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Sommario del 24/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Messa Crismale: Misericordia ci fa uscire dai nostri recinti

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Chiediamo a Dio misericordioso di aiutarci ad uscire dai nostri recinti, dalle nostre teologie complicate per portare a tutti il suo amore. Così Papa Francesco nella Messa Crismale, celebrata nella Basilica di San Pietro. Il Pontefice ha messo l’accento sull’incontro e il perdono, come ambiti privilegiati in cui il Signore manifesta la sua misericordia. Quindi, ha messo in guardia da una spiritualità light e da una “mondanità virtuale” che ci impediscono di ascoltare la voce di Dio. Durante la celebrazione – nella quale i sacerdoti della diocesi di Roma hanno rinnovato le loro promesse – sono stati benedetti gli Oli dei Catecumeni e degli Infermi e il Crisma. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Gesù non combatte per consolidare uno spazio di potere. Se rompe recinti e mette in discussione sicurezze è per aprire una breccia al torrente della Misericordia”. E’ la bella immagine che Francesco ha utilizzato all’inizio della sua omelia nella Messa crismale, concelebrata in San Pietro da 120 tra cardinali e vescovi e 1800 sacerdoti.

La dinamica della Misericordia lega un piccolo gesto ad un altro
Nell’Anno Giubilare, il Papa ha sottolineato che la Misericordia di Dio porta sempre “qualcosa di nuovo”, è sempre “in cammino” e “cerca il modo di fare un passo avanti, un piccolo passo in là, avanzando sulla terra di nessuno, dove regnavano l’indifferenza e la violenza”. Questa, ha soggiunto, è stata la dinamica del Buon Samaritano:

“Questa è la dinamica della Misericordia, che lega un piccolo gesto con un altro, e senza offendere nessuna fragilità, si estende un po’ di più nell’aiuto e nell’amore. Ciascuno di noi, guardando la propria vita con lo sguardo buono di Dio, può fare un esercizio con la memoria e scoprire come il Signore ha usato misericordia con noi, come è stato molto più misericordioso di quanto credevamo, e così incoraggiarci a chiedergli che faccia un piccolo passo in più, che si mostri molto più misericordioso in futuro”.

Francesco incoraggia, dunque, a chiedere al Signore di aiutarci a “rompere quegli schemi ristretti nei quali tante volte incaselliamo la sovrabbondanza del suo cuore”. Ancora, ha esortato ad “uscire dai nostri recinti, perché è proprio del Cuore di Dio traboccare di misericordia” e il Signore “preferisce che si perda qualcosa piuttosto che manchi una goccia”. Nel giorno in cui i sacerdoti rinnovano le loro promesse, il vescovo di Roma li invita ad essere “testimoni e ministri della Misericordia” e mette l’accento su due ambiti in cui il Signore eccede nella sua Misericordia: l’incontro e il perdono, “che ci fa vergognare e ci dà dignità”.

Festeggiamo quando riceviamo la Misericordia di Dio?
Parlando dell’incontro, il Papa si accosta alla parabola del Padre Misericordioso per rilevare come sempre ci meravigli la “sovrabbondanza” della gioia del Padre per il ritorno del figlio prodigo. E’ la stessa gioia del lebbroso risanato da Gesù, aggiunge. Due esempi che ci fanno capire che il “ringraziamento” gioioso è la “risposta giusta”  al dono della Misericordia:

“A tutti noi può farci bene domandarci: dopo essermi confessato, festeggio? O passo rapidamente ad un’altra cosa, come quando dopo essere andati dal medico, vediamo che le analisi non sono andate tanto male e le rimettiamo nella busta e passiamo a un’altra cosa. E quando faccio l’elemosina, do tempo a chi la riceve di esprimere il suo ringraziamento, festeggio il suo sorriso e quelle benedizioni che ci danno i poveri o proseguo in fretta con le mie cose dopo aver lasciato cadere la moneta?".

Mantenere una sana tensione tra vergogna e dignità
Il Papa rivolge dunque l’attenzione al perdono, ambito dove davvero vediamo che “Dio eccede in una Misericordia sempre più grande” e “ci fa passare direttamente dalla vergogna più vergognosa alla dignità più alta senza passaggi intermedi”. Noi, invece, si rammarica, davanti al perdono di Dio “tendiamo a seperare i due atteggiamenti” come fecero Adamo ed Eva:

“La nostra risposta al perdono sovrabbondante del Signore dovrebbe consistere nel mantenerci sempre in quella sana tensione tra una dignitosa vergogna e una dignità che sa vergognarsi: atteggiamento di chi per sé stesso cerca di umiliarsi e abbassarsi, ma è capace di accettare che il Signore lo innalzi per il bene della missione, senza compiacersene. Il modello che il Vangelo consacra, e che può servirci quando ci confessiamo, è quello di Pietro, che si lascia interrogare a lungo sul suo amore e, nello stesso tempo, rinnova la sua accettazione del ministero di pascere le pecore che il Signore gli affida”.

No alle teologie complicate che ci rendono ciechi
Francesco fa riferimento al popolo povero e prigioniero, il “popolo scartato” con il quale i sacerdoti sono chiamati ad identificarsi. “Ricordiamo – ha detto – che ci sono moltitudini innumerevoli di persone povere, ignoranti, prigioniere, che si trovano in quella situazione perché altri li opprimono”. Ma, ha ammonito, “ricordiamo anche che ognuno di noi sa in quale misura tante volte siamo ciechi, privi della bella luce della fede, non perché non abbiamo a portata di mano il Vangelo, ma per un eccesso di teologie complicate”:

“Sentiamo che la nostra anima se ne va assetata di spiritualità, ma non per mancanza di Acqua Viva – che beviamo solo a sorsi –, ma per un eccesso di spiritualità ‘frizzanti’, di spiritualità light. Ci sentiamo anche prigionieri, non circondati, come tanti popoli, da invalicabili mura di pietra o da recinzioni di acciaio, ma da una mondanità virtuale che si apre e si chiude con un semplice click. Siamo oppressi, ma non da minacce e spintoni, come tanta povera gente, ma dal fascino di mille proposte di consumo che non possiamo scrollarci di dosso per camminare, liberi, sui sentieri che ci conducono all’amore dei nostri fratelli, al gregge del Signore, alle pecorelle che attendono la voce dei loro pastori”.

E’ Gesù, ha concluso, che “viene a riscattarci, a farci uscire, per trasformarci da poveri e ciechi, da prigionieri e oppressi in ministri di misericordia e consolazione”.

