoscenza umana?

R. – Magari fosse tra 20 anni! Probabilmente ce ne vorranno di più… E’ soprattutto un problema di risorse e di quanto tutti quanti, come comunità, teniamo a questo obiettivo. Noi speriamo che, quando avverrà la missione su Marte, noi conosceremo benissimo la situazione… Probabilmente non si farà mai una missione su Marte se prima non sapremo esattamente com’è l’ambiente, com’è la situazione. Però è chiaro che questo sarebbe l’inizio di qualcosa che non abbiamo: la colonizzazione di un altro pianeta, un nuovo spazio vitale e chiaramente aprirebbe un panorama che è completamente nuovo rispetto a quello che abbiamo oggi.

D. – In questa missione europea l’Italia ha un ruolo cruciale. Quello italiano è proprio un contributo tecnologico fondamentale…

R. – Probabilmente è una delle missione in cui l’Italia dà un contributo maggiore. E' già una missione europea, in collaborazione con i russi che mettono il lanciatore. L’Italia qui, in questa prima missione, finanzia fondamentalmente un terzo della missione stessa e quindi è un investimento importante, sia economico sia nella costruzione degli strumenti: gli strumenti del satellite sono in gran parte costruiti in Italia e in particolare l’Istituto nazionale di astrofisica è il capofila di due degli strumenti scientifici che volano – uno nell’orbiter e uno sul lander – che andranno su Marte. 

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Chiara Lubich e la pace tema dell'ottavo anniversario della morte

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Chiara Lubich e la pace. E’ questo il tema del 14 marzo 2016, ottavo anniversario della scomparsa della fondatrice del Movimento dei Focolari e ventennale del Premio Unesco a lei assegnato come "Educatrice alla pace". Il suo infaticabile ruolo svolto per gettare semi di amore e pace fra gli uomini ha dato frutti in diversi Paesi del mondo. Sarà questa l’occasione per testimoniarlo in eventi organizzati in Africa e nei Balcani, in America, Asia ed Europa. Il servizio di Gabriella Ceraso

Chiara Lubich ha sempre visto nella pace il frutto del vivere l’unità, l’effetto cioè di un amore reciproco forte come quello che ha avuto il Padre celeste per noi fino a dare suo Figlio per la nostra salvezza. "Per questa spiritualità", diceva Chiara nel "96 ricevendo il Premio Unesco, "oggi uomini e donne tentano di essere, almeno là dove si trovano, germi di un popolo nuovo, di un mondo più solidale, più fraterno e quindi più unito". Ed è quanto testimonia da Bangui in Centrafrica, Patrick Moulo, che vive così con la sua comunità:

“La spiritualità dell’unità significa che siamo tutti, come uomini, figli di Dio. Dunque, quando incontro qualcuno, anche straniero, per me è un fratello da amare. E così, farsi uno con gli altri, fare attenzione all’altro, è un modo di essere portatori di pace. Per me la pace è quando sono nella verità con gli altri, quando ho dei rapporti di fraternità con gli altri, così siamo una famiglia. Credo che sia così. Certo non è facile per un Paese che vive in situazioni di conflitto. Ma bisogna che qualcuno inizi, no? Poi tanta gente seguirà l’esempio”.

Celebrazioni, in questa occasione, anche in Colombia, da qui arriva la testimonianza della focolarina Leidy Vargas, che racconta come il pensiero di Chiara Lubich abbia dato una nuova impostazione alla ricostruzione del tessuto sociale da decenni devastato dalla guerra:

“Il messaggio di Chiara ha reso le persone capaci di cambiare la logica violenta di rapportarsi per riconoscere l’altro. Ci sono state tante esperienze di perdono sia all’interno delle famiglie che fuori. C’è stato anche un lavoro concreto attraverso la promozione della cultura della legalità per cambiare le strutture politiche e poi ancora un lavoro di educazione alla convivenza. Tutto questo non è un’utopia, è una realtà, ma si costruisce con persone che hanno questa capacità di riconoscere l’altro come diverso da sé, e con un suo valore, oltre le situazioni contrarie”. 

