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Sommario del 20/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Messa Palme. Papa: a tanti non interessa il destino dei profughi

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Gesù fu a suo tempo vittima “dell’indifferenza” che oggi colpisce i emarginati e profughi nel mondo: quella di coloro “che non vogliono assumersi la responsabilità del loro destino”. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa per la Domenica delle Palme, presieduta in una Piazza San Pietro gremita da circa 70 mila persone. La liturgia solenne è stata aperta dalla processione e dalla benedizione papale delle palme e degli ulivi e conclusa dal lungo giro di saluto di Francesco tra la folla, a bordo della papamobile. Il servizio di Alessandro De Carolis

La condizione di uomo, Lui che era Dio. Poi una vita da servo, Lui che era Re. E poi sempre più giù, lungo la scala di una spogliazione che nelle ultime ore di vita diventa atroce: venduto, tradito, falsamente accusato, insultato, frustato, preferito a un omicida, inchiodato sulla croce, marchiato con l’infamia da una esecuzione riservata alla feccia della società, Lui che dell’umanità era la redenzione.

Gesù entra nelle nostre città
Dopo aver preso parte alla consueta processione verso l’obelisco di Piazza San Pietro e aver benedetto le palme e gli ulivi alzati dalla folla, all’omelia della Messa che apre la Settimana Santa Papa Francesco elenca quasi con puntiglio ciò che la lettura del Passio ha appena rievocato nel silenzio delle circa 70 mila persone presenti: “l’abisso” dell’umiliazione patita da Gesù che, afferma, “sembra non avere fondo”. È il “mistero dell’annientamento”, dice, il quale tuttavia inizia senza lasciare presagire ciò che sarà, con gli osanna della folla lanciati al Maestro mite che entra a Gerusalemme cavalcando un asino:

“Sì, come è entrato a Gerusalemme, Egli desidera entrare nelle nostre città e nelle nostre vite (...) Niente poté fermare l’entusiasmo per l’ingresso di Gesù; niente ci impedisca di trovare in Lui la fonte della nostra gioia, la gioia vera, che rimane e dà la pace; perché solo Gesù ci salva dai lacci del peccato, della morte, della paura e della tristezza”.

Amore che si china
Ma la Settimana Santa è una discesa verso l’annullamento. Il Figlio di Dio che “svuotò sé stesso” per farsi “Figlio dell’uomo” – il “senza peccato” in “tutto solidale con noi peccatori” – sceglie, sottolinea Francesco, di lavare i piedi ai discepoli. Gesto da schiavo ma segno di quell’amore “sino alla fine”:

“Ci ha mostrato con l’esempio che noi abbiamo bisogno di essere raggiunti dal suo amore, che si china su di noi; non possiamo farne a meno, non possiamo amare senza farci prima amare da Lui, senza sperimentare la sua sorprendente tenerezza e senza accettare che l’amore vero consiste nel servizio concreto”.

I profughi di nessuno
Dal Cenacolo in poi le ore si fanno convulse. Gesù, ricorda Francesco, è “umiliato nell’animo” con scherni e sputi e straziato nel corpo con violenza feroce, fino alla “condanna iniqua” da parte di autorità che hanno altri interessi che fare realmente giustizia. Una situazione che il Papa rivede in uno dei più grandi drammi di oggi:

“Gesù prova sulla sua pelle anche l’indifferenza, perché nessuno vuole assumersi la responsabilità del suo destino. E penso a tanta gente, a tanti emarginati, a tanti profughi, a tanti rifugiati dei quali tanti non vogliono assumersi la responsabilità del loro destino”.

Perdono abissale
E c’è ancora il gradino più basso. Appeso al patibolo, oltre alla derisione, Gesù “sperimenta il misterioso abbandono del Padre”, al quale però Lui stesso si abbandona con fiducia totale, senza mai smettere di amare né chi gli è vicino, né chi lo ha messo a morte:

“Gesù (…) all’apice dell’annientamento, rivela il volto vero di Dio, che è misericordia. Perdona i suoi crocifissori, apre le porte del paradiso al ladrone pentito e tocca il cuore del centurione. Se è abissale il mistero del male, infinita è la realtà dell’Amore che lo ha attraversato, giungendo fino al sepolcro e agli inferi, assumendo tutto il nostro dolore per redimerlo, portando luce nelle tenebre, vita nella morte, amore nell’odio”.

La “cattedra di Dio”
"Può sembrarci tanto distante il modo di agire di Dio, che si è annientato per noi, mentre a noi – conclude Francesco – pare difficile persino dimenticarci un poco di noi" stessi:

“Siamo chiamati a scegliere la sua via: la via del servizio, del dono, della dimenticanza di sé. Possiamo incamminarci su questa via soffermandoci in questi giorni a guardare il Crocifisso, è la ‘cattedra di Dio’. Vi invito in questa settimana a guardare spesso questa ‘cattedra di Dio’ per imparare l’amore umile, che salva e dà la vita, per rinunciare all’egoismo, alla ricerca del potere e della fama”. 

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Angelus. Il Papa ai giovani: vi aspetto in tanti alla Gmg

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All'Angelus di questa mattina in Piazza San Pietro, recitato subito dopo la Messa delle Palme, Papa Francesco ha ricordato la 30.ma Giornata della gioventù a livello diocesano affidando a San Giovanni Paolo II i preparativi del raduno mondiale dei giovani in programma a Cracovia a fine luglio. Il servizio di Marina Tomarro

"Spero che potrete venire numerosi a Cracovia, patria di San Giovanni Paolo II, iniziatore delle Giornate Mondiali della Gioventù. Alla sua intercessione affidiamo gli ultimi mesi di preparazione di questo pellegrinaggio che, nel quadro dell’Anno Santo della Misericordia, sarà il Giubileo dei giovani a livello della Chiesa universale”. Così Papa Francesco ha salutato i numerosi giovani presenti in Piazza San Pietro, rinnovando loro l’appuntamento a Cracovia per la 31.ma Giornata mondiale della gioventù alla fine di luglio prossimo. E grande l’entusiasmo e la gioia dei ragazzi che si stanno già preparando nelle loro parrocchie e comunità a vivere l’atteso incontro. Ascoltiamo i loro commenti:

R. – Andremo a Cracovia quest’estate. Abbiamo organizzato un bel gruppo con la parrocchia e cerchiamo di avvicinare ancora di più alla fede anche i ragazzi più piccoli, che non hanno ancora vissuto quest’esperienza.

