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Sommario del 21/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



La Settimana Santa di Francesco nel segno della misericordia

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Giorni unici per densità di appuntamenti e intensità spirituale. È ciò che alla vigilia della Pasqua i cristiani vivono nel momento in cui l’anno liturgico li invita a immergersi nella Settimana Santa e in particolare nel Triduo pasquale. Un periodo, questo, segnato dalla riflessione del Papa sul Giubileo della Misericordia, che Francesco aprirà con la Messa in Coena Domini il pomeriggio del Giovedì Santo in San Pietro. Gli eventi dei prossimi giorni in questo servizio di Alessandro De Carolis: 

Misericordia. L’anima e la carne del prossimo Triduo pasquale saranno strettamente orientate da questo valore sul quale Papa Francesco ha voluto incardinare la Chiesa universale per un intero anno. Già la Domenica delle Palme ha mostrato l’impronta giubilare impressa dal Papa anche alla Settimana Santa – la sua carrellata sui singoli supplizi della Passione sublimati dall’amore abissale di Cristo che tutto perdona e ricopre di misericordia anche nel momento in cui a essere abissale è il dolore.

“Ho bisogno di essere lavato dal Signore”
Del resto, ha detto Francesco, la Settimana Santa è il racconto di un Dio che per amore dell’uomo sceglie di annientarsi. E il momento culmine in cui la spogliazione di Gesù sembra sovrapporsi e fondersi quasi con quella del suo Vicario in terra è quando, il Giovedì Santo, Francesco – come ha preso a fare dall’inizio del Pontificato – si china a lavare e a baciare piedi dei socialmente scartati. Non si conosce ancora il luogo e l’ora in cui il Papa celebrerà la Messa in Coena Domini del 24 marzo, ma pensando al Giubileo non può non tornare alla memoria l’umiltà delle sue parole dello scorso anno ai detenuti di Rebibbia, poco prima di inginocchiarsi davanti a loro:

"Ma anche io ho bisogno di essere lavato dal Signore e per questo pregate durante questa Messa perché il Signore lavi anche le mie sporcizie, perché io diventi più schiavo di voi, più schiavo nel servizio della gente, come è stato Gesù".

Contemplare le ultime ore
Una schiavitù che per “l’indifferenza” delle autorità – come ha affermato ieri Francesco – diventa crudele spettacolo sul Golgota. Ciò che la Chiesa mediterà lungo le ore del Venerdì Santo, con il Papa in Basilica vaticana alle 17 per celebrazione della Passione del Signore, rivissuta qualche ora dopo, alle 21.15, nella notte della Via Crucis al Colosseo. E un’altra notte, quella del Sabato Santo, “Madre di tutte le Veglie”, anticiperà con i riti di benedizione dell’acqua e del fuoco la vita nuova della Risurrezione, con Francesco a presiedere la celebrazione in San Pietro dalle 20.30. Infine, domenica 27 marzo, Pasqua di Risurrezione, la Messa del giorno in Piazza San Pietro fissata per le 10 sarà suggellata come sempre a mezzogiorno dalla benedizione Urbi et orbi di Papa Francesco, impartita dalla loggia centrale della Basilica Vaticana.

La risposta non banale
L’inizio della Settimana Santa è dunque la porta d’ingresso di un mistero che, tra il Cenacolo e il sepolcro, chiede alla fede di essere fuoco e non acqua stagnante. “Prendiamo sul serio il nostro essere cristiani, e impegniamoci a vivere da credenti”, scrive oggi Francesco in un tweet. Il perché lo spiegava l’anno scorso durante la Veglia:

“Entrare nel mistero significa andare oltre le proprie comode sicurezze, oltre la pigrizia e l’indifferenza che ci frenano, e mettersi alla ricerca della verità, della bellezza e dell’amore, cercare un senso non scontato, una risposta non banale alle domande che mettono in crisi la nostra fede, la nostra fedeltà e la nostra ragione”.

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Francesco: dolore per le vittime dell’incidente stradale in Spagna

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Cordoglio del Papa per le vittime del grave incidente stradale a Freginals, in Spagna, che ha provocato la morte di 13 studentesse, di cui sette italiane. In un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin al vescovo di Tortosa, mons. Enrique Benavent Vidal, il Papa assicura le sue preghiere per le vittime e i familiari e auspica il pronto ristabilimento dei feriti. Francesco chiede infine al Signore di donare serenità spirituale e speranza alle famiglie che piangono per la perdita irreparabile di un loro caro.

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In udienza in Vaticano i Reali di Lussemburgo

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, i Reali di Lussemburgo, il Granduca Henri e la Granduchessa Maria Teresa con un seguito, l’arcivescovo Peter Bryan Wells, nunzio apostolico in Sud Africa, Botswana, Lesotho, Namibia, con i familiari, il vescovo Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, con i familiari, il cardinale George Pell, Prefetto della Segreteria per l’Economia, il nuovo ambasciatore di Indonesia, Antonius Agus Sriyono, in occasione della presentazione delle Lettere credenziali.

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Via Crucis: meditazioni su migranti, famiglie e cristiani perseguitati

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“Dio è misericordia”: ha voluto dare questo titolo il cardinale Gualtiero Bassetti alle meditazioni scritte per la Via Crucis che sarà presieduta da Papa Francesco questo Venerdì Santo al Colosseo alle 21.15. Nei testi, che saranno pubblicati domani dalla Libreria Editrice Vaticana, l’arcivescovo di Perugia evidenzia che di fronte alle paure dell’uomo, al dolore, alle persecuzioni e alla violenza, la misericordia è il canale della grazia che da Dio giunge a tutti. Nelle 14 stazioni anche parole di don Mazzolari, padre Turoldo e San Giovanni Paolo II e riflessioni sui cristiani perseguitati, gli ebrei uccisi nei campi di sterminio, le famiglie lacerate e le ostentazioni dei potenti di oggi. Il servizio di Tiziana Campisi

Nei migranti il volto di Cristo
Il percorso di Cristo verso il Golgota è l’estremo dono misericordioso di Dio per gli uomini. Nel cammino giubilare che la Chiesa sta compiendo quest’anno, la Via Crucis meditata dal cardinale Gualtiero Bassetti vuole mostrare questo amore immenso che giunge allo “scandalo della croce” contrapponendosi alle meschinità umane e partecipando agli strazi del mondo. Il corpo flagellato e umiliato di Gesù “indica la strada della giustizia”, “la giustizia di Dio che trasforma la sofferenza più atroce nella luce della risurrezione”. Ma, come Pilato, c’è chi ha paura di perdere le proprie sicurezze e non sceglie la Verità di Dio o chi teme il diverso, lo straniero, il migrante e non vi scorge il volto Cristo.

