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Sommario del 18/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il grazie del Papa ai Neocatecumenali in missione: col cuore vengo con voi

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Uniti come figli alla Chiesa, lontani dalla gloria del mondo, rispettosi dei “semi di grazia” che lo Spirito ha sparso in altre culture. Sono i tre aspetti principali che Papa Francesco ha messo in risalto nel discorso rivolto alla folta comunità del Cammino Neocatecumenale, circa 7 mila persone, incontrata in Aula Paolo VI. Il Papa ha consegnato la croce missionaria a circa 270 famiglie che partiranno per 56 missio ad gentes in tutti e cinque i continenti dicendo “con il cuore sono con voi”. Il servizio di Alessandro De Carolis

Tre parole come un sigillo: unità, gloria, mondo. Tre parole come un “passaporto” consegnato dal Papa ai duemila missionari del Cammino Neocatecumenale – tantissimi mamme e papà e i loro 1.500 figli – che presto si dissemineranno ovunque: 14 missio ad gentes in Asia, 30 in Europa, 6 in Africa, 4 in Oceania e 2 in America.

Umiltà, via maestra
Il colpo d’occhio dell’Aula Paolo VI gremita è notevole ma il picco di quello che uno degli iniziatori del Cammino, Kiko Argüello, chiama lo “spettacolo” delle famiglie missionarie lo si tocca quando i singoli nuclei si alzano in piedi non appena viene enunciata la loro destinazione. “Benedico il Signore per questo”, dice poco dopo tra gli applausi Francesco, il quale avverte subito di un rischio. Il demonio, afferma, può tentarci e “farci credere” che siamo “magari migliori degli altri", tentazione che può insinuarsi “anche nei carismi più belli”:

“Ogni carisma è una grazia di Dio per accrescere la comunione. Ma il carisma può deteriorarsi quando ci si chiude o ci si vanta, quando ci si vuole distinguere dagli altri. Perciò bisogna custodirlo. Custodite il vostro carisma. Come? Seguendo la via maestra: l’unità umile e obbediente”.

Fondati come Chiesa
“La comunione è essenziale”, ribadisce Francesco, e va vissuta con la consapevolezza che “la Chiesa è la nostra Madre”, con la quale i figli hanno “somiglianza”:

“Dopo il Battesimo non viviamo più come individui isolati, ma siamo diventati uomini e donne di comunione, chiamati ad essere operatori di comunione nel mondo. Perché Gesù non solo ha fondato la Chiesa per noi, ma ha fondato noi come Chiesa. La Chiesa non è uno strumento per noi: noi siamo Chiesa (...) Anche l’istituzione è infatti un carisma, perché affonda le radici nella stessa sorgente, che è lo Spirito Santo”.

La gloria paradossale
La seconda parola affidata dal Papa al Cammino Neocatecumenale è “gloria”, quella del Vangelo opposta – ricorda Francesco – alla fama che il mondo attribuisce a chi gode di ammirazione e importanza:

“È una gloria paradossale: senza fragore, senza guadagno e senza applausi. Ma solo questa gloria rende il Vangelo fecondo. Così anche la Madre Chiesa è feconda quando imita l’amore misericordioso di Dio, che si propone e mai si impone (…) Chi annuncia l’amore non può che farlo con lo stesso stile d’amore”.

Seminate la buona notizia
Dunque, non la “mondanità” – che anzi Dio “detesta”, rimarca il Papa – piuttosto il “mondo” che il Padre ama. “Mondo” è la terza parola con la quale Francesco si sofferma in particolare sul compito – non facile, riconosce, sofferto ma fatto “per amore” – che ora attende le famiglie missionarie:

“Considerate un dono le realtà che incontrerete; familiarizzate con le culture, le lingue e gli usi locali, rispettandoli e riconoscendo i semi di grazia che lo Spirito ha già sparso. Senza cedere alla tentazione di trapiantare modelli acquisiti, seminate  (…) la buona notizia che deve sempre tornare, altrimenti la fede rischia di diventare una dottrina fredda e senza vita”.

Col cuore sono con voi
Le ultime parole a braccio di Francesco sono di affettuosa riconoscenza a nome suo e della Chiesa  per la generosità dei missionari:

“Vi accompagno e vi incoraggio (...) Io rimango qui, ma col cuore vado con voi”.

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Neocatecumenali, 270 famiglie in mssione. La gioia con il Papa

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Grande gioia tra le circa 7 mila persone della comunità del Cammino Neocatecumenale che oggi hanno incontrato in Aula Paolo VI il Papa. Commozione tra le 270 famiglie che partiranno per 56 missio ad gentes nei cinque i continenti. Tutti lasciano una vita conosciuta per seguire la chiamata a testimoniare Cristo nel mondo. Massimiliano Menichetti ha raccolto alcune testimonianze: 

D. – Dove andrete?

R. – Etiopia. Siamo fiduciosi che Dio provvederà a tutto. Abbiamo già visto nella nostra vita che è stato così e per gratitudine noi andiamo dove Lui ci chiama. Speriamo di portare la gioia di stare con Cristo anche alle persone che non lo conoscono.

 R. – Andremo in Nuova Guinea. Non ci rendiamo neanche conto forse di quello che Dio sta facendo con noi. Lui sceglie e noi abbiamo semplicemente dato la disponibilità, sperando che qualcuno possa essere attratto da questo amore e interrogarsi, chiedere come mai si lascia tutto e con i bambini si parte. Speriamo che le persone capiscano che c’è un amore più grande, che c’è una chiamata al Cielo.

R. – We are actually…
Il Signore ci ha mandato a portare la luce in Vietnam. Il mio desiderio è che avvenga il miracolo per cui persone che hanno perso la fede, che hanno smesso di credere che Gesù Cristo è risorto, che sia mai venuto, possano trovare un nuovo, diverso modo di vivere, un modo diverso di vedere la vita. La vita è meravigliosa, la vita è splendida… Noi tendiamo molto a utilizzare la vita nel nostro modo egoistico, pensiamo che sia tutto “per  me, chiunque, qualsiasi cosa io faccia, qualsiasi cosa io abbia: è tutto per me”… Quello che spero è che questa luce splenda per altri perché riconoscano che c’è un modo diverso di vivere, che la famiglia non fa male, che i figli non fanno male. Non è doloroso essere padre, non è doloroso essere madre. Il mio auspicio è che ciò avvenga attraverso questa missione - perché la Chiesa ci ha preparati per oltre 15 anni, in modo che siamo capaci veramente di vivere questa esperienza: senza questa esperienza, cosa possiamo dare, cosa possiamo dire? In realtà, non si tratta tanto di quello che diciamo, quanto di cosa “loro” vedono, perché vedendo dicano: “E’ possibile un diverso modo di vita, esiste un modo diverso”. Per questo il mio desiderio è che gli altri vedano che Gesù Cristo è risorto, oggi, che non è una cosa che è accaduta duemila anni fa…

D. – Che vuol dire essere testimone in Australia di Cristo?

R. – Vivere normalmente come una famiglia cristiana in una realtà molto secolarizzata, le chiese sono vuote. Insieme con la mia famiglia con 14 figli cerchiamo di dare testimonianza che Dio è amore, che possiamo stare in comunione nonostante le nostre povertà, i nostri fallimenti, chiedersi perdono e stare in comunione in Cristo.

R. – Hemos sido destinados a Nigeria…
Siamo stati destinati in Nigeria e partiamo con tre figli, di 23, 18 e 16 anni. Ci spaventa un poco l’Africa, per quello che si sente alla radio, nelle notizie, per il terrorismo che è lì presente. Poi, però, siamo molto contenti perché è la volontà del Signore. E’ stato per estrazione e se il Signore ci ha messo lì sono sicura che sarà la cosa migliore: poter dare testimonianza di quello che il Signore ha fatto, attraverso il nostro matrimonio. 

D. – Voi avete un bimbo piccolissimo in braccio dove andrete?

R. – A Biarritz, al confine tra Francia e Spagna. Portiamo la misericordia che Dio ha avuto nei nostri confronti, la fedeltà del Signore che ci ha accolto. Portiamo la Chiesa che va a evangelizzare e non noi stessi, perché non siamo nulla per poter portare agli altri senza la Chiesa, senza Cristo.

R. – Sono figlio delle missioni a Kiev. Lì ho conosciuto mia moglie perché è figlia di un’altra famiglia missionaria che è andata lì. Ora faremo parte di una nuova missio ad gentes in una nuova zona della città dove non c’è nessuna presenza della Chiesa cattolica. Il Signore ci precede, di questo ne siamo certi.

R. – Non volevo andare in missione, avevo paura, avevo i miei amici qui in Italia. Poi, però, ho capito che il Signore mi ha donato una luce, una speranza da condividere con il popolo ucraino, perché il Signore è lì che ci ha chiamati per ora.