D. – In che modo vi state preparando?

R. – Affrontiamo il tema della misericordia in vari modi così che i ragazzi arrivino a quel giorno, ma anche noi, preparati, con il cuore soprattutto pronto a ricevere la grazia di Dio in una maniera diversa, che non è quella che viviamo tutte le domeniche qui.

R. – Mi sto preparando sicuramente col cammino che ci propone la diocesi di Roma e nel nostro gruppo stiamo appunto preparando, a parte le cose materiali, il cuore.

D. – Andrete a Cracovia?

R. – Sì, ci stiamo già organizzando. Siamo super contenti, non vediamo l’ora! E stiamo appunto cercando di costruire insieme quel cammino spirituale che ci porterà lì. Siamo stati anche a Madrid ed è stata un’esperienza unica, che volevo sicuramente ripetere.

R. – Ho fatto la Gmg di Madrid e la Gmg di Roma da bambino. Sicuramente l’atmosfera di gioia che si vive è proprio un’esperienza di Chiesa, secondo me, proprio di unità.

D. – Cosa vuol dire per te la misericordia?

R. – La misericordia sicuramente è sinonimo di amore. Quindi, penso che l’amore di Dio nei nostri confronti sia smisurato e immenso.

R. – La misericordia, per me, personalmente, è soprattutto aiutare il prossimo. Si è misericordiosi, infatti, soprattutto col prossimo e poi dopo con se stessi.

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Papa, tweet: Andiamo a Gesù e non abbiamo paura

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex, ispirato al Messaggio per la Gmg 2016: “Andiamo a Lui e non abbiamo paura! Andiamo per dirgli dal profondo del nostro cuore: ‘Gesù confido in Te!’”.

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Francesco prega per le vittime dell'attentato a Istanbul

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Il nuovo attentato che ieri ha insanguinato il centro di Istanbul, in Turchia, causando la morte di 5 persone e il ferimento di altre 36 ha suscitato il cordoglio di Papa Francesco, che in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, esprime la propria “solidarietà nella preghiera” a tutte le persone toccate dalla tragedia e a tutta la nazione.

Secondo gli inquirenti, il kamikaze che ieri si è fatto esplodere non sarebbe un militante del Pkk, ma un turco affiliato al sedicente Stato islamico, identificato come Savaz Yildiz, 33 anni. L’uomo, originario di Adana, una città nel sud del Paese, faceva parte della lista dei sospetti potenziali kamikaze e si sarebbe fatto esplodere prima dell’obiettivo prefissato – una zona ancora più affollata – probabilmente per paura di essere fermato dalla polizia.

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Cordoglio del Papa per il disastro aereo in Russia, 62 vittime

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In un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, Papa Francesco ha espresso le sue più sincere condoglianze ai familiari e agli amici delle 62 vittime del terribile incidente aereo avvenuto nella notte tra venerdì e sabato scorsi in Russia. Il Pontefice ha affidato le anime dei morti al Signore misericordioso al quale chiede di concedere i "doni divini della consolazione, della forza e della speranza a quanto piangono queste perdite".

Scarsa visibilità la causa del disastro
Sarebbero state le condizioni meteo avverse e i venti molto forti, secondo le prime ipotesi degli inquirenti, alla base dell’incidente occorso al velivolo proveniente da Dubai mentre era in fase di atterraggio nell’aeroporto russo di Rostov sul Don, che ha preso fuoco ad appena 250 metri dalla pista. Sono tutti morti i 55 passeggeri e i 7 membri dell’equipaggio a bordo dell’aereo della FlyDubai, il cui comandante era di nazionalità cipriota. Tra le vittime, russi, ucraini, indiani e un uzbeko. (R.B.)

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P. Ronchi: la Croce di Cristo non si capisce ma si ama

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L'itinerario degli esercizi spirituali della Quaresima, vissuti recentemente da Papa Francesco e dai suoi collaboratori della Curia Romana ad Ariccia, sono stati il preludio al "tempo forte" della Settimana Santa. Al microfono di Fabio Colagrande, l'autore delle meditazioni, padre Ermes Ronchi, religioso dell’Ordine dei Servi di Maria, riflette sui frutti di questa esperienza di preghiera e sul cammino di fede verso la Pasqua: 

R. – La cosa più bella che mi è rimasta di questa esperienza è la vicinanza, la prossimità con Papa Francesco. Ho potuto vedere da vicino che è un uomo di pace, che emana pace, contagia di pace, mette serenità, ha uno sguardo autentico per ciascuno, è tutto presente in ciò che fa, completamente presente nell’incontro con il singolo, nella preghiera… È tutto e completamente presente, come sono le persone innamorate: cioè che hanno cuore e anima, gesti, corpo, tutto presente in quel momento. Io ho notato questa sua commozione con emozione. Ecco, credo che l’esperienza più bella è stata incontrare una persona così risolta, così realizzata, così compiuta, che ti fa bene starle vicino.

D. – In che clima e con che partecipazione si sono svolte queste giornate?

R. – C’erano una settantina di collaboratori del Papa, tra cardinali, vescovi e incaricati. Però il clima era molto silenzioso, molto assorto, meditativo... C’era silenzio ai pasti - io proponevo delle letture - c’era silenzio per tutta la giornata. E poi erano giorni ritmati dalla preghiera. Ho chiesto di poter distribuire la preghiera non accorpando, non accumulando, ma distribuendo nella giornata, perché fosse la scansione determinante dei giorni.

D. – Nelle sue meditazioni è sembrato che lei invitasse spesso a rapportarsi corpo a corpo, cuore a cuore, con Dio, proponendo una fede da vivere in modo incarnato. È corretta questa interpretazione?