Pace e accoglienza nella testimonianza di Chiara Lubich, questo al centro delle celebrazioni a Sarajevo, in Australia e in Germania, Paesi coinvolti nel difficile fenomeno delle migrazioni, mentre avrà carattere interreligioso l’appuntamento a Houston negli Stati Uniti, perchè l'ideale dell' unità che porta alla pace, così come lo ha vissuto Chiara, non ha limiti. Ancora la testimonianza, da Bangui, di Patrick Moulo:

“Non importa essere cristiani o avere una fede diversa: abbiamo tante cose da donarci l'un l’altro, sia nel pensiero che negli aspetti materiali… siamo tutti ricchissimi!”.

Anche in Corea sono tanti gli appuntamenti tra le diverse comunità, per rivivere l'eredità di Chiara Lubich in rapporto alla pace, mentre in Medio Oriente questo anniversario sarà l'occasione per far convergere l'impegno e la preghiera di tutti a rendere il mondo più unito. In Italia, a Roma, 280 giovani, insieme a giornalisti e studiosi si ritrovano in parlamento per discutere i contenuti di un manifesto con proposte concrete sulla pace, il disarmo e la riconversione industriale. Altri eventi sono in programma a Pisa, a Genova e a Milano.

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Giulio Base legge a Roma San Leopoldo Mandic

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Torna a Roma san Leopoldo Mandic. Questa sera l’attore e regista Giulio Base leggerà nella chiesa di Santa Maria della Vittoria la vita del confessore Cappuccino croato, le cui spoglie sono state volute di recente da Papa Francesco nella Basilica di San Pietro in occasione del Giubileo della Misericordia. L’evento si inserisce nella rassegna quaresimale "Ritratti di Santi". Appuntamento questa sera alle 21. Al microfono di Paolo Ondarza, Giulio Base racconta come si è accostato alla figura del Santo: 

R. – Mi accosto a questa figura come ho fatto le altre volte in cui ho avuto la fortuna di leggere le vite di questi santi nella chiesa di Santa Maria della Vittoria: cercando di studiare un po’ – quanto meno leggere, capire, approfondire un minimo – quella che è stata la loro vita. Devo dire che più approfondisco la vita dei Santi più mi accorgo che ci sono moltissimi comuni denominatori. Ora capisco il motivo per il quale San Leopoldo è stato accostato a padre Pio – del quale ho approfondito un minimo la conoscenza per averlo raccontato nella fiction. Ci sono moltissime caratteristiche comuni tra cui questa di essere instancabile rispetto alla confessione, all’ascolto del prossimo e instancabile di fronte a centinaia, migliaia di persone che volevano confessarsi da lui.

D. – Da regista e attore c’è un aspetto della vita di San Leopoldo Mandić che le offre qualche stimolo per quanto riguarda la sua professione, il suo mestiere?

R. – I film sui Santi hanno tutti l’aspetto di capire come Dio si sia mosso tramite loro. Padre Pio diceva: “Non sono io che faccio i miracoli, è Dio che li fa per me”. Lo stesso fa Leopoldo quando parlava di guarigioni miracolose: parlava di queste persone che si accostavano a lui con tale fede che diceva: “È la fede che portano che li guarisce, non sono io”. Quando c’è il tocco di Dio, io credo che sia sempre meraviglioso poter raccontare storie di questo tipo. Se dovessi partire oggi a scrivere un soggetto, una sceneggiatura su quest’uomo, partirei da quella che lui chiamava “ridicolaggine di uomo”, dalla sua piccolezza, questa sua piccola statura, questo suo sentirsi per certi versi inadeguato, ma un gigante delle fede e della capacità di amore o di misericordia, visto che il tema è proprio questo, verso gli altri.

D. – Leopoldo Mandić santo del confessionale. Che cos’ è per Giulio Base la misericordia?

R. – La misericordia è cercare di mettersi in ascolto degli altri, mettersi un passo indietro rispetto al prossimo o se proprio non si è Santi e non ci si riesce, mettersi allo stesso livello del prossimo, quindi cercare di capire gli altri quanto cerchiamo sempre di capire noi stessi. Rispetto a questo, un piatto di minestra, una coperta, un mezzo di trasporto, una medicina così come serve a me può servire a qualcuno accanto a me o di fronte a me; bisogna cercare di condividere queste cose.