R. – Mi misión serà en el pueblo de…
La mia missione sarà nella contea di Jönköping in Svezia. Sarà una testimonianza delle grazie che mi ha dato il Signore, di come ha trasformato la mia vita e quella della nostra famiglia. Credo sia importante la testimonianza di fede in Gesù Cristo che si può dare in un Paese dove la fede è morta e dove c’è bisogno che sia ravvivata.

R. – Andiamo in Austria. Certo che un po’ di paura c’è sempre. Ci sono i figli grandi, però, ho visto che si può entrare nelle difficoltà e risorgere insieme a Gesù Cristo. Come la Pasqua che ci aspetta, si risorge. Ho visto cose concrete nella mia vita. Ho sperimentato che si può entrare nella morte di tante cose e risorgere insieme a Cristo.

D. – Cosa porterà con lei di questo incontro con il Papa?

R. – È fondamentale per noi, è una conferma nella nostra vocazione e nella nostra missione.

R. – A me incoraggia il fatto che questo invio viene dal Papa, viene dalla Chiesa. Non è che un giorno mi sono svegliata e ho detto: “Da oggi divento missionaria”…

R. – L’appoggio, la conferma del Santo Padre.

R. – Tanto coraggio.

D. – Cosa porterà con lei di questo incontro con il Papa?

R. – Io sono una protestante convertita. Non vedevo bene la figura del Papa. Il Signore mi ha veramente toccato il cuore. Oggi, per me è un momento storico della mia vita. Porto nel cuore questa figura che rappresenta Cristo sulla Terra e mi commuove tantissimo.

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Cantalamessa: ricomporre unità tra cattolici e protestanti

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Tutto ci spinge ad andare avanti nello sforzo di ricomporre l’unità tra cattolici e protestanti: questo, in sintesi, quanto ha detto padre Raniero Cantalamessa nella quinta predica di Quaresima tenuta nella Cappella Redemptoris Mater per il Papa e la Curia Romana. Il predicatore della Casa Pontificia ha svolto la sua meditazione sul Decreto conciliare sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio”. Il servizio di Sergio Centofanti

C'è chi non si è accorto che le guerre tra cattolici e protestanti sono finite
Il mondo cristiano si prepara a celebrare il quinto centenario della Riforma. “E’ vitale per tutto il futuro della Chiesa – ha detto padre Cantalamessa – non sciupare questa occasione rimanendo prigionieri del passato”, anche perché il Signore “invia il suo Spirito e i suoi carismi su credenti delle più diverse Chiese, anche quelle che credevamo le più distanti da noi”:

“Ci sono cristiani che bisogna convincere, in entrambi gli schieramenti, che la guerra è finita, le guerre di religione tra cattolici e protestanti sono finite. Abbiamo ben altro da fare che farci guerra l’un l’altro! Il mondo ha dimenticato, o non ha mai conosciuto, il suo Salvatore, colui che è la luce del mondo, il Dio con noi, la via, la verità e la vita, e noi perdiamo tempo a polemizzare tra di noi?”.

Mondo post-cristiano ha smarrito il senso del peccato
Oramai, ha spiegato il religioso cappuccino, sono state superate vecchie contrapposizioni, come quella legata alla Dottrina della Giustificazione che ha provocato la divisione nell’Occidente cristiano. E’ del 1999 la firma della Dichiarazione congiunta in cui cattolici e luterani affermano di aver raggiunto un consenso sull’argomento. “Non si è giustificati per le buone opere” ma per la grazia di Cristo – spiega padre Cantalamessa - tuttavia “non ci si salva senza le buone opere. La giustificazione è senza condizioni, ma non è senza conseguenze. Questo lo crediamo tutti, cattolici e protestanti e lo diceva già il concilio di Trento”.  Oggi – commenta – in questo “mondo largamente post-cristiano” che “ha smarrito del tutto” il “vero senso del peccato”, è necessario fare “un salto di qualità”:

“La giustificazione mediante la fede in Cristo dovrebbe essere predicata da tutta la Chiesa oggi e con maggior vigore che mai. Non più, però in opposizione alle ‘buone opere’ che è un problema risolto e superato, ma in opposizione, semmai, alla pretesa del mondo secolarizzato moderno di potersi salvare da solo, con la propria scienza, la tecnica o con spiritualità di propria invenzione. Sono convinto che se fossero vivi oggigiorno questo sarebbe il modo con cui Lutero, Calvino e gli altri riformatori predicherebbero la giustificazione gratuita mediante la fede!”.

Ecumenismo dell'incontro: la via dell'unità passa dall'amore
Oggi – ha proseguito padre Cantalamessa – accanto all’ecumenismo dottrinale si è sempre più sviluppato “l’ecumenismo dell’incontro e della riconciliazione dei cuori”. “Questa via all’unità basata sull’amore” è “già ora spalancata davanti a noi”:

“Non possiamo ‘bruciare le tappe’ circa la dottrina, perché le differenze ci sono e vanno risolte con pazienza nelle sedi appropriate. Possiamo invece bruciare le tappe nella carità, ed essere pienamente uniti, fin d’ora”.

Ci avviciniamo tra noi se ci avviciniamo a Cristo
Amarsi – ha concluso il predicatore della Casa Pontificia - “non significa guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione” che è Cristo:

“Se ci convertiremo a Cristo e andremo insieme verso di lui, noi cristiani ci avvicineremo anche tra di noi, fino a essere, come lui ha chiesto, ‘una cosa sola con lui e con il Padre’ (cf. Gv 17, 21). Succede come per i raggi di una ruota. Seguiamo il movimento dei raggi dal centro verso la circonferenza: man mano che si allontanano dal centro, si allontanano anche tra di loro. Se seguiamo il movimento dei raggi dalla circonferenza verso il centro, ci accorgiamo che mano a mano che si avvicinano al centro, si avvicinano anche tra di loro, fino a formare un punto solo: e così succede con Cristo”.

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Allo studio un viaggio del Papa in Armenia a giugno

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“Un viaggio del Papa in Armenia è allo studio e la seconda metà di giugno è il periodo attualmente preso in considerazione”: lo ha detto padre Federico Lombardi. “Il sopralluogo conclusivo degli organizzatori da parte vaticana – ha affermato il direttore della Sala Stampa vaticana - non è ancora avvenuto. Un programma definitivo approvato dal Papa non c’è”. Le date 22-26 giugno, riferite da qualcuno, “non sono esatte. E’ bene aspettare le decisioni conclusive per non creare confusione”, ha concluso padre Lombardi.

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Papa nomina mons. Stefano Russo vescovo di Fabriano-Matelica

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, l’arcivescovo Diego Causero, nunzio apostolico,  e i cardinali Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

In Italia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Fabriano-Matelica, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Giancarlo Vecerrica. Alsuo posto, il Papa ha nominato mons. Stefano Russo, del clero della diocesi di Ascoli Piceno, finora parroco della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo nella medesima diocesi. Il neo presule è nato ad Ascoli Piceno il 26 agosto 1961. Ha frequentato il Movimento Diocesano dell’Opera di Maria. Dopo aver conseguito il diploma di perito tecnico in Telecomunicazioni, si è iscritto alla Facoltà di Architettura di Pescara, laureandosi nel luglio 1990 con una tesi di indirizzo storico. Ha iniziato il percorso formativo al sacerdozio a Grottaferrata, presso il Centro Gen’s (Generazione Nuova Sacerdotale), Comunità dei Focolari, frequentando i corsi per il Baccalaureato in Teologia presso la Pontificia Università Lateranense. Il 20 aprile 1991 ha ricevuto l’ordinazione presbiterale presso la Cattedrale di Ascoli Piceno per le mani del compianto Ecc.mo Mons. Marcello Morgante. Dal 1990 al 2007 è stato Presidente della Commissione Arte Sacra e Beni Culturali della diocesi di Ascoli Piceno e Incaricato per i Beni Culturali Ecclesiastici della medesima diocesi; dal 1990 al 2005 è stato Membro della Consulta per i Beni Culturali Ecclesiastici della Conferenza Episcopale Marchigiana; dal 1995 al 2005 ha gestito e coordinato le attività del Museo Diocesano di Ascoli Piceno. Nel 1996 ha partecipato al Corso di formazione per l’edificazione e l’adeguamento liturgico degli edifici di Culto organizzato dalla Conferenza Episcopale Italiana; dal 1996 al 2005 è stato Incaricato Regionale per i Beni Culturali Ecclesiastici della Conferenza Episcopale Marchigiana; dal 1996 dirige il lavoro d’inventariazione informatizzata dei Beni Storico-Artistici della diocesi di Ascoli Piceno. Dal 1999 al 2001 è stato Amministratore parrocchiale della parrocchia di S. Pietro in Castel San Pietro (AP). Dal 2001 al 2005 è Responsabile dell’UDTAP, Ufficio che coordina gli interventi di recupero degli edifici di valore storico-artistico, danneggiati dal terremoto, di pertinenza della diocesi di Ascoli Piceno; Dal 2001 è Membro del Comitato dell’Ufficio Nazionale Beni Culturali Ecclesiastici della CEI; è Membro della Commissione per i Beni e le attività culturali della Regione Marche dal 2002 al 2005. Dal marzo 2005 all’agosto 2015 è stato Responsabile dell’Ufficio Nazionale Beni Culturali Ecclesiastici della CEI, continuando a servire come Vice parroco la comunità di San Giacomo della Marca. Dal novembre 2015 è Parroco della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, in Ascoli Piceno.

