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Sommario del 15/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



La Chiesa avrà 5 nuovi Santi, Madre Teresa canonizzata il 4 settembre

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Papa Francesco ha firmato stamani, nel concistoro ordinario in Vaticano, il decreto per la Canonizzazione di 5 Beati indicando la data per la proclamazione di Santità. Grande gioia in tutto il mondo per la Canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, che verrà elevata all'onore degli altari il 4 settembre prossimo. Nello stesso Concistoro, Francesco ha reso note le date per le Canonizzazioni di altri 4 futuri Santi: domenica 5 giugno saranno canonizzati il sacerdote polacco Stanislao di Gesù Maria e la religiosa Maria Elisabetta Hesselblad, fondatrice delle Brigidine. Domenica 16 ottobre, infine, saranno proclamati Santi Giuseppe Sanchez del Rio, martire a 14 anni in Messico nel 1929, e José Gabriel del Rosario Brochero, figura di sacerdote molto popolare in Argentina e a cui è sempre stato devoto Jorge Mario Bergoglio. Il servizio di Alessandro Gisotti

La “piccola matita di Dio” diventerà Santa. L’attesa di una moltitudine di fedeli è finita: il 4 settembre prossimo Madre Teresa di Calcutta - “la serva degli ultimi” come la definì San Giovanni Paolo II - verrà canonizzata da Papa Francesco. Un evento straordinario che si preannuncia già come uno dei momenti più significativi del Giubileo della Misericordia. E lei, la piccola suora albanese fattasi indiana e poi missionaria globale, la misericordia l’ha davvero testimoniata tutta la sua vita. Nel toccare “i corpi spezzati dei poveri”, era infatti la sua convinzione, “toccava il corpo di Cristo”.

Madre Teresa, testimone di Misericordia
Misericordia è stato quasi il secondo nome di Madre Teresa che, in ogni suo passo, ha voluto rispondere al grido di Gesù sulla Croce: “Ho sete”. Quel grido che tanto l’aveva colpita da averlo voluto sempre presente, con un’insegna, sui muri delle case dove le sue Missionarie della Carità continuano a servire gli ultimi tra gli ultimi. Le “missioni impossibili” nei Paesi comunisti dall’Unione Sovietica a Cuba, il Premio Nobel per la pace, il suo straordinario carisma hanno contribuito a farne un’icona del nostro tempo, al di là dei confini della Chiesa. Tuttavia, Madre Teresa che fu addirittura definita “il Vangelo in technicolor”, si è sempre solo sentita uno strumento nelle mani di Dio, “una piccola matita” appunto. E quando le chiedevano quale fosse il segreto del suo successo, rispondeva con disarmante semplicità: “Prego!”.

Maria Elisabetta Hesselblad, “per la Croce alla Luce”
Protesa verso i bisognosi è stata anche la vita della futura Santa Maria Elisabetta Hesselblad, svedese, che da ragazza emigrò in America per aiutare economicamente la famiglia e, come infermiera, in un grande ospedale di New York toccò con mano il mistero del dolore e della sofferenza. Nel 1904 veste l’abito brigidino a Roma e sette anni dopo ricostituì l’Ordine di Santa Brigida. “Per la Croce alla Luce”, amava ripetere. Non solo parole, le sofferenze fisiche la accompagnarono infatti per tutta la sua vita, ma lei non si stancò mai di essere un esempio di carità operosa. Durante la Seconda Guerra mondiale, diede rifugio a molti ebrei perseguitati e trasformò la sua casa in un’oasi di carità. Quando nel 1957 morì a Roma, in molti già la veneravano come Madre dei poveri e Maestra dello Spirito.

Stanislao di Gesù Maria, santo predicatore e confessore
In un’altra epoca, il XVII secolo, anche il sacerdote polacco e futuro Santo, Stanislao di Gesù Maria, è fondatore di una Congregazione, quella dei Chierici Mariani. Nella sua vita si distinse come predicatore e confessore. Tra i penitenti che si rivolsero a lui anche il nunzio in Polonia, Antonio Pignatelli, futuro Papa Innocenzo XII. Tra le principali finalità della sua Congregazione il prossimo Santo volle il suffragio per le anime maggiormente bisognose del Purgatorio. Ma non mancò di impegnarsi in una intensa attività apostolica per la povera gente delle campagne.

Il “Cura Brochero”, prete gaucho con l’odore delle pecore
Se la figura di Stanislao è legata al primo Papa polacco, Karol Wojtyla, che ridiede slancio alla sua Causa di Canonizzazione, la figura di José Gabriel del Rosario Brochero conduce immediatamente al primo Papa argentino. Amatissimo dal suo popolo, il sacerdote vissuto in Argentina tra il XIX e il secolo scorso, era conosciuto come il “prete gaucho” perché - come i mandriani del suo Paese - percorreva su una mula distanze immense per farsi vicino a tutti. Nel 2013, in occasione della sua Beatificazione, Francesco tratteggiò la sua figura come quella di un pastore con l’odore delle pecore, un sacerdote “che si fece povero tra i poveri” e divenne come “una carezza di Dio per il suo popolo”.

José Sanchez Del Rio, martire al grido di “Viva Cristo Re”
Altro nuovo Santo dall’America Latina è José Sanchez De Rio, morto martire nel 1928 a soli 14 anni durante la rivolta dei “cristeros” contro le persecuzioni anticattoliche ordinate dall’allora presidente messicano Calles. Il giovane José è un novello Tarcisio, il ragazzino romano ucciso per aver difeso l’Ostia consacrata. Anche lui, catturato dai soldati governativi, non rinnegherà la sua fede. Torturato, seviziato, sopportando indicibili sofferenze continuerà a gridare fino alla morte: “Viva Cristo Re!”. Sul suo corpo martoriato, troveranno questo biglietto: “Cara mamma, mi hanno catturato. Ti prometto che in Paradiso preparerò un buon posto pe tutti voi”. E conclude: “Il tuo José muore in difesa della fede cattolica per amore di Cristo Re e della Madonna di Guadalupe”.

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Papa: Gesù si annienta per amore e vince il serpente del male

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Se vogliamo conoscere “la storia d’amore” che Dio ha per noi bisogna guardare il Crocifisso, sul quale c’è un Dio che si è “svuotato della divinità”, si è “sporcato” di peccato pur di salvare gli uomini. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino celebrata in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

La storia della salvezza raccontata dalla Bibbia ha a che fare con un animale, il primo a essere nominato nella Genesi e l’ultimo a esserlo nell’Apocalisse: il serpente. Un animale che, nella Scrittura, è simbolo potente di dannazione e misteriosamente, afferma il Papa, di redenzione.

Il mistero del serpente
Per spiegarlo, Papa Francesco intreccia la Lettura tratta dal Libro dei Numeri e il brano del Vangelo di Giovanni. La prima contiene il celebre passo del popolo di Israele che, stanco di vagare per il deserto con poco cibo, impreca contro Dio e contro Mosè. Anche qui protagonisti sono i serpenti, due volte. I primi inviati dal cielo contro il popolo infedele, che seminano paura e morte finché la gente non implora Mosè di chiedere perdono. E il secondo, singolare rettile che a questo punto entra in scena:

“Dio dice a Mosè: ‘Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta (il serpente di bronzo). Chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita’. E’ misterioso: il Signore non fa morire i serpenti, li lascia. Ma se uno di questi fa del male ad una persona, guardi quel serpente di bronzo e guarirà. Innalzare il serpente”.

La salvezza sta in alto
Il verbo “innalzare” è invece il centro del duro confronto tra Cristo e i farisei descritto nel Vangelo. A un certo punto, Gesù afferma: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono”. Anzitutto, nota Francesco, “Io Sono” è anche il nome che Dio aveva dato di Sé stesso a Mosè per comunicarlo agli israeliti. E poi, soggiunge il Papa, c’è quella espressione che ritorna: “Innalzare il Figlio dell’uomo…”:

“Il serpente, simbolo del peccato. Il serpente che uccide. Ma un serpente che salva. E questo è il Mistero del Cristo. Paolo, parlando di questo Mistero, dice che Gesù svuotò se stesso, umiliò se stesso, si annientò per salvarci. E’ più forte ancora: ‘Si è fatto peccato’. Usando questo simbolo: 'si è fatto serpente'. Questo è il messaggio profetico di queste Letture di oggi. Il Figlio dell’uomo, che come un serpente, ‘fatto peccato’, viene innalzato per salvarci”.