D. – Lei è un protagonista storico della rassegna “Ritratti di Santi”…

R. – ...ne sono veramente onorato...

D. – ...che cosa le ha dato questa partecipazione?

R. – Ogni serata che ho passato in questi anni – non mi ricordo più neanche quanti sono – ogni volta che capita di leggere queste vite, si crea qualcosa di davvero molto particolare con l’assemblea, con la gente che viene. Non è soltanto una lettura in cui io leggo e la gente riceve le parole: è come se, per certi versi, si rivivesse insieme quell’emozione. C’è davvero una forte emozione comune. È indimenticabile. Poi, nel tempo di Quaresima, che cerco di vivere come un tempo forte, queste letture sono veramente dei momenti di pulizia dell’anima in cui si ascoltano le opere, i miracoli, ma anche solo i semplici gesti quotidiani, la capacità d’amore di queste persone che poi, se ci si è messi nel cammino giusto, si cerca nel proprio piccolo di imitare.

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Nella Chiesa e nel mondo



Costa d'Avorio: dopo attentato centinaia di rifugiati in cattedrale

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“Il Sacro Cuore di Gesù ci ha protetto, noi e le centinaia di persone che si sono rifugiate presso la nostra parrocchia” esordisce padre Armand Zanou, parroco della cattedrale del Sacro Cuore di Gran Bassam, dove ieri, un gruppo di terroristi ha attaccato alcuni resort turisti sulla spiaggia, uccidendo 16 persone. “La cattedrale, la chiesa più antica della Costa d’Avorio, si trova vicino alle spiagge attaccate” dice padre Armand che racconta all’agenzia Fides come si sono svolti i fatti.

In centinaia hanno trovato rifugio nella cattedrale
“Avevamo iniziato una processione al di fuori della nostra chiesa intorno a mezzogiorno. Verso le 13 abbiamo sentito i primi colpi di armi da fuoco e subito dopo abbiamo visto diverse persone scappare dalla parte della spiaggia e venire verso di noi. Abbiamo chiesto loro cosa stesse accadendo e ci hanno risposto che uomini armati stavano sparando sulla gente. Mentre il rumore della sparatoria si intensificava, aumentava il numero di chi cercava rifugio presso la cattedrale.

In cattedrale molti stranieri e bambini
In seguito, dopo circa un’ora, sono arrivati i militari delle forze speciali che hanno portato con loro una cinquantina di ostaggi che erano stati liberati dai resort attaccati. Ci hanno protetto fino a quando la zona è stata dichiarata sicura, intorno alle 19.30”. “I tiri dei terroristi seguiti dallo scontro con l’esercito sono durati circa 45 minuti, forse un’ora. Lo scambio di colpi d’arma da fuoco è stato violentissimo. Tutte le persone rifugiatesi nel presbiterio della chiesa si sono gettate a terra, perché lo scontro era molto vicino a noi. Avevamo tre gruppi di persone rifugiatesi nel presbiterio: i parrocchiani che erano lì per le nostre attività e che sono rimasti bloccati dall'azione terroristica; la prima ondata di villeggianti che sono scappati dai terroristi e la seconda, costituita dagli ostaggi liberati dalle forze speciali che sono stati portati in chiesa. In totale circa un centinaio di persone tra ivoriani, francesi, belgi, libanesi e di altre nazionalità. Come si dice da noi c’erano molti ‘bianchi’. C’erano pure diversi bambini”.

Danni alla cattedrale per salvare i civili
Padre Armand Zanou sottolinea che, purtroppo la cattedrale ha riportato qualche danno dalla vicenda. Infatti quando gli ex ostaggi sono stati portati dai militari di fronte alla porta della chiesa, uno dei militari, che evidentemente non aveva ricevuto ordini al riguardo, ha chiamato il suo comando per chiedere dove lasciare gli ostaggi messi in salvo e gli è stato risposto di portarli presso la nostra chiesa. “Siccome la chiesa era chiusa, in quanto avevo deciso di utilizzare il presbiterio come rifugio – ricorda il parroco -, i militari hanno iniziato a rompere le finestre per farvi entrare i civili. Allora sono arrivato di corsa per guidare i civili all’interno. Comunque i militari ci hanno protetto fino alla fine dell’emergenza”. (L.M.)