R. – Sì, sì è corretta, perché io credo che sia la speranza, sia la carità non siano teorie, ma espressioni esistenziali, e addirittura passionali. La fede deve essere passione per l’esistenza. La speranza è passione per il sorriso possibile, per il futuro possibile… E la carità cos’è se non passione? Quindi, la fede è questa forma appassionata di vivere, e noi abbiamo un Dio appassionato dell’umanità, al punto da accogliere la Croce e da darcela come segno della Sua Passione, nel doppio significato di patimento e di appassionarsi. Siamo nei giorni di Pasqua, i giorni dalla Passione, e credo che il duplice significato di questa parola ci possa davvero illuminare il cammino.

D. – Padre Ermes Ronchi, proprio domenica 13 marzo ricorreva il terzo anniversario dell’inizio del Pontificato di Papa Francesco. Secondo lei, qual è la riforma più importante che questo Papa sta portando avanti?

R. – La sua riforma più importante credo sia proprio quella del Papato. Noi abbiamo oggi come Papa una persona che ha portato la primavera nella Chiesa, la primavera nei rapporti. Ha portato uno svecchiamento in tutto l’apparato, le apparenze. Io credo che la cosa più bella sia davvero questo Papa Francesco, che ha una tenerezza, una verità, una capacità di mettere ciascuno a proprio agio, ma di metterlo allo stesso tempo davanti alle sue scelte di fondo – e con tenerezza, con la combattiva tenerezza del Vangelo. E poi ci saranno molte altre cose che vedremo come andranno avanti per quanto riguarda la riforma. Ma per me è la riforma del Papato: proprio della vitalità, della freschezza, della primavera che lui ha portato.

D. – Infine, padre Ronchi, posso chiederle per i nostri ascoltatori in vista della Settimana Santa, della Santa Pasqua, di scegliere un pensiero, una parola, dalle Meditazioni che ha rivolto al Papa e alla Curia?

R. – Per la Pasqua, quello che mi sento di dire è che la Croce non ci è stata data perché la capissimo – non riusciamo a capirla – ma perché ci aggrappiamo ad essa. C’è nel mondo un’energia di Risurrezione, una potenza di Risurrezione, che si dirama per tutte le fibre dell’universo, e che non riposerà, fino a che non avrà raggiunto e fatto fiorire l’ultimo ramo della Creazione, fino a che non avrà rovesciato l’ultima pietra dell’anima. Aggrapparci alla forza della Resurrezione, che circola, lavora, palpita, fiorisce… Questa è la nostra speranza grande: la Resurrezione di Cristo farà fiorire il mondo.

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Bulgaria. Il card. Parolin consacra chiesa mariana a Sofia

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Il segretario di Stato, Pietro Parolin, è arrivato in Bulgaria dove sarà in visita ufficiale fino a domani. Questa mattina a Sofia, il cardinale ha presieduto la liturgia di consacrazione della cattedrale “Assunzione della Vergine Maria”, sede dell’Esarcato apostolico in Bulgaria. Da Sofia, l'inviata Iva Mihailova

“Vi porto il saluto del Santo Padre Francesco che segue con grande interesse la vita di questa comunità cattolica”, “piccola, ma piena di energie”. Così il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, nel suo saluto al termine della consacrazione della cattedrale dell’Esarcato apostolico di Bulgaria, dedicata all’Assunzione della Vergine Maria. Presente anche il metropolita ortodosso Antonij, responsabile dell’Europa occidentale. Il cardinale Parolin ha esortato i cattolici bulgari a mantenere vivo lo spirito dei Santi Cirillo e Metodio, “insieme ai fratelli ortodossi” e li ha incoraggiati “ad essere accoglienti verso le altre confessioni religiose e di quelli senza riferimento religioso”. “In modo particolare in questo Anno di misericordia – ha aggiunto il segretario di Stato – vi invito ad essere attenti ai più poveri, ai bisognosi, ai sofferenti e agli emarginati”.

La chiesa di Papa Roncalli
Il cardinale ha anche ricordato che “in questa chiesa hanno pregato mons. Angelo Roncalli – primo delegato apostolico in Bulgaria, in seguito Papa Giovanni XXIII – e Papa Giovanni Paolo II” e ha sottolineato il ruolo dei martiri bulgari, il vescovo Evgenij Bosilkov e i tre padri Assunzionisti fucilati dai comunisti. La rinnovata chiesa, costruita nel 1924, non era mai stata consacrata ma soltanto benedetta. Alla consacrazione con il cardinale Parolin hanno concelebrato il nunzio apostolico, mons. Anselmo Guido Pecorari, il presidente dei vescovi bulgari, mons. Christo Proykov, e gli altri due vescovi cattolici. Tra i rappresentanti delle autorità, la presidente del parlamento bulgaro, Tsetska Tsatcheva, il vicepresidente della Repubblica, Margarita Popova, e il vicepremier, Meglena Kuneva.

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Oggi in Primo Piano



Migranti. Sbarchi nel sud Italia e in Grecia, 5 morti

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Proseguono senza sosta nel sud dell’Italia gli sbarchi dei migranti, il cui destino di ingiustizia e sofferenza paragonato a quello di Gesù davanti a Pilato, è stato ricordato oggi da Papa Francesco nell’omelia della celebrazione della Domenica delle Palme. Purtroppo, con l’incremento dei viaggi, aumentano anche i morti nel Mediterraneo e nell’Egeo. Il servizio di Roberta Barbi: 

È morto schiacciato nella calca di un gommone stipato fino all’inverosimile, il cittadino ivoriano vittima di questa ennesima domenica di sbarchi. La polizia di Ragusa ha fermato lo scafista che guidava il natante con a bordo 125 migranti, per lo più ghanesi, nigeriani, marocchini, maliani, senegalesi, originari del Togo e provenienti dal Corno d’Africa. In totale sono 358 i migranti – comprese 27 donne e 8 minori – tratti in salvo su tre imbarcazioni dalla Guardia Costiera italiana e trasferiti a Pozzallo, mentre 470, tutti subsahariani, una donna incinta e 15 minorenni tra cui un bambino di appena 3 anni, i migranti arrivati sani e salvi ad Augusta grazie all’intervento della Marina militare.