L’“annientamento” di Dio
Questa, dice il Papa, “è la storia della nostra redenzione, questa è la storia dell’amore di Dio. Se noi vogliamo conoscere l’amore di Dio, guardiamo il Crocifisso: un uomo torturato”, un Dio, “svuotato della divinità”, “sporcato” dal peccato”. Ma un Dio che, conclude, annientandosi distrugge per sempre il vero nome del male, quello che l’Apocalisse chiama “il serpente antico”:

“Il peccato è l’opera di Satana e Gesù vince Satana ‘facendosi peccato’ e di là innalza tutti noi. Il Crocifisso non è un ornamento, non è un’opera d’arte, con tante pietre preziose, come se ne vedono: il Crocifisso è il Mistero dell’‘annientamento’ di Dio, per amore. E quel serpente che profetizza nel deserto la salvezza: innalzato e chiunque lo guarda viene guarito. E questo non è stato fatto con la bacchetta magica da un Dio che fa le cose: no! E’ stato fatto con la sofferenza del Figlio dell’uomo, con la sofferenza di Gesù Cristo!”.

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Vatileaks 2. Vallejo: ho dato i documenti. Ero sotto pressione

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E’ durata tre ore e mezzo ieri la quinta udienza del processo in Vaticano nei confronti dei cinque imputati per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Assente il giornalista Gianluigi Nuzzi, dichiarato contumace, presenti invece mons. Angel Lucio Vallejo Balda, tutt’ora in carcere in Vaticano, Francesca Immacolata Chaouqui, Nicola Maio e l’altro giornalista Emiliano Fittipaldi. Il servizio di Massimiliano Menichetti

Un pomeriggio praticamente dedicato all’interrogatorio di mons. Angel Lucio Vallejo Balda il quale, incalzato dal promotore di Giustizia e rispondendo alle domande del suo avvocato, ha detto di non aver mai sottratto documenti pur confermando di averli passati ai giornalisti per via informatica. A Nuzzi in particolare ha girato cinque fogli con 87 password e le chiavi di accesso della casella di posta elettronica. Parlando in spagnolo con l’ausilio di un interprete, l’ex segretario della Cosea, la Commissione di Studio e indirizzo sull’organizzazione delle Strutture Economico-Amministrative della Santa Sede, ha precisato che a volte è stato sollecitato, altre lo ha fatto spontaneamente, ma che non ha mai consegnato materiale cartaceo, ovvero i “documenti più importanti”. 

La email violata
Ha spiegato che Corrado Lanino, marito della Chaouqui, era colui che aveva realizzato il sistema informatico della Commissione e che anche prima di aver fornito le password a Nuzzi “aveva la certezza” che la sua email fosse stata violata, tanto da comunicarlo alla Gendarmeria chiedendo un controllo. In circa tre ore di domande e risposte, mons. Vallejo Balda ha parlato di mancanza di sicurezza negli uffici della Prefettura degli Affari Economici e che, per maggiore tutela, era stata chiesta al Papa una stanza a Casa Santa Marta per custodire gli atti più riservati della Cosea.

L’accesso agli archivi
Il promotore di Giustizia ha riferito di testimonianze in base alle quali l’imputato avrebbe avuto accesso all’archivio dei documenti senza voler inoltrare, nonostante tensioni e contrasti con il personale, richieste o registrazioni. Tesi bollate come “assurde” dal prelato in relazione all’incarico di responsabilità ricoperto.

La commissione ombra
L’accusa, sempre citando testimoni, ha parlato di “una specie di commissione ombra” che si era formata, in Prefettura prima e in Cosea poi, tra mons. Vallejo Balda, il suo assistente Maio e la Chaouqui. Attraverso anche la lettura di messaggi “Whatsapp”, il pubblico ministero ha sostenuto il dialogo attivo tra mons. Vallejo Balda e i due giornalisti, Nuzzi e Fittipaldi.

Il rapporto con Francesca Immacolata Chaouqui
L’imputato ha tratteggiato il suo rapporto con Francesca Immacolata Chaouqui: dapprima di fiducia, poi sempre più degradato nel sospetto. Il prelato è arrivato al punto di temere per la propria “integrità”, una volta “resosi conto del mondo che girava intorno” alla donna, “degli interessi personali” che lei aveva. O dopo le minacce del marito, che parlava di materiale acquisito in Cosea che si “sarebbe potuto usare”. "Non avevo la certezza giuridica – ha risposto i magistrati – né le prove, ma la certezza morale che Francesca avesse altri interessi, non completamente legittimi”.

Le pressioni – Nuzzi e Fittipaldi
Più volte ha sostenuto di essersi sentito sotto pressione, usato, controllato e che la Chaouqui gli avrebbe fatto credere di essere “il numero due dei Servizi segreti”. “Nel 2014 – ricorda – durante una conversazione davanti a Casa Santa Marta mi disse: 'L'unico aiuto possibile può essere la mafia'”. L’imputato ha anche evocato, come scritto nel suo memorandum, la notte di seduzione a Firenze nella sua stanza, ribadendo “di aver sofferto per quello che era accaduto”. Ha poi citato l’incontro con il Papa nel marzo 2015 in cui il Pontefice gli avrebbe rinnovato la fiducia e che, avendo condiviso questo con Francesca Chaouqui, “lei divenne ancora più aggressiva”. Sui rapporti con Nuzzi e Fittipaldi, ha spiegato che i due gli erano stati presentati dalla Chaouqui e che li ha incontrati separatamente. Non si fidava di Nuzzi, e di Fittipaldi era convinto sapesse molte cose.

Lettera Papa - Infovaticana - Contumacia - Prove
Nell’udienza di oggi (ieri - ndr), il Tribunale ha anche acquisito agli atti una lettera della stessa Chaouqui al Papa, in cui chiede dispensa dal segreto pontificio, ma “non ne ha autorizzato la lettura in aula – precisa una nota della Sala Stampa Vaticana – in assenza di riscontri dal destinatario”. Acquisita invece la documentazione medica riguardante la gravidanza della Chaoqui e il rischio di complicanze dovute alla presenza in aula. Acquisita anche una denuncia-querela al giornalista spagnolo, Gabriel Ariza, del sito "Infovaticana.com" per le notizie diffuse sul caso. Il Tribunale ha anche respinto il legittimo impedimento eccepito dall'avvocato di Nuzzi, per il fatto che il giornalista domani (oggi - ndr) deve essere presente ad un'udienza penale al Tribunale di Milano e per questo ha disposto l’avvio del procedimento in contumacia, ma Nuzzi potrà reinserirsi in corso di processo. Il Collegio su domanda di parte ha anche confermato che mons. Angel Lucio Vallejo Balda, ora di nuovo in carcere, poteva effettivamente inquinare le prove, sebbene la documentazione in esame sia relativa a un periodo che va dal marzo del 2013 al maggio del 2015.

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Il card. Parolin atteso in Macedonia e Bulgaria

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Il Segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, si recherà dal 18 al 22 marzo in visita ufficiale in Macedonia e in Bulgaria su invito delle autorità locali e della Chiesa cattolica nei due Paesi balcanici.

La prima tappa sarà la capitale macedone Skopje
Prima tappa sarà la capitale macedone Skopje, dove Parolin incontrerà le massime autorità dello Stato, mentre la sera del 18 marzo, alle ore 18, è prevista una Messa nella cattedrale cattolica “Sacro cuore di Gesù”. Dopo la celebrazione, seguirà la presentazione del libro di Papa Francesco “Il nome di Dio è misericordia” tradotto in lingua macedone. Inoltre - riporta l'agenzia Sir - il card. Parolin inaugurerà la nuova residenza vescovile a Skopje e avrà un incontro con il clero e i religiosi della diocesi di Skopje e dell’Esarcato apostolico per i cattolici di rito bizantino. Parolin visiterà quindi la comunità cattolica a Strumica, sede dei cattolici di rito bizantino in Macedonia.