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Vescovi Venezuela chiedono risposte sul massacro di Tumeremo

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La Commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale venezuelana, in un comunicato, ha esortato il governo ad avviare delle indagini imparziali ed esaustive sul caso dei 28 minatori “scomparsi”, lo scorso  4 marzo dal comprensorio di Tumeremo, nello stato Bolivar, nel sudest del Venezuela. L’episcopato manifesta sostegno e vicinanza al vescovo di Ciudad Guyana, mons. Mariano Parra Sandoval “che ha ascoltato i racconti e le preoccupazioni dei familiari dei minatori” ormai certi di trovare solo le spoglie dei loro cari. “Alziamo la voce per esigere verità e giustizia” si legge nella nota dei vescovi, nella quale affermano che si tratta ancora una volta “dell’onda di violenza e di crimini che prolifera nel Paese e che coinvolge ogni attività umana ed economica”.

Diritto alla verità e alla giustizia
La conferenza episcopale denuncia la mancanza di una risposta concreta e del dovuto rispetto per il dolore dei familiari dei minatori da parte delle autorità. La regione di Tumeremo è ricca di risorse auree, settore in cui l’attività mineraria illecita è abbastanza estesa e spesso controllata da bande criminali e mafie locali, senza che lo Stato intervenga. Perciò, la nota dei vescovi critica “la condotta mostrata dai funzionari dello Stato di voler deviare le denunce additando le persone scomparse come ipoteticamente coinvolte in attività illecite”. Inoltre, il comunicato ricorda che costituzionalmente sono garantiti i diritti alla libertà di manifestare pacificamente e alla liberta d’informazione e di espressione; per cui i vescovi condannano “le azioni degli organismi dello Stato che mirano a reprimere e censurare le denunce e le proteste suscitate per la scomparsa di queste persone”.

Indagini esaustive e sanzioni ai colpevoli
“Esortiamo le autorità a investigare immediatamente sugli avvenimenti, in modo esaustivo e imparziale” indipendentemente dalle conseguenze che ne deriveranno, si legge nel comunicato che chiede verità e sanzioni per i colpevoli, come previsto nella Convenzione interamericana sulle Sparizioni forzate di persone. Alle forze politiche, la Chiesa chiede di “evitare dichiarazioni che stigmatizzino o incolpino le vittime ed i loro familiari, con il pretesto di una loro presunta partecipazione ad attività illecite, in quanto lo Stato non può esimersi dall’obbligo di garantire la vita e l’integrità fisica” di tutti i cittadini. Dunque, i vescovi ribadiscono che le autorità devono garantire la dovuta protezione a tutti i familiari ed ai testimoni degli avvenimenti. Il comunicato esorta anche il potere pubblico nazionale a creare una Commissione della verità, invitando i cittadini ed i fedeli ad “accompagnare il monitoraggio di questa denuncia fino al totale chiarimento della faccenda e della risposta soddisfacente dello Stato”. Infine, la nota esprime vicinanza e solidarietà a “familiari e compagni dei 28 minatori scomparsi”.

Un  massacro senza volto
​Le proteste dei familiari delle vittime, iniziate all’indomani della scomparsa, sono state interrotte, giovedì scorso, da un intervento militare. I manifestanti avevano chiuso la strada di ingresso al comprensorio per chiedere la consegna dei cadaveri dei minatori ipoteticamente assassinati da un gruppo armato che controlla l’estrazione illegale d’oro in quella zona.  Il vescovo locale, mons. Parra Sandoval, ha dichiarato che “purtroppo le autorità civili e militari non godono della fiducia del cittadini perché ritengono che ci siano interessi delle autorità all’interno del controllo illegale delle miniere”. Mons. Parra ha ribadito che la sicurezza nei paesi della zona è in mano ai gruppi armati “parapolizieschi” già da svariati anni. “I colpevoli - ha detto il presule - non sono solo i delinquenti, ma le autorità che hanno permesso e favorito la crescita di questi gruppi criminali”. Infine, il vescovo ha chiesto di trovare e di consegnare i corpi dei minatori trucidati alle loro famiglie, per dare "una cristiana sepoltura a ciascuno", anche se questo non restituirà loro la vita. (A cura di Alina Tufani)

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Chiesa Paraguay: giustizia rapida per la strage di Curuguaty

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Con una dichiarazione sul procedimento giudiziario relativo alla strage di Curuguaty, avvenuta nel 2012, si è chiusa ieri a Ypacaraí la 209.ma Assemblea della Conferenza episcopale del Paraguay (Cep). La nota ripresa dall'agenzia Fides informa sulla conferenza stampa con i giornalisti, durante la quale il presidente della Cep, mons. Edmundo Valenzuela Mellid, arcivescovo di Asuncion, ha chiesto una "giustizia rapida ed effettiva per questo caso". Il 15 giugno 2012 ci fu uno scontro tra contadini e polizia, in cui 17 persone vennero uccise dopo lo sgombero di un immobile.