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Messa in Coena Domini. Il Papa laverà i piedi dei migranti

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Papa Francesco apre questo pomeriggio il Triduo Pasquale celebrando alle 17.00 la Messa in Coena Domini con gli 892 migranti ospiti del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Castelnuovo di Porto, alle porte di Roma, uno dei più importanti d’Italia, gestito dal 2014 dalla cooperativa sociale Auxilium. Il servizio di Roberta Barbi: 

Sono quasi un migliaio, per la maggior parte africani e musulmani, ma anche cattolici, pentecostali e qualche indù, ma oggi, con un unico cuore gonfio di emozione, stanno aspettando la visita di Papa Francesco. Sono gli ospiti del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, con i quali il Pontefice celebrerà la Messa in Coena Domini del Giovedì Santo. Ancora una volta, e sempre più nell’Anno della Misericordia, lo sguardo del Santo Padre si rivolge ai più poveri, presi in rappresentanza di quei milioni di poveri che ogni giorno intraprendono il loro personale viaggio della speranza per risvegliare le coscienze di tutti dall’indifferenza e far condividere la responsabilità di prenderci cura di chi fugge da casa propria alla ricerca di una vita migliore per sé e per la propria famiglia. Ma chi sono questi ultimi ospitati nei centri d’accoglienza? Lo spiega al microfono di Fabio Colagrande il neodirettore del Centro, il palestinese Akram Zubaydi:

“Le persone che arrivano qui sono richiedenti asilo. Appena arrivano qua si fa la registrazione: dopo aver fatto il foto-segnalamento presso le questure, arrivano qui, dove li accogliamo e dove cerchiamo di fornire loro tutti i servizi per le richieste, per le visite mediche, per la mediazione culturale, per l’assistenza socio-psicologica e per le normative. Dopo essere giunte qui, le persone attendono un bel po’ di tempo prima di arrivare davanti alla Commissione per conoscerne la decisione: se è positiva, ricevono il documento; se è negativa, avranno invece il diniego”.

Il Papa arriverà a Castelnuovo di Porto alle 16.45 e sarà accompagnato tra gli ospiti da tre interpreti d’eccezione: Ibrahim, afghano, Boro, del Mali, e Segen che viene dall’Eritrea. Assieme a loro saluterà gli ospiti uno per uno e consegnerà a ognuno un dono: sono già arrivate 200 uova di Pasqua, una scacchiera e numerosi palloni da calcio e palline da baseball autografate, di quelle che le varie squadre del mondo regalano al Papa. La sua presenza qui, oggi, per ognuno degli ospiti, ha davvero un significato particolare. Ancora il direttore:

“Per noi ha un significato molto grande, anche perché, nel nostro piccolo, al Cara di Castelnuovo di Porto siamo un esempio di convivenza fra le diverse nazionalità e le diverse religioni. Questa visita di Papa Francesco, da noi, oggi, ci dà la forza e l’orgoglio per continuare il nostro lavoro, verso la fratellanza universale. Per noi questa giornata e questa visita di Papa Francesco rappresenta un segnale fortissimo che dà a tutto il mondo: siamo tutti quanti uguali, preghiamo in modo diverso, ma preghiamo sempre per lo stesso Dio”.

Saranno 11 migranti e un’operatrice italiana che lavora ogni giorno accanto a loro, a impersonare oggi i 12 Apostoli cui Papa Francesco laverà i piedi. Tra loro quattro giovani nigeriani cattolici, tre mamme eritree di religione copta ma anche un indiano di religione indù e tre musulmani: un siriano, un pakistano e un maliano. Tra loro Sira Madigata, maliano e di religione musulmana che ha voluto condividere la propria gioia:

“Quando ho saputo che il Papa sarebbe venuto qui, mi sono emozionato… Quando poi mi hanno detto che sarei stato uno dei dodici ragazzi cui il Papa avrebbe lavato i piedi, sono rimasto senza parole! Per noi oggi è una grandissima giornata! Stiamo aspettando la persona più importante di questa epoca. Siamo tutti emozionati! Sono contentissimo di avere davanti a me, davanti a miei occhi Papa Francesco”.

Tra coloro che vivranno in prima persona la celebrazione di oggi, anche Okosun Shadrag, cattolico di origini nigeriane. Parla poco e male l’italiano, ma la sua testimonianza comunica lo stesso tutta l’emozione di essere qui:

“È una grande emozione per me. Quando mi è stato detto che il Papa avrebbe lavato i miei piedi, io non riuscivo a crederlo! Io sono un uomo, un immigrato e il Papa laverà i miei piedi! Ancora non riesco a credere che il Papa laverà i miei piedi…”.

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Nominato negli Usa il nuovo arcivescovo di Saint Paul and Minneapolis

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Papa Francesco ha nominato Arcivescovo Metropolita di Saint Paul and Minneapolis (U.S.A.) S.E. Mons. Bernard Anthony Hebda, finora Amministratore Apostolico “sede vacante” della medesima arcidiocesi ed Arcivescovo Coadiutore di Newark (U.S.A.). S.E. Mons. Bernard A. Hebda è nato a Pittsburgh (Pennsylvania), nell’omonima diocesi, il 3 settembre 1959. Laureatosi all’“Harvard University” nel 1980 in Scienze Politiche, ha ottenuto il Juris Doctor dalla “Columbia Law School” presso la “Parker School of Foreign and Comparative Law” nel 1983. Ha compiuto gli studi filosofici presso il “Saint Paul Seminary” e la “Duquesne University” a Pittsburgh (1984-1985). Inviato a Roma al Pontificio Collegio Americano del Nord, ha frequentato la Pontificia Università Gregoriana dove ha ottenuto il Baccalaureato in Teologia (1985-1988) e, poi, la Licenza in Diritto Canonico (1988-1990). Ordinato sacerdote il 1° luglio 1989 per la diocesi di Pittsburgh, ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale nella “Purification of the Blessed Virgin Mary Parish” ad Ellwood City (1989); Segretario personale dell’allora Vescovo di Pittsburgh, S.E. Mons. Donald W. Wuerl e Maestro delle Cerimonie (1990-1992); Parroco in solidum nella “Prince of Peace Parish” a Pittsburgh, South Side (1992-1995); Giudice del Tribunale diocesano (1992-1996); Direttore del Newman Center della “Slippery Rock State University” (1995-1996). Assunto al Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi il 10 settembre 1996, dal 2003 al 2009 ne è stato Sotto-Segretario. Nominato Vescovo di Gaylord il 7 ottobre 2009, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 1° dicembre successivo. È stato nominato Arcivescovo Coadiutore di Newark il 23 settembre 2013 e, dal 15 giugno 2015, è anche Amministratore Apostolico “sede vacante” dell’arcidiocesi di Saint Paul and Minneapolis. In seno alla Conferenza Episcopale, è “Chairman” del “Committee on Canonical Affairs and Church Governance” ed è stato Membro del “Commitee on the Protection of Children and Young People”. Presso la Santa Sede è Consultore del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. È anche Membro dell’“Executive Board” di Caritas Internationalis. Oltre all’inglese, parla l’italiano e conosce il latino, il francese e lo spagnolo.

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Tweet: unti con olio di letizia per trasmettere la gioia del Vangelo

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Il Papa ha lanciato in questo Giovedì Santo un nuovo tweet dall'account @Pontifex: "Unti con olio di letizia per trasmettere la gioia del Vangelo".

