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Sommario del 16/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: è bello quando le nazioni aprono le porte ai migranti

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Sono felice quando “vedo i governanti che aprono il cuore e aprono le porte”. È una delle affermazioni a braccio dal Papa all’udienza generale tenuta in Piazza San Pietro davanti a 40 mila persone. Francesco ha parlato dei milioni di migranti in cerca di una nuova patria, affermando che “Dio non è assente” neppure “oggi in queste drammatiche situazioni”. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

In un’epoca di bivacchi infiniti, in mezzo al fango di tendopoli in forma di “giungla”, o di rotte marittime e balcaniche, come si chiamano le nuove strade della salvezza, aperte a forza di gambe da carovane di disperati e chiuse da muri di reticolati, forse non c’è niente che spieghi meglio la parola “felicità” del sorriso stampato sul viso di quegli immigrati ai quali qualcuno ha detto: vieni, puoi stare qui, non ti cacciamo via.

“Dov’è Dio?”
Papa Francesco dedica a loro la catechesi di un mercoledì di sole e nuvole. Negli sfollati di oggi rivede i deportati di Israele di cui parla la Bibbia, rilegge le parole antiche del profeta Geremia e dedica la “consolazione” che esprimono – quella di un pronto ritorno in patria – a nuovi esiliati in arrivo dal Medio Oriente, dall’Africa, dall’Asia. Gente che convive con povertà materiali e la miseria di sentirsi senza nessuno, non solo in terra ma anche in cielo:

“Quante volte abbiamo sentito questa parola: ‘Dio si è dimenticato di me’: sono persone che soffrono e si sentono abbandonate. E quanti nostri fratelli invece stanno vivendo in questo tempo una reale e drammatica situazione di esilio, lontani dalla loro patria, con negli occhi ancora le macerie delle loro case, nel cuore la paura e spesso, purtroppo, il dolore per la perdita di persone care! In questi casi uno può chiedersi: dov’è Dio?”.

Nazioni che aprono le porte
E anche: dov’è la solidarietà, il senso dell’accoglienza verso lo straniero che da millenni esprime il grado di civiltà di un popolo? “Com’è possibile – si chiede Francesco – che tanta sofferenza possa abbattersi su uomini, donne, bambini innocenti?”:

“Quando cercano di entrare in qualche altra parte gli chiudono la porta. E sono lì, al confine perché tante porte e tanti cuori sono chiusi. I migranti di oggi che soffrono il freddo, senza cibo e non possono entrare, non sentono l’accoglienza. A me piace tanto sentire quando vedo le nazioni, i governanti che aprono il cuore e aprono le porte!”.

Dio non è assente
Da Geremia, il Papa prende la certezza che rivolge a chi anche oggi sogna una terra promessa e una nuova speranza. Quella certezza che, ricorda, sostenne l’Albania e la aiutò a rialzarsi “dopo tanta persecuzione e distruzione”. E la medesima certezza che Francesco rinnova, salutandoli dopo la catechesi, alle popolazioni del Medio Oriente:

“Dio non è assente neppure oggi in queste drammatiche situazioni, Dio è vicino, e fa opere grandi di salvezza per chi confida in Lui. Non si deve cedere alla disperazione, ma continuare ad essere sicuri che il bene vince il male e che il Signore asciugherà ogni lacrima e ci libererà da ogni paura”.

L’esilio del cuore, la pace di Dio
Ma il rientro degli esiliati di Israele nella nuova Gerusalemme, conclude Francesco, è anche un “grande simbolo della consolazione” data a un “cuore che si converte”:

“Il vero e radicale ritorno dall’esilio e la confortante luce dopo il buio della crisi di fede, si realizza a Pasqua, nell’esperienza piena e definitiva dell’amore di Dio, amore misericordioso che dona gioia, pace e vita eterna”.

Nel saluto ai gruppi in piazza, il Papa ha detto di volersi unire spiritualmente ai giovani di Cracovia, radunati nella Tauron Arena per vivere insieme l’evento giubilare “Giovani e Misericordia”. Francesco li ha esortati a essere “autentici testimoni” di Gesù nell’aprire le porte ai loro coetanei della prossima Gmg.

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Nomine episcopali in Spagna e Brasile

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In Spagna, Papa Francesco ha nominato vescovo della diocesi di Mondoñedo-Ferrol il sacerdote Luis Ángel De Las Heras Berzal, dei Claretiani, finora presidente della Confederazione spagnola dei Religiosi (Confer). Il neo presule è nato a Segovia il 14 giugno 1963. A 14 anni è entrato nel Seminario Minore dei Claretiani in Segovia. Nel 1981 è entrato nel noviziato e ha emesso la professione perpetua il 26 aprile 1986, anno in cui ha ottenuto la Laurea negli Studi Ecclesiastici. Presso la Pontificia Università di Comillas ha svolto gli studi per la Laurea in Scienze dell’Educazione e contemporaneamente è stato incaricato della Pastorale Giovanile nella provincia claretiana di Castilla. È stato ordinato il 29 ottobre 1988. Si è dedicato subito alla pastorale parrocchiale con adolescenti, i giovani a rischio e con gli emarginati in parrocchie affidati ai claretiani a Madrid e con i tossicodipendenti. A settembre 1995 è stato nominato Assistente del Prefetto degli studenti del Seminario claretiano di Colmear Viejo (Madrid). Poi è stato Formatore dei postulanti, Superiore e Maestro dei novizi, Vicario Provinciale e Prefetto dei Seminaristi maggiori.  Negli anni 2004-2007 è stato Delegato del Superiore per la formazione nella Confederazione claretiana di Aragón, Castilla y León. Nel 2007 è stato eletto Prefetto di Spiritualità e Formazione. Dal 2007 al 2012 è stato Vicario Provinciale, Prefetto degli studenti e dei postulanti, nonché Professore presso l’Istituto Teologico di Vita Religiosa e la Scuola Regina Apostolorum a Madrid. Il 31 dicembre 2012 è stato eletto Superiore Provinciale dei Missionari Claretiani della Provincia di Santiago e attualmente è anche Presidente della Confederazione Spagnola dei Religiosi (Confer).

In Brasile, il Pontefice ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di São Paulo il Rev.do Luiz Carlos Dias, del clero della diocesi di São João da Boa Vista, finora membro del Segretariato generale della Conferenza episcopale brasiliana. Mons. Dias è nato il 16 settembre 1964 a Caconde, nello Stato di São Paulo. Ha compiuto gli studi di Filosofia (1984-1986) e quelli di Teologia (1987-1990) presso il “Centro de Estudos da Arquidiocese de Ribeirão Preto” (CEARP). Poi ha ottenuto la Licenza in Filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma (2002-2004). Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 5 aprile 1991 ed è incardinato nella diocesi di São João da Boa Vista, nella quale ha ricoperto i seguenti incarichi: Rettore del Seminario Propedeutico (1992-2002); Vicario parrocchiale della parrocchia “Imaculada Conceição”, a Caconde (1991-2002); Parroco della parrocchia “Nossa Senhora de Fátima”, a São João da Boa Vista (2005); Direttore dell’Istituto di Filosofia (2005); Rettore del Seminario di Teologia “São João Maria Vianney”, a Mogi Guaçu (2005-2010); Vicario parrocchiale della parrocchia “São Judas Tadeu”, a Mogi Guaçu (2005-2010). Inoltre, è stato Coordinatore della pastorale missionaria e Membro del Consiglio Presbiterale. Ha collaborato anche come Professore presso gli Istituti di Filosofia delle diocesi di São João da Boa Vista e di Guaxupé e dell’arcidiocesi di Brasília. Dal 2010 a 2015 è stato Segretario esecutivo della “Campanha da Fraternidade” e della “Campanha da Evangelização” presso la Conferenza Episcopale Brasiliana ed attualmente è Membro del Segretariato generale della medesima Conferenza.

