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Sommario del 25/03/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Venerdì Santo, Francesco celebra la Passione e la Via Crucis

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La Chiesa fa memoria e rivive lungo il Venerdì Santo le ore del sacrificio di Cristo. Due, come di consueto, sono gli appuntamenti che vedranno in questo giorno protagonista il Papa. Alle 17 Francesco sarà nella Basilica di San Pietro per la Celebrazione della Passione del Signore, con la riflessione offerta da padre Raniero Cantalamessa. Poi, alle 21.15, di fronte alle arcate del Colosseo per il rito della Via Crucis in diretta mondovisione, guidato con la folla dalle meditazioni del cardinale arcivescovo di Perugia, Gualtiero Bassetti. Il servizio di Alessandro De Carolis

Il confronto tra il Giusto e il giustiziere. Comincia così la storia che racconta ogni Via Crucis. Gesù contro Barabba e in mezzo Pilato, l’uomo che “arriva, forse, fin sulla soglia della verità” ma “sceglie di non varcarla”, perché “tra la vita e la verità, sceglie la propria vita” e “tra l’oggi e l’eternità, sceglie l’oggi”, come scrive il cardinale Gualtiero Bassetti nelle sue meditazioni per la Via Crucis al Colosseo di quest’anno.

L’“immane prezzo”
È la storia di ogni Venerdì Santo, che passa di pietra in pietra la Via Dolorosa, e per 14 volte si ferma a pregare e a pensare all’“immane prezzo” pagato dal Figlio di Dio per riscattare i figli degli uomini, disse lo scorso anno Papa Francesco al termine del rito al Colosseo:

“In te venduto, tradito e crocifisso dalla tua gente e dai tuoi cari, noi vediamo i nostri quotidiani tradimenti e le nostre consuete infedeltà (...) Nel tuo viso schiaffeggiato, sputato e sfigurato, noi vediamo tutta la brutalità dei nostri peccati (...) Nel tuo corpo scarnificato, squarciato e dilaniato, noi vediamo i corpi dei nostri fratelli abbandonati lungo le strade, sfigurati dalla nostra negligenza e dalla nostra indifferenza”. (Papa Francesco, Via Crucis al Colosseo – 3 aprile 2015)

Fece rumore l’espressione che usò il Papa, “silenzio complice”, la cortina dietro la quale si consumano continuamente le persecuzioni contro i cristiani senza che spesso nessuno muova un dito. Ma tutta la liturgia dissemina lungo le ore del Triduo istanti che scuotono l’inerzia e i compromessi che si stratificano sulla fede durante un anno. Per esempio, non lascia indifferenti, durante la celebrazione della Passione in San Pietro, la figura del Papa che si prostra faccia a terra, così simile a quella di Gesù con la faccia per tre volte tra i sassi e la polvere che portano fino al Golgota.

Credere sempre nel perdono di Dio
Ma tutto, in quei metri e in quei minuti di strazio fino all’ultimo respiro sulla Croce, racconta anche una storia di amore, immane quanto il prezzo del sangue. “L’uomo che cade, e che contempla Dio che cade – scrive ancora il cardinale Bassetti – è l’uomo che finalmente può ammettere la propria debolezza e impotenza senza più timore e disperazione”, proprio perché Dio “l’ha provata” nel suo Figlio:

“Insegnaci che il Venerdì Santo è strada verso la Pasqua della luce; insegnaci che Dio non dimentica mai nessuno dei suoi figli e non si stanca mai di perdonarci e di abbracciarci con la sua infinita misericordia. Ma insegnaci anche a non stancarci mai di chiedere perdono e di credere nella misericordia senza limiti del Padre”. (Papa Francesco, Via Crucis al Colosseo – 3 aprile 2015)

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Mons. Viganò illustra la copertura mediatica della Pasqua

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Sinergia nuova tra Radio Vaticana e Centro Televisivo Vaticano per la Pasqua 2016. Presentate presso la sede della nostra emittente le attività mediatiche per la copertura radiotelevisiva mondiale, nell’ambito del Triduo pasquale. Il servizio di Eugenio Bonanata: 

Commento plurilingue, tra cui l’arabo e il vietnamita. Impiego di satelliti e di altri innovativi strumenti, come 10 moderne telecamere in tecnologia Ultra HD, dislocate all’interno della Basilica vaticana. E’ così che i media della Santa Sede si preparano alle dirette radiotelevisive dei prossimi giorni, che saranno seguite da milioni di persone in tutto il mondo. Mons. Dario Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione:

“È un Triduo che oltre all’intensità dell’aspetto spirituale porta con sé alcune novità. Anzitutto, la collaborazione sempre più stretta verso quella che sarà l’unificazione del Centro Televisivo Vaticano e della Radio Vaticana. Questo significa che per il secondo anno le immagini del Centro Televisivo Vaticano verranno accompagnate da commenti in sei lingue sui canali della Radio Vaticana. L’altro aspetto è che la produzione delle immagini durante il Triduo avviene con telecamere 4k Ultra HD. Quindi, per quanto riguarda la cura delle immagini sarà di grande livello e questo permetterà di vedere davvero la qualità della fotografia, delle immagini quasi “cinema”. Questo poi verrà messo a disposizione non solo in questo formato presente in America ma non ancora in Italia, ma anche in HD, in SS per tutti i terminali che sono presenti in Italia, in Europa e nel mondo”.

Spiccano alcune specifiche scelte a livello di regia, come quelle messe in campo in occasione della Benedizione Urbi et Orbi:

“In particolare, il momento della benedizione 'Urbi et Orbi' sarà raccontato attraverso due camere: una sulla Loggia della benedizione dietro il Papa, una sorta di pseudo-soggettiva che racconta anche che cosa si vede da quel terrazzo quando si parla alla piazza, quindi crea un dialogo tra il Papa e la piazza; e un grandangolo - sempre sul terrazzo - che in qualche modo vorrà essere un punto di vista che costruisce un grande abbraccio tra il Pontefice, le braccia del Bernini e la folla intera”.

Altra particolarità, l’allestimento floreale in Piazza San Pietro per la domenica di Pasqua. E’ a cura di un team olandese composto da 25 fioristi che svolgono questo compito da 30 anni. I preparativi al via già a novembre: oltre 35 mila i fiori e le piante impiegate per la decorazione. Sul Sagrato protagonista la rosa bianca, per sottolineare il messaggio del Giubileo della Misericordia proclamato da Papa Francesco.