Le tappe della visita in Bulgaria
La visita in Bulgaria inizierà il 20 marzo, alle ore 10, con la consacrazione della rinnovata chiesa “Dormitio Mariae” a Sofia, centro dell’Esarcato apostolico dei cattolici di rito bizantino in Bulgaria. Nel pomeriggio invece, sempre nella capitale bulgara, Parolin visiterà la concattedrale di rito bizantino dedicata a Giovanni XXIII, costruita su un terreno, acquisito dall’omonimo pontefice, mentre Angelo Roncalli era delegato apostolico in Bulgaria.

Il Segretario di Stato visiterà l’adiacente monastero delle suore Eucarestine e il Centro medico “Giovanni Paolo II”, gestito dalle religiose, dove si offrono cure mediche anche a persone disagiate e ai profughi del vicino Centro di accoglienza. La sera del 20 marzo, il cardinale presiederà la Messa della Domenica delle Palme nella concattedrale di rito latino “San Giuseppe” a Sofia; poi l’incontro con il clero e i religiosi cattolici della Bulgaria. Il 21 marzo il segretario di Stato incontrerà il patriarca bulgaro Neofit e alcuni membri del Santo Sinodo, il Presidente della Repubblica Rossen Plevneliev, il primo ministro Boyko Borissov e il grande muftì Mustafa Hadzi. (L.Z.)

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Il Papa crea in Camerun la diocesi di Kumba

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In Camerun, Papa Francesco ha eretto la nuova diocesi di Kumba, in Camerun, per dismembramento della Diocesi di Buéa, rendendola suffraganea della sede metropolitana di Bamenda. Come primo vescovo ha nominato mons. Agapitus Enuyehnyoh  Nfon, finora ausiliare di Bamenda.

La nuova diocesi ha una superficie di 11.400 kmq, con 563 mila abitanti. I cattolici sono 205 mila, suddivisi in 16 parrocchie, con 33 sacerdoti diocesani, 3 fidei donum, 5 sacerdoti religiosi, 44 religiose, 23 seminaristi e 182 catechisti. L’attuale chiesa parrocchiale di Fiango, dedicata al Sacro Cuore di Gesù, diverrà la Chiesa Cattedrale dell’erigenda Diocesi di Kumba.

Sempre in Camerun, il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Ngaoundéré mons. Emmanuel Abbo, finora amminitratore apostolico della medesima diocesi. Il neo presule è nato il 17 luglio 1969 a Mbe, nella Diocesi di Ngaoundéré. Ha studiato Filosofia e Teologia presso il Seminario Maggiore Interdiocesano Saint Agustin di Maroua- Mokolo. Poi, ha ottenuto una Licenza in Scienze della Gestione (Amministrazione delle Imprese) presso l’Università Cattolica dell’Africa Centrale, in Camerun. È stato ordinato sacerdote il 14 giugno 2000 ed è incardinato nella Diocesi di Ngaoundéré. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: (2000-2001) Vicario parrocchiale della Cattedrale, (2001-2004) Studi di Scienze di Gestione e di Amministrazione presso l’Università Cattolica dell’Africa Centrale, Yaoundé (Camerun), (2004-2008) Segretario diocesano per l’Educazione Cattolica; (2005-2015) Parroco di San Pietro in Gada-Mabanga, Economo diocesano, Direttore diocesano delle Pontificie Opere Missionarie, (2006-2015) Direttore diocesano della Caritas, (2010- 2015) Responsabile dell’Amministrazione Economica Diocesana, Vicario Episcopale, dal 2015 Amministratore Apostolico.

La Diocesi di Ngaoundéré (1982), è suffraganea dell’Arcidiocesi di Garoua. Ha una superficie di 64.930 kmq e una popolazione di 1.015.622 abitanti, di cui 43.776 sono cattolici. Ci sono 25 parrocchie. Vi lavorano 26 sacerdoti diocesani e 10 religiosi. Vi sono, inoltre,  10 diaconi permanenti, 29 Fratelli Religiosi, 67 Religiose e 13 seminaristi maggiori. La Diocesi di Ngaoundéré era vacante dal  6 gennaio 2015, a seguito del decesso  dell’Ordinario, S.E. Mons. Joseph Djida, O.M.I.

In Portogallo, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Angra, presentata per raggiunti limiti di età da mons. António de Sousa Braga, del Sacro Cuore di Gesù. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. João Evangelista Pimentel Lavrador, finora coadiutore della medesima diocesi.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il serpente che uccide e quello che salva: messa a Santa Marta.

Punto di svolta: Luca M. Possati sulle incognite della corsa alla nomination per la Casa Bianca nel giorno del voto decisivo in Florida.

Fabrizio Bisconti sulla pinacoteca dell’altomedioevo: riapre la basilica di Santa Maria Antiqua al Foro Romano.

Studioso e pastore: Ezio Bolis, direttore della Fondazione Papa Giovanni XXIII, riguardo agli scritti di Roncalli su “La vita diocesana”.

Sartre aveva torto: a Perugia, Nicola Gori a colloquio con il cardinale Gualtiero Bassetti, autore delle meditazioni per la via Crucis del Papa al Colosseo.

Gabriele Nicolò su Shakespeare e i migranti del 1600.

Con il metodo di Chiara Lubich: Maria Voce sulla cultura del dialogo come fattore di concordia fra i popoli.

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Oggi in Primo Piano



Putin ritira le forze russe in Siria per aiutare i negoziati

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La Russia continuerà i raid aerei contro obiettivi terroristici in Siria. E' quanto ha detto il vice ministro della Difesa, Pankov, spiegando che "è ancora presto per parlare di vittoria sul terrorismo". Emerge dunque con chiarezza che l'annuncio del ritiro della gran parte delle forze russe dalla Siria, fatto da Putin, non riguarda la lotta al sedicente Stato islamico. Intanto la Russia propone al Consiglio per i diritti umani dell'Onu di stilare un rapporto sui crimini commessi da Jabhat al-Nusra e altre sigle terroristiche in Siria. Fausta Speranza ha parlato dell'intervento russo e della strategia di Putin con Massimo De Leonardis, docente di Relazioni internazionali all'Università La Sapienza: 

R. – Un conto è ritirare le forze di terra e un conto è continuare gli interventi d’aria e anche – direi – gli interventi mirati con corpi speciali. In fin dei conti è la stessa cosa che stanno facendo – per esempio – americani, britannici e francesi in Libia.

D. – Le truppe di terra ufficialmente non le ha mai ammesse Putin, non è così?

R. – Certo! Come non è mai stato ammesso ufficialmente per quanto riguarda l’Ucraina, cioè le zone orientali dell’Ucraina. Dobbiamo constatare che, in realtà, Putin si è mosso con estrema abilità in tutti questi conflitti, riuscendo a ritornare al centro dell’attenzione e a farsi accettare come interlocutore assolutamente indispensabile. Naturalmente c’è sempre un margine di ambiguità, perché anche qui - ripeto – potrei fare un paragone con la Libia: quei Paesi che ho citato prima non è che hanno mai ammesso ufficialmente di avere reparti di truppe speciali in Libia…

D. – Ripresi i negoziati e, a questo punto, l’inviato Onu, De Mistura, ha detto che è il momento della verità: o davvero c’è una svolta o si torna alla guerra…

R. – Io credo che, in una situazione complessa e drammatica com’è quella della Siria, una fissazione di scadenze ultimative non abbia molto senso. Ricordiamo tutti quando Obama tracciò una fantomatica linea rossa, dicendo che, varcata la linea ci sarebbe stato l’intervento americano”, che poi non ci fu. Non fu ritenuto opportuno. Quindi, certamente siamo ad un momento importante, ma pensare che si possa arrivare ad una svolta definitiva non lo credo possibile: anche se ci fosse una limitata ripresa dei combattimenti, non credo che il processo di pace verrebbe compromesso; allo stesso tempo non credo possibile che si arrivi nel breve tempo ad una cessazione definitiva delle ostilità.