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Papa, tweet: più grande il peccato più la Chiesa ami chi si pente

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Più è grande il peccato e maggiore dev’essere l’amore che la Chiesa esprime verso coloro che si convertono”.

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Viganò: Francesco su Instagram, un Pontificato attraverso le immagini

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Papa Francesco aprirà domani il suo account su Instagram, il social network su cui si possono condividere foto ed immagini. Il nome dell’account papale sarà “Franciscus”. Sull’importanza di questa scelta, nel terzo anniversario dall’inizio del Pontificato, che arriva dopo la presenza con successo del Papa su Twitter, Alessandro Gisotti ha intervistato il prefetto della Segreteria per la Comunicazione, mons. Dario Edoardo Viganò

R. – Il Papa afferma che le immagini gli parlano molto e ha spiegato questo dicendo: “Quando un bambino mi incontra, mi dà un disegno. Io faccio le domande su quel disegno e, attraverso queste domande, il bambino piano piano tira fuori quello che ha voluto rappresentare”. Quindi le immagini sono non una fotocopia del reale, ma dicono molto di più: magari un dettaglio, un aspetto di una carezza del Papa, una benedizione... Quindi l’idea è proprio quella di raccontare un Pontificato attraverso le immagini per far entrare nei gesti di tenerezza e di misericordia tutte le persone che vogliono accompagnare o che sono desiderose di conoscere il Pontificato di Papa Francesco.

D. – Cosa ci si potrà aspettare sull’account Instagram “Franciscus”? Che tipo di foto e video e quali – magari – potranno essere i messaggi legati a queste immagini?

R. – Instagram non prevede un archivio precedentemente costruito, perché è – appunto – come un album di fotografie: un bambino nasce e man mano che cresce si fanno le foto e queste, poi, diventeranno l’album di famiglia. Quindi, che cosa faremo? Sceglieremo alcune foto fra quelle che il Servizio fotografico dell’Osservatore Romano fa al Papa, cercando di ritagliarne alcuni dettagli. E quindi ci aspetteremo che cosa? Di enfatizzare quegli aspetti di vicinanza, di prossimità e di inclusione che Papa Francesco vive quotidianamente. L’idea è proprio quella di condividere, con un aspetto anche emozionale, questo Pontificato.

D. – Questa nuova presenza del Papa sui social network avviene durante il Giubileo della Misericordia: c’è un legame tra questa scelta e il messaggio, appunto, di misericordia che propone l’Anno Santo?

R. – Certamente c’è il messaggio di voler raccontare il Papa e i suoi gesti di tenerezza e di misericordia. E poi, così come il Giubileo della Misericordia è un “Giubileo diffusivo” - nel senso dell’apertura delle Porte Sante un po’ in ogni luogo del mondo - è un po’ un “Giubileo globalizzato”, entrare in una Rete Sociale, come Instagram, vuol dire anche un po’ allargare Piazza San Pietro o allargare gli incontri del Papa e far diventare ogni luogo del mondo il luogo in cui ciascuno può realmente incontrare il Santo Padre.

D. – “La Rete – scrive Papa Francesco nel suo ultimo messaggio per le Comunicazioni Sociali, dedicato proprio al binomio comunicazione e misericordia - può essere ben utilizzata per far crescere una società sana e aperta alla condivisione”. Ecco, il Papa su Instagram – dopo Twitter – forse vuole anche essere da esempio, dare anche un incoraggiamento ai fedeli e non solo fedeli, in questo senso?

R. – Certo! Le Reti Sociali sono reti che, in qualche modo, allargano davvero gli orizzonti delle relazioni; sono relazioni diverse, ma non per questo relazioni contrapposte a quelle reali o meno vere: sono semplicemente diverse. E, in questo caso, il Papa ce ne mostra tutto l’aspetto positivo.

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Parolin a Skopje: umiliante che Europa chiuda porte ai migranti

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Per risolvere la crisi dei migranti  dobbiamo guardare a loro come persone in disagio, donne, bambini e anziani, bisognose di aiuto. Così il card. segretario di Stato Vaticano Parolin dopo l’incontro a Skopje con il premier macedone Dimitriev. In seguito alla chiusura della rotta balcanica  la Macedonia ha chiuso la frontiera per i profughi privi di documenti. Per il porporato  “ per arrivare ad una soluzione umana e giusta è necessario il dialogo tra paesi di origine, di transito e  di destinazione": Questa mattina invece inaugurando la nuova residenza vescovile e centro pastorale della diocesi di Skopje e dell’Esarcato Apostolico il segretario di Stato Vaticano ha rilevato: "di fronte al “grave dramma” di tanti emigranti, “dovremmo sentire umiliante dover chiudere le porte, quasi che il diritto umanitario, conquista faticosa della nostra Europa, non trovi più posto”.  Il porporato ha messo l’accento sulla fraternità e la collaborazione volenterosa che il popolo macedone che ha saputo costruire “al di là di ogni barriera culturale e religiosa”.

Sollecitudine verso i più poveri, seguire esempio di Madre Teresa
Il cardinale Parolin ha, quindi, assicurato che la Chiesa “vuole collaborare ad alleviare” le sofferenze dei più bisognosi ed ha rammentato che una figlia di Skopje, Madre Teresa di Calcutta, “è stata protagonista straordinaria della sollecitudine della Chiesa per le sofferenze e dell’uomo, con il suo inesauribile impegno verso i più poveri, nell’apertura di spirito e di cuore a uomini e donne di ogni razza e nazionalità”.

Promuovere dialogo tra Chiesa e società
Il porporato ha dunque riecheggiato Papa Francesco per ribadire che l’Europa necessita di maggiore audacia e solidarietà e di meno individualismo nell’affrontare l’emergenza dei migranti. Il segretario di Stato vaticano ha, infine, auspicato che la nuova residenza vescovile di Skopje sia “un luogo di accoglienza”, “un polo d’incontro fra la comunità cattolica e le altre comunità religiose, fra la Chiesa e la società” in ascolto “delle domande profonde e inquietanti che ci vengono dalla società e dalle periferie”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Con il respiro della Chiesa: al cammino neocatecumenale il Pontefice ricorda che ogni carisma è per la comunione.

In prima pagina un editoriale di Manuel Nin sull'inizio della Settimana santa nella tradizione bizantina.

Il solare Antonio e l'elegante Francesco - Antonio Paolucci sulla mostra di Correggio e Parmigianino alle Scuderie del Quirinale.

Via il lievito vecchio. La penitenza in sant’Ambrogio - una riflessione di Luigi F. Pizzolato.

Il motore del cambiamento: Andrea Agapito Ludovici sull’acqua, i cambiamenti climatici e l’Enciclica «Laudato sì».

Dario Fertilio sul libro "Leggere il Corano nel deserto" di Marco Alloni e Khaled Fouad Allam.

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Oggi in Primo Piano



Siria. Mons. Audo: serve accordo chiaro non falsa diplomazia

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Quinto giorno di colloqui a Ginevra tra governo e opposizioni siriane. Il mediatore Onu de Mistura avverte che le parti restano distanti anche se c’è condivisione circa l’integrità territoriale da conservare. I colloqui comunque non supereranno la durata dei 6 mesi, mentre sul terreno la tregua sembra reggere. Del negoziato e delle speranze della popolazione siriana, Gabriella Ceraso ha parlato con mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei e presidente di Caritas Siria, appena rientrato da Ginevra: 

R. – Prima di tutto, il fatto che c’è qualcosa a livello internazionale, anche se non so a quale risultato possa portare, per noi è già una cosa molto positiva e dà speranza. La seconda cosa importante è che qui sul terreno sentiamo che c’è un piccolo cambiamento: c’è un po’ d’acqua, di elettricità, non ci sono bombe che cadono. È una cosa un po’ nuova e anche questo dà speranza alla gente.

D. – Ma la gente continua ad andare via o sta cambiando anche questa tendenza?

R. – È una cosa che inizia, ma se non c’è un accordo chiaro, una soluzione politica, la gente comincerà di nuovo ad organizzarsi per partire.

D. – Lei ha parlato di un Paese che comunque si è svuotato per i due terzi: circa un milione di cristiani non ci sono più. Che effetto le fa vedere queste enormi folle migranti di cui si sta discutendo anche a Bruxelles?

