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Sommario del 23/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: attentati a Bruxelles, crudeli abomini di ciechi fondamentalisti

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All’udienza generale di oggi in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha rivolto il suo pensiero ai drammatici attentati di ieri a Bruxelles che hanno causato 31 morti e 250 feriti. Il servizio di Sergio Centofanti

“Con cuore addolorato” Papa Francesco ha seguito ieri le tristi notizie degli attentati terroristici a Bruxelles. Assicura la sua preghiera e la sua vicinanza alla “cara popolazione belga, a tutti i familiari delle vittime e a tutti i feriti”:

“Rivolgo nuovamente un appello a tutte le persone di buona volontà per unirsi nell’unanime condanna di questi crudeli abomini che stanno causando solo morte, terrore o orrore. A tutti chiedo di perseverare nella preghiera e nel chiedere al Signore, in questa Settimana Santa, di confortare i cuori afflitti e di convertire i cuori di queste persone accecate dal fondamentalismo crudele”.

Il Papa chiede un momento di silenzio. Quindi ricorda che la vita è più forte della morte: Dio – è la sua preghiera - trasformi il dolore di chi soffre in salvezza, “le loro croci in ‎Risurrezione”. “Il Signore - ha concluso - vi benedica tutti e vi protegga dal maligno!”. Ieri sera aveva pubblicato questo tweet: “Affido alla misericordia di Dio le persone che hanno perso la vita”.

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I fedeli in Piazza San Pietro: la paura non ci deve fermare

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Migliaia i fedeli che hanno partecipato in Piazza San Pietro all’udienza generale di questo Mercoledì Santo e hanno seguito con particolare commozione l'appello del Papa per i drammatici fatti di Bruxelles. Grande il dolore per le vittime degli attentati. Ascoltiamo alcuni commenti raccolti da Marina Tomarro: 

R. – E’ difficile… Il dolore è sempre un mistero. Però il Papa ci ha invitato ad avere molto presente la sofferenza di Gesù e accompagnare, attraverso la sua sofferenza, la sofferenza dei familiari che stanno soffrendo tantissimo in questi giorni… Quindi il modo di accompagnarli è accompagnarli insieme al Signore, chiedendo al Signore di aiutarli.

R. – Non possiamo fare qualcosa di concreto per tutto queste persone che soffrono, ma noi possiamo - e vogliamo - pregare per tutti i feriti, per le famiglie dei morti. E’ bello sentire il Papa dire: “Preghiamo anche per la conversione di coloro che hanno compiuto questi terribili attentati”.

D. – Padre, lei viene dalla Germania: ha portato un gruppo di ragazzi. C’è paura, c’è timore?

R. – No! Nessuna paura e nessun timore! Credo che sia importante che i ragazzi imparino che abbiamo una libertà donataci da Dio e che con questa libertà possiamo fare cose buone, le cose di Dio, ma possiamo anche fare il male. Quindi dobbiamo imparare ad utilizzare la nostra libertà per il bene!

R. – La paura c’è, ma questo non deve far sì che si creino solo delle distanze. Come dice Papa Francesco: “Creiamo dei ponti!”.

R. – Non vi nascondo che la paura è stata tanta: con me ho portato la mia bimba che ha 2 anni, anche in metro. La paura è stata tanta, però ovviamente dobbiamo essere più forti di loro e non bisogna fermarsi.

R. – Paura, no! Un credente non deve avere paura, neanche di perdere la vita. Però sicuramente ci fa pensare che ci saranno ancora dei momenti difficili. Il dialogo con certe realtà è difficile e quindi è un impegno costante di tutti. La preghiera, ancora una volta, deve essere la base.

D. – Il Papa ha chiesto compassione. Cosa vuol dire per te questa parola?

R. – Compassione vuol dire farsi vicino al dolore degli altri, viverlo da dentro, non come estranei, non come indifferenti. E stare qui, in questo momento, vuol dire proprio questo…

R. – La compassione vuol dire vivere una Settimana Santa all’insegna dell’amore verso il prossimo; e far del bene e non far del male.

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Papa: il Triduo pasquale, giorni di misericordia e silenzio

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Il Triduo Pasquale “è tutto un grande mistero di amore e di misericordia”. È la definizione che Papa Francesco ha dato, all'udienza generale in Piazza San Pietro, dei “momenti forti” della Passione e morte di Cristo, nei quali da domani si immergerà la Chiesa. Il Papa l’ha invitata a vivere questo periodo liturgico in un atteggiamento di particolare “silenzio” e con fede mariana, che “non dubita” ma “spera”. Il servizio di Alessandro De Carolis

I tre giorni della misericordia. Queste sono le ore in cui si consumano gli ultimi momenti di Gesù sulla terra. Misericordia, afferma Papa Francesco, che “rende visibile fino a dove può giungere l’amore di Dio”.

Il Triduo Pasquale è memoriale di un dramma d’amore
Francesco parla in una mattina in cui un cielo color metallo riflette i sentimenti di tristezza che sono del Papa stesso e dei 30 mila in Piazza San Pietro, blindata perché anche i fatti di Bruxelles hanno tragicamente ricordato che l’Europa vive sotto minaccia. E allora, la riflessione di Francesco sul Triduo Pasquale – esperienza di morte che prelude a una vita che non finisce – suona come un messaggio di speranza che si riverbera sul mondo oltre i confini della fede:

“Il Mistero che adoriamo in questa Settimana Santa è una grande storia d’amore che non conosce ostacoli. La Passione di Gesù dura fino alla fine del mondo, perché è una storia di condivisione con le sofferenze di tutta l’umanità e una permanente presenza nelle vicende della vita personale di ognuno di noi. Insomma, il Triduo Pasquale è memoriale di un dramma d’amore che ci dona la certezza che non saremo mai abbandonati nelle prove della vita”.

Gesù si dona a noi perché noi possiamo donarci agli altri
I tre giorni della misericordia iniziano il giovedì, il giorno di Dio che si fa cibo nell’Eucaristia e si fa servo ai piedi degli Apostoli. Con un significato ulteriore che il Papa tiene a sottolineare:

“Nel darsi a noi come cibo, Gesù attesta che dobbiamo imparare a spezzare con altri questo nutrimento perché diventi una vera comunione di vita con quanti sono nel bisogno. Lui si dona a noi e ci chiede di rimanere in Lui per fare altrettanto”.

Dio tace per amore
Venerdì Santo è il giorno dell’amore al suo culmine, quello che Sant’Agostino definì, ricorda il Papa, un amore che “va alla fine senza fine” e che, assicura Francesco, “intende abbracciare tutti, nessuno escluso”. Infine, il Sabato Santo, il giorno di Dio nel sepolcro. “Il giorno – sottolinea Francesco – del silenzio di Dio”:

“Dio tace, ma per amore. In questo giorno l’amore – quell’amore silenzioso – diventa attesa della vita nella risurrezione. Pensiamo, il Sabato Santo: ci farà bene pensare al silenzio della Madonna, 'la credente', che in silenzio era in attesa della Resurrezione. La Madonna dovrà essere l’icona, per noi, di quel Sabato Santo. Pensare tanto come la Madonna ha vissuto quel Sabato Santo; in attesa. È l’amore che non dubita, ma che spera nella parola del Signore, perché diventi manifesta e splendente il giorno di Pasqua”.

Gesù dice ad ognuno di noi: ‘Se potessi soffrire di più per te, lo farei’
Francesco conclude la catechesi ricordando Giuliana di Norwich, mistica inglese del Medioevo che, pur analfabeta, descrisse le visioni della Passione offrendo di esse, in modo “profondo e intenso”, il senso “dell’amore misericordioso di Cristo. Citando un dialogo in cui la Beata ringrazia Gesù per l’offerta delle sue sofferenze, il Papa ripete la risposta di Cristo alla mistica: “L’aver sofferto la passione per te è per me una gioia, una felicità, un gaudio eterno; e se potessi soffrire di più lo farei”:

“Questo è il nostro Gesù, che a ognuno di noi dice: ‘Se potessi soffrire di più per te, lo farei’. Come sono belle queste parole! Ci permettono di capire davvero l’amore immenso e senza confini che il Signore ha per ognuno di noi”.