Nuova tragedia nell'Egeo
È andata decisamente peggio nel Mar Egeo, dove si contano due uomini arrivati morti nell’isola di Lesbo su un barcone proveniente dalla Turchia, mentre i corpi senza vita di due bambine, rispettivamente di uno e due anni, sono stati recuperati nelle acque vicino all’isola di Rodi. Nelle ultime 24 ore, sono 875 gli immigrati arrivati nelle isole greche, secondo i dati pubblicati dal centro di gestione della crisi del governo ellenico proprio nel giorno in cui entra in vigore il nuovo accordo tra l’Unione Europea e la Turchia in tema d’immigrazione. Da oggi, infatti, i centri di registrazione sulle isole saranno la destinazione finale dei viaggi della speranza e i profughi che vi arriveranno potranno scegliere se fare richiesta d’asilo in Grecia o essere riportati in Turchia.

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Immigrazione, preoccupazione di Caritas per intesa Ue-Turchia

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Continua a far discutere l’accordo Ue-Turchia sull'immigrazione raggiunto venerdì scorso ed entrato in vigore oggi. In base all'intesa, i migranti che d'ora in poi arriveranno sulle isole greche saranno rimandati in Turchia, ma già la Grecia ha fatto sapere che sarà difficile un'applicazione immediata e ieri si è registrato il caos sull'isola di Lesbo, principale porto d'ingresso dei migranti in Europa. Inoltre, molte ong e associazioni hanno espresso preoccupazione sul fatto “che si sia deciso di far rientrare in Turchia i migranti cosiddetti irregolari che hanno compiuto la traversata fino alle isole greche”. Alessandro Guarasci ha sentito Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas Italiana: 

R. – Da un lato, non permettiamo, giustamente, alla Turchia di procedere con l’adesione all’Unione Europea, perché mancano i requisiti minimi, soprattutto il riferimento al rispetto dei diritti umani. Però, quando si tratta di rimandare indietro i profughi che arrivano da quel Paese, questa preoccupazione viene meno. Quindi, ci chiediamo dove sia la coerenza in tal senso. E poi anche la parte pratica, di implementazione di questo accordo, la vediamo molto, molto complicata. D’altronde, anche la nostra presidente della Camera, Laura Boldrini, ha espresso perplessità, peraltro partendo dalla sua esperienza come portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

D. – Possiamo parlare in questo caso di “respingimenti”, per cui tra l’altro l’Italia è stata anche criticata dall’Unione Europea?

R. – Sì, noi siamo stati a suo tempo condannati – l’Italia, non dimentichiamolo – per i respingimenti in mare fatti verso la Libia, dopo l’accordo con Gheddafi. Oggi, questo accordo lo stiamo facendo con il governo di Erdogan. Credo che andremo incontro agli stessi problemi. Se poi, come è avvenuto l’altro giorno, i respingimenti verranno fatti dalle forze di polizia della Turchia, questo sembra non doverci preoccupare o quantomeno qualcuno crede che non dovrebbe preoccuparci, ma il tema rimane lo stesso. E quindi, a oggi, non ci rimane che vigilare seriamente su quello che accadrà, anche perché,  ripeto, pensare di avviare un sistema in luoghi come Lesbo – dove ci sarà bisogno di verificare se le persone che arriveranno saranno destinatarie di una qualche forma di protezione – lo vediamo complicato, se non quasi impossibile.

D. – Dall’agenda di questo vertice è rimasto del tutto fuori il tema dei canali umanitari. Questa possibilità non viene ancora esplorata dall’Europa?

R. – Non viene esplorata. Di tanto in tanto qualcuno tenta di inserirla, ma viene prontamente tolta dall’agenda delle discussioni a Bruxelles. Ma la cosa che preoccupa ancora di più è il fatto che non solo non si ragioni sui canali umanitari, ma anche il tema del ricollocamento, che dovrebbe essere la questione sulla quale far girare tutta questa nuova prospettiva europea di gestione, di per sé non funziona e non funzionerà, perché già alcuni Paesi, come l’Ungheria, hanno affermato che non vorranno sul proprio territorio profughi. Quindi, tutto questo messo insieme dà un quadro confuso, che costerà soprattutto ai profughi una situazione di insostenibilità, che già stanno vivendo, e che probabilmente continueranno a vivere nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.

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Obama a Cuba, dopo 90 anni un presidente Usa visita L'Avana

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A Cuba è il giorno della storica visita del presidente statunitense, Barack Obama, il primo capo della Casa Bianca a recarsi sull’isola dal 1928. Un atto concreto nell’ambito della normalizzazione dei rapporti tra i due Stati, dopo l'annunciata ripresa delle relazioni diplomatiche. Sul valore dell’avvenimento Eugenio Bonanata ha intervistato Roberto Da Rin, esperto di questioni sud americane del Sole 24 Ore: 

R. – Il valore della visita di Obama a Cuba è notevole, proprio perché è il ritorno di un presidente americano dopo molto tempo, quasi 90 anni. Anche se, va detto, resta molto da fare, perché tecnicamente l’embargo è ancora in vigore. La questione dell’embargo è la questione più importante, è la madre di tutte le questioni, attorno a cui si sviluppa la normalizzazione dei rapporti commerciali, economici, e naturalmente politici. Tutto questo può creare un disgelo e favorire un progressivo ritorno effettivo delle relazioni, al di là degli annunci dei presidenti. Infatti due Paesi funzionano nell’ambito dei rapporti economici, di scambio e nella libertà di movimento. Quindi, gli annunci sono un momento di solennità, ma a questi devono poi seguire delle relazioni di nuovo allacciate. E questo finora non è accaduto.