Sempre in Brasile, Francesco ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Manaus il sacerdote José Albuquerque de Araújo, finora rettore del Seminario Maggiore di Manaus. Il neo presule è nato il 17 luglio 1968 a Manaus (Amazonas), nell’omonima arcidiocesi. Ha frequentato il Corso di Filosofia presso l’Università Cattolica di Brasília (1989-1991) e quello di Teologia presso il Cenesch – “Centro de Estudos do Comportamento Humano”, a Manaus (1992-1995). Inoltre, ha conseguito la Licenza in Teologia Dogmatica con specializzazione in Liturgia, presso la Pontificia Facoltà “Nossa Senhora da Assunção” a São Paulo (1996-1997) e un Master in Gestione Educazionale presso il Senac – “Serviço Nacional de Aprendizagem Comercial”, a Manaus (2007). Ha frequentato anche la Scuola per Formatori, presso l’Associazione “Transcender” a São Paulo (1996-1997). È stato ordinato sacerdote il 4 agosto 1996 ed è incardinato nell’arcidiocesi di Manaus. Nel corso del ministero sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Amministratore parrocchiale della parrocchia “Santa Luzia” (1998-2000); Coordinatore della Pastorale Vocazionale Arcidiocesana e Regionale (1998-2007); Formatore della Comunità di Filosofia, presso il Seminario “São José” (1998-2010); Amministratore parrocchiale della parrocchia “Imaculado Coração de Maria” (2000-2003); Amministratore parrocchiale della parrocchia “São Lázaro” (2003-2007); Prefetto degli Studi di Teologia presso l’Itepes – “Instituto de Teologia Pastoral e Ensino Superior da Amazônia”, antico Cenesch (2006-2012); Amministratore parrocchiale della parrocchia “São Francisco de Assis” (2007-2011); Parroco della Cattedrale “Nossa Senhora da Conceição” (2011-2014). Attualmente è Rettore del Seminario Arcidiocesano “São José” e Docente di Teologia presso l’Itepes – “Instituto de Teologia Pastoral e Ensino Superior da Amazônia”.

Il Papa  ha nominato revisori aggiunti il dott. Ferruccio Panicco e il dott. Alessandro Cassinis Righini.

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Tweet del Papa: dopo la Confessione saremo rinati

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Papa Francesco, che ha più volte esortato a ritrovare il perdono di Dio nel Sacramento della Riconciliazione, ha pubblicato oggi questo nuovo tweet sull’account @Pontifex: “Uscendo dal confessionale, sentiremo la sua forza che ridona la vita e l’entusiasmo della fede. Dopo la Confessione saremo rinati”.

“Dio - aveva detto il Papa nell’udienza generale del 2 marzo scorso - ci ama sempre, nonostante i nostri peccati”, ma questo non significa non cambiare, perché “la misericordia di Dio ci chiama tutti alla conversione e a ‎pentirci dei nostri peccati”. Dio, da parte sua, come un padre, “usa pazienza con il peccatore per ‎condurlo al pentimento, ma non trascura mai le urla dei suoi figli oppressi”. 

“Nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona” scrive Papa Francesco nel testo della Bolla per il Giubileo “Misericordiae Vultus”. E in un discorso ai partecipanti ad un Corso della Penitenzieria ribadisce: “Non esiste alcun peccato che Dio non possa perdonare! Nessuno! Solo ciò che è sottratto alla Divina misericordia non può essere perdonato, come chi si sottrae al sole non può essere illuminato né riscaldato” (12 marzo 2015).

Papa Francesco, rivolgendosi il 4 marzo scorso ai confessori, ha invitato con forza a non essere da ostacolo alla misericordia di Dio e a braccio ha aggiunto:

“Cosa faccio se mi trovo in difficoltà e non posso dare l’assoluzione? Cosa si deve fare? Prima di tutto, cercare se c’è una strada, tante volte la si trova. Secondo: non legarsi soltanto al linguaggio parlato, ma anche al linguaggio dei gesti. C’è gente che non può parlare, e con il gesto dice il pentimento, il dolore. E terzo: se non si può dare l’assoluzione, parlare come un padre: ‘Senti, per questo io non posso [assolverti], ma posso assicurarti che Dio ti ama, che Dio ti aspetta! Preghiamo insieme la Madonna, perché ti custodisca; e vieni, torna, perché io ti aspetterò come ti aspetta Dio’; e dare la benedizione. Così questa persona esce dal confessionale e pensa: ‘Ho trovato un padre e non mi ha bastonato’. Quante volte avete sentito gente che dice: ‘Io non mi confesso mai, perché una volta sono andato e mi ha sgridato’. Anche nel caso limite in cui io non posso assolvere, che senta il calore di un padre! Che lo benedica, e gli dica di tornare. E anche che preghi un po’ con lui o con lei. Sempre questo è il punto: lì c’è un padre. E anche questa è festa, e Dio sa come perdonare le cose meglio di noi. Ma che almeno possiamo essere immagine del Padre”.

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Il cardinale Parolin: l'Anno Santo possa portare la pace in Siria

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Dopo cinque anni di guerra la Siria possa finalmente ritrovare la pace: è l'auspicio espresso ieri sera dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin in occasione della mostra "Antiquorum habet" sulla storia dei Giubilei, inaugurata a Palazzo Giustiniani a Roma con il presidente del Senato Pietro Grasso. Per il porporato bisogna sperare nel successo dei negoziati di Ginevra. Alessandro Guarasci: 

Dall’Anno Santo arrivi una speranza per la pace. Il cardinale Pietro Parolin visita una mostra al Senato sulla storia dei Giubilei e a margine parla di quanto sta avvenendo in Siria:

"E' nostro vivo desiderio che l'Anno Santo possa avere anche conseguenze a livello politico, nel senso di fermare la guerra in Siria, per la gente è una situazione insostenibile, le sofferenze indicibili di questa popolazione devono trovare eco nei nostri cuori e nel cuore dei politici".

La comunità internazionale spera nei colloqui di Ginevra, e positivo è anche il ritiro della Russia. Ancora il cardinale Parolin:

"I tentativi si ripetono, speriamo che abbiano successo, segnali positivi non lo so perché finora non hanno ottenuto successo. Vediamo se con queste ultime mosse, col ritiro della,Russia, se tutto questo può portare a un progresso nelle trattative e al raggiungimento di una soluzione politica".

Dal 18 marzo poi il cardinale ha ricordato che sarà in visita in Macedonia, precisando che "ci sara' anche un momento d'incontro con i rifugiati". 

La mostra si intitola "Antiquorum habet" ed è ospitata nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, fino al 1° maggio. L'esposizione offre a pellegrini e visitatori la possibilità di approfondire la storia dei Giubilei, dal 1300 ai giorni nostri, dagli itinerari dei pellegrini alla storia delle Basiliche papali: manoscritti e libri a stampa, antichi e moderni, incisioni, giornali e riviste, fotografie provenienti dalle raccolte librarie e documentarie del Senato della Repubblica. Per il cardinale Parolin la mostra "è un segno di attenzione" per l'Anno Santo voluto da Papa Francesco.

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Vatileaks2. Interrogati Fittipaldi e Vallejo Balda

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Nessuno sapeva che volevo passare dei documenti ai giornalisti: così mons. Angel Lucio Vallejo Balda nella sesta udienza del processo in Vaticano per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Anche ieri il giornalista Gianluigi Nuzzi, dichiarato contumace, era assente per seguire un processo penale a suo carico a Milano. Presenti invece, come ricorda una nota della Stala Stampa vaticana, gli altri imputati: Nicola Maio, Francesca Immacolata Chaouqui, che ha accusato un lieve malore ma non ha voluto lasciare l'aula, e il giornalista Emiliano Fittipaldi, interrogato nel pomeriggio. La prossima udienza, se non ci saranno rinvii, sarà venerdì prossimo. Il servizio del nostro inviato Massimiliano Menichetti

L’interrogatorio di Fittipaldi
“Come giornalista italiano sono vincolato dal segreto professionale”. Sono le prime parole di Emiliano Fittipaldi davanti al Collegio giudicante presieduto dal prof. Giuseppe Dalla Torre. L’imputato ha precisato che avrebbe risposto alle sole domande che non avrebbero violato la segretezza delle fonti. E per questo motivo non ha spiegato nulla circa i contenuti dei tre incontri avuti a quattrocchi con  mons. Vallejo Balda e in relazione ad alcuni documenti che i due si sarebbero dovuti scambiare.

Fittipaldi incontra mons. Vallejo insieme a Chaouqui
Rispondendo alle domande del promotore di Giustizia e degli avvocati di parte ha confermato che nell'aprile/maggio 2015 ha conosciuto, grazie alla mediazione della  Chaouqui, l’ex segretario di Cosea, ma di non aver avuto con lui una particolare frequentazione. “Non sapevo e non so nulla della sua vita”, ha sostenuto.