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Il Papa: non dimenticare i cristiani perseguitati in Iraq

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Dal 1° al 4 aprile Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) sarà ad Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno. Nell’occasione Papa Francesco ha voluto affidare alcuni paramenti sacri e un suo personale contributo finanziario per i cristiani iracheni al vescovo di Carpi, mons. Francesco Cavina, che farà parte della delegazione, guidata dal direttore di Acs-Italia Alessandro Monteduro, assieme al vescovo di Ventimiglia-San Remo, mons. Antonio Suetta e a don Massimo Fabbri in rappresentanza dell’arcidiocesi di Bologna. "Non appena il Santo Padre ha saputo di questo mio viaggio assieme ad Aiuto alla Chiesa che Soffre – racconta mons. Cavina - mi ha telefonato esprimendo il desiderio di inviare un dono ai nostri fratelli nella fede iracheni".

Il Papa invita a non dimenticare il dramma dei cristiani perseguitati
Il Pontefice ha inoltre consegnato a mons. Cavina una lettera in cui loda il viaggio organizzato da Acs, "iniziativa che esprime amicizia, comunione ecclesiale e vicinanza a tanti fratelli e sorelle, la cui situazione di afflizione e di tribolazione mi addolora profondamente e ci invita a difendere il diritto inalienabile di ogni persona a professare liberamente la propria fede". Il Papa invita a "non dimenticare il dramma della persecuzione", notando come "la testimonianza di fede coraggiosa e paziente di tanti discepoli di Cristo rappresenti per tutta la Chiesa un richiamo a riscoprire la fonte feconda del Mistero Pasquale da cui attingere energia, forza e luce per un umanesimo nuovo".

Non è solo un atto di carità ma un soccorso al "Corpo di Cristo"
"La misericordia – prosegue il Papa – ci invita a chinarci su questi nostri fratelli per asciugare le loro lacrime, per curare le loro ferite fisiche e morali, per consolare i loro cuori affranti e forse smarriti. Non si tratta solo di un atto doveroso di carità, ma di un soccorso al proprio stesso corpo, perché tutti i cristiani, in virtù del medesimo battesimo, sono “uno” in Cristo".

La visita ai cristiani di Ankawa
In Kurdistan la delegazione incontrerà mons. Bashar Matti Warda, arcivescovo caldeo di Erbil, con il quale visiterà i Centri profughi, nel sobborgo a maggioranza cristiana di Ankawa. Tra questi anche il Villaggio Padre Werenfried, che prende il nome dal fondatore di Acs padre Werenfried van Straaten, un insediamento di 150 case prefabbricate donate da Aiuto alla Chiesa che Soffre in cui vivono 175 famiglie cristiane. La visita proseguirà nelle scuole prefabbricate donate da Acs, che permettono a circa 7mila bambini iracheni di continuare a studiare. Nei giorni seguenti la delegazione incontrerà anche mons. Petros Mouche, vescovo siro-cattolico di Mosul, costretto a vivere ad Erbil assieme ai suoi fedeli dopo che la città è stata conquistata dal sedicente Stato Islamico.

I cristiani di Erbil non hanno mai rinunciato alla propria fede
"Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sostenuto fin dal primo momento i cristiani rifugiati nel Kurdistan iracheno – ricorda Alessandro Monteduro, direttore di Acs-Italia – abbiamo donato loro cibo, case e scuole, affinché potessero vivere dignitosamente. Senza mai dimenticare il sostegno alla pastorale, così che i cristiani potessero continuare a vivere pienamente la loro fede. Una fede a cui coraggiosamente non hanno mai voluto rinunciare anche a costo della vita".

Acs ha promosso in Quaresima sei diversi progetti per i cristiani iracheni
Dal giugno 2014 ad oggi Acs ha donato ai cristiani iracheni oltre 15milioni e 100mila euro. Il sostegno ai cristiani iracheni è stato portato avanti anche in questa Quaresima, durante la quale la sezione italiana della fondazione pontificia ha promosso sei diversi progetti per aiutare i 250mila cristiani rimasti in Iraq. Alla campagna hanno aderito, con generose donazioni, anche le diocesi di Carpi e di Ventimiglia-San Remo. (R.P.)

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Tweet: Gesù mai si spaventa dei nostri peccati

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Il Papa oggi ha lanciato un nuovo tweet dall'account @Pontifex in nove lingue: "Con quanto amore ci guarda Gesù! Con quanto amore guarisce il nostro cuore peccatore! Mai si spaventa dei nostri peccati".

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Papa aprirà archivi vaticani riguardanti la dittatura in Argentina

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“Procede regolarmente” e dovrebbe essere completato “nei prossimi mesi” il lavoro di catalogazione del materiale conservato negli archivi vaticani, riguardante i documenti risalenti al tempo della dittatura in Argentina (1976-1983). Lo ha riferito in una nota il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi.

“Come era già stato detto tempo addietro – afferma padre Lombardi – Papa Francesco ha manifestato l’intenzione di aprire alla consultazione” di tali archivi, le cui condizioni di accesso, precisa padre Lombardi, “si potranno studiare” una volta completata la catalogazione, “d’intesa con la Conferenza Episcopale Argentina”. Fin d’ora, conclude la nota, “si cerca tuttavia di rispondere a domande specifiche per questioni particolari di carattere giudiziario (rogatorie) o umanitario”.

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Entusiasmo e attesa nel "Cara" di Roma per la visita del Papa

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Quattro nigeriani cattolici, tre donne eritree copte, tre musulmani di diverse nazionalità, un indiano indù, un’operatrice italiana: saranno loro domani a ricevere il gesto della lavanda dei piedi nella Messa in Coena Domini del Giovedì Santo, presieduta da Papa Francesco. Sono stati scelti tra i quasi 900 ospiti, la maggioranza dei quali musulmani, del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Castelnuovo di Porto, uno dei più grandi in Italia, a pochi chilometri da Roma. Quali le reazioni degli ospiti alla notizia dell’arrivo tra loro del Papa? Adriana Masotti lo ha chiesto a Angelo Chiorazzo, fondatore di "Auxilium", la Cooperativa che dall’aprile 2014 gestisce la struttura: 

R. – Per gli ospiti, ovviamente, è stata una gioia immensa. C’è stata una grande incredulità all’inizio: quando ieri abbiamo annunciato la notizia pensavano a uno scherzo. Poi, quando hanno realizzato che era una cosa vera, abbiamo vissuto momenti indescrivibili di grande gioia, con alcuni ragazzi in lacrime. Per non parlare dei 12 scelti per la lavanda, che erano frastornati dalla gioia. Uno dei ragazzi, un maliano, musulmano, mi ha detto: “Mi sento davvero più importante di Obama! Che il Papa, l’uomo più importante del mondo, l’uomo migliore al mondo, lavi i miei piedi!”. Veramente momenti di grande emozione.

D. – Lui è un musulmano, ma tanti altri nel centro sono musulmani. Non c’è problema da parte loro nell’accogliere il Papa?

R. – No, ne sono felicissimi, anche perché loro hanno una particolare devozione per Papa Francesco, lo sentono vicinissimo e l'hanno espressa in tante manifestazioni che abbiamo fatto al Centro e non solo. Per esempio, il 17 gennaio, durante il Giubileo dei migranti, erano oltre 200 i ragazzi musulmani che sono venuti con noi all’Angelus e che poi hanno attraversato la Porta Santa e partecipato alla Santa Messa con grande emozione. Sono musulmani anche i ragazzi pakistani che hanno fatto quella bellissima bandiera che raccoglie tutte le bandiere delle nazioni presenti al centro, dove hanno voluto scrivere all’interno: “Grazie Papa Francesco”.