Ebrei uccisi nei lager e cristiani perseguitati
Lungo le stazioni c’è spazio per riflessioni profonde, come quelle sulla prima caduta di Gesù sotto il peso della croce: se “la sofferenza per l’uomo è a volte un assurdo”, lo sforzo è quello di comprendere “quanta libertà e forza interiore” ci sia stata in quell’umano inciampo che è un’inedita rivelazione divina di Cristo. E le domande a Dio sui perché diventano allora preghiera: “per gli ebrei morti nei campi di sterminio, per i cristiani uccisi in odio alla fede, per le vittime di ogni persecuzione”.

Il dolore delle famiglie spezzate
In Gesù che incontra la madre si può scorgere poi l’immagine della famiglia, “cellula inalienabile della vita comune” e “architrave insostituibile delle relazioni umane”, mentre nel tenero gesto della Veronica si può riconoscere l’amore forte che sfida ogni cosa pur di donarsi. Il secondo inciampo di Cristo insegna che il peccato fa cadere più volte e che non ci si salva da soli; la terza caduta ricorda la sofferenza delle famiglie spezzate, di chi non ha un lavoro, di tanti giovani precari. E così la supplica a Dio si leva per quanti “sono a terra” a causa di matrimoni falliti, di drammi o per l’angoscia del futuro.

Bambini abusati
Gesù privato delle vesti ricorda invece i “bambini profanati nella loro intimità”, chi ha subito abusi o non è rispettato nella propria dignità. Ma è dalla sua croce che risplende l’“onnipotenza che si spoglia”, la “sapienza che si abbassa fino alla follia”, l’amore “che si offre in sacrificio”. Accanto due malfattori: uno propone di “scappare dalla croce ed eliminare la sofferenza” – è la “logica della cultura dello scarto” –, l’altro accetta la volontà di Dio e volge lo sguardo verso l’alto aprendosi alla “cultura dell’amore e del perdono”.

L’ostentazione dei potenti
Gesù muore in croce, ma la sua “è la celebrazione più alta della testimonianza della fede”, come quella di numerosi martiri, anche di questi ultimi secoli, “veri apostoli del mondo contemporaneo”, tra cui Massimiliano Kolbe ed Edith Stein. E al termine del percorso terreno di Cristo proprio nei testimoni emerge “la forza della fede”. Come quella di Giuseppe d’Arimatea, che si fa “accoglienza, gratuità e amore” nel chiedere il corpo di Cristo e nel seppellirlo con “semplicità” e “sobrietà”; in netto contrasto, sottolinea il cardinale Bassetti “con l’ostentazione, la banalizzazione e la fastosità dei funerali dei potenti di questo mondo”. Si chiude il sepolcro di Gesù, ma non è la morte ad aver posto fine a tutto, perché nelle tenebre di quella tomba di Gerusalemme, silenziosamente, Dio è “all’opera … per generare nuova grazia nell’uomo” che ama.

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Il card. Parolin incontra il Patriarca ortodosso bulgaro Neofit

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Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha iniziato oggi la seconda giornata del suo viaggio in Bulgaria con l’incontro con il Patriarca della Chiesa ortodossa bulgara Neofit. Il servizio di Iva Mihailova

All’inizio del suo colloquio con il Patriarca Neofit, il cardinale Parolin ha portato i cordiali saluti di Papa Francesco, che ha molto apprezzato questo incontro. Il Patriarca Neofit ha rilevato la buona accoglienza sempre riservata agli esponenti ortodossi in Vaticano e ha ricambiato i saluti del Papa. Nel corso dei colloqui sono stati menzionati i buoni rapporti tra la Chiesa ortodossa bulgara e la Santa Sede. Il Patriarca ha sottolineato l’importanza della tradizionale visita della delegazione bulgara, compiuta ogni anno in Vaticano in occasione della Festa dei Santi Cirillo e Metodio, e il suo grande contributo allo sviluppo dei rapporti tra la Chiesa ortodossa bulgara e la Santa Sede. Inoltre, il cardinale Parolin ha parlato della possibilità di costruire dei rapporti più frequenti e più vicini tra i rappresentanti della comunità cattolica in Bulgaria e i sacerdoti ortodossi nelle varie località. A suo avviso, tra gli ambiti possibili di collaborazione ci sono il lavoro con i giovani e l’aiuto ai poveri. E’ stato menzionato anche l’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca russo Kirill. Si è parlato del Concilio panortodosso a Creta, per il quale il cardinale Parolin ha assicurato le sue preghiere. Il Patriarca Neofit ha risposto che la buona riuscita del Concilio influirà anche sul processo di avvicinamento tra cattolici e ortodossi. Da parte ortodossa, inoltre, è stato espresso un ringraziamento per le possibilità di studio offerte ai giovani teologi ortodossi nel Pontificio Istituto Orientale e in altri centri di studio cattolici. A seguire, dopo il colloquio con il Patriarca, gli incontri con il primo ministro bulgaro, il presidente della Repubblica e il gran muftì.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Fuga dalla responsabilità - nella domenica delle Palme il Papa denuncia l’indifferenza di fronte al destino di tanti profughi

Dietro ogni lettera c’è una persona da servire - Il Papa ordina vescovi Miguel Ángel Ayuso Guixot e Peter Bryan Wells

Dio è misericordia - Le meditazioni per la Via crucis presieduta dal Papa la sera di venerdì santo scritte dal card. Gualtiero Bassetti

@Franciscus e la via della tenerezza - Già un milione e mezzo di follower su Instagram

In prima pagina l’editoriale di Giuseppe Fiorentino “Il concreto valore del dialogo” sulla visita di Barack Obama a Cuba