La consegna spontanea dei documenti
Mons. Vallejo gli girò 20 fogli, Fittipaldi ha ribadito, che inizialmente non chiese nulla ma che il prelato consegnò spontaneamente dei documenti. Ha sostenuto lo scarso valore giornalistico del materiale ricevuto e ammesso di aver utilizzato solo due documenti per il suo libro che in realtà, all’epoca delle acquisizioni, era già in sostanza ultimato. Per il lavoro di Fittipaldi centrale era la spinta alla trasparenza impressa da Papa Francesco ed in questa linea di indagine analizzava le posizioni di Ior, Apsa e Congregazione delle Cause dei Santi, essendosi sempre occupato di tematiche vaticane di carattere economico.

Nessun rapporto con Nuzzi e Maio
Ha confermato di aver conosciuto Nuzzi solo all’inizio del processo, così come Maio. Ha evidenziato di non aver mai minacciato mons. Vallejo Balda, anzi di aver sempre avuto un comportamento garbato e rispettoso, fatto questo che ha avuto riscontro immediato nei diversi messaggi “Whatsapp” scambiati tra i due, agli atti e letti in aula. Ha confermato di aver cercato per il suo lavoro d’indagine la Chaouqui dopo lo scandalo “della terrazza su San Pietro per le canonizzazioni dei due Papi”. Fittipaldi ha riportato lo stato di tensione di mons. Vallejo Balda il quale diceva di essere preoccupato per una serie di relazioni citando il faccendiere Luigi Bisignani.

I timori di mons. Vallejo
Nella mattinata gli avvocati di parte hanno completato l’interrogatorio con mons. Vallejo Balda il quale ha ancora una volta ripetuto lo stato di soggezione che provava nei confronti di Francesca Immacolata Chaouqui. Ha ricordato anche gli incontri con Bisignani e Paolo Berlusconi, voluti dall’imputata spiegando che l’uno era per convincerlo che la donna appartenesse ai servizi segreti e l’altro per mostrare il legame con una famiglia importante e potente. “Il timore aumentò - spiega mons. Valliejo Balda - nel capire che lei non era dei servizi”.

Nessuno sapeva
L’ex segretario della Cosea ha continuato a sostenere uno stato di pressione, di ansia, generato anche “dalle minacce dirette” della collaboratrice, per continuare a lavorare in Vaticano anche dopo il suo allontanamento. Mons. Vallejo Balda ha spiegato che insieme a Maio e Chaouqui ha lavorato ad un dossier da consegnare al Papa basato su notizie che lo preoccupavano, raccolte in internet, e poi di aver maturato l’idea di diffondere i documenti riservati. “Nessuno sapeva dell’intenzione - ha detto - di voler fornire il materiale ai giornalisti” Nuzzi e Fittipaldi, "neanche Francesca Chaouqui di cui non mi fidavo". "Era un modo di pagare la mia libertà". Mons. Vallejo Balda ha spiegato ancora che Nuzzi era più vicino al “mondo” definito più volte “pericoloso” di Chaouqui, come gli avrebbe detto anche Fittipaldi, il quale invece, secondo il prelato, era più distante da quella realtà fatta da condivisioni di notizie. Ha ribadito di aver incontrato separatamente i due cronisti e di aver visto Fittipaldi circa quattro volte. Ha escluso di “essere stato minacciato” dai due, ma ha confermato di aver comunque provato una tale sensazione.

Il memoriale
Più volte nella ricostruzione del prelato è stato citato il memoriale da lui scritto durante il primo arresto. A tal proposito l’avvocato di Francesca Immacolata Chaouqui ha depositato due “chiavette usb” contenenti la registrazione di conversazioni tra la sua assistita ed un’amica fidata di mons. Vallejo, in cui quest’ultima asserirebbe la falsità del memoriale. Fatto questo contestato dal prelato poiché la donna in questione "non avrebbe avuto la disponibilità del documento".

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Mons. Urbanczyk all'Onu: traffico droga alimenta crimine organizzato

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“Tra i risultati più nefasti di un mondo sempre più interconnesso è la proliferazione del traffico internazionale illegale dei narcotici”. Così mons. Janusz Urbanczyk, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu a Vienna, si è espresso nel suo intervento ieri presso la Commissione sulle sostanze stupefacenti, riunita in preparazione della speciale sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite dedicata al “problema mondiale della droga”. Il servizio di Roberta Gisotti

“Dai poveri lavoratori rurali nelle conflittuali zone di produzione ai benestanti utenti finali metropolitani, il traffico illecito di droghe – ha osservato mons. Urbanczyk – non rispetta confini nazionali o ceti socieconomici”. “Risposte efficaci richiedono”, quindi, “sforzi da tutte le parti” per affrontare “anche le cause sociali di queste attività”. I proventi del traffico di droga potenziano infatti la criminalità organizzata, che si afferma diffondendo “paura e violenza”. “Con preoccupazione”, ha sottolineato il presule, la Santa Sede prende atto del “legame tra commercio illegale di droga ed altre attività inumane come traffico di persone, proliferazione di armi leggere e di piccolo calibro, crimine organizzato e terrorismo”. Ciò dimostra che l’abuso di sostanze stupefacenti è un dramma che ha impatti devastanti sulle comunità ben oltre l’utente finale. Le dinamiche di offerta e di domanda di droga – ha aggiunto mons. Urbanczyk – sono un potente impedimento agli individui, alle comunità e alle nazioni di realizzare il loro sviluppo economico, politico e sociale.  

E se il commercio di droga è condizionato dalla domanda, che arriva in gran parte dal mondo sviluppato, occorre sì concentrarsi sulle zone di produzione ma anche affrontare le cause alla base del consumo e trovare gli strumenti per riabilitare i tossicodipendenti, perché possano tornare a contribuire pienamente al bene comune.

Per questo la Santa Sede – presente in tutto il mondo con circa 12 mila ospedali e istituzioni cattoliche di cura e di medicina preventiva – fa appello perché le cure sanitarie siano centrali nelle politiche antidroga “non solo per prevenire l’abuso, ma anche per alleviare le sofferenze dei tossicodipendenti”, devastati nella vita fisica, psichica, sociale, spirituale e delle loro famiglie e comunità. “Nessun toccato da questo dramma – ha ammonito il presule – soffre come individuo isolato la devastazione e la diminuzione della dignità umana che ne deriva”. “Un problema multiforme richiede, perciò, soluzioni multiformi”, ha concluso il rappresentante vaticano, raccomandando infine “un approccio centrato sulle persone, che riconosca la dignità innata e il valore di ogni vita umana”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Porte aperte ai migranti: all'udienza generale l'invito del Papa alle nazioni.

Il testo integrale dell'intervista a Benedetto XVI contenuta nel libro "Per mezzo della fede - Dottrina della giustificazione ed esperienze di Dio nelle predicazione della Chiesa e negli Esercizi Spirituali", con un articolo di Lucetta Scaraffia dal titolo "Se è Dio a doversi giustificare" e di Enzo Bianchi sulla giustizia che diventa misericordia.

Speranze di pace per la Siria: Kerry in missione a Mosca.

Oltre dodici milioni di morti per l'inquinamento.

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Oggi in Primo Piano



Consiglio d'Europa. No definitivo all'utero in affitto

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Il Consiglio d’Europa ha respinto definitivamente con 16 voti contrari e 15 favorevoli la pratica della cosiddetta maternità surrogata. La Commissione affari sociali dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha bocciato ieri il testo proposta dalla deputata belga, Petra de Sutter, che chiedeva in particolare ai governi dei 47 Stati membri del Consiglio di seguire la strada di una “regolamentazione internazionale” della pratica. Decisivo il voto delle due delegate italiane, le deputate Pd Eleonora Cimbro e Teresa Bertuzzi. Davanti alla sede parigina del Consiglio d’Europa, in coincidenza del voto, si sono tenute manifestazioni di varie associazioni, molte delle quali di ispirazione cristiana. "Non c’è dubbio che si tratti di una buona notizia”, ha commentato in una nota l'on. Paola Binetti di Ap (Ncd-UdC). “La votazione – scrive la Binetti – ha avuto solo un voto di scarto tra oppositori e fautori, ma non c’è dubbio su quale sia stata la volontà politica di mettere un freno a questa pratica che rappresenta una violazione dei diritti del bambino e uno sfruttamento del corpo delle donne”. Soddisfazione da Nicola Speranza, portavoce della Federazione Europea dell’Associazione Famiglie Cattoliche. Ascoltiamolo al microfono di Paolo Ondarza: 

R. -  Di fronte ad un testo che apriva a certe forme di maternità surrogata, siamo molto soddisfatti che questa relazione sia stata rifiutata in toto, in un primissimo stadio della procedura dell'assemblea parlamentare. Tanti sono stati i punti controversi a cominciare dalla nomina della relatrice, la quale per prima nella sua clinica in Belgio pratica la maternità surrogata. Quindi c'era anche una questione di conflitto di interessi. Adesso il fatto che la commissione, con una maggioranza non schiacciante, bisogna riconoscerlo, abbia rigettato il testo, prova da un lato il fatto che non c'è unanimità su questa questione che, al contrario, solleva le preoccupazioni della maggior parte dei cittadini europei; e dall'altro notiamo anche che c'è un bisogno di allertare l'opinione pubblica, di formarla, sensibilizzarla su come l'utero in affitto sia veramente una violazione dei diritti dell'uomo.