D. – Ci può presentare un po’ il "Cara" di Castelnuovo di Porto?

R. – Nel "Cara", a oggi, siamo arrivati a 892 persone, di cui 554 musulmani, 239 cristiani, tra cui tantissimi copti, 2 ragazzi indù e 98 pentecostali. In quanto provenienze, ci sono 281 ragazzi provenienti dall’Eritrea, 135 dal Mali, 78 dal Senegal, 92 dalla Nigeria e poi a scendere, per un totale di 26 nazioni diverse.

D. – Come si vive nel Centro? Com’è la loro vita? Che cosa si aspettano?

R. – Loro scappano tutti da storie abbastanza pesanti. Fra l’altro, vengono da viaggi che nelle migliori delle ipotesi sono stati di un anno, tra mille difficoltà. Molti hanno conosciuto le carceri libiche. Hanno tutti la speranza di un futuro migliore, cercano questo.

D. – In generale, quanto si fermano e qual è la loro destinazione?

R. – Qui si apre un vero problema, perché ora, con la relocation, chi viene dalla Siria, dall’Eritrea e dall’Iraq in tempi ragionevoli viene ricollocato in altri Paesi europei, perché inizi il proprio percorso di vita. Per quanto riguarda le altre nazioni, il tempo medio, da quando c’è il prefetto Gabrielli che ha istituito due nuove commissioni territoriali per valutare la domanda di asilo, è di circa sei mesi. Il problema è che molti di questi ottengono il diniego e la legge prevede che in questo caso possano fare un ricorso al tribunale ordinario. Qui si apre un grande problema, però, perché i tempi dei tribunali ordinari sappiamo quali sono e quindi arrivano anche fino a due anni. Pensi che l’85% dei ragazzi del Centro di Roma alla fine ottiene un permesso almeno umanitario. Quindi, qui si apre un vero problema che, forse, richiederebbe maggiore attenzione da parte del legislatore, perché si infligge loro di fatto un’inutile pena di due anni di attesa per l’inizio di un percorso di vita.

D. – Quindi, non potendo, immagino, uscire per il lavoro, la vita si svolge…

R. – No, no, possono uscire e hanno un solo obbligo: rientrare entro la mezzanotte. All’interno del "Cara" si fanno mille attività: dai corsi di italiano ai corsi di teatro ai corsi di fotografia. Si cerca di impegnarli. Lo sforzo ulteriore deve essere quello di cercare di trovare per loro la forma di un inserimento lavorativo.

D. – Tutto quello che lei ci ha descritto è un’eccezione, oppure i "Cara" in Italia funzionano così?

R. – Guardi, veramente non so dirle se sia un’eccezione. Io sono veramente orgoglioso del lavoro che 114 ragazzi fanno nel "Cara" di Roma, 114 persone, di cui il 50% è laureato. Fanno davvero un lavoro straordinario. Credo che se questo Centro è diventato una eccellenza riconosciuta anche dalle Commissioni estere che arrivano è proprio grazie al lavoro straordinario che queste persone fanno quotidianamente.

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Statua di “Gesù senzatetto” in Vaticano

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Una statua di Gesù, a grandezza naturale, rappresentato come un senzatetto adagiato su una panchina, avvolto interamente da una coperta leggera, con solo i piedi che emergono e segnati dai chiodi della crocifissione, è la scultura in bronzo che durante la Settimana santa dell’Anno Santo della Misericordia è stata collocata nel cortile di Sant’Egidio in Vaticano, proprio all’ingresso degli uffici della Elemosineria Apostolica.

Nel povero e negli ultimi c’è il volto e la presenza del Cristo
L’opera, iper-realista, è stata realizzata dallo scultore canadese Timothy P. Schmalz. L’artista ha avuto l’idea di rappresentare in questo modo originale la persona di Cristo dopo aver visto un senzatetto che dormiva su una panchina all’aperto durante le feste di Natale. “Quando vediamo gli emarginati – ha scritto lo scultore – dovremmo vedere Gesù Cristo”. Nella persona del povero e degli ultimi c’è il volto e la presenza del Cristo: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).

Papa Francesco è vicino agli emarginati
Nel novembre 2013, durante un’udienza generale in Piazza San Pietro, l’autore aveva avuto l’opportunità di presentare a Papa Francesco una copia in formato ridotto del Gesù senzatetto. “Quando il Pontefice ha visto l’opera – ha raccontato ai media americani – ne ha toccato le ginocchia ed i piedi ed ha pregato. Papa Francesco sta facendo proprio questo, avvicinarsi agli emarginati”.

Copie della statua collocate in varie parti del mondo
La statua donata all’Elemosineria Apostolica per iniziativa dello stesso scultore è fusa in bronzo e il primo esemplare di essa è stato collocato nel 2013 a Toronto presso il Regis College, Facoltà teologica dei gesuiti e diversi altri esemplari sono già ora collocati in vari luoghi nel mondo: in Australia, Cuba, India, Irlanda, Spagna e Stati Uniti; mentre sono in corso contatti per la collocazione anche in Argentina, Cile, Brasile, Messico, Sud Africa e Polonia.

L'opera è una donazoione di un mecenate canadese
​La statua collocata nel cortile di Sant’Egidio in Vaticano, è un esemplare fuso in bronzo dal calco originale ed è una donazione di un mecenate canadese, che è stato già il primo sostenitore di Schmalz, quando aveva appena 20 anni. Un’altra scultura dello stesso artista, T. Schmalz, che rappresenta Gesù mendicante è collocata presso l’entrata principale dell’Ospedale di Santo Spirito.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Crudeli abomini - all’udienza generale il Papa chiede a tutti di unirsi nella ferma condanna degli attentati di Bruxelles.

Dove misericordia e speranza si abbracciano - di Barbara Hallensleben sull’intervista di Jacques Servais al Papa emerito.

Giganti cercansi: brani tratti dall’ultimo libro di Stefano Lorenzetto.

Catechesi in legno: Ezio Bolis sul confessionale di Andrea Fantoni. 

Compagne di viaggio: Francesco Scoppola su icone russe a rilievo in mostra a Roma.

Questione di diritto: Charles de Pechpeyrou sull’acceso dibattito in Francia sul disegno di legge per la riforma del lavoro.

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Oggi in Primo Piano



Bruxelles: arrestato un uomo. L'Europa divisa sulla sicurezza

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Sono quattro i terroristi coinvolti negli attentati di ieri a Bruxelles: tre sono morti da kamikaze, il quarto - l'uomo con il cappello nella foto diffusa dalla
polizia - è in fuga. Lo ha spiegato il procuratore federale belga Frederic Van Leuw. 
 C’è poi la conferma che tra le vittime c’è anche una donna italiana che lavorava a un'agenzia legata alle istituzioni Ue. Sono almeno 3 i funzionari della Commissione Europea uccisi. Il servizio di Fausta Speranza: 

"Catturato il terzo uomo degli attentati di Bruxelles". A sostenerlo è la stampa belga che parla dello stesso artificiere di Parigi ma poi il dietrofront: no, l’uomo fermato non è lo stesso uomo degli attentati del 13 novembre. Identificati invece due attentatori suicidi: Khalid e Ibrahim El Bakraoui, tra i 27 e i 30 anni. Intanto, la citta' è sotto shock, però nella notte, nonostante gli inviti a restare a casa, ci sono stati assembramenti in Place de la Bourse per momenti di raccoglimento e omaggio alle vittime. Il giorno dopo la strage è lutto nazionale. Ferma la linea della metropolitana che passa per la stazione di Maelbeek e Schumàan, ovvero nel cuore del quartiere che ospita le istituzioni Ue. Ancora chiuso l’aeroporto almeno fino a domani. Ma le scuole hanno riaperto e tutto il resto dei trasporti pubblici funziona regolarmente. Tra il dolore e lo sgomento, una denuncia grave: "Tutti i terroristi erano noti alle polizie locali ma non e' stato fatto nulla perche' non c'e' stato scambio di informazioni": ad affermarlo è il Commissario Ue per gli affari interni, Avramopoulos, che chiede collaborazione nuova tra Stati ricordando che "Europol e' un importante strumento ma va usato meglio". Appello alla difesa dei valori europei da parte dei premier di Belgio e Francia:  "Siamo piu' che mai determinati, con questo sentimento di dolore profondo, ad agire per proteggere i valori europei" di democrazia e liberta', dicono in conferenza stampa congiunta Michel e Valls.  Il premier francese Valls chiede che la reazione sia europea. Sembra rispondergli ancora il Commissario per gli affari interni, quando afferma: "Manca fiducia tra gli Stati", serve coordinamento serio tra intelligence.  