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Oggi in Primo Piano



Grecia in difficoltà sull'applicazione del piano migranti

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Ci sono difficoltà per la piena applicazione del piano per il rimpatrio dei migranti varato venerdì scorso dopo l’accordo tra Unione Europea e Turchia. Il programma è entrato in vigore tra sabato e domenica scorsi. A frenare è la Grecia, che afferma di aver bisogno di tempo, mezzi e personale sufficienti. Intanto in Mar Egeo si segnalano nuovi naufragi e vittime. I corpi senza vita di due bimbe di uno e due anni sono stati recuperati ieri dalla Guardia Costiera greca. Sulle difficoltà del Paese ellenico, Giancarlo La Vella ha raccolto il commento di Fulvio Scaglione, editorialista di Famiglia Cristiana: 

R. – I problemi che l’intera Europa non è riuscita a risolvere si scaricano ora solo sulla Grecia. Qui si tratta di problemi politici, cioè dell’atteggiamento generale da tenere nei confronti del fenomeno migratorio, ma anche di problemi pratici, perché questo piano migranti, che è stato siglato tra l’Ue e la Turchia ora deve essere implementato praticamente in esclusiva dalla Grecia, quindi con una questione di trasporti dei migranti che devono essere rimandati in Turchia e quelli che devono essere distribuiti in Europa, di espletamenti burocratici, di visti, di impronte digitali, che ricade tutto su questo piccolo Paese dove, non bisogna dimenticarsi, nel 2015 sono arrivati più di 800 mila migranti. Quindi la Grecia è sola rispetto ad un compito immane.

D. – Forse è stato dato il via con troppa fretta a questo programma?

R. – Io credo che in molti Paesi europei, per primo la Germania, ci sia un po’ di smania per mettere fine all’avanzata dei vari populismi di destra e destra estrema, però la fretta è sempre una cattiva consigliera soprattutto quando c’è tanta fretta dopo tanta inerzia. C’è una politica di respingimenti, nel senso che i migranti dovrebbero essere censiti e rimandati indietro in attesa di esaminare la validità o meno della loro domanda d’asilo. Si è creato un meccanismo complicatissimo, che io non credo possa funzionare e sicuramente non può funzionare nel breve termine, perché devono essere mandati più di 4 mila funzionari in Grecia per provvedere a tutto, e soprattutto credo che sia un accordo che, più che nell’interesse dei migranti, trova le sue  ragioni nell’interesse politico di chi lo ha stipulato e quindi sia dell’Unione Europa che della Turchia.

D. - Non c’è scritto nulla in questo piano sulla salvaguardia di quanti comunque si metteranno in mare con i rischi che ben conosciamo?

R. - No, questo piano lascia praticamente una discrezione quasi totale alla Turchia, che potrà usare il rubinetto dei migranti, come ha fatto per altro negli ultimi tempi, per mettere più o meno sotto pressione l’Unione Europea. Mi sfugge quale sia il meccanismo con cui noi europei potremmo controllare che la Turchia effettivamente mantenga le promesse che fa e usi i miliardi che riceverà per i migranti e non per altre ragioni.

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Obama a Cuba: questo viaggio è una storica opportunità

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“Questo viaggio rappresenta una opportunità storica di impegnarsi con il popolo cubano”. “E’ meraviglioso essere a Cuba”. E’ quanto ha dichiarato il Presidente statunitense  Barack Obama, arrivato ieri all’aeroporto dell’Avana, davanti al personale dell’ambasciata americana nella capitale cubana. Obama è il primo Capo della Casa Bianca a visitare Cuba dal 1928. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

L’arrivo all’aeroporto dell’Avana dell’Air Force One con a bordo il Presidente Obama è la prima tappa di una storica visita che suggella il disgelo tra Stati Uniti e Cuba, avvenuto anche grazie alla mediazione della Santa Sede. Il Papa, recentemente, si è recato due volte nel Paese caraibico: a settembre in occasione del viaggio apostolico a Cuba e negli Stati Uniti e lo scorso 12 febbraio per lo storico incontro con il Patriarca di Mosca Kirill. La passeggiata nella città vecchia e l’incontro nella cattedrale della capitale cubana con il card. Jaime Lucas Ortega, arcivescovo dell’Avana, hanno scandito il primo giorno del Presidente americano a Cuba.  L’arrivo di Obama è stato preceduto dall’arresto di almeno 50 dissidenti al termine di una manifestazione di protesta contro il governo cubano. Oggi è in programma l’incontro con il Presidente cubano Raul Castro. Domani, prima di tornare negli Stati Uniti, il Capo di Stato americano rivolgerà un discorso rivolto ai cubani. 

Sul senso, il valore e gli effetti della visita del Presidente americano Obama a Cuba, Amedeo Lomonaco ha intervistato Luis Badilla, direttore del “Sismografo” ed esperto di America Latina: 

R. – Le letture e le interpretazioni possono essere moltissime e tutte molto rilevanti. Secondo me, quella che in qualche modo riassume il senso profondo è che Obama con la sua vista a L’Avana e con il suo incontro con le autorità, mette fine definitivamente ad un pezzo di Guerra Fredda che era rimasta nell’emisfero americano e che inquinava tutti i rapporti tra gli Stati Uniti e il resto dei Paesi della regione.

D. - È finito un pezzo di Guerra Fredda. Sta finendo anche il castrismo?

R. - Penso che sia prematuro poterlo dire. Sta finendo nel senso che Fidel Castro – come tutti sappiamo – non è più Presidente; è anziano e malato. Sappiamo anche che Raoul Castro – perché lo ha dichiarato ufficialmente – non si presenterà nuovamente per essere rieletto da parte del Partito comunista. Quindi fra un anno e mezzo anche il Presidente Raoul Castro sarà fuori gioco. A quel punto non si potrà più parlare di castrismo. La cosa interessante sarà vedere che cosa il castrismo è riuscito a lasciare, come eredità, dal punto di vista della nuova classe governante per l’isola.

D. - La visita di Obama a Cuba soprattutto in Occidente viene considerata, definita storica. Come viene raccontata questa visita a Cuba? Come la raccontano i media locali?

R. – Leggendo la stampa cubana, che come tutti sappiamo è una stampa ufficiale, si ha l’impressione di grande rispetto verso l’ospite di grande rilievo politico, anche umano, alla sua presenza, allo stile e alle parole del Presidente prima del suo arrivo e, in queste ore, durante la visita. Quindi viene raccontata in un modo molto aperto e sincero. La stampa riferisce addirittura che oggi all’Avana ci saranno anche manifestazioni contro la visita, organizzate da una parte minoritaria in una zona marginale della città. Però ho l’impressione che a Cuba l’informazione in questa circostanza sia molto aperta, dinamica, libera e completa.