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Il Papa su Instagram: preghiera e vicinanza alla popolazione belga

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“Assicuro la mia preghiera e la mia vicinanza alla cara popolazione belga, a tutti i familiari delle vittime e a tutti i feriti”. E’ il messaggio con il quale Papa Francesco accompagna un video pubblicato ieri sera sul suo account Instagram @Franciscus. Nel video scorrono immagini delle commemorazioni a Bruxelles per le vittime degli attentati terroristici alternati con immagini di Francesco in preghiera all’udienza generale di ieri. L’account Instagram, inaugurato dal Papa il 19 marzo scorso, ha già raggiunto quasi 2 milioni di follower in tutto il mondo.

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Card. Parolin sugli attentati di Bruxelles: brusco risveglio dopo Parigi

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Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, nella celebrazione per l'apertura della Porta Santa della Basilica di San Vitale, nei pressi della Questura di Roma e del Comando dei Vigili del Fuoco, ha ringraziato poliziotti, forestali e pompieri per il loro impegno “contro il terrorismo”. Il cardinale ha espresso gratitudine per l’impegno profuso nel “difendere la sicurezza della gente e quei valori di libertà, di democrazia, di rispettosa e solidale convivenza che sono sotto attacco".

Rispondendo ai giornalisti sugli attentati di Bruxelles, il porporato ha inoltre dichiarato che “dopo i tragici fatti di Parigi si stava tornando alla normalità e c'è stato un brusco risveglio". “Episodi così non possono lasciarci tranquilli”. “Ma in Vaticano - ha assicurato - tutto andrà avanti come programmato. Non è stato cambiato nulla".

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Un passo al giorno: nella Messa crismale il Papa ricorda la dinamica della misericordia che cresce attraverso i piccoli gesti.

Al di là della censura: Dario Edoardo Viganò sulla Santa Sede e le novità tecnologiche della comunicazione.

Dio nelle carceri: Antonella Lumini sulla Via Crucis di Teresio Olivelli.

Un articolo di Giovanni Cerro dal titolo "Dormire in chiesa": da Jonathan Swift ai nostri giorni.

Il segreto è attendere: Tonino Bello su Maria e la "crisi del desiderio" della nostra epoca.

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Oggi in Primo Piano



Stragi Bruxelles: riunione dei ministri interno Ue, nuovi blitz

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Si aggrava il bilancio delle stragi di Bruxelles. Dopo il ritrovamento di un altro cadavere all'aeroporto Zavantem sale a 32 il numero dei morti, 300 i feriti. Oggi a Bruxelles si terrà la riunione straordinaria del Consiglio dei ministri dell'Interno europei, mentre gli Usa sollecitano misure più incisive contro il sedicente Stato islamico. Dopo l'identificazione dei tre kamikaze in azione nella capitale belga e la fuga di un quarto uomo, oggi si registrano nuovi blitz della polizia. Il servizio di Massimiliano Menichetti: 

Tra i tre kamikaze della strage di Bruxelles c’è il 24enne Najim Laachraoui uno dei terroristi più ricercati d'Europa, ovvero l'artificiere degli attentati di Parigi. lo hanno identificato tramite il Dna come il secondo kamikaze dell'aeroporto di Zaventem. I due fratelli Ibrahim e Khalid El Bakraoui, invece, si sono fatti esplodere rispettivamente presso lo scalo aeroportuale e nella stazione della metropolitana di Maelbeek. Un quarto attentatore, non identificato, è ancora in fuga e si cerca un uomo che si presume sia legato alle esplosioni nella metropolitana. In questo quadro il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, innescando non poche polemiche, ieri ha detto che Ibrahim era stato arrestato a giugno in Turchia, estradato in Olanda e rilasciato su indicazione delle autorità belghe, notizia quest’ultima smentita da Bruxelles. Gli inquirenti che anche oggi stanno setacciando la città, hanno trovato nel covo dei terroristi 15 chili di esplosivo mai arrivati in aeroporto grazie ad un tassista, chiamato dagli uomini, che non ha voluto trasportare una quinta valigia. Trovato anche un testamento video su un computer, buttato in un cassonetto, in cui si "spiegano" le stragi come una vendetta per l’uccisione di un altro terrorista e l’arresto di Salah Abdeslam, proprio questo arresto avrebbe fatto anticipare gli attentati dal previsto giorno dopo Pasqua.

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P. Samir: combattere terrrorismo aiutando i musulmani a integrarsi

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E' necessario lavorare su una vera integrazione perché la coesione che viene invocata oggi non è sufficiente. Così, sulle stragi di Bruxelles l'islamologo padre Samir Khalil Samir, docente presso l'Università di Saint-Joseph a Beirut. "La domanda - ribadisce - è come sia possibile che ragazzi cresciuti in Belgio" siano stati capaci di tanta violenza. Una scia di orrore che il terrorismo jihadista sta seminando in Medio Oriente, Africa ed Europa. Ascoltiamo padre Samir al microfono di Massimiliano Menichetti: 

R. – Il problema parte dall’interno dell’islam: il modello che vediamo adesso nel mondo - quello di Is o Daesh - è fatto di orrore, un orrore che portano avanti anche come propaganda per incitare altri a seguirli.

D. – Padre Samir, alcuni sottolineano che quello che accade è il risultato di uno scontro all’interno dell’islam: lei cosa ne pensa?

R. – E’ sicuro che questo parte da uno scontro interno all’islam: uno scontro fra i fondamentalisti e i radicali estremisti da una parte e i moderati e gli intellettuali dall’altra, che dicono: “Dobbiamo ripensare l’islam”. La dominante adesso, in tutti questi movimenti islamici, è quella di dire che prendono atto di alcuni brani del Corano e incitano alla violenza. Però la gente moderata lo legge nel contesto e dice: “Questo era scritto 14 secoli fa. Non è oggi da prendere letteralmente, oggi il mondo è cambiato”. I fondamentalisti e i radicali, invece, dicono no! Allora è una cosa interna all’islam ed attualmente prevale anche grazie al potere economico di Paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar, che hanno la visione teologica più fanatica dell’islam, il waabismo. Se uno prende questa visione e vi aggiunge anche la violenza materiale, ecco che abbiamo il radicalismo terrorista. Però si deve anche dire il perché l’Occidente viene preso di mira: perché è l’altra potenza del mondo. L’Occidente è visto dai musulmani come cristiano e vedono questa guerra contro l’Occidente come parte della conquista del mondo da parte dell’islam.

D. – Ma le persone di Bruxelles, i ragazzi, come hanno potuto arrivare ad un tale punto di orrore essendo cresciuti ed essendo stati educati in Belgio?