Annunciata una riunione straordinaria venerdì dei ministri dell'Interno dell'Ue. Ma il salto da fare va al di là delle riunioni straordinarie. Fausta Speranza ne ha parlato con Sergio Fabbrini, School of Governement alla Luiss: 

R. – In questi giorni drammatici - in questo caso col terrorismo, nei mesi scorsi e ancora oggi con il problema dei rifugiati siriani, negli ultimi anni con la crisi dell’euro - è venuto al pettine un nodo che non era stato risolto sin dal Trattato di Maastricht. A Maastricht, per la prima volta, nel 1992, gli europei erano stati costretti, finita la guerra fredda, riunificata la Germania, a porsi problemi di natura politica in senso stretto. Fino a Maastricht l’Europa era stata fatta attraverso i mercati, attraverso l’economia, attraverso la costruzione di un’area libera da vincoli doganali. Dopo la fine della guerra fredda, l’Europa si è trovata di fronte la sfida della politica nel senso stretto. La risposta è stata: “Teniamola sotto controllo; i governi si coordinino fra di loro; cerchiamo di produrre una forma di integrazione basata sul coordinamento, sulla cooperazione”. Questo approccio, che ha avuto la dignità di un vero e proprio sistema costituzionale, ha potuto funzionare finché le cose andavano bene, finché non c’era una difficoltà nel sistema dell’euro, finché ogni Stato poteva controllare le proprie frontiere di fronte ad una immigrazione molto contenuta o finché non esistevano delle vere e proprie sfide, come oggi sta registrando l’Europa sul piano del terrorismo.

D. – Paradossalmente, c’è bisogno di più Europa in un periodo in cui ci si crede meno all’Europa…

R. – Esatto. Siccome è stata rinviata la scelta di creare un’unione politica con delle istituzioni legittime, in grado di prendere decisioni erga omnes che avessero un carattere vincolante, siccome quella scelta è stata rinviata, l’Europa non è in grado di rispondere di fronte alle crisi. E più l’Europa dimostra di non essere in grado di rispondere e più i cittadini si disaffezionano, scoprono che quell’Europa che pensavano potesse essere la soluzione dei propri problemi, in realtà è diventata il problema. Quindi, c’è una tendenza inevitabile ad andare verso le frontiere nazionali o a ritornare a casa, a ritornare nelle proprie capitali, pensando che lo Stato nazionale possa dare risposte che l’Europa non può dare. Il dramma è che lo Stato nazionale non può dare più risposte a problemi come il terrorismo, come i rifugiati siriani e, contemporaneamente, l’Europa non è in grado di farlo. Quindi, stiamo vivendo un momento drammatico. Ci troviamo in mezzo ad un guado, in cui è difficile tornare indietro - e se gli inglesi torneranno indietro, si accorgeranno dei costi! - ma non abbiamo gli strumenti per andare avanti.  

D. – Per esempio, tornare indietro su Schengen avrebbe un costo economico altissimo?

R. – Avrebbe un costo economico altissimo, avrebbe dei costi culturali: ritorneremmo ad un’Europa che – ricordiamo – è stata l’Europa delle frontiere e l’Europa delle rivalità tra gli Stati; l’Europa dei conflitti tra gli Stati e l’Europa che ha prodotto miseria, devastazione, guerre. Ritorneremmo indietro. Dobbiamo avere il coraggio, dobbiamo avere dei leader che siano coraggiosi per attraversare questo guado e giungere ad una sponda dove ci siano delle istituzioni che sono in grado di coordinare non solo formalmente, ma nei fatti, la lotta al terrorismo. Possibile che le polizie siano ancora gelose delle loro strutture, dei loro segreti, delle loro indagini? E’ possibile che ogni Stato si prenda cura delle proprie frontiere e non ci sia un corpo di frontiera comune all’interno dell’Unione Europea, perlomeno nella zona dell’euro? Possibile che ancora oggi noi non abbiamo una politica comune nei confronti dei rifugiati siriani, persone che fuggono dalla guerra, e siamo qui a litigare per quanti ne possiamo prendere, l’uno o l’altro Paese? E’ un’Europa che raggiunge anche livelli di miseria morale inaccettabile.   

L’azione terroristica in Belgio richiama quindi l’attenzione sul mancato coordinamento delle polizie e dei servizi di sicurezza dei vari Stati dell’Unione Europea. Luca Collodi ha chiesto a Franco Venturini, editorialista del Corriere della Sera ed esperto di politica estera, se gli attentati di Bruxelles potevano essere sventati. 

R. – C’è un salto di qualità nel terrorismo. Però ciò che è accaduto era purtroppo previsto e fa ormai parte di una identità del nuovo terrorismo che è conosciuta. L’Is è caratterizzato dalla sua particolare ferocia, dal suo particolare radicalismo e anche dalla sua particolare abilità organizzativa: sono, queste, tutte caratteristiche che conoscevamo già.

D. – Questo significa che i nostri sistemi di protezione sono deboli?

R. – Prevenire un attentato è una delle cose più difficili che si possa immaginare: è come scortare una persona... E’ naturalmente utile e si può fare sempre meglio soprattutto in termini di collegamento tra i servizi. Però non illudiamoci. Non pensiamo che questo sia un fenomeno che si possa combattere e arrestare in poco tempo. La previsione di tutti gli esperti, purtroppo, è che episodi del genere continueranno. La nostra debolezza, forse, è invece a livello di atteggiamento mentale, di speranza che non accadrà più, oppure di ripetizione di certi appelli all’unità che poi non trovano riscontro nella realtà. Certamente dobbiamo capire che, e il Papa è stato il più bravo di tutti nel definire che questa è ‘una terza guerra mondiale a pezzettini’, che il terrorismo ha delle motivazioni regionali ma che si sta estendendo in Europa, certamente in Occidente. E dunque dovremo affrontarlo questo terrorismo.

D. – E’ anche vero che le organizzazioni terroristiche hanno finanziamenti, spesso nascosti dagli stessi Stati che poi dicono di combatterli…

R. – Sì, è vero. Non è vero in Europa, ma in Medio Oriente, dove ci sono interessi molto forti di tipo strategico, di tipo etnico, di tipo anche economico - ma non sono gli interessi economici quelli prevalenti - ed anche di tipo religioso. Se pensiamo al Medio Oriente, allo scontro all’interno dell’islam, è in corso una guerra civile all’interno dell’islam tra sciiti e sunniti. Pensiamo alla guerra dei turchi contro i curdi; pensiamo al confronto durissimo dei sauditi contro gli iraniani. Sicuramente, il Medio Oriente è pieno di queste ipocrisie. Per questo è molto importante quello che sta cominciando oggi il Segretario di Stato americano Kerry, che sarà in visita a Mosca: questo è cruciale, perché senza una vera collaborazione tra Stati Uniti e Russia - ed io aggiungerei anche la Cina - non si uscirà dal problema. In Europa, comunque, tutto questo porta soltanto vittime! Gli europei devono allora pensare per conto proprio a come reagire e il caso della Libia è tipico. Non possiamo continuare ad assistere – più o meno passivamente – all’istallazione dell’Is vicino a noi o comunque alla radicalizzazione delle comunità islamiche all’interno delle nostre grandi città: dobbiamo distinguere gli islamici terroristi ed isolarli, ma non pensare che tutto l’islam sia terroristico, naturalmente. Questo sarebbe esattamente quello che l’Is vuole ottenere: vuole che noi criminalizziamo tutti i musulmani, in modo da creare una grande lotta tra musulmani e cristiani o tra musulmani e altre religioni. A quel punto l’Is avrebbe vinto!