D. – La telefonata Obama-Putin: qual è il nodo del braccio di ferro tra i due dietro le quinte del negoziato tra i protagonisti? E’ veramente il futuro di Assad o altro?

R. – Più che il futuro di Assad in quanto persona, credo che il nodo sia evidentemente la presenza russa in Siria. Come sappiamo la Russia ha una base militare e navale in Siria dai tempi della Guerra Fredda, che costituisce la sua proiezione, la sua presenza nel Mediterraneo. Non dimentichiamo che la Russia nel Mediterraneo può arrivare con la flotta del Mar Nero, ma con il drastico peggioramento dei rapporti con la Turchia è chiaro che la questione si fa un po’ più difficile. Invece, con questa presenza in Siria, la Russia si garantisce un piede nel Mediterraneo, che è una vecchissima aspirazione russa e non dico a caso russa, perché precede l’Unione Sovietica ed è presente già nell’Ottocento con la Russia zarista. Quindi, il problema è anzitutto di presenza strategica; il problema è di interessi economici evidentemente; più in generale, si ricollega al ruolo della Russia, a queste vicende che riguardano il mondo arabo e lo scontro tra sunniti e sciiti.

E ieri a Ginevra hanno preso il via i negoziati indiretti tra governo di Damasco e opposizione, con la mediazione dell’Onu. Anche oggi prevista una serie di incontri. Da Ginevra, Stefano Marchi: 

L’inviato speciale dell’Onu, de Mistura, ha incontrato soltanto la delegazione del governo siriano di al Assad, con la quale, peraltro, ha parlato esclusivamente di “questioni procedurali”, che potrebbero essere l’indizio dell’impossibilità di trattative sostanziali tra il regime di Damasco e l’opposizione detta moderata. Il capo delegazione governativo, Jaafarì, ha sostenuto che, per una “soluzione politica” della guerra civile in Siria, è necessaria una più ampia rappresentanza dell’opposizione, forse alludendo ai curdi e ad altri sunniti moderati, per ora esclusi dalle trattative di Ginevra. Oggi de Mistura dovrebbe incontrare, separatamente, la delegazione dell’opposizione siriana. Domani, l’inviato dell’Onu rivedrà i rappresentanti del governo di Damasco per discussioni sostanziali. De Mistura ha detto che per le trattative questo è “il momento della verità”. Nelle prossime settimane sono programmate tre tornate negoziali a Ginevra, dopo le quali de Mistura vorrebbe che le parti si accordassero già almeno su una “road map”.

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La svolta birmana: un presidente civile dopo decenni di militari

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La Birmania ha un nuovo presidente: è Htin Kyaw, 69 anni, il primo civile eletto dopo oltre 50 anni di dittature militari. Si tratta del candidato espresso dalla Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi, di cui è Htin Kyaw è consigliere di lunga data. E’ stato eletto con 360 voti su 625, i suoi due avversari diventano automaticamente vicepresidenti, uno dei quali nominato dai militari che di diritto controllano un quarto dei seggi in parlamento. Al microfono di Francesca Sabatinelli, a tracciare un profilo del nuovo presidente è Cecilia Brighi, segretario generale dell'Associazione “Italia Birmania insieme” e autrice del volume "Il pavone e i generali", uscito in edizione aggiornata nel febbraio scorso: 

R. – Htin Kyaw è una persona molto riservata, un intellettuale, un economista che ha lavorato per lunghi anni a fianco di Aung San Suu Kyi, anche durante i suoi arresti domiciliari. E’ una persona molto impegnata da sempre per la democrazia. Credo, quindi, che sia la persona più giusta che Aung San Suu Kyi potesse scegliere in questa situazione: è una persona misurata, di grande competenza e di grande impegno politico.

D. – Il profilo del nuovo presidente pone la domanda di che cosa potrà fare per l’economia del Paese, per l’economia nazionale…

R. – L’Nld (National League for Democracy) si è presentato alle elezioni del 2015 con un programma politico, ma anche un programma economico. Il presidente ha un grande ruolo e sicuramente – come Aung San Suu Kyi ha detto nel passato anche recente – lei avrà un ruolo maggiore di quello del presidente, cioè lavoreranno insieme. Questo programma prevede un forte impegno alla trasparenza e quindi alla lotta alla corruzione, che è uno dei problemi più gravi di questo Paese: una corruzione diffusa, si è costruita una "cultura" della corruzione senza la quale non si riesce a ottenere nulla. Il primo obiettivo, quindi, è la lotta alla corruzione. Di qui, un impegno per la crescita economica e per il lavoro – un lavoro dignitoso per tutti – e quindi anche per la costruzione delle infrastrutture economiche, che possono permettere la crescita di questo Paese, che ha il 70% della popolazione impegnata in agricoltura con grandi difficoltà: non c’è energia elettrica, infatti, e un’assenza di infrastrutture fisiche importanti. Sicuramente, quindi, il nuovo presidente avrà una responsabilità molto grande e grandi sfide, di cui la prima è quella della pacificazione. Sono aumentati, infatti, gli scontri in alcuni Stati etnici, nello Stato Kachin e nello Stato Chan, e ancora qualche estensione si ritrova nello Stato Karen. Il primo impegno politico di Aung San Suu Kyi, quindi, e del nuovo presidente sarà quello del dialogo di pace con le nazionalità etniche a cui devono partecipare necessariamente i militari.

D. – Tra i due vice presidenti troviamo Myint Shwe, nominato dai militari, che è arrivato secondo alla votazione. Che cosa significherà per Htin Kyaw, per il nuovo governo, questa presenza?

R. – Era necessario che si scegliesse un vicepresidente nominato dai militari, perché è questa la procedura. Le tre persone con più voti, cioè, devono essere elette e quindi una parte di questi voti spetta ai militari. Il vicepresidente di estrazione militare è stato nominato solo con i voti dei militari, mentre il presidente e l’altro vicepresidente (Henry Van Thio Ndr) sono stati scelti dalla rappresentanza dell’Nld. Sicuramente doveva andare così. Lui (Myint Shwe NdR) è un rappresentante dell’ala dura dei militari e questo, secondo me, è un segnale per il Paese, quello di avvertire: attenzione, i militari ci sono, continueranno ad avere un ruolo e senza i militari non si potrà cambiare nulla a partire dalla Costituzione.

D. – Lei è appena rientrata dalla Birmania. Che situazione ha trovato proprio a ridosso dell’elezione del presidente?

R. – E’ un Paese che sta cercando di cambiare. C’è una grande attesa per il nuovo governo. Tutti si aspettano che ci sia un segno di cambiamento e il segno di cambiamento è già nelle attese di tutta la popolazione. Ci si aspetta che nel nuovo governo – che dovrà essere sicuramente molto più ristretto come membri rispetto al precedente governo semi-militare – ci sia appunto una maggiore trasparenza e anche un cambio di passo sostanziale rispetto al passato. C’è un lavorio anche nel parlamento, perché i nuovi parlamentari sono tutti stati scelti tra gli attivisti nel territorio, gente che ha le mani in pasta sul campo. Un elemento importante, secondo me, è che per la prima volta uno dei due vicepresidenti è un etnico. Come il portavoce del parlamento, che è Karen, il vicepresidente, Henry Van Thio, è di etnia Chin e questo ha un significato molto importante: per la prima volta, in un Paese in cui lo scontro con le nazionalità etniche è durato oltre 50 anni, alle cariche più alte dello Stato ci sono dei rappresentanti di etnie di minoranza. E’ un fatto molto importante.