R. – Questa è la domanda, che rimette in discussione in particolarmente l’Europa: cosa abbiamo fatto per aiutare e integrare i musulmani nel senso più profondo? I musulmani non sono terroristi, ma tra i musulmani – basandosi sul Corano e sulla tradizione islamica, che viene interpretata a modo loro – il terrorismo nasce. Da una parte c’è l’odio, perché l’Occidente domina il mondo a vari livelli, dalla cultura alla politica; e dall’altra perché sono atei, non religiosi e dunque il nemico da eliminare. Quando l’Occidente era più credente c’era un dialogo possibile, anche laddove ci fossero opposizioni. Adesso il dialogo è diventato impossibile!

D. – In questi giorni, i leader dei Paesi occidentali ribadiscono – come è accaduto dopo gli attentati di Parigi – che non bisogna cedere alla strategia della paura e che bisogna essere uniti.

R. – E’ vero, ma si deve anche dire qualcosa di più! Bisogna aiutare i musulmani ad integrarsi culturalmente: se non c’è integrazione, ci sarà l’odio…

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I vescovi europei: non cedere alla paura del terrorismo

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I vescovi europei lanciano un appello a non cedere alla paura e alla chiusura davanti al terrorismo. La Comece, la Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità Europea, esorta a rivitalizzare i valori cristiani che sono alla base della cultura del Vecchio continente. Ascoltiamo padre Patrick H. Daly, segretario generale dell’organismo, al microfono di Antonella Palermo

R. – È naturale avere paura, ma dobbiamo, con uno spirito di vigilanza e anche di solidarietà, continuare a vivere la nostra vita. Penso che allora sia questo il messaggio: avere grande cautela e fare attenzione: questo è il messaggio della polizia di Bruxelles. Ma dobbiamo continuare a vivere la nostra vita, con coraggio, perché il progetto europeo - e noi qui alla Comece lavoriamo per questo - è il frutto di un grande coraggio, di una visione del dopoguerra che continua ancora oggi con nuove sfide. Penso che i cittadini europei - e soprattutto i cittadini di Bruxelles - sono forti e coraggiosi; c’è un grande sentimento di solidarietà e di simpatia tra le persone che si incontrano nelle strade di Bruxelles in questo momento. Quindi è con questo spirito, quello di non essere vinti dal terrorismo, che noi continuiamo.

D. – Cosa manca all’Europa oggi?

R. – Forse oggi i valori che noi cattolici-cristiani crediamo siano fondamentali per l’Europa non è che manchino, ma non siamo sufficientemente coscienti di che cosa significhino. Il progetto europeo ha compiuto 70 anni: credo che noi dobbiamo guardare di nuovo a questo progetto, ai suoi valori fondamentali e provare a sostenerlo con una nuova forza, una nuova visione. E direi quasi con una visione “francescana”, nel nuovo senso di questa parola: è la visione di Papa Francesco sulla società; perché lui non è europeo, guarda il nostro continente con altri occhi e invita anche noi a guardarlo con occhi di nuovo aperti, grazie alla sua visione, ma anche grazie agli avvenimenti storici che abbiamo vissuto in queste ultime settimane.

D. – Molti hanno paura che mostrare accoglienza verso i rifugiati che giungono da varie aree del Medio Oriente possa aprire le porte anche al rischio di infiltrazioni terroristiche…

R. – Sì, l’arcivescovo anglicano di Canterbury la settimana scorsa ha rilasciato una dichiarazione, nella quale ha detto che dobbiamo capire che la gente poteva avere paura ma che dobbiamo anche avere coraggio. Una società aperta ed accogliente è sempre meglio di una società che si chiude.

D. – Siamo nel cuore della Settimana Santa: che messaggio può giungere in questo frangente così speciale?

R. – Gesù ha sofferto. Era molto solo, era in una situazione cruciale della sua vita, che termina nella sua morte e nella salvezza del mondo. Direi che nella Passione di Cristo che celebriamo in questi giorni c’è un messaggio di speranza: sta a noi stabilire il legame tra questo messaggio fondamentale della nostra identità e gli avvenimenti nel nostro Continente.

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Liberata Palmira. Zenari: stragi in Europa legate a guerra in Siria

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In Siria le truppe governative hanno liberato la zona settentrionale di Palmira, finora occupata dai miliziani del sedicente Stato Islamico. Inoltre secondo il segretario di Stato Usa Kerry, grazie al cessate il fuoco, seguito all’accordo tra Russia e Stati Uniti, i combattimenti si sono ridotti dell’85-90%. Intanto a Ginevra proseguono i negoziati indiretti mediati dall’Onu. “Una soluzione politica è indispensabile” spiega il nunzio apostolico a Damasco, mons. Mario Zenari, secondo il quale gli attentati di Bruxelles sono strettamente legati al conflitto siriano. Ascoltiamolo intervistato da Paolo Ondarza

R. – Già dall’inizio si prevedeva, purtroppo, che questo fuoco che ha incominciato a divampare qui, in Siria, si sarebbe esteso nei Paesi limitrofi: ed è stato così. Ma si era ben lontani dall’immaginare che si estendesse a Parigi, a Bruxelles, a tutta l'Europa. Questo fuoco è arrivato a colpire anche l’Europa e a far capire che questa guerra avrebbe potuto essere risolta con una soluzione politica e nell’interesse di tutti: nell’interesse dell’Europa, nell’interesse del mondo intero.

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Rischio di attentati in Italia: intensificato il livello di allerta

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In Italia, dopo gli attentati di Bruxelles, il sistema di allerta - elevatissimo fin prima dei fatti di Parigi - è stato intensificato. E’ quanto ha dichiarato il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, aggiungendo che sono stati predisposti “sistemi di risposta ad ogni tipo di attentato”. Per il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, l’Italia dispone di risorse per contenere al meglio i rischi. Su questo tema Amedeo Lomonaco ha intervistato  Maurizio Calvi, presidente del Centro alti studi per la lotta al terrorismo: 

R. – L’Italia, per la tradizione dei servizi di Intelligence, è nella condizione di poter realizzare una pronta e immediata difesa e, da questo punto di vista, il Paese è coperto. E’ ovvio che in uno scenario così complesso dal punto di vista internazionale, soprattutto in Europa, delle falle si possono sempre aprire. Queste falle, però, possono essere comunque viste con una lente di ingrandimento particolare, grazie all’efficienza dei servizi di Intelligence.

D. – Sperando che queste falle non si aprano, perché finora l’Italia è stata risparmiata da attacchi?

R. – Intanto, c’è una buona prevenzione e poi gli attacchi si concentrano sul cuore dell’Europa.

D. – Per l’Europa, in particolare, è necessario trovare misure comuni di sicurezza?

R. – Il problema della omogeneizzazione dei servizi, dell’informazione che deve camminare in maniera molto semplice tra Stati, è un problema irrisolto dal punto di vista istituzionale. Per cui questo è un punto debole. Senza questa condivisione di informazioni, ovviamente, sarà difficile capire come colpire queste forme di terrorismo devastanti. Non si capisce la ragione per la quale non si intuiscano alcune verità. Dal punto di vista degli scenari, oltre l’inefficienza dei servizi, c’è anche l’inefficienza di capire le strategie dei nostri nemici.