D. – Che tipo di conseguenze ci saranno sul fronte geopolitico sudamericano?

R. – Cuba ha giocato un ruolo importante nella pacificazione tra il governo colombiano e le Farc, tanto per cominciare. E il suo ruolo è stato tutt’altro che secondario. Quindi, Cuba sta giocando una partita geopolitica. Gli altri Paesi del continente hanno favorito da molti anni la ripresa delle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti. Per esempio, lo hanno cercando di invitare sempre Cuba ai vertici continentali America Sud-America Nord, dove invece c’era il veto degli Usa e Cuba non poteva partecipare. Possiamo dire che questa è stata una vittoria congiunta, anche grazie al contributo di altri Paesi latinoamericani che da tempo hanno remato in direzione di un riavvicinamento tra Cuba e gli Stati Uniti. Il punto più importante, però, non riguarda solo i Paesi latinoamericani, ma soprattutto la Russia, la Cina, Paesi lontani che usufruivano di un’amicizia e di un rapporto buono con Cuba. La Russia, per esempio, aveva delle ambasciate molto numerose, dei Servizi segreti – di intelligence – delle antenne che potevano captare informazioni interessanti provenienti dagli Stati Uniti. Quindi, cosa cambierà adesso nelle relazioni mondiali, russe e cinesi, è difficile da dire. Di certo, se questo embargo verrà totalmente dissolto, si creeranno dei nuovi equilibri. Questo è prevedibile.

D. – In conclusione, quali saranno le prossime aperture di Cuba?

R. – Le prossime aperture dovrebbero riguardare l’economia. Ricordiamo che attualmente sono in vigore delle leggi che non consentono a Cuba di ricevere beni né dagli Stati Uniti né da altri Paesi. Per la Legge “Helms-Burton”, non possono far attraccare le loro navi al porto di Cuba dopo un viaggio di tre o sei mesi: questo significa che fino a questo momento viene scoraggiata qualsiasi operazione di “soccorso” alimentare, di scambi commerciali, dall’Europa o dal Canada verso Cuba. Con la fine dell’embargo tutto questo dovrebbe essere piano piano smantellato. E quindi, l’auspicio è che vi sia un’accelerazione in questa procedura. Fino a oggi, ripeto, ciò non è avvenuto e l’embargo è ancora in vigore, anche perché dovrà essere abolito dal Congresso nordamericano. E questo non è così scontato: nel senso che sì, si dovrebbe fare, però comunque non è ancora avvenuto.

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Mille attivisti del Biafra chiedono liberazione del leader Kanu

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Lo scorso 19 ottobre, Nnamdi Kanu, direttore di Radio Biafra, è stato arrestato dai servizi segreti nigeriani per reati legati alla sua battaglia per la secessione della Repubblica del Biafra dalla Nigeria. Il giornalista ed esperto del continente africano, Massimo Alberizzi, ha spiegato a Maria Laura Serpico perché più di mille attivisti abbiano scelto di lottare fino alla morte per la liberazione di Kanu: 

R. – Nei sentimenti degli "ibo", che è la popolazione più importante e più numerosa di quella parte che si chiama Biafra, che è la parte sudest della Nigeria, non si sono mai sopiti i desideri di indipendenza e di una indipendenza non solo economica, ma anche una indipendenza culturale. I Paesi africani, come noi sappiamo, non sono omogenei: le popolazioni che li compongono, le tribù, hanno la loro lingua, la loro cultura, la loro educazione e spesso anche la loro religione. Quindi, omogenei sono gli "ibo" che non c’entrano niente con il resto della Nigeria, in cui ci sono un paio di centinaia di tribù. Duqnue, non si è mai sopito il fatto che sono marginalizzati. Dopo la guerra del Biafra, gli "ibo" sono stati di diritto perdonati, ma non di fatto, nel senso che sono poi rimasti ai margini della società: società che è controllata soprattutto dai musulmani del nord, perché i presidenti della Nigeria – tranne pochi anni, in cui c’è stato un cristiano – sono sempre stati musulmani, non hanno mai voluto perdere il potere. Il Paese musulmano del nord è un Paese povero, mentre le ricchezze, e soprattutto quelle petrolifere, sono al sud. Ma queste ricchezze finiscono poi nelle mani di quelli del nord e questo, ovviamente, ai biafrani non piace.

D. – Perché più di mille attivisti hanno scelto di continuare a lottare fino alla morte per la liberazione di Kanu?

 R. – Perché lui rappresenta, in qualche modo, la cultura che richiede la liberazione di questa popolazione. La cultura e non i militari. Per questo motivo, si oppongono pacificamente e vogliono la liberazione del loro leader. Questo è importante per capire come in questo momento ancora sia ancora sul piano politico la lotta di liberazione del Biafra e non sul piano militare. Come accadde, appunto, ormai tanti anni fa – mi pare che siano più o meno 42 – in cui ci fu anche allora una rivolta armata per il controllo delle risorse – risorse che erano, come al solito, petrolifere.

D. – Sussiste l’ipotesi di un referendum sull’indipendenza. Questo porterebbe alla vittoria degli indipendentisti o potrebbe ritorcersi contro di loro?

R. – E’ sempre difficile, perché poi in questi Paesi i referendum vengono anche manipolati. Chi vota ai referendum? Votano i biafrani nati e cresciuti e di cultura biafrana e quindi "ibo"? O votano tutti quanti, anche quelli che sono immigrati dal nord della Nigeria, che abitano lì e che quindi sono praticamente naturalizzati biafrani? Quindi è sempre molto difficile… C’è molto il rischio che i risultati siano "addomesticati" e alla fine nessuno dei biafrani è contento perché ovviamente non vincerebbero.

D. – Kanu è un cittadino britannico: questo significa che Londra o la comunità internazionale potrebbero sostenere questa lotta indirettamente?