D. - Quando si vedranno gli effetti concreti di questa visita, di questo processo di disgelo, ormai avvenuto anche grazie alla mediazione della Santa Sede?

R. - Molti effetti già si sono visti a partire dal 17 dicembre 2014, quando Castro e Obama hanno dato l’annuncio di un’apertura di relazioni diplomatiche “normali” ringraziando quello che era stato l’intervento discreto, silenzioso ma molto efficace di Papa Francesco. Da quel giorno sono stati fatti moltissimi progressi da una parte e dall’altra. Ora manca una questione fondamentale: la fine dell’embargo e del blocco economico statunitense a Cuba. Solo questo può dare un’altra successiva e definitiva svolta, perché senza questa deroga sarà difficile che i rapporti possano essere considerati normali. Quando Obama arrivando all’Avana ha detto “questo è il primo passo di un percorso impegnativo che deve offrire altri risultati” si riferiva in modo specifico a questo punto, cioè all’embargo.

D. - Tra i primi passi concreti dopo l’arrivo di Obama a Cuba, oltre alla passeggiata nel centro storico dell’Avana c’è anche l’incontro con l’arcivescovo della capitale cubana Ortega. Anche questo è un passo importante …

R. - Molto importante! È andato a piedi alla cattedrale dove è stato accolto dal cardinale Ortega con il quale si è intrattenuto in una lunga conversazione. Ha salutato numerosi fedeli che erano sia all’interno sia all’esterno della cattedrale. Questo, secondo me, sottolinea da una parte l’omaggio del Presidente alla Chiesa cubana e in un qualche modo alla Chiesa statunitense che lavorano da molti decenni per questo incontro. E, dall’altra, è un omaggio alla Santa Sede, consapevole, come una volta disse Papa Francesco, che la fine di questo antagonismo fra Cuba e gli Stati Uniti non poteva che portare vantaggi a tutte le nazioni latino-americane e al rapporto fra Stati Uniti e il resto dei Paesi dell’emisfero americano.

D. - Questa visita come cambierà il futuro della Chiesa cubana?

R. - Io penso che questa visita per quanto riguarda la Chiesa cattolica, ma anche per Chiese cristiane che sono presenti a Cuba avrà una sua importanza, ma non immediatamente: non c’è un rapporto immediato, meccanico tra la visita e la vita delle comunità ecclesiali a Cuba, però aiuterà a migliorare notevolmente il clima di libertà, di pluralismo, dei diritti democratici, del rispetto dei diritti umani. Sono tutte preoccupazioni che le Chiese, in particolare quella cattolica, hanno sempre posto tra le priorità nella prospettiva di una normalizzazione dei rapporti e della modernizzazione di Cuba. La Chiesa cattolica è molto impegnata nel sostenere, tutte le volte in cui sia possibile e giusto, la modernizzazione del Paese e le riforme del presidente Raoul Castro. Questa visita è uno slancio per tutto il processo e quindi anche per la vita delle Chiese, in particolare quella cattolica.

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Giornata sindrome Down. Onu maggiore inclusione e autonomia

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Si celebra oggi la 10.ma Giornata mondiale della Sindrome di Down che colpisce, secondo stime dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), un bambino ogni circa mille nati vivi. In questa occasione, si tiene nel Palazzo di Vetro dell’Onu a New York una Conferenza dal titolo “I miei amici, la mia comunità”, dedicata ai benefici dell’inclusione. Tra gli organismi presenti ai lavori, il Coordinamento italiano delle associazioni, circa 70, delle persone con sindrome di Down ("CoorDown"). Roberta Gisotti ha intervistato la segretaria nazionale Franca Bruzzo, sui progressi fatti negli ultimi 10 anni: 

R. – Il primo progresso è che tra le varie realtà che si occupano di sindrome di Down c’è sempre più raccordo: siamo arrivati a trovare un modo univoco di pubblicizzare questa Giornata, abbiamo creato un canale di comunicazione stampato e con video, in modo da poterlo utilizzare dall’Italia al Canada all’America all’Africa, tutti insieme, proprio per dire: “Vogliamo che i nostri figli siano integrati in tutte le società”.

D. – Ma bastano le leggi perché i disabili siano integrati?

R. – Se ci riferiamo all’Italia, diciamo che noi abbiamo un’ottima tutela delle persone con disabilità, però c’è difetto nell’erogazione dei servizi: vuoi perché spesso ci sono tagli, vuoi perché non c’è coordinamento tra i vari enti pubblici… Sicuramente i nostri ragazzi, se ben supportati, potrebbero ottenere migliori risultati: di apprendimento perché ben seguiti, di preparazione al lavoro per far sì che riescano poi a raggiungere l’obiettivo finale che è quello di un’assunzione lavorativa a tempo indeterminato. Però, le cose non si improvvisano: bisogna lavorarci tutti insieme!

D. – Non tutti sanno che le persone affette da sindrome di Down possono raggiungere anche un’indipendenza, fino ad avere una vita autonoma dalla famiglia di origine...

R. – Sì, questi sono gli obiettivi di questi anni e del futuro. Noi abbiamo iniziato a lavorare circa 40 anni fa per riabilitare le persona con sindrome di Down fin da neonate, da piccole. Abbiamo fatto tutto un percorso di integrazione scolastica, le abbiamo aiutate a tirar fuori il più possibile le loro potenzialità. E nel video della Giornata mondiale, che viene trasmesso su tutti i social, si vede una persona che ha gli stessi desideri dei suoi amici, degli altri giovani e quindi anche di poter arrivare a una vita indipendente, pur sempre monitorata, non lasciata senza un supporto. Questo è un obiettivo che si può raggiungere sempre in più casi. Si sta andando verso questa strada e sempre di più a piccoli gruppi persone con sindrome di Down riescono ad andare a vivere al di fuori delle famiglia, pure se la famiglia di origine è ancora esistente.