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Visita di Obama in Argentina, nel 40.mo del golpe militare

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Il 24 marzo di 40 anni fa avveniva, in Argentina, il golpe militare che destituì il governo democraticamente eletto di Isabel Martínez de Perón, succeduta al marito, Juan Domingo Perón. Le diverse giunte militari, fino al 1983, hanno portato avanti una politica economico-sociale di tipo liberistico, di stampo fortemente nazionalistico e soprattutto macchiata da gravissime violazioni di diritti umani e crimini contro l’umanità. 30 mila le persone assassinate, definite, nel clima di segretezza, Desaparecidos, cioè "scomparsi". Famigerati i “voli della morte”: migliaia di dissidenti politici, o ritenuti tali, gettati in mare vivi da appositi aerei militari. Proprio in questi giorni è in visita in Argentina il  presidente americano Barack Obama. Fausta Speranza ha intervistato Roberto Da Rin, del Sole 24Ore: 

R. – 40 anni sono molti, indubbiamente, però, l’impatto e il seguito di questa drammatica fase storica si percepiscono ancora nella società argentina. 30 mila desaparecidos, oltre ad essere un patrimonio e una perdita umana devastante, sono anche una perdita civile, perché è stata cancellata una generazione, un’intera generazione, e probabilmente anche quella più propositiva, con più voglia di fare! La classe dirigente argentina ha patito l’amputazione di una parte così pulsante della società. Ecco perché c’è ancora attualità nella vicenda dei 30 mila desaparecidos scomparsi nel periodo compreso tra il 1976 e il 1983: quindi c’è una forte componente di attualità. Una società politica ancora mutilata, che paga a tutt’oggi le conseguenze di una mancanza.

D. – Tra polemiche e annunci vari, quale significato ha la presenza di Obama in questo anniversario in Argentina?

R. – Obama è venuto in questi giorni per portare la sua testimonianza e la sua presenza. Certamente, è un presidente completamente diverso da quelli che in quegli anni avevano di fatto appoggiato i regimi militari. Le polemiche sono derivate dal fatto che esisteva un “Plan Condor” - così chiamato - che raggruppava e coordinava le dittature più violente in Paraguay, Argentina, Brasile e Cile. E una delle teste pensanti del “Piano Condor” arrivava proprio dagli Stati Uniti. Molti, quindi, non hanno ancora deciso di perdonare gli Stati Uniti, per aver avuto una presenza non irrilevante nella gestione e nel coordinamento di queste dittature militari, dove i militari erano addestrati ad uccidere. Militari che hanno poi sterminato un numero incredibile di giovani. Ecco perché, ancora oggi in Argentina, ci sono ampie fasce della popolazione che guardano agli Stati Uniti con diffidenza, non solo per non avere ostacolato, ma per avere in qualche modo incentivato una repressione nel timore che si espandesse il “virus” del comunismo: questo era quello che si diceva.

D. – Gli Stati Uniti d’America che cosa potrebbero fare per una fase davvero nuova nei rapporti con l’America Latina in generale e in particolare con l’Argentina?

R. – Potrebbero fare molto, perché il continente americano – Nord e Sud – è un continente unico dal punto di vista propriamente geografico. Quindi, potrebbero attivare delle relazioni Nord-Sud che siano improntate più al dialogo, rispetto all’imposizione di alcuni trattati commerciali: questi ultimi, infatti, non sempre fanno gli interessi dei Paesi latinoamericani, e quasi sempre fanno esclusivamente quelli degli Usa. Ora però, sia il Brasile che l’Argentina sono dei Paesi che hanno acquisito e consolidato dei regimi democratici a dispetto delle crisi in corso e sono quindi interlocutori che si siedono al tavolo con gli Stati Uniti – in questo caso con Barack Obama – con più autorevolezza e meno sudditanza psicologica.

D. – Qual è il messaggio per la presidenza Usa che è emerso da Buenos Aires?

R. – Il messaggio è un messaggio di disponibilità e di apertura. Non dimentichiamo che negli ultimi 13 anni di governo, quelli dei coniugi Kirchner – prima di Néstor Kirchner e poi della moglie Cristina Fernández de Kirchner – non si è guardato agli Stati Uniti con molta simpatia. Questo deve essere detto e ricordato. Sul fronte delle politiche economiche e degli affari interni, hanno sempre gestito la propria politica cercando altri soci commerciali e imputando agli Stati Uniti ancora delle responsabilità non indifferenti. Ora, questo nuovo governo di Mauricio Macri, che si è insediato da alcuni mesi, sembra intenzionato a voltare pagina e ad offrire agli Stati Uniti una nuova apertura in termini di credibilità, disponibilità e dialogo economico e commerciale.

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Giornata per i Missionari martiri: oltre mille dal 1980

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“Donne e uomini di misericordia”, il motto della Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, istituita nell’anniversario dell’uccisione, il 24 marzo 1980, di mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador. Il pensiero corre agli ultimi martiri di quest’anno, il padre assunzionista Vincent Machozi, ucciso domenica scorsa in Congo, e alle quattro suore di Madre Teresa con altre 12 persone, massacrate nello Yemen, il 4 marzo nel loro convento di Aden, dove i loro assassini jihadisti hanno rapito padre Tom Uzhunnalil, sacerdote indiano salesiano. Roberta Gisotti ha intervistato don Francesco Cereda, vicario del rettore maggiore dei Salesiani: 

D. – Don Cereda, quali notizie dallo Yemen?

R. – Tutto tace. Non abbiamo nessuna comunicazione né con padre Tom né con le altre Missionarie della Carità presenti e nemmeno con un altro salesiano che si trova in Yemen. Tutti i canali sono o attraverso le nunziature o attraverso le ambasciate, tenuti da diversi soggetti, tra cui in particolare – per l’aspetto ecclesiale – dal nostro Ispettore. Quindi, siamo nell’attesa fiduciosa, perché non perdiamo mai la speranza e soprattutto attraverso la preghiera chiediamo a Dio il dono della restituzione di questo nostro confratello. E certamente continuiamo a pregare e ad essere vicini alle suore di Madre Teresa e al padre assunzionista Vincent: questi sono già stati ‘tolti di mezzo’ con la loro uccisione, ma le loro Congregazioni soffrono e temono anche per altre situazioni che hanno di precarietà e di difficoltà in alcuni di questi Paesi.

D. – C’è quindi grande preoccupazione. Padre Tom, quale lavoro pastorale svolgeva?

R. – Prima, come salesiani, avevamo una presenza di cinque sacerdoti; tre sono rientrati dopo insistenze anche da parte civile dei governi, per le difficoltà crescenti, e due hanno voluto restare per essere anche affianco alle suore di Madre Teresa. C’era la possibilità, prima, di svolgere il ministero anche in alcune chiese cattoliche, e poi tutto si è concentrato nei conventi delle Suore della carità, facendo sempre opera per i cattolici, per il ministero propriamente pastorale e di vicinanza nella carità a tutti coloro che ne hanno bisogno, e soprattutto agli ammalati, agli anziani e ai poveri.