R. – No, io credo che loro dovrebbero sostenere il fatto che venga liberato, ma questo al di là del fatto che sia un cittadino britannico. Molti dei Paesi africani non rispettano i diritti dell’uomo e questo è il punto. Uno dei diritti dell’uomo è quello della libertà di espressione e di manifestare il proprio pensiero soprattutto pacificatamene, perché le accuse che vengono fatte a lui, ma poi sempre in questi casi, sono: “Ah fomentate la violenza! Fomentate l’odio raziale e quindi andate, in qualche modo, repress...!”. Queste sono le accuse che vengono fatte in continuazione per giustificare la repressione contro i giornali e contro i giornalisti, che io considero assolutamente nefasta per un Paese, soprattutto un Paese come la Nigeria che è un Paese corrotto e quindi la corruzione è talmente ad alto livello che le critiche devono essere comunque ben venute. Ma ovviamente non sono affatto benvenute e sono invece represse.

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170 anni dall'apparizione a La Salette. Aperta la Porta Santa

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Grande gioia oggi nella famiglia Salettina per il 170.mo dell’apparizione della Madonna de La Salette. Il 19 settembre 1846, su una montagna vicina al villaggio francese di La Salette-Fallavaux, due pastorelli di quindici e undici anni, Mélanie Calvat e Maximin Giraud, ebbero l’apparizione della Bella Signora. La Madonna avvolta dalla luce, piangente, seduta su un masso con la testa tra le mani si alzò consegnando un messaggio che invitava il popolo di Dio alla conversione del cuore. Nel Santuario oggi la cerimonia di apertura della Porta Santa giubilare. Ne parla padre Silvano Marisa, superiore generale della Congregazione missionari Salettini, intervistato da Silvonei Protz

R. – L’evento de La Salette è un evento non solamente storico accaduto 170 anni fa, ma anche un evento di carattere spirituale e di carattere pastorale, cioè è una realtà che coinvolge dal di dentro il popolo di Dio. Il messaggio vuole davvero scuotere la coscienza del popolo di Dio e Maria si presenta come l’ambasciatrice, la messaggera di Dio per richiamare questo popolo alla fedeltà, alla propria vocazione cristiana battesimale.

D. – Un messaggio molto attuale…

R. – E’ bello vedere come la Vergine inizia invitando i due ragazzi, Massimino e Melania, ad avvicinarsi. E’ proprio il messaggio di quest’Anno della Misericordia, il messaggio di un Dio che ha un cuore talmente grande che non può tenerlo per sé, ma vuole comunicare il suo amore agli altri. E Maria ha questo compito di aiutare gli uomini ad aprire il proprio cuore a Dio. Maria ha centrato il suo messaggio proprio su Cristo. Il crocifisso che portava sul petto – dicevano i bambini – era talmente luminoso che sembrava vivo. Quindi, per dire che il centro del messaggio è veramente il messaggio cristiano: Cristo che fa da ponte tra noi e il Padre e tra noi e Cristo si pone Maria come mediatrice, perché lei ci è stata affidata come Madre e noi siamo i suoi figli.

D. – Dopo 100 giorni dall’inizio del Giubileo di questo anno straordinario, un’altra porta si apre, una porta nel Santuario della Madonna di Salette…

R. – Noi sappiamo che una porta è una realtà che permette il dialogo, permette l’incontro. E’ una possibilità in più per il popolo di Dio che va a La Salette, che va su in piena montagna, in una corona di montagne tutte attorno – siamo a 1800 metri, sulle Prealpi francesi – per un rinnovamento spirituale. Là la strada finisce, quindi ci si va solamente per uno scopo: quello di incontrare se stessi, Dio e gli altri in mezzo alla natura, la bellezza della natura.

D. – Cuore del messaggio de La Salette è la conversione. Come mettere allora insieme la conversione con la misericordia?

R. – Quando uno decide di varcare la Porta Santa non è certamente un atto magico, ma vuol dire semplicemente: ho una vita passata e, attraversando questa porta, voglio dire un "sì" alla vita nuova... E’ un impegno quindi di conversione.

D. – Guardando alla presenza adesso dei Salettini nel mondo, quali sono oggi le sfide?

R. – Siamo 950 nel mondo, in 29 Paesi dei cinque continenti. La nostra presenza vuole essere un elemento molto semplice, umile, a servizio della riconciliazione. Laddove il popolo di Dio vive, soffre, ecco noi dobbiamo essere presenti con un richiamo forte alla conversione, in base appunto al messaggio che abbiamo ricevuto dalla Bella Signora a La Salette. Quest’anno, vogliamo sottolineare questo 170.mo con l’apertura di una missione in Tanzania, nella diocesi di Bukoba, in riva al grande Lago Vittoria. Poi, abbiamo anche delle scuole, per esempio nelle Filippine, una grande università per educare le persone affinché possano un giorno diventare loro stesse artefici di riconciliazione e promotrici di unità e comunione.

D. – Com’è la presenza in America Latina?

R. – Siamo presenti anzitutto in Brasile, poi anche in Argentina e in Bolivia e, in America Centrale, ad Haiti. Naturalmente, poi, ci sono gli Stati Uniti. In particolare, i nostri Padri in Brasile stanno facendo un bel lavoro, che è quello di coinvolgere tanti laici in questa missione di riconciliazione.

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Cinema. "La Corte". Fabrice Luchini: nessuno resiste all'amore

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Christian Vincent ha scritto e diretto "La Corte", film che alla Mostra del Cinema di Venezia ha vinto lo scorso anno il Premio per la migliore sceneggiatura e che ha regalato la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile a Fabrice Luchini, nel ruolo di un giudice integerrimo che scopre, dopo anni, la tenerezza e la bellezza dell’amore. Il servizio di Luca Pellegrini

Fabrice Luchini: "Et comme tu es à Radio Vatican, il faut dire cette phrase essentielle: ‘Il vous a tellement aimé, qu’il vous a envoyé son Fils unique…".

Fabrice Luchini, uno dei più grandi attori di teatro e cinema francesi, ci accoglie così, iniziando a recitare, per Radio Vaticana, uno dei più toccanti poemi di Victor Hugo, “Écoutez. Je suis Jean”.