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Vescovo ausiliare Bruxelles: sconvolti, ma non ghettizziamo musulmani

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Oggi a mezzogiorno, le campane delle chiese di tutto il Belgio hanno suonato a morto in segno di lutto. Nel Paese profonda è la tristezza e lo sgomento per quanto accaduto. Ascoltiamo mons. Jean Kockerols, vescovo ausiliare di Bruxelles, al microfono di Hélènes Destombes

R. – C’est d’abord une réaction humaine…
È innanzitutto una reazione umana, siamo senza parole, sconvolti, presi dalla commozione. Insieme a tutti i cittadini di Bruxelles stiamo piangendo, non capiamo e d’altronde non c’è nulla da capire. Poi c’è una reazione civile, da cittadini: i cristiani, e tutti gli abitanti della città, devono fare affidamento a quanti hanno ricevuto il mandato di governare, per assicurare il mantenimento dell’ordine e della sicurezza. Ora non è il caso di fare polemiche e di puntare il dito: i colpevoli non sono da questa parte. Infine, c’è la reazione del cristiano. Nelle chiese, l’invito è a pregare per le vittime, per le loro famiglie: adesso prevale ancora l’emozione e le parole sono vane. Ma bisognerà continuare a lavorare per l’unità, per la riconciliazione, evitare di fare di tutta l’erba un fascio e tornare a pregare, cominciando noi stessi.

D. – C’è il rischio, secondo lei, che la paura prenda il sopravvento e che porti a un ripiegamento in sé stessi?

R. – Je crois que c’est profondément naturel d’avoir peur…
Credo che sia profondamente naturale avere paura. Forse una reazione coraggiosa sarebbe quella di dire: “No, io non ho paura, perché è il coraggio che deve vincere”, ma la prima reazione è di paura. Bisogna “gestire” questa paura e ritrovare fiducia: certamente ci sono dei rischi di ripiegamento in sé stessi, di separazione, di elaborare idee preconcette di emarginazione di alcune persone, di alcune categorie di persone. A Bruxelles circa il 20% della popolazione è di religione musulmana. Si rischia di rinchiudere questa popolazione nei ghetti, più ancora di quanto già non accada, che non sono dei ghetti solo geografici, ma anche ideologici e sociologici.

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Immigrati. Unhcr: via da "hotspot" di Moria, è una prigione

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L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati lascia, così come Medici senza frontiere, Save The Children e altre organizzazioni il campo di d’accoglienza per profughi di Mòria, nell'isola greca di Lesbo. Una decisione grave, presa a seguito dell’accordo tra Unione Europea e Ankara sulla gestione dei flussi migratori. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Non vogliono essere complici di quello che viene definito “un sistema iniquo e disumano”. Alto commissariato Onu per i rifugiati, Medici senza frontiere e altre importanti organizzazioni umanitarie hanno sospeso le proprie attività nel campo di Moria, sull’isola greca di Lesbo, a seguito dell’accordo sui migranti tra Unione Europea e Ankara. Una struttura prima dalle porte aperte e ora divenuta, è la denuncia, una vera e propria prigione dove un migliaio di rifugiati, compresi vecchi e bambini, spiega Msf, sono confinati nelle loro baracche senza neanche potersi muovere all’interno del campo. E’ una crudeltà, continuano le organizzazioni, che però proseguiranno gli altri progetti in Grecia. Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr:

R. – Il contesto è quello di un’implementazione prematura, a nostro modo di vedere, dell’accordo Europa-Turchia, accordo del quale non siamo assolutamente parte. Noi non prenderemo parte né ai rimpatri di massa, né agli aspetti che riguardano la detenzione. Da qui, la decisione di interrompere le nostre attività nel centro di Moria, che era uno dei cosiddetti “hotspot”, ossia un centro di identificazione dove però le persone potevano muoversi liberamente. In particolare abbiamo interrotto, riconsegnandola nelle mani del governo greco, quella azione che avevamo iniziato l’estate scorsa con dei pullman che accompagnavano le persone, i rifugiati che arrivavano sulle spiagge, lungo i 70 km che li separavano dal centro di Moria. Essendo questo ora un centro di detenzione di massa, sarebbe contrario ai nostri principi e al nostro mandato operare al suo interno. E questo è stato il motivo per cui abbiamo deciso di uscire dal centro. Questo non significa che abbiamo abbandonato l’isola: noi siamo sull’isola e monitoriamo gli arrivi, forniamo un servizio di "counseling" legale a tutti i rifugiati che arrivano e non solo, siamo anche lì per identificare i casi più urgenti e per contribuire eventualmente al loro trasporto con dei piccoli minivan nei punti in cui possano essere curati. Perché sulle spiagge arrivano moltissime persone che sono ferite, disabili, o che si trovano in condizioni di salute assolutamente precaria.

D. – Quali sono ora le vostre intenzioni, considerando che l’accordo tra Bruxelles e Ankara resta in piedi?

R. – Noi abbiamo espresso tutte le nostre preoccupazioni rispetto all’accordo, in particolare per il fatto che quest’ultimo preveda sulla carta una serie di garanzie indispensabili per renderlo legale, ma che purtroppo nella realtà non esistono. In Grecia, non esiste un sistema di accoglienza adeguato, né un sistema di asilo che sia all’altezza di esaminare in maniera così celere tutte le richieste, così come previsto dall’accordo stesso, per poter decidere circa la possibilità o meno di rimpatriare un rifugiato verso la Turchia. Queste garanzie non sono in piedi. Detto questo, noi restiamo in Grecia, siamo a disposizione del governo greco per supportarlo nella creazione di un sistema di accoglienza. C’è bisogno di decine di migliaia di posti di accoglienza in Grecia. In questo momento sono stimate a 50 mila le persone in grave bisogno umanitario in quel Paese, dove non esiste un sistema di accoglienza che possa far fronte a questa situazione.

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Siria. Aumentano i morti tra i civili nonostante la tregua

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Secondo quanto riferisce l'Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus), sono 326 i civili uccisi in Siria dall’inizio della tregua sancita lo corso 27 febbraio. Di questi, 148 sono morti nel corso di combattimenti proprio nelle aree interessate alla tregua. Gabriele Iacovino, responsabile analisti del Ce.S.I., ha spiegato a Maria Laura Serpico perché in Siria le morti continuano ad aumentare: 

R. – Di fatto, la tregua è stato più che altro un punto politico e diplomatico raggiunto a Ginevra, nel quadro delle Nazioni Unite, ma la situazione sul campo è totalmente diversa. È una guerra civile che vede in questo momento le forze lealiste cercare di bloccare l’avanzata del sedicente Stato islamico soprattutto a est, ossia sulla strada da Palmira verso Deir el-Zor. L’obiettivo dei lealisti, aiutati dalle milizie sciite e dall’aviazione russa, è quello di cercare di isolare l’Is a Deir el-Zor partendo da Palmira. Detto ciò, questa situazione bellica sul campo porta a dei risvolti assolutamente negativi per la popolazione civile, che continua a essere vittima di un conflitto che non vede ancora oggi una soluzione di breve periodo.