D. – Nel 2015 sono stati 22 gli operatori pastorali uccisi nel mondo e se guardiamo indietro, dal 1980 allo scorso anno, sono state 1.084 le vittime - sacerdoti, religiosi, suore e laici - solo i casi accertati e di cui si è avuta notizia. Davvero un sacrificio di sangue che impressiona …

R. – Questa Giornata fa bene a tenere desta l’attenzione al martirio, che comunque è una testimonianza di autenticità della vita cristiana e quindi è un incoraggiamento, uno stimolo per tutti noi ad essere coraggiosi e nello stesso tempo prudenti nella testimonianza della fede, a non mettere troppo a repentaglio la vita anche quando sappiamo che la vita cristiana esige – pur senza andare a cercare il martirio – di poter essere disponibili a questo, proprio per l’autenticità della fede. Ma quali sono le ragioni di questa emarginazione, del martirio dei cristiani? Qualche volta anche del silenzio di fronte a questi fatti, specialmente il silenzio, spesso dovuto a motivi di convenienza, di paura di fronte a ritorsioni da parte di coloro che provocano violenze. E allora questa Giornata diventa anche una giornata di preghiera per la pace, perché si risolvano i conflitti che sono sempre alla radice di violenze, anche delle forme estreme di violenza, quali lo sono quelle del fanatismo.

D. – A volte il silenzio è anche dei nostri media: ad esempio, delle quattro suore di Madre Teresa, pochi hanno parlato …

R. – Qualche volta potremmo interpretare questo silenzio come indifferenza - Papa Francesco ha sottolineato questo aspetto - e qualche volta anche come paura di ritorsioni. Ma se noi ci lasciamo ricattare dalla paura, allora siamo disposti a subire qualunque tipo di ricatto e di violenza. Certamente, un modo di superare la paura è di essere aperti nel condurre avanti quotidianamente la nostra vita nell’ordinario, e nello stesso tempo promuovere azioni di sicurezza, di garanzia. Ma anche, non essere chiusi di fronte all’accoglienza delle diversità, in questo caso degli immigrati, perché questi potrebbero essere un rischio per il futuro: ma noi sappiamo che il rischio non viene da questa parte.

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Pratica da combattere, deputati ed esperti contro utero in affitto

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Una pratica che va contro natura e da combattere. In questo modo è stata definita la maternità surrogata in un convegno alla Camera a cui hanno partecipato esponenti di Pd e Forza Italia e rappresentanti delle associazioni. L’obiettivo è anche varare norme più efficaci per contrastare quei casi di utero in affitto praticati nei Paesi extra-Ue da cittadini italiani. Alessandro Guarasci

Il Parlamento italiano, solitamente diviso su temi etici, è invece unito nel condannare la maternità surrogata o utero in affitto. E anche il Parlamento europeo si è espresso in questo modo. La deputata di Forza Italia Elena Centemero:

“C’è proprio un lavoro trasversale forte tra le varie componenti, tra donne e uomini, che vogliono affermare una maternità e una paternità libera e responsabile, ma non frutto di pratiche che violano la dignità umana e mercificano il corpo delle donne”.

Sulla stessa linea Fabrizia Giuliani del Pd:

“Ridurre una donna a mezzo interroga dal punto di vista etico e civile. E a questi interrogativi io non credo che la politica possa sottrarsi, onestamente. Il dono è una cosa gratuita, una cosa che non presuppone richiesta. E si può donare qualcosa che si possiede: io non credo che un figlio si possieda!”.

Eppure i casi si ripetono. Solo pochi giorni fa, a due uomini è stata riconosciuta dal Tribunale di Roma la possibilità di adottare un bimbo concepito in Canada attraverso la “gestazione per altri”. Le leggi dunque vanno rafforzate? Emanuela Giacobbe, professore di diritto privato alla Lumsa di Roma:

“C’è una difficoltà della giurisprudenza ad applicare le norme che già ci sono. Noi le norme le abbiamo, sia interne sia di recepimento del diritto internazionale, e sono particolarmente efficaci”.

Insomma, si fa sempre fatica a considerare davvero i diritti della donna e del bambino.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi argentini sul golpe di 40 anni fa: mai dimenticare

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Era il 24 marzo 1976 quando l’Argentina viveva il colpo di Stato militare che portava al potere il generale Videla, dando inizio alla dittatura. “Un avvenimento che non deve mai ripetersi, né dimenticare” scrive la Conferenza episcopale in un messaggio diffuso per l’occasione. “È stato un momento complesso e difficile per l’intera società” sottolineano i presuli, ricordando “l’escalation di violenza che culminò nel terrorismo di Stato” perpetrato attraverso torture, omicidi, sparizioni forzate.

Affrontare il passato per sanarlo ed ottenere verità e giustizia
“È stato il periodo più buio della nostra storia – scrivono i vescovi argentini – le cui conseguenze sono ancora presenti, come un passato che dobbiamo affrontare e sanare”. Il ritorno alla democrazia, dopo la caduta del regime militare nel 1983, “ha segnato l’inizio di un cammino di verità e di giustizia che è urgente proseguire per raggiungere la concordia e la fraternità sociale” aggiunge la Chiesa argentina, evidenziando poi che “il riconoscimento del valore della vita, della dignità e dei diritti inalienabili della persona costituisce la base indispensabile di ogni convivenza umana e di ogni popolo”.

Cristo, fondamento della pace
Quest’anno, inoltre, l’anniversario del golpe coincide con il Giovedì Santo, “giorno del dolore e del tradimento”, notano i vescovi, “ma anche giorno in cui Gesù ha manifestato il suo amore fino alla fine, dando la sua vita per noi”, che “nel suo sangue siamo stati riconciliati”. La speranza fondata in Cristo, “nostra pace” è, dunque, ciò che “spinge a costruire una società veramente umana”. Infine, i presuli invitano a guardare a Cristo affinché il suo esempio “aiuti a curare le ferite con verità, pentimento, giustizia ed anelito di misericordia”.

Nei prossimi mesi, apertura archivi vaticani sulla dittatura argentina
Da ricordare che proprio ieri il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, ha reso noto che, per volere di Papa Francesco, il lavoro di catalogazione del materiale conservato negli archivi vaticani, riguardante i documenti risalenti al tempo della dittatura in Argentina, “procede regolarmente” e dovrebbe essere completato “nei prossimi mesi”. Le condizioni di accesso a tale materiale “si potranno studiare” una volta completata la catalogazione, “d’intesa con la Conferenza episcopale argentina”. Fin d’ora, comunque, “si cerca tuttavia di rispondere a domande specifiche per questioni particolari di carattere giudiziario (rogatorie) o umanitario” (A cura di Isabella Piro)

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Card. Bagnasco festeggia il 50° di ordinazione sacerdotale

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“Sono lieto e grato al Signore che mi ha concesso – lontano da ogni aspettativa e speranza – di celebrare il 50.mo di ordinazione sacerdotale nella cattedrale che mi ha generato sacerdote e vescovo; insieme al presbiterio che mi ha custodito, e che ora amo con cuore di fratello e di padre”. Così il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, nell’omelia pronunciata stamattina nella cattedrale di San Lorenzo durante la Messa del Crisma nella quale ha ricordato anche il suo 50° anniversario di ordinazione. 