D. - Quando lei dice che il testo prevedeva "certe forme di maternità surrogata" che cosa intende?

R. - La direzione era quella di una condanna generica della maternità surrogata cosiddetta commerciale e poi la legalizzazione per altre forme: quelle che non prevederebbero uno scambio di denaro.

D. - Quelle forme intese come "donazione"?

R. - Sì. Intese come donazione, ma sappiamo bene che non si può parlare veramente mai di donazione...

D. - E non è passato neanche questo tipo di maternità surrogata?

R. -  No. Non è stata accettata perchè proporre una legalizzazione significa un'accettazione di qualcosa che strumentalizza la donna ed anche il bambino.

D. - Un tema tanto sensibile è stato dibattuto a porte chiuse. Questo è stato criticato...

R. -  Noi come Federazione Europea dell’Associazione Famiglie Cattoliche abbiamo criticato questa decisione su un tema che tanto interessa l'opinione pubblica.

D. - Che peso avrà questo voto sia per quegli Stati in cui l'utero in affitto è una pratica legalizzata che in quelli in cui si dibatte della liceità della maternità surrogata come l'Italia?

R. - Io penso che incoraggerà chi in Europa si batte contro questa pratica. Lei parlava dell'Italia: dobbiamo dire che la delegazione italiana è stata alquanto chiara. I due membri (Pd) della Commissione sono stati molto decisi, anche se la relatrice faceva parte del loro stesso gruppo politico. Loro hanno votato contro. Quindi io penso che il primo risultato sia un grande incoraggiamento. Bisogna continuare su questa strada tracciata dal Parlamento Europeo precedentemente e a più riprese, che è quella di una proibizione, di un divieto di ogni forma di maternità surrogata. 

D.- Poco cambierà per quegli Stati in cui la maternità surrogata è legale?

R.- Sì, poco cambierà, ma essendo una battaglia etica per la vita, si tratta di una battaglia culturale. Vediamo che ci sono dei cambiamenti anche nei Paesi al di fuori dell'Europa nei quali la pratica della maternità surrogata era diventata quasi un'abitudine, una cosa normale. Ci sono delle restrizioni: penso al caso dell'India che adesso impedisce il ricorso alla maternità surrogata alle coppie straniere. Ci sono degli avanzamenti in questo senso.

D. - Quanto hanno pesato le proteste contro l'utero in affitto o la conferenza internazionale promossa dal movimento femminista a Parigi nelle scorse settimane contro la maternità surrogata?

R. - La mobilitazione è stata sorprendente: ha superato le abituali differenze politiche, ideologiche. Qui al Consiglio d'Europa mai si è vista una tale mobilitazione contro un progetto di risoluzione che non è neanche arrivato ad essere discusso in plenaria, ma è stato bloccato fin dall'inizio.

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Nigeria. Boko Haram attacca una moschea, 25 le vittime

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Attentato-kamikaze all’interno di una moschea alle porte di Maiduguri, capitale dello Stato del Borno, nel nord della Nigeria. Almeno 25 le vittime. L'ennesima stage è stata compiuta da due donne e la matrice sarebbe quella dei jihadisti di Boko Haram. Massimiliano Menichetti ha intervistato Anna Bono, docente di Storia dei Paesi e delle istituzioni africane presso l'Università di Torino: 

R. – Boko Haram vuole eliminare i cristiani dal nordest a maggioranza islamica. Inoltre, vuole – e per questo attacca anche le moschee e i fedeli islamici – una pratica religiosa più rigorosa, perché è un movimento integralista. L’obiettivo più estremo è quello di imporre la Legge coranica in Nigeria.

D. – Il governo nigeriano combatte questo estremismo ma sembra lontano dal riuscire a sconfiggerlo: perché?

R. – Intanto, perché il gruppo è molto radicato nel territorio e questo dipende dal fatto che è da molti anni che si è formato e per molti anni ha agito quasi indisturbato. In secondo luogo, io credo che il problema principale della Nigeria, sotto questo profilo ma anche sotto molti altri, sia quello della corruzione. La Nigeria è uno dei Paesi più ricchi del mondo, nel senso che è il primo produttore africano di petrolio, e da decenni, ma è anche uno dei Paesi più poveri del mondo, con tuttora più del 60% della popolazione che vive sotto la soglia di povertà.

D. – E che relazione c’è, dunque, tra il terrorismo e la corruzione?

R. – La povertà favorisce il reclutamento di terroristi, magari non convinti dal punto di vista religioso, trattandosi di Boko Haram, ma convinti dal fatto di ricevere una paga, un salario, un compenso. E poi, c’è il fatto che, anche il denaro stanziato per acquistare armi, per formare l’esercito che è stato spostato al nordest proprio per combattere i terroristi jihadisti di Boko Haram, anche quel denaro sparisce. Un fenomeno che si è verificato spesso è quello di contingenti militari che, invece di difendere le comunità, invece di attaccare o perlomeno di arginare Boko Haram quando attacca, scappano sostenendo, per l’appunto, di non essere in grado di farlo essendo meno equipaggiati.

D. – È stato asserito un legame con il terrorismo del sedicente Stato islamico. Ma quanto Boko Haram persegue un proprio fine nel territorio e quanto appartiene alla galassia del terrorismo internazionale?

R. – Questo è un punto interrogativo che si cerca di chiarire. Quello che è certo è che l’alleanza è stata stabilita già da oltre un anno. Si ha la certezza di rapporti: si è avuta notizia certa del trasferimento di forse centinaia di miliziani di Boko Haram, che sono partiti per la Libia proprio per sostenere l’Is, e contribuire lì al suo rafforzamento.

D. – Per quanto riguarda la Nigeria, il governo recentemente aveva dichiarato di aver inferto un colpo a Boko Haram, ma così non sembra…

R. – È una rivendicazione, un’affermazione ricorrente. Non è così. Praticamente non passa settimana senza un attentato di proporzioni minori per gravità e vittime. È vero che, rispetto al 2014, quando Boko Haram era riuscito a conquistare una notevole estensione di territorio incluse diverse città piuttosto importanti nel nordest, rispetto a quell’epoca Boko Haram ha perso posizioni. Ciò non tanto grazie all’intervento militare della Nigeria, ma grazie a quello dei Paesi vicini e in particolare del Chad.

D. – Perché poi, lo ricordiamo, Boko Haram attacca anche in Ciad, Camerun…

R. – Anche in Niger. Infatti, sono i Paesi che hanno per esempio proibito l’uso del velo integrale proprio per cercare di limitare il pericolo di attentati come quello di oggi che – ricordiamolo – è stato compiuto da due donne. Questa è ormai diventata un’abitudine per Boko Haram che addirittura impiega non donne ma bambine, approfittando del fatto che, con il velo integrale, è più facile passare inosservati e soprattutto nascondere esplosivo. Quella che servirebbe è un’azione più decisa da parte dei governi interessati, perché senza un loro reale impegno forte dall’esterno è molto difficile pensare di riuscire a fare qualcosa.