I vescovi chiedono una pronta conclusione del processo
L'arcivescovo ha affermato che il processo si sta rivelando molto lungo e complesso, mentre serve affrettare una "pronta conclusione". I vescovi auspicano una giustizia equa e che non si ripeta ciò che spesso accade in Paraguay, cioè che “venga liberato il colpevole e condannato l'innocente". Nella dichiarazione dei vescovi si legge: "Crediamo sinceramente che il chiarimento degli eventi aiuterà la pace sociale. Un processo che si dilata e si rimanda denota una situazione ingiusta e promuove le tensioni tra diversi settori della società. Condividiamo la perplessità di molti cittadini sui fatti menzionati e nella opinione pubblica per quanto riguarda i contadini coinvolti e le forze di polizia".

La conclusione del processo favorirebbe la pace sociale
​Il comunicato dei vescovi si conclude con questa affermazione: "La responsabilità sociale, il rispetto delle leggi e l'applicazione dei procedimenti giudiziari civili e penali danno forza alla costruzione di una società giusta e sicura per tutti i paraguaiani". (C.E.)

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Vescovi indiani: la nostra Chiesa raggiunga le periferie

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“Come cittadini del Paese, riponiamo la nostra fiducia nei valori democratici e nella Costituzione indiana. Confidando nella grazia, nell'amore e nella misericordia di Dio, camminiamo per compiere la missione che Dio ci ha affidato. Ci appelliamo a tutte le persone di buona volontà in India a collaborare con noi per una Chiesa migliore e una società migliore”: così si esprimono i vescovi indiani nel documento finale della loro 32° Assemblea plenaria, tenutasi dal 2 al 9 marzo a Bangalore, sul tema “Le risposte della Chiesa in India alle sfide di oggi”.

La Chiesa indiana offre un valido contributo alla costruzione del Paese
Il documento, ripreso dall’agenzia Fides, ricorda che “la Chiesa in India offre un significativo contributo alla costruzione della nazione attraverso l'educazione, lo sviluppo sociale, l'assistenza sanitaria e il servizio ai poveri”. Tra le questioni principali si citano temi come il crescente materialismo, il consumismo e la dipendenza dai social media, le migrazioni, il divario tra ricchi e poveri, la corruzione, l’analfabetismo, il lavoro minorile, la libertà religiosa e l’intolleranza, il fanatismo religioso e il fondamentalismo, la violazione dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione.

La Chiesa è accanto ai poveri
I vescovi ribadiscono la vocazione e missione della Chiesa. “Come comunità dei discepoli di Cristo, la Chiesa è al servizio del Regno di Dio. Come una comunità inclusiva e accogliente, la Chiesa che è una costante presenza di Cristo, attualizza i valori di amore, giustizia, uguaglianza, misericordia e pace. Come luce, sale e lievito della società, vive in piena solidarietà con le persone, specialmente con i poveri”. In risposta alle sfide che presenta il contesto indiano, il documento tocca vari punti: la vita della famiglia; il rinnovo della vita consacrata; i fedeli laici e la missione del Chiesa; l’ecumenismo; il dialogo interreligioso; l’apostolato nel campo dell’istruzione, la cura della terra; un nuovo modo di essere Chiesa.

Raggiungere le periferie del Paese per portare la luce del Vangelo
​L’approccio generale è quello di cercare di essere una comunità vicina alla gente, intrisa di prossimità, apertura e accoglienza in tutti i campi della pastorale: “Un nuovo modo di essere Chiesa – mostrato da esempi come Madre Teresa e Papa Francesco – chiama ad aprire nuove strade, a lasciare comfort e privilegi, portando a tutti la misericordia, la grazia e l'amore di Cristo”. A tutti noi – conclude il testo dei i Vescovi – viene chiesto di “obbedire alla chiamata del Signore al fine di raggiungere tutte le periferie, alla luce del Vangelo”. (P.A.)