L'esortazione ai confratelli a non sminuire il sacerdozio
“Nel mio cuore – ha proseguito l’arcivescovo – rivedo volti cari, a loro e a tanti altri sono debitore di buon esempio e saggezza. A voi, fedeli laici, dico il mio affetto e la mia riconoscenza. Ai nostri seminaristi rinnovo l’incoraggiamento: vi prego, proseguite la via di Dio con fiducia e semplicità generosa". Rivolgendosi ai confratelli il card. Bagnasco li ha invitati a non sminuire mai il proprio sacerdozio, "né con i nostri limiti e peccati, né con la tiepidezza o l’abitudine degli anni. La semplicità del nostro operare – all’altare, in casa, sulla strada – non sia mai banalità, ma frutto del nostro pregare in ginocchio, cioè del nostro adorare la grandezza di Dio nella nostra debolezza, grati che Dio ci ami nella nostra povertà”.

Il ricordo dell'ordinazione 50 anni fa nella stessa cattedrale di Genova
“Insieme ai miei quindici compagni di classe – ha continuato – mi rivedo prostrato sul pavimento di questa amata cattedrale che, come grembo fecondo e lieto, ci ha generati a novità di vita: piccoli uomini che il Signore ha guardato con occhi di misericordia e di elezione. Nessuno di noi si sentiva meritevole e degno, nessuno poteva prevedere nulla del proprio futuro: una sola cosa ci bastava, la fedeltà di Gesù, il desiderio sincero, pieno di slancio giovanile, di esserGli anche noi fedeli, di vivere consegnati a Lui che ci aveva chiamati per nome”. 

Il porporato ha chiesto di pregare per le vocazioni
Nell’omelia il cardinale ha poi chiesto a tutti di “intensificare la preghiera, perché il Signore mandi gli operai di cui abbiamo bisogno, e perché i giovani non abbiano paura di ascoltare e di rispondere prontamente”. (R.P.)

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Sudan: epidemie nel Campo profughi del nord Kivu

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I servizi idrici e sanitari nei campi del nord Darfur non sono in grado di far fronte al fabbisogno degli sfollati recentemente sfuggiti dagli scontri nel campo Jebel Marra. Secondo le cifre delle Nazioni Unite, si tratta di oltre 100 mila persone arrivate solo questa settimana. Tra le conseguenze del sovraffollamento e della precarietà di acqua sta dilagando una epidemia di congiuntivite tra i bambini, in particolare i profughi nel campo di Kabkabiya, che sono anche privi di farmaci e cure mediche. 

Mancano le struttre sanitarie
Un attivista ha riferito all’emittente Radio Dabanga che l’infezione è comparsa da una settimana, non ci sono strutture sanitarie e la gente per essere curata è costretta a raggiungere l’ospedale locale dell’United Nations–African Union Mission in Darfur (Unamid). “I medici sono in grado di assistere solo 15 pazienti al giorno, tra tutti i malati che arrivano fino a lì” riferisce la fonte.

L'approvvigionamento dell'acqua la sfida principale
Nel presidio Unamid a Sortony, nella zona sud della città di Kabkabiya, oltre 60 mila nuovi sfollati da Jebel Marra continuano ad ammalarsi con il conseguente proliferare di virus e batteri. L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) ha riferito che, a Sortony, l’approvvigionamento all’acqua rimane la sfida principale. Attualmente, il numero totale dei nuovi profughi da Jebel Marra è 110,273, di questi circa il 95% hanno trovato riparo nei campi profughi nel Darfur settentrionale. Sortony continua ad essere il più grande ricettore di sfollati, finora ne sono stati segnalati 62,192. Altri 36 mila hanno trovato rifugio nel campo di Tawila. Circa 3 mila a Kabkabiya. (A.P.)

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Coree: farmaci per malati di tbc arrivano in Corea del Nord

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I medicinali destinati ai 1.500 malati di tubercolosi assistiti dalla Eugene Bell Foundation sono arrivati in Corea del Nord. Dopo un lungo braccio di ferro con il governo di Seoul, che per la prima volta in 20 anni sembrava intenzionato a impedire l’invio dei farmaci, i container che trasportano sei mesi di terapia per ciascun malato hanno ricevuto il via libera. La Fondazione “ringrazia in maniera speciale tutti coloro che hanno reso questo risultato possibile”.

Nella delegazione sono presenti diversi sacerdoti cattolici
Nonostante le tensioni fra Nord e Sud siano in costante aumento - riferisce l'agenzia AsiaNews - l’esecutivo guidato da Park Geun-hye ha anche concesso le autorizzazioni alla delegazione della Eugene Bell per recarsi nel regime guidato da Kim Jong-un. Il prossimo viaggio si svolgerà dal 19 aprile al 10 maggio. Nella delegazione sono presenti diversi sacerdoti cattolici: il padre Gerard Hammond, Superiore regionale dei Maryknoll in Corea, compie queste visite da circa 25 anni e ha la possibilità di celebrare la Messa all’interno dell’ambasciata polacca.

L'attività della Fondazione Bell per i malati di tbc in Corea del Nord
L’attività della Fondazione si snoda su due binari. Da una parte c’è l’invio dei medicinali necessari alle cure continuate e continuative dei malati di tbc; dall’altra la gestione di diversi Centri dedicati ai casi più gravi. I Centri gestiti dalla Fondazione – racconta ad AsiaNews proprio padre Hammond – “al momento sono 11, ma il governo ci ha concesso la possibilità di costruirne altri cinque. Ognuno di questi può ospitare fino a 20 malati di tubercolosi”. La Eugene Bell si occupa anche di formare medici e infermiere nordcoreane per la diagnosi e la cura della malattia. Alcuni membri della delegazione seguono in Corea del Sud corsi per riconoscere al microscopio i batteri che causano la tbc, e a loro volta insegnano questa tecnica alla controparte del Nord. In questo modo si cerca di evitare la diffusione endemica del contagio, che avviene per via aerobica.

Sempre alta la tensione tra le due Coree
Nonostante questo segnale di speranza, la situazione della penisola sembra aggravarsi. Lo scorso 21 marzo l’esercito del Nord ha lanciato una nuova serie di missili da 300 mm, che sono caduti in mare. La propaganda del regime li ha definiti “il test finale di lancio”, e ha lasciato intendere che la prossima volta le armi saranno dirette non verso il mare ma verso la terraferma. Avendo una gittata di 200 chilometri, gli obiettivi più in pericolo sono l’area metropolitana di Seoul e il complesso militare Gyeryongdae. (R.P.)