D. – L’incapacità di reagire della comunità internazionale è dovuta a una spaccatura interna all’Onu?

R.  – Più che a una spaccatura interna all’Onu, è dovuta ai diversi interessi che i vari Paesi hanno in Siria, interessi che sono sia regionali sia globali. La stessa presenza russa in Siria fa vedere come gli interessi, da una parte della Russia e dall’altra degli Usa, siano in questo momento un po’ divergenti nonostante la lotta comune al Daesh. Inoltre, ci sono gli interessi regionali: da una parte i Paesi sunniti, con Arabia Saudita e Turchia che cercano un’alternativa ad Assad, dall’altra l’Iran assieme a Hezbollah che supportano Assad non come la migliore delle alternative, ma come l’unica possibile al momento. Questo fa sì che in Siria si combatta sì una guerra civile, ma che ha degli interessi “globali”. E ciò senza una politica e un ruolo forte dell’Onu provoca dei problemi per la ricerca di una soluzione. Non è la debolezza intrinseca alle Nazioni Unite: sono i vari Paesi che non danno loro forza. L’Onu è un’organizzazione internazionale e senza l’appoggio dei vari Paesi, soprattutto di Russia, Stati Uniti e Cina, può fare ben poco.

D. – Quali sono le ripercussioni sul profilo economico del Paese?

R. – Dopo più di quattro anni di guerra civile, parlare ancora di un’economia siriana è veramente difficile. Stiamo parlando di una situazione molto complessa, una situazione dove il conflitto ha dilaniato il Paese e ha distrutto non solo l’ambito politico, ma anche quello economico. La ricostruzione del Paese sarà difficile, ma senza una reale stabilizzazione, e senza una reale soluzione politica della situazione, purtroppo il futuro della Siria nei prossimi mesi, se non nei prossimi anni, sarà ancora complesso.

D. – I recenti attentati di Bruxelles scaturiscono in parte dalla guerra in Siria?

R. – Più che altro scaturiscono da una situazione di instabilità nel Medio Oriente che ha visto negli ultimi anni la nascita di Daesh. Il potere radicalizzante dell’Is è molto più forte rispetto ad Al-Qaeda, perché il messaggio raggiunge molto più facilmente anche i giovani europei: radicalizza i giovani europei e musulmani e crea una minaccia non solo per la sicurezza del Medio Oriente ma anche per quella europea. Questo poi si innesta su una situazione di sicurezza e di integrazione difficili, ma si tratta purtroppo di problemi tra loro incatenati. Bisogna risolverli entrambi – da una parte la situazione in Medio Oriente e dall’altra quella in Europa – per cercare una soluzione a 360 gradi. Senza il messaggio radicalizzante dell’Is, anche la sicurezza europea potrebbe trarne beneficio.

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Italia: la Consulta boccia la sperimentazione sugli embrioni

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La Corte Costituzionale italiana conferma il divieto di utilizzare per scopi scientifici gli embrioni non impiantati durante la fecondazione artificiale. La pronuncia della Consulta ribadisce la sovranità del legislatore in questa materia e lascia in piedi la Legge 40 che stabilisce come gli embrioni possano essere sottoposti solo a sperimentazioni finalizzate alla loro crescita e non alla loro distruzione. Giancarlo La Vella ne ha parlato con il dott. Antonio Spagnolo, genetista, direttore dell’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica di Roma: 

R. - Sicuramente si sposta più in là la questione della sperimentazione sull’embrione, ma non ci sono delle affermazioni chiare che indichino che l’embrione è tutelato, che l’embrione ha un valore e che quindi in futuro la sperimentazione non possa essere fatta. Siamo, quindi, leggermente contenti per il fatto che non ci sia stata una sentenza che avrebbe smantellato ulteriormente, pezzo per pezzo, come sta avvenendo, la legge 40, ma almeno su questo punto non ci sono stati motivi per ritenere giustificato il ricorso che è stato fatto. D’altra parte, la sperimentazione sull’embrione, se può essere fatta, va fatta soltanto quando è in gioco il bene di quell’embrione stesso.

D. – Quindi la posizione dell’Italia rimane a tutela della vita sin dalle sue origini. E’ una posizione legale, ma anche scientifica?

R. – La legge 40 aveva fatto queste affermazioni: aveva riconosciuto il divieto della sperimentazione sull’embrione, basandosi proprio sul valore che ha l’embrione, e la necessità quindi di non strumentalizzarlo per la sperimentazione. Rimane quindi come valore della legge, che non è scalfito per così dire dai ricorsi pretestuosi che sono stati presentati.

D. – Come vede il futuro della tutela dell’embrione come vita nascente in Italia e in Europa?

R. – Purtroppo, non sono molto ottimista, perché sempre di più le pressioni che vengono fatte spingono ad abbattere questa ultima barriera. Tuttavia credo vengano prese iniziative per mostrare, da un lato, la irragionevolezza del ritenere l’embrione diverso da ogni essere umano e, dall’altro, per mostrare che non c’è bisogno di sperimentare sull’embrione, per raggiungere determinati risultati. Questa infatti è una delle motivazioni dei fautori delle sperimentazioni: non possiamo fare a meno di sperimentare sull’embrione per curare le malattie, per fare progressi scientifici. Invece, le ricerche che continuano a essere fatte, cioè quelle di produrre per così dire cellule con caratteristiche simili a quelle dell’embrione, ma che non provengono dall’embrione, sono la strada che dovrebbe essere perseguita.

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Sant'Egidio, preghiera ecumenica per i martiri cristiani di oggi

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In una giornata dolorosamente bagnata dal sangue degli attentati di Bruxelles, la Comunità di S.Egidio ha ricordato ieri i martiri dell’epoca contemporanea. Rappresentanti delle chiese ortodosse, evangeliche e anglicane si sono riuniti nella Basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma in una preghiera ecumenica, presieduta dal cardinale Beniamino Stella, per i tanti cristiani che in tutto il mondo hanno dato la vita per il Vangelo. Il servizio di Michele Raviart

Le quattro suore missionarie della carità uccise in Yemen il 4 marzo scorso nella loro casa di accoglienza per anziani e disabili. I 21 copti egiziani e i 28 etiopi decapitati lo scorso anno in Libia dai terroristi dello Stato Islamico.  Religiosi assassinati in Brasile, Colombia, Venezuela, Messico. In tutto il mondo aumenta il numero di cristiani uccisi per la loro fede, come spiega il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il clero:

“Purtroppo, è una grande famiglia perché c’è stata una crescita esponenziale di martiri, soprattutto in Medio Oriente e in America Latina. È la storia della Chiesa in tutti i secoli, ma specialmente in questo tempo che, come ha detto il Papa, è un ‘tempo di martiri’. Una bella famiglia che dobbiamo ricordare, che dobbiamo benedire, e alla quale ci dobbiamo ispirare”.

Un appello è stato lanciato per la liberazione di padre Paolo Dall’Oglio e dei vescovi e dei religiosi rapiti in Siria, così come per la pace nella città di Aleppo “patria di tanti cristiani”. Di fronte a quella che è stata definita “l’irresponsabile ignavia della comunità internazionale”, è stato ricordato il sangue dei martiri cristiani e delle vittime musulmane di guerra e terrorismo per convincere l’Europa all’accoglienza e al soccorso dei profughi. Una preghiera ancora più significativa nel giorno degli attentati di Bruxelles. Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di S.Egidio:

“Tutto questo ci mostra un mondo in cui purtroppo la logica della violenza, del terrore è ancora troppo forte - ed è una logica vile, che colpisce gli inermi, gente innocente - e che nel caso dei cristiani colpisce persone come le povere suore uccise in Yemen, che sono lì soltanto per dedicarsi con amore agli altri. È la mitezza dei cristiani che fa paura ed è questa mitezza che noi vogliamo riproporre come grande balsamo per curare le ferite del mondo”.