D. – Però, spesso, si sentono famiglie con figli portatori di sindrome di Down che dicono di essere poi abbandonate finito il percorso scolastico…

R. – Certo, e il nostro Coordinamento, le associazioni dei genitori vogliono proprio lavorare per far sì che nella scuola e nel lavoro ci siano i giusti supporti, quindi anche i servizi consultoriali. Bisogna sempre più lavorare perché funzionino, perché chiaramente se questi servizi vengono tagliati per dei risparmi che devono esserci, vengono a mancare adeguati sostegni supporti ai nostri ragazzi. Mentre, se la famiglia è ben supportata, il ragazzo è ben supportato, possiamo veramente ottenere degli ottimi risultati. Il messaggio che vogliamo dare in questa Giornata è proprio di far riflettere tutti sulla domanda: “Tu, come mi vedi?”. Perché è la persona down che nel filmato esprime i suoi desideri, quello che vorrebbe fare, come lei si vede, ma poi  pone un interrogativo a tutti noi, perché forse spesso siamo noi che abbiamo un pensiero distorto sulle persone con sindrome di Down. Forse, spesso non crediamo nelle loro possibilità e le crediamo persone che sicuramente danno meno di quello che poi realmente, conoscendole, scopriamo che possano dare.

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Giornata delle vittime di mafia. Il ricordo di don Diana

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Circa 350 mila i partecipanti oggi, secondo "Libera", alle manifestazioni in tutta Italia per la 21.ma Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie. In simultanea, in 1.000 luoghi sparsi della Penisola la lettura dei circa 900 nomi degli innocenti uccisi dalla criminalità organizzata. Tra loro c’era don Peppe Diana, la cui vita fu brutalmente stroncata dalla camorra 22 anni fa in chiesa a Casal Di Principe. Come ha segnato quel fatto la vita della comunità locale?  Fabio Colagrande lo ha chiesto a don Paolo dell'Aversana, parroco del Santuario della Madonna di Briano, tra i firmatari con don Diana del documento "Per amore del mio popolo": 

R. – Diciamo che ha segnato la storia della Chiesa, in questo territorio, come ha segnato la storia delle nostre comunità. Dovremmo anche dire che l’ha segnata poi positivamente, perché da quella morte è nato un seme capace di portare frutti buoni. Perché da quella morte è nata anzitutto una consapevolezza diversa, nuova, della realtà in cui si viveva e quindi della necessità anche di reagire a quella situazione. Da quella morte sono nate tante associazioni che continuano nel suo nome a portare frutti di legalità in tutto il territorio.

D. – Cosa resta ancora da fare?

R. – Resta da continuare un impegno di denuncia, sempre, ma soprattutto – secondo me – resta da continuare su quella formazione delle coscienze che porta giorno dopo giorno a fare scelte di campo che siano sempre di fedeltà alla giustizia e alla legalità.

D. – Il documento a cui lei appose la sua firma, “Per amore del mio popolo”, conteneva anche un forte appello rivolto alla Chiesa…

R. – Sì. Facemmo quell’appello in quel Natale del 1991, perché stavamo vivendo una situazione molto grave nei nostri territori. Ma quell’appello, penso sia un appello che dovrà continuare sempre: penso sia il dovere della Chiesa quello di annunciare continuamente un bisogno di giustizia, specialmente in quelle situazioni in cui la giustizia non c’è.

D. – E’ cambiato da allora l’atteggiamento anche degli esponenti della Chiesa, don Paolo?

R. – Sì, certamente, oggi ci troviamo con una Chiesa che ha maggiore consapevolezza di queste necessità: consapevolezza di doverci essere, sul territorio, consapevolezza di dovere investire molte energie in questa opera di formazione delle coscienze.

D. – Perché, secondo lei, fu ucciso, don Beppe Diana?

R. – Quello che i processi hanno detto è che c’era un motivo di rivalità tra i clan, tra le bande, e quindi fu chiaramente un motivo prettamente di camorra. Don Peppino era in quel momento forse l’esponente più "duro" di una Chiesa che denunciava e allora è toccato a lui…

D. – 22 anni dopo, c’è il rischio di tornare indietro, secondo lei?

R. – Tornare indietro penso che sia più difficile, oggi, perché il lavoro che è stato fatto in questi 22 anni dalla Chiesa, dalle associazioni, dal Comitato Don Diana, dalla Scuola di pace Don Peppe Diana, penso sia un lavoro che abbia costruito qualcosa di forte nelle coscienze delle persone. Ma è chiaro che il rischio poi c’è sempre: c’è sempre nella misura in cui si abbandona un territorio a se stesso per mancanza di lavoro, per mancanza di infrastrutture… E questo è chiaro che può determinare una situazione di pericolo.

D. – Il 19 marzo 2015, alcune associazioni hanno chiesto di aprire il processo di Beatificazione per don Diana…

R. – …e il vescovo ha accolto questa richiesta, ha iniziato una serie di raccolta di documenti, di notizie, anche di testimonianze di tutto quello che riguarda la storia di don Peppe Diana.

D. – Quella mattina, il 19 marzo del 1994, don Peppe veniva ucciso in chiesa: era davvero inaspettato che la camorra, che la mafia colpisse un sacerdote in una chiesa... E’ vero, don Paolo?

R. – Cioè, non si sarebbe mai immaginato che si potesse arrivare a tanto. Ma purtroppo è capitato. Lo stesso don Peppe non immaginava che potesse esserci questo pericolo. La reazione fu innanzitutto di sgomento, ma poi di presa di coscienza e di consapevolezza che si sarebbe dovuto continuare. E continuare – chiaramente – con un atteggiamento un pochino diverso. Ed è quello che penso sia capitato, poi…

D. – Perché come credenti è importante ricordare don Peppe Diana, 22 anni dopo?

R. – E’ importante perché il suo sacrificio dev’essere di monito, ma soprattutto di insegnamento per ognuno di noi. Ognuno di noi deve sentirsi in gioco. Nessuno può mettersi da parte, nessuno può tirarsi indietro. Ognuno deve fare la propria parte. Lo fa la Chiesa, lo fanno le associazioni, ma ogni persona deve incominciare ad abitare questo territorio con un atteggiamento diverso.