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Card. Tagle ai detenuti: non perdete la speranza nella misericordia di Dio

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“Non perdere la speranza”. Con queste parole di incoraggiamento il card. Antonio Luis Tagle si è rivolto ai detenuti del carcere della capitale filippina, Manila City Jail, dove ieri ha celebrato una Messa per il Giubileo della Misericordia e ha guidato l’apertura della Porta Santa nella cappella del penitenziario, insieme al nunzio apostolico nelle Filippine, mons. Giuseppe Pinto.

Tutti possiamo sbagliare, ma possiamo sperimentare lo stesso l’amore di Dio
“Tutti, compreso me, – ha detto l’arcivescovo di Manila nell’omelia – facciamo errori. Tutti possiamo tradire, ma non dimentichiamo che siamo anche capaci di amare. Abbiamo peccato come Giuda e Pietro, ma possiamo sempre essere come Gesù che, anche se non lo meritiamo, si è preso cura di noi come suoi amici”. “Attraversando la porta della misericordia – ha aggiunto – entrate nel cuore di Gesù e lì potrete sperimentare come Dio ci ha amato e ha offerto la Sua vita”

Il porporato ha chiesto ai detenuti di aprire i loro cuori agli altri
Il card. Tagle ha inoltre esortato i detenuti a pregare per le loro famiglie e cari “anch’essi feriti”, perché possano sperimentare la speranza e la misericordia di Dio. “E a tutti voi che siete qui – ha concluso - aprite i vostri cuori agli altri. Siete come un’unica famiglia qui. Condividete l’amore di Dio attraverso il servizio”. (L.Z.)

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Vescovi australiani: proteggere i minori dalla pornografia

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“I bambini hanno il diritto di essere bambini, lontani dai danni che possono essere loro inflitti dalla pornografia”: è quanto ha affermato mons. Comensoli, membro della Commissione episcopale australiana  per la famiglia, la gioventù e la vita. Intervenendo, nei giorni scorsi, ad una riunione del Comitato permanente del Senato per l’Ambiente e la comunicazione, il presule ha ribadito: “Permettere che i bambini siano esposti alla pornografia è una forma di abuso”.

L’esposizione alla pornografia provoca gravi danni sui minori
“La Chiesa – ha aggiunto – ha la sua personale e vergognosa storia di abusi sui minori e proprio per questa terribile esperienza vissuta dalle vittime non vuole vedere altre forme di abusi sui bambini, come i danni provocati da una maggiore disponibilità di materiale pornografico”. “Viviamo in una cultura in cui la pornografia è ormai integrata – ha sottolineato mons. Comensoli – C’è un abbondante utilizzo di immagini a sfondo sessuale nel campo della pubblicità, dei video musicali o dei giochi per computer”. E molte di queste immagini “raggiungono ogni giorno dei bambini”, anche a causa del facile accesso reso possibile dai dispositivi mobili.

Tutelare i minori: Internet sia più sicuro
Quindi, il presule ha ricordato che, secondo alcuni studi, oltre il 40 per cento dei minori australiani tra gli 11 ed i 13 anni ha già visionato materiale pornografico, con gravi conseguenze soprattutto nei rapporti sociali: “Gli adolescenti esposti alla pornografia – spiega infatti mons. Comensoli - hanno maggiori probabilità di essere sessualmente violenti”. Di qui, il richiamo del presule affinché “la comunità australiana agisca per salvare i bambini da questo male”. Infine, la Chiesa di Sydney auspica “una maggiore educazione” sull’argomento, insieme ad un sistema Internet più sicuro per i minori. (I.P.)

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Singapore: più di 1.000 catecumeni battezzati a Pasqua

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Sono 1.127 i catecumeni che, nella prossima Veglia pasquale, saranno battezzati nella Chiesa cattolica a Singapore che, con i suoi 360mila fedeli, si conferma come una delle più dinamiche e vitali del sud-est asiatico, nonostante una società sempre più sedotta da stili di vita materialisti.

Il cristianesimo unica religione in crescita nella città-Stato
I dati più recenti dell’Ufficio Statistico di Singapore citati dall’agenzia Eglises d’Asie, mostrano infatti che il cristianesimo, e in particolare il cattolicesimo, è l’unica religione in crescita nella Città-Stato. Una vitalità confermata dalla grande e partecipata affluenza alle liturgie: in una normale Messa di Quaresima nella parrocchia di Cristo Re, nel quartiere Ang Mo Kio, non si trovano posti a sedere liberi. La Messa è molto curata e contando il coro, i lettori, quelli che distribuiscono le comunioni e quelli che accolgono i fedeli, circa 60 persone sono coinvolte nello svolgimento della celebrazione. Lo stesso accade tutte le domeniche nella maggior parte delle 31 parrocchie della città. Molte chiese hanno dovuto far fronte al grande aumento del numero di fedeli con lavori di ristrutturazione.

Non solo cifre
Nell’arcidiocesi il cammino verso il battesimo non è una formalità, ma un processo di preparazione che dura più di 12 mesi. Come spiega infatti a Eglises d’Asie l’arcivescovo, mons. William Goh Chye Seng, non è importante tanto la quantità dei nuovi battezzati, ma la qualità della loro fede: “Quest’anno abbiamo 992 nuovi catecumeni, che significa un aumento del 17% rispetto all’anno scorso. Tuttavia – afferma –  possiamo fare di meglio, dobbiamo lavorare di più, non per raggiungere una cifra, ma per diffondere il messaggio di amore e misericordia del Vangelo”.  La stragrande maggioranza di chi decide di entrare nella Chiesa cattolica viene da altre religioni. Secondo padre Bruno Saint-Girons delle Missioni Estere di Parigi, che lavora a Singapore da dieci anni, tra le ragioni frequentemente evocate dai catecumeni è l’avere scoperto Gesù e una comunità che danno un senso alla loro vita. 

Un panorama religioso in continua evoluzione
Il panorama religioso di Singapore è in continua evoluzione, anche grazie ai flussi migratori. Negli ultimi anni si è registrato un aumento della popolazione che si dichiara "religiosa".  Fra questi, aumentano però anche coloro che pur dicendosi "religiosi" non aderiscono ad alcuna confessione. Tra il 2010 e il 2015, su una popolazione totale di 5,4 milioni di persone, i cristiani sono passati dal 18,3% al 18,8%. I buddisti sono ancora maggioritari, ma sono in calo: dal 44,2% sono scesi al 43,2%. Anche i musulmani (dal 14,7% al 14%) e gli indù (dal 5,1% al 5%) hanno registrato un lieve calo. I cittadini non appartenenti ad alcuna religione sono passati dal 17% al 18,5%.

Il Governo rispetta ogni confessione religiosa
Di fronte a questi mutamenti il Governo di Singapore ha un atteggiamento neutrale e cerca di promuovere una laicità aperta, in cui ciascuna religione possa avere uno spazio nell’arena pubblica, purché rispettosa delle altre confessioni. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 84

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.