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Il Papa lava i piedi ai profughi: dietro i terroristi, i trafficanti di armi

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Siamo tutti fratelli, musulmani, indù, cattolici, evangelici, figli dello stesso Dio. E’ stato questo il forte grido di Francesco, durante la Messa in Coena Domini al Cara di Castelnuovo di Porto, il Centro di accoglienza per richiedenti asilo a Nord di Roma. Il Papa ha lavato i piedi a 12 profughi. Siamo tutti fratelli, ha ripetuto più volte, opponendo la fratellanza al sangue versato a Bruxelles da chi vuole la guerra. Francesca Sabatinelli

Si è inginocchiato per lavare e baciare quei piedi che hanno camminato attraverso i deserti, che hanno solcato i mari per sfuggire alla violenza, per raggiungere la salvezza. Piedi di chi ha abbandonato la sua vita nel tentativo di salvarsela. Ha lavato i piedi, così come Gesù fece con i suoi, lui “capo” che “lava i piedi ai più piccoli”. I gesti parlano più delle parole, dice Francesco guardando quegli occhi che portano con sé tanti dolori e tante atrocità. Sono due i gesti nel Vangelo di Giovanni, la lavanda dei piedi e il tradimento di Giuda che vende Gesù per trenta denari ai suoi nemici, spiega il Papa, che poi parla di altri due gesti, il primo quello di fratellanza, che si compie nella Messa a Castelnuovo di Porto:

"Questo, tutti noi, insieme: musulmani, indù, cattolici, copti, evangelici, ma fratelli, figli dello stesso Dio, che vogliamo vivere in pace, integrati. Un gesto".

Poi il secondo gesto, quanto accaduto a Bruxelles, colpita dal terrorismo assassino, è lì che va il pensiero del Papa:

"Tre giorni fa, un gesto di guerra, di distruzione, in una città dell’Europa, di gente che non vuole vivere in pace. Ma dietro a quel gesto, come dietro a Giuda, c’erano altri. Dietro a Giuda c’erano quelli che hanno dato il denaro perché Gesù fosse consegnato. Dietro quel gesto ci sono i fabbricanti, i trafficanti di armi, che vogliono il sangue, non la pace, che vogliono la guerra, non la fratellanza".

Ed ecco i due gesti: “Gesù lava i piedi, Giuda vende Gesù per denaro”. Ma solo il primo è un gesto di fratellanza:

"Voi, noi, tutti insieme, diverse religioni, diverse culture, ma figli dello stesso Padre, fratelli. E là, poveretti quelli, che comprano le armi per distruggere la fratellanza. Oggi, in questo momento, quando io farò lo stesso gesto di Gesù di lavare i piedi a voi dodici, tutti noi stiamo facendo il gesto della fratellanza, e tutti noi diciamo: siamo diversi, siamo differenti, abbiamo differenti culture e religioni, ma siamo fratelli e vogliamo vivere in pace”.

Ognuno ha una storia, prosegue Francesco, ognuno ha “tante croci e tanti dolori, ma ha anche un cuore aperto che vuole la fratellanza”:

"Ognuno, nella sua lingua religiosa, preghi il Signore, perché questa fratellanza si contagi nel mondo, perché non ci siano le 30 monete per uccidere il fratello, perché sempre ci sia la fratellanza e la bontà".

Poi il saluto agli ospiti del Cara, uno ad uno, 892 strette di mano, 892 sorrisi. E il ringraziamento del Papa a tutte queste persone alle quali chiede di far vedere “che è bello vivere insieme come fratelli, con culture, religioni e tradizioni differenti”, ma tutti fratelli. E tutto questo ha un nome, conclude Francesco: pace e amore.

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Padre Torres: Papa chino sul dolore dei migranti, segno forte per il mondo

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E’ stata grande la gioia tra i profughi del centro di accoglienza di Castelnuovo di Porto per l’incontro con il Papa in occasione della Messa in Coena Domini. Stupore e commozione in particolare tra i 12 che hanno partecipato al rito della lavanda dei piedi. Sul significato di questo evento Fabio Colagrande ha sentito padre Manuel Torres, che segue la cura pastorale di questi migranti: 

R. – E’ stato un segno forte del Signore che viene riproposto al mondo e interpella tutti noi che non siamo all’altezza di fare questo gesto nel senso vero del termine, di tutti i giorni: abbassarci a fare tutto questo, essere disponibili, venire incontro alle sofferenze di queste persone. Questa è una realtà e un messaggio forte del bisogno di ripristinare questa carità vera e che non basta l’impressione di un giorno, ma deve essere accolta come Gesù che continua la sua Passione, come ha detto Papa Francesco, lungo i secoli.

D. – Che esperienza è stare con i profughi del Centro di accoglienza?

R. – È un’esperienza un po’ sconvolgente, perché tante persone non sono in grado di capire, di accettare questa situazione o anche di limitarsi a dare una mano. Ma alcuni si danno da fare: sono pochi ma sono disponibili, perché hanno capito che questa è la carità. Dobbiamo guardarli come fratelli che soffrono tanto e che ci ricordano anche quegli italiani che andarono via dall’Italia e continuano a farlo trovandosi in tante difficoltà, anche se non come quelle di questi fratelli. È una sfida molto grande per noi, che a volte non sappiamo come gestirla bene.

D. – Sappiamo che sono in maggioranza musulmani, ma ci sono anche cattolici e cristiani di altre confessioni: quanto è importante la religione per queste persone che hanno subìto così tante sofferenze e ora sono in cerca di un riscatto?

R. – Sono sofferenze molto grandi e il mondo non le vede, perché c’è una paura sia delle persone che arrivano sia di quelle che sono qui. Si ha paura di chi è di un’altra religione, perché si pensa che sia una persona più forte di noi, e quindi non ci si rende disponibili ad accogliere e anche ad interessarsi di questa gente. Però è anche vero che la paura – il timore per le cose che succedono nel mondo – a volte viene a causa di quello che viene diffuso dai mass media, una cultura di una certa diffidenza. Quindi la gente fa fatica ad accettare questa semplice accoglienza, che noi – da veri cristiani – dobbiamo spontaneamente offrire.

D. – Come sacerdote, come sta crescendo anche la sua vocazione, la sua vita di fede, a contatto con queste persone?

R. – È una crescita enorme, una sfida che ci fa crescere nella carità vera. Mettere tutte le forze per andare incontro, per capirli e saper dare un aiuto adatto a questi fratelli. Qui dobbiamo vivere in maniera santa; altrimenti non si riesce a fare bene questo lavoro. Non può essere un lavoro da impiegati. È proprio per questo è necessario chiedere la presenza dello Spirito del Signore, per fare una carità vera.

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Il Papa a pranzo con i Parroci di Roma per ascoltare e imparare

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Attenzione alle persone, a tutte le persone, in particolare a quelle più in difficoltà: è quanto chiede il Papa ai parroci di Roma con cui ha pranzato ieri in Vaticano dopo la Messa crismale. Una decina i sacerdoti presenti: l'incontro si è svolto in un clima molto familiare. C'era anche don Manrico Accoto, giovane parroco della Chiesa di Santa Giulia Billiart, a Tor Pignattara. Ascoltiamo la sua testimonianza al microfono di Sergio Centofanti

R. – È stata un’esperienza molto bella, nella sua semplicità e normalità. Il Papa ci ha messi tutti a nostro agio e ha voluto semplicemente ascoltarci tutti. Ognuno ha potuto raccontare la propria vita in parrocchia: Roma è molto diversificata, dal nord al sud, tra quartieri giovani e residenziali e altri più popolari e periferici. Ha ascoltato tutti con molto interesse, senza mai interrompere, sempre con un atteggiamento di chi ha da imparare, facendoci sentire dei maestri importanti. E questo secondo me ha dato proprio l’immagine, come abbiamo celebrato ieri, di un Gesù che si toglie le vesti e ridona dignità e importanza a chi lo segue. Come parroci di Roma, cerchiamo di seguire il nostro Vescovo e lui ci ha dato una carezza, un bacio, facendoci sentire ascoltati e sottolineando le cose che facciamo: un po’ come un padre che ascolta le piccole cose dei figli, sottolineandone però l’importanza, perché è attraverso queste piccole cose che si costruisce il futuro.