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Iraq: jihadisti dell'Is bruciano i libri cristiani

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I jihadisti del sedicente Stato Islamico (Daesh) hanno diffuso via internet un breve video che documenta un rogo di libri cristiani realizzato nell'area di Mosul. Le immagini mostrano un militante jihadista che getta nelle fiamme libri e fascicoli che presentano crocifissi sulla copertina. Il video, lanciato con il titolo “Il Diwan (ufficio) per l'educazione distrugge libri d'istruzione cristiana a Mosul”, è stato messo in rete alla fine della scorsa settimana attraverso l'app android jihadista Amaq News, realizzata con l'intento di diffondere tempestivamente tutte le notizie che riguardano operazioni e attacchi terroristici compiuti da affiliati allo Stato Islamico. 

Libri in uso nelle scuole per l'istruzione religiosa
​Fonti locali consultate dall'agenzia Fides riferiscono che buona parte dei libri dati alle fiamme erano quelli in uso nelle scuole per l'istruzione religiosa degli alunni cristiani delle scuole primarie, prima che Mosul cadesse nelle mani dei jihadisti. (G.V.)

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Vescovi maltesi: no a proposta di legge sul cambio di sesso

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Preoccupazione: è questo il sentimento espresso dalla Chiesa cattolica di Malta in merito alla proposta di legge sulla così detta “terapia di conversione”, da tempo dibattuta nel Paese e relativa all’accesso, o meno, al sostegno medico-psicologico per le persone che vogliono cambiare il loro orientamento sessuale.

Proposta di legge discriminatoria
In particolare, i vescovi maltesi lamentano l’interpretazione “ristretta” che la proposta normativa fa della così detta “terapia di conversione”, intendendola esclusivamente come un trattamento che mira a cambiare l’orientamento sessuale di una persona  da omosessuale ad eterosessuale. Ma così facendo, la legge proposta “soffre di una chiara pecca discriminatoria”, perché renderebbe reato “il cercare di modificare, reprimere o cancellare l’orientamento di una persona che da omosessuale vuole diventare eterosessuale, mentre renderebbe perfettamente legittimo l’aiutare un eterosessuale che vuole diventare omosessuale”. La proposta normativa, in pratica, violerebbe il principio che offre alle persone omosessuali ed eterosessuali “le stesse tutele legali”.

A rischio il libero esercizio della professione medica
Non solo: i vescovi maltesi evidenziano che la proposta di legge si occupa della pratica clinica, “scavalcando l’etica professionale di psicologi e consulenti che regolano la loro condotta in base all’interesse migliore per il paziente”. E così facendo, la proposta normativa “toglie ai pazienti il potere di raggiungere i propri obiettivi insieme ai propri terapisti e criminalizza ogni differenza da quanto sancito”. Non solo: la possibile legge finirebbe anche per “limitare gli psicologi ed i consulenti nel libero esercizio della loro professione”.

Incompatibilità con altre normative
Ulteriori preoccupazioni dei vescovi maltesi riguardano l’incompatibilità della proposta normativa con la legge del 2015 relativa alle caratteristiche sessuali, la quale permette ad ogni persona, inclusi i minori, di cambiare identità di genere. Al contrario, la nuova legge “pretende di rendere illegale il ricorso a trattamenti che mirino a modificare l’orientamento sessuale”, “ostacolando chiunque dall’avere accesso ad un aiuto professionale e terapeutico appropriato e necessario”. E ciò viola anche quanto sancito dalla Corte europea per i diritti umani che ribadisce “l’importanza dei consulenti, definendoli parte integrante ed indispensabile” del processo di cambiamento.

Occorre promuovere una cultura inclusiva
​Se approvata, dunque, la nuova legge “solleverebbe serie questioni etiche e legali”, scrive la Chiesa maltese, e “invece di promuovere una cultura della dignità in cui ogni cittadino, a prescindere dall’orientamento sessuale, dall’identità e dall’espressione di genere, possa vivere in una cultura inclusiva, essa finirebbe per promuovere la discriminazione, la mancanza di rispetto per l’autonomia personale e la sfiducia nel ruolo dei professionisti” del settore. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 74

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.