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Bagnasco: famiglia è indebolita da omologazioni infondate

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E’ l’ora di una grande responsabilità: la politica si impegni giorno e notte per misure concrete a favore della famiglia e dell’occupazione. Sono questi i veri passi con cui presentarsi all’Europa a testa alta! E’ il forte appello lanciato dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, in apertura del Consiglio permanente ieri a Genova, dove a maggio Papa Francesco aprirà i lavori dell'Assemblea generale della Cei. Nella sua ampia prolusione, l’attualità nazionale con la nuova condanna alla maternità surrogata e la preoccupazione per una società che ignora la decomposizione culturale in corso. Duro anche il richiamo all’Europa, poco lungimirante in merito al “cataclisma umanitario delle migrazioni” e indifferente alle persecuzioni anticristiane. Il servizio di Gabriella Ceraso

Non indeboliamo la famiglia con "omologazioni infondate trattando allo stesso modo realtà diverse". Non creiamo di fatto "situazioni paramatrimoniali". La famiglia è un tesoro, è capitale d’impresa, è perno sociale. Il cardinale Bagnasco richiama la politica italiana a favorirla e a contrastare l’avanzata della "deriva individualista, radicale e liberista":

“Mentre riaffermiamo con tantissima gente che avere dei figli è un desiderio bello e legittimo, così è diritto dei bambini non diventare oggetto di diritto per nessuno, poiché non sono cose da produrre. Tanto più che certi cosiddetti diritti risultano essere solo per i ricchi alle spalle dei più poveri, specialmente delle donne e dei loro corpi”.

C’ è un clima che vuole cambiare le "categorie dell’umano", maturato nel benessere materiale, osserva il cardinale, un "clima aggressivo nei confronti di chi la pensa diversamente". Ma a preoccupare il presidente dei vescovi italiani c'è anche una "decomposizione culturale accecante" di cui finora si è stati complici:

“Emerge un inquietante, assoluto vuoto interiore, una disperata noia di vivere che esige un insaziabile bisogno di sensazioni forti, per cui la tortura e il delitto sono pensati, voluti e vissuti per se stessi. Come società siamo talmente accecati di fronte ai segni della decomposizione culturale da continuare a mettere energie, tempo, risorse in tutt’altro? Siamo preoccupati che non si sia aperto un serio, corale dibattito pubblico; che si continui a mostrare colpevole superficialità o vile rassegnazione di fronte alla cultura dello 'sballo' con droghe, alcool, azzardo, fino al disprezzo totale della vita propria e altrui”.

L’appello è alla società perché si interroghi su valori, idee e regole che trasmette ai giovani. Ma l’appello è anche all’Europa: c’è una indifferenza crescente nell’opinione pubblica che "grida vendetta al cospetto di Dio", rileva il porporato, sia davanti al “brutale accanimento contro la fede cristiana”, vedi gli ultimi fatti dello Yemen, sia al “cataclisma umanitario delle migrazioni”:

“Dall’inizio del 2015, sono morte 4.200 persone, di cui 330 bambini solo nel Mar Egeo! Che spettacolo dà di sé l’Europa? Dobbiamo confrontarla con i volti sfatti e terrorizzati dei bambini e dei vecchi, di questa gente che si sottopone a indicibili fatiche, stenti, pericoli, disposti a sparire fino a perdere la vita. E che spesso non vuole o non può più tornare indietro. Può l’Europa, culla di civiltà e diritti, erigere muri e scavare fossati? La vigilanza intelligente è doverosa - e le nostre Forze dell’Ordine ne hanno dato prova anche in questi giorni - la strategia di integrazione non è facile, ma la Casa europea e le stesse Nazioni Unite stanno affrontando tale cataclisma umanitario con lungimiranza ed efficacia?”.

Come impegno della Chiesa italiana il cardinale Bagnasco ribadisce invece la volontà di costruire ponti attraverso il dialogo, dare voce al popolo, sostegno morale alla società, di lottare contro la pedofilia e restare vicina ai sacerdoti, ai tanti che, tranne qualche “ombra dolorosa che getta discredito", lavorano in modo limpido e gratuito. Alla vita e alla formazione del clero sarà dedicata la prossima Assemblea generale di maggio, che sarà proprio Papa Francesco ad aprire a Genova.

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Sabella: a Roma centrale unica per appalti contro corruzione

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A Roma tra il 2012 e il 2014 c’è stata una sistematica violazione delle norme sugli appalti. E' quanto dice la relazione  dell'Autorità nazionale Anticorruzione, guidata da Raffaele Cantone, sulla situazione nella capitale. Per Cantone, c’è stato “il ricorso generalizzato e indiscriminato a procedure prive di evidenza pubblica”, dunque a rischio corruzione. Alessandro Guarasci ha sentito Alfonso Sabella, già assessore alla Legalità della giunta Marino che si è dimessa lo scorso anno: 

R. – Io sono arrivato nella giunta Marino il 23 dicembre. Il 20 gennaio ho dettato tutta una serie di nuove regole, totalmente diverse dal passato sugli appalti, che sono l’esatta trasposizione in una direttiva delle criticità che ha evidenziato Cantone, anche sulla base delle informazioni che lo stesso Raffaele Cantone mi ha fornito nell’immediato, già quando ebbe coscienza dei primi dati. Racconto la storia, tra l’altro, esattamente nel mio libro “Capitale infetta”.

D. – Guardando il sistema romano, secondo lei a oggi è quasi impossibile ovviare alle procedure negoziali?

R. – Nulla è impossibile, assolutamente, a parte che le procedure negoziate si possono fare con criteri molto più trasparenti di come sono state fatte in passato – e questi sono i criteri che ho dettato io e che in gran parte sono stati rispettati nel 2015 – e che le somme urgenze vanno fatto con le regole di legge. Rispetto al passato, per esempio, quando sono arrivato in Campidoglio, la media di somme urgenze era stata di 100 milioni di euro all’anno, nel 2015 non abbiamo superato i 3 milioni. Il sistema principale ovviamente con cui Roma può cambiare rotta – e lo scrivo anche nel mio libro – è quello della centrale unica di committenza.

D. – Su questo ancora ad oggi rimangono troppi centri di costo nel Comune di Roma…

R. – Roma ha circa 100 centri di spesa e almeno 44 stazioni appaltanti, senza contare partecipate e controllate. Per ovviare a questo sistema avevo fatto approvare dalla giunta la centrale unica di committenza, che doveva essere quindi un’unica stazione appaltante per tutta Roma capitale. Purtroppo, però, non abbiamo fatto in tempo a portarla in assemblea capitolina.

D. – In qualche modo questo rapporto mette anche sotto accusa il ruolo delle cooperative, che però in Italia hanno una importanza fondamentale per la struttura produttiva. Possibile che non si riesca…

R. – Quando rimangono cooperative. Il problema è che a Roma le cooperative si sono trasformate in vere e proprie s.p.a. e non avevano nulla di diverso dalle società, ma si avvantaggiavano del fatto che la legge dà delle premialità per la cooperazione sociale. Io ho incontrato molte volte i rappresentanti delle cooperative e con loro ci siamo messi a tavolino. Era stato previsto un nuovo regolamento - che ancora una volta non si è avuto il tempo di portare in assemblea capitolina - che cambiava completamente il sistema, valorizzava al massimo la cooperazione e recuperava lo spirito originario della cooperazione, che a Roma si era perso da troppo tempo.

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Pedopornografia cresce nel mondo. Meter: "Chi tace è colpevole"

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Bambini abusati, torturati, ridotti a schiavitù sessuale e poi trafficati su web: il crimine della pedofilia e della pedopornografia cresce e continua a produrre profitti. Lo denuncia il Report 2015 dell’Associazione "Meter" di don Fortunato Di Noto, presentato oggi nella sede della nostra emittente. Oltre un milione le foto e i video segnalati l'anno scorso, esplodono i social e l’Europa si conferma la "patria" dei pedofili. Il servizio di Gabriella Ceraso

"Ci batteremo in sede Onu perché abusare dei bambini venga riconosciuto crimine contro l’umanità: le cifre lo giustificano. Sono il risultato solo del nostro lavoro di ricerca e segnalazione, ma sconcertano", dice Don Fortunato di Noto. Cinquantasei le chat monitorate, non era mai successo in 27 anni, raddoppiate in un anno le foto, oltre un milione, che sommate ai video, 76 mila, significano circa 700 mila minori coinvolti. E la cosa raccapricciante è che si parte dai neonati che a malapena possono piangere e ribellarsi nei confronti di chi li usa e li abusa, per arrivare fino a bambini di 13 anni. Una” infantofilia”, per don Fortunato Di Noto, su cui non si può tacere:

“Pedofilia è intesa come una nuova forma di schiavitù. Abbiamo tantissimi bambini schiavi, anche neonati, che vengono violati in maniera aberrante, quasi indescrivibile. Allora, se questo non è un fenomeno criminale allora credo che dobbiamo tutti tirarci indietro”.