D. – Che cosa è emerso della Diocesi di Roma da quello che voi avete detto al Papa?

R. – Sono emerse sicuramente le positività di comunità vive, con famiglie giovani che si mettono in cammino, magari anche alla riscoperta della fede, portando i propri figli. Sono emerse le scelte belle di comunità, attraverso la preghiera, il servizio ai più poveri, scelte solidali. E sono emerse anche le difficoltà di un tessuto urbano che vive sicuramente un momento di grosso sacrificio e anche di grandi tensioni sociali in alcuni quartieri di Roma. Sono emerse le gioie, ma anche le fatiche dell’essere sacerdoti a Roma. Quindi, è emerso un po’ lo spaccato di gioie e dolori di una Diocesi che cammina, attraverso il grande impegno dei laici, e il bel rapporto tra il popolo di Dio e i suoi pastori.

D. – Tu in particolare cosa hai detto al Papa?

R. – Ho descritto la mia realtà, molto diversificata, perché abbiamo anziani, ma anche delle famiglie giovani: è un quartiere popolare, ma al tempo stesso multietnico. Quindi il rapporto con l’islam; ma anche i ragazzi che hanno difficoltà a trovare un lavoro o quelli più piccoli che addirittura fanno fatica a finire le scuole medie. C'è il problema della droga, ma anche la grande vivacità di una comunità che si sta mettendo al servizio di tutto questo, attraverso lo stare insieme e la preghiera. Ho portato al Santo Padre la gioia e il cammino che la nostra comunità, qui a Tor Pignattara, sta facendo.

D. – Come vivono i parroci di Roma il Pontificato di Papa Francesco, del loro Vescovo?

R. – Sicuramente c’è stato un grande entusiasmo iniziale, perché un cambiamento porta sempre a qualcosa che ridesta: non perché non fossimo legati a Papa Benedetto – tutt’altro – ma semplicemente perché un cambiamento ti ridesta da una normalità che ormai tendi ad acquisire. Adesso, sicuramente, c’è anche la fatica di recepire i grandi stimoli che lui dà: cioè non è mai una “pappa pronta” – lui dice che devi fare e tu lo fai - per cui c’è la fatica del discernimento, del capire come mettere in pratica le linee di fondo, che però non potranno mai diventare delle soluzioni “precotte”. Quindi, ora, ci troviamo più nella semina che nel raccolto. Dove porterà il Pontificato di Papa Francesco, lo vedremo fra qualche anno. Bisogna con fiducia continuare a lasciarci guidare e suggestionare da lui, perché la nostra pastorale, piano piano e nel concreto, si rinnovi attraverso i suoi insegnamenti.

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Padre Lombardi: non ci sono poliziotti italiani in Vaticano

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Con riferimento a quanto dichiarato da un giornalista in una trasmissione televisiva andata in  onda nella serata di ieri, riguardante la presenza di forze di Polizia italiane all’interno dello Stato della Città del Vaticano, si fa presente che, pur essendoci un rapporto quotidiano di proficua collaborazione tra la Gendarmeria Vaticana e gli organismi di Polizia italiane, tale affermazione è priva di  fondamento”. E’ quanto ha affermato il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. “Le celebrazioni pasquali presiedute dal Santo Padre - ha aggiunto - si terranno regolarmente, avendo cura di garantire un sicuro svolgimento di esse e una serena partecipazione da parte dei fedeli”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Un mondo di fratelli: nel centro di accoglienza di Castelnuovo di Porto il Papa lancia un messaggio di pace e di integrazione.

Per non cadere nella trappola: un editoriale di Zouhir Louassini sulla responsabilità dei media.

Cristiani e musulmani tutti vittime: intervista di Charles de Pechpeyrou all’arcivescovo di Malines-Bruxelles.

Qui pregò Omar: Manuel Fraijo sulla tentazione del fondamentalismo.

Democrazia ed educazione: Marcello Filotei sulla prima donna a capo della Real Academia de la Historia.

Peruviano perché parigino: Silvia Guidi sui romanzi di Mario Vargas Llosa nella costellazione della Pleiade.

Vita, non attardarti tra i morti: Manuel Nin sul sabato santo nella tradizione bizantina.

Sulla più antica coronazione di spine, un articolo di Fabrizio Bisconti sulle origini dell’iconografia sulla Passio Christi.

La misericordia salverà il mondo: l’omelia del predicatore della Casa Pontificia sul desiderio di vendetta dell’uomo e la risposta di Gesù sulla croce.

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Oggi in Primo Piano



Bruxelles: perquisizioni e arresti. I media: catturato Abrini

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Prosegue l’inchiesta sugli attentati che hanno sconvolto Bruxelles martedì scorso. Perquisizioni e arresti durante tutta la notte e stamani. E' di questi minuti l'ultima operazione nel quartiere di Schaerbeek, con l'arresto di un uomo che potrebbe essere Mohamed Abrini, uno dei super-ricercati. Il servizio di Gabriella Ceraso:

Coinvolto nell'ambito dell'inchiesta sugli attentati di Parigi e complice di Salah Abdeslam, l'uomo arrestato nell'operazione condotta a Schaerbeek sarebbe, secondo i media belgi, il super latitante, Mohamed Abrini. La sua cattura durante un controllo effettuato dalla polizia su una persona sospetta a una fermata dell'autobus: pare si siano sentite due esplosioni, seguite dal tentativo di fuga dell'uomo con sulle spalle uno zainetto.

Nella notte e in mattinata altre perquisizioni con sette arresti in tutto. Un uomo è stato fermato anche nelle periferie parigine, pianificava altri attentati, e due gli arrestati in Germania, di cui uno con precedenti penali in Italia. C’è poi un nuovo ricercato in tutta Europa per gli attacchi di Parigi e Bruxelles: si tratta di Naim Al Hamed, siriano, 28 anni, descritto come "molto pericoloso e forse armato”. Con lui, un altro complice di Salah Abdeslam ha fatto perdere le sue tracce.

Intanto, dagli interrogatori di Salah emerge che lo scenario di Bruxelles doveva essere ancora peggiore, con sparatorie alla cieca in strada sul modello di Parigi. Da verificare molti aspetti della sua deposizione piena di contraddizioni, come il fatto che la polizia sapesse da dicembre scorso l’indirizzo del suo covo. Intanto, oggi vertice con gli Usa a Bruxelles. Il segretario di Stato Usa, Kerry, ha portato le condoglianze del presidente Obama e la piena collaborazione per le indagini. Il premier belga, Michel, ha annunciato dal canto suo un piano rigido di sicurezza e la ripresa della partecicpazione ai raid contro l'Is in Siria.