R. – Io ho ripetuto sempre che la soluzione non sta nell’accogliere o meno queste persone, o nel chiedere alla Turchia di giocare non so quale ruolo, ma la responsabilità è di fare la pace e di aiutare la gente affinché possa tornare nei propri Paesi per vivere. Questa è la soluzione. Si deve aspettare ora una decisone politica per avere fiducia: che sia una decisione che non porti alla distruzione della Siria aiutando questi gruppi armati per interessi economici e strategici a livello internazionale e regionale. Le grandi potenze devono essere oneste con loro stesse, non fare della falsa diplomazia piangendo sulle minoranze cristiane e poi dall'altra parte fare di tutto per allontanarle dalla Siria.

D. – Ma esiste ancora ora pericolo per i cristiani come perle altre minoranze secondo lei? Pericolo di persecuzioni, di uccisioni, di pulizia etnica? Dagli Stati Uniti è arrivato questo termine duro: “genocidio”…

R. – Penso che non vi sia pericolo perché non ci sono bombardamenti. C’è meno pericolo perché forse sanno che si vuole una soluzione politica. Ma se  in Siria non c’è soluzione politica, di nuovo questa gente sarà armata e pagata e di nuovo ci sarà pericolo per le minoranze soprattutto per i cristiani.

D. – Ma il termine persecuzione è un termine ancora reale?

R. – Personalmente, quando parlo della Siria preferisco non parlare di persecuzione da parte dei musulmani contro i cristiani. Non è la vera storia dei cristiani in Siria. La causa vera è che questi gruppi armati sono incitati a attaccare i cristiani. Perché? Ci si deve chiedere il perché: per destabilizzare il Paese e dire che non c’è soluzione. Questo è il problema.

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Migranti: raggiunto l'accordo tra Unione Europea e Turchia

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E' stato approvato l’accordo Turchia-Ue sui migranti. Ad annunciarlo è stato  il premier ceco, Bohuslav Sobotka. Due le novità, almeno secondo quanto annunciato in maniera ancora informale. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Un tetto di 72 mila reinsediamenti di siriani nell’Unione Europea, a partire da domenica 20 marzo. Sarebbero queste le due novità contenute nell’accordo raggiunto dopo svariati "round" di incontri bilaterali tra istituzioni Ue e Turchia, per raggiungere un’intesa comune per la gestione della crisi dei migranti. Attorno al tavolo i presidenti di Commissione europea e Consiglio europeo, Juncker e Tusk, il premier olandese, Rutte, in qualità di presidente di turno del Consiglio Ue, e il premier turco Davutoglu. Successivamente, la sessione a 28. L’accordo con la Turchia, denunciano le organizzazioni umanitarie, rischia di trasformare i migranti in merce di scambio e inoltre rischia di spingere le persone nelle mani di contrabbandieri e trafficanti su rotte sempre più pericolose. Elisa Bacciotti  è la direttrice campagne di Oxfam Italia:

R. – Ci sono molti timori, da parte nostra. L’impressione è che i migranti di questo accordo Ue-Turchia siano diventati una merce di scambio, affinché vengano negoziati più soldi, condizioni favorevoli per l’ingresso in Europa per la Turchia, ma soprattutto che i diritti umani delle persone che stanno fuggendo da guerre e da situazioni di abusi non siano assolutamente tenuti in considerazione. Le bozze dell’accordo che abbiamo visto – e che non sappiamo naturalmente se siano queste la versione finale – parlano esplicitamente di rimandare i migranti arrivati in acque territoriali tra Grecia e Turchia, in Turchia, ma senza garanzie, perché questo non è un Paese che rispetta gli standard sui diritti umani a livello dei Paesi dell’Unione Europea. Le bozze che abbiamo visto espongono i migranti a processi di valutazione del loro diritto di richiesta d’asilo, quando sappiamo che ogni persona, ogni migrante, ha il diritto inalienabile di chiedere asilo e di veder valutata la propria posizione dopo un’accurata indagine. Questo sembra non essere più garantito in base alla bozza d’accordo. Addirittura, c’è una clausola che parla di scambio tra siriani che vengono rimandati in Turchia perché entrati illegalmente in Europa e di “resettlement” dei siriani, oggi, nei campi profughi turchi. Chiaramente, il reinsediamento dei profughi dalla Turchia all’Europa è una misura importante, ma non può essere attuata attraverso questa politica di scambio di persone!

D. – Quello che voi prefigurate – non da oggi, ma ormai da diverso tempo – è una palese violazione del diritto internazionale, purtroppo però adottata dalla stessa Unione Europea …

R. – Questo è un passo importante e questo accordo, così come è oggi, per quanto ne sappiamo, rischia di stabilire un precedente molto pericoloso. Cameron (premier britannico - ndr) parlava della necessità di tornare a puntare gli occhi anche sulla Libia, perché quello è un Paese dal quale arrivano e arriveranno molti migranti. Renzi (premier italiano - ndr) ha detto: un accordo come quello che stiamo negoziando con Ankara può servire da precedente anche per accordi con altri Paesi... Ecco, questo è particolarmente importante: cioè, non si tratta di una partita che oggi coinvolge Europa e Turchia, ma si tratta di una partita che può condizionare le politiche future dell’Unione Europea sulla questione della migrazione.

D. – E’ sembrato quasi possibile il rischio che ci fossero addirittura dei respingimenti di massa. Quello che si dice è che l’introduzione della parola “individuale”, in relazione alla gestione dei rimpatri, farebbe cadere questo pericolo…

R. – Bisogna vedere. Il diavolo è sempre nei dettagli, no? Chiaramente, se una persona – come dicevo prima – accolta in Grecia viene però intervistata sulla base di un colloquio di 10 minuti, per il quale può essere deciso il suo destino, e cioè se avrà accesso all’asilo o meno, e se questa procedura viene estesa a un gruppo di persone, è vero, sì, che l’intervista è stata individuale, ma quanta analisi c’è stata e quanta valutazione c’è stata sulla condizione individuale della persona? Quindi, dipenderà molto da come verranno messi in atto questi accordi. Il pericolo che vediamo è quello, sì, anche di respingimenti che possono diventare collettivi, perché non attuati in osservanza dei bisogni delle singole persone, delle singole famiglie.

D. – Voi avete anche emesso in evidenza come la politica che l’Unione Europea sta conducendo con Ankara possa portare ad un peggioramento dello sfruttamento da parte dei trafficanti…

R. – Certamente. Le persone che si stanno muovendo verso l’Europa cercheranno di far di tutto per arrivarci, abbiamo visto nei giorni scorsi la situazione a Idomeni e le persone che sono perfino morte per attraversare il fiume di confine tra Grecia e Macedonia. In Grecia sono bloccate 45 mila persone, ma altre migliaia di persone sono bloccate al confine tra Serbia e Macedonia, in campi che sono terra di nessuno. E’ chiaro che queste persone non possono restare in queste condizioni disumane e che faranno di tutto per continuare il loro viaggio. Allora, un accordo di questo tipo rischia di dare ancora più campo, di dare ancora più benzina ai contrabbandieri e ai trafficanti di persone, con tutto quello che ne consegue. E, chiaramente, anche rischia di aprire nuove rotte, considerando che la nuova rotta che passa dalla Grecia all’Albania e poi all’Italia, per alcuni, è già una realtà.

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Card. Scherer: brasiliani hanno bisogno di istituzioni credibili

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La Camera dei deputati del Brasile ha avviato la procedura per la richiesta di impeachment della presidente Dilma Rousseff. La decisione è stata presa nel giorno della sospensione, da parte di un giudice federale di Brasilia, della nomina dell'ex presidente Lula a ministro della Casa civile, accogliendo una denuncia in cui si ipotizza che la nomina sia avvenuta per ostacolare le indagini su Lula, indagato per corruzione. Sulla crisi politica in Brasile, Silvonei Protz ha intervistato il cardinale arcivescovo di San Paolo, Odilo Pedro Scherer

R. – In Brasile viviamo una situazione politica particolare che non si vedeva da un po’ di anni. C’è una crisi politica che si trascina da un anno e mezzo che è diventata poi motivo di una grave crisi economica che ha portato conseguenze sui ceti più deboli della società. In questo momento questa crisi ha fatto un nuovo passo, perché l’ex presidente Lula è stato nominato ministro della Casa civile, più o meno segretario di governo della presidente Dilma Rousseff. Il problema è che la nomina di Lula a questa carica è stata interpretata soprattutto come un artificio perché l’ex presidente, che è indagato per diverse accuse di corruzione, potesse scappare un po’ dai rigori delle investigazioni e della giustizia; questo ha causato una sorta di rivolta in molti brasiliani che hanno manifestato e che continuano a manifestare. Sicuramente quello che ci fa stare più sereni è che le istituzioni democratiche reggono e finora hanno attraversato abbastanza bene tutta questa crisi; adesso anche nel punto più acuto della crisi, le istituzioni democratiche e i poteri costituzionali reggono.