E non vedere - perché pubblicare le foto di minori è reato - non può giustificare, aggiunge don Fortunato, il sottovalutare il fenomeno o l'essere indifferenti:

“Non c’è un’attenzione globale: c’è un’indifferenza che ci sta rendendo complici e l’informazione non dà il giusto spazio a questo fenomeno. Basterebbe soltanto una foto di un neonato: cosa si solleverebbe? Se per il dramma di Aylan, il bimbo siriano, si è sollevato il mondo, tutti i capi di Stato del mondo sono intervenuti, di fronte a una violenza del genere quali tipi di capo di Stato devono intervenire? I bambini hanno bisogno che qualcuno dia loro una voce”.

Il fatturato e le dimensioni dell'attività pedopornografica, criminale quanto quella mafiosa, crescono nel 2015: i siti segnalati passano da settemila a novemila, esplodono i Social network, da 180 a 3.000 in un anno, così gli archivi "cloud" e il "Deep web", faccia oscura di Internet preferita dai pedofili perché incontrollabile, sui cui ora il lavoro di "Meter" si è spostato. Ma cresce anche la tutela dei centri di ascolto e le consulenze telefoniche di "Meter": al primo posto la Sicilia seguita dal Lazio. Si tratta di incontri reali e percorsi di accompagnamento che hanno riguardato 75 minori nel 2015, 1.300 in 13 anni.

Fondamentale la rete di segnalazioni instaurata da "Meter" con le polizie postali di tutto il mondo, anche se da molti Paesi spesso non c’è risposta, come dall'Oceania, dall'Argentina e dagli Stati Uniti. Sul non invidiabile podio della produzione e scambio di materiale pedopornografico, il primato è tenuto ancora, secondo i dati di "Meter", dall'Europa, a quota 2.600, seguita dall' Oceania a 1.000, e dall' Africa – con Mauritius e Libia in testa – a 555. "New entry" insieme all’Africa, anche l’Argentina. Ancora don Fortunato Di Noto:

“L’Europa attualmente risulta in testa: è strano che da una parte vi sia l’impegno del contrasto, dall’altra parte la diffusione costante e continua di soggetti che non solo divulgano e diffondono, ma anche lucrano su questa foto, su questi video, ma anche alcuni – molti – producono”.

Altrettanto indedita è la frontiera della "cultura pedofila", contro cui "Meter" si batte, quella cioè che giustifica gli abusi con proclami e affermazioni pseudoscientifiche:

“A noi basta che i bambini vengano aiutati a non cadere in queste trappole, trappole che non sono soltanto emotive. Ma stiamo attenti a non arrivare alla deriva, che è la deriva del 'colonismo' pedofilo, cioè a dire la giustificazione che è possibile che questo fenomeno possa essere giustificato e naturalizzato. E questo non dovrebbe mai accadere, perché se accade anche questo veramente c’è un problema molto serio nella nostra società”.

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Comunità Giovanni XXIII, progetto sulle alternative al carcere

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Mezza Europa a confronto sul terreno delle esperienze alternative al carcere. A Bologna sono stati presentati i risultati del progetto biennale “Ridurre la popolazione carceraria: gli strumenti avanzati della giustizia in Europa”. Il programma, coordinato dalla Comunità Giovanni XXIII, ha messo i riflettori su 70 diverse realtà in sette Paesi comunitari. Il servizio di Luca Tentori

Sovraffollamento, dispendio economico, recidività e tutela della vittime sono i punti deboli del sistema carcerario italiano ed europeo. Le pene alternative alla detenzione possono abbattere queste problematiche in maniera significativa e definitiva. Lo ha sostenuto a Bologna questa mattina Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Giovanni XXIII, con i dati alla mano di un progetto europeo di monitoraggio che ha portato alla stesura di un documento di “buone pratiche” per la formazione degli operatori impegnati nei percorsi alternativi alla detenzione:

“La certezza del reato e della pena, di persone che hanno comunque sbagliato, deve diventare la certezza del recupero. Il continuare a vivere in carcere fa accumulare aggressività e violenza, tanto che quando la persona esce a qualcuno la farà pagare. L’uomo non è il suo errore ma è molto più grande e ha delle capacità delle competenze e della abilità che sono straordinarie”.

La mattinata è stata anche occasione di fotografare il mondo delle carceri, che vede il primato dell’Italia nel sovraffollamento con 148 detenuti su 100 posti disponibili. Ma da registrare anche il dato positivo dei 187 mila soggetti che scontano pene alternative in Francia, 156 mila in Germania e 33 mila in Italia. I numeri parlano chiaro anche per le “Comunità educanti con carcerati” della Giovanni XXIII: qui la percentuale di ritorno sullo stesso reato è calato, rispetto alla popolazione carceraria, dall’80 al 10%. Ma per fare questo occorre un percorso integrato che coinvolga tutte le agenzie educative pubbliche e private, del terzo settore, delle comunità locali e delle famiglie:

“Noi abbiamo alcuni responsabili delle nostre comunità in tutto il mondo che sono stati anni e anni in carcere, ma hanno scoperto il proprio errore, lo hanno riparato e hanno puntato sulle proprie capacità. E questa è la proposta che noi oggi vogliamo portare alle istituzioni, alla politica, ai giudici e soprattutto alla cittadinanza perché diventi cultura e diventi proposta di vita”. 

E poi, c’è il tema del riscatto che stride con la realtà dell’ergastolo o addirittura della pena di morte di cui Papa Francesco aveva auspicato una moratoria almeno in quest’Anno giubilare:

“L’ergastolo ostativo è un assurdo, perché la persona deve avere la possibilità anche di fronte a reati gravi e reati importanti di poter riparare il suo errore. Quindi, la pena di morte è un assurdo, perché noi siamo creati per la vita. Giustamente, Papa Francesco richiama al fatto che Dio è l’amante della vita e non vuole la morte di nessuno: non è uccidendo che si risolvono i problemi di questa umanità, ma facendo proposte di vita che vengano recepite da tutti e anche da coloro che hanno sbagliato”.

Attualmente, sono più di 300 persone che stanno scontando una pena alternativa nella “Comunità Giovanni XXIII”. Molti di loro appartengono a religioni differenti o a nessuna fede:

“Nel pieno rispetto del loro credo noi facciamo però una proposta di vita, una proposta pienamente umana che si basa sul rispetto reciproco delle persone, sulle competenze, sulle abilità messe a servizio gli uni degli altri. Ovviamente, la nostra esperienza è un’esperienza cristiana che è maturata all’interno della Chiesa Cattolica e quindi anche noi esprimiamo il nostro credo. Ma in questa capacità, in questo dialogo con le altre religioni che è possibile”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Utero in affitto, no definitivo del Consiglio d'Europa

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Il Consiglio d’Europa ha  respinto definitivamente con 16 voti contrari e 15 favorevoli la pratica della cosiddetta maternità surrogata. La Commissione affari sociali dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha bocciato il testo proposta dalla deputata belga, Petra de Sutter, che chiedeva in particolare ai governi dei 47 Stati membri del Consiglio di seguire la strada di una “regolamentazione internazionale” della pratica. Decisivo il voto delle due delegate italiane, le deputate Pd Eleonora Cimbro e Teresa Bertuzzi. Davanti alla sede parigina del Consiglio d’Europa, in coincidenza del voto, si sono tenute manifestazioni di protesta di varie associazioni molte delle quali di ispirazione cristiana. Non c’è dubbio che si tratti di una buona notizia”, ha commentato in una nota l'on. Paola Binetti di Ap (Ncd-UdC). “La votazione – scrive la Binetti – ha avuto solo un voto di scarto tra oppositori e fautori, ma non c’è dubbio su quale sia stata la volontà politica di mettere un freno a questa pratica che rappresenta una violazione dei diritti del bambino e uno sfruttamento del corpo delle donne”. 