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Libia, il governo a Tripoli dice no all’esecutivo di riconciliazione

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In Libia, stenta a decollare il governo di unità nazionale. Il governo islamico di Tripoli ha dichiarato lo stato d'emergenza dopo le notizie dell'arrivo nella capitale di quattro membri dell’esecutivo che ha avuto l’appoggio delle Nazioni Unite. Il servizio di Alessandro Guarasci

Non ha vita facile il neo esecutivo frutto degli accordi di Skhirat, in Marocco. Il premier del governo di salvezza libico, non riconosciuto dalla comunità internazionale, Khalifa al Ghweil, ha deciso di resistere in ogni modo ai tentativi del primo ministro designato del governo di riconciliazione nazionale libico, Fayez al Sarraj, e dell'inviato dell'Onu, Martin Kobler. Ieri sera, Ghweil ha tenuto una riunione con tutti i capi delle milizie libiche della Tripolitania ed anche del resto del Paese che hanno deciso di restare fedeli al suo esecutivo impegnandosi a impedire l'arrivo di al Sarraj a Tripoli. Milizie e apparato di sicurezza hanno così deciso di "aumentare le pattuglie i e posti di blocco".

Sul terreno, la situazione degli scontri in sostanza è immutata. Per tutta la giornata di ieri, le forze fedeli al generale Khalifa Haftar hanno combattuto con le milizie dello Stato islamico e con quelle islamiche alleate nella zona del cementificio di Bengasi. Il cementificio rappresenta l'ultima roccaforte dello Stato islamico a Bengasi e i miliziani del gruppo jihadista sono ormai assediati al suo interno dall'esercito che si è dispiegato su tre direzioni. 

Per un commento sulla situazione in Libia, Eugenio Bonanata ha intrervistato Alberto Negri, esperto di questioni internazionali del Sole 24 Ore: 

R. – Paradossale. Questo è l’aggettivo che definisce la situazione in Libia. Tutti aspettano l’epifania, l’avvento di questo nuovo governo di unità nazionale o di disunità nazionale che è a Tunisi. L’arrivo di questi quattro personaggi e la proclamazione contemporanea dello stato di emergenza ci dice una cosa molto evidente: comunque questo nuovo governo, se anche arrivasse al completo, sarà ostaggio delle fazioni locali.

D. – Significa anche che i negoziati dell’Onu sono falliti, sono sull’orlo del fallimento…

R. – I negoziati dell’Onu erano destinati a fallire fin dall’inizio, sin da quando erano stati messi in mano al precedente negoziatore, perché è stata perseguita una “linea formale”. Era stato riconosciuto dalla comunità internazionale solo il governo di Tobruk, quello sostenuto dagli egiziani e con il generale Haftar a fare da padrone della situazione, e quello di Tripoli veniva un po’ tenuto ai margini delle trattative. Ma come si poteva in qualche modo avere poi un governo legittimo se poi veniva riconosciuto soltanto quello di Tobruk? Poi, alla fine, si è dovuti arrivare alla soluzione che per avere un nuovo governo era necessario portarlo a Tripoli. Ma naturalmente, a quel punto, il posto della situazione era sfuggito parecchio di mano sia all’Onu che agli altri protagonisti della comunità internazionale.

D. – Cosa c’è dietro questo scontro tra le istituzioni di Tripoli e quelle di Tobruk?

R. – Ci sono gli interessi enormi che spingono le grandi potenze in realtà un intervento in Libia che è anche una spartizione del Paese in zone di influenza, con i francesi e gli inglesi nella parte della Cirenaica e del Fezzan e gli Italiani in Tripolitania. Però, mettere il naso in Cirenaica è più facile: come sapete bene c’è una forte collaborazione tra Parigi, Il Cairo e la Russia per poter in qualche modo mettere sotto controllo la regione della Cirenaica e poi quella del Fezzan. In Tripolitania, la situazione è talmente frammentata, talmente difficile da gestire, che per l’Italia sarebbe molto complicato.

D. – Come se ne esce? Che tipo di previsioni possiamo fare?

R. – La situazione è assolutamente imprevedibile, perché se fossimo stati in grado di poter fare previsioni probabilmente non saremmo arrivati a questo punto. Immaginate solamente un anno e mezzo fa che le prime presenze dell’Is venivano qualificate come assolutamente trascurabili e tutti ci venivano a dire che non avevano nessuna influenza sulla situazione. Poi, da Sirte lo abbiamo visto arrivare comunque a Sabrata, quindi a 60 chilometri da Tripoli. Insomma, la situazione si è molto complicata. Soprattutto adesso che si parla di un intervento internazionale, si fa ancora più difficile il rapporto tra le fazioni, perché gran parte di quelli che sono a Tripoli – queste sono le notizie che mi arrivano – continuano a essere contrari a una missione internazionale nel Paese.

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40 anni al serbo Karadzic per genocidio e crimini di guerra

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L’ex leader serbo, Radovan Karadzic, dopo 12 anni di latitanza e un processo durato 6 anni, è stato riconosciuto colpevole dal Tribunale Internazionale dell’Aja dei reati di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità e altri 10 capi d’accusa legati a quanto accaduto nel massacro di migliaia di musulmani bosniaci a Srebrenica, avvenuto l’11 luglio 1995  durante la sanguinosa guerra nella ex Jugoslavia. L’alta Corte lo ha condannato a 40 anni di carcere. Sul significato della sentenza e sulle sue ricadute in ambito europeo, Giancarlo La Vella ha intervistato Mauro Ungaro, esperto di Europa orientale e direttore della “Voce Isontina”: 

R. – È una condanna senz’altro severa, anche se non accoglie pienamente quelle che erano state le richieste del Pubblico Ministero, e anche le molte aspettative – era stato prospettato l’ergastolo – ma si tratta senz’altro di una condanna significativa. Può sicuramente favorire non la chiusura di un capitolo buio, ma piuttosto può mettere un punto fermo sulla guerra nella ex Jugoslavia, riconoscendo che ci sono stati genocidi e pulizia etnica. E, soprattutto, si riconosce che non c’è impunità, che prima o poi chi commette questi crimini viene perseguito e colpito dalla giustizia internazionale.

D. – La Serbia di oggi è consapevole di quelle che sono le responsabilità del suo ex leader?

R. – Io credo di sì. Tranne certi settori estremisti, che guardano ancora con una certa nostalgia al passato, la maggioranza della popolazione vuole andare oltre, guardare insieme verso la costruzione di un futuro di pace, che per l’Europea deve avere uno dei propri centri proprio in quest’area balcanica, che ha vissuto così tragicamente l’ultimo secolo.