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Mozambico: migliaia in fuga dagli scontri riparano in Malawi

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Sono almeno 10 mila le persone rifugiatesi nelle ultime settimane in Malawi, in fuga dagli scontri nel confinante Mozambico. Un numero in costante aumento, tanto da indurre il governo malawiano a riaprire un ex campo profughi a Kapise. Sono sei le province del Mozambico dove soprattutto si registrano scontri tra i militari del Frelimo, il partito al governo, e le forze del partito di opposizione Renamo.  In una di queste, a Tete, vive il missionario dei padri bianchi, Claudio Zuccàla. Francesca Sabatinelli lo ha raggiunto telefonicamente: 

R. – Senz’altro è una situazione di grande tensione. Dire esattamente quante persone siano rimaste coinvolte, tra morti e feriti, è difficile. Di fatto c’è una “guerra a bassa tensione”, un termine un po’ forte, ma senz’altro il Paese vive un clima di grande tensione. Prova ne è che su tre importanti nodi, lungo le vie principali del Paese che collegano il centro al sud, ci sono delle scorte militari per accompagnare le vetture civili. Non abbiamo giornalisti sul posto che seguono e che monitorano la situazione, ma da una parte e dall’altra, ci sono stati episodi di violenza, il governo senz’altro ha minacciato e si è fatto prendere la mano nell’eseguire queste minacce sulla popolazione locale, che in alcune di queste province appoggia il partito all’opposizione, e poi gli uomini della Renamo hanno risposto con altrettanta barbarie. Il tutto parte dalle elezioni del 2014 che l’opposizione, il partito Renamo, si rifiuta di accettare perché sostiene siano state inficiate da gravissimi atti di scorrettezza.

D. – Il Mozambico è uscito tanti anni fa da una guerra durata oltre 15 anni, che ha visto sempre lo scontro tra Renamo e Frelimo. Negli ultimi anni, il Paese è stato preso come esempio di pacificazione e di convivenza: ma fittizia, viene da pensare…

R. – Il processo di pace è stato un po’ lacunoso su quello che è l’aspetto fondamentale dopo una guerra, che è quello di riconciliazione nazionale. Forse perché i due nemici si conoscono così a fondo, pare che non abbiano una profonda e completa fiducia l’uno dell’altro. Per cui, sì, è vero  che il Mozambico ha avuto una serie di elezioni “democratiche”, “libere” e, sì, è vero che per più di 20 anni, dal ’94, data delle prime elezioni, fino a tempi recenti il Paese ha goduto anche di un periodo se non di pace, però di assenza di guerre, di assenza di attriti in campo aperto. Certamente, però, la sfiducia e la mancanza di una vera riconciliazione sono sempre stati presenti. A più riprese l’opposizione ha attaccato il governo, dicendo che a ogni tornata elettorale c’erano delle frodi, magari in alcuni momenti dicendo la verità. Fatto sta che le ultime elezioni sono state forse la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ci sono dei risultati parziali che dovevano essere poi pubblicati e paragonati ai risultati finali, che invece fino ad oggi – è passato un anno e sei mesi – non sono mai stati mostrati.

D. – Secondo lei, che premesse sono queste? La situazione può peggiorare drammaticamente?

R. – Io le dico che mi trovo nella situazione di qualcuno che dopo tanti anni più conosce e meno capisce. Non mi azzardo a fare previsioni. Certo, il momento non è simpatico. Stavo vedendo il notiziario locale e la Renamo ha reiterato che prenderà il governo nelle sei province dove si sente di diritto di governare, dove dice di essere stata defraudata dal voto. Gli investitori non vedono di buon occhio questa situazione in un momento di crisi economica internazionale. E’ lecito preoccuparsi. C’è una cosa un po’ strana: c’è una parte della Renamo che siede in parlamento, dove è rappresentata da deputati democraticamente eletti, e c’è una parte invece che imbraccia il fucile e che si aggira per le boscaglie del Mozambico.

D. – La Chiesa, i vescovi del Mozambico, stanno facendo sentire la loro voce, hanno intenzione di prendere posizione? C’è qualche iniziativa in atto?

R. – La Chiesa è stata proposta come uno dei mediatori che il presidente della Renamo vorrebbe. Il presidente attuale della Repubblica del Mozambico ha reiterato più volte che vorrebbe assieme al presidente del Sudafrica, Zuma, anche la Chiesa cattolica come mediatore in questo colloquio di pace che si dovrebbe aprire. Come sempre, rimangono i fanti in prima linea: tanti nostri laici, catechisti, missionari, personale religioso che cerca di dare delle risposte ad hoc, quindi promuovendo il dialogo, cercando di fare il possibile, soprattutto per portare aiuto alle popolazioni civili che in queste situazioni sono sempre quelle che soffrono le conseguenze.

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Corea del Nord: 15 anni di lavori forzati per cittadino Usa

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In Corea del Nord le autorità hanno condannato a 15 anni di lavori forzati uno studente americano ventunenne, che è stato riconosciuto colpevole di “atti ostili” contro lo Stato. A gennaio scorso i media locali avevano annunciato la notizia dell’arresto, precisando che il ragazzo è entrato nel Paese in veste di turista con lo scopo di condurre attività criminali con la connivenza tacita degli Stati Uniti. Eugenio Bonanata ne ha parlato con la professoressa Rossella Ideo, coreanista e studiosa di storia politica e diplomatica dell’Asia orientale: 

R. – E’ una notizia che non stupisce, perché non è la prima volta che viene arrestato un cittadino americano con speciose accuse e soprattutto poi in questo momento: teniamo presente che c’è stata la condanna delle Nazioni Unite, con il Consiglio di sicurezza dell’Onu che ha inasprito tutte le sanzioni che sono state date alla Corea del Nord in questi anni, da quanto cioè ha cominciato con i suoi test nucleari e con i test missilistici. E poi c’è anche il fatto che in questo momento si stanno verificando le più vaste esercitazioni militari congiunte fra gli Stati Uniti e la Corea del Sud. Diciamo che è stato scelto un momento particolarmente teso nella penisola coreana…

D. – Possiamo dire che l’episodio si inserisce nella propaganda nordcoreana?

R. – Questo è sicuro! I nordcoreani tendono a far vedere ai propri cittadini che hanno la capacità di resistere alla più grande potenza mondiale, che ha messo sul tappeto i più sofisticati mezzi di offesa in queste esercitazioni militari con la Corea del Sud. Quindi, in un certo senso, dà una giustificazione a quella che è la sua politica, il suo rilievo internazionale.

D. – Cosa si conosce del rispetto dei diritti umani in Corea del Nord, visto che è un Paese chiuso?

R. – Si sa, da anni, che il rispetto dei diritti umani in Corea del Nord è assolutamente inesistente! C’è un arbitrio totale – direi – del regime nei confronti dei propri cittadini, che - attraverso un sistema capillare di controllo - possono finire in carcere senza neanche sapere perché, anche perché non esistono dei tribunali, delle sentenze che spieghino e permettano anche una difesa dei cittadini.

D. – In questi giorni, in sede Onu si è parlato della possibilità di accusare formalmente i vertici nordcoreani di crimini contro l’umanità. Qual'è il valore di questa presa di posizione?

R. – Sappiamo bene dall’esito della Commissione Kirby di due anni fa, che è una Commissione indipendente dell’Onu per i diritti umani, che ha rilasciato delle dichiarazioni e addirittura dei consigli e delle raccomandazioni, che esistono campi di lavoro, testimoniati ampiamente dalle analisi satellitari: campi di lavoro che si sono sempre più ingrossati, in cui cittadini, che vengono buttati – appunto – in carcere senza possibilità di difesa, vengono trattati a livello di schiavi e quindi senza alcun diritto; la Commissione Kyrbi – come dicevo - ha consigliato addirittura che venga istituito un tribunale ad hoc della Corte Penale Internazionale per incriminare per crimini contro l’umanità Kim Jong-un e chi gli sta intorno. Quindi è un fatto ormai assodato come per i cittadini nordcoreani non sia possibile difendersi in alcun modo da questo tipo di regime.