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Vescovi Costa d'Avorio: attacco a resort non ha legami con l'islam

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“Come cittadini ivoriani, noi cattolici siamo sotto choc, insieme al resto del Paese, per la barbarie che si è consumata domenica a Grand Bassam, ma siamo uomini di fede e sappiamo che anche nel dolore più grande bisogna mantenere la speranza: Dio non permetterà mai che il male prevalga”. È questo il messaggio che mons. Alexis Touabli, vescovo di Agboville e presidente della Conferenza episcopale ivoriana, invia parlando all’indomani dell’attacco avvenuto nella località balneare nel sud del Paese.

Pregare insieme a tutti i credenti perché cose simili non accadano più
“Credo fermamente che non si debbano stabilire legami diretti tra quest’azione barbara e l’Islam – commenta il vescovo citato dall’agenzia Sir con riferimento alla rivendicazione dell’attentato arrivata dalla rete qaedista attiva in Africa occidentale -. Il male esiste ovunque e sono certo che anche i nostri fratelli musulmani condannano ciò che è successo”. Nei prossimi giorni, preannuncia il vescovo “ci riuniremo con gli altri leader religiosi per decidere il da farsi; ma anche senza essere fisicamente nello stesso luogo, possiamo già compiere l’azione comune più importante, che è la preghiera, la forza di tutti coloro che credono in Dio: senza distinzione di fede, dobbiamo chiedere che mai più accadano cose simili in questo Paese”. (L.Z.)

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Pakistan: ricordati gli attacchi alle chiese di Lahore

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Fedeli cristiani, cattolici e anglicani, hanno ricordato con delle celebrazioni liturgiche il primo anniversario degli attacchi contro due chiese nel quartiere di Youhanabad, a Lahore, che il 15 marzo del 2015 fecero oltre 80 vittime e 17 feriti. Sia nella chiesa cattolica che nella chiesa anglicana, colpite dagli attentati - riporta l'agenzia Fides - si sono tenute sante Messe e veglie di preghiera per la pace.

A Youhanabad l'atmosfera resta ancora tesa
Subito dopo gli attentati kamikaze, i cristiani, scossi e irati, hanno linciato due musulmani, presunti complici dei terroristi. Il governo del Punjab iniziò un'operazione contro i residenti di Youhanabad, arrestando più di 120 giovani, accusati di aver partecipato al linciaggio. Oggi a Youhanabad l'atmosfera resta tesa e le persone hanno paura di parlare dell'incidente. Oltre 50 famiglie cristiane ancora attendono di conoscere il destino dei loro parenti, sotto processo per l'omicidio dei due uomini.

I fedeli riuniti per pregare per la pace
Samran Paul, cattolico residente di Youhanabad, dice a Fides: “Tutto è cambiato per noi. Youhanabad una volta era un simbolo per i cristiani di Lahore. Ora si avvertono paura e incertezza”. “E’ incoraggiante vedere che ci siamo riuniti per pregare per la pace e che tutti noi desideriamo vivere insieme come una famiglia. Vorrei rivedere la Youhanabad di un tempo, culla e orgoglio per i cristiani di Lahore”. Amir Masih dalla Chiesa anglicana ha rimarcato: “E’ passato un anno, ma le ferite sono ancora aperte. Oggi ci siamo riuniti per pregare per la pace, chiediamo a Dio di donarci di vivere con gioia e pace nel nostro quartiere”. 

I cristiani non hanno trasformato gli attentati in una questione settaria
​Durante la cerimonia liturgica, mons. Shah ha pregato insieme ai fedeli per i 42 cristiani ancora detenuti in carcere in seguito al linciaggio di due sospetti terroristi. Ameer ul Azeem, segretario per l’informazione del Jamaat-e-Islami, uno dei maggiori partiti islamici del Pakistan, ha chiesto ai cristiani locali di “mostrare più tolleranza”. “I disordini e il danneggiamento delle stazioni dei bus è sbagliato – ha detto all'agenzia AsiaNews –. I terroristi hanno preso di mira moschee, chiese, cinema e mercati. Il terrorismo è in declino, ma i suoi effetti si vedranno ancora a lungo”. Infine il leader islamico ha affermato: “Si deve riconoscere ai cristiani il merito di non aver trasformato gli attentati in una questione settaria”. (X.W.-P.A.)

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Iraq. Mar Sako: nessuna milizia armata è legata alla Chiesa

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La Chiesa caldea “non ha nessun legame, né diretto né indiretto, con le cosidette 'Brigate Babilonia' (Babylon Brigades), né con nessun'altra milizia armata che si presenta come cristiana”. Lo dichiara con decisione il Patiarca caldeo Louis Raphael I, in un comunicato ufficiale diffuso dal Patriarcato caldeo per marcare in maniera definitiva la propria distanza da gruppi armati attivi sullo scenario iracheno che cercano di rivendicare la propria affiliazione alle comunità cristiane locali. 

Il Patriarca Sako sconfessa i notabili caldei
Nel comunicato, diffuso domenica scorsa, il Primate della Chiesa caldea sconfessa esplicitamente anche notabili caldei che continuano a rivendicare presunte autorizzazioni ecclesiastiche alla leadership di carattere politico che pretendono di esercitare come rappresentanti delle comunità cristiane locali. “Notabili anziani (Sheikh), sfuttando la malattia del Patriarca, il card. Emmanuel III Delly – si legge nel comunicato patriarcale, riportato dall'agenzia Fides - hanno ottenuto lettere che attribuivano loro poteri, ma da quando il Patriarca Louis Raphael I ha assunto il suo incarico, ha inviato una lettera a tutte le autorità civili per chiarire che nessun notabile rappresenta politicamente la Chiesa caldea, e gli unici rappresentanti politici ufficiali della comunità caldea sono quelli legittimamente eletti in Parlamento”.

Le milizie si presentano come difensori delle città cristiane
I “Leoni delle Brigate Babilonia” (The Christian Lions of Babylon Brigades) presentano se stessi come “cittadini cristiani addestratisi per difendere le città cristiane della Mesopotamia dai criminali terroristi stranieri del sedicente Stato Islamico (Daesh) e dai terroristi provenienti da Paesi come l'Afghanistan, l'Arabia Saudita, il Qatar, la Tunisia, la Turchia, il Kuwait, la Libia e il Marocco”.

La strada da seguire è arruolarsi nell'esercito nazionale iracheno
Il Patriarca caldeo Louis Raphael I ha più volte ribadito nette prese di distanza rispetto ai gruppi che nelle comunità cristiane sire, assire e caldee sostengono la necessità di difendere i propri diritti comunitari e combattere le forze jihadiste anche attraverso la formazione di gruppi armati organizzati su base confessionale, ribadendo che la strada da seguire è eventualmente quella di arruolarsi nelle forze armate nazionali. (G.V.)

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Malawi: i vescovi denunciano i mali del Paese

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“Come Pastori, non possiamo rimanere fermi e guardare in faccia la contrazione degli standard o la mancanza di servizi pubblici, la crescita del distacco tra ricchi e poveri, la mancanza di disciplina fiscale e le priorità mal riposte in questi tempi difficili che richiedono misure severe” affermano i vescovi del Malawi nella loro Dichiarazione pastorale intitolata “Mercy of God as Path of Hope” (“La Misericordia di Dio come via della speranza”).