D. – Anche in chiave europea, questa sentenza ha una sua importanza?

R. – Sì, io credo che in chiave europea vadano sottolineati soprattutto due elementi. Il primo è il fatto che quest’area balcanica può essere un punto centrale per un futuro di pace per l’intero continente europeo, anche guardando all’area orientale dell’Europa, alla Russia e, per quanto riguarda noi cattolici, a tutto il mondo ortodosso. Quindi veramente quest’area può essere un centro di incontro tra la religione musulmana, i cattolici e i cristiani ortodossi. Però c’è un altro secondo punto, che secondo me è importante sottolineare, ricordando le parole che il Papa Santo, Giovanni Paolo II, pronunciò a Castel Gandolfo nel 1994, in quell’omelia che non aveva potuto dire dinanzi alla popolazione di Sarajevo. Il Pontefice disse che la pace è giusta, se viene riconosciuta la priorità dei valori morali sulle pretese della razza o della forza. Furono delle parole veramente profetiche e assai importanti per il nostro continente, soprattutto in questo momento con i tragici fatti che abbiamo vissuto nei giorni scorsi.

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Renzi a Lampedusa. No emergenza, ma più garanzie per gli immigrati

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Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, sarà nel pomeriggio a Lampedusa, dove, alle ore 15, incontrerà il sindaco dell'isola, Giusi Nicolini, per "una riunione operativa presso il Comune". E’ presumibile che con l’arrivo della bella stagione aumentino gli sbarchi di immigrati su Lampedusa. Negli anni scorsi, l’isola ha dato prova di grande accoglienza, ma non sono mancati periodi in cui il rapporto col Centro d’accoglienza non è stato facile. Ma come si prepara l’isola a un possibile aumento degli arrivi? Il servizio di Alessandro Guarasci: 

Il centro di prima accoglienza è diventato da cinque mesi "hotspot". Per Lampedusa questa è la principale novità, che prevede norme più stringenti per l’identificazione per poi avviare i ricollocamenti a livello europeo. Una novità non da poco, dice la responsabile del centro, Rossana Perri:

“C’è uno stress maggiore da parte dell’ospite che vede bloccato il proprio futuro: ovviamente, arriva a Lampedusa con progetti, con sogni, e vuole raggiungere amici o familiari, ma questo viene limitato dal rilascio, appunto, delle impronte digitali. Quindi, c’è uno stress più alto, un livello di ansia che ovviamente cresce e una preoccupazione per il futuro da parte del migrante”.

Il Centro ha una capienza di 381 posti e ad oggi ospita 219 persone. Ancora Perri:

“Sicuramente, con la bella stagione ci saranno degli arrivi più frequenti e più numerosi. Noi abbiamo tutte le possibilità e le risorse fisiche per poter affrontare le emergenze, così come è stato fatto nel passato. E siamo pronti anche per il prossimo futuro”.

Sull’isola, in prima linea nell’accoglienza sono da sempre le organizzazioni cattoliche. In questa intervista, il parroco, don Mimmo Zambito, delinea le priorità:

R. – L’isola non vive in uno stato di vera e propria emergenza: vive la tragica esperienza di queste persone che fuggono e che attendono la verifica dei motivi per i quali stanno fuggendo e quindi uno status di protezione internazionale o di diritto di asilo. E’ una vicenda molto complessa, poiché l’Italia attualmente ha delle disposizioni di carattere amministrativo circa gli hotspot…

D. – Secondo lei, vedendo le esperienze dei mesi precedenti, come si può gestire meglio la fase operativa, soprattutto in questo periodo in cui prevedibilmente gli sbarchi potrebbero aumentare?

R. – E’ necessaria una maggiore presenza di mediatori culturali, di traduttori, di operatori delle organizzazioni non governative, ma anche – con tutto il rispetto – una relativizzazione del ruolo di Lampedusa, che non può assolvere allo stesso tempo a una funzione di salvataggio – quello che la geografia le affidata, essendo un punto a metà strada fra due continenti, in mezzo al mare – e a una funzione di verifica dei motivi per i quali queste persone stanno fuggendo dai loro luoghi nativi, da dove vivono. Attualmente, a Lampedusa, il centro di primo soccorso ed accoglienza è stato trasformato in hotspot e quindi dovrebbe assolvere nel giro di 48 ore alla definizione dello status di queste persone. Una cosa che per il personale che è sull’isola, e per le condizioni stesse dell’isola, non è sempre facilmente realizzabile nei tempi che sono attualmente previsti.

D. – La popolazione di Lampedusa, sempre molto accogliente, come sta vivendo la presenza di questo hotspot?

R. – La popolazione di Lampedusa ha una dose di umanità davvero significativa. E’ consapevole della condizione estrema dell’isolanità… Ci adattiamo ancora una volta a questo nuovo sistema, ma siamo allo stesso tempo consapevoli che persone che fuggono non possono restare due mesi in una situazione di limbo – non più teologico, ma giuridico e legale – in attesa che vengano riconosciuti i loro diritti. Dietro a questa pausa di tempo, dentro questa pausa di tempo, dentro questa sospensione, ci sono minori affidati a parenti e ad amici che non sono i genitori... Ci sono persone che hanno subito vessazioni di ogni genere e che non possono ulteriormente subire una fragilità di disposizione legislativa.

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A Gerusalemme la Via Crucis con pellegrini da tutto il mondo

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Come un fiume in piena pellegrini, cristiani locali e religiosi ripercorrono la Via Dolorosa. Attraverso le 14 stazioni della Via Crucis, sulle orme di Cristo, per poter comprendere quel mistero di amore che Gesù dona all’umanità. Da Gerusalemme, il servizio di Miriam Bianchi del “Christian Media Center”: 

Nel Venerdì Santo, tra un miscuglio di voci e suoni, tra le strette strade della città santa di Gerusalemme, si incrociano pellegrini arrivati da tutto il mondo, cristiani locali e religiosi, che ripercorrendo la Via Dolorosa, accorrono per partecipare alla Via Crucis. Padre Diego della Gassa, francescano del Romitaggio del Getsemani ci racconta :

“La tradizione antica vuole ripercorrere le orme di Gesù proprio per comprendere quanto lui ci ha amato. Ripercorrere la Via Crucis per noi è importante perché ci accorgiamo, diventiamo consapevoli di quanto lui ci ha amato”.

Una Via Crucis guidata dal Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, che tra momenti di preghiera e meditazioni, ha ripercorso sulle orme di Gesù quelle quattordici stazioni che rappresentano gli eventi più significativi della Passione e Morte di Cristo. Una manifestazione di fede unica, dalla Flagellazione fino al Calvario: ogni stazione una pausa, un inginocchiarsi a pregare, a meditare per poter comprendere quel mistero di amore, che Gesù dona all’umanità. E’ un amore che resta; una voce che ancora oggi si sente. Ed è padre Diego a spiegare questo mistero di amore:

“Il senso profondo della Via Crucis significa mettere i propri piedi nelle orme di Gesù, e seguire le orme di Gesù significa vivere qualcosa che ha a che fare con una via percorribile, che è la via dell’ amore. Il Calvario dove Lui viene innalzato sopra la terra parla di questa attrazione: 'Io attirerò tutti a me'. In questo attirare tutti a lui, tutti ci ritroveremo. Verrà meno la fede, verrà meno la speranza, ma resterà l’amore. Questa è l’unica parola che resta qui, al Calvario”.