D. - Come segue la Chiesa in Brasile questo momento?

R. - Noi seguiamo la situazione. Cerchiamo di stare sereni e portiamo la serenità tra la gente. Sono momenti della vita pubblica che si devono affrontare con prudenza, con serenità, ma anche con verità. Se si vuol fare qualche passo in avanti nella credibilità della classe politica, nell’esercizio dell’azione politica, bisogna andare avanti, quindi fare chiarezza, dare autonomia ai poteri dello Stato, rispettare la legge, affinché ognuno sia anche responsabile davanti alla legge e non ci siano privilegi. In questo senso la Chiesa cerca di stare serena, ma, certo, noi stiamo anche dalla parte di coloro che chiedono meno corruzione, più giustizia sociale, più chiarezza nel governo, più decisioni e più rispetto alle istituzioni.

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Il dramma dei migranti cristiani pakistani in Thailandia

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Continua la fuga dal Pakistan dei cristiani a causa della legge sulla blasfemia. Maria Laura Serpico ha chiesto al segretario dell’Associazione “Pakistani Cristiani in Italia”, Mobeen Shahid, in quali condizioni si trovino le migliaia di cristiani giunti in Thailandia, Paese che non ha firmato la Convenzione sui Rifugiati del 1951 né il successivo Protocollo del 1967: 

R. – Il fenomeno dell’immigrazione clandestina dei cristiani del Pakistan in Thailandia è particolare perché il Paese non rientra tra i Paesi firmatari dell’accordo riguardo l’accoglienza dei migranti. I cristiani del Pakistan sono migrati a causa della persecuzione e per abuso della legge sulla blasfemia in Pakistan sia verso lo Sri Lanka che Indonesia, Malesia e Thailandia. Le stime governative thailandesi riguardo il numero dei cristiani immigrati nel Pakistan sono intorno ai cinquemila. Altre ong internazionali che stanno cercando di aiutare questi immigrati cristiani mi hanno fatto sapere che il numero si attesta intorno alle 25 mila persone.

D. – Dove e in quali condizioni vivono i cristiani giunti sul suolo thailandese?

R. – I cristiani costretti dalla persecuzione sono sparsi sul territorio nazionale; non ci sono delle città dove ci sia una maggiore concentrazione. Si trovano in una situazione disastrosa perché dopo aver speso quel poco che hanno potuto portare con sé, molti cristiani che sono presenti sul territorio thailandese, purtroppo, anche a causa dell’estrema povertà e di mancata assistenza da parte delle autorità thailandesi stanno affrontando una situazione di sopravvivenza estrema perché non riescono a trovare né con cosa vestirsi né dove andare a cercare da mangiare. Alcune organizzazioni insieme all’Associazione Cristiani Pakistani in Italia hanno minimamente provveduto a portare un aiuto in termini di cibo a questi cristiani. La Chiesa in Thailandia potrebbe prendere esempio da quella in Sri Lanka che ha aperto le proprie porte; anche i cristiani dello Sri Lanka avevano aperto le proprie porte per ricevere a casa questi immigrati a causa della persecuzione religiosa e potrebbero rivolgere un invito a quella thailandese affinché faccia altrettanto, perché lo Stato, purtroppo, non prende una posizione. Il governo pakistano, da quello che so, qualche mese fa ha inviato un proprio ministro federale in Thailandia dichiarando che non ci sono problemi per i cristiani in Pakistan. Per cui, ha affermato una volta di più il rifiuto di qualsiasi tipo di riconoscimento e anche di possibilità di assistenza umanitaria per questi immigrati.

D. – Quindi, sono a tutti gli effetti degli illegali, dei criminali?

R. – Sì, sono considerati immigrati clandestini perché ovviamente sono arrivati senza un normale visto di ingresso e sono residenti localmente senza un documento. In questa maniera sono considerati criminali: il loro crimine sarebbe scappare per salvare la propria vita dal Paese dove sono perseguitati a causa della religione...

D. – Qual è la posizione dell’Unhcr in merito a questa situazione?

R. – L'Unhcr ovviamente riconosce il diritto del rifugiato. So che sta provando ad assistere questi immigrati ma, purtroppo, c’è poca collaborazione da parte delle autorità governative thailandesi.

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Referendum sulle trivellazioni: “si” e “no” a confronto

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In Italia, è sempre più acceso il dibattito sul referendum del 17 aprile sulle trivellazioni. Se vincerà il “sì”, non verranno prorogate le concessioni in corso entro le 12 miglia marine. Il Partito democratico, a eccezione della minoranza "dem", si schiera per l’astensione. In caso di mancato raggiungimento del quorum, il quesito del referendum sarà respinto. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

E’ la prima volta che un referendum è richiesto dalle regioni e non tramite una raccolta di firme. Si tratta di una consultazione abrogativa e, per essere valida, è necessario che si rechi alle urne almeno il 50% più uno degli aventi diritto e che la maggioranza voti “sì”. Con il quesito referendario si chiede di vietare il rinnovo delle concessioni estrattive entro 12 miglia dalla costa. In caso di vittoria del “no” o di mancato raggiungimento del quorum, le ricerche e le attività estrattive, già in corso, proseguirebbero fino all’esaurimento del giacimento. Le regioni che hanno chiesto il referendum sono: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. In Italia ci sono circa 130 piattaforme offshore per processi di estrazione o produzione di gas e di petrolio. Tre quarti del gas prodotto in Italia viene estratto dal mare.

Eliminare i rischi per l’ambiente, convertire l’economia rispondendo ad una prospettiva ecologica. Sono queste le priorità indicate da Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace, Associazione che chiede di votare “sì” al referendum: 

R. – Il 17 aprile, con il “sì”, gli italiani possono allontanare definitivamente dalle loro coste delle piattaforme che lì operano da decenni e che oggigiorno estraggono pochissimo e lo fanno inquinando: è una buona occasione per riconsegnare quel tratto di mare alla sua integrità e per dare un segnale forte al governo che non è quella la scelta energetica giusta per l’Italia. Bisogna puntare sul rinnovabile e sull’efficienza energetica. Non stiamo parlando di un settore importante per l’occupazione: su queste piattaforme operano poche decine di persone. Sono strutture che, di fatto, sono telecomandate. Non vi è personale a bordo, sono controllate da remoto, da cabine di regia dove l’automazione la fa da padrona e bastano veramente pochissime persone per tenere operative queste piattaforme. Sulla questione occupazionale – stiamo parlando di energia – in questo Paese bisognerebbe fare un dibattito molto serio per rottamare questa vecchia ricetta energetica e chiedere di puntare su altro. Le compagnie, per estrarre quantitativi veramente miseri di idrocarburi, versano nelle casse dello Stato le royalties più basse al mondo: in Italia si versa solamente il 7%. Si consideri, peraltro, che ci sono delle franchigie, cioè dei quantitativi sui quali c’è l’esenzione da questo pagamento e molte di queste piattaforme operano producendo al di sotto di questa soglia, quindi entro questi quantitativi. Quindi, neppure pagano le royalties. E c’è un altro mito da sfatare. Questo è molto importante. Si parla di queste risorse come di “risorse italiane”. Sono italiane fin quando non viene data una concessione. Dal momento in cui viene data quella concessione, a fronte di quella miseria di royalties queste risorse diventano di proprietà delle compagnie che le estraggono. Quindi, non c’è un petrolio o un gas italiani. Ci sono un petrolio e un gas di queste compagnie che, semmai, all’Italia lo rivendono.

D. – Quali sono i rischi legati al rinnovo di queste concessioni?

R. – Ogni piattaforma operante in mare è un impianto non intrinsecamente sicuro. Che cosa vuol dire? E' una struttura che può avere degli incidenti, delle rotture, degli incendi, può collassare, può affondare. C’è una storia legata alle estrazioni off shore di gas e petrolio che è costellata di incidenti di questo tipo. Ma senza arrivare allo scenario del disastro peggiore, che in un mare chiuso come il Mediterraneo avrebbe un impatto enorme, possiamo stare sui dati dei piani di monitoraggio che noi abbiamo ottenuto dal Ministero per l’ambiente: ci dicono che, normalmente, queste piattaforme non riescono a rispettare i parametri ambientali che sono loro imposti. Tre volte su quattro le concentrazioni di metalli pesanti o di idrocarburi nei sedimenti marini presentano concentrazioni abnormi.