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Twitter compie 10 anni. Giaccardi: i Papi sui Social per costruire ponti

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Il 21 marzo di 10 anni fa, nasceva Twitter, uno dei più popolari social network, che conta oggi mezzo miliardo di utenti in tutto il mondo. Tra gli account più popolari c’è quello di Papa Francesco, @Pontifex, che ha superato i 27 milioni di follower. Sull’importanza delle Reti sociali e il ruolo che la Chiesa può avere in questi nuovi ambienti digitali, Alessandro Gisotti ha intervistato la prof.ssa Chiara Giaccardi, docente di sociologia e antropologia dei media all’Università Cattolica di Milano: 

R. – Per me, è stato veramente emblematico lo sbarco – ed è anche significativo questo termine che dice di un ambiente sconosciuto che va antropizzato, in qualche modo – di Benedetto XVI su twitter, perché è stato un po’ un emblema di un gesto molto coraggioso che ha avuto anche un prezzo da pagare, perché nel momento in cui si apre una porta di interazione, è chiaro che entra un po’ di tutto. Però, questo coraggio, questo capire che le meravigliose invenzioni tecniche sono imprescindibili nella relazione con il mondo: questa è stata un’intuizione di tanti Pontefici che veramente ha fatto bene alla Chiesa ma soprattutto ha fatto bene ai media.

D. – Papa Benedetto ha appunto aperto l’account twitter@Pontifex tre anni fa, un testimone raccolto con successo da Francesco che ora è anche su Instagram. Qual è il contributo che sta dando il Pontefice, Francesco, agli abitanti del continente digitale?

R. – Io credo che ci sia un’eredità che ha raccolto da Benedetto XVI che nel suo messaggio per la 47.ma Giornata delle comunicazioni, dedicata proprio alle reti sociali, aveva posto come punto che è diventato imprescindibile, il non dualismo tra gli spazi esistenziali materiali e quelli digitali, dicendo appunto che le reti non sono mondi paralleli o virtuali, ma parte della realtà quotidiana di tante persone. E questa è stata veramente un’affermazione cardine, un punto di non ritorno nella riflessione sul ruolo di questi spazi digitali. Direi che Papa Francesco ha colto questa eredità e l’ha rilanciata in una maniera veramente efficacissima.

D. – In che modo si esprime, secondo lei, questa efficacia della presenza del Papa sui social network?

R. – Ci fa vedere cosa significa abitare questi spazi, che non vuol dire usare i social media come dei pulpiti da cui tuonare: infatti, alcuni sacerdoti li usano così e questo veramente ti dà un’impressione un po’ stonata, perché non è questo il modo di abitare questi territori. Mentre invece i tweet, anche, del Papa, di “Pontifex”, è una voce che risuona, che umanizza un ambiente e che risuona anche ben oltre gli ambiti e le cerchie delle persone che frequentano la Chiesa. Molti suoi tweet sono semplicemente “pregate per me”, per esempio, quindi, una richiesta di vicinanza; oppure, affermazioni che riguardano appunto la terra, i beni comuni, cose che possono essere condivise anche da persone che magari per altri aspetti sono lontane. E quindi questo creare ponti, appunto, questo convergere verso obiettivi che sono di tutti, che non sono mossi contro quelli di qualcun altro: questa credo che sia una presenza veramente incisiva, veramente fondamentale e veramente capace, appunto, di superare quei muri che poi creano disumanità, alla fine, che impoveriscono il nostro ambiente culturale, anche quello sociale.

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Ritratti di Santi. Vincenzo Bocciarelli legge Alberto Chmielowski

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Bellezza, sofferenza, dedizione agli ultimi. Queste in sinetsi la vita di fratel Alberto Chmielowski, fondatore delle Congregazioni dei Fratelli del Terz'Ordine di San Francesco Servi dei Poveri, canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1989. Abbandonata la carriera di pittore, fratel Alberto trasformò il suo atelier in ostello per i poveri nei quali vide il volto di Cristo. La sua vita sarà letta questa sera alle 21.00 nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria, all’interno della rassegna quaresimale “Ritratti di Santi”, dall’attore Vincenzo Bocciarelli. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. – Questo Santo non lo conoscevo ed è stata una scoperta meravigliosa, anche perché, oltre ad avere illuminato il percorso spirituale di Papa Wojtyla, rappresenta un po’ tutto il mondo degli artisti. E’ stato infatti un grande pittore che, all’apice della sua fama, ha deciso di abbandonare tutto per avvicinarsi ai più bisognosi e ai poveri. Aveva un estro alla Cézanne e i suoi quadri erano pieni di colori stupefacenti, al punto che, quando decise di liberarsi di tutto questo, distrusse anche tante opere.

D. – La sua vita è caratterizzata pure dalla sofferenza, che seppe poi sublimare grazie all’incontro con Dio…

R. – Ha avuto quella che spesso chiamano i teologi la “notte dei Santi”, cioè la notte dello spirito; ha avuto forti crisi e ha attraversato profondamente il dolore. Venne anche un po’ deriso all’inizio, quando decise di fuggire dal mondo effimero. Mi ha colpito molto, per esempio, questo suo rapporto con un’opera che lo ha accompagnato tutta la vita, l’“Ecce Homo”, che era sempre un “work in progress”. Lui ogni tanto tornava su quest’opera che non riusciva mai a completare. Oggi è posta sulla sua tomba. Quest’opera è stata un po’ testimone del suo percorso travagliato, fatto di sofferenza, di derisioni, di umiliazioni. E’ un grande esempio da seguire, anche nel nostro piccolo, per vivere sempre più nella fede. Il seme della misericordia, della carità, quindi della fede, era insito nella vita di Alberto Chmielowski. 

D. – Un seme che poi germoglierà quando addirittura trasformerà il suo studio in dormitorio per i più poveri…

R. – Sì, è stato proprio definito il San Francesco della Polonia e mi auguro che questa sera io riesca il più possibile, profondamente, a trasmettere questo messaggio di estasi, cioè di slancio verso l’alto che Alberto Chmielowski ci trasmette.

D. – Quanto è importante per un artista come lei entrare in contatto con altri artisti che in passato hanno incontrato Dio e sono diventati Santi?

R. – Leggendo la vita di San Alberto Chmielowski ho ritrovato tantissimi punti in comune con la mia esperienza. Come diceva Giovanni Paolo II, in tutti noi c’è un potenziale percorso di santità. Quindi questo ci insegna anche che da un momento all’altro questa luce, la luce della misericordia, può illuminare qualunque persona, chiunque di noi. Quando ci si sente abbagliati da questo richiamo, da questa luce c’è quel timore, c’è quella paura di non essere capiti o si avverte sicuramente anche quel senso di derisione. La misericordia, la forza del Padre, ci spingono proprio a saper perdonare, a non farsi influenzare dai giudizi facili, dalla superficialità e ad andare avanti.