Ma altre parole, assai affilate, sono quelle che pronuncia, invece, interpretando nel film “La corte” il personaggio di Michel Racine, presidente di Corte d'Assise, sapendo di essere temuto o odiato, senza mezze misure. Nell'aula di tribunale di Saint-Omer, nel nord della Francia, dove arriva già vulnerabile per un forte raffreddore, Racine deve presiedere le udienze in cui si dibatte il caso di una neonata uccisa, forse, dal padre, che si dichiara innocente. Come sempre è inflessibile. Ma l’invalicabile muro innalzato per difendere il suo ruolo cede quanto tra i giurati inaspettatamente viene sorteggiata Ditte, una anestesista della quale sei anni prima si era perdutamente innamorato. Luchini ha amato molto questo ruolo, che rispecchia anche la sua anima romantica. Gli abbiamo chiesto se per lui in Monsieur Racine vince l'inesorabilità della giustizia o la fragilità dell'amore:

R. – C’est la puissance de l’amour, c’est l’histoire d’une résurrection d’un homme qui était…
E’ la potenza dell’amore: è la storia della resurrezione di un uomo che era rimasto intrappolato nella sua routine e nella sua fermezza nell’esercitare la sua professione, con i suoi gesti, tutti controllati. Ma evidentemente, nel momento in cui compare questa donna si verifica una sorta di trascendenza, comunque accade qualcosa che lo risveglia alla vita. Quindi, penso che chi ha vinto sia l’amore… sì, penso proprio di sì".

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Nella Chiesa e nel mondo



Bruxelles. Salah in cella a Bruges per detenuti ad alto rischio

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Ha trascorso la sua prima notte in carcere dall’arresto, Salah Abdesalam, l’ultimo superlatitante degli attentati di Parigi del 13 novembre dello scorso anno. L’uomo, arrestato a Bruxelles nel quartiere di Molenbeek dove era nato e cresciuto, è ora rinchiuso nel carcere di Bruges, all’interno di una cella speciale creata nel 2008 per persone ad alto rischio d’evasione o con problemi comportamentali. Durante l’arresto il terrorista ha riportato una ferita alla gamba.

L’estradizione verso la Francia potrebbe essere sospesa
“Collaborerà con la giustizia belga ma si opporrà all’estradizione in Francia”. Questo è quanto fa sapere Sven Mary, il legale di Salah, che mercoledì prossimo comparirà a porte chiuse davanti a un magistrato belga. Intanto, secondo quanto emerso dai primi interrogatori, l’uomo avrebbe dovuto farsi esplodere all’interno dello stadio di Francia, ma all’ultimo momento avrebbe cambiato idea, ma proprio per questa ricostruzione dei fatti, ammessa in conferenza stampa, il procuratore di Parigi, Francois Molins, sarà denunciato dal legale di salah per violazione del segreto istruttorio. Mercoledì, infine, si deciderà l’estensione del mandato d’arresto, mentre il procedimento di estradizione verso la Francia potrebbe essere sospeso in attesa degli sviluppi dell’inchiesta in Belgio. (R.B.)

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Pakistan, vescovi: giustizia per la strage di Lahore del 2105

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Condurre davanti alla giustizia i colpevoli della strage che il 15 marzo 2015, in seguito all'esplosione di due bombe davanti a due chiese di Youhanabad, quartiere di Lahore, uccise 21 persone e ne ferì 80. Lo chiede, in un comunicato, la Commissione nazionale “Giustizia e pace”, espressione della Conferenza episcopale cattolica del Pakistan. La comunità cristiana, a un anno da quei tragici eventi, “piange ancora la perdita dei suoi cari, il cui coraggio e sacrificio ha salvato la vita di molti fedeli innocenti in preghiera nelle due chiese”, si legge nel testo, ripreso dall’agenzia Fides.

Condurre un’indagine imparziale
La Commissione episcopale auspica, quindi, “un'indagine adeguata” ed “esprime delusione sul ruolo delle forze dell'ordine” che si sono concentrate solo sull'episodio che seguì a quella strage, ovvero il linciaggio di due presunti complici dei terroristi. L'organismo dei vescovi cattolici invita poi il governo a “condurre un'indagine imparziale sia sugli autori e organizzatori degli attentati, sia sull'incidente del linciaggio” e ricorda che il rispetto di legalità e giustizia, senza permettere alcun tipo di impunità, è la strada per promuovere tolleranza religiosa e sociale e per la tutela delle minoranze religiose in Pakistan.

Appello del Papa: cessi persecuzione dei cristiani
Per commemorare quel tragico evento, il 15 marzo scorso, ad un anno esatto di distanza, in Pakistan si sono tenute numerose celebrazioni commemorative ecumeniche, con la partecipazione di fedeli cattolici ed anglicani. Da ricordare anche l’appello lanciato da Papa Francesco all’Angelus del 15 marzo 2015: “Con dolore, con molto dolore, ho appreso degli attentati terroristici di oggi contro due chiese nella città di Lahore in Pakistan, che hanno provocato numerosi morti e feriti. Sono chiese cristiane. I cristiani sono perseguitati. I nostri fratelli versano il sangue soltanto perché sono cristiani. Mentre assicuro la mia preghiera per le vittime e per le loro famiglie, chiedo dal Signore, imploro dal Signore, fonte di ogni bene, il dono della pace e la concordia per quel Paese, e che questa persecuzione contro i cristiani che il mondo cerca di nascondere, finisca e ci sia la pace”. (I.P.)

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Vescovi Malawi: laici si impegnino di più nella lotta all’Aids

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Compiere uno sforzo maggiore per integrare i programmi di prevenzione e contrasto dell’Aids nell’attività quotidiana: questo l’appello lanciato ai Movimenti laicali cattolici in Malawi dalla Commissione episcopale per la salute (Chc), organismo afferente alla Conferenza dei vescovi locali.

Sensibilizzare la società
In particolare, nei giorni scorsi, il segretario nazionale della Chc, Bertha Magomero, ha incontrato i rappresentanti dei Movimenti laicali durante un apposito seminario, organizzato dalla Conferenza episcopale malawiana: nel suo intervento, Magomero ha ribadito la necessità di “sensibilizzare la società sul tema dell’Aids, anche attraverso un maggior coordinamento delle attività della Chiesa cattolica, così da migliorare l’attuazione dei programmi di prevenzione”.