Il referendum del 17 aprile è ingannevole e dannoso. E’ quanto sottolinea Gianfranco Borghini presidente del Comitato “Ottimisti e razionali”, contrario alla consultazione: 

R. – Noi, innanzitutto, invitiamo a non andare a votare. Il nostro Comitato è contro il referendum per due ragioni fondamentali: riteniamo il referendum ingannevole e lo riteniamo dannoso. È ingannevole perché i promotori vogliono far credere che gli italiani siano chiamati a dire “sì” o “no” a nuove trivellazioni entro le 12 miglia. Non è così. Il parlamento ha approvato a dicembre una legge che vieta espressamente nuove trivellazioni. Quindi, non ci sono e non ci potranno essere nuove trivellazioni. Che senso ha allora far spendere agli italiani 400 milioni di euro per farsi dire “no” a qualcosa su cui già il parlamento ha detto di “no”? Inoltre, non è un referendum di iniziativa popolare. Nessuno ha chiesto ai cittadini cosa ne pensino e nessuno ha cercato di raccogliere 500 mila firme. Le regioni che lo richiedono, neanche le più popolose, hanno un solo preciso obiettivo, che è politico: affermare il principio – che noi consideriamo del tutto sbagliato – che a decidere in materia di politiche energetiche, così come in materia di difesa e di politica estera, debba essere in ultima istanza non il parlamento, che ci rappresenta tutti, ma le singole regioni. Però, il referendum è anche dannoso e può fare molto male all’Italia: quello che vogliono i promotori non è che non si facciano trivellazioni – sanno benissimo che non si possono fare – ma vogliono invece la chiusura anticipata, prima cioè dell’esaurimento dei giacimenti, degli impianti di estrazione di gas che esistono da molti anni nel mar Adriatico. Impianti che contribuiscono a rifornire il Paese del gas necessario per gli usi domestici o per quelli industriali.

D. – Quali sono i benefici legati al rinnovo di queste concessioni?

R. – Il settore di estrazione del gas in Italia, sia a terra sia a mare, vale - tra gas e petrolio - circa 5 miliardi di euro. Noi, tutti gli anni, estraiamo gas e anche una piccola parte di petrolio, che contribuisce a ridurre la bolletta energetica del Paese di 5 miliardi di euro. E' solo il 10 % del fabbisogno nazionale, ma è pur tuttavia qualcosa. Questa estrazione avviene in assoluta sicurezza, e non c’è mai stato il benché minimo incidente né all’ambiente né alle persone. Non si capisce per quale ragione l’Italia dovrebbe rinunciare a sfruttare una risorsa energetica per motivi del tutto incomprensibili. Avere un po’ di metano nazionale dà un contributo a migliorare il nostro sviluppo. Vorrei ricordare che le piattaforme di cui parliamo sono poche – circa 90 – e sono quasi tutte concentrate nell’alto Adriatico, vicino Ravenna. Il turismo non ha sofferto in nessun modo. Le spiagge della Romagna sono tra le più pulite e non c’è stato nessun danno al paesaggio. Cè una catena di controllo sulle piattaforme. È un settore che crea ricchezza. Ci sono 10 mila lavoratori diretti e ci sono imprese industriali di prima grandezza. Coinvolge, in totale, quasi 100 mila lavoratori e dà soldi allo Stato, paga le tasse, gli stipendi, le royalties, e crea sviluppo. Perché dovremmo chiuderlo? Dobbiamo portare ad esaurimento gli impianti che ci sono entro le 12 miglia. Il parlamento questo ha deciso e questo si fa. Ma per farlo non c’è bisogno di un referendum.

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La Cei: sostenere famiglia, discutere su Trivelle, chiari sui bilanci

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La Cei ribadisce la trasparenza dei propri bilanci, soprattutto per quanto riguarda l’8 per mille. Lo afferma il comunicato finale del Consiglio Episcopale Permanente che si è svolto a Genova dal 14 al 16 marzo. Ne ha parlato anche il segretario generale, mons. Nunzio Galantino, in conferenza stampa a Roma. Ma il comunicato affronta anche i temi dell’immigrazione, della famiglia, del lavoro e del referendum sulle trivelle sul quale i vescovi chiedono massimo confronto. Alessandro Guarasci

Sono 909 i cantieri aperti in Italia, per un valore di 279 milioni, grazie all’8 per mille. E nel 2015 la Cei ha sostenuto 748 progetti per 93 milioni, in diverse realtà del mondo per promozione e formazione. Dal Consiglio Episcopale Permanente di Genova arriva un impulso alla trasparenza in materia finanziaria. Il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino:

“I bilanci della Conferenza episcopale italiana sono bilanci pubblici, va bene? Sono bilanci pubblici. Non mi pare che ci siano Diocesi che abbiano dichiarato default i cui libri siano stati portati in tribunale".

Sul fronte dell’immigrazione, i vescovi italiani condividono "la preoccupazione per gli esiti di gestione dei flussi, che segnalano una vera e propria selezione, e, quindi, un'esclusione, di nazionalità”. Tra ospitalità diretta e indiretta la Chiesa assiste più di 40 mila stranieri. Poi un invito al governo affinché tenga di più in considerazione le famiglie, “in tante non se la passano bene” dice mons. Galantino:

“Un invito ancora una volta forte, chiaro, al governo perché nell’agenda politica vengano presi in considerazione tutti gli strumenti necessari per permettere alla famiglia fatta di padre, madre e figli, di rispondere a quello che è il compito che sta avendo oggi”.

Un compito sempre più di ammortizzatore sociale. E poi l’imminente referendum sulle trivelle. La Chiesa non si schiera né a favore del "sì" né a favore del "no" a prescindere. Serve confontarsi per una “soluzione appropriata alla luce dell’Enciclica Laudato si' di Papa Francesco”.

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Jeffrey Sachs: ascoltare Francesco su impegno per l’ambiente

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E’ tempo di ascoltare l’appello di Papa Francesco per un impegno in difesa dell’ambiente. E’ quanto affermato dall’economista Jeffrey Sachs ad una conferenza sulla Laudato si’, promossa a Roma dal Centro Studi Americani, diretto da Paolo Messa. Il consigliere di Ban Ki-moon per lo sviluppo sostenibile ha evidenziato che - come chiesto dal Papa - ad un problema globale non si può che dare una risposta globale. All’evento hanno preso parte, tra gli altri, il cardinale Giovanni Battista Re, mons. Marcelo Sanchez Sorondo e il ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina. All’evento c’era per noi, Alessandro Gisotti

Viviamo in un tempo in cui abbiamo la possibilità di eliminare ogni forma di povertà, ma al tempo stesso anche ogni forma di vita umana. Cita John F. Kennedy, l’economista americano Jeffrey Sachs per sottolineare come l’umanità sia ormai giunta ad un bivio dinanzi alle grandi sfide globali come il surriscaldamento del pianeta, le guerre, la povertà.

Laudato si’ chiede di agire il prima possibile
Quindi, il consigliere di Ban Ki-moon per lo sviluppo sostenibile mette l’accento sul grande ruolo che sta svolgendo la Chiesa e Papa Francesco, in particolare, nel risvegliare le coscienze sulla protezione dell’ambiente. Un impegno che ha raggiunto il suo culmine nell’Enciclica Laudato si’:

“Pope Francis helps us with a purpose…”
“Papa Francesco – ha detto Sachs – ci aiuta a trovare uno scopo”. Nell’Enciclica Laudato si' ci fa comprendere che tutta la conoscenza acquisita, le tecnologie che abbiamo devono servire per il bene dell’umanità. Il Pontefice, ha soggiunto, è la persona che “più di ogni altra sulla Terra” si sta spendendo per far comprendere quanto sia importante “agire il prima possibile”. Per l’economista statunitense, infatti, il cambiamento climatico ha raggiunto una velocità impensabile fino a pochi anni fa e osserva che, secondo dati scientifici, il febbraio di quest’anno è stato il mese più caldo della storia da quando vengono effettuate rilevazioni delle temperature.

Papa Francesco chiede un piano comune per l’ambiente
Bisogna agire velocemente, dunque, e ancora una volta – è la sua convinzione – la Laudato si’ ci offre un contributo:

“Pope Francis says we need a common plan…”
“Papa Francesco – ha detto il direttore dell'Earth Institute – afferma che abbiamo bisogno di un progetto comune per la nostra Casa comune, la Terra”. Questo, ha soggiunto, perché viviamo in un’era di interdipendenza, di indivisibilità nei destini dell’umanità. “Il problema ci dice Francesco è globale e dunque – ha ammonito Sachs – la soluzione non potrà che essere globale”. Dobbiamo “pensare globalmente”, ha ripreso, e per questo “abbiamo bisogno di una rivoluzione del pensiero e delle istituzioni internazionali”.