D. – Dall’entusiasmo con cui racconta San Alberto Chmielowski, si capisce che sarà una lettura speciale questa sera…

R. – Penso proprio di sì. E’ un Santo veramente moderno e può essere importantissimo per i giovani, una guida, un punto di riferimento, per il coraggio col quale ha sfidato le superficialità, le derisioni, per il coraggio di abbandonare tutto, di abbandonare il successo, di abbandonare la strada sicura per lanciarsi verso questo misterioso e affascinante mondo della fede, che ovviamente non è un percorso semplice, ma un percorso fatto di rinunce. In quest’epoca in cui si è molto egoici, dove il narcisismo è imperante, uscire da se stessi penso che sia la sfida più grande.

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Nella Chiesa e nel mondo



P. Tom rapito in Yemen: appello alla preghiera dei Salesiani

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Nella Settimana Santa e, in particolare, Giovedì dopo l’eucaristia “In Coena Domini”, la Famiglia salesiana chiede di pregare per le quattro suore massacrate in Yemen e per la liberazione di padre Tom Uzhunnalil, il sacerdote indiano rapito dal commando estremista. È questo l’appello lanciato dal Rettor Maggior in un videomessaggio pubblicato oggi sul sito internet dell’istituto. 

Non ci sono ancora notizie certe sulla sua sorte
Dal 4 marzo scorso - riporta l'agenzia AsiaNews - padre Tom Uzhunnalil è nelle mani del gruppo jihadista, con tutta probabilità legato al sedicente Stato Islamico (Is), che ha massacrato quattro suore di Madre Teresa e altre 12 persone ad Aden, nel sud del Paese. Finora non vi sono state notizie ufficiali sulla sorte del 56enne sacerdote nato a a Ramapuram, vicino a Pala (Kottayam, Kerala), da una famiglia profondamente cattolica. Suo zio Matteo, morto lo scorso anno, anch’egli salesiano, è il fondatore della missione in Yemen.  Padre Tom si trova nel Paese arabo da quattro anni.

I Salesiani invitano alla preghiera il Giovedì Santo
​Sulla sorte del sacerdote, i confratelli e la Famiglia salesiana invitano a “vivere un momento molto intenso di preghiera nella sera del Giovedì Santo, quando accompagneremo Gesù nel dolore e nella solitudine del Getsemani”. “Continuiamo a seguire con dolore e con grande apprensione, quello che sta accadendo al nostro fratello Tom, Salesiano di Don Bosco, che è scomparso e del quale non sappiamo più nulla. Desidero esprimere - afferma il Rettor Maggiore - anche tutta la nostra vicinanza, e la nostra solidarietà alla sua famiglia”. (R.P.)

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Burundi: rapporto su bambini indigenti, denutriti, sfollati

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I bambini del Burundi, che rappresentano la metà di una popolazione di 10 milioni di persone, vivono nel Paese più indigente del mondo, dove la maggior parte della popolazione sopravvive con meno di 1 dollaro e 25centesimi al giorno. Secondo i dati riportati dall’Indice Globale della Fame, 3 bambini su 5 subiscono ritardi nella crescita. Gli ultimi raccolti sono stati scarsi e i prezzi dei generi alimentari sono aumentati rendendo più difficile alle famiglie poter sfamare i propri figli. Inoltre l’accesso ai servizi di base come la sanità e l’istruzione sono fuori dalla portata di molte persone bisognose. 

Peggiorate le condizioni di vita dei minori
Continua a crescere la violenza all’interno e nei dintorni delle scuole, e da aprile dello scorso anno le condizioni di vita dei minori sono peggiorate drasticamente. Oltre 200 sono stati catturati e imprigionati insieme a delinquenti adulti.

Bambini sfollati: sfruttati, rapiti o sequestrati dai gruppi armati
​Più di 237 mila burundesi, la metà bambini, sono fuggiti nei Paesi limitrofi. Altri 25 mila sono sfollati interni. I piccoli che continuano a fuggire sono più vulnerabili e corrono rischi maggiori di essere sfruttati, rapiti o sequestrati dai gruppi armati. Migliaia sono quelli feriti e traumatizzati. L’organizzazione Spazi Amici dell’Infanzia stanno aiutando migliaia di piccoli, una quarta parte dei quali mostrano segni di trauma psicologici, somministra i farmaci necessari per le cure di base nelle comunità più precarie, collabora nella ricostruzione delle scuole distrutte dalle piogge torrenziali che hanno colpito il Paese per assicurare ai bambini una istruzione continua. (A.P.)

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Congo: sacerdote ferito gravemente in un agguato

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Un sacerdote dell’Ordine dei Chierici Regolari Minori (Padri Caracciolini) è stato ferito gravemente in un agguato stradale ieri, a Katwiguru, 30 km da Rutshuru nel Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo.

L'auto del sacerdote attaccata da uomini armati
Padre Jonas, che opera presso la parrocchia di Nyamilima, si stava recando a celebrare la Messa quando, intorno alle 7 del mattino, la sua automobile è stata attaccata da uomini armati, presumibilmente guerriglieri delle Fdlr (Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda), all’entrata del villaggio di Katwiguru. Padre Jonas è stato raggiunto da cinque proiettili: al braccio destro, ad una gamba e alla colonna vertebrale. Il suo autista è stato colpito da due proiettili alle braccia. Colpita pure una ragazzina che era a bordo.

I sospetti sui guerriglieri delle Fdlr nel territorio di Rutshuru
Padre Jonas è il ferito più grave ed è stato trasportato all’ospedale di Goma, mentre la vettura è stata crivellata di colpi ed è completamente distrutta. Secondo notizie riportate dall'agenzia Fides, questo è il secondo attacco a sacerdoti che operano a Nyamilima negli ultimi due mesi. Da qualche giorno l’esercito regolare congolese (Fardc) sta dando la caccia ai guerriglieri delle Fdlr nel territorio di Rutshuru. I guerriglieri sbandati hanno intensificati gli attacchi stradali per impadronirsi di veicoli per darsi alla fuga o per ottenere denaro dai passeggeri. (L.M.)