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Rapporto sulla felicità: fondamentale avere relazioni positive

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La Danimarca sarebbe il Paese più felice al mondo secondo un Rapporto elaborato in occasione della Giornata Mondiale della Felicità promossa dall’Onu per il 20 marzo. Il Burundi è l'ultimo in classifica. Nei 10 primi posti compaiono, oltre alla Danimarca, Svizzera, Islanda, Norvegia, Finlandia, Canada, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Australia e Svezia. L'Italia è al 50.mo posto, gli Stati Uniti al 13.mo, il Regno Unito al 23.mo, la Francia al 32.mo. Alla stesura del Rapporto hanno partecipato economisti, psicologi ed esperti di statistica. L'obiettivo è quello di costruire nuovi indicatori di benesse con il fine di orientare le scelte di politica economica, nell'ottica della promozione integrale del benessere della persona. Dai dati della ricerca emerge, tra l'altro, come molti appartenenti alle fasce di reddito più elevate dedichino poco tempo alle relazioni umane, con effetti negativi sulla felicità individuale. Sulla base di queste considerazioni, alcuni Paesi africani, come la Nigeria, sono risultati più felici di quelli europei. L'economista Luigino Bruni, docente di economia alla Lumsa, fa parte del gruppo di esperti che ha collaborato al Rapporto. Ascoltiamolo al microfono di Luca Collodi: 

R. – Questi studi si basano sulla felicità soggettiva delle persone, non tanto sul 'Pil' o su aspetti più oggettivi legati ad indicatori come l’ambiente, la qualità dei servizi. E' uno studio abbastanza recente che si basa su questionari rivolti a dei campioni di cittadini rappresentativi e dà, quindi, un’idea della percezione del benessere delle persone, cioè, di come un Paese si senta bene o male, in un certo momento, in un anno. Quindi come percepisce l’incertezza, la fiducia. Quello che viene fuori è che, in tutti i Paesi, ciò che conta molto per la felicità della persona non è tanto il reddito ma la qualità dei rapporti sociali. I beni relazionali sono i beni più preziosi per la felicità umana a tutte le latitudini, in tutte le regioni.

D. – Se sono felice, chi mi è vicino percepisce questo stato d'animo. Ciò può far bene anche allo sviluppo economico di un Paese?

R. – Certo. Perché le persone che stanno bene, che coltivano rapporti positivi, che hanno una vita relazionale sana, lavorano meglio, sono più “produttivi”. Basta pensare a quanto soffriamo negli uffici, nei luoghi di lavoro per i conflitti relazionali, per gente scontenta o depressa, che evidentemente porta con sé il malessere da casa in ufficio e viceversa, perché spesso anche l’ufficio produce depressioni e malessere che poi ci portiamo a casa. Quindi, investire sulla qualità dei rapporti sociali, fare in modo che la gente stia più insieme e guardi meno la televisione, che ci sia più incontro, più comunità, è un messaggio che emerge forte anche da questo tipo di studi sulla felicità.

D. – Come si può misurare la felicità umana con un dato concreto come l’economia, lo sviluppo e il progresso?

R. – Innanzitutto, da 40 anni, si è deciso di fare una semplice domanda alle persone: “Prendi la tua vita nel suo insieme oggi e valutala con un numero che va da 0 a 10”. E’ un’operazione molto semplice, ma quando la si fa per tanti anni e la si confronta con altri numeri – tipo l'inflazione, la disoccupazione, il reddito, vengono fuori cose interessanti. Il punto di partenza è molto semplice, talmente semplice che nessuno ci aveva mai pensato prima di qualche decennio fa, cioè domandare alla gente: “Bene, hai reddito, hai servizi pubblici, hai un certo tipo di ambiente circostante, ma tu come stai?”. Questa domanda è fondamentale, il chiedere alle persone, ed è stata alla base di una vera e propria rivoluzione a cui hanno lavorato anche Premi Nobel in economia. Ma ciò che poi importa è quello che comincia dopo la felicità: da cosa dipende il benessere delle persone, il malessere, quanto pesa il lavoro, quanto pesa un divorzio. Ad esempio, è interessante scoprire che una separazione, in termini di felicità, pesi come il peggioramento di un reddito che va dai 100 a 200mila euro. La gente, cioè, dà un valore enorme ai rapporti sociali, soprattutto quando finiscono. Si scoprono, quindi, delle cose su cui poi si interviene anche con politiche economiche. La gente soffre molto per aspetti legati ai lutti, alle depressioni. La depressione è la fonte principale di malessere che c’è al mondo e quindi, forse, proprio grazie a questi studi sulla felicità, potremmo investire di più nel prevenire le depressione rispetto ai centri commerciali o magari al gioco d’azzardo, che sono fonti di malessere e depressione.

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Gerusalemme, apre il Terra Sancta Museum, tra reperti e multimedia

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Taglio del nastro domani a Gerusalemme nel Convento della Flagellazione per la prima sezione del Museo dedicato  alla presenza cristiana in Terra Santa. Documenti, archeologia e multimedialità insieme per far immergere pellegrini e turisti nella storia della città santa . Il servizio di Paolo Ondarza

Preziosi reperti archeologici, musica, proiezioni multimediali: tutto questo è il "Terra Sancta Museum - Via Dolorosa". Un percorso coinvolgente che riporta alle origini della fede e restituisce vita alle pietre, testimoni della Rivelazione divina. Padre Eugenio Alliata, archeologo francescano della Custodia di Terra Santa:

R. – La prima sezione che aprirà sarà di tipo multimediale: è quella di più facile accesso alla generalità dei pellegrini perché, oltre che uno stimolo culturale e archeologico, ha anche uno stimolo emozionale. Sarà dedicata alla Via Dolorosa.

D. – Cioè la via che Gesù ha percorso con la Croce sulle spalle fino al Calvario?

R. – Dal pretorio al Golgota.

D. – Che cosa vedranno i visitatori rispetto a questa sezione multimediale della Via Dolorosa?

R. – Dunque, abbiamo attrezzato un ambiente dell’antico Convento della Flagellazione, un ambiente che conserva quelle parti che sono state trovate in sito nella costruzione dello stesso. In particolare, conserva delle parti della Fortezza Antonia, il luogo tradizionale della condanna di Gesù a Gerusalemme. Noi mostriamo un antico pavimento, chiamato Litostroto, frammenti di pietra che sono stati trovati sul posto risalenti sia all’epoca erodiana, quindi appartenenti all’antica fortezza o al tempio di Gerusalemme, sia di epoca adrianea, cioè l’epoca in cui l’imperatore romano Elio Adriano costruì la nuova città di Gerusalemme chiamandola con il suo nome: "Aelia Capitolina". C’è poi un percorso video, musicale, di voci che accompagna il visitatore lungo la storia di questo sito. È lì che la presentazione diventa un po’ più emozionale, emotiva, perché il pellegrino viene chiamato a immedesimarsi su quel percorso che altri pellegrini hanno fatto prima di lui: “gli apostoli, anime di santi, anime di cavalieri”… Così ha scritto Papa Giovanni XXIII, quando  è venuto pellegrino in Terra Santa, era ancora semplice sacerdote della diocesi di Bergamo. Il pellegrino è chiamato a immedesimarsi in questa lunga schiera di pellegrini che sono passati prima di lui in questi luoghi.

D. – Quindi, un percorso fortemente suggestivo per riscoprire le radici della presenza cristiana in Terra Santa, ma anche favorire il dialogo con altre culture e religioni dal momento che il museo è rivolto a tutti, è aperto a tutti…

R. – Non soltanto in generale è rivolto a tutti, ma abbiamo fatto uno sforzo particolare nel preparare testi nelle varie lingue. Tra queste, anche quella ebraica e araba in maniera che anche la popolazione locale, sia gli ebrei che gli arabi, possa essere coinvolta all’interno di questa presentazione.

D. – Stiamo parlando di una prima parte di un polo museale che prevede un’estensione dell’area espositiva nei prossimi anni…

R. – Noi prevediamo che, terminato questo primo passo in Gerusalemme, possiamo estendere lo stesso concetto in altri Santuari della Terra Santa, come Nazareth per esempio, Cafaranao, Monte Tabor, Ain Karim, Betlemme. Il progetto è grande, però sappiamo che non dobbiamo realizzarlo tutto in una volta, ma lo realizzeremo a poco a poco, ma mano che sarà possibile dal punto di vista pratico.

D. – Certo, iniziative come queste rendono ancora più ricca e coinvolgente l’esperienza del pellegrinaggio in Terra Santa che - va detto - negli ultimi anni ha visto una flessione in quanto a presenze…

R. – Soprattutto dall’Europa e da altri Stati occidentali c’è stata una diminuzione notevole dovuta a molti fattori, però l’esperienza del passato ci insegna che questi sono momenti di flessione. La Terra Santa ha un’attrazione così forte! Siamo convinti che il pellegrinaggio riprenderà appena possibile.