Ministro Martina: geopolitica del cibo fondamentale per il futuro
Dal canto suo, il ministro italiano delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, ha affermato che la Laudato si’ aiuta a comprendere le sfide del nostro tempo in tema di sviluppo, osservando che la sostenibilità non riguarda solo l’ambiente. Ancora, il ministro ha avvertito che la “geopolitica del cibo” è una delle realtà su cui ci si confronterà sempre più in futuro. Quindi, guardando soprattutto all’Italia, ha commentato che la cooperazione agricola è una delle sfide più urgenti per tutti i Paesi del Mediterraneo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Usa: dichiarare “genocidio” le persecuzioni dei cristiani

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Nuovo appello dei vescovi degli Stati Uniti per fermare il genocidio in corso in Medio Oriente contro cristiani, yazidi e altri gruppi religiosi. In una dichiarazione diffusa in questi giorni, il presidente della Conferenza episcopale mons. Jospeh Kurtz ha esortato tutti i cattolici a firmare una petizione on-line per sollecitare il Dipartimento di Stato a dichiarare formalmente le persecuzioni contro i cristiani un “genocidio” e quindi un’azione internazionale per fermarlo. Una decisione in questo senso è attesa in questi giorni. La petizione, promossa dai Cavalieri di Colombo e dall’organizzazione In Defence of Christ (Idc), può essere sottoscritta sul sito www.stopthechristiangenocide.org 

In gioco il futuro stesso dell’antica presenza cristiana in Medio Oriente
“Fate in modo che la vostra firma si aggiunga alle testimonianze, perché in gioco è il futuro stesso dell’antica presenza cristiana in Medio Oriente”, scrive mons. Kurtz.  ricordando che da mesi “la Chiesa cattolica è la voce dei cristiani e di altre minoranze religiose che subiscono una malvagia e mortale persecuzione”. Il presule sottolinea il dovere di “aiutare i nostri fratelli cristiani a portare la Croce della persecuzione e per  quanto possibile alleviare la loro sofferenza. In questo modo – conclude - Il Medio Oriente e il mondo diventeranno luoghi più sicuri dove le persone di ogni fede possono vivere in pace”.

Il 15 marzo adottata dalla Camera risoluzione contro genocidio in Medio Oriente
Intanto, il 15 marzo , la Camera dei Rappresentanti ha dato il via libera a una risoluzione non vincolante che condanna le atrocità commesse da Daesh nei confronti delle minoranze religiose definendole “genocidio”. La misura è passata con 393 voti a favore e zero contrari. L’adozione della risoluzione da parte dell’Amministrazione costituirebbe un passo importante per gli Stati Uniti: si tratterebbe infatti solo del secondo caso di adozione della definizione mentre è in corso un conflitto. (L.Z.)

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Appello del Wcc e di Pax Christi per la pace in Siria

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Un pressante appello alle parti in conflitto in Siria a “dimostrare buona volontà” e ai Governi dei Paesi più influenti nella regione ad affrontare alla radice le cause di questi cinque anni di morte e distruzione che hanno costretto alla fuga centinaia di migliaia di persone. A rivolgerlo in una dichiarazione congiunta pubblicata in occasione della ripresa il 15 marzo a Ginevra dei negoziati di pace per la Siria, sono il Consiglio Mondiale delle Chiese e Pax Christi International.

Il popolo siriano deve essere al centro della soluzione del conflitto
Le due organizzazioni cristiane chiedono alla comunità internazionale di intraprendere tentativi concreti per porre fine alla violenza e di impegnarsi per una “transizione politica che consenta al Paese di tornare rapidamente alla pace”. “Il popolo siriano – si sottolinea – deve essere al centro della soluzione del conflitto.  Altri attori statuali e non statuali devono sostenere un processo portato avanti dai siriani”. Secondo il Wcc e Pax Christi, è inoltre urgente assicurare l’accesso degli aiuti umanitari alle popolazioni colpite in Siria e ai profughi che hanno cercato rifugio nei Paesi confinanti. Questo, tra l’altro, dimostrerebbe ai siriani che un processo politico potrebbe portare a qualche risultato.

La priorità oggi è la transizione della Siria verso una democrazia inclusiva
Quindi le due organizzazioni si rivolgono a tutte le parti politiche siriane affinché sostengano gli sforzi della società civile per mantenere il cessate il fuoco, ridurre la violenza, monitorare la situazione dei diritti umani, mantenere l’unità del Paese. La priorità oggi – sottolinea con forza la dichiarazione  - è la transizione della Siria verso una democrazia inclusiva che rispetti i diritti di tutti senza distinzioni di etnia religione o sesso. Solo così sarà possibile sconfiggere l’Isis.

La solidarietà del Wcc e di Pax Christi al martoriato popolo siriano
​In conclusione, il Wcc e pax Chriti ribadiscono il loro sostegno ai fratelli e sorelle siriani in questo sforzo per la pace. Proprio in questi giorni Pax Christi ha lanciato una nuova iniziativa di preghiera e di digiuno per la Siria e un appello a gesti di solidarietà verso rifugiati e le vittime della guerra per dare segnali di speranza per il ritorno della pace nel Paese. (L.Z.)

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Vescovi francesi: su lotta alla pedofilia accompagnare le vittime

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I vescovi francesi ribadiscono che “la loro prima preoccupazione è mettersi in ascolto e accompagnare le vittime” di pedofilia ed affermano: “la sofferenza non conosce prescrizione”. Ma il lavoro fino ad oggi compiuto dalla Chiesa per lottare contro questo dramma si arricchirà di nuove competenze e verranno pubblicata una nuova edizione sulle linee guida contro la pedofilia e schede pratiche destinate ai vescovi. E’ quanto si legge nel comunicato finale che è stato diffuso oggi a termine della Assemblea plenaria dei vescovi francesi che si è svolta a Lourdes dal 15 al 18 marzo in un clima particolarmente scosso da questioni legate alla pedofilia che hanno interrogato i vescovi – si legge testualmente sul comunicato – sull’ “atteggiamento che la Chiesa deve avere di fronte a questo dramma”. 

Nuove iniziative dei vescovi per la lotta alla pedofilia
Nel testo, i vescovi ricordano gli “sforzi importanti” che sono stati intrapresi negli ultimi 15 anni per lottare contro la pedofilia in seno alla Chiesa di Francia. “Coscienti che la vigilanza debba essere esercitata in tutte le circostanze – si legge nel comunicato – i vescovi hanno deciso di lavorare sulle questioni nuove che sono emerse a partire dal prossimo Consiglio permanente di aprile”. Hanno quindi impegnato in questo lavoro la “cellula di sorveglianza sulla pedofilia, la cui composizione sarà arricchita di nuove competenze”. Inoltre la Conferenza episcopale conferma la pubblicazione di una nuova edizione della brochure dal titolo “Lutter contre la pédophilie” e schede finalizzate ai vescovi. (R.P.)

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Pakistan: Pasqua sarà vacanza per i cristiani

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L’Assemblea nazionale pakistana ha approvato una risoluzione che permette ai cristiani di festeggiare la Pasqua facendo vacanza dal lavoro; lo stesso viene stabilito per gli indù e le loro festività di Holi e Diwali. La risoluzione - riporta l'agenzia AsiaNews - parte dall’iniziativa Ramesh Kumar Vankwani, un membro dell’Assemblea di fede indù. Accanto all’apprezzamento degli attivisti che operano in favore del rispetto delle minoranze, altri sottolineano che non è sufficiente riconoscere alcune festività sacre delle tradizioni religione. Piuttosto, bisogna assicurare uguali diritti e la protezione effettiva dei gruppi minoritari.

Decisione storica per il riconoscimento delle minoranze
Kashif Aslam, attivista e coordinatore della Commissione nazionale Giustizia e pace, dice ad AsiaNews: “Questa è una decisione storica per il riconoscimento delle minoranze come cittadini del Pakistan. È da apprezzare lo sforzo del governo in questo senso, per garantire l’uguaglianza dei diritti”. Ad ogni modo, aggiunge l’attivista, “ci sono ancora molti passi da fare. Vorrei ricordare la proposta presentata da Shahbaz Bhatti di sostituire la parola Essai con Masihi per indicare i cristiani nei documenti governativi o nei testi di studio. Ma la proposta è finita nel dimenticatoio, a causa dell’incapacità del governo. Speriamo che in questo caso la proposta venga davvero resa effettiva”.

Le richieste che queste feste delle minoranze diventino nazionali 
Husnain Jamal, musulmano, evidenzia un’ulteriore questione: “Esistono ancora diverse lacune. Una su tutte è il fatto che il governo ha deciso di concedere giorni di festa solo per le minoranze religiose, mentre il resto della popolazione musulmana dovrà recarsi sul posto di lavoro. Io ritengo che anche ai musulmani debba essere concesso di festeggiare queste celebrazioni, in modo che essi possano gioire e fare festa con i propri fratelli e sorelle appartenenti alle minoranze religiose. Islamabad dovrebbe dichiarare questi giorni come feste nazionali per tutti”.

Eliminare dai libri scolastici i pregiudizi contro le minoranze
Infine padre Aftab James Paul ritiene che il governo “debba focalizzare l’attenzione sulla protezione dei diritti. Noi infatti già festeggiamento il Natale e la Pasqua nelle nostre chiese. Quest’anno poi la Pasqua cade nel giorno di una festività nazionale in Pakistan. Le autorità invece dovrebbero garantire il diritto all’educazione, la libertà di praticare la propria religione e dovrebbero riservare delle quote di posti governativi per le minoranze. Infine, dovrebbero eliminare dai libri scolastici i pregiudizi contro le minoranze”. (S.K.)