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Fede e arte nella Via Crucis di Castronuovo di Sant'Andrea

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Il giorno di Venerdì Santo il Comune di Castronuovo di Sant’Andrea, in Basilicata, ricorda il doloroso percorso di Cristo attraverso un incontro tra fede e arte su iniziativa del Museo internazionale della grafica (mig) e della Pro Loco. La responsabile della comunicazione del Mig, Maria Allegretti, ha raccontato a Maria Laura Serpico come si articola la Via Crucis interpretata dell’artista Vincenzo Gaetaniello: 

R. – Castronuovo di Sant’Andrea è dal 1981 che, per iniziativa della Pro Loco e del Mig-Museo Internazionale della Grafica, propone in occasione delle festività pasquali degli inediti appuntamenti che coniugano arte e fede. Ogni anno, infatti, la tradizionale processione del Venerdì Santo, che parte dalla chiesa madre, percorre i vicoli del centro storico e culmina nell’incontro delle antiche statue in cartapesta della Madonna e del Gesù morto. Viene scandita dalle 14 stazioni della Via Crucis create da artisti contemporanei, scelti di volta in volta dallo storico dell’arte, Giuseppe Appella. Quest’anno, dopo diversi artisti – tra cui, ricordiamo, Strazza, Fazzini, Janich, Giovanna Martinelli e molti altri – è toccato a Vincenzo Gaetaniello, che è un artista di origine napoletana.

D. – Qual è il valore aggiunto dato dall’arte contemporanea al doloroso percorso di Cristo?

R. – Ponendosi di fronte al Mistero della Passione, ogni artista lavora come se fosse un vero e proprio regista: infatti, di stazione in stazione, in un intreccio di riferimenti rivive il percorso doloroso di Cristo non discostandosi dalla realtà, ma interpretando ogni momento attraverso il proprio sentire artistico.

D. – Cosa simboleggia la tovaglia d’altare di Claudio Palmieri utilizzata per la Santa Messa di Pasqua?

R. – La tovaglia d’altare viene proposta per la Santa Messa di Pasqua da tre anni. Il primo anno è toccato ad un artista di origine sarda, Maria Lai. Lo scorso anno a Guido Strazza e quest’anno, invece, a Claudio Palmieri. Claudio Palmieri ha ideato una composizione simmetrica, al cui centro emerge l’inusuale immagine della fenice, che è il simbolo della resurrezione. Sulla tovaglia, ai lati dell’immagine della fenice, compaiono due croci e di notevole "pathos" sono anche gli otto rami di palma che separano i simboli, dando ritmo a tutta la composizione. Negli spigoli laterali, invece, compare la Corona di spine, che è poi il simbolo della Passione.

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20 anni fa il massacro dei trappisti di Thibirine: il ricordo dell'abate Eamon

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“Se mi capitasse un giorno di essere vittima del terrorismo … vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e all’Algeria”. E’ il testamento spirituale di padre Christian de Chergé, uno dei sette monaci trappisti assassinati 20 anni fa dai fondamentalisti islamici del Gia. I sette monaci furono sequestrati nel loro monastero a Thibirine nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996 e successivamente barbaramente uccisi. Sulla loro testimonianza ed eredità spirituale, Alessandro Gisotti ha intervistato l’abate generale dei trappisti, dom  Eamon Fitzgerald

R. – Penso che la cosa più importante di questa vicenda sia la testimonianza comune. Questi fratelli venivano da diversi monasteri: le vocazioni sono venute da alcuni monasteri della Francia. Questi monaci hanno dunque dovuto imparare a vivere insieme. La cosa più importante della loro esperienza, per loro, è stata l’incursione, nel Natale 1993, dei ribelli. Attraverso questo episodio – gli uomini armati poi sono andati via, ma l’esperienza di paura e la consapevolezza del rischio della morte ha sollevato in loro un senso di “essere insieme” davanti a questo pericolo. Così, nei tre anni seguenti hanno costruito una comunità fondata su una stessa volontà, su uno stesso desiderio di restare e di testimoniare Dio.

D. – I monaci di Thibirine hanno deciso di restare in Algeria – come ha detto lei – ben conoscendo i rischi, i pericoli che correvano: un po’ ricordano le Missionarie della Carità, uccise nello Yemen …

R. – La cosa che mi colpisce di più è che si tratta di persone normali, ma persone normali dedite a Dio e alla loro missione di essere testimoni del Vangelo. Questo mi colpisce molto e leggendo anche la storia dei Martiri dell’Algeria vedo questo sempre di più. Loro hanno un senso di Dio, un senso della vocazione che li spinge a dare tutto. Infatti, questo giorno mi colpisce – il Venerdì Santo – perché è il giorno in cui Dio ha dato se stesso per noi attraverso la morte sulla Croce. Penso che questa esperienza di essere amati da Dio sia alla radice della testimonianza dei martiri.

D. – Molti, soprattutto dopo gli attentati terroristici in Europa, parlano sempre più di scontro di civiltà. I monaci di Tibhirine hanno invece dato una testimonianza di incontro, di voler costruire ponti, fino alla fine …

R.- Sì. Io ho trovato qualche tempo fa uno scritto di padre Christian, che era il priore della comunità, in cui lui diceva: “I cinque pilastri della pace sono la pazienza, la povertà, la presenza, la preghiera e il perdono”. Allora, questo mi ha colpito molto: non è una cosa straordinaria, ma è una cosa di tutti i giorni, che possiamo vivere – ciascuno di noi – nella nostra situazione personale.

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Nella Chiesa e nel mondo



Parroco di Aleppo: Pasqua è pace per una comunità ferita dalla guerra

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La comunità cristiana di Aleppo si avvicina alla Pasqua “preparando le liturgie”, abbellendo le chiese “con fiori e addobbi preparati dai giovani; stiamo cercando di coinvolgere tutti i fedeli, soprattutto quanti hanno sofferto, persone che hanno avuto dei morti, famiglie spezzate che abbiamo cercato di curare dal punto di vista materiale, psicologico e spirituale”. È una festa all’insegna della pace, della misericordia e della riconciliazione quella che si apprestano a vivere i cristiani di Aleppo, città martoriata da cinque anni di sanguinoso conflitto. 

La fragile tregua infonde nella gente un filo di speranza
Come racconta all'agenzia AsiaNews padre Ibrahim Alsabagh, 44enne francescano, guardiano e parroco della parrocchia latina di Aleppo, la “fragile tregua” nel conflitto siriano, che “funziona in parte”, ha permesso alla gente “di respirare, infondendo una nuova speranza”. Dopo mesi è tornata l’elettricità e anche sul fronte dell’acqua la situazione è migliorata, e questo ha portato sollievo fra gli abitanti.

In Quaresima e in Settimana Santa coinvolti bambini e giovani
Nel periodo di Quaresima e nella Settimana Santa la parrocchia ha coinvolto “bambini e giovani” nell’organizzazione delle celebrazioni: “Ieri hanno preparato l'adorazione - racconta padre Ibrahim - e i più piccoli hanno seguito con attenzione il gesto della lavanda dei piedi fatta dal vescovo. Un rito che insegna loro il senso dell’autorità e il valore della responsabilità”. Sempre ieri si è svolta una processione, con i bambini “contentissimi” nel “portare le candele”. Un gesto che hanno compiuto anche “in occasione della festa delle Palme. Oggi la celebrazione della Via Crucis - aggiunge - mentre domani ci saranno i battesimi, per far sentire anche i bambini partecipi delle iniziative della comunità”. 