Nella Settimana Santa, il cardinale Stella ha celebrato il destino dei martiri, "non eroi che si ammirano da lontano, ma esempi da imitare". Il loro è il destino di Cristo, di “vita che si manifesta con la morte”:

“Il cristiano è sempre sale della terra e luce del mondo. E tutto questo disturba, perturba, dà profondamente fastidio. C’è chi osa alzare la spada contro questi testimoni della fede. Ma non è in nome di Dio che si può uccidere. In nome della religione, in nome di Dio si può solo accogliere, si può solo benedire, si può solo vivere insieme. Ecco, Dio ci invita all’accoglienza, alla fraternità, alla solidarietà. Questo è il messaggio eterno del nostro Dio di Misericordia”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovo in Siria: sulle stragi in Belgio anche le colpe dell'Europa

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Nelle stragi di Bruxelles, dopo quelle di Parigi, “purtroppo la popolazione innocente raccoglie anche quello che circoli e poteri europei hanno seminato in Siria e Iraq negli ultimi anni”. E' questa l'amara riflessione sui tragici fatti della capitale belga che l'arcivescovo cattolico siriano Jacques Behnan Hindo ha rilasciato all'agenzia Fides. Nell'analisi di mons. Hindo, che guida l'arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi, le gravi responsabilità delle leadership europee e occidentali, condizionate spesso da interessi egoistici di corto respiro, si manifestano con evidenza in diversi punti.

L'appoggio di diversi Paesi europei alle milizie islamiche definite "moderate"
“Anche diversi leader europei” rimarca l'arcivescovo siro cattolico “fino a poco tempo fa avevano come principale obiettivo geopolitico la caduta del governo di Assad, puntavano ad accreditare anche le milizie jihadiste di al-Nusra come 'islamici moderati' e attaccavano la Russia per aver colpito le roccaforti di quelle milizie, sostenendo che le iniziative russe dovevano limitarsi a colpire solo il cosidetto Stato Islamico (Daesh)”.

Leader europei mantengono rapporti con Paesi arabi che finanziano i jihadisti
Secondo l'arcivescovo Hindo, molti governi occidentali continuano fino ad ora a non mettere in alcun modo in discussione i rapporti privilegiati che intrattengono proprio con le nazioni e i gruppi di potere finanziario da cui provengono flussi di risorse e ideologie che alimentano la rete del terrore: “I leader europei, e tutto l'Occidente” ricorda mons. Hindo “mantengono da decenni l'asse preferenziale con l'Arabia Saudita e gli emirati della penisola arabica. Negli ultimi decenni, hanno garantito a questi Paesi la possibilità i finanziare in tutta Europa, e anche in Belgio, la nascita di una rete di moschee dove si predicava il wahhabismo, l'ideologia che avvelena l'islam e fa da base ideologica per tutti i gruppi jihadisti. E tutto questo è accaduto perchè su tutto prevalevano le logiche economiche e i contratti miliardari coi padroni del petrolio. Flussi di denaro e risorse che alimentano anche le centrali terroristiche”.

Un'Europa debole e confusa anche davanti al dramma dei rifugiati
​Anche la risposta europea davanti all'emergenza dei rifugiati rappresenta secondo l'arcivescovo siriano un sintomo della debolezza e della confusione in cui versano le leadership europee: “L'Europa” fa notare mons. Hindo “sulla questione dei rifugiati ha scelto di trasformarsi in ostaggio della Turchia. Comprendo le difficoltà europee, ma faccio notare che gli sfollati accolti in Europa nel 2015 non superano lo 0,2% della popolazione, mentre in un piccolo Paese come il Libano la loro quota corrisponde ormai alla metà della popolazione locale. Comprendo le lacrime del commissario europeo per la politica estera. Ma ricordo che da 5 anni vengono ammazzati migliaia di siriani musulmani e cristiani, donne uomini e bambini. E non ci sono lacrime per loro”. (G.V.)

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Gaza: per Pasqua i cristiani potranno recarsi a Gerusalemme

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In vista della Pasqua le autorità israeliane hanno rilasciato le autorizzazioni ai cristiani di Gaza per poter uscire dalla Striscia e partecipare alle celebrazioni della festa; i permessi riguardano il 95% dei richiedenti, che hanno così ricevuto il via libera governativo. A confermare lo sviluppo positivo nell’annosa questione dei permessi - in passato Israele aveva più volte respinto le richieste - è il Patriarcato latino di Gerusalemme, secondo cui “per la prima volta” la Chiesa Cattolica si è occupata “direttamente” della vicenda. 

Entusiasmo tra i fedeli per la concessione dei permessi
In passato era la Chiesa ortodossa a occuparsi della questione: in occasione delle feste di Natale e Pasqua le autorità militari di Israele, cui spetta il controllo in ingresso e uscita dal check-point di Erez, valutano la concessione di permessi per motivi religiosi. Tuttavia il più delle volte le richieste erano respinte, in particolare per i giovani al di sotto dei 35 anni.  La notizia del rilascio dei permessi ha generato entusiasmo e soddisfazione fra i fedeli della Striscia di Gaza, che potranno beneficiare della possibilità di entrare in Israele per i prossimi 45 giorni. In molti in queste ore, racconta il sito del Patriarcato, stanno pubblicando “con orgoglio” sui social network la foto del “prezioso documento”. In realtà questa reazione è emblematica della condizione di frustrazione, sconforto e disperazione che da anni anima la comunità cristiana di Gaza e, in particolar modo, i più giovani. Per molti il permesso di ingresso equivale alla realizzazione del sogno di uscire dal carcere.

La Caritas definisce la Striscia di Gaza "una prigione a cielo aperto"
L'agenzia AsiaNews nei mesi scorsi aveva intervistato padre Raed Abusahlia, direttore generale di Caritas Gerusalemme, il quale aveva definito la Striscia “la più grande prigione a cielo aperto al mondo: due milioni di persone sotto la soglia della sopravvivenza, disoccupazione al 60%, povertà all’80%. E lo stesso vale per le famiglie cristiane, circa 350 in tutta la Striscia (1300 persone in totale), il 34% delle quali senza fonte di reddito alcuna”.

Molti i giovani che hanno ottenuto il permesso
Tuttavia, oggi per i cristiani è una giornata di festa anche se restano da risolvere i problemi logistici - costo del viaggio e alloggio - e pastorali. Padre Mario da Silva, brasiliano e responsabile della parrocchia latina della Sacra Famiglia, l’unica della Striscia, racconta: “Avevamo un solo giorno per presentare la richiesta”. Il 20 febbraio scorso si sono presentate “890 persone a registrarsi per chiedere il permesso”. Molti di questi erano giovani che “senza molta speranza” stavano chiedendo per l’ennesima volta “il permesso di uscita”. “In una decina di persone - aggiunge il parroco - abbiamo lavorato, dalla mattina alla sera tardi, per preparare tutti i documenti necessari”. 

Accolti il 95% dei permessi
​“Non sapevamo - sottolinea padre Mario - quanti permessi sarebbero stati concessi e, con nostra grande sorpresa, nei giorni scorsi abbiamo appreso che sono stati approvati 822 nominativi, e altri 25 sono stati aggiunti in un secondo momento. Quindi il 95%”. La cosa più importante, conclude il sacerdote brasiliano, è che “la maggioranza dei giovani cristiani ha ottenuto l’autorizzazione. Alcuni di loro non possono uscire da almeno otto anni”. (R.P.)

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Centrafrica: clima di speranza. Ora combattere la povertà

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“Da quasi quattro mesi a Bangui – a parte qualche episodio isolato e senza particolari conseguenze – non si spara più” scrive all’agenzia Fides padre Federico Trinchero, , missionario carmelitano scalzo che opera nel convento Notre Dame du Mont Carmel di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, dove, a seguito della guerra civile scoppiata nel 2012, sono accolti 5.031 sfollati. Il Paese sta vivendo una stagione di speranza con l’elezione del nuovo Presidente, Faustin-Archange Touadéra.

Le elezioni passo importante verso la normalizzazione del Paese
“La campagna elettorale e le elezioni (presidenziali e legislative con primo e secondo turno) si sono svolte senza grossi problemi o particolari incidenti. Forse non sono state elezioni perfette, bisogna però considerare e apprezzare che sono state un passo importante e non scontato verso la normalizzazione del Paese” dice padre Federico.