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Vescovi Africa orientale: impegno per la tutela dei minori

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“Attuazione della politica di tutela dei bambini e dei giovani nei Paesi dell’Amecea”: su questo tema, l’Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa orientale ha tenuto, dal 7 al 10 marzo, un seminario. L’evento, che si è svolto in Tanzania, a Dar es Salaam, ha visto le Chiese partecipanti impegnarsi nella creazione di un forum che raccolga le Conferenze nazionali e si concentri sull’apprendimento relativo alla tutela dei minori e degli adulti vulnerabili.
 
Tutelare i bambini ed il loro benessere
Ad aprire i lavori – riferisce una nota dell’Amecea – è stato il Segretario generale della Conferenza episcopale della Tanzania (Tec), padre Raymond Saba, il quale ha detto: "Molti bambini vivono in un ambiente estremamente ostile e non sono protetti. Molti di loro crescono sperimentando la violenza domestica; sono vittime di abusi fisici, sessuali ed emotivi, come lo sfruttamento, l’esclusione o la discriminazione”. Tali violazioni, ha sottolineato padre Saba, “influenzano la crescita e ostacolano il perseguimento dei sogni dei minori. Ed è nostra responsabilità proteggere i bambini ed il loro benessere”.
 
Fermezza della Chiesa nella promozione della tutela dei minori
“Tutti i bambini hanno diritto alla protezione”, ha ribadito il segretario generale della Tec, sottolineando poi la necessità di fermezza, da parte della Chiesa, nel promuovere la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. “I bambini - ha concluso - hanno il diritto di vivere al sicuro, di essere ascoltati, di ricevere cure adeguate e di crescere in un ambiente amorevole”.
 
Famiglia, primo luogo in cui inizia la difesa dei bambini
Dal suo canto, sr. Kayula Lesa, membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori, osservato che "la famiglia è il primo luogo in cui dovrebbe iniziare la protezione per i bambini. I genitori e tutti coloro che si prendono cura dei minori sono responsabili della costruzione di un ambiente domestico protettivo ed amorevole”. Allo stesso modo, ha aggiunto la religiosa, “tutte le altre strutture della Chiesa, come le scuole, le parrocchie e le comunità, sono responsabili della costruzione di un ambiente sicuro e adatto ai bambini al di fuori della loro casa, affinché essi possano essere pienamente protetti per crescere, imparare e sviluppare pienamente il loro potenziale". Al seminario hanno preso parte ventidue rappresentanti provenienti da tutti i Paesi membri dell'Amecea: Eritrea, Etiopia, Kenya, Malawi, Tanzania, Sud Sudan, Uganda e Zambia. (I.P.)

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Sudafrica: vescovi chiedono chiarezza su nomina dei ministri

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I vescovi sudafricani si dicono “profondamente turbati” dall’affermazione del vice Ministro delle Finanze, Mcebisi Jonas, secondo il quale la famiglia Gupta gli avrebbe offerto il posto di Ministro delle Finanze. “È vitale che le alte cariche dello Stato non siano compromesse dal coinvolgimento in interessi personali o commerciali” afferma una dichiarazione pervenuta all’agenzia Fides della “Southern African Catholic Bishops’ Conference”.

I vescovi dicono no alla politica clientelare
Jonas ha rivelato di aver ricevuto da parte della famiglia Gupta l’offerta di diventare Ministro delle Finanze all’indomani del siluramento da parte del Presidente Jacob Zuma del precedente titolare della carica, Nhlanhla Nene, una figura apprezzata per le sue capacità. Jonas aveva respinto l’offerta e l’incarico è stato affidato a Des van Rooyen. La famiglia di imprenditori di origine indiana era balzata agli onori della cronaca nel 2013 quando era scoppiato uno scandalo per l’uso di aerei militari e forze di polizia per trasportare e proteggere gli invitati ad un matrimonio di un membro della famiglia. Anche allora i vescovi sudafricani avevano stigmatizzato la commistione tra pubblico e privato.

Le inteferenze della famiglia Gupta sulla nomina dei ministri
Anche altri pubblici ufficiali hanno rivelato interferenze della potente famiglia Gupta, considerata vicina al Presidente Zuma, nella nomina di cariche pubbliche, un fatto sottolineato dai vescovi: “Le rivelazioni del signor Jonas danno credito ad altre asserzioni del coinvolgimento della stessa famiglia nella nomina di ministri”. “Tali interferenze minano seriamente la trasparenza e la responsabilità del governo del Sudafrica, e tradiscono la lotta della popolazione per la libertà economica e politica” affermano i vescovi.

I vescovi chiedono al governo si uscire dall'ambiguità
“La Southern African Catholic Bishops’ Conference chiede al Presidente Jacob Zuma e alla leadership dell’African National Congress (il partito di governo, ndr.) di dimostrare senza ambiguità che queste allarmanti scorrettezze nella condotta degli affari di alto governo non siano più tollerate”.
“Desideriamo sottolineare che si tratta di una questione di interesse vitale per il bene comune di tutti i sudafricani: non è una questione di partiti politici, nella quale, come Chiesa, non abbiamo interessi specifici” precisano i vescovi. “Il Sudafrica sta attraversando un periodo difficile, dal punto di vista economico e politico, e solo rimanendo fedeli ai valori fondamentali di buon governo e di integrità della vita pubblica che saremo in grado di far fronte e superare queste sfide” conclude la dichiarazione. (L.M.)

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Cuamm: ospedale in Sierra Leone in memoria di don Mazzucato

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Il sostegno ad un ospedale di Freetown (Sierra Leone) dove un solo ginecologo era costretto a far partorire 6.000 donne l’anno è la sfida concreta che Medici con l’Africa ha assunto per onorare il suo fondatore don Luigi Mazzucato, morto il 26 novembre scorso dopo 53 anni alla guida dell’organizzazione. Un evento commemorativo - riferisce l'agenzia Sir - si è svolto oggi a Roma, con interventi che hanno ricordato un “personaggio straordinario” che visito’ 115 volte l’Africa e i progetti sanitari del Cuamm, il cui motto era “poveri ma liberi”. 

Don Mazzucato diceva: stare con le persone anche nei momenti di sconforto
“Don Mazzucato possedeva solo pochi abiti, una valigia e qualche libro, eppure pochi hanno lasciato un'eredità così ricca”, questo il ricordo del giornalista e scrittore Gian Antonio Stella. La cooperante del Cuamm in Sud Sudan, Chiara Scanagatta, ha raccontato la sua difficile ma esaltante esperienza in un Paese ricaduto in dinamiche di guerra e con bisogni enormi. “Don Luigi ci ha insegnato ad ‘essere con’ le persone, anche nei momenti di sconforto e rabbia – ha detto – perché alla fine,  nonostante tutto, ne vale sempre la pena”. 

Una cooperazione ben fatta porta ad un vero cambiamento
​Don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa-Cuamm, ha poi sottolineato l’importanza “di una cooperazione fatta bene e di cui bisogna dare conto, solo così può essere agente di vero cambiamento”. A Freetown il nuovo progetto sarà di sostegno al Princess Christian maternity hospital, che con i suoi 150 letti serve un 1 milione di utenti, con una previsione di 60.500 parti attesi per il 2016. (R.P.)

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Nicaragua: insegnanti minacciati, 2100 bambini senza lezioni

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Circa 2.100 bambini in età scolare non possono frequentare le lezioni, in particolare nella zona del fiume Bocay ad Ayapal, a causa dell'abbandono degli insegnanti in più di sessanta scuole. Gli insegnanti hanno ricevuto minacce da parte di gruppi armati che vogliono avere il totale controllo della zona.

Oltre alle minacce dei gruppi armati, anche un clima di vendetta continua
Durante una recente visita a questo territorio, il vescovo di Estelí, mons. Abelardo Mata, si è potuto rendere conto che l'instabilità e la crisi di sicurezza in questa zona di San José de Bocay, Jinotega, sono dovute a diversi fattori. Oltre alla presenza dei gruppi armati infatti, si vive in un clima di vendetta continua, perché ci sono gruppi che dinanzi alla mancanza di giustizia agiscono per conto proprio, con violenza, mentre si verificano anche degli abusi da parte delle autorità locali.

Per il vescovo gli insegnanti sono accusati di essere attivisti politici
Gli insegnanti "sono accusati di essere attivisti politici del Fronte Sandinista, sono stati minacciati che non sarà permesso loro di insegnare, così non vanno più a scuola perché hanno paura per la propria vita" conferma mons. Mata nella nota ripresa dall'agenzia Fides. Secondo la stampa locale, tale situazione è a conoscenza di tutti ad Ayapal, tuttavia le autorità dell’istruzione e della sicurezza si rifiutano di rilasciare una versione ufficiale dei fatti.

I timori di  famiglie e insegnanti
"All'incontro con il vescovo sono arrivati insegnanti di nascosto e genitori preoccupati di non essere scoperti, altrimenti avrebbero potuto essere arrestati dalla polizia o dai gruppi armati, come già è accaduto in altre occasioni” conclude la nota. (C.E.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 78

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.