Forte il sostegno della Chiesa per una popolazione stremata dalla guerra
Nell’anno della Misericordia, anche la comunità di Aleppo ha voluto insistere sull’importanza del sacramento della riconciliazione: “I fedeli - spiega padre Ibrahim - si sentono chiamati a tornare ad attingere alla fonte della misericordia, accostarsi alla lavanda dei piedi, l’adorazione e le confessioni. A ogni funzione le chiese sono gremite di fedeli”. Certo, prosegue, i fedeli “aspettano tempi migliori” ma “sono pieni di gratitudine” per quanto è stato fatto. “La gente da sola non riesce a sostenersi - prosegue - perché manca il lavoro, i prezzi sono alti, non sempre vi è l’elettricità. Il sostegno che ha dato la Chiesa in questi mesi è immenso e loro ce ne sono grati, lo vedono come segno e gesto di misericordia. Fra le molte iniziative vi sono la riparazione di case danneggiate dalla guerra, il pagamento di debiti bancari, la distribuzione di cibo, cisterne di acqua, etc… tutte cose rese possibili grazie all’impegno della Chiesa e il contributo di molti benefattori”. 

La guerra e la crisi hanno fatto tornare tante famiglie a Dio, alla Chiesa, al valore della misericordia
Domenica, infine, è prevista la solenne celebrazione presieduta dal vicario apostolico dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, alla quale parteciperà l’intera comunità, cui seguirà il tradizionale scambio di auguri. Il giorno successivo, dopo alcuni anni in cui l’iniziativa era “sospesa per via della guerra”, le classi del catechismo e le loro famiglie (600 persone) andranno al Collegio di Terra Santa, dove vi è “un grande spiazzo all’aperto in cui si celebrerà la Messa; poi un pranzo al sacco in comune”. La guerra, la crisi, hanno “distrutto molte famiglie e persone”, conclude padre Ibrahim, ma al contempo “hanno fatto tornare tante famiglie al Padre, alla Chiesa, al valore della misericordia. Ha risvegliato in loro qualcosa di dimenticato e abbandonato, per questo godiamo di questa gioia e siamo contenti di vivere la comunione e la testimonianza”. (D.S.)

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Pasqua a Sarajevo nel segno della misericordia

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A vent’anni dalla fine di uno degli assedi più lunghi della storia moderna (aprile 1992-febbraio 1996), la Pasqua a Sarajevo è nel segno della misericordia. La speranza di tutti - riferisce l'agenzia Sir - è che la Pasqua possa segnare una nuovo passaggio, una nuova Resurrezione, da un Paese diviso a uno riconciliato. Intanto continuano le celebrazioni del triduo pasquale per i circa 460mila cattolici di Bosnia-Erzegovina. 

Fulcro delle celebrazioni la cattedrale di Sarajevo
La cattedrale dedicata al Sacro Cuore, nel centro storico della capitale, Sarajevo (14mila persone di fede cattolica), è il fulcro delle celebrazioni iniziate nel pomeriggio di ieri col il rito della Lavanda dei piedi a dodici fedeli. Per tutta la giornata di oggi, inoltre, si svolgerà l’adorazione eucaristica. Particolare attenzione verrà data alla Confessione con sacerdoti disponibili ad accogliere i fedeli che si vogliano accostare al sacramento. Alle 18 è prevista la celebrazione della Passione del Signore presieduta dal card. Vinko Puljić, arcivescovo di Sarajevo e presidente della Conferenza episcopale bosniaca. 

Aperta la Porta santa della cattedrale, presa di mira dai cecchini durante la guerra
Nella giornata di domani continueranno adorazione e confessioni mentre alle 21 è fissata la Veglia pasquale. Il giorno di Pasqua la Messa principale – alle 10.30 – sarà presieduta sempre da Puljić e trasmessa in diretta dalla televisione di Bosnia-Erzegovina. Dal 13 dicembre scorso l’ingresso della cattedrale principale di Sarajevo è diventata Porta Santa della Misericordia. Una Porta che al tempo della guerra era chiusa perché bersaglio dei cecchini. (R.P.)

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Iraq. Mons. Sako: Cristo ci incoraggia a stare nella nostra terra

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“Cristo morto e risorto è un segno di speranza, un incoraggiamento a rimanere uniti su questa nostra terra, in cui i cristiani devono continuare ad essere ‘modello di luce e speranza’, fedeli alla ‘famiglia irachena’”. È quanto afferma Louis Raphael I Sako, Patriarca di Babilonia dei caldei e presidente della Conferenza episcopale irachena, nel messaggio per la Pasqua pubblicato all’inizio delle celebrazioni della Settimana Santa, ripreso dall'agenzia Sir. 

Patriarca Sako vede segni di speranza
“Ci troviamo davanti ad una nazione ancora divisa, un panorama triste, doloroso e frustrante. Tuttavia emergono dei segni di speranza e per questo bisogna impegnarsi per salvare la nazione da ulteriori disaccordi, conflitti e combattimenti, da altri morti e sfollati, da ulteriori devastazioni, stress, ansie e paure”. Sako invita cristiani, musulmani, yazidi e sabei a “restare uniti e dialogare in modo serio, con apertura e onestà, per una vera riconciliazione nazionale. Mostriamo a tutti che siamo in grado di aprirci gli uni agli altri e che siamo in grado di vivere a dispetto delle differenze reciproche, e di dar vita a una squadra unita di uomini e donne che si facciano carico di salvare la nazione e noi stessi. La politica non è un gioco di interessi, quanto piuttosto senso di responsabilità, è intelletto, saper prendere decisioni, anche coraggiose, per dar vita a riforme cui il nostro popolo aspira da troppo tempo”. 

L'invito a non lasciare la propria terra
Dal Patriarca anche un'esortazione a “fare affidamento sulla saggezza e sulla pazienza, per rimanere uniti su questa nostra terra, in cui siamo nati, in cui abbiamo vissuto per 1.400 anni assieme ai musulmani, costituendo un’unica civiltà” e a “non cadere in confusione. Non lasciate che altre persone, società e nazioni traggano vantaggio dalle nostre angosce e finiscano per disperdere le nostre famiglie ai quattro angoli della terra (50 qui, 100 là)”. 

Sako invita i fedeli  ad essere modello di luce e di speranza
“Vi invito – afferma Sako – a essere persone cristiane cariche di umanità, patriottiche, come Cristo stesso ci chiede di essere: imparziali, amorevoli, presenti e attive, modello di “luce e speranza”, fedeli al nostro Paese, la “nostra casa”, devoti ai nostri fratelli e sorelle iracheni, la “nostra famiglia”. Se comunichiamo con tutti, ci integriamo e cooperiamo per costruire un presente migliore e un futuro insieme, la nostra presenza non sarà mai minacciata”.