Molte carenze in campo economico e sociale
Il documento - riferisce l'agenzia Fides - riconosce alcuni sviluppi positivi nella vita sociale del Paese (buona partecipazione alle elezioni del 2014; pronta risposta all’emergenza causata dalle inondazioni; riforme politiche, ecc..) ma sottolinea che ancora molta strada rimane da fare nel campo economico e sociale. Particolarmente preoccupante, secondo i vescovi, è la riduzione dei servizi sanitari: “Le tristi e disumanizzanti condizioni degli ospedali pubblici sono inaccettabili”. Tra l’altro i vescovi denunciano la mancanza, in tutto il Malawi, di un ospedale pubblico attrezzato per la mammografia, costringendo le donne a recarsi in costose strutture private per effettuare la diagnosi mammaria.

Crisi alimentare e carenza di mais
Nonostante la pronta risposta alle alluvioni, 2,8 milioni di malawiani soffrono gravi carenze alimentari e sono a rischio di morte per inedia. “La gente passa ormai la maggior parte del suo tempo a fare la coda per acquistare il mais nei mercati calmierati, un fatto che li rende meno produttivi nei campi o nei loro posti di lavoro. Questo può preludere ad un’altra crisi alimentare nei prossimi mesi. Siamo pure preoccupati per il fatto che le donne dormono con i figli di fronte ai mercati nella speranza di potere comprare il mais il giorno dopo. Troviamo questo fatto disumano e inaccettabile” scrivono i vescovi.

La povertà favorisce l'insicurezza e attacca la famiglia
Il documento denuncia che nel contesto di povertà del Malawi, si condizionino la concessione di aiuti esterni alla liberalizzazione dell’aborto e del matrimonio omosessuale. La povertà contribuisce inoltre ad aumentare il tasso di delitti e l’insicurezza nella quale vive la popolazione, mentre “elementi di regionalismo e tribalismo lentamente si fanno strada nella società”. I vescovi lanciano un appello all’unità del Paese e ricordano che queste tendenze possono essere affrontate con politiche “che assicurino che ogni settore della società sia incluso”. (L.M.)

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Vescovi Benin: nessun appoggio a uno dei candidati al ballottaggio

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“Sorpresi e costernati”. Così i vescovi del Benin affermano di aver appreso la notizia pubblicata da un quotidiano locale, circa un loro presunto invito ai fedeli di votare per Lionel Zinsou al ballottaggio del 20 marzo per le elezioni presidenziali. Un fatto - riferisce l'agenzia Fides - che è stato seccamente smentito da mons. Antoine Ganyé, arcivescovo di Cotonou e presidente della Conferenza episcopale del Benin, con una dichiarazione da lui stesso letta in pubblico.

La Chiesa ha invitato a votare secondo coscienza
“Con il presente comunicato, la Conferenza episcopale del Benin smentisce formalmente questa informazione. Non ha fatto alcuna dichiarazione del genere” ha affermato mons. Ganyé, che ha ribadito le indicazioni presentate dai vescovi nella Lettera pastorale “Elezioni presidenziali sotto lo sguardo di Dio” del gennaio scorso. “La Conferenza episcopale del Benin - ricorda mons. Ganyé - invita i figli e le figlie del Benin a votare nella calma e nella pace secondo coscienza, illuminata dalla luce di Dio e dall’amor di Patria”.

La Chiesa ha indicato i requisiti per un buon Presidente
La Lettera pastorale offre alcune indicazioni per la scelta del candidato, che deve “avere timore di Dio, buone capacità di gestione sociale dei beni pubblici, avere una conoscenza sufficiente delle realtà del Paese, essere un patriota, con un buon livello intellettuale, avente la capacità di vigilare sulla sana applicazione delle leggi”.

Il ballottaggio si terrà il 20 marzo
​Nelle elezioni del 6 marzo, nessuno dei candidati ha raggiunto la maggioranza qualificata per essere eletto al primo turno. I due primi candidati, il Primo Ministro uscente Lionel Zinsou e l’uomo d’affari Patrice Talon, si affronteranno al ballottaggio il 20 marzo. (L.M.)

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Cile-Argentina: preghiera comune per la pace

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Una preghiera comune per la pace ai piedi del Cristo del Tromen: in questo modo, con una Messa celebrata al confine internazionale, i fedeli di Argentina e Cile hanno commemorato i 65 anni di relazioni tra i due Paesi. La Messa è stata presieduta da mons. Francisco Javier Stegmeier, vescovo di Villarrica in Cile, e concelebrata da mons. Virginio Bressanelli, vescovo di Neuquén in Argentina

La fede, elemento di unità tra i popoli
Nella sua omelia, il presule argentino ha ribadito l’importanza de “la condivisione nella fraternità”, affinché “i due popoli siano uniti dalla fede, nonostante siano separati da una frontiera”. “In questo luogo – ha aggiunto dal suo canto mons. Stegmeier – esprimiamo la nostra fede e Dio ci chiama ad essere uno. Chiediamo al Signore di farci vivere in pace gli uni con gli altri”.

Iniziativa nata negli anni ’50 per volere di un padre cappuccino
​Iniziative a carattere annuale, la Messa e l'incontro presso il valico di frontiera tra Argentina e Cile sono nate per volere del padre cappuccino Padre Francisco Subercaseaux, che tra il 1943 ed il 1956 fu parroco di Pucón e missionario nella zona cilena della Araucanía, dove gli era stata affidata una parrocchia. Fu proprio lui a volere il “Cristo del Tromen”: collocato presso la zona di frontiera di Mamuil Malal de Curarrehue, al confine tra Cile e Argentina, il Cristo fu benedetto il 26 febbraio 1950, come segno e garanzia di pace tra i due popoli. (I.P.)

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Portogallo. Card. Clemente: società non informata sull'eutanasia

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La società portoghese ha bisogno di più  informazioni sul tema dell’eutanasia.  Lo ha detto il card. Manuel Clemente, Patriarca di Lisbona, commentando i dati di un recente sondaggio, secondo il quale il 67,4% dei portoghesi sarebbe favorevole alla sua legalizzazione.

Accompagnare il fine vita
"Non sono così convinto che la grande maggioranza dei portoghesi sia a favore dell'eutanasia”, ha dichiarato all’agenzia Ecclesia il Patriarca -. Credo che la maggior parte sia sensibile al problema e chieda che la vita sia accompagnata in tutte le sue fasi, anche quelle più difficili, come quelle terminali dell’esistenza”.

La Chiesa è contraria anche all’accanimento terapeutico
Nell’intervista il Patriarca ha annunciato che nei prossimi giorni sarà pubblicata una dichiarazione della Conferenza episcopale portoghese (Cep) sull’argomento, osservando che in questo dibattito "la prima cosa da fare è chiarire e informare". "Da parte della Chiesa non c’è alcun desiderio di allungare artificialmente la vita con l’accanimento terapeutico, questa non è la soluzione," ha precisato. Il prossimo documento dei vescovi porterà chiarimenti su questo punto. Per questo il card. Clemente ha invitato i portoghesi  a leggerlo. (L.Z.)

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Giubileo Misericordia alla Lateranense: incontro con Enzo Bianchi

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“Annunciate a tutti la Misericordia di Dio”. È su questo tema di grande attualità che Enzo Bianchi, il priore e fondatore della Comunità di Bose, interverrà venerdì 18 marzo alle 11.15 presso la Pontificia Università Lateranense a Roma, nell'ambito delle meditazioni quaresimali che l’ateneo offre da anni a tutta la comunità. Nell'Anno del Giubileo Straordinario dedicato proprio alla Misericordia, la riflessione del priore di Bose assume un ruolo significativo. Questo sentimento “profondamente umano, prima ancora che religioso”, capace di “prendere alle viscere” come Bianchi ha ricordato al mensile Credere recentemente, assume una connotazione ancora più forte e urgente in una società come quella odierna.

L'introduzione di mons. Dal Covolo
L’evento sarà introdotto dal rettore della Lateranense mons. Enrico dal Covolo, per il quale Enzo Bianchi è “un uomo di Dio che comunica con grande calore la sua fede. In tempi così freddi, a volte anche crudeli, è di questo calore che abbiamo bisogno. E la Misericordia divina è in grado di offrircene tantissimo, non solo per chi soffre nel fisico ma anche per chi – in questa società - soffre nell'anima e nella morale”. (A.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 75

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.