D. – Nell’immediato, pensando alla celebrazione della Pasqua questo museo offre una ricchezza in più a chi si recherà in Terra Santa…

R. – Giustamente, abbiamo voluto che l’apertura fosse prima della Pasqua, quando l’afflusso dei pellegrini è maggiore in Gerusalemme.

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Nella Chiesa e nel mondo



Francia. Il card. Barbarin: mai coperti casi di pedofilia

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“Tristezza e costernazione”, ma anche “profonda incomprensione” e “dolore” nel vedersi accusato in maniera così “ingiustificata”. Così il cardinale arcivescovo di Lione Philippe Barbarin ha commentato la notizia della denuncia depositata nei suoi confronti da un gruppo di vittime di abusi da parte di un prete pedofilo per “messa in pericolo della vita altrui e provocazione al suicidio”.

Profonda incomprensione per questa denuncia
“Pur comprendendo il dolore di ogni persona vittima di atti tanto più inammissibili in quanto commessi da un sacerdote – si legge in un comunicato diffuso ieri dall’arcidiocesi -, il cardinale non può non manifestare la sua profonda incomprensione di fronte a questa denuncia”. Nel testo si spiega come gli abusi siano stati commessi da un sacerdote della diocesi di Lione negli anni ’90, quando la vittima che ha presentato denuncia, aveva dai 16 ai 19 anni. È nel 2009, che la vittima incontra il cardinale Barbarin e gli comunica la sua intenzione di presentare denuncia. “Denuncia – si legge nel comunicato – che sarà depositata e archiviata senza azioni da parte della giustizia”.

Un’accusa ingiustificata
“È con dolore – prosegue il comunicato – che il card. Barbarin si vede accusare oggi in maniera così ingiustificata, tanto è evidente che in nessun caso lui ha messo in pericolo la vita di altri né incoraggiato qualcuno a suicidarsi. Il porporato chiede solennemente che si lasci la giustizia indagare con serenità. L’interesse di coloro che hanno presentato denuncia come quello delle persone che sono state denunciate, è che la giustizia stabilisca la verità”. L’arcivescovo di Lione ribadisce ancora una volta la sua disponibilità a “cooperare in tutta trasparenza con la giustizia”.

L’intervento di mons. Pontier all’apertura della plenaria a Lourdes
Sul caso è intervenuto anche il presidente della Conferenza episcopale francese mons. Georges Pontier, all’apertura stamane della plenaria dei vescovi a Lourdes. “Il card. Barbarin – ha detto l’arcivescovo di Marsiglia nella prolusione ai lavori – ha espresso chiaramente il suo impegno e quello della diocesi a lavorare lealmente con la giustizia. Tengo ad assicurargli le nostre preghiere e la nostra amicizia”. Mons. Pontier ha inoltre ribadito che i vescovi francesi sono mossi dalla volontà “di fare luce sulla verità per le vittime”. “Questa questione dolorosa dell’atteggiamento della Chiesa nei confronti della pedofilia – ha ricordato - è stata al centro di un importante lavoro che abbiamo fatto nelle due scorse assemblee  a Lourdes.

Le misure prese dai vescovi francesi inequivocabili
Casi sparsi, recenti o più antichi, emergono ancora ogni anno nelle nostre diocesi. Il nostro impegno è chiaro e condiviso da tutti: privilegiare l’accoglienza delle vittime e delle loro famiglie; invitarli a denunciare; avviare le procedure canoniche contro gli autori di questi atti e lavorare in tutta lealtà con la giustizia del nostro Paese. Le regole, le buone pratiche e le misure di prevenzione e di educazione che abbiamo messo in atto, sono inequivocabili”. (A cura di Lisa Zengarini)

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India: il 30 agosto Giornata dei martiri dell'Orissa

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La Chiesa dello Stato di Orissa (in India centrorientale) celebrerà la "Giornata dei Martiri" il 30 agosto di ogni anno. Come riferisce l'agenzia Fides, lo hanno stabilito la Conferenza regionale dei vescovi dell'Orissa, scegliendo la data che è il giorno successivo del martirio di san Giovanni Battista. Mons. John Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar e presidente della Conferenza regionale, ha dichiarato a Fides: "Siamo felici di questa decisione, adottata per onorare e rispettare il sacrificio di oltre 101 persone che hanno perso la vita durante i massacri anticristiani del 2007 e del 2008: la maggior parte delle vittime proviene dal distretto di Kandhamal".

I vescovi d'Orissa hanno chiesto che il 30 agosto sia festa nazionale
La Conferenza regionale dei vescovi dell'Orissa ha chiesto ufficialmente alla Conferenza episcopale indiana (Cbci) di rendere il 30 agosto "festa nazionale" per ricordare i martiri dell'Orissa. "Siamo in attesa della decisione della Cbci, ma siamo fiduciosi che sia un parere favorevole" ha detto mons. Barwa, che ha tenuto un intervento alla recente Assemblea plenaria dei vescovi indiani, svoltasi a Bangalore, registrando il sostegno dei presuli su questa iniziativa. "Dopo la mia presentazione sulla vicenda dei martiri dell'Orissa, molti vescovi erano desiderosi di saperne di più" ha detto.

La Chiesa vorrebbe avviare il processo diocesano per il martirio dei 101 cristiani
​La Conferenza dei vescovi dell'Orissa ha già incaricato uno speciale team di preti e ricercatori per documentare gli incidenti che hanno causato la morte di 101 cristiani in Orissa. Con l'appoggio della Conferenza episcopale, la diocesi di Cuttack-Bhubaneswar vorrebbe avviare il processo diocesano per dichiarare il martirio, nominando un "postulatore” per la causa. La comunità cattolica locale in Orissa ha accolto con grande favore e gioia la decisione dei vescovi di celebrare la Giornata dei martiri il 30 agosto. (S.D.- P.A.)

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Pakistan. Attacchi alle chiese di Lahore: ancora nessun colpevole

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A che punto sono le indagini sugli attentati che un anno fa hanno funestato due chiese cristiane a Lahore? Nel primo anniversario delle esplosioni davanti alla chiesa cattolica di San Giovanni e alla chiesa di Cristo (anglicana), avvenuti il 15 marzo 2015 a Youhanabad, quartiere di Lahore, le organizzazioni della società civile e le Chiese in Pakistan chiedono alle autorità di smuovere le indagini per fare giustizia sul massacro che fece circa 80 vittime.

La polizia ha detenuto molti innocenti ma nessun colpevole dell'attentato
In una nota ripresa dall'agenzia Fides, l’Ong “Christian Solidarity Worldwide” (Csw) osserva che “mentre il governo del Punjab ha arrestato circa 100 giovani cristiani sospettati di linciaggio seguito a quegli attentati” – due presunti complici dei terroristi vennero uccisi dalla folla – non c’è stata la stessa sollecitudine nel perseguire gli organizzatori degli attentati. “La polizia ha compiuto retate a Youhanabad detenendo illegalmente molti innocenti” nota Csw, ma nel primo anniversario degli attacchi alle chiese “nessuno è stato ancora chiamato a rispondere di questo crimine”.

Le minoranze in Pakistan sono ancora discriminate
Gli attentati di Lahore hanno riproposto il tema della sicurezza delle chiese e delle istituzioni cristiane nel Paese. “Le minoranze religiose in Pakistan – nota Csw – affrontano una diffusa discriminazione sociale e istituzionale, oltre a minacce e violenze, alimentate dall’odio religioso diffuso da leader influenti che incitano apertamente alla violenza contro le minoranze non musulmane. Questa situazione è aggravata dall’impunità”.

La società civile ha chiesto di promuovere la tolleranza religiosa e sociale
​La società civile esorta il governo a mettere in atto le raccomandazioni contenute in un pronunciamento della Corte Suprema del Pakistan 2014, che chiedeva di istituire una task force speciale per le minoranze, di adottare misure per frenare i discorsi di odio e di sviluppare programmi di studio appropriati che promuovano la tolleranza religiosa e sociale. (P.A.)

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Chiesa argentina su Cura Brochero e Mamma Antula

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La Chiesa argentina vive oggi una doppia gioia perché in quest’anno sono state approvate la beatificazione della venerabile Maria Antonia de San José, conosciuta amorevolmente come Mamma Antula e la canonizzazione del beato José Gabriel del Rosario Brochero, chiamato dai fedeli il “Cura Brochero”, e annunciata, ieri, durante il Concistoro presieduto da Papa Francesco. Un comunicato della Commissione permanente dell’episcopato argentino ha annunciato che le celebrazione si terranno rispettivamente  il 27 agosto a Santiago del Estero e il 16 ottobre a Roma.