Occorre risposta adeguata alla pandemia di Aids
Dal suo canto, il direttore nazionale delle Pontificie Opere missionarie del Paese, padre Vincent Mwakhwawa, ha ribadito l’importanza che tutte le parti interessate all'interno della Chiesa garantiscano una risposta adeguata alla pandemia provocata dal virus Hiv. “Oggi – ha detto il religioso – i cristiani del Malawi, soprattutto i giovani, si trovano ad affrontare molte sfide a causa dei numerosi cambiamenti sociali. Per questo, è necessario che i loro genitori, assieme alla Chiesa, li sappiano ascoltare e accompagnare con un cuore umile e compassionevole”.

L’impegno della Chiesa in favore dei malati
Nell’impegno della Chiesa del Malawi contro l’Aids è da ricordare il Centro di Kankao, a pochi chilometri da Balaka. La struttura è gestita dalle Suore delle Poverelle e accoglie decine di orfani da 0 a 3 anni che spesso hanno perso i genitori a causa del virus Hiv o che sono sieropositivi dalla nascita. Accuditi con amore, i bambini restano al Centro di Kankao fino ai tre anni per poi tornare ai villaggi di origine, dove vengono affidati ai parenti. (I.P.)

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Regno Unito. Porta Santa "portatile" per malati e anziani

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Una “Porta della misericordia portatile” per permettere a tutti coloro che non possono muoversi, come gli ammalati e gli anziani, di vivere pienamente il Giubileo, passando la Porta Santa. Questa la singolare iniziativa di mons. Peter Brignall, vescovo di Wrexham, nel Regno Unito, ideata per andare incontro alla popolazione locale.

Permettere a tutti di ricevere la misericordia del Padre
Come spiega una nota della diocesi, infatti, tra i fedeli di Wrexham ci sono molti anziani e ammalati che non sono in grado di raggiungere la Cattedrale locale per attraversare la Porta Santa e ottenere così l’indulgenza giubilare. Per questo, il presule ha invertito il percorso: è la Porta Santa a raggiungere i fedeli, permettendo a tutti di “ricevere la misericordia del Padre”. La struttura è composta da un semplice architrave bianco, sul quale campeggia la scritta “Misericordia”; viene trasportata su un piccolo carrello, agganciato a un’autovettura.

In linea con il “Giubileo diffuso” voluto dal Papa
In questo modo, la diocesi di Wrexham rispecchia pienamente l’indicazione di Papa Francesco di rendere l’attuale Anno Santo della misericordia “un Giubileo diffuso”, in cui ci sia la possibilità di aprire una Porta Santa in tutte le diocesi del mondo. Un concetto che il Pontefice ha ribadito più volte, non ultimo all’udienza generale del 18 novembre 2015, intitolata proprio “La porta dell’accoglienza”. In quell’occasione, il Papa ha infatti affermato: “Se la porta della misericordia di Dio è sempre aperta, anche le porte delle nostre chiese, delle nostre comunità, delle nostre parrocchie, delle nostre istituzioni, delle nostre diocesi, devono essere aperte perché così tutti possiamo uscire a portare questa misericordia di Dio”. (I.P.)

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Bartolomeo I: unità Chiesa, esempio per umanità lacerata

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“I tempi sono critici e l’unità della Chiesa deve costituire l’esempio di unità dell’umanità, lacerata dalle divisioni e dai conflitti”. Lo scrive il Patriarca ecumenico di Constantinopoli Bartolomeo nell’Enciclica patriarcale e sinodale sulla prossima convocazione del Santo e grande Sinodo della Chiesa ortodossa, che verrà letta in tutte le chiese domenica 20 marzo, domenica dell’Ortodossia, grande Festa della Chiesa Ortodossa.

Parlare con una sola voce ed un solo cuore
Il Sinodo Panortodosso è in programma a Creta, dal 16 al 27 giugno prossimo. “Principale scopo e importanza di questo Sinodo – scrive Bartolomeo, citato dall’agenzia Sir – è di dimostrare che la Chiesa ortodossa è una, Santa, cattolica e apostolica, unita nei misteri e naturalmente nella divina eucarestia e nella fede ortodossa, ma anche nella sinodalità.  Per questo esso è stato preparato per un lungo periodo di tempo, attraverso una serie di Commissioni preparatorie e Conferenze presinodali, affinché i documenti delle sue decisioni trasparissero all’unisono, e il suo motivo, perché si esprima ‘con una sola voce e con un sol cuore'”.

L’agenda del Sinodo
Il Patriarca ecumenico fa sapere ai suoi fedeli che i temi di cui si occuperà il Sinodo sono “principalmente relativi a problemi della struttura e della vita esteriore della Chiesa ortodossa, che hanno bisogno di un immediato riassetto, come i temi riguardanti le relazioni dell’Ortodossia con il restante mondo Cristiano e la missione della Chiesa nella nostra epoca”. Ed aggiunge: “Conosciamo, naturalmente che il mondo attende di udire la voce della Chiesa ortodossa su molti dei problemi che scottano, che riguardano l’uomo di oggi. Ma si ritiene necessario che la Chiesa ortodossa riassetti innanzitutto le cose di casa propria, prima di esprimere una parola al mondo, fatto che non ha cessato di essere considerato un suo dovere”.

Preghiera per la pace
“Il fatto che l’ortodossia, dopo il passare di tanti secoli, esprima la sua sinodalità sul piano mondiale – aggiunge Bartolomeo - costituisce il primo e decisivo passo da cui si attende che, attraverso la grazia di Dio, non molto dopo ne seguano altri, attraverso la convocazione, se Dio vuole, di altri Sinodi Panortodossi”. “Annunciando queste cose a tutta la Chiesa ortodossa attraverso il mondo – conclude il Patriarca – auguriamo che il Signore Dio doni alla Sua Chiesa e a tutti voi abbondante grazia e benedizione e dia a tutto il mondo la pace sempre e in ogni modo”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 80

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.