La visita del Papa ha contribuito alla svolta pacifica ma le sfide continuano
“Non c’è dubbio che la visita di Papa Francesco a Bangui – il 29 e 30 novembre 2015 – abbia notevolmente contribuito a questo cambio di rotta. Forse non è azzardato affermare che la visita del Papa – incerta fino all’ultimo – sia stata addirittura determinante” sottolinea il missionario. “Ma non ci facciamo illusioni” aggiunge. “Se la guerra è probabilmente finita, c’è però una battaglia importante da combattere contro la povertà e il sottosviluppo".

Le minacce dei ribelli dell'Lra e di Boko Haram
"Ci sono poi ancora alcune zone del Paese  - continua padre Trinchero - dove l’autorità dello Stato e le forze di pace faticano ad imporsi. Inoltre le minacce dei ribelli ugandesi dell’Lra, già attivi nella parte orientale del Paese, come quelle di Boko Haram, attivi nel nord del Camerun, confinante con la parte nord-occidentale del Centrafrica, non sono da sottovalutare. C’è poi da vincere l’importante battaglia della riconciliazione tra cristiani e musulmani”.

I centrafricani dovrebbero amare di più il loro Paese
​“Ora non c’è che da mettersi al lavoro. Tutti, a cominciare soprattutto dai centrafricani, che forse dovrebbero amare di più il loro Paese, essere più esigenti nei confronti di chi li governa, smetterla di accusare gli altri, avere qualche ambizione e osare anche qualche sogno per un Centrafrica diverso” conclude il missionario. (L.M.)

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Patriarca Kirill: no all’“eresia globale” dei diritti dell’uomo

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Il Patriarca di Mosca Kirill si è scagliato contro quella che ha definito l’“eresia dell’inchinarsi all’uomo” e della difesa dei suoi diritti, che esilia Dio dalla società. Il primate russo ortodosso - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha parlato in questi termini durante la sua omelia nella liturgia del 21 marzo in occasione della festa del Trionfo dell’ortodossia, che si celebra la prima domenica di Quaresima.

Il criterio universale di verità è diventato la persona e i suoi diritti
Il patriarca ha denunciato che oggi il criterio universale di verità è diventato la persona e i suoi diritti ed “è iniziato un rivoluzionario esilio di Dio dalla vita dell’uomo e da quella della società”. A suo dire si tratta di un movimento che è partito dall’Europa occidentale e dall’America e che ora è arrivato anche in Russia.

Oggi c'è una nuova idolatria, che stacca Dio dalla vita umana
“L’idea di una vita senza Dio si sta sviluppando su vasta scala in tutto il pianeta”, ha avvertito, spiegando che “in molti Paesi sviluppati si intraprendono sforzi per approvare con leggi il diritto della persona a qualsiasi scelta, compresa quella del peccato”. “Oggi - ha continuato, come riporta Interfax - parliamo di un’eresia globale dell’inchinarsi all’uomo, una nuova idolatria, che stacca Dio dalla vita umana. Una cosa di questo genere a livello globale non c’era mai stata”. Kirill ha poi spiegato che proprio verso il contrasto di questa “eresia della contemporaneità, le cui conseguenze possono essere eventi apocalittici”, la Chiesa deve indirizzare “le sue forze, la sua parola e il suo pensiero”. (N.A.)

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Il card. Yeom: la Pasqua doni pace alla Corea e al mondo

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“La luce del Signore risorto risplenda su tutti voi. Preghiamo per i nostri fratelli e sorelle in Corea del nord: possano essere abbondanti le benedizioni su di loro. Preghiamo per la pace nella penisola coreana e per la pace nel mondo. Preghiamo perchè Dio doni saggezza per risolvere la questione delle armi nucleari nella Corea del nord. Che Dio ci guidi nelle vie della pace”: è l’auspicio espresso da card. Andrew Yeom Soo-jung, arcivescovo di Seul, nel suo messaggio pasquale. Il tema del messaggio, ripreso dall’agenzia Fides, è tratto dal Vangelo di Giovanni: “Per mezzo di lui era la vita e la vita era la luce dell’umanità” (Gv 1, 4).

Nella penisola coreana è urgente il bisogno di pace
“Gesù è diventato la luce del mondo che illumina i nostri peccati e le tenebre. L'annuncio della Chiesa è che Cristo è la luce del mondo che nessuna tenebra può vincere” rimarca il testo. “Dopo la Risurrezione, Gesù apparve ai discepoli e ha inviato loro il messaggio di pace, ha aperto i loro cuori chiusi, ha dato loro coraggio e ha mostrato loro la via della vita. La nostra società oggi è piena di tenebre. La gente vive nella paura, sotto l'incubo della guerra, del terrorismo e di gravi problemi economici. Viviamo in un tempo in cui è urgente il bisogno di pace. Noi fedeli che abbiamo ricevuto la luce della Risurrezione, siamo chiamati a portare la luce dell’amore e della speranza nel mondo”.

La Corea ha urgente bisogno della luce di Cristo
Il cardinale fa riferimento anche alle elezioni legislative per l’Assemblea nazionale della Corea, che avrà luogo prima del tempo, ricordando che “il potere è servizio” e che con il voto si eleggono “quanti si dedicheranno al futuro e al benessere del nostro Paese”. “Prego che tutti noi esercitiamo il nostro sacro diritto come cittadini della Corea” aggiunge, che “ha urgente bisogno della luce di Cristo”.

La misericordia frutto di una vita illuminata dalla grazia della Risurrezione
Il testo, infine, tocca il tema della misericordia, ricordando l’espressione centrale del Giubileo: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”, definendo la misericordia come frutto di una vita illuminata e permeata dalla grazia della Risurrezione. (P.A.)

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Il 24 marzo Giornata dei Missionari Martiri

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Dal 1993, per iniziativa del Movimento Giovanile Missionario delle Pontificie Opere Missionarie italiane, ogni anno il 24 marzo si celebra la “Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei Missionari Martiri”. Il 24 marzo 1980 venne assassinato mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, beatificato il 23 maggio 2015, e in questa Giornata annuale di preghiera e digiuno si fa memoria di quanti nel mondo hanno versato il sangue per il Vangelo. Quest’anno - riferisce l'agenzia Fides - la ricorrenza coincide con il Giovedì Santo, perciò le comunità potranno celebrarla anche in altra data ritenuta più opportuna. La Giornata viene ormai celebrata in diversi Paesi del mondo, promossa da diocesi, istituti religiosi e realtà missionarie.

Tema di quest'anno: “Donne e uomini di misericordia”
Nel Giubileo straordinario della Misericordia che stiamo vivendo, la Giornata 2016 ha per tema “Donne e uomini di misericordia”. Come scrive don Michele Antuoro, direttore di Missio Italia, “sono loro che hanno saputo ‘vivere la ricchezza della missione di Gesù che risuona nelle parole del Profeta: portare una parola e un gesto di consolazione ai poveri, annunciare la liberazione a quanti sono prigionieri delle nuove schiavitù della società moderna, restituire la vista a chi non riesce più a vedere perché curvo su sé stesso, e restituire a quanti ne sono stati privati’ (Misericordiae Vultus). Gesù è il Volto Misericordioso del Padre, in Lui i volti di don Andrea Santoro, mons. Oscar Romero, don Sandro Dordi….. e di tanti che, come tasselli di un mosaico, compongono e ci svelano l’icona di un Padre ricco di misericordia”.

Un sussidio per celebrare la Giornata
​Il sussidio preparato per l’animazione della Giornata, scaricabile dal sito di Missio Italia, comprende una riflessione teologica sul tema, i profili di quattro missionari uccisi, l’elenco dei missionari uccisi nel 2015 e alcune tracce per la preghiera: Via Crucis, Liturgia Penitenziale, Lectio, Veglia di preghiera, Adorazione Eucaristica. (S.L.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 83

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.