Mamma Antula e gli esercizi spirituali di Sant'Ignazio
“Mamma Antula – si legge nella nota - ha consacrato i suoi giorni alla divulgazione degli esercizi spirituali di San Ignazio di Loyola, dopo che i sacerdoti gesuiti sono stati espulsi dal Paese nel 1767”. Il comunicato ricorda che la venerabile beata ha pellegrinato per tutta l'Argentina organizzando gruppi di preghiera fino al suo arrivo a Buenos Aires. “Dopo subire avversità e incomprensione, grazie alla sua forza di spirito - si legge - ha fondato la Santa Casa di Esercizi, che d’allora fino ad oggi, senza interruzioni, presta il suo servizio di evangelizzazione a migliaia di battezzati facilitando l’incontro con Gesù nella preghiera e nel silenzio”.

Il “Cura Brochero”, modello di predicazione e di umiltà
Il comunicato della Commissione permanente dell’episcopato argentino raccoglie una breve sintesi della vita di José Gabriel del Rosario Brochero, modello di sacerdozio “per il suo zelo missionario,  per la sua predicazione evangelica e per la sua dedizione”. Ieri, durante il Concistoro, Papa Francesco ha firmato il decreto di canonizzazione di un uomo di fede  molto amato dal popolo Argentino e la lui stesso. “Preoccupato per il bene comune  e per il benessere del suo popolo - si legge nella nota -  il Cura Brochero intraprese innumerevoli opere materiali lavorando insieme ai suoi paesani”. Anche per lui, la creazione della Casa di Esercizi Spirituali a Villa Brochero ha significato un “monumento pastorale” per l'evangelizzazione e la promozione umana.

Entrambi modelli di amore per i poveri
​“Entrambi, con un zelante amore per i poveri e un instancabile entusiasmo per l'istruzione di bambini e bambine nella catechesi, con austerità di mezzi e di vita, e come audaci pellegrini nel cammino del Vangelo - conclude la nota dell’episcopato - sono un’immagine viva di quello che oggi Papa Francesco ci invita come Chiesa in uscita”. (A cura di Alina Tufani)

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Vescovi argentini: affrontare il problema delle carceri

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Cambiare mentalità e affrontare, in forma concreta, la situazione delle persone private della loro libertà, in particolare di coloro che appartengono ai settori sociali più vulnerabili. È l’invito che la Conferenza episcopale argentina rivolge in un documento della 110ª assemblea plenaria, approvato nel mese di novembre 2015, ma reso noto ieri. Nel documento, dal titolo “Fui in prigione e veniste a trovarmi (cf. Mt. 25,36)”, la Chiesa esorta a sradicare qualsiasi forma di violenza istituzionale e a percorrere vie di riconciliazione e amicizia sociale.

Vescovi chiedono più politiche d'inclusione sociale
“Siamo convinti – scrivono i vescovi – che, in una società dove sfortunatamente si moltiplicano fatti delittuosi, uniti a violenza e morte, la soluzione non si raggiunga soltanto con pene più severe e con nuovi istituti carcerari. Crediamo che il cammino sia invece un altro: più politiche d’inclusione sociale che – nella ricerca del bene comune – offrano uguaglianza di opportunità a tutti i membri della società, al fine del loro giusto e doveroso sviluppo integrale”. 

Il carcerato è un Figlio di Dio che non deve perdere la condizione di persona
“Nessuno – aggiungono i vescovi - per il solo fatto di delinquere, perde la sua condizione di persona, Figlio di Dio e membro della famiglia umana. Deve pertanto essere trattato come tale. Non si deve mai sottoporre il rispetto della dignità della persona a nessun’altra finalità, come ad esempio, la correzione o la riparazione del danno. Dev’essere riaffermato il valore della giustizia, nel rispetto delle garanzie del regolare processo e del diritto alla giusta difesa secondo diritto”.

La risposta al delitto non sia soltanto la prigione e l'oblio dei detenuti
​Dal documento emerge, inoltre, la denuncia di “inammissibili celle di totale isolamento” nelle carceri argentine e di una corruzione che non consente ai detenuti di accedere ai beni essenziali per qualsiasi persona, quali l’alimentazione, l’assistenza, l’istruzione, la religiosità, i legami familiari, la ricreazione e l’arte. “Occorre un cambio urgente”, concludono i vescovi, auspicando che la società argentina possa costruire legami di comunione e di appartenenza tali che, di fronte al delitto, la risposta non sia soltanto la prigione e l’oblio dei detenuti. (R.P.)

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Panama: Caritas in aiuto dei profughi cubani

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Il card. José Luis Lacunza, vescovo di David, ha ricevuto un rapporto sulla situazione dei cubani a Paso Canoas, e ha annunciato che ne informerà i vescovi del Paese e insieme rifletteranno al riguardo. La nota ripresa dall'agenzia Fides dalla Caritas Panama, informa che Siexdel Candanedo, responsabile della Caritas a Chiriqui ha riferito che a Paso Canoas ci sono ancora più di 700 cubani compresi bambini, donne incinte e malati. Candanedo ha detto inoltre che il card. Lacunza incontrerà i sacerdoti di Paso Canoas e i gruppi della società civile per cercare di migliorare le condizioni degli immigrati.

Mancano cibo e servizi igienici
La Caritas di Chiriqui si è mobilitata per assistere i migranti cubani, ma la situazione è critica, perché il governo non sta fornendo loro il cibo necessario e ha tolto i servizi igienici, costringendoli così ad andare fino al fiume Chiriqui Viejo per lavarsi e per i loro bisogni fisiologici.

La situazione dei profughi cubani ora è critica
Secondo un primo rapporto dell'organizzazione “Giustizia e Pace” della Chiesa cattolica, negli ultimi giorni numerosi cubani sono arrivati alla frontiera Panama-Costa Rica per chiedere aiuto nel loro viaggio verso gli Stati Uniti. Un comunicato del gruppo di emigranti cubani giunti a Paso Canoas ha ringraziato il governo del Panama per l'assistenza fornita ai 1.300 cubani arrivati lì, ma adesso la situazione è diventata critica e chiedono l'aiuto dello Stato per una soluzione diplomatica. (C.E.)

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Iraq: Presidente Masum sulla presenza cristiana nel Paese

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I cristiani rappresentano una «componente originaria» dell’Iraq, come testimoniano gli antichissimi monasteri sparsi in tutto il territorio nazionale. Contro di loro si sono accaniti i gruppi jihadisti, come il cosiddetto Stato islamico, la cui crudeltà non ha però risparmiato neanche le popolazioni musulmane, come dimostrano le tante vittime anche sunnite e le moschee distrutte dai terroristi a Mosul. Così il Presidente della Repubblica, Fuad Masum, di etnia curda, ha parlato della condizione dei cristiani e di tutte le minoranze religiose presenti in Iraq, Paese minacciato da derive settarie e impegnato nel conflitto con il sedicente Is installatosi a Mosul dal giugno 2014.

Governo iracheno impegnato in difesa dei cristiani
La questione dei cristiani iracheni è stata al centro di un incontro avvenuto nei giorni scorsi in Egitto tra Masum e il patriarca copto ortodosso Tawadros II. Come riferito dall’agenzia Fides, il presidente iracheno ha rivendicato il ruolo attivo svolto dalle istituzioni governative in difesa dei cristiani, negando ogni tipo di discriminazione su base confessionale.

Il recente appello ai leader politici iracheni del patriarca Sako
All’inizio di febbraio, il patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël I Sako, aveva rivolto un accorato appello alle autorità governative e ai leader politici e religiosi per denunciare le perduranti discriminazioni giuridiche e le prepotenze di carattere settario subite dai cristiani. “Noi — scriveva il patriarca — ci siamo incontrati con gli ufficiali del Governo e con alcune delle autorità islamiche per parlare di ciò che abbiamo in comune, riguardo alle nostre fedi e alla vita che condividiamo in questa terra. Abbiamo assicurato di essere leali all’Iraq, di non cercare vendette, di voler vivere in pace con tutti gli iracheni. Purtroppo, nessuna delle promesse fatte dalle autorità è diventata realtà”. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 76

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.