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Giornata Onu delle vittime della schiavitù e della tratta

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Oggi, 25 marzo, le Nazioni Unite ricordano la memoria di milioni di africani forzatamente strappati per centinaia d’anni alle loro famiglie e alle loro terre, con la Giornata Internazionale di commemorazione delle vittime della schiavitù e della tratta transatlantica degli schiavi. Una giornata che oggi vuole essere un monito sul prevalente fenomeno del razzismo e del pregiudizio. E’ fondamentale – afferma nel suo Messaggio il Segretario dell’Onu Ban Ki moon - che lavoriamo insieme per la parità, la giustizia e lo sviluppo sostenibile delle persone di discendenza africana. Per questo le Nazioni Unite vogliono creare nei giovani e meno giovani, la consapevolezza del fenomeno del razzismo, per promuovere la comprensione e cambiare gli atteggiamenti".

La cultura e le tradizioni dell'Africa arricchiscono le nostre culture
Il tema di quest'anno è "Ricordare la schiavitù: celebrare l’eredità e la cultura della diaspora africana e le sue radici”. La cultura e le tradizioni dell'Africa infatti, continuano ad arricchire la vita nei Paesi che una volta erano coinvolti nel commercio degli schiavi oltreoceano. L'influenza e l'eredità dell'Africa sono evidenti nella musica vibrante, nell’arte, nella letteratura e nei cibi che sono entrati nella cultura moderna. Meno riconosciuti, forse, sono i contributi che la gente della diaspora africana hanno dato alla medicina, alla scienza e alla leadership in generale nella società.

Una Giornata per combattere il razzismo e celebrare l'eredità africana
​Gli schiavi dall'Africa – conclude il Segretario dell’Onu - hanno lasciato ai loro discendenti una vasta gamma di beni di inestimabile valore, tra cui la forza d'animo, la forza fisica, il coraggio, la tolleranza, la pazienza e la compassione. In questo giorno, rinnoviamo la nostra determinazione a combattere il razzismo e celebrare l'eredità dell'Africa che esalta le società di tutto il mondo di oggi. (R.P.)

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Vescovi canadesi: a Pasqua, accogliere gli stranieri

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Accogliere lo straniero significa partecipare all’azione redentrice di Cristo: così, in sintesi, scrive mons. Douglas Crosby, presidente della Conferenza episcopale del Canada, nel messaggio diffuso in vista della Pasqua. “Dando da mangiare agli affamati, vestendo gli ignudi, accogliendo lo straniero, proteggendo la dignità umana e difendendo la sacralità della vita del prossimo, dal concepimento e fino alla morte naturale – scrive il presule – noi proclamiamo la morte e risurrezione di Gesù e partecipiamo alla sua azione redentrice”.

Appello per i rifugiati siriani
Guardando, poi, ai rifugiati siriani, il presule sottolinea: “Siamo rimasti scioccati nel vedere migliaia di famiglie percorrere a piedi miglia e miglia, fino al confine con altri Paesi, per cercare di sfuggire alla distruzione della guerra”. “Abbiamo sentito parlare delle loro condizioni di vita in campi affollati – aggiunge - e siamo inorriditi davanti alle sofferenze di figli separati dai genitori a causa della violenza e della morte”.

Camminare con coraggio sulle orme di Gesù
​Quindi, mons. Crosby sottolinea che “tante comunità canadesi hanno messo a disposizione le proprie risorse per fornire cibo, alloggio, abiti caldi per uomini, donne e bambini che hanno finalmente trovato, in Canada, un posto sicuro” in cui poter vivere “una nuova vita”. Di qui, in questo tempo pasquale, l’invito del presidente dei vescovi a “camminare con coraggio sulle orme di Gesù”, proclamando “con forza che dall’oscurità e la sofferenza nasce una nuova vita”. (I.P.)

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Sri Lanka: Via Crucis contro il progetto di città portuale

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Sacerdoti, suore e famiglie di pescatori cattolici hanno partecipato ad una Via Crucis per le strade di Negombo, a nord di Colombo. Insieme al ricordo della Passione di Cristo - riferisce l'agenzia AsiaNews - essi hanno anche protestato contro la ripresa del progetto di città portuale a Colombo. Secondo alcune famiglie di pescatori infatti, la colata di cemento e altri materiali utilizzati per le costruzioni hanno già portato alla scomparsa di alcune specie di fauna marina. La morte dei pesci mina in modo serio i mezzi di sussistenza della popolazione locale, in gran parte impiegata nel settore ittico. Padre Patrick Perera, vicario generale del decanato di Negombo, dice ad AsiaNews: “La Chiesa dello Sri Lanka non è contraria allo sviluppo del Paese, ma respinge i progetti che, in nome dello sviluppo, distruggono le vite dei pescatori e la natura”.

I pescatori minacciati dal progetto di sviluppo portuale
La processione ha marciato mercoledì pomeriggio lungo un percorso di 2,5 km. Circa 500 fedeli si sono dati appuntamento al mercato centrale del pesce, presso la parrocchia di Pitipana, e hanno trasportato una pesante croce di legno fino alla chiesa di Wellaveediya. Alcune donne pescatrici hanno dichiarato: “Noi stiamo già portando la nostra croce, perché siamo minacciati dal progetto di sviluppo portuale”. Il progetto di costruzione della città portuale nasce nel settembre 2014 sotto il mandato dell’ex Presidente Mahinda Rajapaksa e prevede lo stanziamento di 1,5 miliardi di dollari da parte della China Communications Construction Co. Ltd, una holding cinese. Fin dall’inizio i lavori generano l’opposizione della comunità locale, che ottiene la sospensione. Ambientalisti e pescatori hanno però sempre temuto che il governo di Colombo potesse tornare sui suoi passi e riprendere l’edificazione.

Altre proteste il 4 aprile
A gennaio il People’s Movement against Port City, il gruppo di attivisti che guida la protesta, ha presentato un documento di Valutazione di impatto ambientale (Eia) di 400 pagine, contenente 128 pareri negativi in merito alla costruzione. Vista la recente decisione di Colombo di dare via libera alla Compagnia cinese, il Movimento ha deciso di scendere di nuovo in piazza il prossimo 4 aprile.

I leader dei pescatori ricordano l'enciclica del Papa 'Laudato si'
Loyal Peiris, tra i leader dei pescatori, ricorda che l’enciclica 'Laudato sì' di Papa Francesco parla della protezione dell’ambiente e delle sua creature, secondo una visione di ecologia integrale. Parlando durante una stazione della Via Crucis, egli sottolinea una contraddizione: “Il progetto, che sta devastando chilometri di rocce e sabbia, non è per i pescatori poveri e i loro figli, ma per persone che conducono vite di super lusso nel mondo”. Padre Perera conclude: “Il nostro amato Papa ha già messo in guardia contro la distruzione della natura a livello mondiale. Quando vediamo delle ingiustizie, il nostro compito non è solo esprimerci contro di esse. Dobbiamo parlare come Gesù. È il nostro ruolo profetico. Quando parliamo di sviluppo spirituale, noi agiamo per migliorare le condizioni del nostro popolo”. (M.M.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 85

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.