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Vescovi Colombia: formulare correttamente l'accordo di pace

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"Ciò che conta non è la data in cui viene firmato l'accordo, ma che esso sia correttamente formulato”: così si esprime mons. Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja e presidente della Conferenza episcopale colombiana (Cec), riguardo il rinvio della firma dell’accordo di pace tra il governo e le Farc (Forze armate rivoluzionarie) prevista per il 23 marzo. “Bisogna evitare clausole che possono creare problemi” ha sottolineato il presule, citato dall’agenzia Fides, ribadendo che “è  molto importante analizzare bene il tutto per evitare di danneggiare l'intero processo” di pace.

La Chiesa continua a sostenere il processo di pace
Al contempo, mons. Castro Quiroga ribadisce che “la Chiesa cattolica continuerà a sostenere il processo di pace in modo incondizionato”. Infatti, già il mese scorso, al termine dell’Assemblea plenaria i vescovi colombiani avevano ribadito il loro impegno a “lavorare per la pace, che è un dono di Dio”.

I punti principali dell’accordo di pace
Da ricordare che nei mesi scorsi è stato raggiunto uno storico accordo tra il governo del Presidente Juan Manuel Santos e la guerriglia delle Farc. Secondo quanto annunciato, il prossimo 23 marzo le parti in causa avrebbero dovuto firmare la fine del conflitto armato interno iniziato nel 1964 e costato la vita ad almeno 220 mila persone. La firma della pace sarebbe possibile grazie all’accordo raggiunto su due punti determinanti: la forma di giustizia da applicare ai crimini di guerra, e la trasformazione delle Farc in un movimento politico. In materia di giustizia, in particolare, si procederà ad un’amnistia per i delitti politici. I crimini di guerra che contemplino delitti di lesa umanità, invece, saranno di competenza di un tribunale speciale, composto da magistrati sia nazionali che internazionali. (I.P.)

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Venezuela. Card. Urosa: governo protegga le proprietà dei cittadini

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"Quello che è successo a Tumeremo è molto grave. E' importante che il governo faccia il suo dovere per proteggere la sicurezza e le proprietà dei venezuelani" ha detto l'arcivescovo di Caracas, il card. Jorge Urosa Savino durante un programma televisivo trasmesso ieri, Domenica delle Palme. Il cardinale ha fatto notare che ci sono molti altri posti in Venezuela come Tumeremo, che sono "dominati dai criminali": "quello che è successo a Tumeremo evidenzia una specie d'abbandono da parte del Governo della sicurezza cittadina".

La scomparsa di 28 minatori
La comunità nazionale è ancora scioccata dal caso: 28 minatori non hanno voluto cedere alle minacce dei gruppi criminali e sono scomparsi. Alcuni media locali hanno ipotizzato che siano stati trucidati, altri bruciati o comunque assassinati.

Il modello economico marxista-comunista ha distrutto l'agricoltura
Il card. Urosa ha parlato della situazione che attraversa il Paese, in quanto "il governo ha imposto un modello economico marxista-comunista che ha rovinato la vita in campagna, quindi, non c'è più produzione agricola". "Non possiamo continuare così – ha sottolineato l’arcivescovo di Caracas -. Con la carenza di cibo, il razionamento dell’energia elettrica, tra gli altri problemi… Il governo deve capire che non può continuare così. Ci deve essere un buon dialogo per risolvere questa situazione e il Paese riesca così ad andare avanti".

La Settimana Santa come momento di riflessione sulla vita del Paese
Per concludere, il card. Urosa Savino ha voluto ricordare che "la Settimana Santa dovrebbe essere un momento di riflessione su ciò che stiamo vivendo nel Paese", aggiungendo che "uno dei problemi che ha il mondo moderno è la dimenticanza di Dio". (C.E.)

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India: cristiani chiedono protezione per la Settimana Santa

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Visti i recenti attacchi alla comunità cristiana, è urgente garantire la sicurezza dei fedeli durante le celebrazioni della Settimana santa. È il grido d’aiuto rivolto alla Commissione nazionale per i diritti umani (Nhcr) da Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic). La violenza religiosa nel Paese, infatti - riferisce l'agenzia AsiaNews - non accenna a fermarsi, con i radicali indù che si sono resi protagonisti di nuovi attacchi negli ultimi giorni. Lo scorso 6 febbraio, circa 15 uomini hanno assalito la chiesa pentecostale del villaggio di Kachna, nello Stato del Chhattisgarh, interrompendo la funzione, malmenando i circa 65 fedeli presenti, comprese le donne, e devastando oggetti sacri.

Episodio di violenza in una chiesa del Tamil Nadu
Solo una settimana più tardi, 12 marzo, un altro episodio di violenza è accaduto nel Tamil Nadu, Stato del sud-est. Gruppi indù hanno violato la proprietà della Church of South India (Csi, anglicana) a Kalapatti, danneggiando l’interno della chiesa e il suo portone, rompendo l’altare e i paramenti sacri. Il luogo di culto si trova lì dal 1948 ed era stato di recente ristrutturato ed espanso con il permesso della corte di Madras. La polizia ha arrestato cinque persone e aperto un fascicolo d’indagine.

Aggredito e arrestato un pastore pentecostale
Il giorno prima dell’attacco, l’11 marzo, un pastore pentecostale è stato arrestato insieme alla moglie nello Stato meridionale di Karnakata, dopo essere stato picchiato da un gruppo di estremisti della destra indù, forse appartenenti al Bajrang Dal, ala giovanile militante del Vishwa Hindu Parishad (Vhp, ultranazionalisti indù). Il pastore, Keshava K, era in viaggio per andare a pregare per un non credente: arrivato a destinazione è stato preso in un’imboscata e malmenato.

Attacchi di gruppi della destra indù contro la minoranza cristiana
Secondo Sajan George, queste continue violenze “sono violazioni delle garanzie costituzionali. Questi gruppi della destra indù picchiano cittadini innocenti, appartenenti alla minoranza cristiana. Nell’assalto di Karnata, persino una donna è stata arrestata senza alcun motivo. È quindi un crimine pregare in India? Oppure i cristiani non sono cittadini come gli altri? Queste sono violazioni dei diritti umani!”.

A rischio la libertà religiosa nel Paese
​La Costituzione, continua il presidente del Gcic, “assicura la libertà di culto, ma nell’ultimo mese abbiamo assistito a troppi episodi di violenza religiosa. Qualche giorno fa, l’India ha negato il visto ad un membro della Commissione statunitense per la liberà religiosa che voleva discutere del ‘deteriorarsi’ delle condizioni nel Paese”. (N.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 81

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.